Raccontini... horror
Il prete fantasma – A caccia di fantasmi – Numero Zero – La paura 2 - la vendetta – Carne e sangue – Acquapietra – Il riluttante – 28 giorni dopo per davvero – Chi ha paura di un'epidemia zombie?
Il prete fantasma
di Filobeche
La vecchia chiesa sorgeva su una collinetta ed era circondata da una bassa siepe ben curata, in complesso l’abitazione sembrava ben tenuta se si eccettuava la cattiva condizione della pittura esterna, in generale si poteva dire che la chiesa aveva senza dubbio visto giorni migliori.
La macchina si fermò sotto un albero di fronte alla chiesa, come la chiesa anche la vecchia buick del blu del ’70 aveva visto giorni migliori.
Il pastore, che stava al cancello, quando vide la macchina si fece incontro con una faccia che aveva dipinto sia l’ansia che il sollievo.
“Buona sera mr Vanpelt”, disse quando ebbe di fronte il guidatore della macchina.
L’uomo, tutto vestito di nero anche se la mattina di maggio non sembrava certo fredda, abbassò gli occhiali quel tanto che bastava per far vedere le pupille verde smeraldo e poi tese la mano al prete.
“Padre Roy vero?”, disse con un tono di voce caldo ma duro “Si, proprio io…vi ho telefonato la scorsa settimana…beh…per…ecco”, Padre Roy balbettò qualcosa ma Vanpelt fece cenno di fare silenzio si aggiustò l’auricolare e poi girandosi verso la macchina fece “Ok Nick, andiamo e vediamo quello che possiamo combinare”, si voltò di nuovo e seguendo il pastore verso la chiesa.
L’interno della chiesa era messo meno bene dell’esterno, alcune scabre panche di legno, un vecchio crocifisso scolorito e qualche tela che raffigurava qualche santo sconosciuto.
“Quale sarebbe il problema?”, chiese un po’ scontroso Vanpelt “dalla telefonata non si capiva bene"
Padre Roy borbottò qualcosa ma senza riuscire a dine nulla di chiaro in quel momento Vanpelt disse “Nick senti nulla?"
“Nulla Vandor “, rispose la voce giovanile ed allegra di Nick “qua dentro per adesso non c’è nulla”.
Il prete fissò Vanpelt che fece cenno all’auricolare “Troppo alto”, sorrise forzatamente “devo abbassarlo, se no”, disse con voce un po’ più alta “si sente tutto!"
“Torniamo a noi padre”, riprese rivolgendosi al sacerdote “si faccia coraggio,mi dica perchè mi ha chiamato, nell’elenco cittadino non sono certo alla voce pizza”.
Il prete incoraggiato dall’ironia di Vanpelt, ingollando un po’ di saliva disse “in questa chiesa…”, la voce gli tremò un poco “c’è uno spettro"
Vanpelt sorrise “Se ci fosse stata una musica trionfale”, pensò “adesso sarebbe saltata la puntina del disco"
Padre Roy vide il sorriso increspare le labbra dell’ospite fece uno strano verso con la testa “ecco lo sapevo, non mi credete neppure voi”.
“Pastore”, il sorriso non era venuto meno sulla faccia di Vanpelt “credere ai fantasmi è il mio lavoro”, fece una lunga pausa studiando l’ambiente e poi rivolto al microfono dell’auricolare “adesso vedi niente Nick?"
Ci furono secondi di attesa poi Nick rispose “Nulla, zero assoluto, niet, nada, una minchia…”, stavolta leggermente più basso.
“Nick!”, urlò Vanpelt “se dici un’altra volta una parolaccia a casa facciamo i conti"
“Ma io…"
“Niente ma, ok?"
“Ok"
“Scusi padre non riesco ad abbassare il volume di questa macchinetta”, e sorrise di un sorriso un po’ forzato, anche il prete sorrise però poi aggiunse “Ma allora mi credete?"
“Naturale”.
“Davvero?...cioè non mi prendete per pazzo?"
“Dovrei forse stupirmi per un…a proposito il vostro fantasma com’è?"
“Uh?”, il pastore strizzò gli occhi facendo segno di non capire.
“Intendo è un apparizione, un poltergaist…lo vedete? E se si quando?”, Vanpelt intanto aveva tirato fuori un blocchetto notes e gettava rapidi sguardi a destra ed a sinistra come a sincerasi che nella stanza non accadesse nulla o come per cercare una persona.
“Ah beh allora credo sia un apparizione…cioè a volte la domenica mentre dico messa la mattina alla sei lui appare dalla porta e cammina con sicurezza verso l’altare, arriva fino alle prime panche e poi sparisce; altre volte invece è seduto in fondo alla navata e legge un breviario”, fece una lunga, molto lunga pausa “questa una volta era una chiesa cattolica”.
“hu-hu”, Vanpelt non aveva alzato la testa dal taccuino ma quando il pastore finì chiese ancora “Vi vede?"
“Come?"
“Intendo, vi riconosce? Capisce che ci siete?"
“No…non credo…"
“Ok apparizione di grado I° non è in grado di interegire con i vivi, forse non ha coscienza”, aveva intanto estratto un piccolo registratore e lo accese.
“Metafonia”, disse al prete che era curioso.
“Abbiamo anche tentato un esorcismo”, fece padre Roy “ma niente…"
“Non è questione di fede”, intanto lo sguardo di Vanpelt vagava alla ricerca di qualcosa “ma di energie…”, s’interruppe.
“Sentito Little Nick?"
“Non mi chiamare Little ok?"
“Ok"
“Comunque ho sentito, si” disse la giovane voce un po’ alterata “ora vedo cosa posso fare”.
La presenza doveva in qualche maniera essersi attivata, il registratore aveva per qualche secondo interrotto il frusciare del nastro.
“Padre”, chiese cortesemente “potreste officiare messa?”, poi visto che Padre Roy lo guardava fisso ripeté “almeno fare finta di dire messa”.
“Ah…si…si…”, rispose agitato il prete.
“Vede padre”, cominciò Vanpelt “quello che la gente chiama comumente fantasma io lo distinguo in tre, diciamo, specie”, aspettò che il prete si fosse preparato e continuò “il primo grado, quello che comunemente chiamiamo fantasma è un residuo di energia spirituale…come credo in questo caso"
“C’è da preoccuparsi?”, domandò trepidante il prete.
“No, sono ricordi o emozioni intrappolate da questo lato del sensibile, sono poco più che Robot, non parlano se interrogati, non spostano oggetti, non vedono il mondo che c’è intorno a loro”, intanto il prete stava apparecchiando l’altare dando a Vanpelt il tempo di continuare.
“Il secondo grado è quello che invece rappresenta il fantasma tipico”, fece una pausa per interrompere un attimo il registratore e far tornare indietro il nastro, poi riprese “Questo tipo di spettri è quello che ha limitate interazioni con l’umanità, parla, ascolta capisce…ma non elabora le informazioni, è come imprigionato in un eterna scena di un film di cui non cambia mai il copione ma solo i comprimari e cioè noi"
“Siamo pronti Nick?”, domandò “No, se il prete non si prepara non vedremo nulla temo”, la voce di Nick stavolta giunse più lontana e distorta e Vanpelt giudicò che l’attività preparatoria di padre Roy stava dando i suoi frutti.
“E l’ultimo tipo?”, chiese curioso il prete “L’ultimo tipo…l’ultimo tipo è come se fosse vivo ed in taluni casi crede davvero che sia cosi, altri invece sanno di essere morti e possono essere positivi, come gli spitriti di famigliari che ci rimangono accanto o spiriti guida, oppure negativi come i poltergeist, alcuni sono solo burloni…e possono apprendere come le persone non è vero Nick?"
“Si”, ripeté semplicemente la vocina “ma mai in cattiva fede”, il volume era tornato alto, l’apparizione non si manifestava, padre Roy si era distratto.
“Ah”, Vanplet fece scioccare le dita “ora ho capito!"
“Si?” disse il pastore.
“Si, a cosa pensate quando preparate l’altare della messa?"
“Dipende”, mugolò il pastore “a volte a nulla…a volte al rito che sto per compiere"
“Bene, probabilmente la nostra visione è attivata dalla concentrazione che mettete nel dire messa, forse lui amava pregare e il vostro desiderio accende la visione"
“Possiamo fare qualcosa?”, il pastore sembrava sul punto di piangere “Si possiamo, posso cercare di spengerlo, ma consideri questo, una presenza nella sua chiesa attirerebbe molti curiosi e potrebbe anche tirare su qualche dollaro”, sebbene l’espressione di Padre Roy fosse incredula, quella di Vanpelt indicava che non aveva assolutamente scherzato, quando il pastore arrivò a quella conclusione scosse la testa e disse “No vi prego toglietemelo di torno"
“Ok”, concluse il cacciatore di fantasmi “ora si concentri"
Passarono alcuni minuti mentre padre Roy si preparava, il registratore iniziò scattare.
“Nick vai bello vedi se riesci a vederlo”, e fece un vacuo gesto nell’aria.
Ci volle quasi cinque minuti d’attesa poi la vocina di Nick giunse distortissima e lontanissima, quasi flebile “l’ho davanti a me, tra pochi secondi dovrebbe…”, non riuscì a finire la frase che l’immagine del prete si materializzò davanti a Vanpelt, seduto nell’ultima panca con un libro in mano, una figura diafana stava leggendo un libro.
“Ora Nick cerca di staccare le connessioni materiali”, la voce era incoraggiante “Pastore non si faccia spaventare”, disse poi rivolto a padre Roy che fissava la figura terrorizzato.
“Dammi una mano”, disse Nick.
“Ok, hmm, ma certo”, Vanpelt estrasse una pietra di ametista e la pose sul pavimento a pochi metri dalla figura diafana.
Poi come se non fosse accaduto nulla la figura svanì nel nulla.
“Fatto?”, chiese Vanpelt “Uh-um…bravo eh?”, rispose allegro Nick.
“Non c’è male”, rispose sorridendo Vanpelt mentre il pastore gli si fece vicino e gli disse “Come posso ringraziarvi?"
“Pagando la parcella padre, fanno cinquanta dollari, tutto sommato non era un gran lavoro”.
“Ma”, disse il pastore “tirando fuori il portafogli tornerà?"
“Non credo”, rispose gentilmente Vanplet “entità come queste sono come messaggi registrati, spento la segreteria telefonica il messaggio non dovrebbe disturbarla più"
“Grazie, grazie”, ripeté l’uomo di chiesa “mi permetta di aggiungere cinquanta dollari per il disturbo”.
“Ah”, aggiunse il pastore “posso chiederle a che cosa è servito l’ametista?"
Il cacciatore rimase alcuni secondi in silenzio e poi rispose “A dare sicurezza e concentrazione”.
Vanpelt prese il denaro aggiuntivo che gli offriva l’altro, dato che un po’ più di soldi non facevano mai male e poi cortesemente salutò.
S’infilò nella Buick, si tolse l’auricolare, che non era agganciato a niente, e partì; dopo qualche chilometro la radio si accese da sola su un pezzo anni ’70 degli Abba –Dancin’ Queen- “Ora puoi manifestarti Nick”, disse Vanpelt superando veloce una fattoria.
“Oh era ora”, disse una vocina allegra e un suono come di campanelli spinti dal vento accompagnato da una ventata calda e dall’odore del pane.
Vanpelt si girò e vide un ragazzino di circa tredici anni, comodamente seduto sulla poltrona dell’auto a guadare il panorama.
“Ciao piccolo”, disse e fece una carezza sulla testa del ragazzino che fu attraversato dalla mano di lui.
Il piccolo spettro si girò e gli sorrise “Andata bene, vero?"
“Bene, ma era piuttosto semplice”, commentò: “non è un lavoro splendido?"
“Beh si”, Nick rideva con gli occhi e l’odore di pane fresco sembrava aumentare, “ma del resto, bisogna riconoscermi una certa abilità con i trapassati”.
Risero insieme per un lungo tratto di strada e poi la macchina svanì oltre la collina mentre il sole raggiungeva lo zenit, promessa di un nuovo giorno per la terra dei vivi.
Filobeche
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A caccia di fantasmi
di Frulina
Sammy Scarlet correva a perdifiato per il polveroso viale che lo avrebbe portato alla casa abbandonata. Tutti in paese dicevano che vi abitasse un fantasma e Sammy voleva verificarlo di persona. Aveva scelto quel momento con cura: non era né troppo tardi, in modo che sua madre non si preoccupasse, ma né troppo presto.
“I fantasmi non escono prima di sera” pensò Sammy, ed ebbe per un momento l’impressione di sentire un soffio freddo sul collo.
Alla fine del viale la casa infestata lo stava aspettando. Man mano che si avvicinava gli sembrò che accanto al cancello ci fosse un’ombra ma, con suo grande sollievo, scoprì che si trattava di una bambina che giocava con una palla nel giardino dell’abitazione.
“Ciao”, disse la bambina, “mi chiamo Belinda. Pensavo che nessuno sarebbe venuto qui, di sera.“
“Ho intenzione di vedere il fantasma” disse ansimando Sammy.
“Un fantasma vero?” chiese lei stupita.
“Sì proprio così” rispose Sammy, orgoglioso.
“Posso venire con te? Io non ne ho mai visto uno.”
Detto ciò, Belinda si avviò verso la porta della casa seguita da Sammy attraverso il giardino pieno di cardi ed erbacce.
“Entriamo, Sammy”, disse la bambina.
