Gertrude e le ragioni del cuore

 di Elena Cristina Bolla 


Per i tedeschi il duemiladue è "St. Gertrudjahr", l'anno di santa Gertrude. Le celebrazioni si concluderanno il diciassette novembre, festa liturgica della santa e  data probabile della sua "nascita al cielo".  L'anno era il 1301 o 1302: per le celebrazioni del settimo centenario ci si è accordati su quest'ultima data.

Gertrude die Grosse, la grande. Verosimilmente l'unica donna tedesca insignita di questo appellativo. La chiamano anche "la santa Teresa di Germania" ed in effetti la sua vicenda ricorda sotto certi aspetti quella dell'altra "grande" spagnola[i]. Molti anni di chiostro senza particolari fervori, poi una "conversione" che ti cambia la vita e ti dà ali per raggiungere l'infinito. E la gloria. Magari dopo secoli di silenzio. Ma che cosa sono i secoli di fronte all'eternità?

 

Il cenacolo di Helfta

Nel 1342 la rabbia del vescovo ribelle Alberto di Brunswick rade al suolo il monastero di Helfta, presso Eisleben, in Turingia. Scompare così uno dei più straordinari centri monastici di cultura e di religiosità del medioevo. E già incalzano i tempi nuovi: Eisleben, dove pare sia nata la nostra santa, sarà poi famosa come la città di Martin Lutero

"Con santa Gertrude - scrive Gregorio Penco -     siamo ormai alla fine del Medio Evo e al termine del grande sviluppo storico-dottrinale della spiritualità monastica, mentre altre correnti acquistano il sopravvento."[ii]  Quando, soprattutto, il potere passa nelle mani delle università, mondo esclusivamente clericale e maschile, per la cultura monastica femminile suona la campana a morto. E ben poca cura si avrà di conservarne i documenti. L'immenso patrimonio della cultura monastica femminile è tuttora in gran parte sconosciuto.

Ne è prova il lungo silenzio sui tesori di Helfta e l'abbagliato stupore dei "riscopritori", a distanza di secoli. Tesori non solo di mistica - questa eternamente sospetta e screditata "specialità" femminile - ma di cultura profana, di teologia, di scienza. Vi si studiavano, a livello diremmo oggi universitario, le scienze umane, la medicina, la Scrittura, la patristica e tutto il bagaglio di nozioni che caratterizzano la sapienza monastica del medioevo.  Ovviamente non mancava il supporto delle attività manuali necessarie alla vita di una comunità benedettina: laboratori artigianali di ricamo, di tessitura, e - prima tra tutte - la produzione di libri. Dovremo deciderci ad abbandonare l'immagine stereotipata del monaco chino sul tavolo di lavoro a miniare codici. Il copista molto spesso era una copista, dichiarata o anonima.[iii]    I monasteri femminili non solo copiavano i libri a proprio uso, ma accettavano spesso commissioni esterne. E non si trattava solo di copiste: autore ed editore spesso coincidevano.  La prima enciclopedia illustrata che si conosca è opera di una badessa.[iv] 

A Helfta nacquero alcuni dei capolavori della letteratura religiosa latino-tedesca. L'insediamento  benedettino (forse cistercense) vi era durato meno di un secolo, poiché la comunità vi si era stabilita nel 1258. Ma fu un quasi-secolo di intensissimo fervore culturale e spirituale. Vi brillarono almeno quattro grandi personalità, tre monache e una "consacrata laica", come diremmo oggi. Due si chiamavano Gertrude (o Geltrude), due Matilde (o Mechtilde).

Anche gli storici faticano ad orientarsi tra tutte queste Gertrudi e Matildi.  Ancor oggi Gertrude la Grande è spesso raffigurata con il pastorale e definita "la santa badessa di Helfta". Ma badessa non fu: l'equivoco è con la sua superiora, Gertrude  di Hackeborn. La sorella di questa,  Matilde (o Mechtilde) di Hackeborn è un'altra grande figura mistica, che consegnò le sue esperienze soprannaturali a uno scritto, il Liber specialis gratiae,  a cui forse Gertrude la Grande collaborò (secondo alcuni l'intero libro è opera sua).

