di Elena Cristina Bolla
Per
i tedeschi il duemiladue è "St. Gertrudjahr", l'anno di santa
Gertrude. Le celebrazioni si concluderanno il diciassette novembre, festa
liturgica della santa e data
probabile della sua "nascita al cielo".
L'anno era il 1301 o 1302: per le celebrazioni del settimo centenario ci
si è accordati su quest'ultima data.
Gertrude
die Grosse, la grande. Verosimilmente l'unica donna tedesca insignita di
questo appellativo. La chiamano anche "la santa Teresa di Germania" ed
in effetti la sua vicenda ricorda sotto certi aspetti quella dell'altra
"grande" spagnola[i].
Molti anni di chiostro senza particolari fervori, poi una
"conversione" che ti cambia la vita e ti dà ali per raggiungere
l'infinito. E la gloria. Magari dopo secoli di silenzio. Ma che cosa sono i
secoli di fronte all'eternità?
Il
cenacolo di Helfta
Nel
1342 la rabbia del vescovo ribelle Alberto di Brunswick rade al suolo il
monastero di Helfta, presso Eisleben, in Turingia. Scompare così uno dei più
straordinari centri monastici di cultura e di religiosità del medioevo. E già
incalzano i tempi nuovi: Eisleben, dove pare sia nata la nostra santa, sarà poi
famosa come la città di Martin Lutero
"Con
santa Gertrude - scrive Gregorio Penco -
siamo ormai alla fine del Medio Evo e al termine del grande sviluppo
storico-dottrinale della spiritualità monastica, mentre altre correnti
acquistano il sopravvento."[ii]
Quando, soprattutto, il potere passa nelle mani delle università, mondo
esclusivamente clericale e maschile, per la cultura monastica femminile suona la
campana a morto. E ben poca cura si avrà di conservarne i documenti. L'immenso
patrimonio della cultura monastica femminile è tuttora in gran parte
sconosciuto.
Ne
è prova il lungo silenzio sui tesori di Helfta e l'abbagliato stupore dei
"riscopritori", a distanza di secoli. Tesori non solo di mistica -
questa eternamente sospetta e screditata "specialità" femminile - ma
di cultura profana, di teologia, di scienza. Vi si studiavano, a livello diremmo
oggi universitario, le scienze umane, la medicina, la Scrittura, la patristica e
tutto il bagaglio di nozioni che caratterizzano la sapienza monastica del
medioevo. Ovviamente non mancava il
supporto delle attività manuali necessarie alla vita di una comunità
benedettina: laboratori artigianali di ricamo, di tessitura, e - prima tra tutte
- la produzione di libri. Dovremo deciderci ad abbandonare l'immagine
stereotipata del monaco chino sul tavolo di lavoro a miniare codici. Il
copista molto spesso era una copista, dichiarata o anonima.[iii]
I monasteri femminili non solo copiavano i libri a proprio uso, ma
accettavano spesso commissioni esterne. E non si trattava solo di copiste:
autore ed editore spesso coincidevano. La
prima enciclopedia illustrata che si conosca è opera di una badessa.[iv]
A
Helfta nacquero alcuni dei capolavori della letteratura religiosa latino-tedesca.
L'insediamento benedettino (forse
cistercense) vi era durato meno di un secolo, poiché la comunità vi si era
stabilita nel 1258. Ma fu un quasi-secolo di intensissimo fervore culturale e
spirituale. Vi brillarono almeno quattro grandi personalità, tre monache e una
"consacrata laica", come diremmo oggi. Due si chiamavano Gertrude (o
Geltrude), due Matilde (o Mechtilde).
Anche
gli storici faticano ad orientarsi tra tutte queste Gertrudi e Matildi.
Ancor oggi Gertrude la Grande è spesso raffigurata con il pastorale e
definita "la santa badessa di Helfta". Ma badessa non fu: l'equivoco
è con la sua superiora, Gertrude di
Hackeborn. La sorella di questa, Matilde
(o Mechtilde) di Hackeborn è un'altra grande figura mistica, che consegnò le
sue esperienze soprannaturali a uno scritto, il Liber specialis gratiae,
a cui forse Gertrude la Grande collaborò (secondo alcuni l'intero libro
è opera sua).