“Ma la porta non sarà chiusa a chiave?” chiese Sammy; poi chiese ancora, dubbioso. “E tu, come conosci il mio nome?”
“Beh, hai l’aria di uno che si chiama così”, rispose semplicemente Belinda.
La bambina spinse la porta ed entrarono, anche se Sammy era piuttosto spaventato. Si trovava in una stanza talmente buia che non riusciva a vedere nulla, tranne una figura scura e polverosa che si avvicinava a lui dall’altro lato della stanza.
“Il fantasma!” gridò Sammy. Belinda si girò a guardarlo.
Lui non riuscì a vederla bene, ma gli sembrò che stesse ridendo si lui.
“Non è un fantasma”, gli disse la bambina: “è solo la tua immagine riflessa in uno specchio che si trova laggiù.”
Sammy avanzò di qualche passo e si rese conto che Belinda aveva ragione.
La bambina proseguì per una scalinata che portava al piano di sopra e Sammy la seguì.
Dal buio sbucò una mano, morbida e silenziosa come le ombre, che gli accarezzò la faccia con le dita di seta.
“Il fantasma!” gridò nuovamente Sammy.
“Ragnatele, semplici ragnatele!” replicò Belinda.
Sammy si toccò la faccia e constatò che Belinda aveva ragione ancora una volta.
Arrivati al piano di sopra, i due bambini aprirono una porta ed entrarono in una piccola stanza. La luce della sera filtrava attraverso le finestre illuminando il soffitto. Al centro della stanza c’era una sedia a dondolo mezza rotta su cui era appoggiata una bambola molto vecchia. Sammy si guardò intorno e poi guardò fuori dalla finestra.
“Qui non c’è nessun fantasma”, soggiunse, “e si sta facendo tardi. Devo andare.”
Scesero le scale e Sammy non si spaventò più delle ragnatele, né del suo riflesso che sembrava seguirlo.
Uscirono dalla casa e si avviarono verso il cancello.
“Tornerai a cercare il fantasma?” chiese Belinda.
“No, credo di no” rispose Sammy deluso. “Niente fantasmi, qui!” concluse Sammy, poi si girò e corse via senza salutare.
Belinda attese che fosse andato via.
“Il problema”, disse a se stessa, “è se lui sarebbe capace di riconoscere un fantasma, se per caso ne vedesse uno.”
Oltrepassò il cancello e lo chiuse a chiave. Nella tarda sera Belinda era già evanescente e lontana, e appena mise il chiavistello alla porta di casa scomparve completamente.
Frulina
(ispirato a “In cerca di un fastasma”, di Margaret Mahy, e tratto da questo sito)
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Numero Zero
“Bene, signor von Arnauld, cominci a raccontare la sua Storia dall’inizio.”
“Per inizio cosa intende?”
“Quali sono i suoi primi ricordi? La sua infanzia?”
“Ah, intende così dall’inizio! Bene, sono nato il 22 novembre 1884, a Berlino, secondo di quattro fratelli, in una famiglia che, come avrà capito dal nome, è di origine ugonotta. Ma di francese abbiamo solo il cognome, perché mio padre ha sempre rifiutato di impararlo e quando gli serviva nei suoi affari si affidava all’interprete. Io ho provato a studiarlo, ma con scarso successo. I miei genitori li vedevo pochissimo, mio padre lo vedevo cinque minuti a settimana, la domenica quando la tata ci faceva entrare nel suo studio, e devo dire che non abbiamo mai avuto un vero rapporto. Quando è morto molti anni dopo, per un colpo apoplettico, ricordo che non ero né felice né triste, semplicemente la cosa mi lasciò indifferente.”
“E sua madre?”
“Mia madre la vedevo più spesso, certo, ma nonostante questo i rapporti con lei sono sempre stati freddi. Come penso la maggior parte dei bambini di famiglia borghese, sono stato cresciuto non dai miei genitori ma dai domestici. Fritz, il nostro maggiordomo, e Martha, la mia tata, sono stati i miei genitori, e lo stesso vale per i miei fratelli. Poi sono anche stato sfortunato: mio padre è morto quando avevo quindici anni, quando aveva appena iniziato a spiegare a me e a mio fratello più grande come portare avanti le attività della nostra famiglia.”
“In quel periodo ha avuto interessi amorosi di qualche genere?”
“No, di interessi amorosi ho iniziato ad averne dopo, così come le esperienze sessuali. Il mio primo amore era una giovane domestica, Sophie, più o meno mia coetanea (all’epoca avevo diciannove anni), con cui ebbi una breve ma intensa relazione. La mia prima volta è stata con lei. La amavo sinceramente, ma quando mia madre capì quello che provavo per lei, la cacciò di casa e da allora non ho più saputo niente di lei.”
“Ha amato altre donne?”
“Amato no. Ho frequentato spesso le case di tolleranza e avuto relazioni con donne conosciute nei miei viaggi d’affari, ma dopo Sophie non ho più amato nessuna donna.”
“Mi ha parlato dei suoi viaggi d’affari. Potrebbe dirmi di più?”
“Non c’è molto da dire, viaggiavo spesso tra Berlino, Amburgo, Colonia, Monaco, Stoccarda e Francoforte per concludere affari, firmare contratti, incontrare fornitori, ispezionare stabilimenti, eccetera. Poi mio fratello mi incaricò di seguire la costruzione di uno stabilimento in Italia, a Milano, e dal 1909 al 1913 ho alternato l’Italia alla Germania, un mese ero a Milano e il mese dopo a Berlino. Milano però aveva un vantaggio non da poco: era vicina ai laghi. Così mi ero comprato una casa a Sesto Calende, sul Lago Maggiore, dove trascorrevo alcuni periodi di riposo. Nell’estate del 1914, tre anni fa, ero lì con la mia compagna di allora, una certa…”
“Perché sta schioccando le mani? Non si ricorda il suo nome?”
“E secondo lei? Anna? Alberta? Ada? Augusta? Mi ricordo che iniziava per “A”! Ad ogni modo, non è importante. Dicevo, era estate, l’estate del 1914. Stavo leggendo in un parco un articolo che parlava dell’assassinio dell’Arciduca Franz Ferdinand. Ero seduto su una panchina ed indossavo il completo chiaro con la cravatta azzurra, avevo appoggiato alla mia destra il bastone da passeggio e il cappello, che non mi serviva perché ero all’ombra degli alberi. Mentre sto leggendo mi arriva di fianco un uomo che… mi arriva di fianco questo qua che, me lo ricorderò sempre, aveva capelli brizzolati, pizzetto senza baffi o altra barba, completo così scuro che l’unica cosa chiara era la camicia, cravatta viola.”
“Mefistofelico?”
“Sì, esatto! Quella è la parola giusta. Dicevo, mi siede accanto, alla mia sinistra, e inizia a dirmi in tedesco ma con un lieve accento straniero:
‘Brutto affare!’
‘Vuole aggiungere un argomento o restiamo nel vago?’
‘Intendevo, l’assassinio di Franz Ferdinand.’
‘È solo l’assassinio di un Arciduca. Non fa più nemmeno notizia che nei Balcani un fanatico ha ammazzato un Arciduca, anzi, sarebbe cosa gradita se talvolta succedesse il contrario.’
‘Già, sarebbe fantastico! Ma purtroppo queste cose non succedono.’
‘Purtroppo. Lei di cosa si occupa?’
‘Mi chiamo W. e sono un consulente finanziario. Nel mio lavoro sono talmente bravo che mi chiamano ‘Il Mago’. Dicono addirittura che riesco a far apparire i soldi dal nulla.’
‘Interessante.’
‘Però non alza lo sguardo da quel suo giornale.’
‘Lo so.’
‘È inutile che lei legga i giornali.’
‘Perché?’
‘Perché quelli che scrivono quei giornali non saprebbero vedere una corazzata in una tazzina da caffè.’
‘In che senso?’
‘Nel senso che siamo alla vigilia di un evento epocale e nessuno se ne rende conto.’
‘Quale evento epocale? Una guerra, forse?’
‘Sì, esatto!’
‘Bah, una guerra tra l’Austria e la Serbia non mi sembra così epocale. Un anno fa hanno finito di farsi la guerra prima contro i turchi e poi contro i bulgari.’
‘Ma stavolta è diverso.’
‘Diverso come?’
‘Che la Russia non accetterà l’attacco alla Serbia, e Vienna porterà con sé la Germania, che attaccherà la Francia e innescherà l’intervento degli inglesi.’
‘Tutto questo per un Arciduca austriaco?’
‘Sì esatto. Un ottimo investimento, no? Un solo morto provocherà milioni di altri morti!’
‘Come nei suoi affari, no?’
‘Sì e no. Perché questi sono i miei affari!’
‘È nel settore bellico? Conosco molte persone che lavorano in quel settore.’
‘Sì e no, mi occupo delle guerre ma non produco armi. Quella è una cosa che lascio agli altri.’
‘E allora di cosa si occupa? Non venderà mica i cadaveri!’
‘Ci è andato molto vicino!’
‘Produce bare per caso?’
‘Stava per dirmi che conosce dei fabbricanti di bare?’
‘Sì, ma come fa a saperlo?’
Non mi rispose, ma sorrise e cambiò argomento dicendomi:
‘Non vendo bare, né cadaveri perché non sono i corpi ciò che mi interessa. A me interessano le anime.’
‘Le anime? Ma si rende conto di quello che dice? E soprattutto in che anno siamo? Non mi dirà che crede a queste superstizioni!’
‘Perché, lei non crede? È ateo? Eppure i suoi antenati sono stati perseguitati per il loro credo.’
‘Lei come fa a… Ad ogni modo, quello in cui credevano i miei antenati è affare loro, non mio. E comunque sì, sono ateo! E mi stupisce la sua ignoranza in materia. Lei non ha letto Nietzsche?’
‘Ah, Nietzsche. Dopo che è morto ha cambiato idea su molte cose. Pensi, gli stavo parlando proprio l’altro giorno…’
‘Mi scusi, lei parlava a Nietzsche?’
‘Sì esatto!’
‘Ma è morto dieci anni fa!’
‘Quattordici!’
‘Era ad una seduta spiritica?’
‘No, eravamo a pranzo.’
‘Ah, e cosa le diceva Nietzsche?’
‘Che su Dio e sulla religione si era sbagliato.’
‘Interessante, se solo fosse vero!’
‘Cosa intende dire? Lei non crede che abbia parlato con Nietzsche?’
‘Non solo a quello. Non credo a nulla di quello che lei mi ha detto!’
‘E perché?’
‘Lei mi ha detto che vende le anime, che ha pranzato con una persona morta quattordici anni fa, che presto scoppierà una guerra europea…’
‘Non mi sorprende che lei non creda, ma presto si ricrederà.’
‘Mi fa piacere che lei lo pensi.’
‘Non lo penso, ne sono sicuro!’
‘E in che modo mi ricrederò?’
‘Quando le porterò la testa del Kaiser.’
‘La testa del Kaiser?’
‘Sì, le porterò la testa del Kaiser. Apposta per lei farò un altro piccolo investimento.’
‘Faccia pure, ma i suoi “investimenti” la ripagano sempre?’
Ed era sparito. Non aveva lasciato alcuna traccia. Come se non fosse mai stato lì. Poi successe quello che lei sa, scoppiò la guerra, la Grande Guerra, e vidi quanto aveva avuto ragione W. Ma quello era solo l’inizio. Essendo un dirigente d’azienda ero stato esentato dal servizio militare, dunque ero ancora a Berlino a gestire gli affari della ditta assieme a mio fratello. Una mattina, mentre ero a passeggio nel parco, mi ricordo che c’era la nebbia, dalla nebbia viene fuori un individuo mefistofelico, vestito scuro con una cravatta viola…”
“Era lui?”
“Sì, era lui, lo riconobbi subito. Aveva in mano un pacco, una scatola. La lasciò a terra e se ne andò. Mi avvicinai, la aprii e quello che c’era dentro era…”
“Cos’era?”
“Era… era… era la testa del Kaiser Wilhelm. Scappai a casa e lì venni a sapere che dell’omicidio del Kaiser e del fatto che la testa non era stata ritrovata. Ma ora lei deve ascoltarmi, dottore, lei mi deve ascoltare. Aveva ragione lui, lui lo ha fatto per me, solo per me lo ha fatto! Capisce, dottore? Io ho provocato la rivoluzione in Germania, i morti nel terrore, li ho provocati io! Capisce dottore! Dottore, lei deve assicurarmi che farà tutto il possibile perché W. sia trovato, perché sì, bisogna trovarlo e sono sicuro che salterà fuori…”
“Certo signor von Arnauld, ora però abbiamo finito. Mi dispiace ma devo andare”
Il dottore si alzò, e uscì dalla stanza. Andò nel suo studio, aprì un quaderno ed iniziò a scrivere:
« Friedrich Albrecht von
Arnauld.
33 anni, cresciuto in una famiglia borghese. Manifesta i primi sintomi della
schizofrenia a diciannove anni, quando si innamora perdutamente di “Sophie”, una
ragazza inesistente e frutto esclusivamente della sua immaginazione. Per volontà
della madre e del fratello subisce un primo ricovero ospedaliero, che si
conclude meno di un anno dopo, quando il paziente manifesta i segni di
un’apparente guarigione.
In seguito, però, il nuovo manifestarsi della malattia fa sì che tra gli anni
1909 e 1913 alterni i ricoveri ospedalieri alla vita assieme alla sua famiglia.
Lui parla – e tuttora parla dei ricoveri in manicomio – come de ‘i miei viaggi
in Italia’.
