La Mappa di Vinland, il documento che avrebbe dovuto testimoniare «nero su bianco» che i Vichinghi arrivarono in America prima di Colombo, è un falso. Questa l’ultima sentenza sul celebre reperto conservato alla Yale University, che da 35 anni è oggetto di feroci dispute tra gli specialisti. A determinare l’ultima bocciatura sono state le analisi condotte da un gruppo di scienziati inglesi della University College, guidati da Robin Clark, che hanno preso in esame una particolare sostanza presente nell’inchiostro utilizzato da chi disegnò la mappa. Le analisi avrebbero dimostrato che la pergamena su cui è disegnata la mappa è effettivamente del XV secolo, ma il disegno raffigurante un tratto di costa canadese sarebbe stato eseguito nel XX secolo e più precisamente in una data successiva agli anni Venti, quando sul mercato divenne disponibile l’anatase, una forma cristallina di biossido di titanio, impiegato come pigmento bianco.
Apparentemente la condanna della Mappa di Vinland può sembrare definitiva, ma c’è da scommettere che non sarà così dato che il documento è stato valutato 20-25 milioni di dollari e di certo la Yale University non si arrenderà tanto facilmente alla sconfitta.
In realtà le possibilità di appello ci sono, perché proprio l’anatase è stato oggetto di precedenti analisi che hanno sempre portato a conclusioni contrastanti. Il primo a prendere in considerazione questa forma cristallina piuttosto rara di biossido di titanio fu Walter McCrone, un esperto nell’analisi delle «polveri fini», che negli anni Settanta vide proprio nella presenza dell’anatase la prova della falsificazione.
Negli anni Ottanta, però, Thomas Cahill, un fisico dell’università di California a Davis, ribaltò il verdetto sostenendo con sofisticatissime analisi che le minime tracce di titanio rilevate sulla mappa erano perfettamente compatibili con l’ipotesi che la mappa fosse stata realizzata attorno al 1440, cioè circa mezzo secolo prima dello sbarco di Colombo.
Il punto su cui ora si è aperto un nuovo fronte è sempre l’anatase ma questa volta sotto accusa è la sua presenza nell’alone giallastro che compare ai bordi dei tratti neri del disegno e della didascalia che l’accompagna. Secondo i nuovi accusatori, il falsario del XX secolo prima disegnò quest’alone giallognolo e poi le linee di inchiostro nero che avrebbero dovuto produrlo come risultato della presenza di ferro nell’inchiostro stesso. Interessante notare che l’attenzione per la mappa di Vinland non è mai calata, neppure dopo che sono state trovate prove indiscutibili della presenza vichinga in America ben prima dell’arrivo di Colombo. Evidentemente i 25 milioni di dollari hanno un peso maggiore dei resti del villaggio vichingo trovato a Terranova.
Secondo alcuni fu un gesuita austriaco, padre Joseph Fischer ( foto a sinistra) - morto nel ’44 a 86 anni - il falsario della «carta del Vinland», fino al mese scorso datata XV secolo e ritenuta una prova dello sbarco dei vichinghi in Nord America. Ieri, sul domenicale britannico The Sunday Times , Kirsten Seaver, esperta di esplorazioni, ha spiegato che padre Fischer disegnò la carta 70 anni fa, su una pergamena strappata da un volume del 1440: la grafia sulla carta corrisponde a quella di padre Fischer.
I vichinghi nel Sudamerica?
Una domanda sorge immediatamente: i Vichinghi, dopo essersi portati fino all'estremo nord dell'America, non potrebbero aver avuto l'idea di avventurarsi nelle terre del sud ? Dopo tutto, la curiosità essendo quello che è, sarebbe stata un comportamento assolutamente naturale.
Per taluni autori, la moneta scoperta nel 1955 da due archeologi dilettanti in un sito indiano nel Maine, costituisce una prova sufficiente di questo percorso. Periziata nel 1982, la moneta rivela effettivamente la sua origine vichinga, battuta in Norvegia sotto il regno di Olaf Kyrre (1066-1093). Bucata sul bordo, dovette servire da amuleto all'Indiano che la portava. Ma un'unica monetina, per di più di poco valore, è sufficiente per dimostrare che i Vichinghi si siano spostati fino al luogo della sua scoperta ? Certamente no. Nessun sito di tipo scandinavo evidenziato nelle vicinanze fa pensare che questa moneta fu data ad un'Indiano nell'ambito di uno scambio.
Nel 1930, si trovò a Beardmore, in Ontario, un'autentica spada vichinga. Ahimè! Era arrivata lì dieci anni prima! Ci fu anche la "pietra runica di Kensington", nel Minnesota. Ma, a parte Alf Mongé ed il Dr Landsverk, tutti gli esperti assicurano che è un falso...
Per Jacques de Mahieu, "professore all'università di Buenos Aires, antropologo, economista, sociologo, storico" (!), i Vichinghi non solo sono andati fino in America Centrale, ma sono anche sbarcati in Amazonia. L'eminente personaggio ha fatto delle ricostruzioni assolutamente fantastiche delle spedizioni in America del Sud, facendo, pagina dopo pagina, degli accostamenti azzardati che solo un neofita può confondere con "erudizione". Per Mahieu non c'è spazio per la contestazione : "nell'anno 967 della nostra era, all'incirca 700 Vichinghi dei due sessi sbarcarono da sette drakkar sulle coste del Messico". Da lì provengono la "mitologia solare, un'organizzazione politica, valori morali, conoscenze scientifiche e tecniche, innumerevoli termini danesi, tedeschi ed anglo-sassoni ancora usati dagli Indiani all'inizio del secolo scorso"!! Tutto ciò, naturalmente, senza che si sia ritrovata la minima traccia archeologica del loro passaggio... Il distinto professore finirà addirittura per considerare che prima di Colombo "tutti andavano in America": tutti, compresi, come lo si può indovinare, i Templari (perché mai?!). Colombo non avrebbe d'altronde alcun merito: la mappa dell'America, l'aveva rubata!
