Salve, mi chiamo Paolo Maltagliati, studio storia medievale all'università di Milano, e sono in particolare appassionato di storia bizantina. Dopo aver visitato molte volte questo sito ho provato anche io a cimentarmi con il genere ucronico, scrivendo alcuni spunti per delle storie alternative. Desidero condividere con voi quanto ho scritto. Spero che gradirete.
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- 1204: Avanzata verso occidente di Davide Comneno. Conquista di Amiso, Bafra, Sinope e Paflagonia orientale; ad Amastri ed Eraclea Pontica entra in contatto con le forze di Nicea. Nel frattempo Alessio Comneno invia una flotta ad occupare Cherso e Caffa (Teodosia)
- 1205-1206: Tentativo fallito di Davide Comneno di conquistare Nicomedia ai Niceni, con l’appoggio dell’impero latino, di cui Davide si era prontamente dichiarato vassallo.
- 1206-1207: Accordi con Teodoro Lascaris: I Comneni rinunciano al titolo di imperatori di Costantinopoli legittimi, abbandono da parte di Davide del legame di vassallaggio con l’impero latino. Eraclea Pontica passa a Teodoro, Amastri passa a Davide.
- 1207: Davide ed Alessio si spartiscono il territorio; Sinope diviene a capitale del despotato di Paflagonia, sotto il primo. Il secondo, invece, rimane a Trebisonda. Nel frattempo, Kalojan, sovrano di Bulgaria, distrugge l’esercito crociato e dilaga in Tracia.
- 1211: Attacchi del sultanato Selgiuchide a Nicea e ai Comneni. Battaglie sul Meandro vinte dal Lascaris. Alessio III Angelo catturato ed imprigionato. I Turchi occupano in breve tempo, Oinoe, Amiso, Bafra e Castra Comneni, poi assediano Sinope. Le forze di Alessio e Davide accorrono in difesa della città. Lascaris e Comneni stipulano un trattato di amicizia ed alleanza. Grazie a forze congiunte, l’assedio è rotto, ma Alessio muore in battaglia. Di slancio, Davide conquista alcune città in mani nemiche e conquista persino Amasia, roccaforte turca della regione, dopo un duro assedio, grazie soprattutto a dissidi interni tra i difensori.
- 1212: Terminata la campagna contro i turchi, Davide riunifica i suoi possedimenti con quelli del fratello, ed assume il titolo di “imperatore di Paflagonia e Ponto”.
- 1214: Con l’aiuto dei turchi, i figli di Alessio si ribellano per ottenere la corona a scapito dello zio, ma la rivolta è soppressa. Per ritorsione, campagna nell’entroterra Pontico, che estende i confini del regno fino quasi al fiume Acampsis.
- 1214-1224: Lenta opera di consolidamento dei confini interni. Si fanno i primi passi per la costruzione di quella che diverrà una fitta rete di castelli di frontiera, fortezze, piazzeforti e ridotte montane.
- Dal 1220: Si inizia anche la costruzione di una flotta. Davide pensa di utilizzarla per espandersi sulle coste del mar Nero e respingere le ingerenze delle repubbliche marinare italiane. Nonostante esordi operativi deludenti, prima occupazione della penisola di Tanem e della fascia costiera del Caucaso nord occidentale.
- 1222-1224: Conquiste di Nicea in Asia Minore a spese dell’impero latino d’oriente. A questi ultimi rimane solamente la Bitinia settentrionale e le coste antistanti il Bosforo, con Crisopoli. L’accresciuta potenza Nicena convince Trebisonda a intensificare i rapporti diplomatici.
- 1224-1228: Rapida espansione del despotato d’Epiro in Tessaglia, Macedonia e Tracia. Gli Epiroti scacciano i Niceni da Adrianopoli, dove si erano appena insediati. Alleanza Anti-Nicena degli Epiroti con i Bulgari. Ambedue gli schieramenti tentano di ottenere il supporto di Trebisonda. Nicea ne compra perlomeno la neutralità cedendo il porto di Eraclea Pontica.
- 1228-1231: L’Epiro (ora impero di Tessalonica), rompe l’alleanza con la Bulgaria e la attacca alle spalle, dato l’apparentamento degli Asen con i sovrani latini. Disfatta degli Epiroti a Klokotnica. La Bulgaria diventa lo stato egemone dei Balcani, ma l’alleanza matrimoniale con i latini non porta i frutti sperati. Costantinopoli, allontanatasi dal regno slavo, pensa di utilizzare, come contrappeso alla sua potenza, una possibile alleanza con Trebisonda, lo stato a lei meno ostile della regione.
- 1231-1233: “Guerra” tra Trebisonda e la Bulgaria. Davide Comneno cede a Giovanni III Vatatzes (succeduto a Teodoro Lascaris sul trono di Nicea), nuovamente Eraclea Pontica, in cambio della pace. La flotta Pontica occupa i porti della Bulgaria e le sue zone costiere. Successiva riconquista bulgara. Mesembria passa di mano più volte nel corso degli scontri.
- 1233: La Bulgaria, allo scopo di avere mano libera contro i Latini, e con l’eventuale fine di ottenere appoggio navale da Trebisonda, stipula una frettolosa pace, con cui l’impero Pontico ottiene il possesso di Varna.
- 1235: Alleanza di Gallipoli tra tutti i regni ortodossi contro l’impero latino. In cambio della partecipazione con la sua flotta, Trebisonda chiede ai Bulgari i porti di Mesembria, Debelt, Anchialo e Sozopoli, e ai Niceni l’avanzamento del proprio confine occidentale al fiume Sangario (con incluso il porto di Eraclea Pontica). Nonostante i Bulgari si rifiutino di rispettare la clausola, l’accordo di alleanza viene siglato ugualmente, anche se con riluttanza.
- 1236: Davide Comneno muore. Gli succede il figlio, Alessio II.
- 1236-1237: Guerra civile nel Ponto: il figlio di Davide, Alessio II, ed il cugino, figlio di Alessio I, si scontrano per la successione. Alessio II ottiene il successo. Per questo motivo, Trebisonda ha un ruolo pressoché nullo nell’alleanza anti latina.
- 1237: Intuendo il pericolo insito nel fatto che i Niceni riprendano Costantinopoli, Asen di Bulgaria rompe l’alleanza ed assedia Tzurullon, roccaforte dei Niceni in Tracia, con l’aiuto delle orde cumane. Alessio II ne approfitta, appena consolidato il suo potere, per attaccare con la sua flotta i porti bulgari che gli sarebbero spettati in base alle proposte del 1235.
- 1238: Scoppia la peste a Tarnovo; moglie e figlio di Asen muoiono. Il re di Bulgaria, considerando la cosa come una punizione divina per il tradimento dell’alleanza, firma la pace con Nicea e Trebisonda, che ottiene tutta la costa del mar Nero tra Varna e la Tracia settentrionale.
- 1238-1239: Alessio II continua le riforme del padre. La flotta, rispetto ai suoi esordi circa venti anni prima è ora di gran lunga più vasta ed efficiente. Continua e si perfeziona anche l’opera di fortificazioni sui valichi montani. Viene inoltre razionalizzata la suddivisione amministrativa, con due despotati, uno, più piccolo, con capitale Sinope, a ovest del fiume Halys, detto di Paflagonia(che controlla anche i possedimenti balcanici), controllato dall’erede al trono; uno più vasto, a est, governato direttamente dall’imperatore, che controlla anche i porti della Crimea. Vengono inoltre introdotte molto timidamente, nelle grandi città mercantili della costa, prime forme di cooptazione di potere, con consigli di oligarchi e gilde di mercanti, allo scopo di potenziare l’iniziativa privata, la concorrenza, e più in generale, il commercio e le manifatture, per imitare il grande successo di Genova e Venezia. In concomitanza dell’accrescimento della potenza della flotta da guerra e dell’apertura ai commerci, nascono le prime flotte commerciali, soprattutto a Trebisonda, Sinope, Amastri e Cerasunte.
- 1240-1242: Prima invasione mongola: Alessio II, con Giovanni III di Nicea ed il sultano selgiuchide, stipulano un’alleanza difensiva. 1241: A Batis, sul confine con la Lazica, l’esercito Trapezuntino viene annientato. Alessio II muore in battaglia. Il generale georgiano Teodoro Bagrat, dichiara l’impero pontico vassallo e tributario del Khan. Tale situazione, che garantirà la sopravvivenza del regno, durerà, con fasi di maggiore o minore controllo, approssimativamente fin quasi alla fine del secolo. Comunque, in generale, i mongoli non infieriranno particolarmente sul territorio, spostandosi ben presto in altre regioni alla ricerca di prede più ricche e ambite.
- 1242-1248: Guerra civile e parziale disintegrazione dell’impero Pontico. Il giovane Alessio III sfugge ad un tentativo di assassinio(più tardi si supporrà ordito dalla madre per ottenere il controllo diretto). Rosanna, la madre, principessa georgiana di Imereti, convince Alessio III della colpevolezza del generale Teodoro, e lo forza a prendere le armi contro di lui con un esercito mercenario di Georgiani. A tempo di record,(l’esercito, classicamente fondato sui clan nobili che dominano i castelli montani è andato distrutto) Teodoro riesce ad organizzare un esercito reclutato tra le fila del ceto borghese, che non vede di buon occhio la politica di favore della regina verso Lazi, Armeni, Georgiani ed Italici, a scapito dei Greci. I due eserciti si scontrano ad Argiropoli. Sconfitta di Alessio III, che fugge con la madre, in Paflagonia, a Castra Comneni, in una regione poco toccata dalle orde mongole(ma infestata da briganti, ed insicura per le continue scorrerie turcomanne). Nonostante la vittoria, Teodoro non riesce ad ottenere i favori dei grandi oligarchi che controllano la flotta. Quest’ultima, agli ordini di un genovese grecizzato, Andronico Spinola, occupa alcuni grandi porti occidentali. Sinope gli apre le porte e lì stabilisce la sua capitale. Nel frattempo, le colonie in Crimea vengono conquistate dai nuovi invasori. Non così i porti sulla costa europea, che sotto il controllo dell’energico despota Angelo Prodromo resistono, e anzi, riescono a contrattaccare, sconfiggendo con un’azione congiunta terrestre e navale, una scorreria di Tatari alle foci del Danubio. Dopo poco, sorgono i primi contrasti tra Alessio III e Rosanna. Questi contrasti divengono insanabili quando la regina decide di usare Andronico Spinola per i suoi piani di conquista, prima nominandolo co-imperatore, poi sposandolo. Dopo la nascita di un figlio, Andronico minore, Alessio si ribella apertamente, guadagnandosi la fiducia dei feudatari Paflagoni in nome del lealismo dinastico e della xenofobia. Giovanni III Vatatze, nel frattempo stipula accordi segreti(ovviamente separati) con Angelo Prodromo e Andronico Spinola: ad entrambi promette il dominio personale di Sinope e Amiso come vassalli, aiuto al conseguimento del trono di Trebisonda, in cambio dell’avanzamento all’Halys del confine. In verità spera che i contendenti si eliminino a vicenda per assumere il controllo diretto del regno. Occupa rapidamente con le sue truppe la riva orientale del Sangario, Eraclea ed Amastri. Poco a est di questa città tuttavia, è costretto a scontrarsi con le armate di pronoiari paflagoni comandate da Alessio III. Vatatzes, nonostante il vantaggio della maggior esperienza e del numero viene sorprendentemente sconfitto. Amastri viene riconquistata. A questo punto il sovrano Niceno, in concomitanza della crisi dinastica di Epiro e Tessalonica, preferisce accordarsi con Alessio. Eraclea viene persa di nuovo, ed il confine viene portato proprio alla città di Amastri. Inoltre, il giovane Comneno è costretto a rinunciare a qualsiasi diritto sulla costa bulgara. È il 1245: Alessio III controlla tutto l’entroterra della Paflagonia, (dopo aver sconfitto o messo abilmente l’uno contro l’altro gli emiri turchi della regione che cercavano di approfittare della crisi) ma non può avvicinarsi alle città costiere, controllate dalla flotta di Andronico I, che però non è riuscito ad impossessarsi della città di Amastri. Teodoro, nonostante che Cerasunte e Tripoli siano state occupate, esita a recarsi a ovest, dovendo tenere a freno scorrerie minori di mongoli che hanno messo piede in numerosi castelli dell’entroterra.
- Inizio 1246: battaglia navale tra la flotta di Spinola e Angelo Prodromo. Morte di Andronico I. Vittoria del despota di Mesembria, che con una guarnigione sbarca a Sinope. Cominciano le prime rivolte xenofobe anche nelle città costiere. Grazie ad esse Teodoro riesce a rioccupare Cerasunte. Bafra, Amiso e Amasia con il loro entroterra cadono nelle mani dei turchi. Per proteggersi da eventuali ritorsioni, Rosanna sposa Angelo Prodromo e lo nomina tutore per Andronico II. Il despota, venuto a conoscenza dell’assenza del generale Teodoro dalla capitale, non perde tempo e organizza una squadra navale per occuparne il porto. Il generale georgiano, diretto finalmente a Sinope per sferrare l’attacco finale contro i suoi nemici, riceve la notizia, quando incontra le armate di Alessio III giunto ad attaccare l’esercito della madre. I due decidono di allearsi. Teodoro torna verso Trebisonda, mentre il giovane Comneno entra in Sinope. La città gli apre le porte accogliendolo con grandi feste. Manuele Aconide, detentore di un castello sulle rive dell’Acampsis, riesce a sollevare i feudatari della regione, ormai isolata e senza controllo; dopo aver rivolto le armi contro i mongoli, rioccupando qualche fortezza minore, in nome del lealismo dinastico si muove verso Trebisonda, occupata dalle forze della regina. Data la poca stima nei suoi confronti e l’aumento di popolarità del suo terzo marito, decide di far assassinare quest’ultimo. La mossa si rivela sbagliata: la popolazione della capitale si ribella. La rivolta viene repressa nel sangue da forze georgiane, che cercano di occupare anche le navi di Prodromo, dato che i marinai perlopiù fraternizzano con gli abitanti. Alessio, non completamente sicuro della posizione di Teodoro, decide di anticiparlo a Trebisonda, e avventatamente, organizza una squadra navale con i resti della flotta di Andronico I incautamente abbandonati a Sinope. La capitale nel frattempo apre le porte all’esercito di Manuele Aconide. L’imperatrice Rosanna viene catturata, costretta a sfilare con un seguito di prostitute per le vie della città, a cavallo di un cammello tignoso, ed infine linciata dalla folla.
- 1248: Alessio III viene solennemente incoronato successore di suo padre e riceve il giuramento di obbedienza e fedeltà dai propri comandanti alla maniera occidentale, Teodoro compreso. Per timore, fondato del resto, che i mongoli preferiscano ad Alessio III, dimostratosi estremamente abile ed intelligente, l’infante Andronico II, quest’ultimo viene assassinato in circostanze misteriose. Con la sua morte ha ufficialmente fine la guerra civile.
- 1248-1270: Periodo di consolidamento interno dopo le invasioni mongole e lunga guerra civile. Il sogno di Alessio II di fare del Ponto una potenza marittima viene rallentato di molto, anche se non completamente distrutto. Alessio III riorganizza lo stato creando un sistema efficiente di pesi e contrappesi tra le varie componenti politiche. Come il padre, incoraggia il ceto mercantile e le oligarchie plutocratiche delle città costiere, da cui trae le principali forze navali. Cooptandole al potere, anche se con forti limiti, riesce a creare un senso di lealismo nei confronti della dinastia regnante. Compie inoltre i primi passi per la costruzione di un’ideologia “imperiale ” propria, attenuando il più possibile il senso di identità con Costantinopoli e l’impero bizantino, fino alla generazione precedente ancora piuttosto forte, e promuovendo la poesia volgare in lingua Romeika e un senso di appartenenza “Pontico”, utilizzando l’architettura e la scultura come mezzi di propaganda. Nel fare questo però, non dimentica i feudatari dell’entroterra, sulle cui basi ricostruisce l’esercito terrestre. Riuniti in veri e propri clan, impossibilitati a divenire grandi latifondisti in mancanza di grandi territori coltivabili su cui esercitare il proprio dominio,(anche se non mancheranno illustri esempi), mirerà a trasformarli in una élite guerriera specializzata, con un forte spirito di corpo, ed un altrettanto forte attaccamento al proprio territorio, facendo leva, per conseguire questo risultato, allo spirito di crociata contro gli infedeli, e all’idealizzazione dell’impero Pontico come ultimo baluardo cristiano verso oriente. In politica estera Alessio III, durante tutto il suo regno terrà un profilo molto basso, forgiando lentamente la sua macchina bellica ma evitando di utilizzarla in grandi campagne di conquista. Piuttosto, per tutta la durata del suo regno dovrà combattere per riconquistare i territori che durante la guerra civile erano caduti in mano nemica(Amasia, Batis, Artavan, Amiso, Bafra, Argiropoli, addirittura Castra Comneni, persa sul finire della guerra civile, su tutti), riportando il regno quasi ai confini del 1240(eccetto Amasia, che non tornerà mai più sotto i Comneni). Inoltre dovrà affrontare un’altra pesante invasione mongola nel 1265, che saccheggerà e conquisterà Sinope. La sua liberazione, nel 1269, sarà la sua ultima impresa bellica. Per quanto riguarda la politica religiosa, Alessio III si dimostrerà molto freddo nei confronti della ricomposizione dello scisma, fortemente voluta da Giovanni III Vatatzes, Teodoro II Lascaris(suo successore dal 1254 al 1258) e da Michele VIII Paleologo. Fortunatamente, la rinuncia esplicita di Trebisonda della volontà di giocare un ruolo come pretendente a Costantinopoli e la concentrazione degli sforzi Niceni nei Balcani, ridurrà la portata militare di queste divergenze a scontri di frontiera, subito seguiti da accordi di massima e tregue temporanee. Il tutto però allontanerà di nuovo, dal punto di vista diplomatico, i due stati greci. Per compensare l’isolamento, Alessio III stringerà stretti accordi con i regni di Imereti, Tao-Kartli, ed i Rupenidi della Cilicia Armena; inoltre cercherà di mostrarsi agli ilkhanidi come principale “guardiano” e “servitore fedele” della pax mongolica nella regione, per ritagliarsi uno spazio d’azione ben definito sotto l’egida della potenza egemone dei mongoli.
- 1270: Morte di Alessio III. Gli succede al potere Andronico III, suo figlio, tendenzialmente un fannullone imbelle. La politica verrà consegnata nelle mani di un consiglio di grandi mercanti genovesi, cui il sovrano elargirà, spesso in maniera assurda ed ingiustificata ampi favori. Scollamento di vasti strati della popolazione e di alcune regioni dal potere centrale, a discapito dell’efficienza militare.
- 1274: colonie genovesi si stabiliscono nella città costiere della Crimea, con il benestare del sovrano.
- 1277: Michele VIII, imperatore bizantino dal 1261, anche se molto impegnato nello scacchiere balcanico, pretende la revisione del confine. In realtà per il sovrano Paleologo è un pretesto per dare una lezione ai Genovesi, rivelatisi infidi e traditori, colpendo il loro debole protetto. Conquista di Amastri nonostante l’accanita difesa del despota Davide, figlio del re. Scoppia un primo conflitto tra quest’ultimo e la repubblica ligure, accusata di aver preteso da Andronico III la cessione della città stessa in cambio della sua difesa dall’esercito inviato da Costantinopoli.
- 1281: approfittando di crisi dinastiche, Trebisonda interviene nel regno iberiano. E’ una disfatta: Artavan e Risonda vengono incorporate nel principato georgiano, e i mercanti greci scacciati dal porto di Batis. Quest’ultima diposizione verrà ritirata grazie a Manuele, secondo figlio di Andronico, che in qualità di megaduca saccheggerà con la flotta quel porto per poi addivenire sul posto ad un accomodamento diplomatico con il principe di quelle terre.
- 1287: Manuele strappa ai Tatari, alleati con forze navali genovesi, Soldaia e Tamatarcha. Le proteste di Venezia e Genova presso l’imperatore a Trebisonda spingono Andronico a emettere l’ordine del parziale smantellamento della flotta e della cessione dei castelli greci in Crimea alle repubbliche marinare italiane. Categorico rifiuto di Manuele. Soldaia verrà conquistata dai veneziani dopo un duro assedio, mentre a Tamatarcha i genovesi verranno respinti dalle truppe del Megaduca, che ne farà la base per il suo dominio personale nella regione.