Dal 1915 egli è ricoverato definitivamente, dopo che ha tentato di uccidere la
madre in preda ad un delirio allucinatorio.
Allo stato attuale è affetto da schizofrenia paranoide-depressiva: non ha perso
del tutto il contatto con la realtà, ma confonde questa e le sue fantasie.
Ritiene di essere il responsabile della morte del Kaiser Wilhelm II e della
rivoluzione comunista avvenuta in reazione alla dittatura dei generali, e per
questo è affetto da forti sensi di colpa.
Dall’estate del 1914 è ossessionato da W. una figura mefistofelica che gli
avrebbe anticipato la guerra e la rivoluzione e che le avrebbe provocate solo
per lui. Probabilmente una figura reale che ha suggestionato la sua mente
malata. »
N.B. avete immaginato giusto, W. sta per Woland.
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Questo è il commento in proposito di Bhrihskwobhloukstroy:
«Numero Zero» mi lasciava nel dubbio che seguissero un «Numero Uno», «Numero Due» &c., che non sapevo se fossero continuazioni della storia o nuove opere, ma «1921» mi ha fatto pensare che questa sia conclusa e quindi comincio con le elucubrazioni.
Siamo fra il 22. novembre 1917 e il 21. novembre 1918, altrimenti von Arnauld avrebbe più di 33 anni. Si parla della morte del «Kaiser», senza specificarne il nome o il numero, quindi sembrerebbe che venga così chiamato per antonomasia e che quindi sia stato l’ultimo. Risulta esplicitamente che la la vittima fosse Guglielmo II. La Rivoluzione viene specificata come «Comunista», quindi si può inferire che i suoi effetti non siano stati duraturi, dato che von Arnauld parla senza reticenze del «Terrore» (che perciò dev’essere terminato); non ce n’è comunque stata un’altra, perché viene anche chiamata «la Rivoluzione» senz’altro. La menzione della «Dittatura dei Generali» lascia pensare che non sia poi più tornata dopo la Rivoluzione.
Se prendiamo come media i cinque mesi della Rivoluzione Bavarese e di quella Ungherese, li possiamo proiettare sulla Germania intera, ma non ne sappiamo l’inizio; tuttavia, dato che l’impopolarità dei Generali è salita esponenzialmente dall’estate del 1918, un quadro plausibile potrebbe essere che tutto è andato come nella Storia reale fino ad allora, poi è il malcontento è esploso, forse fatalmente dopo il Giorno Nero dell’8. agosto (in tal caso bisogna ridurre da cinque a max. tre i mesi della Rivoluzione e del Terrore).
Non si parla mai di Pace, ma neppure di Guerra civile; all’epoca l’iniziativa militare era ormai stabilmente dell’Intesa, quindi il 22. novembre è sommamente improbabile che la Guerra sia ancora in corso. Inoltre, la Rivoluzione Comunista avrebbe con ogni verosimiglianza proclamato la Fusione con la Russia, ma se non c’è Guerra CIvile (che in Russia non potrebbe essere già terminata) e non si parla di miseria o iperinflazione fra i mali intervenuti, l’unico scenario concepibile mi pare quello di un ĭntĕrmărĭŭm repubblicano perlomeno dalla Finlandia alla Croazia e che comprende anche la Germania (forse anche l’Austria, di conseguenza).
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La parola torna a Dario Carcano:
La paura 2 - la vendetta
Interno notte.
Sei a letto che cerchi inutilmente di prendere sonno, passando il tempo a rigirarti tra le lenzuola. Realizzi che ti cola il naso, e allunghi il braccio sul comodino solo per accorgerti che sono finiti i fazzoletti. Ti alzi e vai in bagno a prenderli, e mentre sei in bagno ti accorgi di una cosa a cui non avevi fatto caso.
Che non hai acceso la luce e sei al buio.
E sei preso dal terrore. Hai visto troppe creepypasta di MorteBianca, sai cosa si può nascondere nel buio.
Sei paralizzato dalla paura, non riesci a muovere nemmeno un muscolo, e ogni volta che senti un rumore, una goccia d’acqua che cade dal lavandino o un mobile che scricchiola, un brivido gelido ti percorre la schiena.
Da un momento all’altro ti aspetti di sentire un respiro alle tue spalle, o una mano che si appoggia sulla tua scapola. Un mostro, certo, lo sappiamo tutti che restano nascosti fino a quando non gli capita un malcapitato… devi stare fermo, loro si accorgono se tu ti muovi. Quindi se stai fermo li freghi.
Ma se sto fermo… poi lui mi può aprire il ventre. No, devi fare qualcosa, non puoi stare fermo in attesa di farti ammazzare.
Che fare? Potresti chiamare aiuto. I tuoi genitori sono nella stanza accanto, se urli sicuramente arrivano.
Ma poi ti ricordi che domani mattina dovranno alzarsi alle cinque e mezza per uscire di casa alle sei e dieci e andare a lavorare. E se tu li svegli e poi non è niente? Poi come glielo spieghi? Quindi tra svegliare i tuoi genitori e morire squartato da solo scegli quest’ultima opzione.
Quindi cosa fare? Non puoi star lì a continuare a perdere tempo. Oltretutto, la paura è un odore, e i mostri lo sentono.
Sono peggio delle bestie questi mostri…
Alla fine decidi di correre verso il letto. Sì, è deciso, al tre inizi a correre e ti fermi solo quando sei tornato nel letto.
Uno
Due
Due e mezzo
Due e tre quarti
Due e nove decimi
…tre
Inizi a correre, ma lui ti raggiunge, ti prende per una caviglia e cadi per terra nel corridoio. Lo senti sopra di te, e soprattutto senti un braccio freddo e metallico con cui l’orrenda cosa sta cercando di bloccarti impedendoti di fuggire. Ti dimeni, cerchi di liberarti, senti la rigidità del suo esoscheletro e le zampe grosse e piatte. Continui a lottare contro l’orrida creatura e riesci ad accendere la luce.
E improvvisamente l’orrida cosa assume un aspetto familiare.
Era l’aspirapolvere.
Ti è sempre stato sul ##### quell’aspirapolvere! Che hai sempre detto a tua madre di non lasciarlo nel corridoio in mezzo alle scatole, e lei imperterrita continua a lasciarlo lì, in mezzo al corridoio.
Recuperi il pacchetto di fazzoletti, controlli che i tuoi genitori non si siano svegliati, spegni la luce e torni a letto.
Sperando di riuscire a prendere sonno.
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Il nostro amico non ha ancora finito:
Carne e sangue
Nell’802 Carlo Magno iniziò a ricevere dai suoi conti molte lettere e emissari che riportavano notizie ai limiti dell’incredibile: in molte zone dell’Impero, bestie e sempre più spesso anche uomini, venivano ritrovati morti dissanguati. Come se ciò non bastasse, in alcuni casi i cadaveri delle vittime di questo misterioso fenomeno sparivano prima che potessero essere sepolti. L’Imperatore mandò sul posto emissari a esaminare il fenomeno, e in alcuni casi vi si recò lui personalmente; parlò coi suoi conti, coi parroci e coi contadini, visitò le zone dove era avvenuto il fenomeno ed esaminò assieme ai suoi dotti di corte i cadaveri dissanguati delle vittime, constatando personalmente delle misteriose sparizioni. L’ipotesi che le salme fossero state rubate fu scartata: cosa c’è da rubare dal cadavere di un contadino?
Dunque Carlo ordinò che i cadaveri fossero chiusi in bare inchiodate non appena ritrovati, e le sparizioni cessarono. Allora uno dei dotti di corte azzardò un ipotesi: i cadaveri per qualche ragione stavano tornando in vita.
Da alcune delle bare in cui per ordine di Carlo erano stati chiusi i cadaveri uscivano delle urla; l’Imperatore decise di provare ad aprirne una, e assistette personalmente all’apertura.
Appena fu tolto il coperchio della bara, il cadavere saltò addosso ad uno dei becchini che l’avevano riaperta; fu salvato dall’intervento di uno dei cavalieri che assieme all’Imperatore assisteva alla scena: il cavaliere prontamente estrasse la spada e con un fendente tagliò la testa del cadavere.
E fu allora che Carlo e i suoi dotti capirono con cosa avevano a che fare: le leggende narravano che prima di Carlo, prima di suo padre, prima del padre di suo padre, al tempo in cui la Francia era ancora governata dai romani, una spaventosa peste aveva flagellato l’Impero; una malattia tanto devastante che intere città erano rimaste spopolate, e che arrivò persino ad uccidere un Imperatore. Ma ciò che rendeva tanto devastante quella peste era che i morti risorgevano per succhiare il sangue dei vivi; e l’Imperatore Marco Aurelio secondo le cronache aveva lottato duramente per sconfiggere le numerose legioni di non morti.
Carlo aveva sempre ritenuto quelle leggende delle storie che si dicono per spaventare i bambini e farli stare buoni, ma ora si rendeva conto che era tutto vero.
Iniziò allora una lunga guerra tra i Franchi e i non morti, che iniziarono ad essere chiamati vampiri, termine che i dotti carolingi avevano ripreso dagli slavi; fu una guerra sanguinosa, la più dura delle numerose guerre combattute da Carlo; i longobardi, i sassoni, i mori e gli avari erano nulla a confronto coi vampiri, un nemico invisibile, che agisce solo di notte, e che si ingrossa con le perdite del proprio esercito.
Dopo nove anni di guerra, nell’811, Carlo ormai era vecchio e stanco; la guerra non sembrava avere vie d’uscita, e come se non bastasse il figlio primogenito dell’Imperatore, Carlo il Giovane, aveva trovato la morte lottando contro i vampiri, provocando a Carlo una grave depressione da cui, secondo il suo biografo Eginardo, l’Imperatore non sarebbe mai uscito. Una notte venne alla corte di Aquisgrana un messo del re dei vampiri; Carlo lo ricevette e venne a sapere che i suoi nemici erano disposti a negoziare. Affidò al messo una risposta in cui si diceva disposto a cercare un compromesso con il re dei Vampiri.
Iniziò uno scambio di lettere tra Carlo e il re dei Vampiri, che culminò in un incontro tra i due. Il re dei Vampiri si presentò a Carlo come legittimo Imperatore Romano, e quando Carlo protestò egli si rivelò essere l’imperatore Lucio Vero, che non era morto a causa della peste come scrivevano le cronache. O meglio, era morto, ma poi era risorto come vampiro.
Carlo e Lucio Vero iniziarono a negoziare, e si giunse ad un accordo: gli uomini avrebbero governato il giorno, i Vampiri la notte; i Vampiri si sarebbero astenuti dall’attaccare gli uomini, ma questi li avrebbero riforniti regolarmente di sangue di maiale, affinché non morissero di fame (la carne ai vivi, il sangue ai morti).
L’accordo fu firmato da Carlo e Lucio Vero al crepuscolo del sabato santo dell’812, e infatti fu noto come Accordo del Sabato Santo. Carlo morì due anni dopo, e il suo successore Ludovico il Pio rinnovò l’accordo, così come fecero i suoi successori e i successori dei suoi successori.
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Così commenta MorteBianca:
Bella questa. Cristianizzazione rapida dei Vampiri come avvenne per i barbari (e il parallelismo c'è tutto), la loro violenza da calanizzarsi a fin di bene, la Chiesa che fornisce una via d'uscita filosofica al loro problema e il loro timore della luce e della morte, praticando funerali per i vampiri (che prima o poi, per una causa o l'altra, muoiono).
In questa sorta di Impero Romano ci sono dunque due poteri, uno diurno e uno notturno. Quello diurno è determinato dalle politiche del SRI, mentre quello notturno ha una mappa diversa e domini diversi. Si verrà a creare ovviamente un problema giudiziario (che succede se un vampiro viola la tregua? Chi lo persegue, il tribunale dei diurni che ha ucciso o dei notturni a cui appartiene?) che sarà risolto dalla Chiesa come arbitrato neutro (il Papa diventa l'astro del mattino e della sera). All'interno di questo mondo le cose funzionano così, ma fuori no.
Fuori ci potrebbero essere umani vampirofobi e vampiri che depredano gli umani. Possibilmente le orde di Mongoli e Unni potrebbero conglomerarsi in una sorta di Vampirato che invade la Cina, creando un potente impero basato sul dominio dei vampiri e gli umani usati o come carne da macello o come servitori premiati per merito. Di contro l'Islam potrebbe presentarsi come garante anti-Ghoul (vampiri) ed umanista fino in fondo. Non è possibile una società esclusiva di vampiri a meno che questi non apprendano rapidamente l'allevamento in quantità bastevoli ad alimentarli e proteggersi, forse su qualche isola (il Regno Unito? Thule?)
Si susseguono lotte e dinastie ma chiaramente i due mondi non restano separati a lungo, nascono matrimoni, contratti e trattati che creano potentati di tutti e due i mondi, le politiche si intrecciano.
La Prima Guerra Mondiale vedrà umani e vampiri lottare fianco a fianco in ambo le fazioni, con il crollo di storici imperi basato su potentati umano-vampireschi. La Seconda Guerra Mondiale sarà un tentativo di rivalsa dei Vampiri e dei sostenitori della supremazia Vampirica, l'Asse Roma-Berlino-Pechino contro gli Alleati (Francia, Impero Vampiresco inglese, Unione delle Repubbliche Mannare Sovietiche, Stati Uniti, Giappone Umanista).