A
completare il quartetto, sul finire della sua vita approda ad
Helfta Matilde di Magdeburgo, colta e geniale "beghina"[v]
a cui dobbiamo un capolavoro, La luce fluente della divinità, poema
scritto "nel più affascinante tedesco che si sia mai letto", come
afferma il suo riscopritore Enrico di Noerdlingen. Sembra ormai accertato che la
Matelda dantesca, la bella donna "che si gia - cantando ed iscegliendo fior
da fiore" alle soglie del paradiso, altri non sia che Matilde di
Magdeburgo.[vi]
Dopo
alterne vicende di distruzioni e ricostruzioni da far invidia
a Montecassino (si fa per dire!) oggi Helfta rivive. Dal 1999, il
monastero, restaurato, accoglie una comunità di monache cistercensi e torna ad
essere centro di cultura e di accoglienza. Ha perfino, segno dei tempi, un sito
Internet.[vii]
"La
Grande"
"Il
principe suo padre, volendo darle un nome che risvegliasse immediatamente l'idea
del chiostro, e che fosse stato portato da una santa d'alti natali, la chiamò
Gertrude". A chi pensava il
Manzoni scrivendo queste righe? A Gertrude di Nivelles o a Gertrude di Helfta?
Anche a questa, un antico biografo[viii]
attribuisce una nascita nobile. Ancora una confusione tra Gertrudi diverse,
durata fino alla pubblicazione ottocentesca delle Revelationes getrudianae,
due anni dopo la morte del Manzoni.
La nostra fonte più certa è
il Legatus divinae pietatis, con la biografia della santa che ne
costituisce il primo libro, manifestamente compilata da una dotta consorella a
lei molto vicina. Apprendiamo così che la piccola "Trude" viene affidata al monastero all'età di sei anni (era nata
nel 1256, il giorne dell'Epifania) e che subito si conquista l'affetto di tutti
per la sua dolcezza e la simpatia che emana. doti che le resteranno sempre
caratteristiche. Ma ben presto si
rivela la sua vivissima intelligenza e la sua sete di sapere, che nel monastero
trovano un terreno ideale di espansione.[ix]
Dell'educazione
di Gertrude si occupano soprattutto Gertrude di Hackeborn, la badessa, e Matilde
di Hackeborn, futura santa, che fu tra l'altro sua insegnante di canto e di
musica. Quanto alla nostra Gertrude, non
ebbe altro incarico ufficiale, in monastero, che di affiancare Matilde come
aiuto-cantoressa, domna cantrix.
A
venticinque anni, Gertrude ha
imparato tutto l'imparabile. E' un pozzo di scienza, ma soprattutto per quel che
riguarda le conoscenze profane. Conduce un'esistenza claustrale tranquilla e, in
apparenza, appagante: lavoro, preghiera, studio, lectio divina, canto,
insomma il normale bagaglio quotidiano di ogni buon benedettino (o benedettina).
Forse con una sfumatura di orgoglio intellettualistico? C'è da sospettarlo, a
quanto lei stessa ci confida, quando racconta sorridendo che "il Signore si
adoperò a piegare al suo dolce giogo un'irriducibile testa dura". Un fatto
è certo: niente, nella forma mentis di Gertrude, lascia prevedere
un'esperienza mistica.
E
invece è proprio quello che le accade, il 27 gennaio 1281. Del resto, le
esperienze mistiche autentiche non càpitano
mai a chi se le va a cercare: è una costante e uno dei più sicuri
criteri di giudizio.[x]
Gertrude stava male da tempo, male dentro: la classica e salutare crisi
dell'intellettuale che si rende conto dell'insufficienza della ragione, tanto
esemplarmente descritta da Pascal quasi quattro secoli dopo. Si sente sola,
vuota, triste, avvilita. Non trova più gioia in ciò che prima bastava a
riempirle la vita, le sue dilette scienze del "trivio" e del
"quadrivio". Da più di un mese si dibatte in questo stato, e non sa
come uscirne.
Quella
sera[xi],
passata compieta, Gertrude sta attraversando il dormitorio ed ha appena salutato
con un piccolo inchino una consorella più anziana, quando, rialzando la testa,
si vede davanti un bellissimo adolescente di sedici anni circa, splendente di
grazia e di bellezza. "Presto la tua salvezza verrà: perché ti
tormenti?" le chiede il ragazzo con dolcezza. "Non hai in chi
confidare?"[xii].
Gertrude
sa di essere nel dormitorio del monastero, ma nello stesso tempo si ritrova nel
suo stallo in coro, "là dove soleva fiaccamente pregare". Qui
il ragazzo le porge una mano (gentile e delicata, nota Gertrude) e le
promette di liberarla e di salvarla. Ma vi è tra loro una siepe di spine.
