“Nel principiare del secolo passato cresceva in una patrizia famiglia milanese una vispa fanciulla, cara delizia de’ parenti e degli amici per prontezza d’ingegno e amabilità di carattere, talché nel 1723 stampavasi un sonetto a lodarla, perché parlasse a cinque anni francamente il francese, e questo era il meno, poiché tosto apprese il tedesco, lo spagnuolo, l’ebraico, e a nove anni sapea sì di greco e di latino che tradusse in greco una mitologia... L’ingegno che appalesava la giovinetta indusse il padre di lei ad iniziarla nello studio della filosofia e delle scienze” ecc.
Così esordisce alla voce “Agnesi” un’ottocentesca Enciclopedia milanese, compilata da “una società di Professori e Letterati, sotto la direzione del professore Giovanni Berri”. Quelle moderne le dedicano poche e frettolose righe: Maria Gaetana Agnesi è per molti un puro nome, a parte l’interesse isolato di qualche studioso, o studiosa [i]. Vogliamo fare un po’ di giustizia, riproponendo la figura di questo genio dimenticato del settecento lombardo?
Curioso secolo, il diciottesimo. Non meno “sudicio e sfarzoso” del precedente, di manzoniana memoria, e parecchio più frivolo, leggero e licenzioso — quasi la società e i costumi seguissero puntualmente l’evoluzione dello stile artistico dal “barocco” al “rococò” — è pure il secolo di Bach, di Linneo, di Kant. Ed anche di don Ramiro Rampinelli, monaco olivetano, pioniere della matematica analitica, maestro illustre (ai suoi tempi) di una disciplina ancora agli inizi. Bresciano, reduce da Bologna e da Padova, approda a Milano verso la metà del secolo. La città che lo accoglie non è ancora la Milano dei Verri e dei Beccaria, del Caffè e del fervore di idee illuministiche. Regna Maria Teresa, “despota illuminata” in veste di brava madre di famiglia, e lo stile austriaco, dopo secoli di malgoverno spagnolo, ha riportato nel Ducato ordine e tranquillità assai più consoni alla laboriosità degli indigeni (i milanesi, pur detestando gli austriaci, hanno sempre riconosciuto loro buone doti di amministratori)[ii] . L’infausto periodo delle soppressioni monastiche è ancora di là da venire. La pietà religiosa, attiva o contemplativa, può ancora fiorire, accanto alle arti e alle scienze. Gli olivetani risiedono nel monastero di San Vittore, nome allora caro ai milanesi. non ancora grave di sinistri riferimenti carcerari. Don Rampinelli è chiamato a San Vittore per comunicare la sua scienza matematica agli studenti. Non sa che la maggior gloria gli verrà da una studentessa.
A quell’epoca Maria Gaetana Agnesi ha ventidue anni e un già lungo curriculum di glorie. E’ nata nel 1718, prima figlia del patrizio Pietro Agnesi. La sua casa di via Pantano — a due passi dal glorioso, splendidamente gotico Ospedale Maggiore — è divenuta ben presto uno dei «salotti» più in vista di Milano, per la gioia e la gloria dell’orgogliosissimo papà, che stravede per la figlia. Anzi, per le figlie.
E qui bisogna spendere una parola di elogio per questo padre anticonformista, che fa studiare le sue bambine, a dispetto delle “buone” regole che prescrivono Orazio e ipotenuse ai figli maschi, anche se asini, e ricamo e cucina alle femmine, anche se hanno una mente da premio Nobel. “Ed è ben ragionevole sollecitudine siffatta” avverte l’autore di un’ineffabile, ottocentesca Galleria di giovanette illustri[iii] “avvegnachè, se le fanciulle sono ordinariamente più docili per esser guidate al bene, siano eziandio anche più facili ad esser pervertite, e a divenir pervertitrici”. Un Lessing — in pieno secolo dei lumi — sentenzia: “Una donna che pensa è altrettanto ripugnante quanto un uomo che s’imbelletta”.