La Cina crolla (e finisce il millenario sistema vampiresco), così come l'Asse in generale. Il mondo viene spartito in due tra l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti.
Ci sono principalmente tre approcci residui alla questione vampiresca: il modello americano (umani comandano, vampiri segregati e ritenuti pericolosi), il modello britannico (madrepatria vampiresca e colonie umane) e il modello sovietico (Società libera e multispecista).
Il modello americano collassa, con la fine dell'Apartheid e la liberazione dei ghetti vampireschi, anche se la ghettizzazione non è mai finita. I vampiri, nonostante da secoli si cibino solo di sangue animale, sono ancora vittime di stereotipi per via della loro grande forza e dei miti sulla violenza.
Il Regno Unito perde man mano
tutte le sue colonie, gli umani si ribellano sempre di più, e di contro finisce
per subire una immigrazione importante dalle stesse di umani, tanto che la
minoranza umana supera il record del 30%.
Il Regno Unito si unisce all'Unione Europea ma, in nome delle radici vampiresche
(sono ancora adesso l'unico stato che, pur egalitario legalmente, è composto in
larga parte da vampiri, visto che in Cina gli umani si stanno riproducendo
enormemente) decide per il Brexit.
Mentre nel Regno Unito e negli Stati Uniti si consumano lotte tra umani e vampiri e mentre la Russia post-Sovietica è in mano al lupo mannaro, il Duca Vladimirovic Putin, in Cina sorge il Coronavirus, che colpisce solo gli umani, e non i vampiri. L'Umanista Donald Trump accusa la Cina (dove moltissimi sono i vampiri, specie al potere) di aver orchestrato la cosa per sterminare l'umanità.
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Dario allora rincara la dose:
I teologi cattolici potrebbero giustificare l’esistenza dei vampiri ritenendoli anime che Dio ha ritenuto troppo pie per l’Inferno ma non abbastanza per entrare in Paradiso, e scontano i loro peccati vagando sulla Terra a nutrirsi del sangue dei vivi; quindi non nascerebbe mai l’idea del Purgatorio e la Divina Commedia sarebbe molto diversa.
Un ostacolo alla cristianizzazione dei vampiri potrebbe essere il sangue: la liturgia dell’epoca lo riteneva un elemento estremamente impuro, tanto che le donne col ciclo non potevano entrare in chiesa. Dunque il fatto che i vampiri si nutrono di un elemento impuro potrebbe porre delle resistenze alla loro cristianizzazione, che però non escludo possano essere superate col tempo.
I problemi giudiziari sarebbero forse meno di quelli che pensi: nell’Impero Franco all’epoca di Carlo Magno vigeva ancora il principio della personalità della legge, dunque ogni gruppo etnico (Franchi salii, Franchi ripuari, Romani, Visigoti, Burgundi, Longobardi, Sassoni, ecc.) viveva ed era giudicato secondo le proprie leggi; non so esattamente come funzionasse nel caso di una causa tra (ad esempio) un salico e un romano, ma se veniva applicata la legge del gruppo dominante (i Franchi salii) allora ci sarebbe un problema; se invece ognuno era giudicato secondo le leggi della propria stirpe, allora semplicemente ai codici legali dell’Impero si aggiungerebbe una Lex Vampirica, secondo cui sarebbero giudicati i vampiri. Ovviamente anche il tribunale notturno dei vampiri dovrebbe giudicare gli umani secondo il diritto della loro stirpe.
Non credo che le isole britanniche possano diventare patria di una nazione vampirica, proprio perché sono isole e dunque difficilmente raggiungibili dal continente se non si hanno le necessarie conoscenze navali. Anzi, credo che esse possano ospitare uno dei regni più vampirofobi.
L’Impero Franco non sarebbe l’unico territorio in cui sarebbero presenti i vampiri, ci sarebbero in tutto il mondo (escluse le Americhe, l’Oceania e l’Africa Subsahariana); credo che anche i musulmani potrebbero arrivare ad una pacifica convivenza coi vampiri (del resto, convivevano senza troppi problemi con cristiani ed ebrei) purché si convertissero all’Islam. Piuttosto, secondo me il ruolo di nazione ultra-umanista potrebbe ricoprirlo l’Impero Romeo, coi vampiri che potrebbero aizzare la quarta crociata contro Costantinopoli per vendetta contro le persecuzioni subite dai romei.
Se i mongoli e gli unni sono vampiri, non escludo che in Cina si possa realizzarsi il tuo scenario (io mi ero concentrato sull’Europa).
Tornando in Europa, la crescita demografica dei secoli XI, XII e XIII aumenterebbe gli umani rispetto ai vampiri, ma nuove ondate di Peste vampirica dal XIV secolo in poi aumenterebbero il numero di vampiri, magari in qualche caso rischiando di ribaltare i rapporti di forza.
Questo, unito allo zelo religioso provocato dalla Riforma e dalla Controriforma, potrebbe causare ondate di intolleranza verso i vampiri (con l’accusa di non essere sinceramente credenti), con espulsioni, persecuzioni e magari in qualche caso roghi pubblici...
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Interviene Federico Sangalli:
Però c'è un controsenso: i vampiri dovrebbero scontare i loro peccati mordendo altre persone, magari innocenti? Se un Santo è vampirizzato come si può sostenere che sia tornato sulla terra perché non era abbastanza pio? Penso sia più probabile un atteggiamento di chiusura: i vampiri sono sempre stati associati al Male, a forze oscure e maligne che succhiano la vita dei vivi e vivono nelle tenebre, sarebbero associati a demoni e combattuti. L'Europa sarebbe divisa tra territori vampirizzati o coesistenti coi vampiri (Mitteleuropa, Francia, Scandinavia, Europa centro-orientale) e una parte vampire-free, protetta da ordini monastici guerrieri istituiti appositamente dalla Chiesa (Isole Britanniche, Penisola Iberica, Italia, Mediterraneo). I Bizantini, riconosciuti come gli unici Imperatori, metteranno a disposizione il Fuoco Greco, che diventerà simbolo della guerra purificatrice contro i vampiri. I Mongoli non hanno le strutture statali per opporvisi, almeno non prima di Gengis, il che espone la Cina e forse l'India. I musulmani potrebbero definirli Dijin e lanciare una Jihad contro di essi, con apposita Fatwa. Potrebbe persino esserci lo spesso ipotizzato riavvicinamento tra Cristianesimo e Islam delle origini in campo politico e dottrinario per contrastare la minaccia demoniaca. Tale alleanza potrebbe essere inevitabile se le masse dell'Asia verranno vampirizzate e schierate contro i regni umani.
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E Tommaso Mazzoni aggiunge:
Però avrebbe senso se solo il 50% dei morsicati si trasformasse. Chi non si trasforma é innocente.
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Questo è il parere di Perchè No?:
Mi ricorda un po' la serie "Kingdom", con i vampiri al posto degli zombi. La serie si svolge nell'antica Corea e mescola perfettamente il filone horror e quello storico. È un superbo lavoro coreano che vi consiglio (ne sono state prodotte due statgioni), ma l'ho iniziato a marzo 2020 e non era il momento migliore per storie di epidemie...
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Anche William Riker dice la sua:
Io cerco sempre una spiegazione scientifica ai fenomeni, vista la laurea che ho e il mestiere che faccio, e credo di averla individuata nel famoso germe ideato da Richard Matheson (1926-2013) nel suo romanzo "Io sono Leggenda" del 1954, che ha avuto ben tre trasposizioni cinematografiche, tutte con attori protagonisti di primo piano: Vincent Price nel 1964, Charlton Heston nel 1971 e Will Smith nel 2007. In esso un'epidemia causata dallo spillover (salto di specie) di un microbo dai pipistrelli all'uomo, che ricorda sinistramente la pandemia di Covid-19, ha trasformato l'umanità e le creature viventi di tutto il pianeta Terra in vampiri. L'unico non infetto è Robert Neville, che in gioventù era stato morso da un pipistrello e quindi è immune: egli si è creato un rifugio sicuro nella sua villetta, barricandosi durante la notte ed uscendo solo di giorno, e riesce a sopravvivere raccogliendo per la città quello di cui ha bisogno e mantenendo funzionanti la macchina e il generatore. Ogni notte alcuni vampiri cercano di stanarlo senza successo dalle pareti di casa protette dall'aglio, per potersi nutrire del suo sangue. Durante il giorno Robert si sposta in città, scovando alcuni dei vampiri che sono immersi nel sonno per ucciderli con il più classico dei sistemi: un paletto di frassino nel cuore. La voglia di trovare una soluzione gli suggerisce tuttavia di usare un approccio scientifico: Robert si reca nelle biblioteche ed università per procurarsi libri e attrezzature di laboratorio, e capisce che quello che ha reso gli uomini dei vampiri è un batterio (non un virus H1N1, dunque), il quale si è diffuso così velocemente in poco tempo grazie alle tempeste di polvere che affliggono il pianeta (e non a causa di viaggi aerei di asintomatici, come accaduto con il Covid-19). Sia il romanzo che le tre trasposizioni cinematografiche si concludono tutte con la morte del protagonista; infatti ora è lui l'ultima anomalia genetica sul pianeta Terra, e sarà ricordato come tale nelle leggende future. Nel romanzo le ultime parole di Neville sono: « Il cerchio si chiude. Un nuovo terrore nasce nella morte. Una nuova superstizione penetra nell'inespugnabile fortezza dell'eternità. Io sono leggenda. »
Ecco, credo che lo spillover di questo batterio nel Medio Oriente del II secolo dopo Cristo, anziché nel XX o nel XXI secolo, sarebbe il PoD ideale per giustificare l'ucronia di Dario.
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Nell'estate 2024 Dario ci ha inviato un altro racconto horror:
Io, Rinaldo di Montenero, VII
principe di San Vincenzo, scrivo questo memoriale per rivendicare le mie azioni
e strapparle all’oblio. Per tutta la mia vita ho cercato di fare in modo che le
mie attività restassero nascoste, ma ora che sento avvicinarsi la morte voglio
al contrario che i miei successi siano ricordati e celebrati.
Sono nato a Napoli il 26 dicembre 1710, esattamente lo stesso giorno in cui
nacque Federico II di Svevia, di cui posso vantarmi di essere discendente; ho
sempre vissuto nella città partenopea, e del resto ho sempre avuto poche ragioni
per uscire dal regno.
Fin da bambino sono stato portato alla scienza e alla medicina, e ho studiato
avidamente tutti i testi trattanti queste materie su cui riuscivo a mettere le
mani. Poi, a ventidue anni, quando morì mio padre, e divenni padrone della
fortuna di famiglia, potei finalmente dedicarmi in pieno ai miei studi. Mi
ricavai nel palazzo di famiglia un gabinetto nel quale dedicarmi ai miei studi
scientifici, e una torre da cui studiare i movimenti delle stelle.
In poco tempo raggiunsi grandi traguardi: come astronomo scoprii due nuove lune
di Saturno, che battezzai Encelado e Mimas, e in matematica riuscii a trovare
una soluzione al problema dei tre corpi, mentre in medicina sono stato uno dei
più grandi chirurghi della mia epoca, operando – quasi sempre gratuitamente –
malati provenienti dai bassi di Napoli. Ho operato tumori, fistole e ascessi,
curato emorragie e fratture, e posso dire con fierezza che nessuno dei miei
pazienti è morto per le conseguenze del mio lavoro.
Però, nonostante questi successi mi avessero reso famoso, garantendomi molti
onori, anche da parte del mio sovrano, non mi sentivo soddisfatto. Volevo di
più, volevo sapere di più, volevo arrivare alla conoscenza pura.
Per questo a ventisei anni sono entrato nella massoneria. Scalai rapidamente le
gerarchie, e diventai Gran Maestro della mia loggia a soli trentuno anni.
Nel frattempo, mi ero sposato, nonostante la vista della carne femminile mi
rendesse vegetariano; però dovevo adempiere a miei doveri dinastici generando un
erede, e non appena Luisa, mia moglie, ebbe partorito mio figlio, Luciano,
considerai compiuto questo dovere, e da lì in poi smisi del tutto di frequentare
mia moglie, a cui lasciai un’ala del palazzo purché non mi disturbasse nei miei
studi.
Eppure, continuavo a sentirmi insoddisfatto, continuavo a desiderare di più.
Volevo conoscere cose che nessuno aveva mai conosciuto, ed ero disposto a tutto
per questo.
Una domenica, mentre uscivo dalla messa nella chiesa di san Lorenzo, mi si
avvicinò un individuo estremamente particolare. Il suo volto sembrava quello di
una capra, con un molto caratteristico pizzetto bianco; i suoi abiti erano
quelli di un popolano, però nonostante questo mostrava una cultura molto ampia,
quasi più della mia.
Mi disse che, se avessi voluto, ci sarebbe stato un modo per ottenere una
conoscenza superiore a quella di ogni altro essere umano, superiore a quella che
l’intero genere umano avrebbe mai potuto raggiungere.
“E come?” chiesi io.
“Si tratta solo di fare un patto.” rispose lui.
“Che tipo di patto?”
“Un patto di alleanza, niente di più, niente di meno.”
“E con chi? Con voi?”
“Sì Eccellenza, con me. Ma vossignoria non si pentirà di ciò, infatti nonostante
le apparenze, la conoscenza che posso offrire è infinita.”
E tirò fuori una busta sigillata, che mi passò dicendomi:
“Qui vossignoria troverà una delle molte risposte che non riesce a trovare.”
