Il sogno delle due colonne

La Devozione a Maria SS.ma e la frequente Comunione salveranno la Chiesa


Tra i sogni di Don Bosco, uno dei più noti è quello conosciuto con il titolo di "Sogno delle due colonne". Lo raccontò la sera del 30 maggio 1862.

"Figuratevi", disse, "di essere con me sulla spiaggia del mare, o meglio sopra uno scoglio isolato, e di non vedere attorno a voi altro che mare. In tutta quella vasta superficie di acque si vede una moltitudine innumerevole di navi ordinate a battaglia, con le prore terminate a rostro di ferro acuto a mo' di strale. Queste navi sono armate di cannoni e cariche di fucili, di armi di ogni genere, di materie incendiarie e anche di libri. Esse avanzano contro una nave molto più grande e alta di tutte, tentando di urtarla con il rostro, di incendiarla e di farle ogni guasto possibile. A quella maestosa nave, arredata di tutto punto, fanno scorta molte navicelle che da lei ricevono ordini ed eseguiscono evoluzioni per difendersi dalla flotta avversaria. Ma il vento è loro contrario, e il mare agitato sembra favorire i nemici.

In mezzo all'immensa distesa del mare si elevano dalle onde due robuste colonne, altissime, poco distanti l'una dall'altra. Sopra di una vi è la statua della Vergine Immacolata, ai cui piedi pende un largo cartello con questa iscrizione: "AUXILIUM CHRISTIANORUM"; sull'altra, che è molto più alta e grossa, sta un'Ostia di grandezza proporzionata alla colonna, e sotto un altro cartello con le parole: "SALUS CREDENTIUM".

Il comandante supremo della grande nave, che è il Romano Pontefice, vedendo il furore dei nemici e il mal partito nel quale si trovano i suoi fedeli, convoca intorno a sé i piloti delle navi secondarie per tenere consiglio [il Concilio Vaticano Primo] e decidere sul da farsi. Tutti i piloti salgono e si radunano intorno al Papa. Tengono consesso, ma infuriando sempre più la tempesta, sono rimandati a governare le proprie navi. Fattasi un po' di bonaccia, il Papa raduna intorno a sé i piloti per la seconda volta [il Concilio Vaticano Secondo], mentre la nave capitana segue il suo corso. Ma la burrasca ritorna spaventosa. II Papa sta al timone e tutti i suoi sforzi sono diretti a portare la nave in mezzo a quelle due colonne, dalla sommità delle quali tutto intorno pendono molte ancore e grossi ganci attaccati a catene. Le navi nemiche tentano di assalirla e farla sommergere: le une con gli scritti, con i libri, con materie incendiarie, che cercano di gettare a bordo; le altre con i cannoni, con i fucili, con i rostri. II combattimento si fa sempre più accanito; ma inutili riescono i loro sforzi: la grande nave procede sicura e franca nel suo cammino. Avviene talvolta che, percossa da formidabili colpi, riporta nei suoi fianchi larga e profonda fessura, ma subito spira un soffio dalle due colonne e le falle si richiudono e i fori si otturano. Frattanto i cannoni degli assalitori scoppiano, i fucili e ogni altra arma si spezzano, molte navi si sconquassano e sprofondano nel mare.

Allora i nemici, furibondi, prendono a combattere ad armi corte: con le mani, con i pugni e con le bestemmie. A un tratto il Papa, colpito gravemente, cade. Subito è soccorso, ma cade una seconda volta e muore. Un grido di vittoria e di gioia risuona tra i nemici; sulle loro navi si scorge un indicibile tripudio. Sennonché, appena morto il Papa, un altro Papa subentra al suo posto. I piloti radunati lo hanno eletto cosi rapidamente che la notizia della morte del Papa giunge con la notizia dell'elezione del suo successore. Gli avversari cominciano a perdersi di coraggio. II nuovo Papa, superando ogni ostacolo, guida la nave in mezzo alle due colonne, quindi con una catena che pende dalla prora la lega a un'ancora della colonna su cui sta l'Ostia, e con un'altra catena che pende a poppa la lega dalla parte opposta a un'altra ancora che pende dalla colonna su cui e collocata la Vergine Immacolata. Allora succede un gran rivolgimento: tutte le navi nemiche fuggono, si disperdono, si urtano, si fracassano a vicenda. Le une si affondano e cercano di affondare le altre, mentre le navi che hanno combattuto valorosamente con il Papa, vengono anch'esse a legarsi alle due colonne. Nel mare ora regna una grande calma."

