Una pagina di catechismo di G.P. Barra
(da "La Madonna del Boschetto di Camogli", bollettino del Santuario, Luglio/Ottobre 2008)
Quello del Purgatorio è un tema dottrinale che distingue noi cattolici e anche, per certi versi, i cristiani ortodossi, che crediamo nella sua esistenza, rispetto a Protestanti e Testimoni di Geova, che la negano.
Costoro, non credendo all'esistenza del Purgatorio, non credono che esistano anime bisognose di preghiere: inutile sarebbe, per loro, pregare per le anime dei defunti.
Il Purgatorio e un tema sul quale si sono cimentati anche gli storici. Alcuni ritengono che questa dottrina sia stata inventata dalla Chiesa medievale. Prima di quel tempo, sostengono, nessuno avrebbe mai parlato di questa realtà ultraterrena.
Le cose stanno diversamente. Tra le verità di fede cattolica vi e anche quella del Purgatorio. La professione di fede formulata da papa Paolo VI recita: « Crediamo che le anime di tutti coloro che muoiono nella grazia di Dio - sia quelle che devono essere ancora purificate col fuoco del Purgatorio sia quelle che, come il buon ladrone, sono ricevute in Paradiso subito dopo di essersi separate dal corpo - costituiscono il popolo di Dio dopo la morte ».
L'esistenza del Purgatorio è riaffermata dal Concilio Vaticano 11, nella Costituzione Dogmatica Lumen Gentium, dove si legge: « Fino a che il Signore non verrd nella gloria e tutti gli angeli con lui (cf. Mt 25,31) e, distrutta la morte, non gli saranno sottomesse tutte le cose (cf. 1 Cor 15, 26-27), alcuni dei suoi discepoli sono pellegrini sulla terra, altri passati da questa vita, stanno purificandosi e altri godono della gloria » (n. 49).
Per quanto ci riguarda, non mancheremo di chiedere alla storia se corrisponde al vero l'affermazione secondo la quale la dottrina del Purgatorio sarebbe nata nell'epoca medievale, inventata dalla Chiesa cattolica molti secoli dopo la morte di Gesù.
Ma ora illustriamo le ragioni della tesi che intendiamo difendere. La dottrina del Purgatorio nasce dalla Sacra Scrittura. E dottrina illustrata nella Parola di Dio. Ed e sempre stata creduta dalla Chiesa.
La liberazione delle Anime del Purgatorio, affresco nel cimitero di Lonate Pozzolo
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LA SACRA SCRITTURA
Nell'Antico Testamento è di fondamentale importanza il capitolo 12 del Secondo Libro dei Maccabei. Qui si narra un episodio significativo. Giuda Maccabeo, dopo aver vinto una decisiva battaglia per la nobile causa dell'indipendenza degli Ebrei, si reca sul campo di combattimento per seppellire i caduti. Si accorge che sotto la tunica di alcuni caduti vi erano oggetti idolatrici, dedicati agli idoli pagani, e Giuda Maccabeo capisce, in quel momento, perché questi soldati erano morti.
Dio li aveva puniti per questo peccato. Cosa racconta la Bibbia? Racconta che Giuda Maccabeo prega e fa pregare i1 popolo di lsraele affinché Dio perdoni il peccato commesso da quei soldati. Erano morti combattendo per una nobile causa, erano morti con « sentimento di pietà » (lo dice il racconto biblico) e Giuda Maccabeo fa innalzare preghiere a Dio per i defunti. Questa è la prova che si credeva nella possibilità che i peccati dei defunti fossero perdonati.
Si legge ancora che Giuda Maccabeo fece una colletta e la « inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio espiatorio» e la Bibbia dice che agi ,in modo molto buono e nobile, suggerito dal pensiero della Risurrezione. Perché se non avesse avuta ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti. Ma se egli considerava la magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentavano nella morte con sentimenti di pietà, la sua considerazione era santa e devota. Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato » (2 Mac 12, 43-45).