A completare il quartetto, sul finire della sua vita approda ad  Helfta Matilde di Magdeburgo, colta e geniale "beghina"[v] a cui dobbiamo un capolavoro, La luce fluente della divinità, poema scritto "nel più affascinante tedesco che si sia mai letto", come afferma il suo riscopritore Enrico di Noerdlingen. Sembra ormai accertato che la Matelda dantesca, la bella donna "che si gia - cantando ed iscegliendo fior da fiore" alle soglie del paradiso, altri non sia che Matilde di Magdeburgo.[vi]  

Dopo alterne vicende di distruzioni e ricostruzioni da far invidia  a Montecassino (si fa per dire!) oggi Helfta rivive. Dal 1999, il monastero, restaurato, accoglie una comunità di monache cistercensi e torna ad essere centro di cultura e di accoglienza. Ha perfino, segno dei tempi, un sito Internet.[vii]

 

"La Grande"

"Il principe suo padre, volendo darle un nome che risvegliasse immediatamente l'idea del chiostro, e che fosse stato portato da una santa d'alti natali, la chiamò Gertrude".  A chi pensava il Manzoni scrivendo queste righe? A Gertrude di Nivelles o a Gertrude di Helfta? Anche a questa, un antico biografo[viii] attribuisce una nascita nobile. Ancora una confusione tra Gertrudi diverse, durata fino alla pubblicazione ottocentesca delle Revelationes getrudianae, due anni dopo la morte del Manzoni.  

     La nostra fonte più certa è il Legatus divinae pietatis, con la biografia della santa che ne costituisce il primo libro, manifestamente compilata da una dotta consorella a lei molto vicina. Apprendiamo così che la piccola "Trude"  viene affidata al monastero all'età di sei anni (era nata nel 1256, il giorne dell'Epifania) e che subito si conquista l'affetto di tutti per la sua dolcezza e la simpatia che emana. doti che le resteranno sempre caratteristiche.  Ma ben presto si rivela la sua vivissima intelligenza e la sua sete di sapere, che nel monastero trovano un terreno ideale di espansione.[ix]

Dell'educazione di Gertrude si occupano soprattutto Gertrude di Hackeborn, la badessa, e Matilde di Hackeborn, futura santa, che fu tra l'altro sua insegnante di canto e di musica. Quanto alla nostra Gertrude,  non ebbe altro incarico ufficiale, in monastero, che di affiancare Matilde come aiuto-cantoressa, domna cantrix.   

A venticinque anni,  Gertrude ha imparato tutto l'imparabile. E' un pozzo di scienza, ma soprattutto per quel che riguarda le conoscenze profane. Conduce un'esistenza claustrale tranquilla e, in apparenza, appagante: lavoro, preghiera, studio, lectio divina, canto, insomma il normale bagaglio quotidiano di ogni buon benedettino (o benedettina). Forse con una sfumatura di orgoglio intellettualistico? C'è da sospettarlo, a quanto lei stessa ci confida, quando racconta sorridendo che "il Signore si adoperò a piegare al suo dolce giogo un'irriducibile testa dura". Un fatto è certo: niente, nella forma mentis di Gertrude, lascia prevedere un'esperienza mistica.

E invece è proprio quello che le accade, il 27 gennaio 1281. Del resto, le esperienze mistiche autentiche non càpitano  mai a chi se le va a cercare: è una costante e uno dei più sicuri criteri di giudizio.[x] Gertrude stava male da tempo, male dentro: la classica e salutare crisi dell'intellettuale che si rende conto dell'insufficienza della ragione, tanto esemplarmente descritta da Pascal quasi quattro secoli dopo. Si sente sola, vuota, triste, avvilita. Non trova più gioia in ciò che prima bastava a riempirle la vita, le sue dilette scienze del "trivio" e del "quadrivio". Da più di un mese si dibatte in questo stato, e non sa come uscirne.

Quella sera[xi], passata compieta, Gertrude sta attraversando il dormitorio ed ha appena salutato con un piccolo inchino una consorella più anziana, quando, rialzando la testa, si vede davanti un bellissimo adolescente di sedici anni circa, splendente di grazia e di bellezza. "Presto la tua salvezza verrà: perché ti tormenti?" le chiede il ragazzo con dolcezza. "Non hai in chi confidare?"[xii].

Gertrude sa di essere nel dormitorio del monastero, ma nello stesso tempo si ritrova nel suo stallo in coro, "là dove soleva fiaccamente pregare". Qui  il ragazzo le porge una mano (gentile e delicata, nota Gertrude) e le promette di liberarla e di salvarla. Ma vi è tra loro una siepe di spine. Gertrude non sa come superarla, ma il giovane, tenendola per mano, senza sforzo l'attira accanto a sé. A quel punto Gertrude riconosce sulla mano del giovane la ferita della croce.