Quando rientrai nel mio palazzo, aprii la busta e con molta sorpresa trovai la
risposta ad un problema di meccanica cosmica che mi stava tenendo sveglio da due
notti.
A quel punto ero deciso a fare ciò che l’omino mi aveva consigliato di fare, e
dentro la busta c’erano le istruzioni su come trovarlo, e sul rituale per quello
che veniva semplicemente definito il patto.
Raggiunsi il luogo indicato, che si trovava fuori da Napoli, e ci arrivai solo,
come indicato. C’era una pietra piatta, su cui sacrificai una capra che mi ero
portato dal palazzo. Poi riapparve lui, l’omino.
Mi venne davanti, e come prescritto nel rituale mi inginocchiai di fronte a lui,
e lui prima mi mise sulla testa le sue mani, che bruciavano come i tizzoni di
una stufa, e poi prese nelle sue mani le mie e subito dopo mi tirò un ceffone.
Mi disse: “Ora sei uno dei miei cavalieri. Ti dono tutte le mie conoscenze, ma
tu in cambio mi devi fedeltà e obbedienza assolute. Verrò un giorno a riscuotere
il dovuto, e a chiedere che mi siano restituiti i favori che ti ho fatto. Ora
vai.”
Tornai al palazzo, e non mi sentivo diverso.
Il giorno dopo però notai come effettivamente i problemi di matematica, di
meccanica celeste, non avessero più alcuna difficoltà per me. Appena si
presentava un problema, trovavo subito la soluzione, e grazie a questo scrissi
un intero libro che riscriveva completamente i Principia di Isacco Newton; un
testo rivoluzionario, che cambiò completamente sia l’astronomia che la
matematica. Tuttavia, dopo quel successo, la matematica perse ogni fascino ai
miei occhi, e iniziai a dedicarmi ad altro.
Avevo infatti intuito come trasformare la carne in pietra, e condussi i primi
esperimenti su alcuni cani randagi: ideai una soluzione, che chiamai
acquapietra, che pietrificava qualsiasi carne entrasse in contatto con essa.
Dovevo prendere molte precauzioni per utilizzarla, ma il risultato era ottimo. I
cani erano perfettamente marmorizzati, nella stessa posizione in cui erano stati
messi nell’acquapietra.
Affinai la soluzione, creando diverse acquepietre per marmorizzare carni,
stoffe, legna e metalli. Decisi quindi di fare un esperimento: presi uno dei
miei servi, un fesso di cui nessuno avrebbe sentito la mancanza.
Lo feci ubriacare e, quando perse i sensi, lo legai e iniziai a torturarlo. Gli
flagellai la schiena, gli misi sulla testa una corona di spine, e poi, infine,
lo crocifissi, e quando fu legato sulla croce gli trafissi il costato con una
lancia. Quando fui sicuro che fosse morto, lo tolsi dalla croce, e lo misi su un
letto dentro una vasca, mettendogli sopra un velo; poi riempii d’acqua la vasca,
e sciolsi nell’acqua gli ingredienti che la trasformarono in acquapietra.
Aspettai due ore, e poi sciolsi gli ingredienti che bloccavano l’azione
dell’acquapietra, rendendola inoffensiva, e feci defluire il liquido.
Il risultato era sorprendente: il cadavere si era perfettamente marmorizzato, ed
era diventato una perfetta rappresentazione di Gesù nel sepolcro. Era
impressionante, perché non sembrava affatto che il velo fosse di marmo, sembrava
ancora un pezzo di stoffa che poteva essere rimosso tirandolo con un braccio.
Tirai fuori l’opera dal mio gabinetto e lo portai nella cappella di famiglia,
dove immediatamente attirò l’attenzione della gente. Tutti chiedevano chi fosse
il grande artista che aveva realizzato quel capolavoro, e io rispondevo che si
trattava di un anonimo, che avevo scoperto io personalmente.
Però presto mi stancai anche della marmorizzazione con l’acquapietra, e cercai
qualcosa di nuovo, di diverso.
Pochi mesi dopo aver ultimato il Cristo velato, venni a scoprire che in casa mia
era passato ‘o munaciello; mia moglie, infatti, aveva approfittato di molto
della libertà che le avevo concesso, e aveva intrattenuto numerose relazioni
extraconiugali alle mie spalle. Una di queste l’aveva addirittura intessuta con
uno dei pozzari del palazzo, un giovane che nonostante la prestanza fisica era
tutt’altro che di bell’aspetto, e che raggiungeva le camere di mia moglie
uscendo fuori dai cessi.
Oltretutto, venni a scoprire che mia moglie era rimasta incinta proprio dal
pozzaro. Quando venni a sapere tutto ciò non ci vidi più per la rabbia.
Una notte che i due amanti stavano dormendo nell’appartamento di mia moglie,
misi in atto il mio piano: senza farmi sentire mi intrufolai dentro, e chiusi
tutte le porte e le finestre, poi uscii e attraverso i tubi della stufa iniziai
a pompare nella camera un gas tossico, che li avvelenò in pochi minuti.
Dopo circa un ora smisi di pompare il gas, ed entrai nella stanza con una
maschera capace di filtrare l’aria. Aprii tutte le finestre per far disperdere
il gas, e contemplai i due cadaveri esanimi.
Sapevo già come farli sparire: li portai nel mio gabinetto e in entrambi
somministrai per via rettale un fluido di mia invenzione che, reagendo col
sangue, avrebbe trasformato in metallo i vasi sanguigni e i capillari.
Poi misi i due cadaveri in una soluzione di acidi che ne avrebbe sciolto le
carni, esponendo le ossa e i vasi sanguigni metallizzati.
Ed ecco pronte le due macchine anatomiche, una maschile ed una femminile con
feto, che illustravano perfettamente il reticolo del sistema circolatorio umano.
Le esposi nell’atrio del mio palazzo, dove potevano essere osservate dai
passanti, e anche queste in poco tempo attirarono l’attenzione, ma stavolta
nessuno chiese da dove provenissero.
Iniziavano infatti a circolare molte voci sul mio conto, e sulle mie opere, e i
napoletani iniziavano a tenersi alla larga da me e dal mio palazzo. Parlavano di
presenze maligne, i poveri ignoranti, quando non c’era mai stato un posto più
illuminato del mio palazzo.
Mio figlio mi chiese che fine avesse fatto sua madre, e gli risposi che era
fuggita con un suo amante e non sarebbe mai più tornata. In apparenza credette
alle mie parole, ma da allora ho iniziato spesso a vederlo pregare di fronte
alla macchina anatomica femminile.
Nel 1751 smisi del tutto di uscire dal mio palazzo, persino di andare a messa;
infatti, in quell’anno il re di Napoli decise di sopprimere la massoneria nei
territori del suo regno, e la mia loggia fu soppressa assieme alle altre. Ma già
da prima avevo perso ogni interesse verso il mondo esterno, e le occasioni in
cui partecipavo alle riunioni della loggia erano diventate delle noiose
incombenze a cui partecipavo unicamente per dovere.
Ero solo, non parlavo con nessuno, persino mio figlio sapeva a malapena che
faccia avessi. L’unica occasione in cui questa solitudine fu spezzata avvenne
nel 1757, quando ricevetti una strana visita.
Mi ero assopito nel mio gabinetto, come spesso mi succede, e al mio risveglio mi
ritrovai di fronte un fraticello, vestito con l’abito dei francescani.
“Chi siete, e chi vi ha fatto entrare?” chiesi ancora annebbiato dal sonno
“Vossignoria non si deve offendere se sono entrato senza il suo consenso, ma ho
voluto accertarmi di persona della sua situazione.”
“Quale situazione?”
“La situazione dell’anima di Vossignoria. Circolano molte voci sul suo contro,
ma ho voluto vedere di persona.”
“Quali voci circolerebbero su di me? Sentiamo!”
“Si dice che vossignoria ha fatto un patto con il Demonio, grazie al quale ha
acquisito conoscenze che nessun essere umano ha mai potuto anche solo pensare di
possedere, e che ha usato queste conoscenze per compiere omicidi e recare offesa
all’Onnipotente.”
“Non so se quello con cui ho fatto un patto fosse il Demonio, e onestamente non
mi interessa. Ho avuto ciò che desideravo e mi sta bene così. Io sono io, sono
discendente di Federico II e ho più sangue blu io dello stesso re. Non ho
bisogno di nessuno, e se gli altri pensano che abbia fatto un patto col Diavolo,
tanto peggio.”
“Era meglio Luigi IX di Federico II, ma a parte questo sarebbe il caso che
vossignoria ripensasse alle sue scelte, perché c’è un solo Dio capace di creare
la vita.”
“E chi lo ha detto? Chi ha detto che solo Dio può creare la vita? Viviamo in
un’epoca illuminata dalla scienza, in cui quello che un tempo era considerato
magia può essere spiegato con la logica.”
“Vossignoria dovrebbe sapere che la logica può condurre su false strade anche le
menti più acute, e che ciò che può essere ottenuto solo con la fede in Dio non
va cercato coi mezzi della superstizione e della superbia.”
“Queste sono le vuote minacce di una Chiesa oscurantista e retrograda, fissata
sulla propria tradizione, vi prego quindi andarvene prima di essere costretto a
cacciarvi in maniera meno cavalleresca.”
Il fraticello se ne andò, e non lo vidi mai più, né venni a sapere chi fosse.
Però avevo ormai deciso di compiere il mio esperimento finale, la creazione
della vita dalla non vita.
Con la terra creai un involucro d’argilla a figura d’uomo, al cui interno
iniziai ad inserire vari elementi alchemici, assieme ad un vaso a forma di cuore
che conteneva degli amuleti. Poi sigillai l’involucro, e lo misi in una vasca
piena di una soluzione in cui avevo dissolto altri elementi alchemici. Ma
serviva ancora un elemento per attivare la reazione, così sgozzai un gatto, e mi
assicurai di versarne tutto il sangue nella vasca. Attivata la reazione, il
liquido nella vasca iniziò a ribollire e cambiò colore più di una volta. Divenne
prima verde acido, poi violaceo, poi blu notte e infine rosso sangue. Sul rosso
sangue recitai la litania prevista nel rituale, e nel momento in cui dissi
“Entra nel mondo dei vivi nel nome del Signore dell’Oscurità.” l’Essere si alzò
in piedi.
Era bellissimo, alto due metri e sembrava una scultura di Fidia. Però c’era
qualcosa di lui che mi spaventava, anche se non riuscivo a capire cosa, ma c’era
in lui qualcosa di innaturale.
Provai a fare un discorso alla creatura, ed esordii dicendo:
“O nobile creatura, figlia della Terra e del genere Umano, tu sei la
dimostrazione che l’Uomo oggi è riuscito in ciò che…”
Tirai fuori un urlo terrificante, e mi accorsi che l’Essere mi aveva staccato un
braccio con un morso, e poco dopo mi accorsi che l’Essere era sopra di me, a
succhiarmi il sangue dalla ferita.
Non ricordo bene cosa successe dopo, ma sentii la servitù irrompere nel mio
gabinetto e cacciare l’Essere con torce di fuoco e bastoni.
Venni portato nella mia stanza da letto, dove non entravo da anni, e lì i medici
si accorsero che, oltre ad aver perso molto sangue, ero rimasto paralizzato su
tutto il corpo, tranne il braccio destro, l’unico che mi era rimasto.
Ero convinto che avrei creato un uomo intelligente, e invece avevo creato una
bestia incontrollabile. Da quell’esperimento sono confinato a letto, e sento la
mia vita sfuggirmi dalle dita giorno dopo giorno.
Non so quanto ancora riuscirò a vivere, ma la cosa che più mi rattrista è che
l’umanità perderà un grande uomo di scienza come me.
Nota dell'Autore: Rinaldo di Montenero è ispirato alla reale figura di Raimondo di Sangro, VII principe di Sansevero (1710–1771), inventore, alchimista, massone e libero pensatore.
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In seguito Alessio Mammarella ha voluto regalarci un seguito di questo racconto:
Il riluttante
Si fermarono alla fine del
corridoio buio. Pian piano i suoi occhi si stavano abituando all’oscurità, e
riuscì a scorgere nella penombra le mani della guardia che armeggiavano con una
grossa chiave. Mani sporche ricoperte di una folta peluria. Tutto, in quel
posto, aveva un’aria bestiale. La porta si aprì, e la guardia lo afferrò con un
movimento brusco per farlo entrare nella stanza: et voilà votre chambre, numero
27! Ici, il y a le numero 20, aussì. Subito dopo chiuse la porta di ferro, con
un forte rumore che spinse il nuovo prigioniero a coprirsi istintivamente le
orecchie.
- Gallico incivile! Se solo Cesare…!
- Siete anche voi romano? - gli rispose una voce dalla penombra all'angolo
opposto della cella.
- Nato a Genova, e vissuto in territorio pontificio per molti anni, fino alla
sventurata decisione di raggiungere Piombino. Dovevo imbarcarmi colà, ma proprio
al porto mi arrestarono.
- Di che cosa siete stato accusato?
- Quella vil cortigiana…! Avrei offeso, secondo lei, suo fratello che l’aveva
fatta principessa. Quel bandito e tiranno…!
- Credo di capire a chi vi riferite, ma non dovreste usare termini tanto duri
tra le persone. Non ricordate cosa disse Nostro Signore? Chi usa parole violente
contro il prossimo, ha già commesso omicidio nel suo cuore.
- Dovrei ben saperlo, visto che sono abate e sono stato precettore di nobili con
l’incarico di educarli alla fede e al sano timore di Iddio. Anche voi siete un
religioso, prigioniero n.20? Qual è il vostro nome?