Ricaviamo un primo insegnamento. Quando noi cattolici preghiamo per le anime dei defunti siamo in perfetto accordo con quanto insegna la Parola di Dio. Facciamo un'opera « buona e nobile », un'opera « santa e devota », come ha fatto Giuda Maccabeo.
Proseguiamo nella nostra riflessione. Ricordiamo brevemente tre passi del Nuovo Testamento che alludono al Purgatorio.
Il primo lo troviamo nel Vangelo di San Matteo: « Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione. In verità ti dico: non uscirai di là finche tu non abbia pagato fino all'ulyimo spicciolo » (5,25-26).
Lasciamo agli esegeti il compito di approfondire il senso di questo passo, ma facciamo una considerazione. Delle due l'una: o Gesù, quando parla di questa prigione, intende una prigione terrena, come quelle che ci sono sulla terra (e allora, spiace dirlo, si e sbagliato: infatti, in realtà succede che alcuni escano di prigione senza aver scontato tutta la pena), oppure Gesù parlava di una « prigione » non terrestre, dove si sconta - quindi si purga - fino all'ultima moneta, infallibilmente. E questa prigione dove chi lo merita sconta fino all'ultimo spicciolo e proprio il Purgatorio.
Il secondo passo lo troviamo ancora nel vangelo di san Matteo: « Perciò io vi dico: Qualunque pecca to e bestemmia sard4 perdonata agli uomini; ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. A chiunque parlerà male del Figlio dell'uomo sari perdonato, ma la bestemmia contro 1o spirito non sarà perdonata ne in questo secolo, ne in quello futuro » (12, 31-32).
Sant'Agostino, san Gregorio Magno e san Bernardo hanno visto in questo passo una allusione alla possibilità che alcuni peccati, meno gravi della bestemmia contro lo Spirito, siano perdonati nella vita futura, quindi dopo una purificazione.
Ma il brano più importante viene da San Paolo. L'Apostolo delle Genti scrive nella sua Prima Lettera ai Corinzi: « Secondo la grazia di Dio che mi e stata data, come un sapiente architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento come costruisce. Infatti nessuno pub porre un fondamento diverso da quello che gia vi si trova, che e Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l'opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà conoscere quel giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco proverà la qualità dell'opera di ciascuno. Se l'opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa, ma se l'opera finirà bruciata, sarà punito, tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco » (1 Cor 3, 10-17).
Per san Paolo l'opera di quelli che hanno costruito la loro vita sul fondamento Gesù Cristo verrà provata, giudicata. Se l'opera sarà trovata imperfetta, costoro verranno puniti, ma non per sempre: si salveranno, tuttavia dopo essere passati per il fuoco purificatore.
Bene: questo è il Purgatorio. Come si vede, la credenza nell'esistenza del Purgatorio e fondata biblicamente. Credere alla necessità di pregare per le anime del Purgatorio ha fondamento biblico. Noi cattolici possiamo stare tranquilli. La nostra fede e conforme all'insegnamento biblico.
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LA STORIA
Facciamo un passo avanti. Una conversazione di apologetica non può evitare di interrogarsi sulla storia. Che cosa pensavano i primi cristiani riguardo il Purgatorio? Professavano la stessa fede che professiamo oggi noi cattolici? Oppure dobbiamo riconoscere che l'idea del Purgatorio e stata inventata dalla Chiesa in epoca successiva?
La risposta va cercata nelle tracce che la storia ci ha lasciato. Il primo esempio che voglio ricordare è tratto dal commovente diario di una grande martire cristiana, Perpetua, che fu uccisa a Cartagine, in Africa, il 7 marzo dell'anno 203 insieme ad altri cinque cristiani: Felicita, Revocato, Saturnino, Secondalo e il loro catechista Saturo.
Il commovente diario di Perpetua ci fa comprendere la grandezza dei martiri dei primi tempi del Cristianesimo, uccisi in odio alla fede nei modi più brutali, davanti a folle impazzite che gioivano per questi crudeli spettacoli. Perpetua e i suoi fratelli nella fede furono dapprima gravemente feriti da belve feroci e poi finiti con un colpo di grazia: passati a fil di spada.