Ma Pietro Agnesi, da buon milanese coi piedi per terra, bada più all’evidenza che alle teorie. Il figlio Giacomo stenta sui latinucci, mentre Gaetanina e Teresina capiscono tutto al volo? Bene, coltiviamo queste pianticelle e vedremo che frutti sanno dare. E i frutti non si fanno attendere.
Che squadra, le ragazze Agnesi. Mentre scriviamo queste pagine ci concediamo il lusso di ascoltare in sottofondo un elegante concerto per clavicembalo e archi, opera di Maria Teresa, sorella minore di Maria Gaetana. Buon sangue non mente: Teresina non si accontenta di strimpellare arie da salotto come tutte le signorine-bene sue pari: vuole creare, in un’epoca in cui “creare” significa destreggiarsi tra controsoggetti. bassi cifrati e quinte parallele. Quelle dell’armonia e quelle del palcoscenico. Infatti Maria Teresa ci ha lasciato rare opere liriche, tra cui un Ciro in Babilonia, una Sofonisba e una dal curioso titolo di Nitocri[iv] . E in teatro, cosa inaudita, fungeva da “rnaestro al cembalo”, cioè dirigeva lei l’orchestra. II suo salotto musicale accoglierà anche il giovanissimo Mozart in viaggio per l’Italia. E si dice che la compositrice milanese abbia dato una mano al quattordicenne maestrino austriaco per il suo «Mitridate».
Ma il fiore all’occhiello di papà Pietro è lei, Gaetana. Un vulcano di intelligenza. Perfino troppo: il buon papà le mette sotto chiave il sillabario, perché non impari a leggere troppo presto. Precauzione inutile. Gaetanina comincia con l’imparare a orecchio il francese dalla balia, ascolta di contrabbando le lezioni del fratello, e impara il latino. Poi sarà il turno del greco, dell’ebraico e delle lingue moderne: la soprannomineranno l’oracolo settilingue.
A nove anni scarsi pubblica in latino una vibrata perorazione «pro domo sua»: Oratio qua ostenditur artium liberalium studia a foemineo sexu neutiquarn abhorrere: habita a Maria de Agnesis Rhetoricae operam dante, anno aetatis suae nono nondum exacto, die 18 augusti 1721 Mediolani. Dovette essere ben convincente la minuscola avvocatessa, per incrinare il muro di perbenismo morale e di teorie aprioristiche sull’inferiorità del cervello femminile. Anche uno scienziato dei nostri giorni avrebbe qualche problema. Una piccola poliglotta è ancora accettabile, poiché gli studiosi — contestati, ovviamcnte. dalle studiose — concedono alle donne una maggior abilità linguistica, dovuta all’uso prevalente di una metà del cervello (non hanno ancora ben deciso quale), che presiede alla loquela, ma a detrimento dell’altra metà, che presiede al ragionamento logico e ai numeri. Ahiloro! L’ “oracolo settilingue” si affretterà a diventare un genio della filosofia e della matematica.
Discutano pure i fabbricanti di teorie. Lei, indifferente alle critiche, va dove la porta il cuore. O la mente, che è lo stesso. L’insaziabile donzella attacca e approfondisce uno dopo l’altro ogni ramo dello scibile. A vent’anni, pubblica le sue Propositiones philosophicae, eco delle pubbliche discussioni in cui aveva tenuto testa brillantemente a tutti gli avversari (in latino!) su questioni di logica, botanica, cosmologia, ontologia, meccanica, «pneumatologia» ovvero scienza degli spiriti ecc. ecc. (e molti altri «ecc.»). Ripetiamolo: siamo in epoca preilluministica: tentativi di divulgazione stile “L’Astronomia spiegata alle Dame” sono molto di là da venire; il 50% della popolazione di Milano è analfabeta.
Nel salotto di via Pantano continuano a sfilare gli intellettuali e i curiosi, sempre più abbagliati da tanta scienza, sempre più disarmati da quel fenomeno di modestia. Gaetana sembra perfino troppo perfetta per essere vera. Neppure i più malevoli trovano il minimo appiglio per denigrarla. Il peggio che riescono a dire di lei è che non è una gran bellezza (a dire il vero, i ritratti mostrano un volto regolare, gradevole).
