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Henri Poincaré (1854-1912)"Il diffondersi di una consapevolezza convenzionalistica tra i fisici del nostro secolo è la premessa della vittoria conseguita dalla rivoluzione einsteiniana e da quella quantistica" (Geymonat, Scienza e realismo, p. 62)

Henri Poincaré (1854-1912), forse l'ultimo matematico universale, personalità scientifica poliedrica, fu protagonista di un grande progetto culturale che lo rese una vera e propria celebrità, tanto che i suoi scritti varcarono l'angusta cerchia degli addetti ai lavori raggiungendo tirature del tutto ragguardevoli. Le sue elaborazioni nell'ambito della filosofia scientifica ne fanno un iniziatore dell'epistemologia insieme a Mach e a Pierre Duhem.

Sono principalmente tre le opere in cui il grande matematico espone la sua concezione della scienza: La scienza e l'ipotesi (1902), Il valore della scienza (1904) e Scienza e metodo (1908).

Nel primo capitolo di La scienza e l'ipotesi, Poincaré enuncia una tesi già esposta in un articolo del 1894, vale a dire che alla base del pensiero matematico (non geometrico) sta il ragionamento per ricorrenza, il principio di induzione matematica. "Se un teorema è vero per il numero 1, e se è dimostrato vero per n+1, purché lo sia per n, allora sarà vero per tutti i numeri interi positivi".

È il principio che consente il passaggio dal particolare al generale, dal finito all'infinito: la sua forza è tanto evidente che senza di esso "non esisterebbe scienza, perché non si avrebbe niente di generale" .

Qual è però l'origine di tale principio e da dove trae la sua irresistibile cogenza? "Questa regola è inaccessibile alla dimostrazione analitica e all'esperienza, è il vero tipo di giudizio sintetico a priori". È quindi l'intuizione il vero fondamento del pensiero matematico.

Diversamente dall'induzione empirica che non è mai certa, quella matematica ha il carattere della necessità, e si fonda su una proprietà del nostro spirito, non può essere considerata una mera convenzione come sono invece i postulati della geometria. Qui si scosta decisamente dalla tesi kantiana del carattere sintetico a priori degli enunciati geometrici. La scoperta delle geometrie non euclidee. impone a Poincaré di mettere in discussione la posizione kantiana: mentre non ci è possibile concepire una proposizione contraria al principio di induzione matematica e costruirvi sopra un edificio teorico, questo è stato possibile con gli assiomi euclidei. Tali assiomi non sono quindi sintetici a priori, ma neppure analitici "perché sarebbe impossibile sottrarvisi e fondare alcunché sulla loro negazione". Né d'altronde si può sostenere, come avevano fatto Newton e Gauss, che sono verità sperimentali, perché altrimenti avrebbe il carattere di incertezza, non sarebbe cioè una scienza esatta. Gli assiomi della geometria sono quindi convenzioni, delle convenzioni la cui scelta è "guidata da fatti sperimentali, ma resta libera ed è limitata solo dalla necessità di evitare contraddizioni". La scelta tra i vari sistemi geometrici è analoga alla scelta tra vari sistemi linguistici intertraducibili. Sarà comunque un criterio pragmatico a guidarci verso l'opzione più opportuna. Allo stesso modo, gli assiomi della meccanica sono convenzioni, ma non sono tuttavia leggi arbitrarie.

L'esponente più radicale della "nuova critica della scienza" fu il matematico francese Edouard Le Roy, il quale avanzò una forma di convenzionalismo nominalistica, seguendo la quale la scienza ha solo un valore strumentale di regola d'azione; gli stessi fatti scientifici sono una pura creazione degli scienziati, solo i "fatti bruti" manifesterebbero il carattere di oggettività. Poincaré scende apertamente in campo contro questa forma di convenzionalismo estremo, criticando e lasciando la distinzione tra fatto bruto e fatto scientifico: ogni fatto, egli sostiene, è una "creazione del nostro spirito". Per dire se un fatto è vero oppure no, occorre essere a conoscenza delle convenzioni in base a cui la domanda acquista un senso preciso. Un fatto scientifico è semplicemente la traduzione di un enunciato bruto in un enunciato espresso in un linguaggio più comodo. Lo scienziato è creatore rispetto alle regole del linguaggio che usa, all'esperienza però resta il compito di rispondere una volta che la domanda è stata formulata.

Duhem polemizzerà con Poincaré su questo punto, avanzando una posizione convenzionalistica più marcata: il compito dello scienziato e la sua creatività non si limitano all'elaborazione del linguaggio, ma investono anche l'ambito teorico. Quando si introducono nuovi termini come "carica elettrica" o "forza gravitazionale" siamo di fronte a una nuova teoria fisica.

Il positivismo che sottende la concezione di Poincaré emerge nell'istanza antimetafisica: la scienza non ci disvela la vera essenza della realtà. Ha tuttavia una portata conoscitiva e si caratterizza come relazionale: non possiamo conoscere gli oggetti, ma solo le loro relazioni. Ed è proprio questa la funzione delle teorie fisiche: mettere in luce tali rapporti. Dall'insieme di questi rapporti scaturisce, secondo il matematico, un'armonia universale, sorgente di ogni bellezza. Non è questa una realtà in sé, perché non può essere indipendente da uno spirito che la pensi, ma ha comunque il carattere dell'oggettività perché può essere comune a tutti gli esseri pensanti.