Il diario ci narra un episodio importante per il tema che stiamo trattando. Mentre si trovava in prigione, Perpetua ha una duplice visione. Nella prima vede suo fratello Dinocrate, « morto a sette anni per un cancro che gli aveva devastato la faccia » al punto che, scrive Perpetua, « la sua morte aveva fatto inorridire tutti ». Perpetua vede suo fratellino uscire « da un luogo tenebroso dove vi era molta altra gente; era accaldato e assetato, sudicio e pallido. Il volto era sfigurato dalla piaga che lo aveva ucciso ». E, sempre in questa prima visione, Perpetua vede suo fratello che cerca invano di abbeverarsi ad una piscina e con ciò capisce che Dinocrate sta soffrendo.
Impietosita da questa visione, Perpetua prega per l'anima di suo fratello defunto. Il Signore ascolta le sue preghiere, e in una seconda visione ella vede Dinocrate perfettamente guarito, in grado di abbeverarsi, capace di giocare come fanno tutti i bambini. Interpretando questa seconda visione, Perpetua scrive: « Mi svegliai e compresi che la pena (del Purgatorio) gli era stata rimessa ».
Prestiamo attenzione a questo episodio. La storia ci consegna un documento straordinario, che risale all'inizio del terzo secolo, nel quale Perpetua, martire della fede cattolica, fa esplicito riferimento al Purgatorio.
Nel terzo secolo dopo Cristo i cristiani credevano all'esistenza del Purgatorio, come dimostra il diario della martire Perpetua.
Capite bene, cari amici, che basta questo documento per smantellare l'accusa che il Purgatorio sia stato inventato dalla Chiesa cattolica nel Medioevo. In realtà, gia i primi cristiani credevano nella sua esistenza.
Proseguiamo il nostro viaggio nella storia. Prima della testimonianza di Perpetua, nel secondo secolo la storia ha collocato un'altra testimonianza della credenza nel Purgatorio. O meglio: della credenza nella necessità di pregare per le anime dei defunti e quindi, ovviamente, del Purgatorio, anche se non lo si chiamava con questo nome, che effettivamente comparve in epoca più tarda.
Perché diciamo « ovviamente »? Perché i cristiani sapevano, e sanno bene ancora oggi, che pregare per le anime del Paradiso e inutile, perché esse godono gia della felicità eterna; e pregare per le anime dei dannati non solo è inutile, ma è una gravissima offesa fatta a Dio e alla sua infinita e infallibile giustizia.
Pertanto, quando troviamo documenti che attestano la pratica di pregare per le anime dei defunti, ciò dimostra che i cristiani credevano nella possibilità di aiutarle; erano anime non certo destinate all'inferno (altrimenti sarebbe stato peccato pregare per loro) e nemmeno già in paradiso (altrimenti sarebbe stato inutile pregare): si tratta dunque di anime destinate al Paradiso, ma che avevano bisogno di un'ulteriore purificazione, che avevano bisogno di suffragi: è ciò che noi chiamiamo Purgatorio.
Nel secondo secolo la storia colloca il notissimo epitaffio di Abercio. Costui era un cristiano, probabilmente vescovo di Gerapoli, in Asia Minore, il quale, prima di morire, compose di propria mano il suo epitaffio, cioè l'iscrizione per la sua tomba. In questo epitaffio leggiamo una frase importante per il tema che stiamo affrontando: « Queste cose dettai direttamente io, Abercio, quando avevo precisamente settantadue anni di età. Vedendole e comprendendole, prega per Abercio ».
Abercio invita quelli che visiteranno la sua tomba a pregare per lui. Invita a pregare per lui defunto, quindi per la sua anima. Siamo di fronte, come si può comprendere, ad una antichissima testimonianza che dimostra come la Chiesa primitiva credesse al Purgatorio e alla necessità di pregare per le anime dei defunti.
Continuiamo il nostro viaggio apologetico nel mondo della storia. Un'altra preziosa testimonianza ci giunge da Tertulliano (ca. 155 - ca. 222), un pagano convertito al Cristianesimo e divenuto uno strenuo apologeta del cattolicesimo.
