CONTICUERE OMNES...

 

Alla dottoressa Elena Cristina Bolla

 

Tacquero tutti, il padre Enea fissando

nel volto suo, pendendo dal suo labbro;

dall'alto scranno ei prese a dir così:

"Regina, chiedi a me ch'io rinnovelli

dolore disperato, vuoi che dica

in quale modo i Danai han distrutto

di Troia le ricchezze ed il dominio

degno di pianto, e le assai tristi cose

ch'io vidi e di cui fui protagonista.

Chi tratterebbe il pianto, tali cose

rinnovellando, fosse pur Mirmidone

o Dolope, o guerrier del duro Ulisse?

E già l'umida notte giù dal cielo

precipitando va, le stelle al sonno

c'invitano. Ma se davver ti piace

saper i casi nostri ed ascoltare

in breve d'Ilio l'ultima sciagura,

benché l'animo mio s'inorridisca

a rimembrar, e innanzi a tanto lutto

rifugga, inizierò. Dei Danai i duci,

prostrati dalla guerra o via respinti

dai Fati, dopo tanti e tanti anni,

fan, con l'aiuto di Minerva, un grande

cavallo mostruoso, pari a un monte,

con tavole d'abete i larghi fianchi

connettono, come se fosse un dono

per un certo ritorno. Di nascosto

negli intestini oscuri del cavallo

entrare fan soldati molto scelti,

decisi con la sorte, con tal squadra

riempiendo le profonde e vuote viscere.

Ténedo sorge innanzi a Troia, isola

ben nota e molto ricca, finché il regno

priamide saldo fu, ma or malsicuro

approdo; i Greci scendon dalle navi

colà, ascondendo sé nel vuoto lido.

Credemmo noi che fossero partiti

verso Micene col favor del vento.

Esce dal lungo lutto immantinente

la Troade intera, gli usci spalanchiamo;

oh, com'è bello andar liberi ovunque

a visitar gli accampamenti dorici,

la piana vacua, il lito abbandonato!

"Qui avean le tende i Dolopi, ed il fero

Achille s'accampava proprio qui,

qui in secco i loro scafi trascinavan,

ed usualmente là venian a pugna!"

Mirano alcuni, stupefatti, il dono 

fatale per la Vergine Minerva,

e ammirano la stazza del cavallo.

Timete primo azzarda di portarlo

Dentro le mura, e porlo sulla rocca

Per noi tradire, e per assecondare

Il volere dei Fati. Invece Capi

ed altri, ben più accortamente, il dono

insidioso dei Greci in mar consigliano

di gettare o di ardere, e che i fianchi

suoi sian squarciati, e il ventre suo sondato

fin nel profondo. Fra questi pareri

opposti si divide la gran turba.

Allora con gran seguito, furioso,

Laocoonte piomba giù dall'alto

dell'arce, e da ben lungi grida: "O miseri

concittadini, qual follia è la vostra?

Credete che i nemici sian partiti

davvero? E i doni lor non sian fallaci?

Fra voi sì è noto Ulisse? O questo cavo

simulacro di legno è pien d'Argivi,

o il meccanismo è fatto per spiare

di là dai muri, fin le munizioni

e dentro i nostri vani, e per piombare

sulla città dall'alto, o ancor c'è sotto

qualch'altra furberia; deh, diffidate,

Troiani, del caval: sia quel che sia!

I Greci io temo, pur se portan doni!"

Sì detto, una grand'asta assai veemente

lanciò sul ventre curvo del cavallo

di legno: l'asta infissesi oscillando,

le vacue cavità mandarô un gemito,

dal fianco tempestato rimbombando.

Ah, se non fosser stati i Fati avversi

ed accecati i senni nostri, allora

ci  avrebbe persuaso Laocoonte

a fare a pezzi i greci nascondigli;

adesso, Troia, ancor saresti in piedi,

e tu, rocca priamea, staresti alta!...

(Eneide. Libro II, vv. 1-56, trad. del sottoscritto)


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