Da quel momento, la neo-convertita (così si definisce) prende il volo. Sembra davvero di leggere il diario della "seconda conversione" di Pascal: Certitude. Certitude. Sentiment. Joie. Paix.  "Dio di Gesù Cristo… non dei filosofi e degli scienziati".  Gertrude rinasce a nuova vita. De grammatica facta theologa, si dà con entusiasmo allo studio delle scienze sacre: la Scrittura, i Padri. Ansiosa di diffondere e contemplata aliis tradere (soprattutto dopo l'espresso comando del Signore di trasmettere le grazie ricevute) scrive opere divulgative accessibili al popolo, traduce in volgare tedesco i testi sacri, procura libri a chi ne è privo, si fa consigliera, maestra, annunciatrice della Parola ai dubbiosi che vengono a consultarsi con lei.  "Quando venivano a chiederle consiglio" riferisce la biografia del Legatus - la sua lingua sembrava uno stilo intinto nel sangue del suo cuore, e parlava con tanto affetto, grazia e sapienza, che non v'era cuore tanto duro o mente tanto perversa da restare insensibile".

Le esperienze mistiche proseguono, anzi diventano quotidiana e gioiosa normalità. Quasi un ristabilimento delle condizioni umano-divine di "prima della caduta", quando Dio passeggiava amichevolmente con l'uomo in un giardino di delizie.   Caso forse unico, Gertrude sembra aver percorso a rovescio il classico itinerario mistico  che prevede, ordinariamente, le dolcezze e le consolazioni sensibili all'inizio, poi la crisi e la "notte oscura" da cui si esce con le ossa rotte ma con una fede purificata e confermata, non senza il recupero delle dimensioni intellettuali e speculative.  Per Gertrude dolcezza, gioia, consolazioni sono il bagaglio della seconda parte della sua vita: un itinerario quasi senza ombre. Gli inevitabili momenti di stanchezza,  più che giustificabile con le precarie condizioni di salute della santa, naufragano subito in un mare di fiducia e di abbandono..   

C'è da stupirsi se Gertrude diventa una consigliera illuminata, un giudice infallibile di colpe e di  drammi spirituali, una profonda interprete della Parola? Quando ha un dubbio, si rivolge a Gesù in persona. E le risposte sono spesso innovative, acutamente illuminanti. Il tesoro. teologico del Legatus non è ancora adeguatamente esplorato, anche se molti vi hanno attitnto a proprio beneficio. Compresi i protestanti, che individuano in Geltrude una precorritrice del luteranesimo, verosimilmente per certe affermazioni sulla predestinazione (peraltro più che compensate dal contesto, perfettamente ortodosso).

Certo, a questo punto è inevitabile porsi il grande, annoso problema della teologia di dichiarata origine mistica nella produzione letteraria femminile. Quanto è veramente "rivelazione privata", quanto è risultato di elaborazione personale? Abbiamo già sottolineato più volte che la formula "il Signore mi ha rivelato", opportunamente elastica, è stata per secoli l'unica opportunità per una donna di far accettare i propri scritti, le proprie affermazioni. E in quale misura i mistici, o sedicenti tali, sono in grado di distinguere un pensiero proprio da una locuzione interiore? Il loro costante, incessante stato di preghiera può assumere insensibilmente le forme di un dialogo, di una vera e propria risposta soprannaturale. Il problema, qui esposto molto semplicisticamente, è in realtà estremamente complesso.

Nel caso di Gertrude, però, sembra che non vi siano dubbi. Vive ogni giorno, ogni momento in contatto con Gesù, con la Trinità, Maria, gli angeli, i santi. Gesù le parla, le prodiga gesti di tenerezza, canta, celebra la messa per lei.  Le sue stesse consorelle finiscono con l'accettare come fatto normale il continuo, quotidiano, felice contatto di "Trude" con la divinità. Quanto a lei, da buona ragionatrice, è la prima a meravigliarsi della concretezza delle sue visioni, dei simboli materiali che Dio usa con lei per veicolare i concetti più astratti. Il cuore di Gesù, ad esempio, si presenta via come fonte zampillante, lampada accesa, liuto, chiostro, giardino, incensiere. Gesù le risponde che è quello il miglior modo, se non l'unico, di attingere l'intelligenza umana (nihil est in intellectu quod non fuerit in sensu…).  E' un dato da tenere fermamente presente perché la lettura del Legatus e delle altre pagine gertrudiane non diventi troppo sconcertante.