Perfino i benpensanti più codini possono dormire sonni tranquilli: tanta perniciosa scienza non è riuscita ad offuscare in Gaetana le virtù femminine della buona massaia. Ce ne assicura il biografo di turno della citata silloge ottocentesca, “Angelo avv. Astolfi”, con questo paradossale elogio: “E’ mestieri con buoni esempi togliere al volgo una falsa idea, e cioè che una fanciulla educata nelle lettere, e nelle alte discipline non riesca, come svagata da quelle mentali speculazioni, a ben reggere le domestiche faccende”.
La signorina Agnesi le regge bene, anzi benissimo. Specialmente dopo la morte della seconda moglie del padre (Pietro ebbe tre mogli e ventuno o ventitrè figli) prende sempre più su di sé il governo della casa, alternando le brillanti discussioni filosofiche alle lezioni di grammatica ai fratellini o di catechismo ai domestici, e intanto assiste i poveri e frequenta devotamente la vicina parrocchia di Santo Stefano. Sembra che abbia deciso di avere proprio tutte le virtù: la sua fama è pari alla sua “buona” fama, quasi avesse compreso molto bene che una donzella, per farsi perdonare d’essere un animale razionale, dev’essere contemporaneamente una specie di santa, d’angelici costumi adorna, se non vuole che il suo onore venga fatto a brani come le carni della sventurata Ipazia [v].
Ma non è, in lei, posa o calcolo, come si vedrà di lì a poco. Nel 1739 approda nel salotto Agnesi il celebre autore delle vivacissime Lettres familières écrites d’Italie, Charles de Brosses. Il diplomatico francese, viaggiatore e salottiero, è anche buon scienziato, è si è portato dietro un “vero” scienziato, Loppin, per mettere K.O. quella saputella da baraccone. Ma con suo sbalordimento si trova di fronte una ragazza dolcissima, modesta, che con gran semplicità discute di geologia e di algebra con Loppin, in latino (De Brosses non ci capisce un’acca) e poi risponde a ogni ospite straniero nella sua lingua, in cantando tutti, Compreso, ovviamente, il nostro epistolografo. Quanto brillerebbe quella stella, nei salotti alla moda di Parigi! Ma la “stella” lo gela subito, rivelandogli, con molta semplicità, di avere altri progetti. Intende ritirarsi in un monastero.
È come un fulmine a ciel sereno. L’ospite francese ci rimane male, ma papà Agnesi ne fa, letteralmente, una malattia. Figlia ingrata, cosi ripaghi le paterne cure? L’obbedientissima figlia china il capo, e Pietro guarisce. Ma Gaetana detta le sue condizioni: non lascerà la casa paterna, ma d’ora in poi basta con le “accademie” (cioè riunioni tra dotti), basta con i salotti, i teatri, i ricevimenti. Per lei sono una pena. Vivrà una vita di studio, pietà, carità, da “consacrata nel secolo”, si direbbe oggi. Altra anticipazione profetica.
È a questo punto che il cammino di Maria Gaetana incrocia quello di don Ramiro Rampinelli. “Assorta in queste cure, le venne alle mani il Trattato sulle sezioni coniche…Intese primamente a rischiararne alcuni passi oscuri [ la sua passione, NdR] ed allettata da quelle ricerche, tutta si diede ai severi studi della matematica colla scorta di Camillo Rapinelli (sic)”. Qui l’enciclopedista ottocentesco si è lasciato “rapire” dalla frase seguente: “Tanto era rapita la giovinetta in questo studio...”