A questo punto Don Bosco interroga Don Rua: "Che cosa pensi di questo sogno?"

Don Rua risponde: "Mi pare che la nave del Papa sia la Chiesa, le navi gli uomini, il mare il mondo. Quelli che difendono la grande nave sono i buoni, affezionati alla Chiesa; gli altri, i suoi nemici che la combattono con ogni sorta di armi. Le due colonne di salvezza mi sembra che siano la devozione a Maria SS. e al SS. Sacramento dell'Eucaristia."

"Hai detto bene", commenta Don Bosco: "bisogna soltanto correggere un'espressione. Le navi dei nemici sono le persecuzioni. Si preparano gravissimi travagli per la Chiesa. Quello che finora fu, è quasi nulla rispetto a quello che deve accadere. Due soli mezzi restano per salvarsi fra tanto scompiglio: Devozione a Maria SS.ma e frequente Comunione."


Scarica la presentazione

.

La misericordia secondo Papa Francesco

Il discorso di papa Francesco ai parroci di Roma

.

Aula Paolo VI, giovedì 6 marzo 2014

Quando insieme al Cardinale Vicario abbiamo pensato a questo incontro, gli ho detto che avrei potuto fare per voi una meditazione sul tema della misericordia. All'inizio della Quaresima riflettere insieme, come preti, sulla misericordia ci fa bene. Tutti noi ne abbiamo bisogno. E anche i fedeli, perché come pastori dobbiamo dare tanta misericordia, tanta!

Il brano del Vangelo di Matteo che abbiamo ascoltato ci fa rivolgere lo sguardo a Gesù che cammina per le città e i villaggi. E questo è curioso. Qual è il posto dove Gesù era più spesso, dove lo si poteva trovare con più facilità? Sulle strade. Poteva sembrare che fosse un senzatetto, perché era sempre sulla strada. La vita di Gesù era nella strada. Soprattutto ci invita a cogliere la profondità del suo cuore, ciò che Lui prova per le folle, per la gente che incontra: quell'atteggiamento interiore di "compassione", vedendo le folle, ne sentì compassione. Perché vede le persone "stanche e sfinite, come pecore senza pastore". Abbiamo sentito tante volte queste parole che forse non entrano con forza. Ma sono forti! Un po' come tante persone che voi incontrate oggi per le strade dei vostri quartieri… Poi l'orizzonte si allarga, e vediamo che queste città e questi villaggi sono non solo Roma e l'Italia, ma sono il mondo… e quelle folle sfinite sono popolazioni di tanti Paesi che stanno soffrendo situazioni ancora più difficili…

Allora comprendiamo che noi non siamo qui per fare un bell'esercizio spirituale all'inizio della Quaresima, ma per ascoltare la voce dello Spirito che parla a tutta la Chiesa in questo nostro tempo, che è proprio il tempo della misericordia. Di questo sono sicuro. Non è solo la Quaresima; noi stiamo vivendo in tempo di misericordia, da trent'anni o più, fino adesso.

1. Nella Chiesa tutta è il tempo della misericordia.

Questa è stata un'intuizione del beato Giovanni Paolo II. Lui ha avuto il "fiuto" che questo era il tempo della misericordia. Pensiamo alla beatificazione e canonizzazione di Suor Faustina Kowalska; poi ha introdotto la festa della Divina Misericordia. Piano piano è avanzato, è andato avanti su questo.

Nell'Omelia per la Canonizzazione, che avvenne nel 2000, Giovanni Paolo II sottolineò che il messaggio di Gesù Cristo a Suor Faustina si colloca temporalmente tra le due guerre mondiali ed è molto legato alla storia del ventesimo secolo. E guardando al futuro disse: «Che cosa ci porteranno gli anni che sono davanti a noi? Come sarà l'avvenire dell'uomo sulla terra? A noi non è dato di saperlo. E' certo tuttavia che accanto a nuovi progressi non mancheranno, purtroppo, esperienze dolorose. Ma la luce della divina misericordia, che il Signore ha voluto quasi riconsegnare al mondo attraverso il carisma di suor Faustina, illuminerà il cammino degli uomini del terzo millennio». E' chiaro. Qui è esplicito, nel 2000, ma è una cosa che nel suo cuore maturava da tempo. Nella sua preghiera ha avuto questa intuizione.