Le opere

Che cosa resta degli scritti di Gertrude di Helfta? Perduti, a quanto sembra, quelli in volgare tedesco. Del Legatus è di sua mano il secondo libro, l'unico dei cinque scritto in prima persona. Gli altri sono in terza persona, ma verosimilmente scritti sotto dettatura o puntuale indicazione della santa. Il titolo Legatus divinae pietatis, suggerito da Gesù stesso, viene solitamente tradotto L'Araldo del divino amore (legatus è il libro stesso).

E' un'opera davvero singolare, che allinea in quantità incredibile testimonianze biografiche, aneddoti sulla santa e su altri personaggi[xiii], spunti di altissima teologia e suggerimenti pratici di devozione, accessibili a qualsiasi fedele. Ad esempio la recita di 225 Pater Noster, o l'impegno di compiere per un mese un'opera buona al giorno come rivolta a Gesù in persona. Un livre de chevet da meditare per anni.

Restano inoltre gli Exercitia spiritualia (Gertrude precorre sant'Ignazio), altra opera  "traboccante a un tempo di esattezza teologica e di splendida poesia" (mons. Gay). E' un itinerario sette tappe di perfezionamento spirituale: il recupero dell'innocenza battesimale, la "conversione", la consacrazione, il rinnovamento della professione religiosa, i  mezzi dell'amore divino, il ringraziamento, la penitenza e l' "apparecchio alla morte", indicazioni che la stessa Gertrude seguirà puntualmente nell'ultima agonia.

E' da notare come tanto gli Exercitia quanto il Legatus e la stessa vicenda mistica della santa si svolgano sul filo della liturgia, dell'opus Dei, il che conferisce all'insieme un'impronta marcatamente benedettina.  San Benedetto è esplicitamente indicato come padre della comunità di Helfta, nel quinto libro del Legatus.

Singolare, il destino degli scritti di Gertrude di Helfta. "Riscoperti" periodicamente a distanza di secoli, destano entusiasmi incontenibili e poi ripiombano nell'oblio. Dal primo sonno di due secoli emergono ad opera di Paolo di Weida, domenicano, che traduce il Legatus  in tedesco ad uso di una duchessa. Giovanni Lanspergis (o Lanspergio), certosino, pubblica poi gli scritti nell'originale, a Colonia nel 1536. Un best seller: traduzione in varie lingue, diffusione a largo raggio.

Nel sei e settecento Gertrude è venerata come santa, titolo non ufficiale ma praticamente confermato da Clemente XII che ne estende il culto all'intera Chiesa. L'opera di Gertrude ispira altri teologi (Fernandez, Stelzel), ma. l'edizione più o meno critica delle opere della santa risale al 1875: Revelationes Gertrudianae ac Mechtildianae, presso i benedettini di Solesmes.

L'opera di Gertrude è letterariamente pregevole: la santa maneggia il latino "con grazia e facilità", come nota una moderna traduzione italiana del Legatus. Il suo stile "è caratteristico ed ha un andamento   tutto suo.  I torrenti di luce di cui era inondata, gli aspetti multiformi sotto cui la verità le appariva, esigevano il calamum velociter scribentis, di cui parla il Salmista… per adeguare la parola al pensiero, moltiplica le frasi, gli epiteti, i paragoni, le opposizioni, imprimendo alla frase latina il sigillo della fecondità del genio tedesco". [xiv]

 

Sapientia cordis

Gertrude di Helfta è ritenuta l'iniziatrice della devozione al Sacro Cuore. E' detta infatti "la teologa del Sacro Cuore", o "la santa dell'umanità di Cristo". Su questo punto, santa Teresa le deve molto. E' raffigurata con un cuore ardente visibile sul petto, con l'immagine di Gesù (di solito bambino) al centro.  In corde Gertrudis invenietis me, canta l'antifona dei vespri nella festa della santa. La frase sarebbe stata rivelata da Gesù stesso a un'anima devota.

Cuore di Gertrude o cuore di Gesù? In realtà si sovrappongono, coincidono, segno di quello "scambio dei cuori" che poi diventerà familiare ai mistici e di cui si parla già espressamente nel Legatus.  I riferimenti al cuore di Gesù, metafora dell'amore infinito di Dio per la sua creatura, sono numerosissimi nei suoi scritti.