Il risultato di tutti quei rapimenti sarà un solido monumento di logica matematica. Riferisce più attendibilmente il settecentesco biografo e confratello di don Ramiro (non “Camillo”), padre Dal Pozzo: “Era colà la nobile Signora Maria Agnesi, donzella dotata di sorprendente ingegno, e a raro esempio nata per le più sublimi, e difficili scienze... L’Agnesi dunque desiderosa di vie maggiormente avanzarsi nelle Mattematiche si rivolse al nostro Rampinelli, il quale scorta in lei tanta penetrazione, e tanto ordine d’idee, prese di buon genio a condurla per le più riposte, e astruse meditazioni Geometriche, ad esercitarla nella risoluzione de’ più oscuri, e difficili Problemi dell’Algebra. Quanto sia stato il progresso di questa ammirabile Donzella in tali studi ce lo dimostrano le di lei Istituzioni analitiche, libro con plauso, e con maraviglia ancora ricevuto non solo in tutta l’Italia, ma oltre i Monti dalle più rinomate Accademie, che l’hanno qualificato per opera originale, e maestra…”
In realtà, i due volumi delle Istituzioni portano ben chiaro il marchio di fabbrica di Gaetana, che ha il genio di capire i grovigli più astrusi e di renderli chiari agli altri. Questo, e non altro, vuol essere il suo trattato: un preciso resoconto dei più avanzati progressi della matematica, esposto nella forma migliore, I due volumi trattano, rispettivamente: I) Dell’analisi delle quantità finite, curve classiche, versiera; Il) Calcolo infinitesimale, differenziale, integrale; metodo inverso delle tangenti o risoluzione di particolari classi di equazioni differenziali.
Le si rimprovera di non essere una scienziata «creativa», ma Gaetana non ha mai inteso esserlo, né in matematica né in altro. A differenza della sorella artista, non è nata per creare, ma per indagare la verità, capire, spiegare. «Si chiamava malacconcia al poetare, ed a tutto che addimandava vivezza di concetti» ci informa il buon Astolfi. Eccelleva in “quelle scientifiche materie, che richiedevano potenza di sottili e stringenti raziocinii”.
I! nome di Gaetana è soprattutto legato alla cosiddetta “versiera di Agnesi”. Di che si tratta? Dunque: data una circonferenza C con diametro AB, si tracci da B la tangente t alla circonferenza C, si chiami r la generica retta uscente da A, si indichino con D l'intersezione tra r e t, con E l'intersezione tra r e C, e con F l'intersezione tra la parallela ad AB condotta per D e la parallela a t condotta per E. Il luogo dei punti F al variare di r entro il fascio di rette di centro A è la versiera di Agnesi. Se ci coglie un po’ di sgomento, consoliamoci: tutto questo si può esprimere molto semplicemente con l’equazione cartesiana (d 2 +x2)y = d 3, a patto ovviamente di prendere d, il diametro, come asse delle ordinate.
Le Instituzioni Analitiche ad uso della Gioventù Italiana, di D. na Maria Gaetana Agnesi Milanese appaiono “in Milano, MDCCXLVI Il, nella Regia Ducal Corte, con licenza de’ Superiori” e vengono presto tradotte in varie lingue. Il successo è immenso, nonostante la contemporanea pubblicazione di un’opera analoga di Eulero. I dotti dell’Accademia Reale di Francia lodano il libro dell’Agnesi come opera avanzatissima e la migliore mai apparsa nel genere. L’Europa intera è in ammirazione davanti alla giovane scienziata. Si scomoda perfino l’imperatrice Maria Teresa, che invia alla dotta suddita un anello di brillanti in un prezioso cofanetto: e questa volta l’inalterabile Gaetana si commuove davvero. Conserverà gelosissimamente quel dono e l’avrà caro più di ogni altra cosa al mondo... o quasi.
La gloriosa università di Bologna, all’unanimità, offre una cattedra di analisi matematica a “Caietana Agnesi Nobilis Virgo Mediolanensis”, ma la nobile signorina milanese, pur ringraziando dell’onore, non l’occuperà mai. Graditissimo le giunge il plauso del papa Benedetto XIV, accompagnato da benedizioni e doni preziosi. “Son contentissimo” scrive simpaticamente papa Lambertini “di vedere che venga impiegato il bel sesso alti progressi delle scienze e de’ talenti. Vi esorto a formare delle compagne che vi somiglino; affinché resti ognuno persuaso che voi valete quanto noi, quando volete studiare. L’anima diventa frivola quando non pensa che a nastri, e pennacchi; ma essa è sublime allorché sa meditare. Vi accerto che avrei gran piacere squadernando nelle librerie di trovare presso de’ nostri dottori delle donne stimabili, le quali avessero occultato il loro sapere colla modestia. In questo modo potrebbero le donne abitare nel palazzo de’ Papi”. Non c’è male, per un papa del settecento.