- Non sono un religioso, ma in un certo senso la mia vita, ormai in procinto di
esaurirsi per via dell’età e delle privazioni, è legata alla fuga dal Peccato.
Detto ciò fece una pausa, trasse un lungo respiro e cominciò il suo racconto.
Non aveva intenzione di limitarsi a poche parole, come aveva fatto il suo
nervoso interlocutore.
- Il mio nome è Luciano di Montenero. Sono nato in un castello e, anche se
quello della mia famiglia non era concepito per essere una prigione, in realtà
lo fu per le sofferenze che ho vissuto e delle quali sono stato testimone.
Mio padre portava il titolo di Principe e se ne vantava continuamente. Eppure,
egli non era né un saggio ministro né un valoroso comandante militare. Avrebbe
potuto scegliere di non fare tali cose per modestia, per limitarsi ad essere un
gentiluomo benefattore delle persone semplici. Ebbene no, lui non fu né un uomo
importante, né semplice, anche perché non era un uomo. Egli era soltanto un
bambino, che amava trascorrere tutto il tempo chiuso nelle sue stanze, alle
prese con giuochi, che egli definiva studi ed esperimenti. Durante i miei anni
da infante, pensavo che mio padre fosse un grande scienziato e mago, e speravo
che un giorno mi avrebbe permesso di condividere i suoi studi. Purtroppo invece
era un folle e la sua follia non era innocua, non era cosa da ridere, era bensì
viziosa e pericolosa.
Cominciai a capirlo quando sparì Argo. Si trattava di un amabile cagnolino, che
era randagio ma frequentava ormai la nostra casa. Gli avevo messo quel nome
poiché Argo era il cane di Ulisse, eroe antico che è stato sempre il mio
preferito. Mia madre era contraria, per questioni d’igiene, che giocassi con
Argo, ma il cuoco e altri servitori mi aiutarono a ricavarmi dei bei momenti di
gioco all’insaputa di mia madre. Quando scomparve, lo cercai ovunque. Il cuoco
provò a rassicurarmi, mi disse che certamente Argo aveva deciso di farsi un giro
per esplorare i dintorni, e che sarebbe tornato sicuramente. Attesi due giorni,
tre, quattro. E poi vidi quella statua. Nel nostro giardino era apparsa
nottetempo, una statua di pietra. Rappresentava un cane ed era identica al mio
Argo. Mio padre, che non vedevo praticamente mai, apparve alle mie spalle, mi
chiese se la statua fosse di mio gradimento. Io piansi forte perché non volevo
una statua, volevo il mio amico. Lui si stupì, dicendo che non sapeva avessi un
cagnolino. Certo, come avrebbe potuto saperlo, se eravamo due estranei? Col
senno di poi, quel cane forse era davvero Argo, pietrificato da mio padre in uno
dei suoi esperimenti malati.
Qualche tempo dopo scomparve anche Luigi, uno dei nostri garzoni. Come si dice a
Napoli, lui era uno sciosciammocca, ossia un ingenuo, un sempliciotto. Spesso
nel teatro della nostra città viene inserito un personaggio di questo tipo, per
far ridere. Anche in casa nostra tutti ne ridevano, ma non appena scomparve
tutti si preoccuparono, perché aveva un grande cuore e sapeva farsi volere bene.
Coincidenza, poco tempo dopo la sua scomparsa apparve un’altra statua a casa
nostra…
- Finché si tratta di un cane, non è possibile identificarlo con precisione… ma
se avesse trasformato una persona in una statua, sarebbe stata subito
riconoscibile! - interruppe il prigioniero 27.
- Si, certo, se la persona in questione fosse in condizioni di essere
riconoscibile…
- Che volete dire?
La statua che apparve nella nostra cappella di famiglia - riprese a spiegare il
prigioniero 20 - aveva le sembianze di un Cristo morto. Un Cristo che portava un
velo sul volto ed i terribili segni della tortura e della crocefissione. Se
fosse davvero il buon Luigi, meriterebbe di essere proclamato santo, visto che
ha vissuto nella bontà e sperimentato un martirio identico a quello di Nostro
Signore. Purtroppo non troverà mai posto tra i santi, tra i quali invece
figurano non pochi papi corrotti e sovrani che convertivano i barbari mozzando
teste.
Vi debbo spiegare ora che mio padre, essendo non uomo ma bambino, non si curava
neanche delle sue funzioni di marito. Ciò non giustificava il fatto che mia
madre lo tradisse, anche se c'è da dolersi che ormai nella letteratura le
relazioni adulterine siano considerate qualcosa di veniale. Nessun peccato può
tuttavia giustificare una punizione di quel tipo…
Mia madre scomparve una notte dalla sua stanza, e insieme a lei scomparve anche
uno dei nostri servitori, Sergio. Ufficialmente, mia madre ed il suo amante
erano fuggiti, anche se lui era un poveraccio che non avrebbe potuto assicurarle
alcuna alternativa alla vita nella nostra casa. No, lei non aveva alcun motivo
per andarsene.
Dopo la sua scomparsa, mio padre collocò nell’atrio del nostro palazzo due opere
inquietanti: si trattava della rappresentazione, fatta in metallo, di un uomo e
una donna incinta, solo con ossa e vasi sanguigni. Sembravano quei modelli che
si usano nelle aule delle università, ma erano troppo perfetti per essere delle
ricostruzioni. Erano veri.
Chiesi a mio padre che cosa ne fosse stato di mia madre. Lui aveva capito che
non ero un ingenuo, ma comunque non ebbe il coraggio di confessare la verità. Lo
guardai negli occhi intensamente, in quel momento. Chissà se era in grado di
leggere anche i pensieri. Se avesse potuto, vi avrebbe letto: Cornuto che non
siete altro, che cosa ha suscitato la vostra spinta omicida? Forse il fatto che
la moglie da voi trascurata per anni fosse felice? Oppure che, avendogli voi
concesso un unico figlio, avesse deciso di generarne un secondo? Oppure che il
suo amante fosse un umile servitore e non un nobile del vostro rango? Questo è
un monumento alla vostra piccolezza umana!.
Dopo questi pensieri feroci, mi resi conto che non avrebbe avuto alcun senso
rimproverarlo. Era un folle, non avrebbe capito.
Fu dopo questo episodio, comunque, che feci un incontro inquietante. Incontrai
l’uomo, o forse dovrei dire l’essere, che aveva offerto a mio padre le chiavi
della malvagità. Un omuncolo vestito in abiti semplici, apparentemente
inoffensivo, non fosse per due occhi penetranti su un viso di forma allungata e
spigolosa, con una barba caprina, Sì, se questa descrizione vi fa pensare a un
certo essere da brividi, ne avete ben ragione.
Lui mi disse che io ero un ragazzo intelligente, degno figlio di mio padre, e
che quindi certamente avevo compreso quale fosse l’origine di quelle strane
opere. Mi disse che, se avessi voluto, avrei potuto invertire il processo con
cui erano state realizzate, riportando alla vita degli esseri umani che mi
stavano a cuore. Lui mi avrebbe fornito tutte le istruzioni necessarie.
Certamente mio padre era caduto in quella trappola: il suo orgoglio era stato
accarezzato esattamente come, in quel momento, veniva accarezzato il mio. In
quel momento pensai a Luigi e forse chissà quello il suo primo miracolo da santo
è stato ispirarmi in modo che potessi uscire da quella situazione. Domandai
allora al mio interlocutore perché, se le opere di mio padre erano reversibili,
non provvedesse lui stesso di sua iniziativa e volesse invece passare attraverso
di me. Gli domandai anche perché non tornare indietro nel tempo, tornare al
giorno in cui mio padre aveva fatto, evidentemente, la scelta sbagliata.
Mi fissò, infastidito, e mi rispose che in realtà tutto dipendeva da noi umani,
che lui poteva suggerire ma non operare senza il nostro consenso. Sapevo che
quell’essere poteva anche farmi del male, ma trovai il coraggio di scacciarlo,
dicendo che volevo che fosse Nostro Signore a decidere del mio destino e di
quello delle altre persone. Gli dissi che avrei pregato per le persone defunte e
anche per mio padre, perché tutti devono avere la speranza di essere perdonati.
A quel punto mi lasciò stare e se ne andò, ma sapevo che non si sarebbe arreso
così facilmente.
Trascorsero gli anni e non ci furono più eventi di rilievo. Mio padre passava le
giornate isolato nelle sue stanze, e io nelle mie, per laurearmi in
giurisprudenza. Un giorno vidi di nuovo l’essere malvagio. Questa volta era
vestito da fraticello, ma io lo riconobbi. Evidentemente era venuto per
provocare mio padre, la cui esistenza era diventata noiosamente banale e
ripetitiva. Dopo il loro colloquio, raggiunsi l’atrio e fermai quel frate
sospetto prima che potesse uscire e dileguarsi nel nulla.
Non si nascose, e anzi mi lusingò ancora una volta, perché io lo avevo
riconosciuto, a differenza di mio padre. Mi disse che ero in ritardo nel
sostituirmi a mio padre, e che lui non poteva più aspettare. In pratica, mi
stava dicendo che era venuto per stuzzicare mio padre a intraprendere qualcosa
di ancora più sconvolgente rispetto a ciò che aveva già fatto, qualcosa che
probabilmente avrebbe dovuto essergli fatale. "A meno che"...
Il farabutto decise di giocare a carte scoperte e mi propose una scommessa: se
fossi riuscito a salvare mio padre, riuscendo nel compito di dissuaderlo dal
compiere l’esperimento finale, allora ci avrebbe lasciato stare, per sempre. Se
avessi perso la scommessa, però, sarei stato obbligato a sottoscrivere il Patto.
Ancora una volta rifiutai, dicendogli che mio padre avrebbe seguito il destino
scritto per lui da Nostro Signore. Io usavo appositamente termini come questo e
come Provvidenza nel tentativo di indurlo ad andare via infastidito. Ci riuscii,
ma ovviamente non era una liberazione definitiva.
In ogni caso, l’esperimento finale di mio padre era la creazione di un essere
umano artificiale. Lo so, sembra troppo folle per essere reale, ma vi assicuro
che è tutto vero. Quando mio padre iniziò a realizzare l’esperimento, io
raccolsi la servitù e parlai loro chiaramente. Raccontai loro tutto ciò che sto
raccontando a voi. Dissi che non dovevano avere paura, perché Nostro Signore era
più forte di qualsiasi stregoneria e ci avrebbe protetti. In ogni caso, siccome
si dice “Aiutati, che Iddio t’aiuta” diedi a ciascuno dei servitori un’arma. A
chi un fucile, a chi un’ascia, a chi un bastone. Per me tenni la sciabola che mi
era stata regalata da mio nonno materno in occasione della cresima. Mi schierai
con loro dietro le porte che sbarravano l’ingresso al laboratorio. Al primo
segno di qualcosa di grave, avremmo fatto saltare i lucchetti, rimosso le catene
ed avremmo fatto irruzione il quello che mio padre chiamava “il mio amato
gabinetto”.
Avevamo tutti paura, certamente, soprattutto quando sentimmo mio padre recitare
strane formule. Se non fosse stato tragico, ci si sarebbe potuti mettere a
ridere. Vidi qualcuno che si copriva le orecchie e recitava il rosario, perché
aveva paura di comprendere le parole di mio padre, ricordarle e
involontariamente produrre qualche maleficio.
Ad un certo punto mio padre cominciò quello che aveva tutta l’aria di un
discorso. Durò pochi istanti e poi un grido agghiacciante ci convinse a fare
irruzione. La scena era terribile: un gigantesco uomo nudo stava sopra mio
padre, in una pozza di sangue. Subito affrontammo quell’energumeno, e non appena
egli mollò la presa alcuni servitori terrorizzati portarono via quel che restava
di mio padre. Probabilmente sarebbe morto, come previsto.
Sentivo che era mio dovere affrontare la creatura. Volevo farla a fette ma,
nonostante riuscii a ferirla varie volte, mostrava di avere una forza ed una
resistenza eccezionale. Alla fine la creatura mi sfuggì saltando giù da una
finestra. Malgrado la grande altezza ed i vetri conficcati nella carne, riuscì a
rialzarsi e ad andare via incolume.
Ciò che accadde dopo dimostra quanto è difficile avere a che fare con certe
forze oscure. La creatura cominciò a girare la città ed a uccidere. Uccideva
chiunque gli capitava a tiro, e lasciava messaggi a me. Non si trattava di
messaggi chiari, ovviamente, ma di messaggi che solo io potevo comprendere. E il
significato era sempre lo stesso: avrebbe smesso di uccidere quando io avrei
acconsentito al Patto. Ciò perché il sangue è sangue, e la servitù nei confronti
dell'oscuro signore si trasmette di padre in figlio, proprio come un titolo
nobiliare.
Per questa ragione decisi di lasciare Napoli e tutte le persone che potevano
essere legate a me. Se avessi avuto degli amici, o un’amata, la loro vita
sarebbe diventata uno strumento di ricatto. Mi arruolai come volontario
nell’esercito francese, sapendo che in un paese straniero e nel mezzo della
guerra non c’era modo di ricattarmi con la vita di qualcuno. Andai nelle
Americhe, esplorando le terre sconfinate della Louisiana e poi combattendo con i
volontari di Lafayette per la libertà delle tredici colonie. Evitai sempre
accuratamente di stringere amicizie forti e di innamorarmi al di là di qualche
fuggevole avventura. Consumai la mia vita senza costruire nulla che potesse
essere usato per ricattarmi e costringermi a una scelta che non volevo fare. E,
di tanto in tanto, mi scontrai ancora con la creatura, che non so se sia mortale
o meno. L'ho colpita con frecce, sciabolate e colpi di pistola. Le ho perfino
sbattuto il volto su un'incudine arroventata, una volta.