Gertrude non sa come superarla, ma il giovane, tenendola per mano, senza sforzo
l'attira accanto a sé. A quel punto Gertrude riconosce sulla mano del giovane
la ferita della croce.
Da
quel momento, la neo-convertita (così si definisce) prende il volo. Sembra
davvero di leggere il diario della "seconda conversione" di Pascal: Certitude.
Certitude. Sentiment. Joie. Paix. "Dio
di Gesù Cristo… non dei filosofi e degli scienziati". Gertrude rinasce a nuova vita. De grammatica facta
theologa, si dà con entusiasmo allo studio delle scienze sacre: la
Scrittura, i Padri. Ansiosa di diffondere e contemplata aliis tradere
(soprattutto dopo l'espresso comando del Signore di trasmettere le grazie
ricevute) scrive opere divulgative accessibili al popolo, traduce in volgare
tedesco i testi sacri, procura libri a chi ne è privo, si fa consigliera,
maestra, annunciatrice della Parola ai dubbiosi che vengono a consultarsi con
lei. "Quando venivano a chiederle consiglio" riferisce
la biografia del Legatus - la sua lingua sembrava uno stilo intinto nel
sangue del suo cuore, e parlava con tanto affetto, grazia e sapienza, che non
v'era cuore tanto duro o mente tanto perversa da restare insensibile".
Le
esperienze mistiche proseguono, anzi diventano quotidiana e gioiosa normalità.
Quasi un ristabilimento delle condizioni umano-divine di "prima della
caduta", quando Dio passeggiava amichevolmente con l'uomo in un giardino di
delizie. Caso forse unico,
Gertrude sembra aver percorso a rovescio il classico itinerario mistico che prevede, ordinariamente, le dolcezze e le consolazioni
sensibili all'inizio, poi la crisi e la "notte oscura" da cui si esce
con le ossa rotte ma con una fede purificata e confermata, non senza il recupero
delle dimensioni intellettuali e speculative.
Per Gertrude dolcezza, gioia, consolazioni sono il bagaglio della seconda
parte della sua vita: un itinerario quasi senza ombre. Gli inevitabili momenti
di stanchezza, più che
giustificabile con le precarie condizioni di salute della santa, naufragano
subito in un mare di fiducia e di abbandono..
C'è
da stupirsi se Gertrude diventa una consigliera illuminata, un giudice
infallibile di colpe e di drammi
spirituali, una profonda interprete della Parola? Quando ha un dubbio, si
rivolge a Gesù in persona. E le risposte sono spesso innovative, acutamente
illuminanti. Il tesoro. teologico del Legatus non è ancora adeguatamente
esplorato, anche se molti vi hanno attitnto a proprio beneficio. Compresi i
protestanti, che individuano in Geltrude una precorritrice del luteranesimo,
verosimilmente per certe affermazioni sulla predestinazione (peraltro più che
compensate dal contesto, perfettamente ortodosso).
Certo,
a questo punto è inevitabile porsi il grande, annoso problema della teologia di
dichiarata origine mistica nella produzione letteraria femminile. Quanto è
veramente "rivelazione privata", quanto è risultato di elaborazione
personale? Abbiamo già sottolineato più volte che la formula "il Signore
mi ha rivelato", opportunamente elastica, è stata per secoli l'unica
opportunità per una donna di far accettare i propri scritti, le proprie
affermazioni. E in quale misura i mistici, o sedicenti tali, sono in grado di
distinguere un pensiero proprio da una locuzione interiore? Il loro costante,
incessante stato di preghiera può assumere insensibilmente le forme di un
dialogo, di una vera e propria risposta soprannaturale. Il problema, qui esposto
molto semplicisticamente, è in realtà estremamente complesso.
Nel
caso di Gertrude, però, sembra che non vi siano dubbi. Vive ogni giorno, ogni
momento in contatto con Gesù, con la Trinità, Maria, gli angeli, i santi. Gesù
le parla, le prodiga gesti di tenerezza, canta, celebra la messa per lei.
Le sue stesse consorelle finiscono con l'accettare come fatto normale il
continuo, quotidiano, felice contatto di "Trude" con la divinità.
Quanto a lei, da buona ragionatrice, è la prima a meravigliarsi della
concretezza delle sue visioni, dei simboli materiali che Dio usa con lei per
veicolare i concetti più astratti. Il cuore di Gesù, ad esempio, si presenta
via come fonte zampillante, lampada accesa, liuto, chiostro, giardino,
incensiere. Gesù le risponde che è quello il miglior modo, se non l'unico, di
attingere l'intelligenza umana (nihil est in intellectu quod non fuerit in
sensu…). E' un dato da tenere
fermamente presente perché la lettura del Legatus e delle altre pagine
gertrudiane non diventi troppo sconcertante.