E don Ramiro? È andato ad insegnare matematica a Pavia. Tornerà a San Vittore solo per morirvi, nel 1759. Ormai l’allieva vola con le sue ali. E vola alto.
Ma quando la nobile signorina Agnesi è all’apice della gloria, ecco all’improvviso il colpo di scena. Tutti si aspettano nuove meraviglie, e lei, con grande semplicità, come chi ha compiuto un dovere ed è libero di passare ad altro, chiude il capitolo “scienza”, e volta pagina. “Appena ebbe soddisfatto al bisogno di alleviare la mente dalle raccolte cognizioni e scoperte, e commetterle alla società, più non vi pensò, e cesse solo al desiderio di carità e di beneficare gli uomini” commenta l’enciclopedista milanese.
Altro fulmine a ciel sereno. È facile immaginare lo stupore, le reazioni dei dotti di tutta Europa. Gaetana si giustifica molto tranquillamente. “L’uomo deve sempre operare per un fine, il cristiano per la gloria di Dio; finora spero che il mio studio sia stato a gloria di Dio, perché giovevole al prossimo, ed unito all’obbedienza, essendo tale la volontà e genio di mio Padre: ora, cessando questa, trovo modi e mezzi migliori per servire a Dio e giovare al prossimo”.
Che cosa è successo? Pietro Agnesi è morto, nel 1752, e Gaetana è libera di organizzare il suo programma di vita religiosa. Potrebbe ancora entrare in convento, poiché le restrizioni teresiane alle professioni religiose sono per ora lontane (il decreto è del 1770) ma decide altrimenti. Ha contratto nuovi obblighi morali che intende portare avanti. Il suo posto è ormai accanto ai poveri.
Le sarebbe facile delegare il compito, mediante pecunia, a qualche opera pia, come fanno tanti patrizi suoi pari. Preferisce rimboccarsi le maniche di persona. Casa Agnesi diventa rifugio di povere malate, e donna Gaetana si fa serva e infermiera. Manca Io spazio? Gaetana mette su un ospedaletto a Porta Vigentina, e va a vivere con le malate.
Ma “crescono il dispendio e i bisogni, e i mezzi scemano”. I domestici, divenuti amici e collaboratori, vedono con allarme che quasi tutto il denaro di casa va ai poveri. “Ma, signora, e per vivere e vestirei che cosa ne resterà?” “Basta che ne resti il sufficiente a tenerci in vita e coprirci decentemente”. Quando la più rigorosa ascesi si rivela insufficiente, Gaetana vende tutto il vendibile. Senza un lamento, si disfa anche del tesoro più prezioso, l’anello dell’imperatrice, col suo cofanetto di gemme. Non basta; e allora donna Maria Gaetana dei nobili Agnesi si fa mendicante, stende, letteralmente, la mano. Insiste presso i conoscenti, le autorità, le opere pie, bussa alla porta dei cittadini. Raramente i suoi milanesi dicono di no, ma qualche volta pensano che quella santa donna potrebbe anche starsene buona in qualche posto a far del bene senza inquietare le coscienze.
L’occasione arriva con la donazione Trivulzio. Nel 1771 è nato il Pio Albergo Trivulzio (o Pio Luogo), la futura “Baggina”. Si chiamerà così dopo il trasferimento presso Baggio, ma la prima sede è in Milano, nel palazzo che il principe Antonio Tolomeo Trivulzio ha destinato per testamento a ospizio per i vecchi poveri. L’edificio sorge imponente tra via della Signora e i Navigli, vicino all’Ospedale Maggiore e alla casa natale degli Agnesi. Per invito del vescovo, Gaetana diviene prima visitatrice, poi direttrice del reparto donne. I cittadini respirano. Avrà abbastanza da fare. Al principio Gaetana fa la spola tra porta Vigentina e via della Signora, dividendo il suo tempo tra i “Veglioni” del Trivulzio e l’altra folla dei suoi assistiti (famiglie povere, seminaristi senza mezzi, orfani, malati di mente). Le gotiche bifore dell’ospedale Maggiore la vedono sfilare diligentemente due volte al giorno, diretta al “posto di lavoro”. Infine accetta di trasferirsi nell’istituto, insistendo però per pagare la pigione. E qui l’artista del calcolo differenziale sfodera talenti di amministratrice ben diversi da quelli dei suoi successori che hanno riportato il Pio Albergo Trivulzio agli onori (o ai disonori) della cronaca[vi] Non per questo trascura i suoi poveri di fuori, a cui destina fondi di famiglia, coinvolgendo un rassegnato fratello. Nè questa nuova dignità la convince a passare dalla categoria dei “colletti blu” a quella dei “colletti bianchi”: resterà sempre, fino all’ultimo, un’operaia della carità.