Oggi dimentichiamo tutto troppo in fretta, anche il Magistero della Chiesa! In parte è inevitabile, ma i grandi contenuti, le grandi intuizioni e le consegne lasciate al Popolo di Dio non possiamo dimenticarle. E quella della divina misericordia è una di queste. E' una consegna che lui ci ha dato, ma che viene dall'alto. Sta a noi, come ministri della Chiesa, tenere vivo questo messaggio soprattutto nella predicazione e nei gesti, nei segni, nelle scelte pastorali, ad esempio la scelta di restituire priorità al sacramento della Riconciliazione, e al tempo stesso alle opere di misericordia. Riconciliare, fare pace mediante il Sacramento, e anche con le parole, e con le opere di misericordia.

2. Che cosa significa misericordia per i preti?

Mi viene in mente che alcuni di voi mi hanno telefonato, scritto una lettera, poi ho parlato al telefono… "Ma Padre, perché Lei ce l'ha con i preti?". Perché dicevano che io bastono i preti! Non voglio bastonare qui…

Domandiamoci che cosa significa misericordia per un prete, permettetemi di dire per noi preti. Per noi, per tutti noi! I preti si commuovono davanti alle pecore, come Gesù, quando vedeva la gente stanca e sfinita come pecore senza pastore. Gesù ha le "viscere" di Dio, Isaia ne parla tanto: è pieno di tenerezza verso la gente, specialmente verso le persone escluse, cioè verso i peccatori, verso i malati di cui nessuno si prende cura… Così a immagine del Buon Pastore, il prete è uomo di misericordia e di compassione, vicino alla sua gente e servitore di tutti. Questo è un criterio pastorale che vorrei sottolineare tanto: la vicinanza. La prossimità e il servizio, ma la prossimità, la vicinanza!… Chiunque si trovi ferito nella propria vita, in qualsiasi modo, può trovare in lui attenzione e ascolto… In particolare il prete dimostra viscere di misericordia nell'amministrare il sacramento della Riconciliazione; lo dimostra in tutto il suo atteggiamento, nel modo di accogliere, di ascoltare, di consigliare, di assolvere… Ma questo deriva da come lui stesso vive il sacramento in prima persona, da come si lascia abbracciare da Dio Padre nella Confessione, e rimane dentro questo abbraccio… Se uno vive questo su di sé, nel proprio cuore, può anche donarlo agli altri nel ministero. E vi lascio la domanda: Come mi confesso? Mi lascio abbracciare? Mi viene alla mente un grande sacerdote di Buenos Aires, ha meno anni di me, ne avrà 72… Una volta è venuto da me. E' un grande confessore: c'è sempre la coda lì da lui… I preti, la maggioranza, vanno da lui a confessarsi… E' un grande confessore. E una volta è venuto da me: "Ma Padre…", "Dimmi", "Io ho un po' di scrupolo, perché io so che perdono troppo!"; "Prega… se tu perdoni troppo…". E abbiamo parlato della misericordia. A un certo punto mi ha detto: "Sai, quando io sento che è forte questo scrupolo, vado in cappella, davanti al Tabernacolo, e Gli dico: Scusami, Tu hai la colpa, perché mi hai dato il cattivo esempio! E me ne vado tranquillo…". E' una bella preghiera di misericordia! Se uno nella Confessione vive questo su di sé, nel proprio cuore, può anche donarlo agli altri.

Il prete è chiamato a imparare questo, ad avere un cuore che si commuove. I preti - mi permetto la parola - "asettici" quelli "di laboratorio", tutto pulito, tutto bello, non aiutano la Chiesa. La Chiesa oggi possiamo pensarla come un "ospedale da campo". Questo scusatemi lo ripeto, perché lo vedo così, lo sento così: un "ospedale da campo". C'è bisogno di curare le ferite, tante ferite! Tante ferite! C'è tanta gente ferita, dai problemi materiali, dagli scandali, anche nella Chiesa... Gente ferita dalle illusioni del mondo… Noi preti dobbiamo essere lì, vicino a questa gente. Misericordia significa prima di tutto curare le ferite. Quando uno è ferito, ha bisogno subito di questo, non delle analisi, come i valori del colesterolo, della glicemia… Ma c'è la ferita, cura la ferita, e poi vediamo le analisi. Poi si faranno le cure specialistiche, ma prima si devono curare le ferite aperte. Per me questo, in questo momento, è più importante. E ci sono anche ferite nascoste, perché c'è gente che si allontana per non far vedere le ferite… Mi viene in mente l'abitudine, per la legge mosaica, dei lebbrosi al tempo di Gesù, che sempre erano allontanati, per non contagiare… C'è gente che si allontana per la vergogna, per quella vergogna di non far vedere le ferite… E si allontanano forse un po' con la faccia storta, contro la Chiesa, ma nel fondo, dentro c'è la ferita… Vogliono una carezza! E voi, cari confratelli - vi domando - conoscete le ferite dei vostri parrocchiani? Le intuite? Siete vicini a loro? E' la sola domanda…

