Si concludono in questo mese le iniziative per l'anniversario dei 50 anni dalla morte di don Primo Mazzolari, un "significativo protagonista della storia del cattolicesimo italiano del 900", come lo ha definito Benedetto XVI. Uno sceneggiato Rai del regista bustocco Gilberto Squizzato, intitolato "L'uomo dell'argine", ne aveva riproposto tempo fa la figura di prete "scomodo", riprendendo nel titolo quanto proprio Mazzolari aveva detto dell'argine, quello che fa il lavoro più umile, meno visibile, e più faticoso: star fermo e non lasciarsi smuovere dal tumulto delle acque. Come anche lui non si fece smuovere dalle sue scelte dalle minacce del fascismo, né dall'ostilità del Vaticano. Alla fine, però, Giovanni XXIII lo seppe riconoscere come "la tromba dello Spirito Santo in terra mantovana ".
Forse non sarà proclamato santo, ma e stato una voce profetica, che dal suo angolo di campagna tuono sempre forte contro la violenza, il sopruso, l'iniquità e la guerra. La sua lezione è che bisogna pronunciarsi, dire sì o dire no, qui e ora, "Adesso" come titolava una rivista da lui fondata nel dopoguerra, non domani!
Primo Mazzolari nacque al Boschetto, una frazione di Cremona, il 13 gennaio 1890, figlio di Grazia Bolli e di Luigi, un piccolo affittuario che manteneva la famiglia con il lavoro dei campi. Terminate le Scuole elementari, entrò nel seminario di Cremona, città dove era vescovo mons. Bonomelli, uomo celebre per le sue idee cattolico-liberali. Ordinato prete nel 1912, fu prima vicario cooperatore, poi professore di lettere in seminario e, durante le vacanze, missionario dell'Opera Bonomelli tra i lavoratori italiani emigrati in Svizzera.
Scoppiata intanto la Prima Guerra Mondiale, si schierò tra gli interventisti, come altri giovani cattolici, al fine di eliminare il militarismo della Germania e contribuire ad instaurare un regime democratico e di collaborazione internazionale. La guerra gli comportò subito un atroce dolore, la morte del caro fratello Peppino. Aveva comunque già deciso di offrirsi volontario: fu così inserito nella Sanità militare, presso alcuni ospedali. Il timore di sentirsi "imboscato" lo spinse, però, a chiedere il trasferimento al fronte: fu prima cappellano militare in Francia, poi ebbe l'incarico di recuperare le salme dei caduti nella zona di Tolmino e infine fu al seguito delle truppe italiane inviate in Alta Slesia.
Smobilitato nell'agosto 1920, don Mazzolari chiese al suo vescovo di essere destinato al lavoro pastorale tra la gente: delegato vescovile a Bozzolo, in provincia di Mantova, fu poi trasferito come parroco nel vicino paese di Cicognara, dove rimase per un decennio sperimentando iniziative, riflettendo, annotando idee e, soprattutto, cercando forme nuove per accostare tutti coloro che si erano ormai allontanati dalla Chiesa: il paese, infatti, aveva una forte connotazione socialista. Don Primo cercò in vari modi di valutare positivamente anche le tradizioni popolari contadine e le ricorrenze patriottiche; durante l'inverno faceva la scuola serale per i contadini e istituì la biblioteca parrocchiale. L'avvento del fascismo lo vide diffidente e preoccupato: già nel 1922 scriveva che "il paganesimo ritorna e ci fa la carezza, e pochi ne sentono vergogna"; nel novembre del 1925 rifiutò di cantare il Te Deum, dopo che era stato sventato un complotto contro Mussolini; nel 1929 si differenziò dall'atteggiamento entusiastico di tanti per la firma dei Patti Lateranensi. Rifiutava l'esaltazione acritica della guerra e del militarismo; così, pur evitando posizioni di aperta rottura, fu presto considerato dai fascisti un nemico, un vero ostacolo alla "fascistizzazione" di Cicognara: la notte del 1 agosto 1931 gli spararono alla finestra tre colpi di rivoltella.