Tertulliano ci interessa per la sua testimonianza storica. Nel suo De Corona, scrive: « Nel giorno anniversario facciamo preghiere per i defunti ». Il dato storico è importante: abbiamo una prova ulteriore che la Chiesa dei primissimi tempi pregava per i defunti, quindi per le anime del Purgatorio.
Tertulliano ci offre un altro documento importante nel suo De monogamia, dove scrive: « La moglie sopravvissuta al marito offre preghiere per la gioia di suo marito nei giorni anniversari della sua morte », dove si intende bene che la moglie prega perché l'anima del defunto giunga presto alla gioia del Paradiso. Questo documento storico conferma la credenza dei primi cristiani nell'esistenza del Purgatorio: si prega perché le anime dei defunti giungano presto nella gioia, cioé in Paradiso.
La storia è ricchissima di testimonianze. Anche il grande Sant'Agostino (354-430) attesta la fermissima fede della Chiesa dei primi secoli nella esistenza del Purgatorio. Scrive il santo vescovo di Ippona: « Non si può negare che le anime dei defunti possono essere aiutate dalla pietà dei loco cari ancora in vita, quando e offerto per loro il sacrificio del Mediatore, oppure mediante elemosine » (De fide, spe, et caritate).
Riportiamo un'ultima testimonianza, che proviene da Sant'Efrem di Siro, vissuto nel IV secolo (306-373). Siamo di fronte ad un uomo di grandissime virtù, che raggiunse una immensa fama di santità. Era così importante che San Girolamo (ca. 347-420) attesta che gli scritti di Sant'Efrem erano letti pubblicamente in Chiesa, dopo la Sacra Bibbia.
Scrive Sant'Efrem nel suo testamento: « Nel trigesimo della mia morte ricordatevi di me, fratelli, nella preghiera. I morti infatti ricevono aiuto dalla preghiera fatta dai vivi » (Testamentum).
Anche questa, dunque, e una testimonianza offerta dalla storia nella credenza della Chiesa dei primi secoli: i morti potevano ricevere benefici dalle preghiere dei vivi. Ricordo, come già detto, che non si poteva trattare né delle anime del Paradiso (che non hanno bisogno dei nostri benefici) né di quelle dell'inferno (che non possono ricevere alcun beneficio).
Tuute queste antiche testimonianze confermano che noi cattolici abbiamo ragione quando crediamo nell'esistenza del Purgatorio. La nostra fede è conforme alla fede dei primi cristiani. Purtroppo la Riforma protestante ha negato questa verità perchè nel Rinascimento si era fatto un cattivo uso della pratica delle Indulgenze. Per costruire i grandi monumenti di Roma come la nuova Basilica di San Pietro, quella che possiamo ammirare tuttora, si era giunti a vendere in cambio di denaro la possibilità di liberare i propri defunti dalle pene del Purgatorio. Contro questa pratica aberrante si scagliarono Martin Lutero e gli altri padri della Riforma, e così pensarono di tagliare il problema alla radice, negando l'esistenza del Purgatorio. Essi potevano avere tutte le ragioni di questo mondo, ma come abbiamo visto noi oggi stiamo dalla parte di ciò che insegna la Bibbia e che professano i veri cristiani fin dai tempi della Chiesa primitiva.
Siamo giunti al termine di questa conversazione apologetica. Che cosa ci portiamo a casa? Vi lascio due considerazioni: la prima riguarda la dottrina del Purgatorio che viene contestata con tanta forza dai nostri amici Testimoni di Geova, che pure affermano di richiamarsi alla « Sola Scriptura ». Abbiamo visto che si tratta di una verità fondata sulla Sacra Scrittura e sempre creduta dalla Chiesa e dal popolo cattolico.
La seconda: preghiamo per le anime dei nostri cari, con la consapevolezza che la nostra preghiera porta giovamento alla condizione delle anime del Purgatorio. Queste anime contraccambiano le nostre preghiere e implorano Dio di concederci ogni mezzo necessario per andare, insieme a loro, in Paradiso.