- 1288: dopo aver conquistato Mapa ed esteso il suo potere sulla costa orientale del mar d’Azov, Manuele fallisce l’attacco a Tana, subendo rilevanti perdite. Con il resto della flotta fugge a Sinope, sede del despota di Paflagonia, suo fratello Davide. Il padre intima a quest’ultimo di consegnargli Manuele, destituito dalla carica di megaduca e condannato all’accecamento. Deciso rifiuto di eseguire l’ordine.
- 1289: Davide e Manuele si ribellano apertamente al governo di Andronico. Battaglia di Pompeiopoli e sconfitta dell’esercito di Andronico. I Genovesi occupano diversi porti nel ponto orientale. Accordo di Inepoli tra Venezia e Manuele: libertà di commercio ai Veneziani in cambio della cessione a loro dei quartieri genovesi di Sinope e Trebisonda. Cessione di Soldaia e Tana ai greci previo mantenimento di un ampio quartiere veneziano in ambedue le città. Definitiva neutralità veneziana nel conflitto tra Genova e Trebisonda.
- 1290: Manuele annienta una flotta ligure giunta ad occupare Sinope e sconfigge le guarnigioni del banco di S.Giorgio a Bafra, Amiso e Cerasunte. Nel frattempo Davide sconfigge presso Castra Comneni un esercito di Turcomanni; successivamente rompe l’assedio di questi ultimi a Cotioris . I georgiani, accorsi ufficialmente in aiuto del deposto Andronico, puntano con un esercito su Argiropoli.
- 1291: Davide sconfigge nuovamente gli emiri Dulkad’r di Sebastea presso il fiume Iris e grazie all’afflusso nelle sue file dell’esercito dei clan delle fortezze montane del Ponto orientale respinge i georgiani da Argiropoli e riconquista Risonda e Artavan, dopo averli annientati definitivamente. Manuele strappa ai Genovesi Moncastro e Cherso, e dopo un’aspra battaglia navale sbarca a Caffa.
- 1292: Davide entra a Trebisonda. Resa di Genova e del banco di S. Giorgio. Notte di Natale: incoronazione di Davide II. Manuele fa un solenne giuramento di fedeltà al fratello, ma mantiene sotto il suo diretto controllo il despotato di Crimea. Da un pressoché casuale insieme disordinato di porti, questo si evolverà ben presto in un soggetto politico solido, in grado di estendersi anche nell’entroterra, grazie anche all’afflusso di coloni greci che col tempo renderanno fertile il suolo paludoso con una serie di opere di canalizzazione e di dighe. Verrà fondata anche la città fortezza di Panagiopoli, che con il suo rapido sviluppo acquisirà il ruolo di capitale del despotato.
- 1292-1313: regno di Davide II e apogeo di Trebisonda. La città diventa una grande metropoli, la cui bellezza risalta maggiormente agli occhi dei visitatori per la contemporanea decadenza di Costantinopoli. Nel 1308 il sultanato selgiuchide si divide in una serie di frammenti, ma già da prima l’impero bizantino subisce l’attacco ai suoi possedimenti asiatici. Trebisonda ne approfitta per riprendersi Eraclea e portare il confine al Sangario. Al 1308 risale anche la prima, disperata, richiesta di aiuto di Costantinopoli contro i turchi. Anche solo cinquant’anni prima, una richiesta del genere sarebbe stata ritenuta più che invitante da parte dei sovrani di Trebisonda. Ma la situazione politica e culturale era cambiata di molto, nel frattempo. Davide II, pur lusingato, ritenne di non potersi permettere pesanti ingerenze nella corte Costantinopolitana. Il suo esercito e la sua flotta, pur di prim’ordine nel quadro dei potentati della regione, non sarebbero stati in grado di lanciarsi in politiche da grande potenza, ed il controllo dell’antica capitale gli sembrava inevitabilmente legata a questo genere di politica. Ciò nonostante, in cambio dell’esenzione del kommerkion nel porto di Costantinopoli, si unirono di buon grado ai miseri resti dell’esercito paleologo per la distruzione dei principi turchi che si stavano stanziando in bitinia. La campagna venne coronata dal successo con l’annientamento del beilikato degli osmanidi.
- 1308: Michele IX, figlio di Andronico II, lancia ai trapezuntini il disperato appello per ovviare alla progressiva occupazione delle città bizantine in Asia minore. Nel frattempo trova anche il modo di attrarre, in cambio di un insediamento nei territori dell'impero, diecimila alani (compresi donne e bambini), popolo cristiano caucasico di stirpe iranica. Davide II non è troppo propenso ad ingerirsi nella politica di Costantinopoli, poiché teme di dover affrontare le ire e le ambizioni di troppi nemici contemporaneamente, nonché le invidie di Genova e Venezia, con cui ha progressivamente normalizzato i rapporti, tanto da concedere nuovamente ai liguri quartieri ad Amastri, Amiso e Risonda. Ciò nonostante, non desiderando nemmeno che i turchi prendano il controllo degli stretti, decide di inviare il generale Smbat Axuch con 6000 uomini oltre il Sangario per unirsi con gli Alani comandati dallo stesso Michele IX. Inoltre invia una flotta con altri 300 uomini guidati da Atanasio Soumelonide da sbarcare direttamente a Nicomedia, in quel momento assediata da Othman beilik, il cui potere è in rapida ascesa. L'assalto alla città è respinto. Nel frattempo Smbat si incontra con Michele presso Nicea. Insieme sconfiggono dopo una difficile battaglia i turchi presso il monte Olimpo di Bitinia, in cui gli Alani inizialmente fuggono, poi tornano sui loro passi grazie all'energico comando del Soumelonide, che da quel momento diviene capo dell'esercito alleato. Othman si allea a questo punto con un altro signore che aveva il dominio della Troade, Karesh. Con un'accorta manovra, Soumelonide divide l'esercito Pontico-Alano-Bizantino in due e presso Pegai intrappola e annienta le armate di Karesh prima che si uniscano a quelle del suo alleato. Lo stesso Karesh beilik vi trova la morte. A questo punto Michele IX sceglie di concedere agli Alani come territorio di insediamento proprio la Troade appena riconquistata, dandogli anzi l'ordine di “ripulirla” dalle scorrerie turche. Le città di Brussa, Nicomedia, Nicea e Crisopoli vengono liberate dal pericolo turco. Nel frattempo però le città nella valle dell'Ermo (Focea, Smirne, Filadelfia, Sardi, Magnesia) ancora in mano bizantina vengono giudicate impossibili da difendere contro gli assalti dell'emiro Sarukhan ed abbandonate a loro stesse. Della morte di Karesh e la pesante sconfitta di Othman ne approfitterà su tutti l'emiro di Aydin, che comincerà a diventare il più potente sovrano turco della regione, espandendosi per terra, ponendo sotto il suo servizio lo stesso Sarukhan e sottomettendo i beilikati di Teke e Menteshe a sud e per mare , iniziando la costruzione di una flotta pirata con cui saccheggiare le coste del mar Egeo. Davide di Trebisonda in cambio del servizio reso chiede a Costantinopoli le città di Calcedonia e Crisopoli, ormai in rovina ma strategicamente ben poste sul Bosforo, e l'esenzione dal Kommerkion alla stessa stregua dei mercanti occidentali. Michele IX decide infine di stabilire la propria residenza proprio a Nicea, per portare ordine nei territori appena recuperati all'impero. Decide innanzitutto di portarsi dietro il secondogenito, Manuele, che fa sposare, anche se giovanissimo, con la figlia del capo degli Alani stanziatisi in Troade, per legarli maggiormente a sé. Nel frattempo questo popolo fa del cadente borgo di Pegai il proprio centro principale. Presto però occuperanno anche Poimanenon e Cizico, per poi penetrare lentamente verso l'interno.
- 1310: A Manuele figlio di Michele IX nasce un figlio di nome Basilio, detto “l'alano” che giocherà un ruolo fondamentale negli anni successivi. Nel frattempo viene posto al comando della Morea bizantina Michele Cantacuzeno, che con la sua capace amministrazione la renderà la più florida provincia del decadente impero.
- 1310: Sui confini orientali di Trebisonda succedono importanti cambiamenti. Con l'indebolimento del potere Ilkhanide iniziano le lotte di fazione tra le grandi famiglie per ottenere i favori del sovrano. Anche i pontici non sono estranei a questo gioco, interessanti a cogliere ogni possibile vantaggio economico e politico dalla situazione. Davide aveva in ogni modo cercato di potenziare la presenza mercantile pontica in Persia e Mesopotamia, ottenendo facilitazioni commerciali e dei fondaci in alcune città. Inoltre si era promosso come difensore degli interessi dei cristiani in queste regioni. Nel 1295 il Khan Ghazan si era ufficialmente convertito all'Islam. La tolleranza di cui avevano goduto le folte comunità cristiano-nestoriane sembrava giunta al termine. Tuttavia Davide riesce a negoziare con il Khan, tanto che quest'ultimo promulga un editto di tolleranza, che, anche se in una certa qual misura restrittivo, concede libertà di culto agli “assiri”(come venivano denominati i cristiani di credo nestoriano, presenti in quelle regioni dai tempi di Giustiniano, da sempre percentualmente rilevanti nel nord della Mesopotamia e che, con la tolleranza concessa loro dai mongoli erano anche aumentati di numero) in determinati centri urbani del paese, in cui le comunità erano più numerose. Questo genere di editto tornava a vantaggio della politica economica di Davide, che cerca di dirigere i propri mercanti proprio nelle città comprese nell'editto. I fondaci dei mercanti pontici, che avevano tutta una serie di immunità ed esenzioni, e, per di più sottostavano, proprio come i quartieri veneziani e genovesi nel levante, a leggi proprie, diventano la meta dell'immigrazione nestoriana, andando ad accrescere il peso politico ed economico di Trebisonda nell'Ilkhanato. Risale al 1305 il matrimonio che suggella questa politica: la seconda figlia di Davide, la Despina Teodora, viene data in sposa ad Amir Coban, uno degli uomini più potenti a corte, l'unico in grado di rendere effettivi i privilegi concessi al sovrano Trapezuntino in Persia.
- 1313: Muore Davide II. Gli succede il figlio secondogenito Giovanni, dopo che il primogenito Isacco, era morto per una caduta da cavallo durante una partita di polo, lo sport pontico per eccellenza. Nella politica di Trebisonda da questo momento in poi si scontreranno con sempre maggiore evidenza due tendenze in politica estera: “l'occidentale” e “l'orientale”. In realtà i fatti impediscono ai sovrani del XIV secolo di dedicarsi compiutamente ad un solo scacchiere. Per quanto riguarda Giovanni si può dire che la sua politica, almeno per la prima metà del suo regno è dedicata a stringere rapporti di amicizia con le grandi famiglie che si dividevano il controllo della Persia e l'influenza alla corte
dell'Ilkhan.
Teodora “katun” ha una sempre maggior influenza presso il marito Amir Coban(o Chupan), che, a sua volta, al servizio dei successivi tre Ilkhan diviene l'uomo più potente di tutto il medio oriente. Si può anzi dire che sino all'ascesa al trono di Abu Sa'id è lui il vero padrone dell'Ilkhanato. Da Teodora nasce una bambina, Bagdad Sofia Katun, che diverrà una pedina fondamentale nelle lotte intestine di un quindicennio più tardi.
- 1315-1320: Michele IX si innamora della Bitinia e torna sempre meno a Costantinopoli. Andronico II per governare i territori europei dell'impero si affida sempre di più all'ausilio del nipote, Andronico III (che non ha seguito il padre a Nicea), anche se è infastidito dalla sua tendenza alla vita gaudente. La china discendente delle fortune bizantine sembra essersi arrestata e le misure di austerità dell'anziano imperatore alimentano sempre maggior malcontento, di cui si fa portavoce proprio il giovane Andronico. In Asia minore la situazione è più tranquilla: Michele IX gradualmente trasforma gli Alani da una banda di predoni in un vero e proprio esercito. Se nel 1315 per difendere Nicea contro gli assalti del potente beilikato di Germyan deve nuovamente ricorrere al despota di Paflagonia(Davide, figlio di Giovanni ed erede presuntivo al trono di Trebisonda), già due anni dopo arriva a imporre un tributo ad Ahiler e sottomettere definitivamente Candar, due piccoli emirati che lentamente avevano esteso la loro dominazione sugli ex-territori osmanidi orientali. Per quanto riguarda il contentimento dell'ascesa di Germyan, Michele otterrà l'amicizia dell'emiro di Aydin, che ormai era giunto ad unificare tutti i domini turchi dell'Asia minore sud occidentale. Ciò però iniziava ad infastidire Venezia e Genova, sempre più danneggiate dalla pirateria dell'emiro e dall'ingresso dei mercanti di Trebisonda a Costantinopoli e nel circuito del Mediterraneo(tramite i fondachi pontici ad Adramitto, Lampsaco, Cizico e Abido)
- 1321: Andronico III va in visita al padre ed al fratello a Nicea per chiedere loro una mediazione per riappacificarsi con il nonno, con cui aveva nuovamente litigato. Durante la sua permanenza si innamora di una giovane alana servitrice del fratello. Chiede a due guardie del suo seguito di verificare se avesse rapporti con altri uomini e, nel caso, di provvedere, in modo da non avere concorrenza. Per errore, però, i due uccidono Manuele. Michele IX, venutolo a sapere, ha un attacco cardiaco e muore. Andronico III fugge contrito a Costantinopoli, ma Andronico II è talmente furioso che lo disereda. Giovanni Cantacuzeno, figlio del governatore della Morea e amico del giovane Andronico lo spinge a ribellarsi alle decisioni del vecchio imperatore. Riunitisi i due ad Adrianopoli, innalzano il vessillo della rivolta e raccolgono un esercito composto perlopiù da mercenari serbi e bulgari per spodestare Andronico II. Cantacuzeno spende inoltre di tasca propria per allestire una flotta per occupare Cizico e da lì entrare a Nicea. Cogliendo l'occasione della morte di Michele, l'emiro di Germyan attacca in forze la fortezza di Olympos, creata dal Paleologo ai piedi del monte omonimo, sede di un complesso monastico che rivaleggia con l'Athos per la palma di più grande dell'ortodossia. Anna l'alana, la moglie di Manuele, con il figlioletto Basilio fugge a Kastamon/Castra Comneni, ottendendo la protezione di Davide, che le assicura aiuto. I governatori della “tetrapoli”, come ormai comincia ad essere chiamata la Bitinia(dal fatto che le principali città sono quattro: Nicea, Nicomedia, Brussa e l'ultima arrivata, Olimpo) e i principi dell'Alania minore(come è denominata la Troade) proclamano fedeltà al vecchio imperatore contro “l'assassino”, come viene soprannominato Andronico III.
- 1322: Giovanni Comneno cerca di dissuadere il figlio dall'intervenire troppo pesantemente nelle vicende politiche di Costantinopoli: finché si tratta di sconfiggere i Germyanidi va bene, un po' meno se l'intenzione è di porsi a capo di una fazione in una guerra civile. Davide non sente ragioni, così il padre gli nega la potente flotta da guerra pontica. Si faccia bastare le galee di mercato di Eraclea, Amastri, Inepoli e Sinope riattate a navi da guerra. Imperterrito, Davide chiede aiuto al vecchio fratello del nonno, Manuele Comneno, che da Panagiopoli governa ancora con successo il despotato di Crimea, che ormai controlla tutta la penisola di Crimea, l'intera linea costiera del mar d'Azov e la costa del Mar Nero orientale fin quasi al confine con l'Abasgia. Questi si lascia convincere e gli concede una piccola parte della sua flotta comandata dal nipote Isacco Comneno. Non contento chiede l'ausilio di un altro grande veterano, Atanasio Soumelonide, di cui gli alani conservano ancora ricordo.
Nel frattempo un esercito congiunto di alani e niceni riesce a sconfiggere un'incursione Germyanide a nord-est di Adramitto. La condizione di Olimpo si fa sempre più precaria. Il governatore Ignazio Foca, non certo all'altezza del proprio cognome, fugge con alcuni suoi seguaci. I capi dei soldati pronti a trattare la resa vengono però fermati da un memorabile discorso dell'archimandrita del monastero Giorgio(poi San Giorgio Olimpico, per gli ortodossi), che incita la popolazione a resistere solo per un altro mese. Se non fossero giunti rinforzi nel frattempo avrebbe consegnato lui stesso all'emiro le chiavi della cittadella. Vera o no la leggenda che vuole che i rinforzi di Davide arrivassero appena un giorno prima della fine del mese, i pontici attaccano l'accampamento turco e inducono gli assediati ad una sortita. Per l'emiro è una seria sconfitta ma non una disfatta completa, in quanto buona parte della sua armata sopravvive, ma pensa bene di ritirarsi, poiché nel frattempo anche Aydin si era mosso.
- 1322-1323: Dopo la vittoria ad Olimpo Davide stesso entra trionfalmente a Nicea e in una solenne cerimonia presieduta dai patriarchi di Nicomedia, Brussa e Nicea, dai vescovi di Poimanenon e Pegai e dall'archimandrita di Olimpo si fa proclamare reggente di Tetrapoli e Alania minore per il giovane Basilio. Questa azione piace poco ad Andronico II, ma nulla può fare se dare a posteriori il proprio assenso, incoraggiato anche dall'assoluta contrarietà di Giovanni Comneno ad espandere il Ponto a danno di Costantinopoli. La potente flotta allestita da Davide comunque entra nel mar di Marmara e insedia guarnigioni pontiche a Cizico, Abido e Lampsaco, per impedire che la flotta di Giovanni Cantacuzeno possa tentare uno sbarco in forze in Asia. A questo punto Davide prende l'azzardata decisione di porre un blocco navale davanti a Gallipoli e inviare una squadra nell'Egeo. Quest'ultima elimina una flotta pirata di Aydin ed in breve la situazione precipita.
Giovanni Cantacuzeno a questo punto riesce a far coagulare intorno a sé tutti i potenziali nemici di Trebisonda: ottiene l'amicizia dell'emiro Aydinide Ibrahim e riesce nell'impossibile risultato di porre nello stesso fronte Genova e Venezia. In realtà quest'ultima era sempre riuscita a conservare ottimi rapporti con Trebisonda, quindi, prima di ordinare al proprio capitano generale un intervento in forze nell'Egeo settentrionale, invia un ultimatum a Davide e Andronico II. Quest'ultimo cerca pertanto di far recedere il despota di Paflagonia perlomeno dal blocco sui Dardanelli, ma Davide rifiuta. E' la guerra.
- 1324-1325: l'azione dei veneziani è sorprendentemente rapida: sconfiggono la flotta di Isacco di Crimea a Gallipoli e prendono il controllo della città; decidono poi di occupare Cizico, Nicomedia e Crisopoli. Non meglio va per terra: Ibrahim sconfigge gli alani a nord di Adramitto e le sue armate pongono l'assedio a Poimanenon. Per due volte i pontici tentano di rompere l'assedio, fallendo in entrambi i casi. Del resto nemmeno Germyan era rimasto a guardare, per questo l'esercito di Davide non poteva privare le guarnigioni che presidiavano la tetrapoli di un numero troppo ingente di uomini.
- 1325-1326:La squadra Trapezuntina nell'Egeo mette a segno un colpo incredibile: sfuggendo ad una trappola nelle acque antistanti a Lesbo viaggia verso sud e navigando anche di notte, nonostante il rischio che questo comportava, riesce a giungere a Smirne (controllata dagli Aydinidi) e dare fuoco a molte galee nella rada del porto. Intanto Venezia entra a Calcedonia. A questo punto però Genova da' un inaspettato aiuto a Davide: vedendo che tutti i vantaggi stanno andando alla Serenissima, si rende conto che con il controllo di Calcedonia e Gallipoli insieme, Venezia sarebbe padrona di tutto il traffico marittimo da e verso Costantinopoli. Cambia perciò schieramento contribuendo alla riconquista di Crisopoli e di Calcedonia stessa da parte dei Trapezuntini (previo completo reintegro dei propri mercanti nei porti della Crimea). Sul continente europeo, dopo un iniziale accordo di spartizione del potere, alla fine Andronico III, aiutato dai bulgari, riesce definitivamente a spodestare il nonno, che finirà i suoi giorni come monaco. Il giovane ha vinto, ma il paese è prostrato e l'impero ha perso a danno del regno di Serbia la quasi totalità della Macedonia, tranne la città di Tessalonica, che però, in pratica, si autogoverna.
