di Carlo Maria Martini
Tra Mi sono sempre sentito a disagio con la facilità con cui a Natale e poi a Capodanno si fanno gli auguri di beni grandiosi e risolutivi, auspicando che le feste che celebriamo portino pace, salute, giustizia, concordia.
Quando diciamo queste parole sappiamo bene che per lo più non si avvereranno e passata l'euforia delle feste ci troveremo più o meno con gli stessi problemi . Non è questa l'intenzione della Chiesa nel celebrare la festa del Natale.
Essa intende ricordare con gratitudine il piccolo evento di Betlemme che, per chi crede, ha cambiato la storia del mondo e ci permette di guardare con fiducia anche ai momenti difficili della vita , in quanto illuminati e riscattati dal senso nuovo dato dalle vicende umane dalla presenza del figlio di Dio. Ma non ci si limita al ricordo commemorativo. Si proclama la fiducia nella venuta di Colui che «tergerà ogni lacrima dai loro occhi», per cui « non ci sarà più morte, né lutto, né lamento, né affanno » (Apocalisse 21,4) e si rinnova la speranza con al quale « noi aspettiamo nuovi cieli e una nuova terra, nei quali avrà stabile dimora la giustizia» (2 Pietro 3,13). Per questo il grido dei primi cristiani, riportato nella pagina conclusiva dell'Apocalisse, era: « Vieni, Signore Gesù! ».
Ma questa attesa non è passiva: essa è ispiratrice di tutti quei gesti che pongono fin da ora segnali di giustizia, di riconciliazione e di pace di questa nostra terra pur così tormentata da lacerazioni e ingiustizie. In questo senso anche lo scambio di auguri di contenuto alto può esprimere la volontà di impegnarsi e la fiducia nella forza dello spirito che guida gli sforzi umani. È ciò che auspica il messaggio del Papa per la giornata della Pace che si celebrerà ancora una volta (fu istituita da Paolo VI nel 1968, in un momento di gravi difficoltà internazionali) il primo gennaio 2004.
Si sottolinea in questo messaggio la particolare urgenza di «guidare gli individui e i popoli a rispettare l'ordine internazionale... La pace e il diritto internazionale sono intimamente legati far loro: il diritto favorisce la pace». Nel diritto internazionale vengono espressi « principi universali che sono anteriori e superiori al diritto interno degli Stati, e che tengono in conto l'unità e la comune vocazione della famiglia umana ». Per questo é necessario che l'Organizzazione delle Nazioni Unite sia in grado di funzionare efficacemente. Lo diceva già Giovanni Paolo II nell'Enciclica "Sollecitudo rei socialis" (1988): « L'umanità, di fronte a una fase nuova e più difficile del suo autentico sviluppo, ha oggi bisogno di un gradi superiore di ordinamento internazionale ». Un momento particolarmente doloroso di questa fase di sviluppo è dato dalla piaga funesta del terrorismo, «che è diventata in questi anni più virulenta e ha prodotto massacri efferati, che hanno reso sempre più irti di ostacoli la via del dialogo e del negoziato, esacerbando gli animi e aggravando i problemi, particolarmente nel Medio Oriente». Tuttavia non bastano soltanto operazioni repressive punitive. Occorre fare una coraggiosa analisi delle motivazioni soggiacenti agli attacchi agli attacchi terroristici, educare al rispetto dei diritti umani che sempre più si presenta come una condizione preliminare per ogni società per ogni società futura e rimuovere «le cause che stanno all'origine delle situazioni di ingiustizia, dalle quali scaturiscono sovente le spinte agli atti più disperati e sanguinosi». Ma occorre anche agire in positivo, superando le pure esigenze della giustizia con la dinamica dell'amore. In questo senso il Natale é portatore di speranza, perchè inserisce visibilmente e indelebilmente nella storia il principio personale dell'amore e del dono di sè, che é Gesù Cristo stesso. L'amore porta anche al perdono, senza il quale, ammonisce il Papa, non ci sarà mai pace: « Non c'è pace senza perdono! Lo ripeto - dice Giovanni Paolo II - anche in queste circostanze avendo davanti agli occhi, in particolare, la crisi che continua a imperversare in Palestina e in Medio Oriente: una soluzione ai gravissimi problemi di cui da troppo tempo soffrono le popolazioni di quelle regioni non si troverà fino a quando non ci si deciderà a superare la logica della semplice giustizia per aprirsi anche a quella del perdono ». In questo quadro ci permettiamo allora di rinnovarci per Natale e per il nuovo anno anche gli auguri più alti e impegnativi, con la fiducia che non sono solo parole ma premesse di fatti coraggiosi per un avvenire migliore per tutti.
(da "La Repubblica", 24 dicembre 2003)
di Vittorio Messori
Quando tutti stanno fuori, quando le città sono vuote, a chi - e dove - inviare cartoline postali e pacchetti con nastri e fiocchi di neve? Non sono propri i vescovi che gridano contro quella specie di orgia di consumo nella quale si è trasformato il Natale? Allora, mischiamo le carte e collochiamo tutto al 15 di Agosto.
La cosa non sembra impossibile. In effetti, non fu la necessità storica, bensì la Chiesa che scelse il 25 di Dicembre per contrastare le feste pagane e sostituirle nei giorni del solstizio di inverno: la nascita di Cristo al posto del nascita del Sole invitto.