G.P. BARRA
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E ora, un altro illuminante articolo su un famoso passo evangelico:
SOPRA LA CROCE DI GESÙ NON
C'ERA SCRITTO SOLO INRI:
ECCO IL VERO SIGNIFICATO DELL'ISCRIZIONE EBRAICA
di Daniele Di Luciano
In Esodo XX, 2 Dio rivela il suo nome a Mosè:
"Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d'Egitto"
La parola tradotta con "il Signore" è il famoso Tetragramma che gli ebrei non possono neanche pronunciare: "YHWH", vocalizzato in diversi modi tra i quali "Yahweh". Le quattro lettere ebraiche che lo compongono sono queste: " yod-he-waw-he".
Nel Vangelo di Giovanni, capitolo XIX, versetti 16-22, leggiamo:
"Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall'altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: « Gesù il Nazareno, il re dei Giudei ».Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: « Non scrivere: "Il re dei Giudei", ma: "Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei" ». Rispose Pilato: « Quel che ho scritto, ho scritto. »"
Nonostante il brano in questione sia famosissimo, la scena che si è svolta davanti a Gesù crocifisso dev'essere stata un po' diversa da come ce la siamo sempre immaginata. Giovanni, forse, ha provato a sottolinearlo ma il lettore, non conoscendo la lingua ebraica, è impossibilitato a comprendere.
L'iscrizione di cui parla Giovanni è la famosa sigla "INRI", raffigurata ancora oggi sopra Gesù crocifisso. L'acronimo, che sta per il latino "Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum", significa appunto "Gesù il Nazareno, il re dei Giudei".
Ma Giovanni specifica che l'iscrizione era anche in ebraico. Non solo: in un momento così importante l'evangelista sembra soffermarsi su dei particolari apparentemente di poco conto:
1.. il fatto che molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo
dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città,
2.. i capi dei sacerdoti che si rivolgono a Pilato per far modificare l'iscrizione,
3.. Pilato che si rifiuta di cambiarla.
Ponzio Pilato, che era romano, probabilmente non capiva che aveva creato un po' d'imbarazzo - se vogliamo definirlo così - agli ebrei che osservavano Gesù crocifisso con quell'iscrizione sopra la testa.
Henri Tisot, esperto di ebraico, si è rivolto a diversi rabbini per chiedere quale fosse l'esatta traduzione ebraica dell'iscrizione fatta compilare da Pilato. Ne parla nel suo libro "Eva, la donna" nelle pagine da 216 a 220.
Ha scoperto che è grammaticalmente obbligatorio, in ebraico, scrivere "Gesù il Nazareno e re dei Giudei". Con le lettere ebraiche otteniamo "Yshu Hnotsri Wmlk Hyhudim"; vocalizzate, "Yeshua Hanotsari Wemelek Hayehudim".
Quindi, come per il latino si ottiene l'acronimo "INRI", per l'ebraico si ottiene "YHWH".
Ecco spiegata l'attenzione che Giovanni riserva per la situazione che si svolge sotto Gesù crocifisso. In quel momento gli ebrei vedevano l'uomo che avevano messo a morte, che aveva affermato di essere il Figlio di Dio, con il nome di Dio, il Tetragramma impronunciabile, inciso sopra la testa.
Non poteva andar bene che YHWH fosse scritto lì, visibile a tutti, e provarono a convincere Pilato a cambiare l'incisione. Ecco che la frase del procuratore romano "Quel che ho scritto, ho scritto" acquista un senso molto più profondo.
Sembra incredibile? Pensate che Gesù aveva profetizzato esattamente questo momento. In Giovanni VIII, 28 troviamo scritto:
"Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora conoscerete che Io Sono."
Per "innalzare" Gesù intende la crocifissione. "Io Sono" allude proprio al nome che Dio ha rivelato a Mosè in Esodo III, 14:
"Dio disse a Mosè: « Io sono colui che sono! ». E aggiunse: « Così dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi »."
D. DI LUCIANO