« Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si gioisce quando si spartisce la preda. Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace; grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e sempre; questo farà lo zelo del Signore degli eserciti. » (Isaia 9, 2.5-6)
Questa celebre profezia di Isaia venne tradotta da Manzoni nei celeberrimi versi del suo Natale:
« Ecco, ci è nato un pargolo, / ci fu largito un figlio; / le avverse forze tremano / al mover del suo ciglio... »
Viene
dunque spontaneo cominciare con Manzoni e con i suoi Inni Sacri. Egli era figlio
del conte Pietro Manzoni e di Giulia Beccaria, figlia del grande giurista Cesare
Beccaria, la quale nel 1782 si separò dal marito per poi (1795) stabilirsi a
Parigi con Carlo Imbonati, lo stesso a cui Giuseppe Parini aveva dedicato l'ode L'educazione.
Manzoni studiò presso i padri somaschi e i padri barnabiti e si avvicinò al
pensiero degli illuministi. Le sue idee giacobine e anticlericali trovarono
espressione in Il trionfo della libertà (1801), poemetto che celebra la
sconfitta del dispotismo e della superstizione per opera della libertà portata
da Napoleone con la Repubblica Cisalpina. Le prime esperienze letterarie
(1800-1804) sono coerenti col dominante gusto neoclassico: sono sonetti, quattro
Sermoni e l'idillio Adda (1803), dedicato a Vincenzo Monti. Nel 1805, poco dopo
la morte di Carlo Imbonati, si recò anch'egli a Parigi, dove scrisse e
pubblicò il carme In morte di Carlo Imbonati (1806), un dialogo morale di
sapore pariniano. A Parigi rimase fino al 1810 e si accostò, stabilendo anche
forti amicizie, all'ambiente degli ideologi, che ripensavano in forme critiche e
con forti istanze etiche la cultura illuminista, e acquisendo da loro abitudini
mentali quali la chiarezza e il rigore del ragionamento insieme a una
propensione per l'analisi psicologica, che sarebbero rimaste sue per tutta la
vita. L'ultima opera di questo periodo è Urania (1809), un poemetto mitologico
in versi sciolti di gusto neoclassico.
Nel 1808 Manzoni aveva sposato con rito calvinista la giovane (16 anni) ginevrina Enrichetta Blondel, la cui fede aveva indotto Alessandro ad approfondire il problema religioso. Il 1810 segna il definitivo approdo della famiglia Manzoni al cattolicesimo: Enrichetta, sotto la guida del padre Degola, abiurò il calvinismo e Alessandro abbandonò le posizioni deiste per aderire pubblicamente alla religione cattolica. La conversione religiosa si ripercosse anche nelle scelte letterarie: Manzoni abbandonò gli schemi neoclassici e cercò altre strade espressive, a cominciare dalla prima opera successiva alla conversione, gli Inni sacri, con i quali intendeva celebrare le principali festività dell'anno liturgico e insieme offrire un esempio di lirica nuova, che sarà di tipo corale e oggettiva (nel senso che il punto di vista è quello collettivo dei fedeli, mentre il tema è legato a una realtà storica oggettiva, la storia del cristianesimo). Inizialmente gli inni dovevano essere dodici, ma ne furono composti solo cinque: la Risurrezione (1812), il Nome di Maria (1812-13), il Natale (1813), la Passione (1814-15) e la Pentecoste (1822, terza stesura). Il punto di vista e il tema di queste liriche (ma molto meno il linguaggio) appartengono alla sensibilità romantica e sono in anticipo rispetto alle dichiarazioni manifeste della poetica romantica, che sono del 1816.
L'interesse di Manzoni per la tragedia è connesso alla lettura di Shakespeare, di Goethe e di Schiller, e, in accordo con l'avvio delle polemiche romantiche, Manzoni elaborò l'idea di una tragedia di ampie dimensioni storiche e di valore universale, capace di destare una nuova coscienza etico-storica. Cominciò con Il conte di Carmagnola (1820), tragedia accompagnata e pubblicizzata dalle polemiche letterarie a seguito dell'abbandono delle unità aristoteliche di tempo e di luogo. Questa tragedia, che si avvale del coro – momento di meditazione lirica, inteso come spazio riservato alla riflessione etico-storica dell'autore – propone un episodio della guerra tra Milano e Venezia nel XV secolo e denuncia la violenza e la cecità della ragion di stato. La seconda tragedia, Adelchi (1822), è di materia medievale e ha una struttura più complessa e aperta, anche se contrappone in modo assolutamente netto, per la rigidità imposta dal genere, gli "eroi della forza" e gli "eroi della fede". Il tema è la fine della dominazione longobardica in Italia e la sconfitta del re Desiderio a opera di Carlo Magno. Particolarmente significativi sono i cori (in realtà due liriche) in cui Manzoni affronta il tema politico della libertà che non può non essere conquista degli italiani, e il tema della "provvida sventura", centrale nel successivo romanzo. La stesura dell'Adelchi fu accompagnata da un'approfondita ricerca storico-documentaria sulla dominazione longobardica in Italia, pubblicata col titolo di Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia (1822).
Nel periodo compreso tra la stesura delle due tragedie, Manzoni aveva anche affrontato nodi teorici sul teatro e sulle sue scelte in un testo importante, scritto nel 1820 e pubblicato, dopo la revisione dell'amico Fauriel, nel 1823: si tratta della Lettre à M. Chauvet sur l'unité de temps et de lieu dans la tragédie, in cui giustifica il rifiuto delle unità classicistiche di tempo e di luogo e riflette sul rapporto tra veridicità storica e funzione morale della letteratura. In precedenza, nel 1819, aveva scritto le Osservazioni sulla morale cattolica (elaborate fino al 1855) che, a parte le ragioni ideologiche, sono un prezioso documento della sensibilità psicologica del Manzoni. Successiva, del 1823 (ma pubblicata solo nel 1846), è la Lettera sul Romanticismo, il bilancio teorico più importante fatto da uno dei protagonisti di quel movimento.
Un'ultima cosa possiamo aggiungere riguardo agli Inni Sacri: oltre a quelli già citati il Manzoni ne compose un altro, « Il Natale del 1833 », in occasione della morte dell'adorata moglie Enrichetta Blondel, ma lo lasciò incompiuto per fatale esaurimento della sua vena poetica. A quest'opera poco nota Mario Pomilio dedicò un intero romanzo con lo stesso titolo, quasi un fanta-saggio che intende spiegare perchè Manzoni scrisse un solo romanzo e così poche poesie, in rapporto alla sua lunghissima vita.