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La storia delle argomentazioni portate a favore delle ipotesi sulla natura del calore costituisce un chiaro esempio di come progredisce la conoscenza scientifica.

Nel V sec. a.C. gli atomisti ritenevano che il calore fosse composto da atomi piccoli e leggeri, presenti all’interno dei corpi. I fenomeni della dilatazione termica e della fusione erano spiegati dal fatto che gli atomi di calore facevano aumentare le distanze tra gli atomi della materia. Lucrezio, poeta latino del I sec. a.C., descriveva il calore come una sostanza materiale.

Galileo riteneva il calore una sensazione generata da particelle in moto; ne Il Saggiatore, egli scrive:”Inclino assai a credere che […] quelle materie che in noi producono e fanno sentire il caldo, le quali noi chiamiamo con nome generale fuoco, siano una moltitudine di corpicelli minimi, in tal e tal modo figurati, mossi con tanta e tanta velocità, li quali, incontrando il nostro corpo, lo penetrino con la lor somma sottilità, e che il lor toccamento, fatto nel lor passaggio per la nostra sostanza e sentito da noi, sia l’affezione che noi chiamiamo caldo”.

Purtroppo in quell’epoca non era facile trasformare questa intuizione in relazioni matematiche tra le grandezze coinvolte in un fenomeno termico, come uno scambio di calore, o termodinamico, come la produzione di lavoro ad opera del calore, perché una descrizione quantitativa e microscopica del calore e di come esso possa essere convertito in lavoro, comporta l’uso di concetti estranei alla meccanica di Galileo e di Newton. Anche Boyle e Newton erano tra i sostenitori dell’ipotesi che il calore fosse legato ad un flusso di particelle ma la teoria “meccanicistica” non venne però supportata da una solida base sperimentale.

La teoria del flogisto fu elaborata dal chimico tedesco J.J.Becher (1635-1682) e dal suo allievo G.E. Stahl (1660-1734). Si pensava al flogisto come una sostanza ponderale e infiammabile contenuta in tutti i corpi combustibili: esso si liberava se veniva bruciato materiale organico o se i metalli erano trattati con il calore, dava origine a colori, odori e sapori dei corpi e provocava gli effetti termici associati alle reazioni chimiche. Tuttavia, in questa teoria mancava un’impostazione della scienza del calore che utilizzasse un’analisi quantitativa dei fenomeni termici considerati e non era inoltre chiara la distinzione tra calore e temperatura. L’idea del flogisto crollò in seguito alle analisi di Lavoisier, che usava sistematicamente la bilancia nello studio delle reazioni chimiche.

Intanto, si iniziava a descrivere i fenomeni termici immaginando il calore come un fluido imponderabile (il calorico), in grado di spostarsi da un corpo ad un altro e di penetrare in qualsiasi spazio, attratto dalla materia e che esercita una forza repulsiva su se stesso. La teoria del calorico spiegava con successo molte osservazioni sperimentali: dal momento che gli oggetti caldi contengono più calorico degli oggetti freddi, il riscaldamento e il raffreddamento dei corpi era spiegato facendo ricorso al flusso di calorico verso l’interno e l’esterno di essi; all’aumento della temperatura di un corpo, l’aumento della quantità di calorico provocava la sua espansione; la fusione di un solido era giustificata dal fatto che la forza repulsiva dovuta al calorico superava la forza gravitazionale. La terminologia ancora oggi utilizzata nella fisica del calore ripropone concetti tipici di questa teoria: si parla di calore che “passa” da un corpo ad un altro, di “quantità di calore” contenuta in un corpo, di “flusso di calore”, ecc..                                                   

Anche Lavoisier era favorevole all’idea del calore come fluido materiale. Scrive infatti: “anche ammettendo che l’esistenza di questo fluido sia soltanto ipotetica, spiega i fenomeni naturali in maniera assai soddisfacente. […] Non siamo obbligati a pensare che il calorico sia reale materia: esso potrebbe essere qualunque causa repulsiva che spinge le molecole della materia a separarsi; in questo modo è possibile guardare agli effetti del calore in maniera astratta e matematica”.

Per S. Carnot, le cui riflessioni hanno sempre avuto come idea fondante la ricerca di un legame fra l’aspetto scientifico e l’aspetto industriale delle macchine a vapore, il calorico permetteva la produzione di lavoro passando da un corpo ad alta temperatura ad un altro a temperatura più bassa, rimanendo conservato: le macchine termiche erano viste come l’analogo di un mulino, in cui il lavoro è svolto a spese dell’energia potenziale dell’acqua che cade da grandi altezze.

Nel corso del XVII e XVIII secolo si formò la distinzione concettuale tra calore e temperatura, fondamentale per uno studio corretto dei fenomeni, in quanto questi termini erano utilizzati in modo improprio o, addirittura, come sinonimi.