Le
opere
Che
cosa resta degli scritti di Gertrude di Helfta? Perduti, a quanto sembra, quelli
in volgare tedesco. Del Legatus è di sua mano il secondo libro, l'unico
dei cinque scritto in prima persona. Gli altri sono in terza persona, ma
verosimilmente scritti sotto dettatura o puntuale indicazione della santa. Il
titolo Legatus divinae pietatis, suggerito da Gesù stesso, viene
solitamente tradotto L'Araldo del divino amore (legatus è il
libro stesso).
E'
un'opera davvero singolare, che allinea in quantità incredibile testimonianze
biografiche, aneddoti sulla santa e su altri personaggi[xiii], spunti di altissima
teologia e suggerimenti pratici di devozione, accessibili a qualsiasi fedele. Ad
esempio la recita di 225 Pater Noster, o l'impegno di compiere per un mese
un'opera buona al giorno come rivolta a Gesù in persona. Un livre de chevet
da meditare per anni.
Restano
inoltre gli Exercitia spiritualia (Gertrude precorre sant'Ignazio), altra
opera "traboccante a un tempo
di esattezza teologica e di splendida poesia" (mons. Gay). E' un itinerario
sette tappe di perfezionamento spirituale: il recupero dell'innocenza
battesimale, la "conversione", la consacrazione, il rinnovamento della
professione religiosa, i mezzi
dell'amore divino, il ringraziamento, la penitenza e l' "apparecchio alla
morte", indicazioni che la stessa Gertrude seguirà puntualmente
nell'ultima agonia.
E'
da notare come tanto gli Exercitia quanto il Legatus e la stessa
vicenda mistica della santa si svolgano sul filo della liturgia, dell'opus
Dei, il che conferisce all'insieme un'impronta marcatamente benedettina.
San Benedetto è esplicitamente indicato come padre della comunità di
Helfta, nel quinto libro del Legatus.
Singolare,
il destino degli scritti di Gertrude di Helfta. "Riscoperti"
periodicamente a distanza di secoli, destano entusiasmi incontenibili e
poi ripiombano nell'oblio. Dal primo sonno di due secoli emergono ad opera di
Paolo di Weida, domenicano, che traduce il Legatus in
tedesco ad uso di una duchessa. Giovanni Lanspergis (o Lanspergio), certosino,
pubblica poi gli scritti nell'originale, a Colonia nel 1536. Un best seller:
traduzione in varie lingue, diffusione a largo raggio.
Nel
sei e settecento Gertrude è venerata come santa, titolo non ufficiale ma
praticamente confermato da Clemente XII che ne estende il culto all'intera
Chiesa. L'opera di Gertrude ispira altri teologi (Fernandez, Stelzel), ma.
l'edizione più o meno critica delle opere della santa risale al 1875: Revelationes
Gertrudianae ac Mechtildianae, presso i benedettini di Solesmes.
L'opera
di Gertrude è letterariamente pregevole: la santa maneggia il latino "con
grazia e facilità", come nota una moderna traduzione italiana del Legatus.
Il suo stile "è caratteristico ed ha un andamento
tutto suo. I torrenti di
luce di cui era inondata, gli aspetti multiformi sotto cui la verità le
appariva, esigevano il calamum velociter scribentis, di cui parla il
Salmista… per adeguare la parola al pensiero, moltiplica le frasi, gli
epiteti, i paragoni, le opposizioni, imprimendo alla frase latina il sigillo
della fecondità del genio tedesco". [xiv]
Sapientia
cordis
Gertrude
di Helfta è ritenuta l'iniziatrice della devozione al Sacro Cuore. E' detta
infatti "la teologa del Sacro Cuore", o "la santa dell'umanità
di Cristo". Su questo punto, santa Teresa le deve molto. E' raffigurata con
un cuore ardente visibile sul petto, con l'immagine di Gesù (di solito bambino)
al centro. In corde Gertrudis
invenietis me, canta l'antifona dei vespri nella festa della santa. La frase
sarebbe stata rivelata da Gesù stesso a un'anima devota.
Cuore
di Gertrude o cuore di Gesù? In realtà si sovrappongono, coincidono, segno di
quello "scambio dei cuori" che poi diventerà familiare ai mistici e
di cui si parla già espressamente nel Legatus.