- 1326: la guerra asiatica e marittima, quasi all'insaputa dei due contendenti al trono imperiale, termina. Tutto sommato, per quanto riguarda le repubbliche italiane, la guerra fa male agli affari. Trebisonda deve sgomberare tutti i porti che danno direttamente sul Mediterraneo e restituire il possesso di Lampsaco, Cizico e Abido all'imperatore Andronico III: l'impero, però, a conti fatti, ha perso il controllo della sua provincia asiatica. Anche se l'impresa non ha raggiunto gli obiettivi che si era prefissata, Davide può comunque dirsi soddisfatto: ha ufficialmente annesso al Ponto tutta la Bitinia settentrionale fino al Bosforo, mantenendo il controllo su Calcedonia e Crisopoli(un terzo in ognuna delle due città viene devoluto al controllo del despotato di Crimea in virtù dell'aiuto prestato) ed è reggente per Basilio(che dal trattato di pace ha dovuto rinunciare al numerale III, ma che comunque, per rispetto delle apparenze, è insignito del titolo di sebastokrator per l'oriente da parte di Andronico III), della Tetrapoli e dell'Alania minore. Aydin stessa, per il momento non vedeva particolare motivo per eliminare un partner economico strategico e potenzialmente alleato contro le repubbliche italiane, per cui, una volte ritiratesi dal conflitto Venezia e Genova non porta a fondo il suo attacco e si ritira, lasciando Germyan da solo. Quest'ultimo emirato si era espanso troppo repentinamente per avere una solida base di potere ed in più mancava della ricchezza derivante dal commercio marittimo a dal passaggio nel suo territorio di vie carovaniere importanti(come potevano avere Aydin e Karaman, o anche lo stesso beilik Osman prima della sua sconfitta). Esaurita la spinta aggressiva dopo le sconfitte contro i suoi rivali turchi non era in grado di affrontare da solo la controffensiva greca: i territori intorno a Nicea vengono riconquistati e sul Sangario l'emiro viene pesantemente sconfitto dall'esercito di Davide. Anche il sedicenne Basilio partecipa alla battaglia e sorprende tutti dando prova, alla guida dei “suoi” alani, di coraggio e abilità inaspettate. Il compito di fare del suo dominio una potenza regionale sarebbe però stato irto di difficoltà.
- 1327: Apparentemente è incomprensibile il motivo per cui Giovanni Comneno si sia completamente disinteressato della questione a ovest e l'abbia affidata all'entusiasmo giovanile del figlio. Tuttavia è tutto molto più chiaro considerando che analoghi problemi dinastici fiaccavano l'Ilkhanato. Se però nel caso dell'impero bizantino i pontici potevano essere considerati tra gli attori più potenti del proscenio, a est il discorso cambiava, così come il tasso di rischio in caso di sconfitte o alleanze sbagliate. Bagdad Sofia Katun, figlia di Teodora e Amir Coban, era stata data in sposa a Shaikh Hasan. Nel frattempo un nuovo sovrano si era insediato a Tabriz, Abu Sa'id. Inizialmente parve che anche con lui Amir potesse rimanere il plenipotenziario indiscusso dell'impero, tanto più che dopo la morte di Teodora, (che le aveva dato un altro figlio, Husun Delsad Dav'ud(cioè Davide, in onore del padre di Teodora)), si era risposato con Sati Beg, sorella del sovrano, ma importanti esponenti di nobili famiglie diventavano sempre più insofferenti del suo dominio sulla corte. La molla che però saldò questo malcontento alla volontà di sbarazzarsi di lui da parte del sovrano fu proprio Bagdad Sofia. Come voleva la tradizione Comnena, la ragazza era bellissima, a tal punto che Abu Sa'id la desiderò per sé. Amir, per fargliela dimenticare, organizzò per lei e per suo marito una sorta di esilio nella dimora del nonno materno, a Trebisonda, fuori dal raggio d'azione di rappresaglie. Questo però sortì l'effetto opposto: Amir cadde in disgrazia, non riuscì a raggiungere i due sposi a Trebisonda e venne giustiziato.
Abu invia una delegazione con tutti gli onori a Trebisonda per “convincere” Bagdad Katun (che a Trebisonda era chiamata despina Sofia) ad acconsentire e suo zio a dargliela in moglie facendola divorziare da Shaikh. Giovanni cerca di eludere la richiesta, ma poi, rassicurato dallo stesso Shaikh e pressato dalla minaccia di un intervento militare, acconsente. La nipote di un imperatore pontico diventa la moglie dell'Ilkhan. Come Teodora nei confronti di Amir, anche Bagdad Sofia acquista enorme potere sul proprio marito, anche se il gran visir, Ghiyath al din, che combatteva con lei per ottenere ascendente su Abu Sa'id, la accusa, senza mai riuscire a dimostrarlo, di essere in conbutta con Shaikh Hasan per assassinare il marito.
- 1330-1333: L'impero bizantino cercava di riprendersi dalle ferite della guerra civile. Grazie all'accorta guida di Giovanni Cantacuzeno, il nuovo imperatore riusciva a registrare i primi successi portando finalmente sotto il suo controllo l'Epiro e la Tessaglia settentrionale. I pirati Aydinidi si erano impadroniti dell'isole di Egina, Salamina, Idra e Zea, e da lì erano passati sulla terra ferma facendo di Epidauro la loro base operativa. Il numero di pirati era diventato un pericolo per gli stessi veneziani delle Cicladi e di Negroponte, ma le scorrerie più devastanti erano ai danni del ducato di Acaia e di quello di Atene, in mano ai latini, e del signore di Neopatria, un greco della famiglia dei Melisseni che si era autoproclamato signore quando la legittima dinastia tessala si era estinta. I tre signori in questione decidono di portare un attacco alla base di Epidauro ma falliscono miseramente nel loro intento. In più, per rappresaglia, gli Aydinidi assaltano la stessa Atene, ne massacrarono i difensori e portarono via migliaia di schiavi e un ingente bottino.
Dopo questa disfatta, Angelo Melisseno chiese aiuto a Costantinopoli, seguito a ruota da Gualtiero De la Roche e Teobaldo II, signore d'Acaia in quel momento. Giovanni Cantacuzeno si pone alla testa, ancora una volta, di un esercito pagato a spese proprie, e, dopo aver liberato la Tracia da alcuni predoni bulgari, marcia fino a Neopatria per sottometterla al proprio potere. Raggiunge poi Corinto, ordinando al proprio figlio, governatore della Morea, di avanzare da nord. Dopo aver tolto ai pirati turchi Argo e Nauplia,(che in realtà non rispondevano all'autorità dell'emiro. Evidentemente il Cantacuzeno non voleva pregiudicare i buoni rapporti che intratteneva con Ibrahim) invece di marciare verso Epidauro, torna ad Atene e pretende la consegna del ducato da Gualtiero, che, impotente, accetta. Maggiori resistenze fa Teobaldo, che si ritira ad Andravida, dove viene assediato dai bizantini di Morea. Chiede a questo punto l'aiuto di Venezia, in cambio di una cospicua parte dei suoi domini. Il senato lagunare, mandata una squadra a Patrasso per sorvegliare la situazione, impone ai due contendenti un accordo di massima. A questo punto però Teobaldo si oppone anche ai veneziani, chiedendo aiuto al proprio re a Napoli. Questi però nulla fa per il proprio governatore. La vicenda si risolve praticamente in una spartizione dell'Acaia tra Venezia e l'impero. Elide occidentale e Argolide ai veneziani, tutto il resto ai greci.
- 1332: Shaikh Hasan viene arrestato e imprigionato nella fortezza di Kamakh per aver tentato di assassinare Abu Sa'id. Grazie all'intermediazione di Bagdad Katun e della madre di Hasan non viene decapitato. Anzi, l'anno seguente viene liberato, ed inviato, in occidente per divenire governatore del “sultanato di Rum a nome dell'Ilkhan”. Tuttavia Hasan, dopo aver convinto il generale turco Eretna, che controllava l'Anatolia orientale, ad allearsi con lui, in maniera decisamente più pragmatica, ne approfitta per andare a visitare lo zio dell'ex-moglie a Trebisonda. Rimane nella città pontica per tre mesi, assistendo agli ultimi giorni di vita di Giovanni e all'incoronazione di Davide III come nuovo sovrano dell'impero pontico. Quest'ultimo, anche se apparentemente molto più interessato all'occidente che all'oriente, gli riconferma l'appoggio che gli aveva garantito suo padre. Anzi, promette addirittura a Shaikh di portare un giorno personalmente gli omaggi a sua cugina Sofia. Purtroppo quest'ultima morirà prima.
Nel frattempo i cristiani assiri ed i mercanti pontici era diventati una presenza importante nella Mesopotamia, sia dal punto di vista demografico, sia, soprattutto, dal punto di vista economico. A Ninive, Mosul, Mardin, Sulaimanyeh e Diarbekir ed in generale nell'alto corso del Tigri i nestoriani erano diventati persino la maggioranza, scalzando i curdi, che si erano sposati più a est. Fiorenti comunità cristiane erano rintracciabili anche più a sud, nel delta, tra Bassora e Ahvaz(anche se è percentualmente più forte la componente ortodossa pontica immigrata rispetto alla comunità nestoriana locale), nel Lorestan e nel Mazandaran. Alcune presenze pontiche si erano spinte lontano, fino a formare certamente una comunità a Hormuz e, forse, ma non è molto chiaro, persino nel
Gujarat.
- 1335-1338: Abu Sa'id muore, molto probabilmente avvelenato dalla moglie con la complicità di Shaikh, che, nel frattempo, ha esteso la sua base di potere in Irak. Sofia-Bagdad questa volta non sopravviverà alle accuse e verrà uccisa dal successore di Abu Sa'id, Arpa Ke'un. In realtà è una mossa che si rivela da subito pericolosa: la sovrana era fin troppo amata e il nuovo Ilkhan ha già di per sé una base di potere piuttosto labile. Da subito cominciano le ribellioni al suo dominio.
Quando anche l'altra moglie di Abu Sa'id, (un'altra donna dal sangue pontico, la figlia di Husun Delsad, il secondo figlio di Teodora e Amir Coban) la giovane Delsad Katun, cristiana, fugge a Diarbekir, la situazione precipita. Hasan, grazie anche all'aiuto di numerosi esponenti della famiglia Cobanide si libera di Arpa Ke'un e trova un ragazzino lontanamente imparentato con l'Ilkhan da elevare al trono come sua creatura. Ma anche altri hanno fatto lo stesso: comincia una lunga e sanguinosissima lotta fratricida tra le maggiori famiglie dell'Ilkhanato. Hasan ora si fa chiamare Buzurg, ossia “il grande”, e sposa anche Delsad
Katun.
Davide III, vedendo che il successo arride ad Hasan non esita a schierarsi con lui: gli invia un piccolo esercito di duemila uomini, schierato perlopiù in difesa delle città irachene sotto il controllo di Hasan. L'importanza di questa spedizione si deve più che altro al fatto che i pontici addestrano un'armata di cavalleggeri completamente composta dai cittadini cristiani della Mesopotamia, che costituirà il nerbo dell'esercito Jalayrid(come d'ora in poi si chiamerà la fazione di Hasan Burzug). L'ordine tuttavia non si ripristina perché una volta liberatosi dei rivali, i Cobanidi che lo avevano sostenuto si ribellano sotto la bandiera di Hasan Kucek, che riesce a sconfiggere Hasan Buzurg e conquistare Tabriz e tutta la Persia settentrionale. Dalla capitale Ilkhanide, Kucek arma un esercito per attraversare l'Armenia ed entrare nel Ponto. Davide riesce faticosamente a respingere l'orda di razziatori, ma scopre che si tratta solo dell'avanguardia di un esercito ben più imponente.
L'ammiraglio della flotta trapezuntina a questo punto decide di ribellarsi e deporre Davide per risparmiare a Trebisonda l'incubo della distruzione. Il sovrano riesce però a sventare in tempo la congiura e fa decapitare l'ammiraglio. Ciò nonostante l'atmosfera rimane cupa. Fortunatamente Hasan Burzug, ritiratosi a Baghdad, riesce ad impedire la conquista del territorio sotto il suo controllo, per cui viene siglata tra i due contendenti una pace che delimita le rispettive sfere di influenza. Hasan si ricorda anche di Davide, che viene incluso nella pace, assieme al governatore di Diarbekir, il capo turco
Eretna.
Provato dagli avvenimenti, in particolare dal fallito attentato alla sua vita, Davide muore nel 1338 dopo solo sei anni di regno. Al contrario del padre, fin troppo cauto e guardingo, Davide entrò con baldanza in ogni occasione di estendere l'influenza ed il prestigio dell'impero. Effettivamente vi riuscì, anche se non in maniera del tutto corrispondente alle proprie aspettative, ma il prezzo da pagare per la politica di grandezza fu assumersi dei rischi che al patriziato urbano ed alla popolazione parvero semplicemente intollerabili.
- 1338-1339: Le oligarchie cittadine del regno, da Calcedonia(che in brevissimo tempo sembrava tornata alla popolazione che aveva in epoca macedone) a Batis, si riuniscono ad Amiso per sbarrare il passo alla tradizionale marcia funebre reale di ritorno da Kastamon a Trebisonda. (in questa città, nella chiesa di santa Irene d'Ungheria, venivano seppelliti tutti i sovrani di Trebisonda in presenza dell'erede al trono. Questi aspettava il corteo all'interno della basilica, doveva togliere lo scettro dalle mani del defunto re(Non in senso letterale. Veniva messo sopra la bara coperta. Altrimenti sarebbe stato un po' troppo macabro anche per il medioevo), metterlo nelle mani del vescovo di Kastamon lì presente. Poi, dopo la tumulazione e tre giorni di veglie di preghiera per l'anima del defunto, il vescovo di Kastamon con in mano lo scettro, l'erede al trono e tutto il seguito, partivano nella marcia di ritorno. Giunti nella cattedrale di Trebisonda il vescovo di Kastamon cedeva lo scettro al patriarca di Trebisonda che, dopo una preghiera alla Trinità, alla Madonna, alla chiesa e ai santi, all'imperatore di Costantinopoli e, infine, a tutto l'esercito ed il popolo, cedeva lo scettro al nuovo re e gli metteva in capo un diadema. Procedura lunga ma suggestiva creata nella sua forma finale da Andronico III per suo padre Alessio III, quando ormai il principio dinastico sembrava saldo.) Essi non avrebbero dato il loro assenso all'incoronazione se prima egli non avesse concesso loro l'istituzione di un senato “alla maniera degli italiani”. Ogni città costiera avrebbe inviato un proprio rappresentante a questo organo con cui il re si doveva consultare per la riscossione delle tasse e per le dichiarazioni di guerra e di pace. In un primo tempo il giovane erede al trono, Alessio IV, acconsente, per placarli temporaneamente. Poi, però, tenta di utilizzare i castellani delle montagne per reprimere il dissenso delle città. Questa volta però anche i nobili dell'interno si rifiutano di obbedire e chiedono un consiglio tutto loro dotato degli stessi poteri di quello dei patrizi delle città. Anzi, i capi dei due gruppi si riuniscono per stabilire che per l'utilizzo dell'esercito dovesse chiedere autorizzazione ai castellani (I Kastrophilai) mentre per la marina ai cittadini. Alessio IV non era abbastanza forte da schiacciare la ribellione usando il popolo minuto, poiché non aveva ancora nessun ascendente su quest'ultimo, e, anche se avrebbe voluto distruggerli, fu costretto ad accettare le loro condizioni e firmare la nomos ton demokrateia, una sorta di carta dei diritti che ricordava vagamente una via di mezzo tra gli statuti cittadini delle repubbliche italiane e la Magna Charta Libertatum degli inglesi.
- 1338-1359: Nuovo periodo di consolidamento interno di Trebisonda. In realtà al nuovo sovrano non ci volle molto per comprendere come aggirare l'ostacolo dei nuovi organi. Alessio IV era un ragazzo intelligente: aveva ereditato la decisione dal padre e l'intelligenza politica dal nonno. Presto iniziò a mettere uno contro l'altro i vari esponenti di questi organi collegiali finché non poté privarli di qualsiasi reale potere decisionale. (Rimarranno però una spada di Damocle ogni qual volta il sovrano si dimostrerà un debole, ed un pericoloso precedente).
- 1341: Seconda minaccia di invasione Cobanide da est. Alessio IV non aveva smesso di appoggiare Hasan Buzurg, ma aveva usato un altro metodo rispetto al padre, meno invasivo ma ancor più efficace: la sottoscrizione di prestiti. Trebisonda, i mercanti pontici in Iraq e gli assiri di Mesopotamia diventano per lui ancor più importanti, in quanto necessario polmone economico per la sua politica. Questa volta l'esercito di invasione neanche si avvicina al confine pontico, perché l'intero Azerbaijan venne scosso da una ribellione finanziata da Trebisonda, che per poco non raggiunge l'obiettivo di abbattere l'Ilkhan a Tabriz. Ma anche Hasan aveva fatto tesoro delle esperienze precedenti: smette di competere per il titolo di Ilkhan e consolida il dominio sui territori da lui controllati in modo da poterne fare una signoria indipendente da trasmettere al figlio. I Cobanidi, intenti a mantenere all'interno della propria famiglia il controllo della capitale Tabriz e del titolo di Ilkhan si indeboliscono ben presto a furia di fronteggiare sempre nuovi pretendenti, e tutti i tentativi per far tornare sotto il proprio controllo la totalità del territorio dell'Ilkhanato si rivelano sempre più fallimentari. Al contrario Hasan Buzurg riesce a fondare una dinastia che sopravvivrà fino alla fine del secolo e verrà messa in crisi solo da Tamerlano.
- 1341: Muore l'imperatore bizantino Andronico III, lasciando un erede al trono bizantino di appena 5 anni, Giovanni V. Giovanni Cantacuzeno, pur malvisto da certi ambienti di corte e, in particolare, dalla madre dell'infante imperatore, assume la reggenza, con l'intenzione di continuare l'opera di riconquista delle “terre di frontiera”, ossia i territori montuosi macedoni, traci e balcanici alternativamente in possesso di Serbia, Bizantini e Bulgaria. Il principale problema rimaneva però la scarsa capacità finanziaria dell'impero e, in particolare, l'incapacità di far fronte all'aggressività commerciale degli italiani e dei trapezuntini. Con lo scopo di ovviare a questi inconvenienti, concede privilegi commerciali ad alcune città marinare moreote, in particolare Monemvassia, che sembrano economicamente le più vitali. In secondo luogo si prodiga per la costruzione di una flotta da guerra permanente, per non dover sottostare continuamente alle minacce di raid da parte di Veneziani e Genovesi. Cerca infine, con un modesto successo, ad appianare i rapporti con Basilio, che ormai è riuscito a guadagnarsi un sufficiente margine di manovra sia politico, sia militare nei confronti dei propri protettori pontici e che sta rafforzando le difese dei suoi domini e, proprio come Giovanni, si sta impegnando per la costruzione di un arsenale e di una flotta da guerra. Ma ambedue dovevano far fronte alla rapida ascesa di stati giovani e dalle mire ambiziose. Si trattava dell'impero serbo di Stefano Dusan, che mirava ad assorbire sotto il proprio scettro la Bulgaria e l'impero bizantino, e l'emirato di Aydin, che mirava ad unire i turchi anatolici sotto la propria bandiera ed espandersi nel frattempo sul continente europeo.