Nel 1757 il chimico scozzese Black introdusse due nuove grandezze: il calore latente e il calore sensibile. Per spiegare il coinvolgimento del calore nelle transizioni di fase pensò ad una combinazione del calorico con gli atomi, in seguito alla quale il calorico passava da sensibile a latente e poi ridiventava sensibile durante il passaggio inverso di fase. La produzione di calore in seguito ad uno sfregamento venne spiegata in termini di “spremitura” di calorico sensibile al di fuori del solido; nello stesso modo, esercitando una pressione su una sostanza vicina al suo punto di ebollizione, si provocava la “spremitura” verso l’esterno di una parte del suo calorico sensibile: era quindi necessario raggiungere una temperatura più alta per il cambiamento di stato.

Per una definizione operativa corretta di calore e temperatura si dovette aspettare la costruzione dei primi calorimetri a ghiaccio, ad opera di Lavoisier e di Laplace.

Verso la fine del XVIII secolo, B. Thomson, in seguito conte Rumford, si occupò della teoria del calore. Mentre controllava l’alesatura di canne per armi da fuoco, realizzò degli esperimenti che così descrive: “Trovandomi recentemente impegnato nel dirigere la foratura di cannoni nelle officine dell’arsenale di Monaco, fui sorpreso dal considerevolissimo grado di calore che in breve tempo un cannone di ottone acquista con la foratura, nonché dall’ancora più intenso calore (assai superiore a quello dell’acqua bollente, come constatai sperimentalmente) dei trucioli metallici che il trapano separa dal cannone… Donde proviene il calore effettivamente prodotto durante l’operazione meccanica suddetta? È esso fornito dai trucioli separati col trapano dalla massa solida del metallo? Se così fosse, allora secondo la moderna dottrina del calore latente e del calorico, la capacità termica dovrebbe risultare non soltanto modificata, ma la modificazione subita dai trucioli dovrebbe essere abbastanza grande per dare ragione di tutto il calore prodotto. Ma nessuna modificazione del genere erasi prodotta, poiché prendendo pesi uguali di questi trucioli e di sottili fettine dello stesso blocco di metallo separate per mezzo di una sega fine, e immergendo gli uni e le altre, alla stessa temperatura (quella dell’acqua bollente), in quantità eguali di acqua fredda, accertai che l’acqua nella quale erano immersi i trucioli non appariva né più né meno scaldata di quell’altra, nella quale erano immerse le fettine di metallo[…] mi pareva pertanto difficile, per non dire impossibile, formarmi l’idea di qualche cosa che non fosse il moto, che potesse essere generato e comunicato così come il calore era generato e comunicato nei miei esperimenti”. Thomson, cioè, giunse alla conclusione che la quantità di calorico contenuta in un corpo è indipendente dalla sua natura e dalle sue dimensioni, che una quantità limitata di materia può contenere una quantità illimitata di calorico e che il calore prodotto non può essere presente originariamente nel corpo considerato. L’esperimento dimostrava un chiaro legame tra calore e lavoro meccanico, senza però fornire indicazioni quantitative.

Anche se sarà proprio l’esperimento di Rumford a far abbandonare la teoria del calorico e a far nascere l’idea del legame tra calore e moto di particelle, quasi trenta anni dopo la sua esecuzione Carnot utilizzò ancora la teoria del calorico per giustificare i risultati trovati riguardo il funzionamento delle macchine termiche. Si dovette aspettare la metà dell’Ottocento per la formalizzazione matematica della nuova teoria da parte di Clausius: nella storia della fisica sono tanti gli “esperimenti cruciali” che modificano solo successivamente una ipotesi scientifica radicata.

La conversione del lavoro in calore secondo un rapporto costante fu stabilita attorno alla metà del XIX secolo, e con essa si giunse anche alla conservazione dell’energia.

Il concetto di calore come forma di energia venne chiarito grazie ai lavori di numerosi studiosi tra i quali S.Carnot, R.Mayer, H. Helmoltz e J.Joule.

Mayer nella memoria “Nota sulle forze della natura inorganica” del 1842 enunciò il principio di equivalenza tra calore e lavoro meccanico, ponendosi anche il problema della determinazione di quanto lavoro meccanico occorresse per ottenere una certa quantità di calore. Egli intuì la validità del principio riflettendo sulla conservazione del calore corporeo; nei suoi scritti utilizzò un linguaggio poco chiaro e nessun riferimento preciso a prove sperimentali.

Hermann Helmholtz nel 1847 nella celebre memoria “Sulla conservazione della forza” scrisse:“L’energia non si crea e non si distrugge; ciò che si realizza sono soltanto trasformazioni di una forma di energia in un’altra, e trasferimenti di energia da un corpo ad un altro” ed estese il principio di conservazione dell’energia dai fenomeni meccanici ai fenomeni elettrici.

Joule affrontò il problema dell’equivalenza tra calore ed energia, proponendo che il calore non fosse una quantità conservata, come si era creduto fino ad allora, ed eseguendo misure molto delicate, in quanto prolungate nel tempo (rendendo così problematico l’isolamento termico del sistema) e nelle quali erano coinvolte variazioni di temperatura molto piccole (anche dell’ordine di 1/50 di grado).

Grazie ai lavori di Helmholtz e Joule il principio di conservazione dell’energia divenne un principio universale e unificante della fisica.

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