Forse alla fine il pessimo individuo si è rassegnato, ma mi ha lasciato un
regalo d'addio, un'ingiusta accusa di spionaggio e tradimento, che mi ha
condotto qui. La mia vita è finita nel nulla, nell'inutilità, nell'oblio. La mia
speranza è che avrò la fortuna di non incontrare mio padre, ma di vivere la mia
vita ultraterrena altrove rispetto a lui.
- Questa dunque è la vostra storia. E a Napoli, chi è rimasto?
- Nessuno, ormai. Con la mia morte il casato sarà estinto. E spero che il nostro
palazzo, ora certamente in rovina, sarà demolito.
- La desolazione è l’unica cura per rendere inefficace il male!
- Ora, volete raccontarmi un po’ di voi? Penso di aver parlato fin troppo.
- Certo, dopo tutto quello che avete raccontato, conviene che io non sia da
meno. Intanto, lasciate che vi dica il mio nome. Io sono l’abate Faria...
Nota
dell'Autore: In effetti in buona parte
questo lavoro costituisce una rivisitazione del racconto di
Dario usando il punto di vista di un
altro personaggio. Un punto di vista un più sensibile di quello del Principe,
tutto concentrato su sé stesso e le sue passioni. Ci tenevo, per quella che è la
mia personale sensibilità, dimostrare come ciò che il precedente protagonista
aveva liquidato come "cani randagi" oppure "il più stupido dei miei servi" in
realtà erano considerati ed amati... l'unico a non capirlo era proprio il loro
carnefice.
La parte realmente nuova è molto riassuntiva, ma potrebbe teoricamente
espandersi in almeno due ambiti:
- a Napoli, per un certo
periodo di tempo, ha operato una creatura diabolica, una sorta di golem fuori
controllo (e vorrei vedere... se Rinaldo di Montenero ha usato il sangue di un
gatto, la creatura fa ciò che vuole!) con il giovane aristocratico Luciano di
Montenero che cerca di fermarlo; sono gli ingredienti per un noir stile "Jack lo
Squartatore";
- in Louisiana, Luciano di Montenero ha vissuto chissà quante avventure,
incrociandosi di tanto in tanto con la stessa creatura malvagia.
Quindi non mi dispiacerebbe se, così come io ho preso il testimone da Dario, qualcun altro lo prendesse da me e si andasse ancora avanti!
Riguado a 'O Monaciello, che a Napoli rappresenta uno spirito dispettoso (Poltergeist, in Germania), alla prima lettura avevo pensato che si trattasse di un frate vero e in buona fede. Poi però mi sono reso conto che le affermazioni del frate non sono acqua ma benzina per il fuoco del principe Rinaldo, in quel momento in procinto di spegnersi da sé per noia. E' proprio il frate a suggerire al principe l'esperimento supremo e finale.
Il crossover con il Conte di Montecristo è nato perché, interrogandomi sulle date della vita dei personaggi, mi sono accorto che Luciano di Montenero avrebbe potuto essere un anziano prigioniero nel momento in cui l'abate Faria era nuovo arrivato e che quindi poteva esserci un vero e proprio rapporto di scambio mentore-allievo: prima il nostro Luciano con l'abate e poi quest'ultimo con Edmond Dantès. In realtà avevo pensato anche a un altro crossover, ma non è riuscito. Sarebbe stato con Barry Lyndon, perché inizialmente avevo pensato non all'esercito francese ed alla Louisiana bensì all'esercito prussiano e alla Guerra dei Sette Anni (volevo troppo, decisamente!)
.
Così gli risponde Franz Joseph von Habsburg-Lothringen:
I, 14: «[...] j’ai été arrêté
je ne sais trop pourquoi, vers le commencement de l’année 1811 ; depuis ce temps
je réclame ma liberté des autorités italiennes et françaises.»
— «Pourquoi près des autorités françaises ?» demanda le gouverneur.
— «Parce que j’ai été arrêté à Piombino et que je présume que, comme Milan et
Florence, Piombino est devenu le chef-lieu de quelque département français.»
L’inspecteur et le gouverneur se regardèrent en riant.
— «Diable, mon cher, dit l’inspecteur, vos nouvelles de l’Italie ne sont pas
fraîches.»
— «Elles datent du jour où j’ai été arrêté, Monsieur, dit l’abbé Faria ; et
comme sa majesté l’empereur avait créé la royauté de Rome pour le fils que le
ciel venait de lui envoyer, je présume que, poursuivant le cours de ses
conquêtes, il a accompli le rêve de Machiavel et de César Borgia, qui était de
faire de toute l’Italie un seul et unique royaume.»
— «Monsieur, dit l’inspecteur, la Providence a heureusement apporté quelque
changement à ce plan gigantesque dont vous me paraissez assez chaud partisan.»
— «C’est le seul moyen de faire de l’Italie un État fort, indépendant et
heureux», répondit l’abbé. [...]
Come si vede, l’Abate Faria è su posizioni comparabili a quelle che sistematicamente sostengo: l’unificazione degli Stati (in questo caso italiani) sotto un Sovrano “esterno” (qui Napoleone). Infatti è stato arrestato nel Principato di Piombino (!) e condannato per crimini politici; inoltre considera, correttamente, che il Regno Italico Napoleonico fosse costituito da «dipartimenti francesi» (prima o poi – più presto che tardi – il Regno Italico sarebbe stato annesso all’Impero dei Francesi (altrimenti non avrebbero senso le Provinc[i]e Illiriche, costituite nel 1809) e di conseguenza avrebbe avuto come unica lingua ufficiale il francese. Sarebbe dunque incoerente se fosse misogallo (chi progettava di unire gli Stati Italiani – sotto un Sovrano “esterno” – ma con l’italiano come lingua ufficiale era l’Austria); sarebbe come se un austriacante fosse germanofobo...
.
Anche Ainelif ha voluto scrivere la sua distopia in merito:
28 giorni dopo per davvero
1° novembre 2002: tre attivisti per gli animali liberano inconsapevolmente degli scimpanzè infettati da un virus della rabbia modificato in un laboratorio di ricerca nel Cambridgeshire, nel Regno Unito. Gli individui infettati si tramutano in idrofobi sanguinari.
3 novembre 2002: si diffonde un'infezione nel sud-ovest dell'Inghilterra. La BBC riporta episodi di quelle che sembrano considerate, inizialmente, delle "rivolte" in Inghilterra e Galles.
8 novembre 2002: il primo ministro britannico Tony Blair viene condotto in un luogo sicuro fuori Londra e viene informato su quella che è un'emergenza sanitaria nazionale, mentre l'infezione continua a diffondersi. La regina Elisabetta II e la sua famiglia vengono trasferiti al castello di Balmoral, in Scozia. Gli scienziati del governo tentano di approntare piani per fermare l'epidemia, mentre vengono inviati i primi reparti dell'esercito. Il governo francese chiude al trasporto l'Eurotunnel.
14 novembre 2002: i casi di rabbia arrivano a Liverpool, Manchester e Londra. La famiglia reale britannica abbandona la Scozia e si rifugia prima in Irlanda del Nord e poi in Canada. Blair informa il presidente USA George W. Bush che la situazione in Gran Bretagna è ormai fuori controllo. Bush ipotizza un'arma batteriologica di al-Qaeda per l'intervento NATO in Medio Oriente.
15 novembre 2002: il primo ministro Blair ordina di evacuare la Gran Bretagna e l'ONU emette una quarantena dell'isola. Il presidente Bush si rivolge al popolo americano e giura di aiutare la Gran Bretagna in questo tragico momento. Spagna, Francia, Portogallo e Irlanda accettano con riluttanza di essere i punti di sbarco per i britannici dalla terraferma e anche i cittadini britannici che si trovano all'estero vengono accolti in USA e Canada e in altri territori del Commonwealth.
17 novembre 2002: l'Evening Standard esce col suo ultimo titolo rimasto celebre: "EVACUAZIONE! L'esodo di massa del popolo britannico provoca il caos globale! I primi casi di rabbia raggiungo Edimburgo e la Scozia. Il Regno Unito piomba ufficialmente nell'anarchia. Le offensive militari portano a successi, però effimeri.
20 novembre 2002: milioni di britannici vengono infettati dal virus della rabbia, migliaia di persone si sono suicidate nelle loro case piuttosto che cadere vittime dell'orribile destino di essere infettate o uccise nella violenza e negli incidenti legati all'epidemia. Fortunatamente, milioni di persone sono riuscite a raggiungere le aree a sud-ovest, est e nord dove si è verificata una sorta di massiccia evacuazione inversa verso l'Irlanda e l'Europa.
29 novembre 2002: la Gran Bretagna è distrutta dal virus della rabbia. Quasi 25 milioni di persone non sono riuscite a salvarsi in tutta l'isola, mentre quasi 30 milioni di persone sono riuscite a fuggire grazie al coordinamento della Royal Navy, delle flotte della NATO e USA. Si stima che qualche milione sia ancora vivo in tutta l'isola, ma c'è poca speranza per costoro, poiché migliaia di persone vengono infettate o uccise ogni ora. La regina Elisabetta II e Blair pronunciano dei discorsi in televisione a tutto il mondo e pieni di lacrime, piangendo la devastazione della loro madrepatria.
7 dicembre 2002: la città di Manchester viene rasa al suolo da una tremenda deflagrazione, mentre Londra è intatta.
25 dicembre 2002: Elisabetta II invia il suo messaggio di Natale da Ottawa. La regina fa appello ai britannici fuggiti che "la nostra terra sarà sempre nei nostri cuori" e vi ritorneranno presto.
5 gennaio 2003: gli aerei della Royal Air Force sorvolano continuamente i territori britannici, notando che finalmente la maggioranza degli infetti sembra morente o già morta di fame e di sete. Vengono trovati anche alcuni sopravvissuti, come il "trio di Manchester".
20 gennaio 2003: i team scientifici euro-americani concludono lo studio di campioni di virus della rabbia che ha effetto solo sui primati e che apparentemente non è mutato o è andato in volo. È possibile una ripopolazione su larga scala della Gran Bretagna.
2 febbraio 2003: Bush si rivolge ad una sessione congiunta del Congresso degli Stati Uniti alla presenza del formale Parlamento britannico a Washington, alla presenza di Elisabetta II e del governo Blair in esilio. Sono presenti anche delegazioni di Stati dell'Unione europea e della Commissione di Bruxelles. Il presidente statunitense ha deciso che gli USA guideranno un piano di pace e di ripopolamento della Gran Bretagna con la NATO e gli eserciti europei. Bush avverte Saddam Hussein e altri "tiranni" sparsi per il pianeta che "sebbene la loro attenzione ora sia su un amico, non rimarranno a guardare".
19 febbraio 2003: la prima forza NATO guidata da statunitensi, ma composta anche da truppe britanniche, canadesi, francesi, tedesche, olandesi entra a Londra.
15 marzo 2003: le condizioni dei campi profughi per britannici in Francia e Spagna si deteriorano e crescono episodi di malcontento. Anche l'Italia e la Grecia accolgono alcune migliaia di britannici esuli in campi profughi.
19 marzo 2003: Blair rimpatria le truppe britanniche in Afghanistan nei punti d'accoglienza sparsi in tutto il globo, in particolare in Irlanda del Nord e sull'Isola di Man. La mobilitazione internazionale a favore degli inglesi esuli è duramente criticata da alcune nazioni del Terzo e Quarto mondo.
12 aprile 2003: nonostante il diffuso scetticismo, un rapporto NATO dichiara libera la Gran Bretagna dall'infezione.
30 aprile 2003: le Nazioni Unite annunciano una lotteria globale per quali britannici rimpatriare per primi, inizialmente sono scelti tutti quelli senza figli o con figli maggiorenni.
2 maggio 2003: il governo e il Parlamento britannici e la famiglia Windsor dichiarano di rimanere in Canada per il momento. Un giornalista progressista inglese causa una piccola polemica mediatica con questa affermazione: "Sono stati i primi ad uscire, quindi è giusto che siano gli ultimi a tornare".
26 maggio 2003: viene creato il Distretto 1 a Isle of Dogs, una penisola nell'East End di Londra, circondata su tre lati est, sud e ovest dal Tamigi, che disegna un arco a forma di ferro di cavallo e governata dalla NATO. Qui arriva il primo gruppo di rifugiati con un treno speciale, si prevede di ripopolare le aree di Birmingham ed Edimburgo nei mesi successivi.
29 giugno 2003: un gruppo di giornalisti pubblica la notizia che due individui sotto i diciotto anni sono partiti dalla Spagna verso il Distretto 1 a Isle of Dogs.
4 luglio 2003: massacro di Isle of Dogs. Le forze NATO uccidono centinaia di persone nel tentativo di sedare una nuova infezione di virus della rabbia, portato nel Distretto 1 da una sopravvissuta inglese asintomatica.
4 agosto 2003: gli ultimi infetti fuggiti dallo sterminio a Isle of Dogs passano sotto l'Eurotunnel e raggiungono Parigi, diffondendo l'epidemia nella regione di Calais. Cosa succederà dopo?
.