3. Misericordia significa né manica larga né rigidità.

Ritorniamo al sacramento della Riconciliazione. Capita spesso, a noi preti, di sentire l'esperienza dei nostri fedeli che ci raccontano di aver incontrato nella Confessione un sacerdote molto "stretto", oppure molto "largo", rigorista o lassista. E questo non va bene. Che tra i confessori ci siano differenze di stile è normale, ma queste differenze non possono riguardare la sostanza, cioè la sana dottrina morale e la misericordia. Né il lassista né il rigorista rende testimonianza a Gesù Cristo, perché né l'uno né l'altro si fa carico della persona che incontra. Il rigorista si lava le mani: infatti la inchioda alla legge intesa in modo freddo e rigido; il lassista invece si lava le mani:solo apparentemente è misericordioso, ma in realtà non prende sul serio il problema di quella coscienza, minimizzando il peccato. La vera misericordia si fa carico della persona, la ascolta attentamente, si accosta con rispetto e con verità alla sua situazione, e la accompagna nel cammino della riconciliazione. E questo è faticoso, sì, certamente. Il sacerdote veramente misericordioso si comporta come il Buon Samaritano… ma perché lo fa? Perché il suo cuore è capace di compassione, è il cuore di Cristo!

Sappiamo bene che né il lassismo né il rigorismo fanno crescere la santità. Forse alcuni rigoristi sembrano santi, santi… Ma pensate a Pelagio e poi parliamo… Non santificano il prete, e non santificano il fedele, né il lassismo né il rigorismo! La misericordia invece accompagna il cammino della santità, la accompagna e la fa crescere… Troppo lavoro per un parroco? E' vero, troppo lavoro! E in che modo accompagna e fa crescere il cammino della santità? Attraverso la sofferenza pastorale, che è una forma della misericordia. Che cosa significa sofferenza pastorale? Vuol dire soffrire per e con le persone. E questo non è facile! Soffrire come un padre e una madre soffrono per i figli; mi permetto di dire, anche con ansia…

Per spiegarmi faccio anche a voi alcune domande che mi aiutano quando un sacerdote viene da me. Mi aiutano anche quando sono solo davanti al Signore!

Dimmi: Tu piangi? O abbiamo perso le lacrime? Ricordo che nei Messali antichi, quelli di un altro tempo, c'è una preghiera bellissima per chiedere il dono delle lacrime. Incominciava così, la preghiera: "Signore, Tu che hai dato a Mosè il mandato di colpire la pietra perché venisse l'acqua, colpisci la pietra del mio cuore perché le lacrime…": era così, più o meno, la preghiera. Era bellissima. Ma, quanti di noi piangiamo davanti alla sofferenza di un bambino, davanti alla distruzione di una famiglia, davanti a tanta gente che non trova il cammino?… Il pianto del prete… Tu piangi? O in questo presbiterio abbiamo perso le lacrime?

Piangi per il tuo popolo? Dimmi, tu fai la preghiera di intercessione davanti al Tabernacolo?

Tu lotti con il Signore per il tuo popolo, come Abramo ha lottato: "E se fossero meno? E se fossero 25? E se fossero 20?..." (cfr Gen 18,22-33). Quella preghiera coraggiosa di intercessione… Noi parliamo di parresia, di coraggio apostolico, e pensiamo ai piani pastorali, questo va bene, ma la stessa parresia è necessaria anche nella preghiera. Lotti con il Signore? Discuti con il Signore come ha fatto Mosè? Quando il Signore era stufo, stanco del suo popolo e gli disse: "Tu stai tranquillo… distruggerò tutti, e ti farò capo di un altro popolo". "No, no! Se tu distruggi il popolo, distruggi anche a me!". Ma questi avevano i pantaloni! E io faccio la domanda: Noi abbiamo i pantaloni per lottare con Dio per il nostro popolo?