E la matematica? La filosofia? Acqua passata, senza rimpianti. Qualcuno si ricorda della grande scienziata, ma viene cortesemente scoraggiato. L’Accademia di Torino, ad esempio, le ha chiesto di esaminare i lavori di Lagrange intorno al calcolo delle variazioni, ma lei se ne scusa adducendo “le sue serie occupazioni” (sappiamo quali). La grande Agnesi non ha però abdicato alla sua intelligenza; l’ha solo rivolta ad altre sfere. Silenziosamente, e senza titoli accademici, è diventata teologa. A chi si rivolge il cardinal Pozzobonelli, arcivescovo di Milano, per decidere sull’ortodossia di uno scritto sulla politica e la religione? A lei. Particolare poco noto, tiene anche lezioni pubbliche di catechismo. Donna e laica: un bel primato. Un altro primato.
Dio e il prossimo. Come altre grandi menti prima di lei, Gaetana è approdata all’unica “scienza” definitiva, a un infinito che nessun simbolo matematico può esprimere.
Al Trivulzio cura le vecchiette con le sue mani, le assiste, insegna i «
“lavori femminili” (sa fare anche questi, nevvero, avvocato Astolfi). Le conforta cristianamente, resta accanto al loro letto di morte. Ed è commovente che prediliga quelle che meno possono somigliarle, capirla: le povere dementi. Le più povere di tutti: chi può saperlo meglio di lei? Due secoli prima della legge Basaglia, Gaetana fa di tutto per tenerle lontane da quel luogo di orrori che è il manicomio della Senavra. Le tratta da esseri umani, vuole che vivano con lei, tra gli altri, in un ambiente normale. Le povere pazze non sapranno mai che quella dolce donna che le imbocca e le ripulisce è la grande Gaetana Agnesi, genio della matematica, amica dell’imperatrice e del papa. titolare della cattedra di analisi all’università di Bologna. Papà Agnesi, avresti mai immaginato un simile “entourage” per la tua figliola?
L’epoca dei trionfi scientifici è davvero infinitamente lontana. Gaetana ha già cinquantacinque anni quando assume la direzione del Pio Luogo. Ne vivrà ancora ventisei, infaticabile. Non si darà per vinta nemmeno quando la malata sarà lei. “Quel vivere a continuo disagio, e tra tante cure, logorava la salute dell’Agnesi, talché ammalò: invano fu condotta al riposo ed all’aura aperta della campagna, invano si usarono tutte le cure; le sue forze si affievolirono e la sua mente divenne senile: però solo conservava l’immenso sentimento di carità e di religione, pensava nelle ore estreme a Dio ed ai poveri”. Così la citata Enciclopedia. Secondo altri, la sua mente non divenne affatto senile, anzi restò lucida fino all’ultimo giorno, il 9 gennaio 1799.
Gaetana muore col secolo. L’ha visto trascorrere quasi per intero: ha conosciuto il dominio austriaco, gli interregni dei Savoia e degli Spagnoli, le soppressioni religiose, i fervori dell’illuminismo, il primo volo aereo su Milano, la rivoluzione francese, Napoleone, la repubblica cisalpina, ma è sempre rimasta uguale a se stessa. “Accoglieva con pari animo l’ultimo infelice, e il figlio del Re di Svezia che andava a visitarla: allora all’Aio del principe che innanzi partire la chiedeva d’un ricordo, ella rispose un greco proverbio: E meglio creder molto che poco”. Una simile affermazione da parte di un luminare delle scienze esatte farebbe inorridire Cartesio. Ma non Pascal.