I riferimenti al cuore di Gesù, metafora dell'amore infinito di Dio per
la sua creatura, sono numerosissimi nei suoi scritti.
Ma
non si tratta solo di una metafora. La dimensione affettiva, diremmo oggi
sentimentale, è la nota di fondo di tutta la vicenda mistica gertrudiana. Vi si
vuole vedere un'influenza della "cordiale" spiritualità cistercense:
è uno dei punti di forza di chi sostiene l'appartenenza di Helfta all'ordine di
san Bernardo, un santo spesso
citato nel Legatus. [xv]
In ogni caso, colpisce nella vicenda gertrudiana l'abbondanza di espressioni
e di gesti intensamente affettuosi, come baci, abbracci, carezze. Di che restare
perplessi.
E'
noto il generale discredito dei commentatori "laici" (ma non solo di
quelli) verso la mistica femminile,
spesso intensamente affettiva. Cose da donne: sentimento, emotività,
compensazioni sentimental-sessuali da zitelle frustrate: la condanna è fin
troppo facile. Anche da parte cristiana, e perfino nei commentatori più
benevoli, serpeggia comunque la convinzione che si tratti di manifestazioni infrarazionali,
situate nella sfera del sentimento e dell'emozione, piuttosto che soprarazionali
o soprannaturali.
Ancora
una volta, è illuminante il riferimento a Pascal, il filosofo delle
"ragioni del cuore". [xvi]
Fortunatamente, nessuno metterà in dubbio la sua statura di pensatore e di
scienziato; ancor più fortunatamente, non era una donna.
Il "cuore", per il grande matematico-filosofo, supera la
ragione, così come l'"ordine della carità" supera infinitamente
l'"ordine delle menti", ed ancor più quello dei sensi e della
materialità, che si trova al gradino più basso. "Tutti i corpi insieme
non potranno mai produrre il minimo pensiero; tutti i corpi e tutte le menti
insieme non potranno mai produrre il minimo movimento di carità. E' cosa di un
altro ordine".
Il
messaggio della vicenda di Gertrude, come di quella di Pascal, è chiaro:
l'intelligenza, la ragione, non esaurisce tutto l'uomo.
Anzi: è forse qui la radice del peccato d'origine, l'eterna, sottile
tentazione dei teologi di professione. Semmai, secondo la celebre espressione
agostiniana, è l'amore che esaurisce l'uomo: amare et amari, hic est totus
homo. "E' il cuore, non la ragione, che sente Dio" commenta
Pascal.
Certo,
occorre intendersi sul significato del termine "cuore", senza perdere
di vista il simbolismo occidentale e soprattutto quello ebraico (in cui il
"cuore" designa il nucleo, l'essenza dell'uomo). L'ordine della carità
sovrasta gli altri due, ma li ingloba. I segni dell'affetto terreno (amore
sponsale, filiale ecc.) diventano, appunto, "segni", senza per questo
perdere della loro umanità. Lo chiarisce un passaggio del Legatus (V,
16): "Mi compiaccio singolarmente quando l'uomo a me rivolge le sue
emozioni naturali insieme allo slancio della buona volontà; allora la sua
offerta è completa." La "buona volontà", la volontà di bene,
è teologicamente l'ambito della caritas, il riflesso dello Spirito.
E'
bene comunque precisare che nelle affettuosissime pagine di Gertrude -
soprattutto quelle di prima mano - manca quasi del tutto quell'insistita, anzi
ossessiva atmosfera pseudo-erotica che tanto spesso pervade le opere delle
scrittrici mistiche e che suscita, come si è detto, i sogghigni degli
psicanalisti e il disagio dei
devoti. Certo, la metafore sponsali
non mancano, com'è d'uso. Ma Gesù è altrettanto spesso identificato come
"fratello", "amico", "compagno", "padre"
e perfino "madre". [xvii]
In particolare, nei momenti più intensamente affettuosi Gesù si
paragona a una madre che accarezza e tiene in grembo il suo bambino. In una
celebre preghiera litanica, Gertrude chiama bensì il suo Amato "Sponse
dulcissime", ma anche "Frater amabilissime", "Comes
iucundissime", "Amice fidelissime". Gesù è l'amore di tutti gli
amori, così come è la bellezza di tutti i colori, la dolcezza di tutti i
sapori, la fragranza di tutti i profumi, il diletto di tutti i suoni (amoenitas
omnium colorum, dulcor omnium saporum, fragrantia omnium odorum, delectatio
omnium sonorum).