Un'altra domanda che faccio: la sera, come concludi la tua giornata? Con il Signore o con la televisione?

Com'è il tuo rapporto con quelli che aiutano ad essere più misericordiosi? Cioè, com'è il tuo rapporto con i bambini, con gli anziani, con i malati? Sai accarezzarli, o ti vergogni di accarezzare un anziano?

Non avere vergogna della carne del tuo fratello (cfr Reflexiones en esperanza, I cap.). Alla fine, saremo giudicati su come avremo saputo avvicinarci ad "ogni carne" – questo è Isaia. Non vergognarti della carne di tuo fratello. "Farci prossimo": la prossimità, la vicinanza, farci prossimo alla carne del fratello. Il sacerdote e il levita che passarono prima del buon samaritano non seppero avvicinarsi a quella persona malmenata dai banditi. Il loro cuore era chiuso. Forse il prete ha guardato l'orologio e ha detto: "Devo andare alla Messa, non posso arrivare in ritardo alla Messa", e se n'è andato. Giustificazioni! Quante volte prendiamo giustificazioni, per girare intorno al problema, alla persona. L'altro, il levita, o il dottore della legge, l'avvocato, disse: "No, non posso perché se io faccio questo domani dovrò andare come testimone, perderò tempo…". Le scuse!… Avevano il cuore chiuso. Ma il cuore chiuso si giustifica sempre per quello che non fa. Invece quel samaritano apre il suo cuore, si lascia commuovere nelle viscere, e questo movimento interiore si traduce in azione pratica, in un intervento concreto ed efficace per aiutare quella persona.

Alla fine dei tempi, sarà ammesso a contemplare la carne glorificata di Cristo solo chi non avrà avuto vergogna della carne del suo fratello ferito ed escluso.

Io vi confesso, a me fa bene, alcune volte, leggere l'elenco sul quale sarò giudicato, mi fa bene: è in Matteo 25.

Queste sono le cose che mi sono venute in mente, per condividerle con voi. Sono un po' alla buona, come sono venute… [Il cardinale Vallini: "Un bell'esame di coscienza"] Ci farà bene. [applausi]

A Buenos Aires – parlo di un altro prete – c'era un confessore famoso: questo era Sacramentino. Quasi tutto il clero si confessava da lui. Quando, una delle due volte che è venuto, Giovanni Paolo II ha chiesto un confessore in Nunziatura, è andato lui. E' anziano, molto anziano… Ha fatto il Provinciale nel suo Ordine, il professore… ma sempre confessore, sempre. E sempre aveva la coda, lì, nella chiesa del Santissimo Sacramento. In quel tempo, io ero Vicario generale e abitavo nella Curia, e ogni mattina, presto, scendevo al fax per guardare se c'era qualcosa. E la mattina di Pasqua ho letto un fax del superiore della comunità: "Ieri, mezz'ora prima della Veglia Pasquale, è mancato il padre Aristi, a 94 – o 96? – anni. Il funerale sarà il tal giorno…". E la mattina di Pasqua io dovevo andare a fare il pranzo con i preti della casa di riposo - lo facevo di solito a Pasqua -, e poi – mi sono detto - dopo pranzo andrò alla chiesa. Era una chiesa grande, molto grande, con una cripta bellissima. Sono sceso nella cripta e c'era la bara, solo due vecchiette lì che pregavano, ma nessun fiore. Io ho pensato: ma quest'uomo, che ha perdonato i peccati a tutto il clero di Buenos Aires, anche a me, nemmeno un fiore… Sono salito e sono andato in una fioreria – perché a Buenos Aires agli incroci delle vie ci sono le fiorerie, sulle strade, nei posti dove c'è gente – e ho comprato fiori, rose… E sono tornato e ho incominciato a preparare bene la bara, con fiori... E ho guardato il Rosario che avevo in mano… E subito mi è venuto in mente - quel ladro che tutti noi abbiamo dentro, no? -, e mentre sistemavo i fiori ho preso la croce del Rosario, e con un po' di forza l'ho staccata. E in quel momento l'ho guardato e ho detto: "Dammi la metà della tua misericordia". Ho sentito una cosa forte che mi ha dato il coraggio di fare questo e di fare questa preghiera! E poi, quella croce l'ho messa qui, in tasca. Le camicie del Papa non hanno tasche, ma io sempre porto qui una busta di stoffa piccola, e da quel giorno fino ad oggi, quella croce è con me. E quando mi viene un cattivo pensiero contro qualche persona, la mano mi viene qui, sempre. E sento la grazia! Sento che mi fa bene. Quanto bene fa l'esempio di un prete misericordioso, di un prete che si avvicina alle ferite…