Inizialmente, pertanto, fu una decisione pastorale che può essere cambiata a secondo delle necessità. Una provocazione, evidentemente, che frattanto si basava su quello che è (o meglio) era, pacificamente ammesso da tutti gli studiosi: la festa liturgica del Natale sarebbe una scelta arbitraria, senza connessione con la data della nascita di Gesù che nessuno è in condizioni di determinare. Poiché sembra proprio che giustamente gli specialisti si siano sbagliati; ed io, ovviamente, con loro.
In realtà, oggi, grazie soprattutto ai documenti di Qumran, siamo nelle condizioni di stabilire con precisione: Gesù nacque proprio un 25 Dicembre.
Una scoperta straordinaria da prendere sul serio e che non può essere sospettata di fini apologetici cristiani, poiché la dobbiamo ad un professore ebreo dell'Università di Gerusalemme.
Proviamo a comprendere il meccanismo che è complesso ma affascinante. Se Gesù nacque in un 25 Dicembre, la concezione verginale avviene ovviamente nove mesi prima. E, in effetti, i calendari cristiani situano al 25 di Marzo l'annunciazione dell'angelo Gabriele a Maria. Ma sappiamo per lo stesso Vangelo di San Luca che esattamente sei mesi prima era stato concepito da Elisabetta il Precursore, Giovanni, che sarà chiamato il Battista. La Chiesa cattolica non ha una festa liturgica per la concezione di San Giovanni Battista, mentre le antiche Chiese d'Oriente la celebrano tra il 23 ed il 25 Settembre. Cioè, sei mesi prima dell'Annunciazione a Maria.
Una successione logica di date, ma fondata in tradizioni inverificabili ed in eventi localizzabili nel tempo. Così pensavano tutti, fino a tempi recentissimi. Nella realtà, sembra che non sia così.
In effetti, è giustamente dalla concezione di Giovanni che dobbiamo partire. Il Vangelo di Luca si apre con la storia del matrimonio degli anziani Zaccaria ed Elisabetta, già rassegnata alla sterilità, una delle peggiori disgrazie in Israele. Zaccaria apparteneva alla casta sacerdotale e, un giorno in cui era in servizio nel tempio di Gerusalemme, ebbe la visione di Gabriele (lo stesso angelo che sei mesi dopo si presenterà Maria, a Nazareth) il quale gli annunciava che, nonostante l'età avanzata, egli e sua moglie avrebbero avuto un figlio, che avrebbero dovuto chiamare Giovanni e che sarebbe stato "grande davanti al Signore".
Luca ebbe cura di precisare che Zaccaria apparteneva alla classe sacerdotale di Abia e che quando ebbe l'apparizione "officiava nel turno della sua classe". Di fatto, quelli che appartenevano alla casta sacerdotale nell'antico Israele erano divisi in 24 classi che, alternandosi in ordine immutabile, dovevano prestare servizio liturgico al tempio per una settimana, due volte all'anno. Sappiamo che la classe di Zaccaria, o di Abia, era l'ottava, nell'elenco ufficiale. Ma, quando cadevano i suoi turni di servizio? Nessuno lo sapeva.
Poiché proprio utilizzando indagini sviluppate da altri specialisti e lavorando soprattutto sui testi trovati nella biblioteca degli Esseni di Qumran, l'enigma fu risolto dal professore Shemarjahu Talmon, il quale, come si è detto, insegna nell'Università ebraica di Gerusalemme. In altri termini, lo studioso riuscì a precisare in che ordine cronologico si succedevano le 24 classi sacerdotali. Quella di Abia prestava servizio liturgico nel tempio due volte all'anno, come le altre, ed una di quelle volte era nell'ultima settimana di settembre.
Pertanto, era verosimile la tradizione cristiana orientale che situa tra il 23 ed il 25 di settembre l'annuncio a Zaccaria. Ma tale verosimiglianza si avvicina alla certezza perché, stimolati dalla scoperta del professore Talmon, gli studiosi ricostruiranno il filo di quella tradizione, giungendo alla conclusione che essa proveniva direttamente dalla Chiesa primitiva giudeo-cristiana di Gerusalemme. Memoria tanto antica quanto tenace quella delle Chiese dell'Oriente, come confermano molti casi.
Così, quello che sembrava mitico assume improvvisamente una nuova verosimiglianza. Una catena di eventi che si estende durante 15 mesi: in settembre, l'annuncio a Zaccaria e nel giorno dopo la concezione di Giovanni; in Marzo, sei mesi più tardi, l'annuncio a Maria. Con questo ultimo evento arriviamo esattamente al 25 di Dicembre, giorno che, pertanto, non fu fissato a caso.
Sì, signore, sembra impossibile proporre il Natale al 15 di Agosto. Farò pertanto una penitenza, non da umiliato, ma da emozionato: dopo tanti secoli di investigazione ostinata, i Vangeli non cessano di riservarci delle sorprese. Dettagli apparentemente inutili (che cosa importava se Zaccaria apparteneva alla classe sacerdotale di Abia? Nessun esegeta gli prestava attenzione) mostrano improvvisamente la loro ragione d'essere o il loro carattere di segno di una verità nascosta ma precisa. Nonostante tutto, l'avventura cristiana continua.
(dal "Corriere della Sera", 9 luglio 2003)