Ma non si tratta solo di una metafora. La dimensione affettiva, diremmo oggi sentimentale, è la nota di fondo di tutta la vicenda mistica gertrudiana. Vi si vuole vedere un'influenza della "cordiale" spiritualità cistercense: è uno dei punti di forza di chi sostiene l'appartenenza di Helfta all'ordine di san Bernardo,  un santo spesso citato nel Legatus.  [xv] In ogni caso, colpisce nella vicenda gertrudiana l'abbondanza di espressioni e di gesti intensamente affettuosi, come baci, abbracci, carezze. Di che restare perplessi.

E' noto il generale discredito dei commentatori "laici" (ma non solo di quelli)  verso la mistica femminile, spesso intensamente affettiva. Cose da donne: sentimento, emotività, compensazioni sentimental-sessuali da zitelle frustrate: la condanna è fin troppo facile. Anche da parte cristiana, e perfino nei commentatori più benevoli, serpeggia comunque la convinzione che si tratti di manifestazioni infrarazionali, situate nella sfera del sentimento e dell'emozione, piuttosto che soprarazionali o soprannaturali.

Ancora una volta, è illuminante il riferimento a Pascal, il filosofo delle "ragioni del cuore". [xvi] Fortunatamente, nessuno metterà in dubbio la sua statura di pensatore e di scienziato; ancor più fortunatamente, non era una donna.  Il "cuore", per il grande matematico-filosofo, supera la ragione, così come l'"ordine della carità" supera infinitamente l'"ordine delle menti", ed ancor più quello dei sensi e della materialità, che si trova al gradino più basso. "Tutti i corpi insieme non potranno mai produrre il minimo pensiero; tutti i corpi e tutte le menti insieme non potranno mai produrre il minimo movimento di carità. E' cosa di un altro ordine".

Il messaggio della vicenda di Gertrude, come di quella di Pascal, è chiaro: l'intelligenza, la ragione, non esaurisce tutto l'uomo.  Anzi: è forse qui la radice del peccato d'origine, l'eterna, sottile tentazione dei teologi di professione. Semmai, secondo la celebre espressione agostiniana, è l'amore che esaurisce l'uomo: amare et amari, hic est totus homo. "E' il cuore, non la ragione, che sente Dio" commenta Pascal.

Certo, occorre intendersi sul significato del termine "cuore", senza perdere di vista il simbolismo occidentale e soprattutto quello ebraico (in cui il "cuore" designa il nucleo, l'essenza dell'uomo). L'ordine della carità sovrasta gli altri due, ma li ingloba. I segni dell'affetto terreno (amore sponsale, filiale ecc.) diventano, appunto, "segni", senza per questo perdere della loro umanità. Lo chiarisce un passaggio del Legatus (V, 16): "Mi compiaccio singolarmente quando l'uomo a me rivolge le sue emozioni naturali insieme allo slancio della buona volontà; allora la sua offerta è completa." La "buona volontà", la volontà di bene, è teologicamente l'ambito della caritas, il riflesso dello Spirito.  

E' bene comunque precisare che nelle affettuosissime pagine di Gertrude - soprattutto quelle di prima mano - manca quasi del tutto quell'insistita, anzi ossessiva atmosfera pseudo-erotica che tanto spesso pervade le opere delle scrittrici mistiche e che suscita, come si è detto, i sogghigni degli psicanalisti e  il disagio dei devoti.  Certo, la metafore sponsali non mancano, com'è d'uso. Ma Gesù è altrettanto spesso identificato come "fratello", "amico", "compagno", "padre" e perfino "madre". [xvii]  In particolare, nei momenti più intensamente affettuosi Gesù si paragona a una madre che accarezza e tiene in grembo il suo bambino. In una celebre preghiera litanica, Gertrude chiama bensì il suo Amato "Sponse dulcissime", ma anche "Frater amabilissime", "Comes iucundissime", "Amice fidelissime". Gesù è l'amore di tutti gli amori, così come è la bellezza di tutti i colori, la dolcezza di tutti i sapori, la fragranza di tutti i profumi, il diletto di tutti i suoni (amoenitas omnium colorum, dulcor omnium saporum, fragrantia omnium odorum, delectatio omnium sonorum).