Se pensate, voi sicuramente ne avete conosciuti tanti, tanti, perché i preti dell'Italia sono bravi! Sono bravi. Io credo che se l'Italia ancora è tanto forte, non è tanto per noi Vescovi, ma per i parroci, per i preti! E' vero, questo è vero! Non è un po' d'incenso per confortarvi, lo sento così.

La misericordia. Pensate a tanti preti che sono in cielo e chiedete questa grazia! Che vi diano quella misericordia che hanno avuto con i loro fedeli. E questo fa bene.

Grazie tante dell'ascolto e di essere venuti qui.

.

500 anni fa il miracolo di Cannobio

Cannobio. all'estremo confine della Diocesi di Novara, sul Lago Maggiore, ultimo Comune italiano prima di accedere alla Svizzera, è il luogo dove cinque secoli fa. nel 1522, si sono verificati fatti prodigiosi. La sera dell'8 gennaio 1522. un mercoledì, in una fredda notte d'inverno nell'abitazione di Tommaso Zaccheo, in una stanza al piano primo un grido di una tredicenne, Antonietta, ha cambiato la storia del, paese e non solo: "Misericordia!" La giovane vede prendere vita le figure rappresentate su di un piccolo quadro dedicato alta SS. Pietà (San Giovanni Evangelista, Gesù Cristo e Maria) posto sopra una cassapanca.

Di quanto accaduto è data testimonianza non solo negli scritti di storici locali ma anche, e soprattutto, in atti rogati nell'immediatezza dei fatti. Immediato il clamore del fatto prodigioso e il concorso della popolazione. Ecco il prodigio: sangue ed acqua fuoriuscivano dagli occhi delle tre figure che, in alcuni momenti, lo riferiscono i testimoni, parevano prendere sembianze vive distaccandosi dal quadro. Il miracolo si ripete, ed ed il 9 gennaio dal costato di Gesù Cristo fuoriesce un frammento di costa che ricade sulla cassapanca: si tratta della venerata "Sacra Costa". Il prezioso reliquiario d'argento donato dal cardinale Federico Borromeo nel 1605 oggi custodisce la reliquia nella chiesa collegiata di San Vittore Martire dell'antica Pieve ambrosiana di Cannobio, Il miracolo, con l'effusione di sangue ed acqua, si rinnova sei volte: l'8, il 9, il 10 e il 28 gennaio ed il 4 e 27 febbraio 1522. Molte le reliquie custodite presso il Santuario: si tratta dei preziosi panni, ancora intrisi di sangue, con i quali è stata raccolta la 'Sacra Costa" durante i sei episodi prodigiosi.

Il mistero del Miracolo della SS. Pietà di Cannobio rappresenta una straordinaria esperienza di fede in cui trovano piena sintesi elementi di devozione e tradizione popolare, come il rito del "bacio" e quello della "cena storica" in cui migliaia di persone, un'intera comunità cristiana si riconoscono nella fede e manifestano il proprio Credo. Oltre 10.000 lumini rossi, simbolo del sangue e del martirio, illuminano il paese mentre la luce pubblica viene spenta, alle finestre e sui balconi compaiono gesti di devozione e fede: è la notte dei lumineri, antiche lampade cinquecentesche. Le barche dei pescatori "scortano" la processione ed accolgono la "benedizione del lago".

Quest'immagine della Pietà di Cannobio, le reliquie e La "Sacra Costa" sono presenza viva per ricordare a ciascuno di noi l'amore di Cristo. Noi non siamo soltanto seguaci di un Dio per noi, tipica concezione paganeggiante della divinità, ma abbiamo un Dio con noi, che si rivela nel Verbo che si fa Carne e si dona a noi.

.

 


Torna indietro