E ora, una piccola boutade di Lord Wilmore:
Ecco lo screenshot del video di uno youtuber che dice di aver avvertito la presenza di un fantasma in casa sua:
Brrr! Ne sono convinto anch'io...
C'ERA UN APOSTROFO DI TROPPO!
(Ogni tanto vado a vedere questi cavoli di video per cercare di capire dove sia l'imbroglio. In genere sono tizi che cercano visibilità su Youtube e organizzano con gli amici messinscene horror; il resto sono abbagli o pareidolie)
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Per finire, eccovi un'interessante dissertazione di David Dietle, tradotta dalla ScimmiaIstruita e tratta da questo sito:
Facciamo finta per un attimo che gli zombie siano reali. Avete notato come molti film di zombie siano ambientati solo dopo che l’invasione fosse ben avviata? Nel tempo che ci si mette a riunire i superstiti, l’esercito e il governo sono già stati spazzati via e le strade non sono più sicure.
C’è una ragione se il film inizia a questo punto e non prima, ed è perché la prima parte, quella dove si va da uno zombie a milioni, non ha nessun senso. Se lasciaste entrare un pizzico di logica nelle storie di zombie, capireste che gli zombie sarebbero tutti ri-morti molto prima che possiate accendere il veicolo con motosega che avevate preparato. Perché?
7 Ragioni scientifiche per cui un’epidemia zombie fallirebbe (velocemente)
#1: Hanno troppi predatori naturali
Sapete perché noi umani siamo in cima all’attuale catena alimentare? Non perchè siamo difficili da uccidere (be’, a parte Steven Seagal). Non lo siamo; siamo poco più che succulente sacche di carne in attesa che un corno errante o un artiglio ci sbudelli come una pinata di carne.
No, siamo in cima semplicemente per il fatto che siamo assurdamente bravi a uccidere cose. Un buon attacco, come dicono, è la miglior
difesa.
Siamo semplicemente troppo intelligenti e ben armati da cacciare per un animale selvaggio. Ora considerate il povero zombie. Gli manca ogni singolo vantaggio che ha permesso all’umanità di non farsi divorare fino ad estinguersi. Vaga all’aperto, non può usare armi, non può pensare o avere strategie. Non ha nemmeno l’istinto di sopravvivenza che gli dica di correre e nascondersi quand’è in pericolo. Ed è interamente fatto di cibo. E’ una preda facile per ogni animale che lo volesse.
Se state pensando “ok, ma non è che la mia città sia piena di orsi che possano arrivare e mangiare tutti gli zombie”, dovete pensare più in piccolo. Gli insetti sono un’enorme rottura di palle per gli umani, e in alcuni casi, essere in grado di scacciare una mosca e avere un sistema immunitario è l’unica cosa che ci impedisce di avere occhi e lingua divorati da larve. In ogni parte del mondo con problemi di mosche, gli zombie si ritroveranno presto coperti da sciami di mosche, ogni loro tessuto sarà infestato e gli occhi saranno presto fuori uso.
Tornando ad animali grossi, solo in America ci sono orsi, lupi, coyote e puma, ognuno di questi può mettere sul proprio menù un uomo ben armato, pensante e veloce, se le condizioni sono buone. Per molti predatori le “giuste condizioni” sono quando la preda è debole o ferita, o in generale incapace di difendersi, come un cadavere ambulante. Pensate anche solo alle migliaia di cani randagi là fuori, che imparerebbero in fretta che gli zombie sono un pasto facile.
#2: Non possono resistere al caldo
È in genere accettato da tutti gli esperti di zombie che questi continuino a marcire, anche mentre vagano nelle strade. Quello che però i film non mostrano è il raccapricciante ed allo stesso tempo stranamente divertente effetto che ha il calore del sole su un cadavere in decomposizione.
Il primo problema è la putrefazione. Grazie alla flora intestinale, i nostri corpi sono pronti per la decomposizione nel momento esatto in cui il cuore smette di battere. Dato che il calore favorisce la crescita dei batteri (che sono molto contenti di iniziare a divorare il tuo corpo non appena il tuo sistema immunitario non è più un problema) lo zombie ha una data di scadenza molto breve dal momento in cui risveglia.
I corpi morti si gonfiano a causa dei gas creati dai batteri, e ciò significa che qualsiasi ipotetico tipo di zombie diventerà grasso nei primi giorni. Questo gonfiarsi andrà avanti un paio di settimane,
finché il grasso e putrido esercito di zombie inizierà a fare una cosa che è allo stesso tempo la più fantastica e la più disgustosa cosa che uno zombie possa fare: inizieranno ad esplodere. I caldi e umidi climi nelle zone tropicali e subtropicali (o anche solo l’estate nelle zone temperate) favoriscono questa condizione, quindi un’epidemia zombie a luglio più o meno in ogni parte del mondo sarebbe finita in qualche settimana, solo in virtù degli scatenati mostri che esploderanno come sacchi di carne rancida.
Dall’altra estremità dello spettro di calore c’è il caldo secco. Se siete a Phoenix o nel Sahara quando esplode l’apocalisse, gli zombie potrebbero iniziare a mummificarsi nel caldo del sole cocente. Se i normali sintomi di disidratazione non sono un problema per uno zombie, c’è però un problema di
essiccazione. Non avendo alcuna ragione per reidratarsi, degli zombie che vagano nel caldo del Texas tutto il giorno avranno danni alle cellule per la diretta esposizione della pelle al sole, e grazie all’effetto
essiccante del vento, continueranno a inciampare in giro sempre più inutilmente
finché, ad un certo punto, si seccheranno definitivamente e crolleranno a terra inermi.
Quindi farebbero meglio a sperare che l’invasione avvenga d’inverno, no? In realtà...
#3: Non resistono neanche al freddo
Gli zombie sono carne morta. Non si può discutere, è una delle caratteristiche che li definisce. Ma mentre tutti si concentrano su “morta” come se fosse chissachè, ci si dimentica spesso di “carne”. Cos’altro è carne morta? Bistecche, Hamburger, salsicce e tutta la carne che si trova nei nostri piatti.
Quando la carne è viva, ha diversi sistemi di difesa per mantenerla tale. Quando è morta, devi buttarla via entro circa una settimana anche se la sigilli e la tieni ad una temperatura moderatamente fredda. Ora, il primo pensiero potrebbe essere che il freddo è amico della carne morta, dopotutto, il modo migliore per sconfiggere quella settimana di scadenza è di congelare la bistecca, tenendola fresca per mesi.
Ma non dimentichiamo: freddo non controllato provoca brutte conseguenze a cose precedentemente in vita. Se sei abbastanza a nord, l’apocalisse zombie probabilmente si sistemerà da sola la prima volta che proveranno ad uscire all’aperto. Gli zombie, avendo dei corpi composti principalmente d’acqua, semplicemente si raffredderanno fino ad irrigidirsi e a congelarsi definitivamente.
#4: Mordere è un pessimo modo per diffondere una malattia
Vi ricordate quando quel cane ha preso la rabbia, e qualche giorno dopo, ogni altro cane sul continente ce l’aveva, a parte un piccolo gruppo di sopravvissuti nascosti in cantina? no? non è mai successo?
Quasi tutti i film di zombie sono d’accordo su una cosa: si riproducono come una malattia, una di quelle che si diffondono via morso dall’infetto. Ma significa anche che questa diffusione dovrebbe essere soggetta alle stesse regole delle normali epidemie, e mordere è un modo sfigato di far iniziare un’epidemia.
Le malattie di successo hanno dei modi davvero intelligenti di diffondersi da vittima a vittima.
Il Covid19 ha ucciso decine di milioni di persone perché galleggia nell’aria, la peste nera era diffusa dalle pulci, ecc. Nessuna di queste richiede che l’infettato si avvicini ad una distanza-morso perchè si propaghi. Certo, malattie sessualmente trasmissibili come l’AIDS funzionano in questo modo, ma solo perchè l’infetto può passare per sano. Nessuno farebbe sesso con uno zombie.
Ma diciamo che esplode l’epidemia, se uno zombie fosse in grado di mordere 30 persone nella folla ad un concerto degli Insane Clown Posse prima che capiscano che non fa parte dello show. Non è che l’umanità non sappia cosa fare quando si diffonde un’infezione. Ricordate con la SARS? Appena hanno scoperto che si sarebbe diffusa in Nord America hanno bloccato tutto, e sono morte solo 43 persone. Con lo zombismo non dovrebbero nemmeno risolvere il mistero di come si diffonda. It’s that guy biting people. Shoot him in the head.
#5: Non possono guarire dalle ferite quotidiane
Uno dei vantaggi di avere un sistema nervoso perfettamente funzionante è che fa un ottimo lavoro nel farti sapere quando ti sei fatto dei danni. Lo fa tramite il dolore. Basta pensare a tutte le ferite che ci si fanno nel corso della vita, se non fossero mai guarite, ognuna si sarebbe trasformata in un’amputazione. Una cosa che sappiamo degli zombie è che sono molto goffi, entrano nelle porte e nelle pale degli elicotteri senza pensare per un attimo quale danno potrebbero causarsi.
Mentre l’essere insensibile al dolore sembra essere un superpotere fantastico nella teoria, nella vita vera potreste finire più come Mr.Burns che come Wolverine. L’insensibilità al dolore congenita è una condizione neurologica con la quale nascono alcune persone, che appunto non possono sentire il dolore. Questo significa che accusano danni ma non ne sono consapevoli, e questo può portare a conseguenze pessime, tipo parti del corpo infette e parti di lingua staccate.
Tutto quello sbattere e inciampare in giro li lascerebbe presto senza arti, senza denti e con tutte le ossa rotte. Davvero, in caso di un’apocalisse zombie basta stare in casa, guardarsi tutti gli episodi di
Star Trek dall’inizio alla fine, poi uscite con il vostro rastrello per zombie e ripulite tutto (dovrete comprare un rastrello per zombie, se per qualche motivo non l’avete già fatto)
#6: Il paesaggio è pieno di barriere anti-zombie
La mancanza di coordinazione degli zombie, insieme all’incapacità di vedere al buio, segnerà il destino di innumerevoli zombie che si avventureranno oltre un'area di parcheggio. Non sanno come trovare strade o ponti, vagano semplicemente senza meta. Montagne, fiumi e canyon si riempirebbero presto di zombie spaccati e puzzolenti. Anche se di giorno avessero la capacità di fermarsi davanti ad un precipizio o ad un fiume, di notte di sicuro ci finirebbero dentro, diminuendo le loro fila.
Ma anche in una città piana e asfaltata, dove sembra che la gente sarebbe fottuta, il paesaggio è sempre a favore dei vivi. La storia ha mostrato come nelle peggiori situazioni la gente non si comporta sempre come gli idioti impanicati dei film. Nelle città la gente tenderebbe a riunirsi nei piani alti degli edifici, dove l’invasione può essere fermata dalle porte di sicurezza al piano terra.
Inoltre le strade stesse terrebbero i non morti tutti in fila rendendoli facili bersagli per dei cecchini, o per impiegati d’ufficio annoiati che aspettano la fine della quarantena tirando oggetti da ufficio dai piani alti.
#7: Le armi e chi le usa
Come è stato detto prima, se c’è una cosa in cui è bravo l’Homo sapiens, è
ad uccidere altri esseri viventi. Siamo così bravi che siamo riusciti a far estinguere altre specie senza nemmeno provarci. Aggiungi al mix il numero di bifolchi armati e cacciatori in tutto il mondo e gli zombie non hanno nessuna chance. Nel 2004 solo negli USA c’erano oltre 14 milioni di persone con una licenza di caccia. E ricordiamoci che il motivo per cui esistono le licenze da caccia è per limitare il numero di animali che ti è permesso uccidere, perchè se dessi libertà a tutti quelli con una pistola, everything in the forest would be dead by sundown. Sicuramente quando la preda passa da “cervo di montagna” a “gente morta che prova a mangiarci”, non ci sarà carenza di volontari.
In più, se guardiamo agli zombie come specie, sono semplicemente progettati per il fallimento. La principale forma di riproduzione è anche la loro unica fonte di sostentamento ed il loro maggior predatore. Se vogliono mangiare o riprodursi devono per forza trovarsi faccia a faccia con il loro predatore numero uno ogni singola volta.
È come dover combattere contro un leone ogni volta che vuoi fare sesso o farti un panino. Anzi, è ancora peggio: la maggior parte dei grossi predatori sono armati di denti e artigli, il che significa che loro stessi dovrebbero mettersi in pericolo per uccidere. Gli umani hanno i fucili.
Gli zombie non hanno altra scelta che prendersi i proiettili. E tutto questo senza contare tutte le altre armi da fuoco, o il fatto che dovrebbero vedersela anche con ordigni esplosivi improvvisati,
bombe Molotov, mazze da baseball, piedi di porco e macchine, che la gente non esiterebbe a usare per eliminarli.
E questo solo considerando i civili; contando anche militari e polizia, abbiamo qualche altro milione di persone armate, e invece di pistole e fucili hanno mitragliatrici, lanciagranate, shotgun da combattimento, fucili da cecchino, fucili d’assalto, e sono pure addestrati per usarli. Ma perchè dovrebbero disturbarsi? Quando potrebbero semplicemente schiacciarli con carrarmati, farli esplodere con bombe a grappolo e farli falciare dai minigun dell’aeronautica, che ogni film sembra dimenticarsi.
Ecco perchè, anche se gli zombie esistessero, l’intero concetto di apocalisse zombie sarebbe ridicolo.
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