- 1342: Cantacuzeno si allea con Dusan per limitare le ambizioni sulla Tracia dei bulgari, che foraggiano le attività di numerosi predoni che si erano creati dei domini personali sui monti Rodopi: con un esercito levato con il denaro dei propri possedimenti raduna un contingente colossale di 5000 uomini, riuscendo ad occupare Cernem e Stenimakos. Ma il sovrano serbo fa di meglio: dopo aver occupato la città di Nis si dirige a sud est e presso Velbugd annienta l'esercito nemico guidato dallo stesso zar Ivan Alessandro, che riesce fortunosamente a fuggire presso la capitale. Tuttavia Dusan non lo insegue. Giovanni Cantacuzeno presto scopre perché: al ritorno dal teatro delle operazioni, presso Adrianopoli, scopre che i suo nemici politici hanno confiscato tutti i suoi beni e lo hanno dichiarato nemico pubblico, garantendosi l'appoggio del re serbo. Basilio, che da mesi aspettava il momento propizio per mettere in atto il proprio piano, ne approfitta. In breve tempo fa occupare Lampsaco, Cizico e Abido, le tre teste di ponte asiatiche del governo di Cantacuzeno e sbarca con un esercito di 4000 uomini a Gallipoli, con l'intenzione di indossare la porpora. Cantacuzeno, senza sussidi e con le terre requisite, fugge verso sud nelle terre di Tessaglia a lui fedeli, dove gli arconti appoggiano la sua causa.
- 1343: Basilio sconfigge con i suoi alani i bulgari, che sostengono la reggenza, a Didimoteico, per poi entrare ad Adrianopoli. Dusan nel frattempo è impegnato a guidare l'esercito verso sud, alla volta di Tessalonica e poi della Grecia continentale, dove Cantacuzeno sta raccogliendo i propri sostenitori. L'Epiro cambia schieramento dopo che il sovrano serbo richiama Nicolò Orsini dall'esilio per reintegrarlo come despota in Arta, in cambio della sua disponibilità a dichiararsi vassallo. Mentre Basilio marcia alla volta di Costantinopoli, Alessio Apocauco, il leader del partito della reggenza e probabilmente amante della regina madre, muore. Cantacuzeno a questo punto coglie la palla al balzo e tende una mano alla regina: un'alleanza per sbarazzarsi di Basilio. Ovviamente a questo punto Dusan, che gioca per assecondare il proprio interesse, cambia partito e propone a Basilio un accordo di spartizione: mentre i serbi prenderanno possesso di Macedonia, Tessaglia e Attica, i niceni si prenderanno la Tracia con Costantinopoli. A Cantacuzeno, in quanto parente acquisito di re Stefano(Teodora Cantacuzena, la figlia di Giovanni, aveva sposato Dusan) resta la Morea.
- 1344: il sovrano serbo, tuttavia non ha fatto i conti con l'astuzia di Giovanni Cantacuzeno: quest'ultimo riesce infatti a guadagnarsi l'amicizia di Omur di Aydin, successore di Ibrahim, in modo da scatenarlo contro i territori asiatici di Basilio.
- 1345: Anche in questo conflitto civile bizantino, l'ultima parola spetta tuttavia a Trebisonda. Alessio, dopo aver osservato da spettatore interessato per tutto questo tempo, complice una certa cautela nell'utilizzo dell'esercito viste le difficoltà interne già menzionate, decide che è giunto il momento di intervenire: innanzitutto paga Ahmed di Karaman per ostacolare i piani di Aydin. Successivamente si accorda con Venezia per minacciare i genovesi, alleati dei turchi per spartirsi le Cicladi e l'Eubea, sulle quali la pressione si stava facendo più forte. Infine invia una flotta di 15 galee da guerra verso Tessalonica per indurre Dusan a rompere l'assedio alla città. Infine chiede a Isacco despota di Crimea di arruolare delle armate nelle sue terre per minacciare Ivan Alessandro. Le parole del suo messaggio al senato della repubblica lagunare sono di una lungimiranza politica straordinaria:
« All'eccelso doge della sempre Serenissima repubblica di Venezia, signora dei mari, l'augusto imperatore di Trebisonda, sovrano di Ponto e Paflagonia, assieme al suo augusto collega despota di Panagiopoli, sovrano di Chersoneso e del Bosforo Cimmerio. Nel nome della Santissima Trinità. Vedendo con rincrescimento e rammarico la funesta situazione nella quale si trovano i nostri fratelli di fede a causa della loro follia e insensatezza, giungiamo a voi, imploranti, e in piena amicizia, per giungere ad un accordo di cui tutto il creato possa gioire. I nostri interessi ci costringono ad essere come degli amorevoli padri di fronte alle zuffe di bambini che non comprendono quanto grande sia il loro peccato. Nuovi pericoli stanno di fronte alle nostre auguste potenze, pericoli già grandi senza che noi li accresciamo con la nostra inazione. Pericoli in grado di alterare l'ordine che tanto ci era stato di giovamento. Se lasciamo che il dominio su Costantinopoli divenga una faccenda tra Turchi e Serbi, quale posto rimarrà per noi nel Mediterraneo? Essi sono giovani e baldanzosi e se noi non agiamo subito per far tacere i loro tamburi, verrà il giorno in cui non ne saremo più in grado. Ed essi diranno: guardate questi vecchi: togliamo dalle loro mani tutti i tesori che si sono accaparrati con tanta fatica nel corso degli anni! Avremo tutto ed in poco tempo! Non esagero eccelso signore: il guadagno che si può trarre da tale disordine è poco e momentaneo, in confronto al danno. Non sopporterei se per mia colpa gli infedeli prendessero un'altra delle regine della cristianità, Costantinopoli, dopo Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. E anche se la conquistassero i barbari serbi, sarebbe di poco meglio, poiché non sarebbero in grado di tenerla e subito l'abbandonerebbero alla rovina, aprendo le porte alle schiere degli Agareni. Sia noi, che voi, di fronte a questo grande sconvolgimento potremmo giungere alla medesima conclusione: per la difesa della nostra santa e nobile fede, occorre porre Costantinopoli sotto nostro diretto potere.Noi non abbiamo alcun interesse a scatenare con voi una guerra per la conquista della venerabile seconda Roma. Piuttosto che una guerra, di cui approfitterebbero solo i nostri comuni nemici, è dunque utile al comune guadagno, che noi riportiamo il trono di imperatore di Romània(nota: è vero che i Comneni non hanno interesse a rivendicare l'eredità imperiale, ma è troppo pretendere da loro che considerino i Paleologi come imperatori romani. Perciò, anche loro si adeguano alla più neutra denominazione latina di Romània) a coloro che si dimostreranno buoni pastori, capaci di allevare, con l'aiuto di Cristo nostro Signore agnelli docili e mansueti. Vi saluto e vi onoro. 3 volte
Amen. »
- 1346: Isacco Comneno, già avvezzo in gioventù ad avventure per espandere la sua influenza, ben volentieri si presta alla richiesta del ramo principale della famiglia. L'unico inconveniente è determinato dai mongoli: i proficui rapporti con il khanato dell'orda d'oro, a cui Panagiopoli regolarmente pagava tributi per evitare spiacevoli saccheggi e violenze, a volte subivano dei bruschi peggioramenti, quando il khan desiderava impartire una dimostrazione di forza, o temeva l'ascendente dei mercanti greci alla sua corte o nell'amministrazione. Nel 1346, Tana viene attaccata da una ingente forza dell'orda. La città subisce un duro assedio, in cui i mongoli si servono anche della loro usuale arma batteriologica, ossia l'utilizzo di cadaveri in putrefazione come proiettili. La situazione torna nel giro di pochi mesi all'usuale equilibrio, ma i mongoli hanno portato a Tana qualcosa di micidiale: la peste nera.
- 1347: I pontici “Cimmeri”, come ormai vengono chiamati dai loro cugini meridionali, sbarcano truppe a Mesembria, allo scopo di forzare lo zar a rescindere l'alleanza con il sovrano serbo. L'epidemia del morbo si diffonde in Bulgaria, e da lì, in breve tempo, in tutti i Balcani. La regione, già provata dai continui saccheggi dei diversi eserciti, in cui già si profilava lo spettro di una grave carestia, ricevette con la spaventosa pandemia di peste il colpo di grazia. Niceforo Gregora, storico del periodo, descrisse la Tracia, imitando Procopio, come un autentico deserto. L'unico lato positivo è determinato dalla constatazione dell'evidente impossibilità di portare avanti ogni ulteriore conflitto da parte dei principali contendenti. A Costantinopoli Giovanni Cantacuzeno viene incoronato imperatore e tutore di Giovanni V, con l'assenso della madre. Basilio, minacciato da Trebisonda, si ritira, aggiungendo però al suo dominio tutte le città asiatiche ancora in mano a Costantinopoli, più le isole di Lesbo, Imbro, Tenedo, Lemno e Samotracia. Riesce anche a strappare definitivamente ad Omur Pergamo. Venezia, dopo aver mobilitato una sua flotta contro i Serbi a Tessalonica, strappa un vantaggioso accordo commerciale con Dusan, che si ritira dalla città, tendendosi però il resto della Macedonia. All'impero rimangono la Morea, l'Attica e la Beozia, dominate da Mistra dal capace Manuele Cantacuzeno, che con l'aiuto della sorella Maria, data in sposa a Niccolò d'Epiro, controlla, de facto anche Etolia e Acarnania. Rimane anche la Tessaglia divisa nei due despotati di Neopatria a sud e Larissa a nord. Anche su di essi la longa manus di Manuele si fa sentire: riesce infatti a stroncare le velleità indipendentistiche di molti grandi latifondisti, ottenendo anche il non facile risultato di impedire che essi, per sfuggire alla ritrovata spinta centralistica dell'impero(in realtà più di Mistra che di Costantinopoli, in questo caso), diano la loro fedeltà all'imperatore dei serbi. Quest'ultimo, falliti i due bersagli grossi di Costantinopoli e Tessalonica, fa di Skoplie la propria capitale, lasciando in gestione la Serbia vera e propria al fratello Uros. Altro territorio rimasto in mano bizantina è la Tracia, data in gestione a Matteo Cantacuzeno, che tuttavia fatica a controllare la regione, spopolata e infestata da predoni, perlopiù soldati sbandati di ogni razza. Ai Paleologi, invece, il nuovo imperatore affida il governo di Tessalonica. Anche se teoricamente è la seconda città per grandezza del residuo impero bizantino, de facto Giovanni VI giudica troppo difficile porre un controllo su di essa, governata dal comune instaurato dal partito radicale degli zeloti, che, però si fregiano di un certo legittimismo dinastico. Il Cantacuzeno perciò, organizza per la madre ed il giovane una sorta di esilio dorato, che i due, per il momento, sembrano accettare.
- 1348-1350: I Veneziani, i Cavalieri di Rodi, Basilio e Manuele Cantacuzeno stipulano una lega contro Omur di Aydin, dopo un attacco a Negroponte. I Veneziani, dopo aver respinto faticosamente l'assalto, tentano una ritorsione con l'attacco ad Epidauro, ma falliscono. Per questo si accordano per una campagna in grande stile contro Omur. Al suo fianco, però, si schiera l'eterna rivale Genova, che in cambio ottiene dal sultano la città di Focea, antistante la base, appena conquistata, di Chio. L'attacco contro Aydin è ben orchestrato: mentre Basilio avanza verso Magnesia, Manuele attacca Argo. I cavalieri di Rodi e i Veneziani, invece, puntano direttamente al cuore dei domini del signore turco, Smirne. La battaglia navale si risolve in n fallimento. Tuttavia l'alleanza raggiunge comunque l'importante risultato di indebolire sensibilmente Aydin, che è costretta a cedere Argo a Manuele, ai veneziani Nauplia più le isole di Andro, Ceo, Termia, Zea ed Egina.
- 1355: Muore l'imperatore serbo Stefano Dusan. Il suo grande dominio si sfalda in pochissimo tempo. Il debole figlio Stefano Uros viene cacciato dalla Rascia e stabilisce un suo principato Tra Sava, la Morava settentrionale e Nis . In Rascia e in Zeta si stabilisce la forte monarchia di Vukasin che riesce a rintuzzare le scorrerie degli albanesi e subisce crescenti influenze veneziane, sia dal punto di vista economico, sia da quello politico e religioso. Nella parte governata direttamente da Dusan, invece, spiccano i despoti di Serre(retto da Giovanni Ugljesa, fratello di Vukasin) e di Skoplje. Quest'ultimo però, nel giro di poco tempo si decompone ulteriormente, per via dei litigi interni alla famiglia regnante. Si creano una serie di dominazioni effimere serbo-greche o serbo-albanesi nella Macedonia sud-occidentale.
- 1359-1362: Manuele Cantacuzeno, cogliendo la situazione di generale decomposizione del dominio serbo, pensa di cogliere la palla al balzo. Organizza un esercito per porre ordine in Tessaglia, regione dalla fedeltà sempre piuttosto ambigua, in cui, del resto, era sempre stato impossibilitato ad agire con forza per paura di eventuali azioni di Stefano, la cui influenza, nonostante il paziente lavoro diplomatico del signore bizantino per legare a sé i magnati, era comunque molto pesante. Dopo essere entrato quasi senza colpo ferire a Larissa, le sue armate marciano su Triccala, conquistandola in breve tempo. Più faticosa è la presa di Servia, mentre impossibile si rivela sottomettere Verria, una delle fortezze più solide di tutta la Macedonia. Con questa campagna il confine dell'impero verrà portato al fiume Aliakmon. Degno di nota è il fatto che Manuele, nel corso del 1360, effettuerà una cospicua donazione al complesso monastico della Kalambakka(nella nostra timeline è noto con il nome di “meteore”) che diventerà “il monastero” dei Cantacuzeni, in diretta concorrenza con l'Athos, zelota e Paleologo.
- 1365: Niceforo II Orsini despota d'Epiro chiede aiuto al cognato Manuele per poter dare una lezione ai clan albanesi, che si erano alleati con alcune signorie serbe. Ma a questo punto, forte della capacità di resistenza della sua fortezza, il signore di Verria, desideroso di aumentare il proprio ascendente sui signori serbi e crearsi un vero e proprio despotato, organizza una grande alleanza per sconfiggere i greci. Ma Manuele lo previene: promette al signore di Ocrida un cospicuo aiuto per liberarsi dalla sottomissione da Skoplje e addirittura il titolo di “re di Macedonia” consacrato dal patriarca di Costantinopoli in cambio del suo aiuto contro l'alleanza serbo-albanese della Macedonia meridionale. Il sovrano accetta e la vittoria è rapida e schiacciante. I verriani non giungono in tempo per impedire la conquista di Kastoria e gli Epiroti scacciano i clan albanesi dalla sponda meridionale della Voiussa(ovviamente i veneziani, da Butrinto e Valona osservano con attenzione gli eventi, e mandano messaggi di pace e amicizia al despota greco)
- 1366: Al contrario di Manuele, che completa le sue imprese conquistando l'importante crocevia di Florina, al fratello Matteo le cose non andavano altrettanto bene: Serre aveva approfittato delle crisi sia dei propri vicini serbi, sia dei bulgari, consolidando il suo dominio su una vasta regione(arriva a contendere Nis ai bulgari e a Stefano Uros). Non solo: aveva anche stretto un patto di alleanza con Giovanni V. l'obiettivo del despota era chiaramente riprendere su di sé il controllo dell'intera Macedonia, ponendo sotto il proprio informale controllo anche Tessalonica. Dal canto proprio, i Paleologhi in questa città avevano attirato tutte le forze ostili ai Cantacuzeni e Giovanni aveva cominciato a pensare di servirsi di Serre come un'utile alleato per riprendere ciò che era suo. Per quel che contava, il popolo greco(perlomeno nella Grecia e a Costantinopoli) era tutto a favore dei Cantacuzeni. Il legittimismo dinastico aveva perso notevolmente vigore di fronte alla constatazione che con i nuovi sovrani era sopraggiunta un po' di pace.
- 1367: Basilio Paleologo di Nicea muore. Gli succede il figlio, Niceforo. Inaugura il suo regno con una serie di trattati di pace e amicizia con gli stati confinanti e Genova. Nonostante sia essenzialmente un greco, incoraggia la poesia e la letteratura in alano(con alfabeto greco, ovviamente).
- Del resto va rilevato che, se è vero che il greco per gli uomini di cultura era tutto uguale, da Batis ad Arta e da Tana a Creta, per la gente comune e per la letteratura popolare, le cose non stavano proprio così. Ormai si potevano distinguere differenze evidenti, che in alcuni casi rendevano, in pratica, mutualmente inintelligibili alcuni dialetti. Riassumendo, si potevano distinguere due grandi famiglie: il romeo ed il pontico. Al primo gruppo appartenevano:
il greco continentale (Morea, Attica, Beozia, Tessaglia meridionale, Epiro centromeridionale);
il greco di Tessalonica (con influssi slavi. In più, con qualche prestito albanese e valacco a seconda della zona: Tessaglia settentrionale, Macedonia, Tessalonica e la calcidica, Epiro settentrionale, Tracia occidentale);
il greco di Costantinopoli( Tracia orientale, Costantinopoli, le isole dell'Egeo a parte Creta, l'Eubea(che ha un dialetto più simile al continentale), Rodi e le isole nelle immediate vicinanze di queste);
il gasmulo(il dialetto degli italo-greci, che in certe zone erano numerosissimi. Il dialetto di certe isole, come Creta o Rodi, era una via di mezzo tra il costantinopolitano ed il gasmulo);
il greco di Tetrapoli (col tempo acquisterà influssi dall'alano: Bitinia,
Troade, Licia).
Al secondo gruppo appartenevano:
il paflagone (influssi turchi e romeizzanti: come si può intuire, è la parlata della Bitinia nordorientale e della Paflagonia. Approssimativamente si può porre il suo confine orientale a Bafra).
Il greco di Trebisonda (da Bafra a Trebisonda, lungo la costa)
il greco di Caldia (la parlata dei monti del Ponto, con influssi Lazi, tra Neocesarea, Coloneia e Argiropoli)
il greco cimmerio (il greco della Crimea, e più in generale della costa settentrionale del mar Nero)
il greco di Colchide (da Trebisonda a Dioscoris. E' il greco “meno greco”, dato che è fortemente inquinato dall'armeno, dal Lazi e moltissimo dal georgiano).
In più vi è il greco di Cappadocia, delle residue comunità cristiane all'interno dell'Asia Minore turca, che non appartiene né all'uno né all'altro gruppo. Ovviamente occorre sottolineare che il confine tra un'area ed un'altra non è netto e repentino e l'impronta linguistica cambia lentamente di villaggio in villaggio.
- 1367:Il nuovo sovrano niceno si trova ben presto, nonostante la sua volontà pacifica, al centro di una crisi internazionale: l'eredità armena. I Lusignano di Cipro avevano da poco acquisito il controllo del regno di Cilicia, in pieno disfacimento. Non tutti nel regno armeno erano però felici del cambiamento, dato che la dinastia regnante cipriota è cattolica e tende a curarsi poco del nuovo possedimento(anche se vi è da dire che poco poteva fare il regno isolano per sovvertire la situazione), peraltro trattando gli armeni emigrati sull'isola per sfuggire alle pressioni turche ed egiziane come cittadini di serie b(con una serie di restrizioni tra cui le meno tollerate sono quelle religiose). Niceforo aveva sposato l'erede di un ramo cadetto dell'ex dinastia regnante. Per questo motivo, quando scoppia una ribellione generalizzata della regione dopo l'ennesima, devastante, scorreria turca, tutti invocano a gran voce il suo nome. La richiesta, ovviamente cade nel vuoto, anche in virtù degli ottimi rapporti tra i Lusignano ed i Comneni di Trebisonda, che spesso con loro arrangiano unioni dinastiche. Un atto ostile, anche solo verbalmente, nei confronti del regno di Cipro sarebbe stato in grado di irritare non poco l'impero pontico. Ma l'intrico dinastico non si esaurisce qui. I Lusignano hanno rapporti di parentela non solo con i Comneni, ma anche, soprattutto, con i Savoia. E l'imperatrice bizantina Anna, madre di Giovanni V Paleologo è di quella famiglia, e da Tessalonica non vede l'ora di prendersi la rivincita sugli usurpatori Cantacuzeni.
- 1368: Anna chiama in Levante Amedeo di Savoia, suo nipote e cugino di Giovanni V, detto “il conte verde”, ufficialmente su richiesta dei Lusignano di Cipro per una “crociata” volta alla salvezza della Cilicia. I Cantacuzeni, che non sono stupidi, si mettono in allarme e chiedono ad Alessio IV di prendere in mano la situazione, per fare in modo che non si tramuti in qualcosa di simile al 1204. Nel frattempo, dal canto proprio, insiste che Amedeo non si fermi a Tessalonica, ma prosegua il suo viaggio verso Costantinopoli, per esservi lì accolto con tutti gli onori.