Insomma: Dio è l'assoluto di ogni relativo, e il linguaggio umano, per quanto poetico, è costretto a balbettare.  Ma forse Gertrude ci offre un'altra salutare lezione. Dovremmo lasciare un po' da parte le nostre teorie su come amare Dio, e chiederci piuttosto come vuol essere amato lui.

Ascoltare, insomma, le ragioni del cuore di Dio, oltre che le nostre. Pare evidente: Dio vuole tutto l'uomo. Vuole intelligenza, ma anche tenerezza.  Amor Dei intellectualis, d'accordo; ma l'omaggio dell'intelligenza, nella "creatura che ha in sé ragione", è solo un dono a metà.  Un po' poco, in cambio del dono di un Dio che ha dato tutto, fino alla morte, e alla morte di croce.



[i] Teresa d'Avila conobbe e amò gli scritti di Gertrude di Helfa, tradotte in castigliano dal benedettino Leandro di Granada.. La considerava sua maestra spirituale.

[ii] Citeaux e il monachesimo del suo tempo, Milano 1994.

[iii] Vedi Régine Pernoud, i cui studi fanno testo da tempo in materia: La donna la tempo delle cattedrali, trad. it. Milano 1982, p.64. Una rassegna di colophon medievali a cura dell'università di Friburgo allinea numerosissimi nomi femminili, a volte accompagnati da iscrizioni: Orate pro scriba quae scripsit hunc librum, nomen eius Elisabeth. 

[iv]   Pernoud, Immagini della donna nel Medioevo. Milano  1998

[v] La sfumatura denigratoria del termine "beghina" in italiano ci esclude a priori  dalla conoscenza di un imponente fenomeno di consacrazione laica, femminile e maschile,  produttore di cultura, di cambiamenti sociali, di intuizioni premoderne, che sarebbe vantaggiosissimo approfondire.

[vi] Sulla questione e sul personaggio vedi: Georgette Epiney-Burgard - Emilie Zum Brunn,  Women Mystics in Medieval Europe (trad. it. Le poetesse di Dio, Milano 1994).  Nel poema di Matilde di Magdebugo si ritrovano alla lettera varie espressioni dantesche (Purg. XXVIII)

[vii] Indirizzo web: http://kloster-helfta.de     Indirizzo postale: Kloster St. Marien zu Helfta - Lindenstr. 36 - 06295 Eisleben. E-mail pforte@kloster-helfta.de

[viii] Arnoldo di Wion (XVI sec.), ma con poco fondamento.

[ix] Ricordiamo che i monasteri femminili fungevano da vere e proprie scuole per fanciulli di entrambi i sessi, anche non destinati alla vita consacrata. Eloisa (che poi fu monaca, ma contro sua voglia) diventò allieva del grande Abelardo dopo aver appreso quanto più possibile in una scuola monastica.

[x] Teresa d'Avila racconta, divertita, di una sua consorella che si era procurata delle "visioni" a furia di digiuni e veglie estenuanti. Col mangiare e dormire  e distrarsi (cura ovviamente imposta dalla superiora) le visioni sparirono.

[xi] Il racconto si trova nel secondo libro del Legatus divinae pietatis.

[xii] Frasi della liturgia dell'avvento.

[xiii] Tra questi, fatto singolare, gli umili lavoratori conversi che facevano parte del monastero.

[xiv] L'Araldo del divino amore. Rivelazioni di S. Geltrude.  Traduzione autorizzata a cura di una Romita Ambrosiana del Sacro Monte di Varese. Varese 1954.

[xv] Qualcuno vuole riconoscere Gertrude di Helfta nella figura femminile che offre un cuore alla Vergine a destra dell'affresco di Ambrogio Lorenzetti nella cappella di Monte Siepi. Abbiamo confutato l'ipotesi su Internet (chi volesse veda al sito http://web.genie.it/utenti/e/enigmagalgano/Enigma/enigma_testo/lorenzetti/lorenzetti6.html

[xvi]  E' singolare che il giansenismo "fondamentalista" (che comunque di Pascal è una caricatura) abbia tanto combattuto la devozione al Sacro Cuore, resa popolarissima nel seicento da santa Margherita Maria Alacoque.

[xvii] L'espressione non suona strana a chi conosca gli scritti di Giuliana di Norwich. Notiamo che Gertrude, nel definire i suoi rapporti con la Trinità, si definisce  sposa dello Spirito Santo: in questo caso, figlia del Padre, sorella del Figlio.


Torna indietro