L'ipotesi dei viaggi meridionali ed equatoriali dei Vichinghi meriterebbe senz'altro qualcosa di meglio dei romanzi immaginati da bislacchi di questo genere. Se, cosa possibile, fosse un giorno confermata, certe credenze di cui i Precolombiani si impregnarono (come lo stupefacente mito di Quetzalcoatl, il "dio bianco barbuto", il cui ritorno "annunciato" avrebbe causato la rovina dei Messicani) troverebbero una spiegazione razionale. Ma non è necessario che una credenza abbia bisogno di un elemento positivo per nascere e prosperare, né che sia stata quella che crediamo essere stata. Bisogna comunque riconoscere che allo stato attuale delle ricerche, siamo ben lungi dall'aver progredito su questo punto.
Celti, Fenici e... Neanderthal
E prima dei Vichinghi? Prima si nuota in un mare di supposizioni...
Come Heyerdhal o Ragnar Thorseth per i Vichinghi, Tim Severin ha dimostrato che si poteva attraversare l'Atlantico a bordo di imbarcazioni fragili, come le coracli degli Irlandesi dell'Alto Medioevo (pelli cucite sopra un'armatura di legno). Ma l'exploit sportivo non è una garanzia, tanto più che Severin, lui sì, sapeva dove andava...
Louis Kevran tentò di dimostrare che Santo Brandan, il più famoso "monaco-navigatore" del Medioevo, aveva realmente compiuto i viaggi che gli sono attribuiti da narrazioni tardive, scritte, le più recenti, tre secoli dopo la sua morte (ossia nel IX° sec.). Egli pensò che il santo uomo avesse raggiunto l'America alla ricerca del Paradiso. Perché no, ovviamente? Un'avventura solitaria, anche se resa incerta dalle difficoltà tecniche che genera, è sempre possibile e può condurre a Cuba o alle Canarie. Ma la foschia agiografica e metaforica che avvolge i testi, la costante imprecisione geografica che ne risulta (e che, contrariamente alle saghe scandinave, lascia libero sfogo ad ogni fantasia senza garantirne alcuna), l'assenza di fatti materiali a sostegno di tali spedizioni, sono elementi che per ora autorizzano a dubitare della realtà di questi viaggi.
Per quanto riguarda le tracce di spedizioni precedenti (condotte dai Celti, per esempio), è poco dire che sono tenui. Qualche autore, il cui spirito d'avventura non ha nulla da invidiare ai navigatori dei quali descrivono le peregrinazioni, non ha ovviamente avuto alcuna remora nello spiegare l'agevolezza di queste antiche traversate transoceaniche con la presenza opportuna dello scalo dell'Atlantide, in pieno oceano... E' inutile risponder loro.
Come sempre accade quando si approda alle rive scivolose delle ricostituzioni ipotetiche, ci furono anche dei millantatori. Ad esempio il fumoso Cyrus Gordon che, dopo aver "dimostrato" che gli Ebrei si erano recati in America dopo la loro partenza dalla Palestina, scovò la riproduzione di un testo fenicio scolpito su una stele di Pouso Alto, in Brasile... guardandosi bene di avvertire i suoi lettori che si trattava di un falso monumentale, del quale fu vittima nel secolo scorso il direttore del Museo Nazionale di Rio de Janeiro, il Dr Netto!
Chi altro? I Cinesi? Gli Oceani? La via del Pacifico, nel corso del I° millennio antecedente la nostra era, è un'ipotesi probabile, a dire dei botanici (la patata è comune all'America e alla Polinesia ed il cotone all'Asia e all'America Centrale e del Sud). Ma quanto a precisare la natura e la qualità dei nessi, ce ne vuole...
I veri scopritori dell'America sono in realtà molto più antichi. Sono semplicemente i primi migranti che hanno popolato il continente americano. Li si dimentica sempre. "Semplicemente" non è d'altronde la giusta espressione, poiché si esita a pronunciarsi con certezza sulla data esatta del loro arrivo, nonché sulla loro origine. Niente è sempre semplice. Fino alla fine degli anni 80, gli "specialisti" optavano per un popolamento iniziale di origine mongoloide che facevano risalire al -12000 ca.. Dalle scoperte fatte in Brasile da Niède Guidon e Georgette Delibrias, i primi esploratori sono molto "invecchiati": adesso si stima che siano venuti dall'Asia, ma certamente anche dalla Polinesia, verso il -40000 (durante la "glaciazione del Wurm"), attraversando a piedi lo stretto di Behring.
Quanto tempo potrà durare questa datazione? Certi la rimandano già a -70000 anni. L'Uomo di Neanderthal primo predecessore di Colombo?
Vigna o praterie?
Per meglio respingere l'idea di un tentativo di colonizzazione precoce dell'America da parte dei Vichinghi, certi autori hanno contestato l'origine della parola "Vinland" (correntemente tradotta con "Paese della Vigna") che si trova in almeno cinque saghe. La vigna selvaggia non può esistere sotto tali latitudini! Bisognerebbe preferirle l'accezione più saggia di "Paese delle Praterie". E' una questione di "i": se è una "i lunga", si tratta certamente della vigna, se è una "i breve", bisogna tradurre con "prateria". La storia della vigna ricorderebbe "troppo" quello che si trova nella Bibbia (in terra di Canaan). Le "querelle" linguistiche possono durare all'infinito, ma una cosa è certa: la presenza della vigna in queste aree è attestata dai sopralluoghi che vennero effettuati nel luglio 1534 dall'esploratore francese Jacques Cartier.