- Amedeo accetta l'invito di Giovanni VI ed entra nella capitale imperiale, ma accompagnato dal cugino. Il conte, ovviamente, richiede che si discuta dell'aumento di responsabilità dell'imperatore legittimo, e dell'ambiguo ruolo di Matteo e Manuele Cantacuzeni. Ad Amedeo viene offerto un appannaggio in Macedonia se aiuterà Matteo a respingere le offensive di Giovanni Ugljesa in Tracia. Ovviamente il conte è costretto a rifiutare.
- La situazione si fa tesa: l'esercito del conte, accampato in Cassandria, non vedendo il proprio signore tornare, comincia a dare segni di impazienza. Anche il re Pietro di Cipro dava segni di impazienza, avendo ricevuto notizie di una prossima spedizione mamelucco-turca, per porre fine al regno di Cilicia. Inoltre sperava di porre in atto una crociata contro l'Egitto in grande stile, puntando niente meno che su Alessandria.
- 1369: La crociata occidentale si prepara ad entrare in azione. Papa Urbano spingeva anche con missive il conte verde a non perdere tempo con i greci scismatici. Il luogo di riunione della flotta sarebbe stato Rodi. Ancora una volta, cristianità di oriente e di occidente vengono a collidere, come sempre quando c'è in ballo una crociata: Alessio IV decide di muoversi di persona verso Costantinopoli per decidere con urgenza il da farsi.
- 1370: Alessio IV, con il suo seguito, soggiorna a Nicea, presso Niceforo, inducendolo ad unirsi a lui alla volta della capitale imperiale, tanto più che l'obiettivo finale della crociata è ancora tenuto segreto ed il conte verde, crociato anch'esso, sembra una spada di Damocle su tutti i greci. Aydin e Karaman vengono a sapere anche loro dei preparativi di Rodi, per cui decidono di giocare d'anticipo e attaccare con decisione gli Ospitalieri con un'enorme flotta. Nel frattempo, però, Karaman (che spinge Aydin nella stessa direzione), invia un ambasciatore a Nicea, per premurarsi di avere i greci fuori dalla partita con i latini.
- 1371: Gli ambasciatori di Karaman e Aydin si incontrano a Nicea con i due imperatori greci per intavolare trattative di pace. Alessio e Niceforo chiedono come contropartita, in cambio del rifiuto ad unirsi con i latini, di ritirarsi dall'alleanza con l'Egitto per l'occupazione della Cilicia e, eventualmente, libero accesso alla via Eudocia-Sis attraverso la Cappadocia per portare ausilio agli armeni. Il primo punto viene accettato subito, sul secondo si aprono lunghe trattative.
L'attacco Aydinide a Rodi viene respinto, ma a questo punto la meta, Alessandria, viene rimessa in discussione. E se si puntasse sulla più vicina Asia Minore? Ulteriore svolta accade quando a Rodi si viene a sapere delle trattative in corso tra i turchi e i greci. Rispuntano rapidamente i soliti temi dei greci scismatici, infidi e traditori. Il conte lascia Costantinopoli per raggiungere Nicea.
- La crociata sfugge dal controllo di Pietro di Lusignano. L'idea che si fa strada è di ricreare l'impero latino d'oriente, la meta è Costantinopoli. Stavolta Venezia non ci sta e ritira le sue navi. Il conte Amedeo, giunge a Nicea. Nel giro di poco tempo lo seguono Giovanni V Paleologo, Giovanni Cantacuzeno e suo figlio Manuele, un ambasciatore dell'Epiro, Giovanni Ugljesa e un ambasciatore del fratello di quest'ultimo, Vukasin e Andronico di Panagiopoli, erede al despotato del Bosforo Cimmerio. Fa capolino persino il metropolita di Kiev, come oratore per i principi russi. L'assembramento è dettato dalla crociata dei latini e dall'invio di un messaggio a tutti i regni ortodossi da parte di Alessio IV. Il conte invia una missiva a re Pietro per convincere i crociati dell'inutile follia, senza sapere che Pietro ha già abbandonato Rodi.
Pietro di Lusignano decide di recarsi presso i greci per impetrare aiuto contro gli egiziani, ed allo stesso tempo offrendosi come mediatore presso i crociati. Sbarca ad Adramitto e poi raggiunge Nicea.
Gli egiziani, venuti a sapere di una crociata rivolta contro di loro decidono di lanciare un attacco per mare contro Cipro, ed uno per terra contro la Cilicia. Alessio IV invia un ambasciatore a Baghdad per chiedere a Uvais dei Jalayrid aiuto contro i mamelucchi. Il messo raggiungerà la città troppo tardi: Uvais è debilitato e già molti tramano per la successione.
Un uomo del casato di Ciagatai unfica di nuovo il Khanato, pone la capitale a Samarcanda e appronta un grande esercito per porre l'Ilkhanato sotto il proprio controllo e aiutare l'orda d'oro in difficoltà. Si chiama Timur Lenk(lo zoppo).
Anna di Savoia cerca di mettersi in contatto con i capi crociati per farsi aiutare a sbarazzarsi dei Cantacuzeni. Proprio come nel 1204, la crociata sembra pronta a rivestirsi di legittimismo dinastico. Il conte verde, grazie alla mediazione di Alessio giunge ad un accordo di massima per sé e per il cugino, che non vuole usare i crociati per riprendere il trono.
Si forma la “lega di Nicea”, che comprende impero pontico (Trebisonda); despotato di Tetrapoli e Alania
minore (Nicea); despotato di Chersoneso (Panagiopoli); despotato di Morea (Mistra); despotato di
Macedonia (Serre); regno di Serbia (Rascia); despotato d'Epiro (Arta); despotato di
Tessalonica (Tessalonica); regno di Cipro, Armenia e Gerusalemme (Nicosia); impero
bizantino (Costantinopoli). Il conte Amedeo viene insignito del titolo di duca di Tracia, con Matteo Cantacuzeno, costretto dalla ragion di stato, a prendere servizio alle dipendenze del fratello minore come duca di Tessaglia. La lega si pone come fine di opporsi ai crociati e di organizzare una spedizione militare per salvare la Cilicia. In realtà, Alessio, il principale ideatore, assieme al conte, dell'idea, ha intenzione di trasformarla in una sorta di alleanza perpetua contro ogni nemico esterno all'ecumene greco-ortodosso.
Nonostante non ci fosse tempo da perdere, la lega riuscì a mettere in campo 40 galee da guerra ed un esercito di 35mila uomini circa, da muovere innanzitutto alla difesa di Costantinopoli.
I crociati, comunque, arrivarono prima: si accamparono nei pressi di Galata proponendosi di assediare la città per terra e per mare con la loro flotta. La flotta pontica, assieme a quella Crimeota sbarcò i soldati nei pressi di Athopoli, mentre ad Adrianopoli si radunava una nutrita armata di serbi e greci, comandata dal conte verde, all'avanguardia con i suoi uomini. Persino i Tessalonicesi si unirono alla schiera, poiché, sebbene l'odio nei confronti dei Cantacuzeni fosse grande, era stato mitigato di molto. Inoltre prestare ancora fede ad una regina che aveva portato in casa una crociata di latini era una cosa del tutto innaturale. Anna fu costretta a fuggire dalla città per chiedere la protezione del nipote, che gli concesse asilo, ma fu molto freddo nel farlo: evidentemente la situazione aveva contribuito a fargli mutare partito.
Nella sua rigida visione della situazione, il comandante e legato papale Pietro di Salignac, decise di andare incontro ai pontici e buttarli a mare, per poi voltarsi e distruggere l'esercito degli eretici europei. Il conte provò ancora una volta a parlamentare, portandosi dietro anche Filippo di Mezierès, plenipotenziario del re di Cipro, che comandava una schiera di soldati dell'isola, assieme a tutti i crociati scontenti che avevano deciso di lasciare l'armata principale nella convinzione che le cose, per come stavano andando, non erano certo gradite al Signore. E non erano pochi.
Il parlamento ebbe un anomalo risultato: il conte convinse molti dell'insensatezza del legato e del condurre la crociata nuovamente contro altri cristiani. Non riuscì però a convincere il legato. I “disertori” si unirono al conte e si ritirarono presso Adrianopoli: non volevano combattere né da una parte né dall'altra. Con l'esercito praticamente dimezzato affrontò i pontici a nord di Galata, per esserne sconfitto. I cavalleggeri Alani subirono l'urto della cavalleria occidentale. Si fecero però inseguire su un terreno in salita, per poi venire fatti a pezzi dai Kipchaki che li aspettavano sul versante della collina nascosto alla vista dei latini. Pietro di Salignac perde la vita nello scontro.
L'esercito occidentale sopravvissuto fuggì ad Adrianopoli ed il conte li accolse al proprio servizio. Nella città, con l'arrivo dei greci, dei serbi e degli alani, si tenne un grande torneo: al conte sembrava il modo migliore per far fare amicizia ai soldati dei diversi schieramenti.
- 1372: la lega si riunisce ancora una volta: i due imperatori bizantini (i due Giovanni), non vedono l'ora che i crociati se ne tornino a casa, ma Niceforo di Nicea non è dell'avviso: gli egiziani minacciano ancora la Cilicia. Anzi, i turchi, svanita la paura dei crociati tornano ad allearsi con l'Egitto (che non ha da temere ritorsioni in Siria per la debolezza Jalayride), per un'azione in grande contro i cristiani.
- 1372-1375: “crociata dei greci”. I greci salvano la Cilicia. Dopo due battaglie navali al largo di Cipro, i soldati riescono finalmente a sbarcare presso Tarso. Dopo aver conquistato rapidamente tutte le città costiere iniziano la penetrazione verso l'interno. La battaglia più dura è nei pressi di Anazarbo. La campagna si conclude poco dopo che l'esercito della lega spezza l'assedio di Sis. Dopo tale evento gli egiziani decidono di ritirarsi e attendere occasioni maggiormente propizie. Anche i turchi si ritirano, anche perché, per loro la battaglia si svolge anche nei passi montani del nord e nella valle dell'Ermo. Karaman non riesce a sfondare in Paflagonia, anzi, per poco Amasia non viene presa dai pontici. Ad Aydin va meglio: i turchi sbarcano a Lesbo e assediano Mitilene, ponendo anche un assedio navale ad Adramitto. La squadra navale trapezuntina giunta in aiuto riesce a sconfiggere la flotta turca nelle acque antistanti l'isola dopo una dura battaglia. Le navi turche si ritirano a Smirne ed i pontici preferiscono non inseguire. Tutto sommato, anche per Aydin e Karaman la guerra danneggia gli affari. Il mantenimento del porto di Lajazzo in mani cristiane garantisce significativi volumi d'affari per Karaman. Gli egiziani avevano invece intenzione di distruggerlo poiché permetteva ai mercanti cristiani di bypassare l'Egitto nei rapporti con la Mesopotamia, Hormuz e l'India. Una volta venuti meno i doveri nei confronti dell'alleato non c'era ragione per il “gran Caramano” di combattere.
- 1375: Muore Alessio IV di Trebisonda, all'età di 57 anni, di cui 36 passati sul trono. Ancor oggi viene ricordato come uno dei migliori sovrani dell'impero, anche in virtù di ciò che accadde poco dopo. Gli succede Andronico IV, che dovrà affrontare uno dei periodi più bui della storia di Trebisonda dai tempi della grande guerra civile di metà '200.
- 1375: Guerre civili nel dominio Jalayrid. Dopo la morte di Uvais, in grado di frustrare le spinte centripete dei governatori e dei visir, il potere viene disputato tra i figli. Che si servono di ogni sorta di aiuti esterni per poter vincere contro i propri nemici. In particolare sono due le forze emergenti che intervengono nelle contese: da una parte i turcomanni, riuniti nella potente confederazione dei Qara Koyunlu, i montoni neri; dall'altra gli Assiri, che, determinanti nel governo di Uvais, si ritagliano uno spazio di manovra nella Mesopotamia settentrionale, a volte assieme, a volte in opposizione ai
curdi.
Come i suoi predecessori, anche Andronico si immischia nella politica medio-orientale, tanto più che vuole assumere un controllo maggiore sulle piste commerciali armene, da Trebisonda a Lajazzo e da Trebisonda a Bassora. Per ottenere questo risultato garantisce il sostegno agli assiri nella loro lotta contro i montoni neri(lotta cui fa da sfondo la lotta per Baghdad).
- 1378-1380: Anni neri per l'orda d'oro, dopo la disastrosa battaglia di Kulikovo contro i principi russi: Panagiopoli ne approfitta per aumentare a dismisura il proprio ascendente sui mongoli di Sarai, ma, nel frattempo, intesse rapporti di amicizia ed economici con Mosca, Suzdal, Vladimir, Rjazan e Nizhny. In pratica in questi anni il dominio greco sul mar Nero diviene la potenza egemone delle pianure, limitata, nel nord, solo dalla grande Lituania. Ma non durerà molto.
Il mongolo Toktamish riesce nell'impresa di riunificare sotto di sé l'orda
bianca (l'orda d'oro era infatti a sua volta divisa in orda bianca, a est della Volga e orda blu, a ovest). Grazie all'aiuto dei Ciagatai di Timur, mette insieme un esercito degno di Gengis Khan. Il suo obiettivo è riunificare sotto il suo scettro l'intera orda d'oro e rimettere in riga russi, greci e lituani. Nel 1381 attraversa la Volga e nel 1382 attacca e da' alle fiamme Mosca, mentre, impauriti, i principi di Suzdal e di Nizhny tradiscono e giurano sottomissione a Toktamish.
- 1382, fine: Toktamish sconfigge pesantemente i lituani, poi volge verso sud, contro i greci, che non hanno nemmeno il tempo di reagire: Tana viene data alle fiamme, così come Comnenia. Il despota Isacco II viene condotto a Sarai in catene e giura sottomissione a Toktamish, che manda Qutoga, uno dei suoi, a Panagiopoli come governatore. Il despota è libero di tornare e governare, ma è costretto a prendere ordini dal governatore tataro. Ai Georgiani ed agli Alani(quelli del Caucaso) non va in modo molto diverso. Dopo aver sottomesso o distrutto tutto a nord della catena montuosa, decide di fare una puntata a sud, per invadere l'Azerbaijan, con Tabriz e poi Trebisonda.
- 1383: Tamerlano giunge in Persia e la sottomette, Baghdad compresa. Penetra in Azerbaijan e conquista Tabriz. Da buon musulmano si fa aiutare dai montoni neri a bruciare Ninive, la roccaforte degli Assiri. Poi però, quando decide di porre come governatore della zona un suo generale, Qara Hasan dei montoni neri si ribella a Tamerlano. Quest'ultimo si adira con loro e li annienta in una battaglia presso il lago di Van. Subito dopo, scoperto che gli assiri sono sostenuti da Trebisonda, decide di varcare il Ponto con il suo sterminato esercito. Andronico gli fa pagare caro l'attraversamento delle montagne. Tamerlano per far prima le attraversa dal lato più scosceso e in ogni valle le imboscate fanno strage tra le file Tatare. Le alture dietro la fortezza di Esperia, sulle rive dell'Acampsis, vengono ancora oggi chiamati “monti del lamento”, per via della leggenda che ogni notte per un intero mese, non si potesse dormire per via delle numerosissime urla dei soldati di Tamerlano agonizzanti. In realtà l'unico risultato tangibile di queste imprese fu quello di irritare maggiormente Tamerlano. Fortunatamente, la difficile traversata diede tempo sufficiente al sovrano trapezuntino di completare l'evacuazione di vecchi, donne e bambini, con i loro beni.
Nello stesso anno, muore Giovanni Cantacuzeno. La situazione fino a poco tempo prima avrebbe aperto l'ennesima disfida dinastica, ma non stavolta. Giovanni V era divenuto primo imperatore dal 1375, secondo le promesse stipulate a Nicea, con, come eredi, i suoi due figli, Andronico e Manuele. Giovanni V Paleologo aveva deciso di porre come tutore del primogenito lo stesso Giovanni VI Cantacuzeno, con il figlio Matteo; il secondogenito viene invece affidato a Manuele Cantacuzeno. Il giovane Manuele era stato perciò condotto presso il despota di Mistra a combattere la difficile “guerra di frontiera” della Macedonia contro Serre, che ormai aveva unito tutta la la regione sottomettendo Ocrida e Skoplje. Manuele Cantacuzeno era divenuto popolarissimo, ed era chiamato ormai “il re di Grecia” e, onestamente, poco gli importava di regnare sulla capitale. Preferiva di gran lunga Mistra. Prese in affetto il giovane Paleologo, anche perché non aveva eredi maschi, tanto che lo che fece sposare con la propria figlia Maria. Al ragazzo venne affidato il difficile compito di governare Tessalonica. La città ormai era un'enclave in territorio serbo, in preda al più completo disordine. Con la sua energica azione riuscì a riportare stabilità, schiacciando definitivamente il partito degli zeloti. Non solo: mostrando grande talento strategico riuscì a sconfiggere ripetutamente i serbi, tanto da riprendere loro gran parte della penisola calcidica. Il suo più grande successo si realizzò nel 1380, quando, assieme a Manuele Cantacuzeno riuscì nell'impresa di conquistare Verria e Vodena: Tessalonica tornava a confinare con terre dell'impero, una parte integrante del “regno di Grecia”. Poco dopo l'impresa Manuele Cantacuzeno morì, lasciando al genero Mistra, mentre Giovanni VI e il primogenito Matteo tenevano faticosamente a bada bulgari, serbi, predoni e i nuovi signori della Tracia: gli eredi del conte verde con i loro cavalieri italici e franco-provenzali. Matteo Cantacuzeno morì nel 1382, ma Andronico IV e suo figlio Giovanni VII non godettero mai del privilegio di regnare da soli, dato che morirono nel 1386 entrambi. Rimasero il vecchio Giovanni Cantacuzeno, Giovanni V Paleologo ed il secondo figlio di Matteo Cantacuzeno, che venne “adottato” da Giovanni V, diventando, dopo la morte del nonno, terzo imperatore(come Demetrio I)
Come da previsione, Tamerlano arriva a Trebisonda e la rade al suolo, nonostante la fatica nel prendere la cittadella, su uno sperone di roccia affacciato sul mare. Nonostante molti beni fossero stato portati in salvo lontano, il bottino rimane ingente. Andronico viene azzoppato, ma lasciato in vita e costretto a giurare sottomissione. Poi Tamerlano, avendo nuove idee su come ingannare il tempo in Afghanistan, lascia il
Ponto.
- 1384: Toktamish penetra in Azerbaijan, reclama per sé Tabriz, poi attraversa il Ponto, perdendo anche lui parecchi uomini. Arriva a Trebisonda, radendo al suolo qualche cittadina nel tragitto. In vista della città si rende conto che non c'è molto da saccheggiare. Al che molti suoi generali si lamentano per l'inutile fatica. In città si abbandonano comunque al massacro di chi, o era rimasto e sopravvissuto, o era già tornato. I rinforzi dall'ovest richiesti dall'imperatore fortunatamente non giungono in tempo(sarebbero stati spazzati via). Andronico viene portato al cospetto di Toktamish e torturato, per costringerlo alla sottomissione all'orda. Lascia anche, come a Panagiopoli, una guarnigione ed un governatore. Andronico riesce rocambolescamente a fuggire, con i due figli, Andronico minore e Davide, verso ovest.
- 1386: Tamerlano torna, più infuriato che mai, a Tabriz, per il “tradimento” a dire suo, di Toktamish. Tra le altre cose, decide di punire anche tutti i coloro che si sono sottomessi a lui, tra cui il sovrano del Ponto. Arriva a Trebisonda, abbatte la guarnigione ed il governatore dell'orda, per metterne uno suo poi saccheggia Tripoli, Cersunte, Oinoe e Terme(ancora una volta, fortunatamente, molto viene salvato, perché, vuoi per la semplice paura, vuoi per un senso di lealismo, che ormai è fortissimo, vuoi per le indicazioni stesse del sovrano, molta gente, con i propri beni fugge verso la Paflagonia). Per fermare l'orribile massacro, Andronico stesso si presenta con il figlio maggiore presso Tamerlano per giurargli sottomissione e chiedere pietà per il proprio popolo. Tamerlano come prima cosa fa squartare il figlio, un ragazzino, con l'usuale sistema mongolo dei quattro cavalli, poi, vedendo il sovrano non solo zoppo, ma pieno di cicatrici delle torture subite(e il sovrano Tataro si ricordava bene cosa era fatto da lui e cosa no) da Toktamish, lo prende in simpatia e gli riconosce che i suoi soldati sono stati valorosi, per cui decide di reinsediarlo a Trebisonda, o quanto ne resta, sotto il suo controllo, promettendogli anche di non infierire più sul suo regno, a patto che non si sottometta di nuovo al khan dell'orda d'oro. Poi se ne va di nuovo ad inseguire il rivale per le pianure.