Nel 1932 don Primo fu trasferito a Bozzolo e, dopo aver realizzato un piccolo opuscolo per salutare i parrocchiani, iniziò a scrivere in modo regolare. Nei suoi libri tendeva a superare l'idea della Chiesa come "società perfetta" e si confrontava con le sue debolezze, le sue inadempienze e i suoi limiti, così da poter presentare il messaggio evangelico anche ai "lontani", a coloro cioè che rifiutavano la fede, magari proprio a causa dei peccati dei cristiani; sosteneva anche l'idea che la società italiana fosse da rifondare sul piano morale e culturale, dando maggiore spazio alla giustizia, alla solidarietà con i poveri, alla fratellanza; idee simili lo costrinsero a fare i conti con la censura. Nei 1934 pubblicò "La più bella avventura", basata sulla parabola del figliol prodigo, ma il libro fu condannalo dal Sant'Uffizio; non si scoraggiò e nell'anno 1938 apparvero altri suoi testi, da cui emergono la sua concezione di parrocchia e la sua capacità di guardare la natura e la realtà della vita di campagna. Nei 1939 fu pubblicata "La via crucis del povero".
Le opere successive finirono sotto la scure della censura fascista: "Tempo di credere" fu fatto circolare solo clandestinamente.
Alla caduta del fascismo, don Primo si impegnò a creare contatti con vari ambienti e personalità cattoliche in vista del domani e, dopo un arresto da parte del Comando tedesco, preferì passare alla clandestinità: sono testimonianza di questi mesi "Diario di una primavera" e "Rivoluzione Cristiana". In questo libro l'impegno per l'evangelizzazione, la pacificazione, la costruzione di una nuova società più giusta e libera e la convinzione che solo il cristianesimo potesse costituire un rimedio ai mali del mondo, si associano all'idea della necessità di una vera e propria "rivoluzione cristiana" che, dopo averne rinnovato mentalità e comportamenti, veda i cristiani autentica guida della società.
Continuò ad interessarsi dei "lontani", in particolare dei comunisti; la critica del comunismo fu dura, ma il suo slogan era: « Combatto il comunismo, amo i comunisti». Dopo le elezioni del 1948, nelle quali appoggiò la D.C., iniziò subito ad invitare i parlamentari alla coerenza e all'impegno, e si rese conto di dover creare un vasto movimento di opinione anche attraverso un giornale di battaglia, il quindicinale "Adesso", con cui sosteneva l'appello a un rinnovamento della Chiesa, la difesa dei poveri e la denuncia delle ingiustizie sociali, il dialogo con i "lontani", la questione del comunismo, la promozione della pace durante la "guerra fredda". Nei 1951 il giornale dovette cessare temporaneamente le pubblicazioni per l'intervento del Vaticano. Usando il suo caratteristico linguaggio, che puntava direttamente a suscitare l'emozione nel cuore, il parroco di Bozzolo pubblicò altre opere significative, come "La pieve sull'argine", un ampio racconto molto autobiografico e, poi "Tu non uccidere", che, riprendendo uno scritto del 1941, approdava all'accettazione dell'obiezione di coscienza e ad un durissimo atto d'accusa contro le guerre: "La guerra non e soltanto una calamità, e un peccato", "Cristianamente e logicamente la guerra non si regge".
Nella Chiesa italiana il suo nome, intanto, continuava a dividere: alcune posizioni ufficiali lo proscrivevano, tanti amici e ammiratori ne diffondevano le idee. Lui rimaneva coerente al suo proposito di "ubbidire in piedi", sottomettendosi sempre ai suoi superiori, ma tutelando la propria dignità e la coerenza del proprio sentire. Non mancarono verso la fine della sua vita alcuni gesti significativi di distensione: nel 1957 l'arcivescovo monsignor Montini lo chiamò a predicare alla Missione di Milano; nel febbraio 1959 Giovanni XXIII lo ricevette in udienza. Ormai però la sua salute era minata e logorata: mori il 12 aprile 1959.
Anni più tardi, Paolo VI di lui dirà: "Lui aveva il passo troppo lungo e noi si stentava a tenergli dietro. Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto anche noi. Questo e il destino dei profeti".