Insomma:
Dio è l'assoluto di ogni relativo, e il linguaggio umano, per quanto poetico,
è costretto a balbettare. Ma forse
Gertrude ci offre un'altra salutare lezione. Dovremmo lasciare un po' da parte
le nostre teorie su come amare Dio, e chiederci piuttosto come vuol
essere amato lui.
Ascoltare,
insomma, le ragioni del cuore di Dio, oltre che le nostre. Pare evidente: Dio
vuole tutto l'uomo. Vuole intelligenza, ma anche tenerezza.
Amor Dei intellectualis, d'accordo; ma l'omaggio
dell'intelligenza, nella "creatura che ha in sé ragione", è solo un
dono a metà. Un po' poco, in
cambio del dono di un Dio che ha dato tutto, fino alla morte, e alla morte di
croce.
[i] Teresa d'Avila conobbe e amò gli scritti di Gertrude di Helfa, tradotte in castigliano dal benedettino Leandro di Granada.. La considerava sua maestra spirituale.
[ii] Citeaux e il monachesimo del suo tempo, Milano 1994.
[iii] Vedi Régine Pernoud, i cui studi fanno testo da tempo in materia: La donna la tempo delle cattedrali, trad. it. Milano 1982, p.64. Una rassegna di colophon medievali a cura dell'università di Friburgo allinea numerosissimi nomi femminili, a volte accompagnati da iscrizioni: Orate pro scriba quae scripsit hunc librum, nomen eius Elisabeth.
[iv]
Pernoud,
Immagini della donna nel Medioevo. Milano
1998
[v] La sfumatura denigratoria del termine "beghina" in italiano ci esclude a priori dalla conoscenza di un imponente fenomeno di consacrazione laica, femminile e maschile, produttore di cultura, di cambiamenti sociali, di intuizioni premoderne, che sarebbe vantaggiosissimo approfondire.
[vi] Sulla questione e sul personaggio vedi: Georgette Epiney-Burgard - Emilie Zum Brunn, Women Mystics in Medieval Europe (trad. it. Le poetesse di Dio, Milano 1994). Nel poema di Matilde di Magdebugo si ritrovano alla lettera varie espressioni dantesche (Purg. XXVIII)
[vii]
Indirizzo web: http://kloster-helfta.de
Indirizzo postale: Kloster St. Marien zu Helfta - Lindenstr. 36 -
06295 Eisleben. E-mail pforte@kloster-helfta.de
[viii] Arnoldo di Wion (XVI sec.), ma con poco fondamento.
[ix] Ricordiamo che i monasteri femminili fungevano da vere e proprie scuole per fanciulli di entrambi i sessi, anche non destinati alla vita consacrata. Eloisa (che poi fu monaca, ma contro sua voglia) diventò allieva del grande Abelardo dopo aver appreso quanto più possibile in una scuola monastica.
[x] Teresa d'Avila racconta, divertita, di una sua consorella che si era procurata delle "visioni" a furia di digiuni e veglie estenuanti. Col mangiare e dormire e distrarsi (cura ovviamente imposta dalla superiora) le visioni sparirono.
[xi] Il racconto si trova nel secondo libro del Legatus divinae pietatis.
[xii] Frasi della liturgia dell'avvento.
[xiii] Tra questi, fatto singolare, gli umili lavoratori conversi che facevano parte del monastero.
[xiv] L'Araldo del divino amore. Rivelazioni di S. Geltrude. Traduzione autorizzata a cura di una Romita Ambrosiana del Sacro Monte di Varese. Varese 1954.
[xv]
Qualcuno vuole riconoscere Gertrude di Helfta nella figura femminile che
offre un cuore alla Vergine a destra dell'affresco di Ambrogio Lorenzetti
nella cappella di Monte Siepi. Abbiamo confutato l'ipotesi su Internet (chi
volesse veda al sito http://web.genie.it/utenti/e/enigmagalgano/Enigma/enigma_testo/lorenzetti/lorenzetti6.html
[xvi] E' singolare che il giansenismo "fondamentalista" (che comunque di Pascal è una caricatura) abbia tanto combattuto la devozione al Sacro Cuore, resa popolarissima nel seicento da santa Margherita Maria Alacoque.
[xvii] L'espressione non suona strana a chi conosca gli scritti di Giuliana di Norwich. Notiamo che Gertrude, nel definire i suoi rapporti con la Trinità, si definisce sposa dello Spirito Santo: in questo caso, figlia del Padre, sorella del Figlio.