- 1387: Andronico torna, con molti profughi, a Trebisonda, spingendo altri a tornare per ricostruire la città. Ma le ferite e le torture e il dolore per la distruzione generale lo portano a morire relativamente giovane dopo 11 anni di regno. Durante l'opera di ricostruzione userà il tesoro della famiglia per aiutare la popolazione. La corona viene portata dall'infante Davide IV con la reggenza della madre, la forte Tamara di Kakheti(georgiana).
- 1387-1394: il processo di ricostruzione di Trebisonda procede spedito, così come quello di altre città distrutte, ma i danni sono ingentissimi. Per molti anni a venire Trebisonda non parteciperà ai conflitti negli stati confinanti, tesa a riprendersi dal colpo inferto. Il primo effetto della ricostruzione è la rapida “santificazione” di Andronico. Icone che lo raffigurano circolano in tutto l'impero e una cattedrale a lui dedicata viene completata nella città ancor prima della ricostruzione di Santa Sofia. In secondo luogo, nasce un monastero sui monti a sud est della città per celebrare “i martiri” che avevano coraggiosamente inflitto tante perdite agli eserciti nemici. Karaman però non sta a guardare e cerca subito di saggiare le forze del Ponto indebolito nel 1390. Scoprirà di aver fatto male i conti, trovando sulla strada il reggente Demetrio Axuch(gli eredi della famosa famiglia Axuch del XII secolo si erano rifugiati nel Ponto per fedeltà ai Comneni dopo la caduta di Andronico) che li sconfiggerà duramente presso Mersifonte.
- 1391: Giovanni V muore, lasciando l'impero a Manuele II, suo figlio e a Demetrio I Cantacuzeno, figlio dell'antico rivale. Sembrò così consolidarsi la prassi di una strana diarchia.
Nel frattempo, per Tamerlano, gli impegni non erano finiti; sconfigge Toktamish, e si occupa di creare le fondamenta di un nuovo, grande impero. Tuttavia è privo del genio politico del grande antenato Gengis Khan e, al contrario di quest'ultimo, la sua politica del terrore è molto più umorale che frutto di un preciso calcolo. Nel 1394 torna a Baghdad per verificare la situazione e sconfiggere Ahmad, ultimo dei Jalayrid, che si sottomette in tempo per veder risparmiata la città. Il suo dominio, tuttavia è tutto fuorché stabile; tre anni dopo chiede aiuto a Qara Yusuf, capo dei montoni neri per eliminare i governatori fantoccio fedeli a Tamerlano. Tuttavia, ben presto, i turcomanni usurpano il potere e Ahmad cerca un modo per sbarazzarsene. Lo trova nel Patriarca di Ninive Teodoro, che con i suoi cavalieri assiri sconfigge Qara Yusuf. Tuttavia Ahmad non è soddisfatto neanche di loro, che per ripicca, inviano dei messaggeri a Tamerlano sulla via del ritorno dall'oriente. Tamerlano, soddisfatto, riconferma ufficialmente il trattato di Ghazan, anzi, è ancora più largo, donando alle loro comunità l'intera vallata dell'alto Tigri.
- 1398: Toktamish, dal canto suo, non si arrende e cerca di riprendere la sua antica eredità nella pianura russa. Questa volta però i suoi numeri sono di gran lunga ridotti e i greci di Crimea meditano vendetta; si alleano così ai principi russi per impedire un suo ritorno. Il tataro allora, cerca ausilio nel sovrano di Lituania, che dal canto suo ha tutto l'interesse ad aumentare la sua sfera di influenza a est, anche per sottrarsi dalla crescente influenza culturale polacca sul suo territorio. Vytautas(il re lituano) però non è convinto: fosse stato solo per i principi russi sarebbe valsa la pena tentare, ma il fatto che con loro vi sono anche i greci di Panagiopoli, lo rende esitante. Alla fine decide di allearsi con Novgorod per concentrare i suoi sforzi contro i temibili cavalieri teutonici, sacrificando il tataro alla ragion di stato. Toktamish può ancora vantare un esercito imponente, ma nella battaglia di Vorskla i greci e i russi lo annientano. L'orda d'oro da lì a poco si spezzerà in diversi khanati indipendenti, per sempre incapaci di attuare una politica aggressiva(nella nostra timeline i lituani accettano, per dividersi con i mongoli il dominio sui russi. L'alleanza Vytautas-Toktamish perde. Le conseguenze per l'orda d'oro sono identiche. Non così per la Lituania, che, vistasi perdente, si getta tra le braccia dell'alleanza con la Polonia che, sempre più stretta, alla fine darà origine allo stato polacco-lituano. I lituani si convertono al cattolicesimo e alla cultura polacca. Nel mio POD questo non accade, perlomeno non ora, proprio per l'esistenza di una potenza greca sulla riva settentrionale del Mar Nero)
- 1400: Tamerlano giunge a Baghdad e decide di punire Ahmad e Qara Yusuf insieme. Dopo averli sconfitti entrambi rade al suolo la città. I due amici-nemici riescono a fuggire in Egitto. I mamelucchi però, per timore di Tamerlano decidono di imprigionarli.
- 1401: Tamerlano, pensando di aver risolto tutti i suoi problemi in oriente, decide di togliersi lo sfizio di muoversi verso occidente. Attraversa come un coltello nel burro l'Anatolia, annientando a Toqat un esercito karamanide. Pir Ahmed di Karaman chiede aiuto ad Aydin, Nicea, Trebisonda, persino alla Cilicia e a Costantinopoli. Ma tutti hanno paura di Tamerlano. A Konya prende prigioniero Pir Ahmed, poi distrugge anche Attalia e Aydin. Il colpo per “l'emiro dei pirati”, è devastante. Il grande sovrano tataro vira a nord. Niceforo III di Nicea, succeduto al padre nel 1383(anno della morte anche di Giovanni Cantacuzeno), decide di giurare sottomissione subito, per evitare il disastro, ma Tamerlano vuole a tutti i costi distruggergli almeno una città, per cui rade al suolo Nicomedia. Poi decide realizzare il sogno di ogni sovrano musulmano dai giorni dell'egira: conquistare la seconda Roma.
- 1402: Non senza un certo sadismo, Tamerlano ordina ai trapezuntini di mettergli a disposizione una flotta con cui attraversare il Bosforo con il suo esercito. Detto fatto. Costantinopoli viene assediata e conquistata dai mongoli, con Demetrio I Cantacuzeno che muore in battaglia mentre Manuele II Paleologo, accorso da Tessalonica in difesa della capitale dopo aver strappato una tregua quinquennale con il re di Kraljevic Marko di Macedonia (figlio di Giovanni Ugljesa), riesce a fuggire per tempo nella sua amata Mistra.
- 1403-1405: nei due anni seguenti Tamerlano da Costantinopoli si muove alla conquista dei Balcani, puntando decisamente verso nord e accontentandosi, per il momento, del giuramento di fedeltà di Manuele II Paleologo. Nomina un governatore militare di stanza nella seconda Roma e fa trasformare santa Sofia in moschea. Il sovrano tataro, tuttavia, a metà del 1404 tornerà in oriente allo scopo di mettere ordine nel suo immenso impero, con buona parte delle sue armate, per morire presso Baghdad nel 1405. Conquistatore e stratega geniale, non riuscì però a generare un regno stabile e duraturo: uno dopo l'altro, i popoli conquistati si scrollarono di dosso il dominio dei suoi generali. Quara Yusuf, liberato con Ahmad dalle prigioni egiziane, tenterà di riprendere l'antico territorio Jalayrid. Per breve tempo i due occuparono Baghdad, ma come era prevedibile, giunsero presto a litigare tra di loro. Il capo dei montoni neri eliminò alla fine Ahmad ma non godette a lungo de suo successo, dato che venne ucciso da una congiura di capiclan turcomanni.
Il Khan di Costantinopoli Abaga, morto Tamerlano, si trovò subito nella condizione di dover gestire il desiderio dei popoli sottomessi di riguadagnare l'indipendenza. Buona parte dei suoi guerrieri si era stabilita in Tracia, da cui era stato scacciato il duca Carlo Amedeo. Fuggito in occidente, quest'ultimo si recò prima a Chambery, presso i propri cugini, in seguito ad Avignone e Roma per indurre le potenze cristiane ad intraprendere una crociata per la liberazione della capitale sul Bosforo. La minaccia mongola fu presa sul serio, a parte che dagli ungheresi, per ovvie ragioni di contiguità, soprattutto dal re di Inghilterra Enrico IV, che non desiderava altro che offrire al proprio figlio una degna valvola di sfogo alle proprie velleità militaresche(il giovane Enrico V accusava il padre di essere un debole per il fatto di continuare ad onorare la tregua con Carlo VI di Francia). Il problema, però, era rappresentato dalle continue incursioni scozzesi e dalla grande ribellione gallese. Ciò che però, in realtà, più pesava sull'organizzazione di una crociata era l'infermità mentale del re di
Francia (Francia terra di crociati per eccellenza), e lo scisma d'occidente. Né Benedetto XIII
(Avignone), né Gregorio XII(Roma) intendevano mollare le proprie prerogative. Se il grave colpo alla cristianità avrebbe dovuto unirli, così non fu, se non per pochissimo
tempo (dovuto all'emozione del momento). Anzi, il procurarsi di allestire una spedizione per liberare la seconda Roma divenne una sorta di “gara” tra le due sedi pontificali.
- 1406: In Inghilterra avviene una svolta favorevole alla crociata: il figlio di re Roberto di Scozia, Giacomo, viene catturato da pirati inglesi mentre era di ritorno dalla Francia. Scozzesi ed inglesi siglano una tregua in cui si menziona un'eventuale partecipazione congiunta ad una crociata contro i mongoli. In Francia, Giovanni senza Paura di Borgogna si dichiara disposto a muoversi solo con la partecipazione del re, e, comunque, non prima della convocazione di un concilio (che “molto generosamente” si dice pronto ad ospitare a Digione) che sancisca la fine dello scisma. Sigismondo d'Ungheria era più che pronto a mobilitare l'esercito se qualcun altro dall'occidente fosse venuto in suo soccorso, e si prodigò per superare lo scisma. Riuscì a strappare ai due candidati l'accordo secondo cui, una volta organizzata e condotta a buon fine l'impresa, nella Costantinopoli liberata si sarebbe tenuto un concilio per risolvere sia lo scisma tra Roma e Avignone, sia quello tra latini e greci. Quanto fantasiosa ed irrealizzabile fosse la proposta non sembrò scoraggiare il sovrano, che ottenne anche il beneplacito dagli elettori del sacro romano impero di succedere al fratello Venceslao come sacro romano imperatore.
- 1407: Khan Abaga non è uno stupido e si rende presto conto della precarietà della sua condizione: per prima cosa chiede aiuto ai turcomanni dell'Anatolia orientale(i Montoni Neri, ma non solo), molti sopraggiunti in Asia Minore al seguito delle armate di Tamerlano, per rinforzare i suoi. In secondo luogo si mette in moto per integrare nell'amministrazione e nell'esercito le popolazioni sottomesse. Fidandosi poco dei cristiani, cerca di popolare la Tracia e più in generale i Balcani con turchi e tatari. Ma le capacità organizzative per portare a termine un'opera simile gli mancano. Inoltre scatena subito la reazione dei Serbi, ancora combattivi.
- 1409: Una rivolta Serbo-albanese viene “schiacciata” da Manuele Paleologo. Come fedele alleato del Khan conquista Giannina, (in Epiro centrale) in mano ai ribelli, poi, assieme ai tatari sconfigge i capi clan delle famiglie albanesi Thopia e Muzaka, che avevano esteso il loro dominio sull'Epiro dopo la morte di Niceforo Orsini(La parte meridionale dei suoi domini, gravitante intorno alla città di Arta, era stata prontamente occupata da Manuele Paleologo, grazie all'aiuto della vedova di Niceforo, una Cantacuzena; il resto era passato in teoria a Tamerlano nel 1403). Abaga lo ricompensa consentendogli di gestire la regione in suo nome assieme ad un governatore militare mongolo(a cui Manuele si dimostrerà ossequioso e rispettoso: in pratica gli da' l'impressione di comandare, senza cedergli reale potere). Anche Constatin Dragas, succeduto al deposto re Marko di Serre si comporterà in questa modalità ambigua con Abaga: Da una parte reprimendo le ribellioni dei suoi stessi compatrioti, dall'altra, integrandoli con discrezione tra le sue file, con alterni successi. Tutt'altra modalità avranno i Lazarevich e i Brankovic in Rascia e sulla Morava: cominceranno a gravitare in maniera sempre maggiore verso l'Ungheria, mentre il gran re di Bosnia(Tvrtko) chiederà l'aiuto dei veneziani(tra l'altro proprio i veneziani sono i protettori del clan Thopia). In pratica, l'avanzata dei mongoli sconvolge gli equilibri(peraltro già di per sé piuttosto precari) e scatena una sorta di guerra di tutti contro tutti per guadagnarsi un posto al sole, mentre Ungheria e Venezia giocano ad allargare la loro sfera di influenza. Anche Genova cerca la propria opportunità, cominciando a ingerirsi nella politica Armena e Cipriota.
Cosa cambia nel frattempo in Italia: un riassunto degli eventi del '300
A questo punto occorre esaminare rapidamente la situazione politica italiana ed i cambiamenti in essa avvenuti sulla base della diversa evoluzione politica nel levante. Innanzitutto le repubbliche marinare, partendo da Genova. Come si è visto, la nascita e lo sviluppo di un forte impero pontico le precluderà il controllo delle colonie in Crimea, con annessi i guadagni dai traffici per l'oriente transitanti da quella via. Questo comporterà una duplice politica: da una parte, cercare di fare propria la via all'oriente della Cilicia armena, possibilmente via Cipro. Dall'altra, visto che contendere ai Veneziani il controllo dei commerci con la Romània e con l'Egitto era un'impresa ardua(che comunque, come si è visto, tenterà di intraprendere, intessendo rapporti fin troppo amichevoli con i turchi), Genova si sfogherà profondendo maggiori sforzi nel controllo del Mediterraneo occidentale, ponendosi molto presto in conflitto con Barcellona ed in alleanza strategica con gli Angioini di Napoli. L'unico conflitto abbastanza serio tra genovesi e veneziani è durante la 1° guerra civile Paleologa(Tra Andronico II, Andronico III e Basilio), quando la repubblica ligure decide di aiutare i trapezuntini nella riconquista di Crisopoli e Calcedonia; ulteriori momenti di tensione sono durante il periodo di apogeo della pirateria Aydinide, tra gli anni '30 e i primi anni '60 del '300. La guerra di Chioggia, ossia un vero scontro frontale tra le due non avviene alla fine del '300: manca la materia prima, ovvero Tenedo. Del resto, quello era stato solo un casus belli di un conflitto prima o poi inevitabile. Nella Timeline alternativa, invece, l'establishment ligure non si riterrà mai forte abbastanza da poter sfidare i veneziani per il controllo dell'Egeo. Anche dal punto di vista della politica interna Genova sarà diversa: si può dire che il “minor capitale iniziale” in ricchezze e colonie sarà, paradossalmente, una fortuna. Infatti costringerà la classe dirigente a darsi maggior compattezza e coesione, con ordinamenti più serrati, in altre parole a darsi istituzioni simili a quelle della rivale. Con un certo successo: riuscirà, in alleanza con milanesi e angioini prima a bloccarne l'avanzata, poi a cacciare gli aragonesi dalla Sardegna(e, in un secondo momento, a porla sotto il proprio controllo); conquisterà le isole Egadi e Pantelleria e inizierà la conquista e la colonizzazione delle Canarie, a partire dall'isola di Lanzarotto, dal nome del capitano genovese che per primo vi aveva messo piede. Svilupperà inoltre proficue relazioni con Tunisi, Algeri e, in particolare, con l'emirato di Granada. Sarà di fronte all'esigenza di affrontare la navigazione oceanica che i genovesi cominceranno a costruire navi di nuova concezione, per poterne affrontare le impetuose correnti. Con Genova che modifica le propria politica, per conservare la propria posizione dominante, anche Venezia fa di tutto per non stare con le mani in mano: sarà costretta ad applicare una politica più incisiva per controllare l'economia dell'Egitto, sultano permettendo. Dapprima discreta, la colonizzazione economica del sultanato mamelucco marcerà a grandi passi. L'obiettivo fondamentale era quello di scalzare il monopolio delle navi musulmane nel commercio verso Jiddah, il porto in cui giungevano tutte le spezie dall'India e dall'oriente, abbattendo così il prezzo cui erano costretti ad acquistarle ad Alessandria. All'inizio del '400 i successi in questo ambito erano ancora limitati, ma la tendenza era inesorabilmente a favore dei veneziani. Ciò in realtà garantirà ancora un periodo di grandi e piuttosto regolari profitti per la repubblica, cosa che rallenterà (pur senza frenarla) la tendenza all'acquisizione di vaste rendite patrimoniali in terraferma. Ulteriore, e piuttosto ovvia, ricaduta, sarà che il governo Marciano, Treviso e Aquileia a parte, non avrà molta voglia di giocare un ruolo di primo piano nella terraferma, preferendo la penetrazione economica, alleanze strategiche e afflusso di capitale presso i protetti e gli amici.
Ovvio che il problema del predominio della parte centro settentrionale della penisola sarà di tutto quanto sta in mezzo tra il drago di san Giorgio ed il leone di San Marco. Dopo che, durante la prima metà del '300, si crearono e si consolidarono delle città egemoni sotto la guida di famiglie o tiranni, a partire dagli anni '30 si assiste alla lotta mortale tra i Visconti di Milano e gli Scaligeri di Verona, che necessariamente coinvolgono anche i signori confinanti attraverso complesse reti di alleanze. Occorre dire che né i primi né i secondi, durante questa fase crearono veri e propri “regni” nel senso proprio del termine: si trattava più che altro di agglomerati di città sotto il controllo dei signori dell'una o dell'altra parte, che peraltro, erano spesso più di uno contemporaneamente ed in conflitto tra loro. Al contrario di quanto sarebbe successo nella nostra timeline, con Venezia decisa ad abbattere il potere scaligero e collaborare involontariamente alla rapida espansione di Milano, per poi diventare lei la rivale di Milano, con un conflitto lunghissimo, sanguinoso e, in ultima analisi, inutile e deleterio per entrambi(con tutte le funeste conseguenze del '500) in questo POD Venezia diventa il terminale economico del dominio di terraferma dei della Scala, (che per questo non tentano, fatalmente, di togliere Rovigo e Treviso al doge). Anzi, la Serenissima trae vantaggio dal controllo Veronese dei valichi verso la Germania per inserirsi nel giro economico dell'impero. Per converso, una Genova più stabile non verrà mai conquistata, venduta, offerta ai Visconti o semplicemente al miglior offerente. Ci sarà una “semplice” alleanza tra la repubblica e i Visconti, allo stesso modo di quella vista tra Scaligeri e veneziani, di proficuo e mutuo vantaggio.
Essendo la politica italiana un complesso garbuglio in cui ogni attore ha l'opportunità di divenire fondamentale, vi sono anche altri importanti giocatori in campo le cui storie, necessariamente, subiscono qualche modifica. In primo luogo Napoli: gli Angiò vengono travagliati dalle difficoltà nel corso degli anni '40 e '50 per la guerra tra i diversi rami della famiglia. La pace si ristabilì nel 1353, quando finalmente la regina Giovanna e suo marito Luigi di Taranto poterono governare in pace. Il paese tuttavia era prostrato e la corona in gravissime difficoltà finanziarie. Fu questo a determinare l'inizio della dipendenza economica del regno da Genovesi e Fiorentini(il gran siniscalco della regina era Nicolò Acciaiuoli, membro di una grande famiglia di Firenze, appunto) e dell'alleanza con Milano.