Anzi le teorie sono confrontabili tra loro e risultano migliori quelle che si rivelano in grado di collegare organicamente un maggior numero di fatti. La teoria copernicana è più vera di quella tolemaica in quanto rivela relazioni tra fenomeni che l'altra non può spiegare:

"Ecco il movimento diurno apparente delle stelle e il movimento diurno dei corpi celesti, e d'altra parte l'appiattimento della terra, la rotazione del pendolo di Foucault, la rotazione dei cicloni, i venti alisei, e che altro ancora? Per il tolemaico tutti questi fenomeni non hanno tra loro alcun legame; per il copernicano, essi sono generati da una stessa causa. Dicendo la terra gira, io affermo che tutti questi fenomeni hanno un rapporto intimo, e questo è vero, e questo resta vero benché non ci sia e non ci possa essere uno spazio assoluto... La verità, per la quale Galileo ha sofferto, resta dunque la verità, benché non sia del tutto la stessa del senso comune, e che il suo vero senso sia assai più sottile, più profondo e più ricco".

Le leggi sono quindi descrizioni di rapporti realmente esistenti tra gli oggetti anche se sono il risultato di una generalizzazione che dalla sperimentazione di singoli casi porta a proposizioni di carattere universale. Le leggi rimarranno sempre ipotetiche perché è sempre possibile , a partire dai dati, generalizzare in modi differenti ancorché coerenti con il riferimento empirico. Quale sarà allora la generalizzazione migliore? Siamo qui di fronte a una forma di convenzionalismo metodologico: lo scienziato è guidato dall'idea di semplicità. Semplicità è sinonimo di verità. Questo suo modo di procedere è fondato sia sull'abitudine (storicamente si è sempre proceduto in tal modo), sia perché, su un piano strettamente pragmatico, questo atteggiamento è l'unico che consente alla scienza di procedere.

L'esperienza può, in via di principio falsificare una legge, ma non potrà mai falsificare una singola proposizione.

Sia per esempio O una conseguenza logica di una teoria T, pensiamola pure molto semplice e formata dalla congiunzione di tre asserti ipotetici, A, B e C. Supponiamo che l'esperienza neghi la conseguenza deduttiva di T, si verifichi quindi O. Avremo allora:

{ [ ( A & B & C ) à O ] à O } à ( A & B & C )

la falsificazione riguarda tutte e tre le proposizioni, non una singola ipotesi. Sarà questo il cavallo di battaglia di Pierre Duhem, che si spingerà a sostenere una posizione solistica, vale a dire: quando sottoponiamo a controllo un'ipotesi lo facciamo mettendo di fronte al banco di prova dell'esperienza non una sola ipotesi, bensì tutta una serie di altre ipotesi, che non fanno neppure parte della teoria in questione, ma riguardano ad esempio il funzionamento degli strumenti ecc. Poincaré, nonostante le considerazioni appena citate, tende a ritenere possibile la falsificazione di una singola legge. Certo questo richiede una serie di distinzioni metodologiche tra le ipotesi che le pongono di fronte all'esperienza con un grado diverso di affidabilità.

Secondo Poincaré le ipotesi possono essere differenziate in base alla funzione che esse svolgono nel processo di falsificazione. Ogni teoria presenta ipotesi, sue parti, che pur non

Secondo Poincaré le ipotesi possono essere differenziate in base alla funzione che esse svolgono nel processo di falsificazione. Ogni teoria presenta ipotesi, sue parti, che pur non potendosi mai considerare verità assolute, sono tuttavia tanto affidabili, che non saremmo disposti ad abbandonarle se non in casi davvero disperati e quindi anche remoti. Queste ipotesi sono dette "naturali" Così, "è difficile non supporre che l'influenza dei corpi lontani sia trascurabile, che i piccoli movimenti obbediscano ad una legge lineare, che l'effetto è una funzione continua della sua causa... Tutte queste ipotesi formano per così dire il fondo comune di tutte le teorie della fisica matematica. Queste sono le ultime che si deve abbandonare."

Vi sono inoltre altre ipotesi che non hanno alcuna influenza sul risultato dei calcoli, sono elementi aggiuntivi inessenziali, perciò possiamo considerali estranei al processo di falsificazione. Poincaré le chiama ipotesi "indifferenti". La terza categoria di ipotesi, quelle che più ci interessano, sono le vere generalizzazioni empiriche. Se nell'esempio precedente A può essere considerata naturale e B indifferente, cioè se

[ (  C à O ) & O ] à C

vale a dire, dal verificarsi di O segue la falsificazione di C.

Tutto questo però vale per le leggi; il caso è differente se si tratta di principi, di assiomi delle teorie fisiche. Queste sono semplicemente verità convenzionali, alla quale l'esperienza non può imporre alcuna falsificazione. "L'accelerazione di un corpo non dipende che dalla posizione di questo corpo e dei corpi vicini e dalle loro velocità". Tale proposizione, per essere verificata in modo completo, richiederebbe che, dopo un certo periodo di tempo, tutti i corpi dell'universo ritornassero nelle posizioni iniziali con le loro velocità iniziali. Solo in questo caso si potrebbe verificare se essi riprenderebbero le traiettorie iniziali. Infatti il principio di inerzia generalizzato implica che, a parità di posizioni e di velocità, le accelerazioni siano le medesime. Un tale principio non può mai essere empiricamente falsificato, tuttavia sussiste la possibilità di una falsificazione indiretta. Le scoperte di fine Ottocento sembrano condannare il principio di Carnot, quello di relatività galileiana, quello di azione e reazione, il principio di conservazione della massa. Poincarè sostiene che sebbene tali principi, su un piano strettamente logico, possano essere rimessi in gioco, essi dopo un tale salvataggio ad hoc risulterebbero del tutto inutili. Un principio deve essere fecondo per gli sviluppi della fisica, quando non lo è più bisogna abbandonarlo. Mai però senza aver fatto "uno sforzo leale per salvarlo" .

 

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