Maria Gaetana Agnesi è sorella di Pascal. A distanza di un secolo, le due vicende — salve le dovute modifiche — si somigliano in maniera impressionante. Infanzia prodigio, folgoranti progressi scientifici, gloria, e poi, tra i venti e i trent’anni, il «lascia tutto e seguimi», per sempre. “A quell’età in cui gli altri uomini hanno appena incominciato a nascere, avendo percorso interamente il cerchio delle scienze umane, si avvide del loro nulla, e rivolse i pensieri alla religione...”. Chateaubriand avrebbe potuto ripetere per Gaetana il celebre elogio che scrisse per Pascal.
“La matematica è inutile, nella sua profondità”[vii] Solo il padre della calcolatrice e del principio sull’equilibrio dei liquidi ha il diritto di proferire una simile “bestemmia” scientifica (Gaetana annuisce). Solo dopo aver “percorso interamente il cerchio delle scienze umane” si ha il diritto di proclamare il loro nulla. Alla fine del percorso, il genio rinunciatario dà la mano allo scolaretto svogliato che protesta in partenza: “La matematica è inutile!”. E anche questo un modo di tornare all’infanzia per il regno dei cieli? (Però è simpatico immaginare che don Ramiro e Gaetana si ritrovino nelle accademie celesti a conversare con Pascal della versiera e della cicloide[viii] .
Gaetana Agnesi: “santa tutta milanese”. Cervello e cuore. E lavoro infaticabile. Ma non pare che sia nell’aria un processo di beatificazione. Vi farebbe ostacolo, burocraticamente, anche l’impossibilità di una “ricognizione” del corpo. Gaetana è sepolta chissà dove, in una fossa comune, confusa tra un gruppo di vecchiette del Pio Luogo. Erano le leggi del tempo, quelle che più tardi susciteranno lo sdegno poetico di Ugo Foscolo. “Morire alla Baggina”: i milanesi non sanno figurarsi, proverbialmente, una fine più umile di quella. Ma Gaetana è riuscita a fare anche di più, a scomparire del tutto. “Exinanivit semetipsam”.
La città ha dedicato a Gaetana Agnesi una breve via, fuori Porta Romana. A Ramiro Rampinelli nemmeno quella. C’è solo Via degli Olivetani, a San Vittore. Ma i bei chiostri in cui passeggiava don Ramiro ospitano oggi il Museo della Scienza e della Tecnica, e l’antico Ospedale Maggiore è sede dell’università milanese. A volte, la storia, tra le righe, fa un po’ di giustizia.
[ii] “Mio nonno ha fatto la prima sotto l’Austria”: frase proverbiale dei vecchi milanesi. Significa: posso testimoniare di tempi in cui la scuola e la burocrazia funzionavano. Mentre oggi...
[iii] Stampata a “Fuligno” nel 1836
[iv] Era un’antica regina.
[v] Pare che Ipazia fosse di costumi irreprensibili, ma neppure questo bastò a salvarla dal linciaggio. Filosofa, matematica, astronoma, tarda esponente della cultura pagana, fu massacrata ad Alessandria nel 415 da una folla di cristiani fanatici.
[vi] Il caso Chiesa, che ha dato l’avvio a «Tangentopoli».
[vii]Pascal, Pensées p. 376 cop., sull’ordine logico del pensiero: «Nulle science humaine ne le peut garder. Saint Thomas ne l’a pas gardé. La mathématique le garde, mais elle est inutile en sa profondeur».
[viii] La cicloide o roulette è una curva geometrica, come la versiera. Pascal ne risolse il teorema—un vecchio rompicapo datante dall’antichità — ma altri matematici ne rivendicano l’onore. Lo stesso è successo per la curva della nostra Agnesi (G. Grandi, 1701 o 1703). Altra curiosa coincidenza tra i due destini.
Elena Cristina Bolla