Quest'ultima ebbe il risultato più clamoroso nella guerra tra Pietro IV d'Aragona e Milano, con l'appoggio di Napoli e Genova, per la successione siciliana. Per spiegare ciò che accadde occorre però fare un passo indietro: Il conflitto tra Siciliani e Aragonesi di Sicilia del 1370-1371 aveva portato , oltre che alla conquista delle Egadi da parte dei Genovesi come base strategica, alla pace tra Giovanna e Federico IV di Sicilia: la prima riconosceva al secondo il titolo di Re di Trinacria in cambio di un tributo annuo di 15mila fiorini d'oro. I Visconti avevano invece ottenuto che Violante, figlia di Galeazzo II andasse in sposa a Federico. L'anno dopo alla coppia nacque un figlio maschio, Pietro. Ma nel 1377 Federico morì, lasciando il regno diviso tra le più potenti famiglie baronali del regno, che si dividevano nella fazione “catalana”, di ascendenza aragonese, capeggiata dalla famiglia Alagona, che desiderava un ritorno nell'alveo della corona aragonese, ed una fazione “latina” capitanata dalla famiglia dei Chiaromonte, che al contrario desiderava legare ulteriormente la Sicilia alla penisola, con un avvicinamento ad Angioini e Visconti. La reggente per il piccolo Pietro era la madre, Violante, assieme ad Artale Chiaromonte. Tuttavia gli Alagona non ci stavano a passare in secondo piano in tal modo e chiamarono in aiuto Pietro IV d'Aragona, incoraggiandolo a far sposare Maria, primogenita e figlia del primo matrimonio di Federico, con un aragonese, per poter poi rivendicare l'isola. A questo punto, per contro, Chiaromonte offrì la mano della ragazzina a GianGaleazzo Visconti, nipote di Barnabò, signore di Milano e suo pupillo. Maria venne rapita, poi rinchiusa in un castello ed assediata dalla flotta aragonese, mentre Violante e suo figlio scamparono a due tentativi di assassinio. Lo scontro tra la flotta genovese-napoletana-milanese e quella aragonese arrise ai primi, e le forze catalane sbarcate vennero poi sconfitte da Rodolfo Visconti(terzo figlio di Barnabò) e Artale, e costrette ad evacuare. Nel frattempo però, Giangaleazzo aveva già sposato la cugina Caterina, per cui Maria andò in sposa, nel 1380, proprio a Rodolfo, che venne insignito del titolo di reggente per Pietro IV dalla cugina Violante. Il conflitto contribuì alla cacciata di molti baroni e alla confisca dei loro beni, cosa che giovò poi alla corona, visto lo strapotere delle famiglie feudali nell'isola. La Sicilia entrò nel più integrato commercio genovese(i liguri otterranno dall'appoggio della loro flotta all'impresa il possesso di Pantelleria, Pelagie e Malta, oltre che diverse colonie in tutti i porti dell'isola ed il possesso di Marsala), cosa di cui godettero anche i ceti borghesi locali, su cui il Visconti cercava di appoggiarsi per limitare le prerogative dei baroni. Molti mercanti e patrizi milanesi migrarono verso l'isola in cerca di opportunità e ricompense ed a molti di loro vennero cedute parti dello sterminato patrimonio degli Alagona, che erano stati costretti a fuggire nella penisola iberica.
L'Alleanza Napoli-Milano non si mantenne però così salda anche in seguito. La regina aveva scelto come proprio successore Luigi d'Angiò, fratello del re di Francia, ma il nipote di Giovanna, Carlo di Durazzo si oppose alla decisione e riuscì ad impadronirsi di Napoli nel 1381. I Visconti appoggiarono inizialmente la fazione di Carlo, preferendo un soggetto meno legato alla corte di Francia. Si resero conto però ben presto di quanto fosse sfrenatamente ambizioso quando ricordò a Milano le prerogative angioine sulla Sicilia e giurò di farle valere. Pertanto Milano e il duca di Savoia organizzarono una spedizione navale per portare il pretendente Luigi sul trono napoletano, ma senza esito. Fortunatamente Carlo III morì assassinato nel 1386, appena 5 anni dopo a Buda, mentre tentava di reclamare la corona d'Ungheria(si sospetta il coinvolgimento milanese nell'assassinio).
Nel corso di gran parte del '300 il papa, residente ad Avignone è una creatura filo-angioina. Un primo tentativo serio del pontefice di recuperare il controllo di Roma ed eliminare i signorotti che erano spuntati sul territorio come funghi, ci fu nei primi anni '50 con il cardinale Egidio di Albornoz, che riscosse notevoli successi, perlomeno nel Lazio e parzialmente in Umbria e nelle Marche, molto meno in Romagna. La situazione del papato si complicò con lo scisma d'occidente. La confusione certo non giovò allo stato della chiesa, in cui, peraltro, il papa sulla via del ritorno si era fatto precedere dalla compagnia di ventura di Giovanni Acuto e dal cardinale di Ginevra, che impugnava certamente meglio la spada del pastorale. Del periodo buio approfittarono tutti, in particolare Firenze, che cercò di farsi promotrice di una lega anti-papale nella guerra degli otto santi. La situazione rientrò solo grazie a Santa Caterina e al fatto che Barnabò Visconti e Cansignorio della Scala si posero come mediatori per la pace, iniziando tra l'altro un periodo di distensione tra loro, non volendo impegolarsi troppo nel pantano romano di quel momento.
E la guerra trecentesca tra Scaligeri e Visconti? Ecco un breve sunto:
Nel 1338 si combatteva la grande battaglia di Nembro tra Azzone Visconti e Mastino II della Scala, che fu il primo, duro colpo per le ambizioni scaligere di prendere Bergamo e portarsi a controllare la Gera d'Adda. A seguito della battaglia i Milanesi conquistarono Brescia, mettendo in seria difficoltà i rivali anche nei loro possedimenti meridionali(grazie all'aiuto dei Gonzaga di Mantova. La rivincita arriva 10 anni dopo, grazie ad una lite tra Luchino e Giovanni Visconti. Giovanni fugge alla corte dei nemici e con il loro aiuto sconfigge Luchino a Caravaggio, per poi giungere a Milano. I due si rappacificano, ma il vincitore deve cedere di nuovo Brescia all'alleato. Solo un anno dopo Luchino muore e Giovanni raccoglie la totalità dei domini viscontei sotto di sé. Seguono una decina di anni di pace, con i due rivali che si fanno guerra per procura nell'Emilia(Piacenza e Bologna erano viscontee; Parma e Ferrara scaligere. E le altre cercavano di barcamenarsi come meglio potevano). Ma mentre Verona si vede pressata dalle ingerenze imperiali, Milano ha maggiore spazio di manovra dietro di sé e ne approfitta ponendo una pesante ipoteca sul controllo di Monferrato e Savoia. Nella lotta tra i due, inoltre, entrano in campo anche diversi altri attori, in particolare Firenze, che, come potenza bancaria, è cercata e desiderata da entrambi. La situazione di stallo dovette durare sino agli anni '70, quando i figli di Stefano Visconti condussero una serie di campagne fortunate in Emilia che tolsero agli Scaligeri il controllo delle città che possedevano nella regione. Questo dette nuovo impulso al dominio Visconteo, che però commise l'errore di irritare, nel contempo, Genova, Venezia e Firenze. Barnabò Visconti riuscì nel considerevole risultato di porre nello stesso schieramento le due rivali... contro di sé.
Dalla pericolosa situazione riuscì a uscire il nipote, Gian Galeazzo, con un'abile alternanza tra diplomazia e capacità militari. In sostanza, si creò una stabile linea di demarcazione delle aree di influenza anche in Emilia (a ovest di Bologna, esclusa, area di influenza di Milano, a est di Verona). Barnabò del resto aveva sposato tempo prima Beatrice della Scala, facendo presagire un nuovo corso ed un periodo di “distensione” tra le due grandi potenze.
Il vero colpo avvenne una decina di anni dopo, nel 1385: Gian Galeazzo Visconti, diventa signore unico di Milano, esautorando lo zio Barnabò e i i suoi cugini, e, con un autentico ribaltone delle alleanze, tende subito una mano ad Antonio della Scala, figlio di Cansignorio, sia per evitare che si erga a paladino della libertà di Barnabò in quanto suo parente acquisito, sia per instaurare un ulteriore legame dinastico tra le due signorie e spartirsi lo stato della chiesa. Dal canto proprio, Venceslao di Boemia e Sigismondo d'Ungheria, nonostante si dicessero amici degli Scaligeri stavano diventando scomodi “amici” per i veronesi, tanto più che questi ultimi si apprestavano a mettere le mani definitivamente sul patriarcato di Aquileia, direttamente confinante con i domini del regno di Buda e, in teoria, principato ecclesiastico sotto tutela imperiale, per cui la proposta di Gian Galeazzo capitava proprio a fagiolo.
Così il 14 dicembre 1388 venne stipulata a Mantova(presso i Gonzaga, in fatto di alleanze, i campioni del trasformismo) la “lega dei quattro santi”(con chiaro riferimento alla guerra degli otto santi) tra Serenissima repubblica veneta di San Marco, Serenissima repubblica genovese di San Giorgio, Aurea signoria ambrosiana di Milano e Augusta signoria Veronese di Santo Zeno(evidentemente in questa occasione sia Gian Galeazzo che Antonio si resero conto che le denominazioni dei loro domini erano un po' carenti. Mancava ufficialità, seria legittimazione...poi suonavano male. Sarebbero presto corsi ai ripari). Inoltre vennero celebrate le nozze tra Canfrancesco della Scala, figlio di Antonio, e Valentina Visconti, figlia di primo letto di Gian Galeazzo e amatissima dal padre.
Firenze presentì il pericolo, e lo stesso fece re Luigi d'Angiò di Napoli(lo sconfitto pretendente contro Carlo di Durazzo, che approfittando della morte di quest'ultimo non aveva esitato a mettere le mani sul regno), che decise di buttare a mare anni di politica filo viscontea e gli stessi aiuti(vani e inutili, questo è vero..) che ebbe per ottenere il regno quando ancora regnava Carlo. Tra i due ci fu alleanza e, con un po' di ipocrisia, perlomeno da parte di Luigi, partì subito una campagna denigratoria contro i “due tiranni che voleano insignorirsi de la Ytalia, contro la libertà ed il pubblico ben”. Lucca e Pisa, repubbliche immiserite che conservavano il ricordo di glorie passate, pur mal digerendo l'idea di essere dalla parte dei genovesi, odiavano ancor di più Firenze e si “collegarono” alla lega, sottomettendosi spontaneamente all'autorità di Gian Galeazzo. Lo stesso fece Siena poco dopo. I Savoia reputarono saggio rimanere neutrali(come dargli torto?), mentre Da Polenta, Malatesta, Estensi e molte signorie emiliane cercarono di scrollarsi di dosso la pesante tutela di Milano e Verona chiedendo l'aiuto di Firenze e Napoli, mentre a Roma si aspettava e si tremava. I primi anni '90 in realtà non videro grandi eventi bellici. I “due tiranni” impiegarono il tempo dando un'organizzazione coerente al loro dominio, sopprimendo ribellioni e ristrutturando corti e uffici. In questo occorre dire che Gian Galeazzo fu molto più abile del collega. Vennero riuniti a Milano tutti gli statuti cittadini delle città del dominio, vennero redatti gli “atti di sottomissione” di molte città o piccole signorie feudali del contado, ne venne scritta copia e data ai balivi e ai camerari inviati dal conte come governatori, che dovevano tenere registro delle loro attività, in particolare economiche, e scrivere rapporti periodici. Fa inoltre ripulire per bene le strade e le botteghe intorno alla cerchia dei navigli a Milano, che scaricavano gli scarti direttamente nelle acque dalle quali poi si beveva e si pescava.. Gli archivi viscontei sono il più grande repertorio di informazioni dell'Italia di questo periodo. (Nella nostra timeline negli anni '90 il Visconti conquista il veneto e non ha il tempo di fare quel che farà Filippo Maria, ossia il riordino del dominio e Francesco Sforza, ossia la pulizia e il riordino di Milano. Tutto ciò sarà foriero di importanti conseguenze...); invece nell'abbellire le loro capitali i due sono decisamente sullo stesso livello: non si elencano le grandi opere fatte iniziare dai due signori, tra le arche scaligere, un nuovo abbellimento di San Zeno e il maschio scaligero da una parte, il duomo di Milano, la certosa di Pavia, il castello di porta Giovia dall'altra, solo per citare le più famose.
Altro discorso, quello sui titoli: per la bellezza di 100mila fiorini d'oro Gian Galeazzo si compra dall'imperatore il titolo di duca nel 1392. A ruota lo segue Antonio che si prende lo stesso titolo (duca), ma per via dei rapporti di parentela e storica amicizia l'imperatore Venceslao gli fa lo sconto: di fiorini d'oro ne deve pagare solo 40mila.
Finalmente, nel 1396 Gian Galeazzo attraversa gli appennini, sconfigge un esercito mandato dai fiorentini presso Prato ed assedia la stessa Firenze. Antonio, assieme al condottiero Facino Cane, dilaga invece in Romagna, per poi scendere nella Marca e prendere Pesaro Fano e Senigallia. Le galee veneziane invece assediano per mare Ancona. Un paio d'anni dopo cade anche Firenze e a ruota seguono tutte le città toscane. Antonio e Gian Galeazzo si incontrano a Perugia. Con l'esercito riunito, alla cui testa c'è Canfrancesco, che porta sulle sue insegne sia la scala sia il biscione, i due si dirigono alla volta di Roma. Poco prima della partenza, però, Antonio muore. A Perugia si tiene pertanto una fastosa cerimonia in cui viene riconosciuto Canfrancesco come legittimo erede del ducato di Verona.
A che pro andare a Roma? Per una serie di motivi: cercare di dare una sistemazione favorevole dello scisma, ma sopratutto creare una pace generale ed una lega “italica” in cui Visconti e Scaligeri si sarebbero fregiati del titolo di vicari imperiali per l'Italia. Ma scoppia la peste e il progetto va a monte, o quasi, perché Gian Galeazzo muore, lasciando due figli piccoli come eredi, Giovanni Maria e Filippo Maria. CanFrancesco torna di gran carriera al nord, per nominarsi “tutore” dei fratellastri di sua moglie. In realtà è chiaro che mira a sostituirsi a loro.
Nel decennio successivo la situazione si fa piuttosto confusa, in verità. Giovanni Maria soffre di turbe psichiche e imprigiona Filippo Maria, apparentemente debole e gracile nel castello di Trezzo. Molte città assoggettate da poco al dominio visconteo si ribellano e vengono perdute. Particolarmente grave è la ribellione di Firenze, governata da un piccolo consesso di 10 patrizi, detti “dieci di balìa”, che devono rispondere al podestà visconteo. I 10 scacciano il podestà e massacrano la guarnigione milanese. Poi, auto nominandosi “vicari imperiali per la Tuscia” sconfiggono presso Arezzo un esercito Scaligero. Ancora peggio è l'avvento al trono napoletano di Ladislao di Durazzo, figlio di Carlo, quanto ad ambizione anche peggio del padre. Con la scusa che le lotte in Italia ed il malgoverno dei “tiranni” impediscono una crociata per la liberazione di Costantinopoli dai tatari, marcia su Roma e la conquista. Canfrancesco si trova in una situazione difficile, con Firenze, aiutata da Ladislao, che guadagna posizione su posizione in Italia centrale, e con Valentina che gli dona solo figlie femmine. Finalmente Filippo Maria riesce a scappare, mentre i soldati della su guardia massacrano il crudele Giovanni Maria. Canfrancesco accoglie a Verona il giovane esiliato, sostenendolo nel recupero della sua eredità paterna. In cambio però, Milano deve cedere a Verona Brescia e Parma. Il problema principale è rappresentato da Ladislao e dal condottiero Facino Cane, che si lega con quest'ultimo nella speranza di ottenere un cospicuo dominio nel nord d'Italia alle dipendenze del re di Napoli. La grande abilità politica e militare ereditate dal padre gli frutteranno prima la definitiva vittoria contro il condottiero presso Piacenza, poi il matrimonio con Taddea della Scala, figlia di Canfrancesco e Valentina Visconti. La guerra però non era ancora finita. Filippo impiegò del tempo prima di ricostruire le forze del ducato e rintuzzare i tentativi dei Savoia di prendere Vercelli e Alessandria. Inoltre incombeva ancora la minaccia di Ladislao, che imperversava in Toscana e Umbria. Una mano a Verona e Milano nella loro lotta venne inaspettatamente da Firenze, a cui l'alleanza con l'angioino cominciava a pesare. Filippo Maria e Canfrancesco, assieme a Firenze e Siena fermarono il re in una battaglia presso Prato. Poco dopo, nel 1414, venne firmata a Roma una pace generale. Ma poco dopo la pace accaddero tre eventi che diedero una svolta alla politica italiana. Il primo fu la morte di Ladislao, a cui succedette la sorella, Giovanna II. Finivano nella tomba le ambizioni di egemonia di Napoli. La seconda fu la nascita di Can Galeazzo Visconti-della Scala, figlio di Filippo Maria ed erede presuntivo sia al ducato di Milano che a quello di Verona(Filippo Maria fece aggiungere anche il cognome materno per calcolo politico, come poi si capirà). La terza fu la morte proprio di Canfrancesco della Scala. L'unico suo erede maschio legittimo era Can Galeazzo. Filippo Maria impiegò in realtà una decina d'anni per eliminare le resistenze di diversi pretendenti più o meno legittimi, ma, alla fine, con l'aiuto della sorellastra Valentina, riuscì a prendere il potere anche nel ducato di Verona. Era nato un nuovo stato egemone in Italia.
L'era del cambiamento: il '400
- 1410-1430: battaglia di Tannenberg: Lituani e Novgorodiani annientano l'esercito dei cavalieri teutonici, ponendo fine alla loro minaccia. Dopo la battaglia Vytautas di Lituania entra a Vilna e si proclama re di Lituania, in spregio al cugino Jogaila (o Jagellone), che si era fatto battezzare per sposare l'ultima erede dei Piast di Polonia. Prima guerra polacco-lituana. Vytautas sposa in seconde nozze Elena Comnena di Panagiopoli (ormai il Bosforo cimmerio greco confina con la grande Lituania a nord-ovest) e si converte all'ortodossia. Scaccia cattolici e polacchi da Vilna e fa fondare, con l'assenso del metropolita di Kiev (comunque una sua creatura: anche a Mosca vi era un metropolita che si diceva di Kiev), un nuovo patriarcato nella sua città capitale. I lituani fedeli a Ladislao Jagellone (Jogaila) e ai polacchi, emigrano verso ovest, per di più trovando rifugio in Prussia. I cavalieri teutonici non li accolgono propriamente a braccia aperte, ma all'indomani della battaglia non possono fare molto. Anzi, sono costretti a integrare i polacco-lituani nelle loro leve. Vytautas visita Novgorod: il vece, l'organo assembleare della repubblica, gli conferisce il titolo di principe nel rispetto delle regole e delle istituzioni della città; progetta poi di conquistare Livonia ed Estonia, ancora in mano teutonica. Il nuovo sovrano, tuttavia, se prima temeva la polonizzazione e la cattolicizzazione come pregiudiziale per la sua espansione verso le terre russe, non è nemmeno troppo entusiasta all'idea di una completa russificazione del suo popolo. Per cui, tanto dice e tanto fa, da ottenere dal metropolita Kievano il cosiddetto “messale aureo di Kaunas”, ossia la traduzione della liturgia bizantino-slava in un dialetto lituano (che diverrà poi la base per il lituano standard, scritta da un monaco di nome Algirdas, poi canonizzato) per il suo popolo.
- 1405-1416: Trebisonda è costretta a fronteggiare in una lunga e durissima guerra i montoni neri, decisi a dare il colpo di grazia ai trapezuntini. I generali pontici non osano contrastare i turcomanni in campo aperto: l'esercito deve essere riorganizzato e l'imperatore lavora con tutte le sue forze per questo scopo. Affida la reggenza della capitale al generale Angelo Gabras e si trasferisce assieme alla moglie Elena Gidon a Coloneia, facendone una specie di piccola capitale dei monti, da cui seguire le operazioni contro i nemici. I Kastrophilai della regione vengono a rendergli omaggio. A lui si deve l'introduzione dei primi cannoni a difesa delle fortezze. Erano ancora molto rudimentali, voluminosi, con una gittata minima e poco precisi. Certamente però il loro effetto psicologico fu rilevante e segnarono l'inizio di un'evoluzione dell'arte della guerra. Ogni anno i montoni neri irrompevano nei territori di confine, saccheggiando e massacrando, mentre il sovrano niente poteva fare per fermarne l'avanzata. Nel 1413 Coloneia venne assediata per poco più di tre mesi ma riuscì a resistere, grazie anche alla guida dell'imperatore. L'anno dopo Argiropoli non fu così fortunata: nonostante la strenua difesa della banda (l'equivalente dei nostri clan) degli Axuch, venne espugnata e saccheggiata. Forse però la caduta di quella che veniva considerata la capitale dei montanari fu la goccia che fece traboccare il vaso. Davide IV, infatti si decise a passare al contrattacco, per far cessare quello stillicidio. Innanzitutto organizzò una campagna per riprendersi Toqat, o Eudocia, avamposto militare a ovest, da cui tagliare le ritirate nemiche nel settore sud-ovest dei monti. Nello stesso tempo spostò le forze che presidiavano il sud-est verso l'interno delle montagne, dando l'illusione ai montoni neri di debolezza di forze. Dopo la presa di Argiropoli, infatti, Qara Usman era convinto che il confine fosse stato spezzato. Mostrargli castelli abbandonati sulla strada verso la piana costiera lo invogliava a penetrare sempre più verso l'interno. Nel frattempo, l'esercito a disposizione di Angelo Gabras, con l'aiuto dei georgiani, muoveva per affrontarlo. Davide, a marce forzate, giungeva da ovest verso Argiropoli, per riconquistarla e tagliare la ritirata ai turchi. La città gli aprì le porte. Un'avanguardia di Gabras venne sconfitta da Qara Usman, ma ormai, e ciò era quello su cui l'imperatore contava, era estate inoltrata e il turco sapeva che non poteva avanzare con il gelido inverno del Ponto alle porte, non senza rifornimenti e con un esercito nemico ancora invitto che lo stava aspettando. Era ora di tornare. Dopotutto, aveva raccolto un buon bottino. Non sapeva che le banda dei monti da Baberd a Trebisonda erano pronte a rendergli la ritirata un inferno. L'esercito di Qara Usman passò un pessimo natale del 1414. Dopo aver subito perdite consistenti, appena sceso nella valle di Argiropoli si trovò davanti all'improvviso l'esercito dell'imperatore e, dietro di sé le banda Axuch, Kabasitai, Valentziakoi e Chainos che gli bloccavano la fuga. I montoni neri vennero sconfitti per la prima volta in 10 anni, rompendo così la loro aura di invincibilità. Nonostante tutto, però, Usman era riuscito a fuggire, assieme ad un buon numero di cavalieri e presto sarebbe ritornato dopo aver raccolto nuove forze. Stavolta, però Davide non gliene voleva dare il tempo: voleva portare la guerra nei territori del nemico e lì annientarlo una volta per tutte.
- 1414: Finalmente parte la grande crociata contro i tatari: vi partecipano soprattutto ungheresi e francesi, ma anche un contingente inglese e uno lombardo, al comando di Muzio Attendolo Sforza (Filippo Maria non lo invia volentieri, ma per darsi una immagine di grande sovrano non può esimersi dal farlo). I sovrani cattolici invitano ad unirsi anche i potentati della zona: il despota Stephan Lazarevich (era uno dei figli del defunto Marko) dopo aver unito sotto il suo scettro Serbia Morava, Rascia e Nis, di fronte alla prospettiva di una prossima spedizione tatara contro di lui si unisce ben volentieri; allo stesso modo si comporta il gran re di Bosnia. I greci, sempre molto sul chi vive quando sentono parlare di crociate, sono più cauti. Da Trebisonda Davide IV non risponde neanche, intento com'è a ricostruire e impedire ai montoni neri di approfittare della situazione per annettersi tutta l'Anatolia, con una guerra di posizione in Armenia ( e nel contempo rendendo involontariamente un bel servigio anche a Karaman che non ha ancora avuto il tempo per riprendersi). Manuele Paleologo fa promesse piuttosto vaghe, ma nel contempo le fa anche ad Abaga Khan (in pratica non avrebbe mosso un dito. Sarebbe intervenuto solo quando sarebbe stato ragionevolmente sicuro di salire sul carro del vincitore). Stessa cosa fa suo suocero e alleato, il vecchio despota di Macedonia Constantin Dragas (aveva dato in sposa la bella figlia Elena proprio al giovane Manuele quando ancora era un vassallo di re Marko). Seriamente intenzionato ad unirsi all'impresa era invece Teodoro di Nicea, succeduto al padre Niceforo da 5 anni. A patto, però, che, qualora Manuele non avesse partecipato all'impresa (facendo così decadere, a suo dire, della legittima pretesa imperiale dei paleologi di Mistra) la regina delle città gli venisse consegnata dopo la vittoria. In questo caso furono i capi crociati a rispondere in modo vago. 'imperatore Sigismondo d'Ungheria aveva in mente di ricreare lo sciagurato impero latino d'oriente per l'ennesima volta e indossare lui stesso la porpora, come imperatore sia d'oriente sia d'occidente. Ridare Costantinopoli ad un greco era l'ultima cosa che desiderava.
- 1414-1415: Anche Aydin, danneggiato come tanti altri dalla buriana tatara ma ripresosi in modo straordinariamente rapido, ritiene sia giunto il momento di prepararsi ad approfittare della situazione di generale debolezza dei vicini e dell'imminente crociata. Prepara una nuova, potente flotta con cui occupare delle teste di ponte in Europa e, nel caso di un esito positivo della crociata, strappare agli stessi mongoli il controllo degli stretti e, magari, della stessa Costantinopoli. (preferisce evitare però per il momento una guerra con i niceni, sapendo benissimo che anche loro sono piuttosto in forma)
- 1415: i crociati attraversano la Serbia varcando il Danubio a Belgrado. Entrano a Nis. Qui cominciano i disaccordi: Per gli ungheresi e per Muzio Attendolo sarebbe saggio scendere verso Serre per avere un minimo di retrovie e ritirata coperta, per poi avanzare verso Costantinopoli con il mare a coprire il fianco destro. Per francesi, inglesi e borgognoni l'idea migliore è invece attraversare i monti Balcani, entrare nella valle della Marizza e poi da lì puntare su Adrianopoli. Quest'ultima idea prevale. Il tempo inclemente e la difficoltà di approvvigionamento mietono un discreto numero di vittime, ma l'armata prosegue, riuscendo anche a sconfiggere diverse imboscate tese sulla loro strada dai tatari. Ottobre: Battaglia di Adrianopoli. Dopo un'iniziale successo cristiano, la vittoria arride ad Abaga, anche se quest'ultimo perde moltissimi uomini. Sigismondo si salva a stento, ed anche Muzio Attendolo Sforza. La carneficina ha eco in tutta Europa. Subito si riunisce a Costanza un concilio per riformare la chiesa e riportare l'unità. La divisione dei cristiani è infatti l'imputata principale (come al solito?) della sconfitta: Peccatis nostris exigentis. Grazie all'energica guida di Sigismondo, molto toccato dagli eventi, a tempo di record viene eletto come nuovo pontefice il cardinale Ottone Colonna, con il nome di Martino V. Un piccolo dettaglio: il papa deve sottostare all'autorità del concilio. Non che il Colonna fosse molto d'accordo, ma altro non può fare se non digerire il boccone ed attendere tempi migliori per riaffermare la sua autorità. Anche Filippo Maria non è troppo felice della cosa, visto che Costanza è molto più difficile da controllare rispetto a Roma, e, inoltre, non sarebbe stato in grado, ne era perfettamente consapevole, di convincere i membri (molti dei quali legati a francesi, tedeschi, aragonesi, inglesi. . . ) del concilio a far eleggere suo figlio come Rex Lombardiae come era sua evidente intenzione. A oriente la maggior parte dei signori esulta, cristiani compresi: la crociata avrebbe sconvolto, se vittoriosa, completamente gli equilibri che si stavano cercando di ricreare con fatica.
- 1416: Davide IV di Trebisonda, assieme a Filemone, patriarca di Ninive, a Pietro di Georgia, e a diversi capi armeni e curdi riesce a infliggere una pesante sconfitta ai montoni neri d'occidente presso il lago Van. Questa vittoria è importantissima per molte ragioni: la prima è che ferma per lungo tempo l'espansionismo dei Qara Koyunlu verso ovest, facendo spostare il baricentro del loro impero verso la Persia. La seconda è che, dopo uno stillicidio di sconfitte e una difficile guerra di confine, Trebisonda si riscopre ancora capace di vincere le guerre. L'impulso emotivo di questa battaglia è fortissimo, tant'è che entra da subito anche nell'arte e nella letteratura ( con, per esempio, la cronaca dei 100 giorni di Coloneia, poema in versi in pontico di Nastasios, che ricorda molto il Digenis Akritas, ma con anche qualche prestito dalla tradizione dei romanzi cavallereschi occidentali. Oltre a questo viene ripreso anche dai canti popolari dei monti pontici. Diviene il secondo argomento per numero di poesie che lo mettono a tema. Il primo rimane sempre la resistenza contro le armate di Tamerlano e Toktamish). La terza è che il patriarca di Trebisonda costringe il patriarca Filemone a deporre il titolo ecclesiastico. . . per essere unto “re di Assiria” Ormai gli assiri sono un popolo vero e proprio, con una coscienza etnica, una religione, e anche un re. Il luogo in cui vivono è un punto di passaggio, il che renderà il loro cammino molto ostico, ma ciò non toglie che per la loro storia è una svolta radicale. La quarta è che molti turcomanni della zona tra l'Eufrate, l'Arasse ed il lago Van si staccano dal dominio dei montoni neri e fondano una loro confederazione, in opposizione a loro e in amicizia con i “re cristiani”. Si fanno chiamare “Ak Koyunlu”, ovvero montoni bianchi. Un discreto numero di capi clan di questa confederazione, vista la tendenza della zona, si fa persino battezzare, perlopiù secondo il rito armeno. La quinta è che, ancora una volta, la Cilicia armena è salva, e con essa molte importanti vie commerciali da oriente a occidente.
- 1416-1420: Nello stordimento dell'occidente, (che pensa bene di tornare alle proprie usuali liti: comincia infatti una nuova e cruenta fase della guerra dei cent'anni) Il Khan Abaga, dopo aver vinto contro gli eserciti dei signori cristiani, decide di regolare qualche conto: innanzitutto punire i Lazarevic, despoti di Serbia. Accompagnato da Manuele e Costantin, non troppo entusiasti, ma obbligati a partecipare (anche se in realtà neanche a loro due spiaceva così tanto un ridimensionamento dei Serbi del nord) organizza una campagna punitiva. Conquista Pirot e Nis, da cui trae un ingente tributo. Poi però, nel 1418, ammalato, leva le tende e torna a Costantinopoli. Aydin nel frattempo ha strappato Agiostrati al controllo genovese (ha tentato anche con Chio, ma senza successo), facendo dell'isoletta la propria base fortificata per le incursioni in tutto l'Egeo settentrionale. Poco dopo è la volta di una nuova offensiva nelle Cicladi, che ha come risultato diversi attacchi ad Atene ed all'Eubea. Ma l'assalto più importante è quello sferrato nel 1419, su due direttrici: la penisola di Magnesia, in Tessaglia, e la Calcidica, in particolare la penisola di Cassandria. Manuele Paleologo è colto di sorpresa, ed ambedue cadono sotto il controllo turco.
- 1420-1422: Nel 1420, molto anziano, muore Costantin Dragas, despota di Macedonia. Gli succede il nipote Stefan Dragas. Mantenendo la tendenza politica del nonno, firma un trattato di alleanza e amicizia con Manuele, che, forte di questo, non perde tempo a chiedergli aiuto: i turchi stanno occupando la Tessaglia ed ha bisogno di una mano per scacciarli. Chiede inoltre Allo stesso Abaga di dirimere la questione in quanto signore sia suo sia di Aydin. 1422: dopo alcune scaramucce di scarsa rilevanza, Giovanni, figlio primogenito di Manuele, assieme al fratello Andronico, raduna un esercito per recuperare Volo, mentre il padre è impegnato assieme a Stefan più a nord, per difendere Tessalonica. Battaglia del monte Pelio: Giovanni subisce una seria sconfitta; Andronico muore in battaglia ed il pirata turco Omur giunge persino ad espugnare Larissa, capitale della Tessaglia maggiore. La situazione è resa ancor più grave dal fatto che un altro generale Aydinide, Mas'ud, si dirige a sud per devastare anche la Tessaglia minore. Conquista Boudonika, ma non riesce a prendere Neopatria, difesa da un altro figlio di Manuele, il secondogenito Teodoro. Con pessimo tempismo per Manuele, Abaga muore. Se è vero che il Khan molto ha fatto per dare una certa solidità al dominio tataro sulla regione, ciò nondimeno, si scatena subito un lotta tra i diversi pretendenti, che rende di fatto inutile qualsiasi richiesta di aiuto loro rivolta. Peggio ancora, cominciano da subito le ribellioni dei bulgari, il cui regno era stato occupato direttamente dagli invasori assieme con la Tracia. A Manuele non resta che rispolverare l'antica lega di Nicea, nella speranza che gli altri sovrani greci siano intenzionati a prestargli soccorso. E a non approfittarne troppo. L'unico seriamente interessato sembra, ancora una volta Teodoro di Nicea, visto che il Ponto Cimmerio sta combattendo una guerra con l'orda (con l'aiuto della Lituania) per riprendersi tutti i territori sotto il proprio controllo prima che arrivassero i tatari, mentre Trebisonda fa presente la propria politica di rigida neutralità nei confronti di qualsiasi conflitto che non la tocchi direttamente. Poco dopo, nel 1425, Manuele muore, lasciando il compito a Giovanni di difendere la Grecia.
- 1425-1427: Davide IV di Trebisonda, soprannominato “l'imperatore soldato”, se è ben visto dai soldati e dal popolo non lo è così tanto dai grandi oligarchi del patriziato cittadino. Il commercio ristagna e gli interessi della flotta sembrano cadere in secondo piano, di fronte alla necessità di difendere i confini dai nemici. Inoltre la Paflagonia, dopo essere stata il fulcro economico dell'impero fino a quel momento, mal si rassegna a tornare una provincia periferica, anche in virtù del fatto che molti commerci occidentali, ora che Costantinopoli è in mano tatara, passano da Calcedonia e Crisopoli. Inoltre re Teodoro, a Nicea, è un sovrano ambizioso e nutre il sogno di riunire sotto la propria alta autorità i quattro regni greci. Ottenere il favore della grande borghesia pontica è il primo passo per ingerirsi nella politica del “fratello maggiore comneno”. I Kastamonitai, approfittandone, tentano la sorte: proprio nella città che ospita le tombe della famiglia imperiale viene innalzato il vessillo della rivolta. Con l'aiuto dei grandi signori della Paflagonia e i mercanti della parte occidentale dell'impero Demetrio Kastamonite si fa eleggere imperatore e decide di marciare su Trebisonda, per deporre Davide, in virtù di una sua (presunta) violazione del Nomos Ton Demokrateia. Nelle città tutti sembrano abbandonare di colpo l'imperatore, mentre solo 10 anni prima era acclamato come un eroe. Il sovrano però non si arrende. Il ribelle è troppo debole e regala un aiuto insperato allo stesso imperatore quando chiede aiuto ai montoni neri per avere ragione del rivale. Questo scatena una rivolta di popolo nella stessa Paflagonia, che, anche se non ha vissuto da vicino il pericolo, non ha comunque intenzione di liberarsi della tutela di Trebisonda per entrare in quella dei turchi. Demetrio viene sconfitto presso il fiume Halys una prima volta, poi, una seconda a Pompeiopoli dove viene catturato e decapitato. L'esperienza della ribellione fiacca però l'animo di Davide IV, proprio come accadde a Davide III. Da quel momento si chiuderà nel palazzo imperiale, da lui fatto ricostruire, oppure si impegnerà in lunghi periodi di digiuno e preghiera al monastero di Vazelon, o, infine, nella città da lui amata più di tutte, Coloneia (che peraltro contribuirà ad abbellire). Il governo verrà ceduto nelle mani di Angelo Gabras, a cui darà in sposa la propria primogenita, Teodora, nata nel 1402. Ad Isacco, suo giovane figlio nato nel 1405, affiderà, com'era antica usanza, il governo dell'occidente, anche per cercare di ristabilire un legame più fermo tra quest'ultimo e la casa regnante. Ma Isacco era un degno figlio di suo padre, appassionato alla vita militare e che si trovava scarsamente a suo agio a fare il “principe mercante” come gli aveva consigliato di comportarsi suo cognato. Fu così che, durante una visita a Bafra, come racconta il principale storico trapezuntino del periodo, Giovanni Paterano, (la sua era una vera e propria famiglia di storici) irritò a tal punto un patrizio della città da scatenare le sue ire. Sue e dell'intera compagnia commerciale dell'Halys, una delle più potenti dell'impero pontico. Ragione del contendere, secondo lo storico (che però è tendenzialmente filo-Comneno, per cui non si sa sino a che punto credergli) fu che, ospitato nella villa del patrizio incontrò una schiava che non sembrava provenisse né dal Caucaso, né dalla steppa russa, come era usuale trovarne. Era, in effetti la figlia di nobile signore di un ramo decaduto dei Tornikai, una famiglia dell'entroterra Paflagone. La ragazza, vistosamente incinta e maltrattata dal padrone, venne difesa dal principe con una certa veemenza. Al che il padrone di casa, piuttosto sorpreso, fece notare che si trattava di una semplice servetta. Ma Isacco replicò: “la servetta ha lo stesso grado di parentela con i tuoi signori di quello che tu hai con le circasse! Questa ragazza ha più sangue nobile nel suo dito mignolo di quello che sei riuscito a comprarti e a rubare con i tuoi vili commerci!” Frasi del genere al giorno d'oggi farebbero sorridere, ma all'epoca i nobili natali contavano, e molto, anche in una società piuttosto abituata al mercantilismo come quella pontica. Era il riflesso della decadenza dell'antica nobiltà terriera e, nel contempo, del desiderio dei borghesi di diventare essi stessi parte di quella nobiltà così antica e di prestigio. L'epilogo della vicenda è presto detto: il principe Isacco fu assassinato mentre assisteva alla funzione nella cattedrale della città. Secondo la narrazione il mandante non restò impunito, dato che la popolazione catturò l'assassino, gli fece confessare chi avesse dato l'ordine poi, dopo averlo lapidato, andò alla villa del patrizio e la diede alle fiamme con lui dentro. Per ordine dell'imperatore i beni della famiglia del colpevole vennero tutti confiscati e venduti. Angelo Gabras insistette presso l'imperatore che fosse necessaria a questo punto anche una revisione dei rapporti tra le compagnie marittime e lo stato, ma Davide IV desiderava solo vendetta. Dopo le esequie del figlio aveva intenzione di marciare su Bafra con un esercito e distruggerla. Tuttavia (fortunatamente) non ne ebbe il tempo, poiché ai funerali a Kastamon di suo figlio ebbe un attacco di cuore e morì. In mancanza di eredi maschi diretti, finiva così il ramo principale della grande dinastia Comnena, che regnava su Trebisonda da quasi 250 anni. In realtà molti di più se si considerano anche i regni dei Comneni come imperatori di Costantinopoli.
- 1427-1428: Ovviamente scattò subito la guerra tra i vari pretendenti al trono, ma non durò molto. I due Comneni rivali, di rami cadetti, non avevano un vero e proprio seguito e, nonostante le larghe promesse demagogiche, Alessio e Andrea (discendenti, rispettivamente da Davide III e da Alessio IV) non riuscirono a mobilitare il forte senso legittimistico del popolo. Per quest'ultimo la vera erede era Teodora Comnena. Angelo Gabras, tuttavia, si mosse con circospezione prima di dare corpo alle proprie pretese dinastiche. Lui si comportò da reggente di Trebisonda ancora per diverso tempo, fingendo interessamento alle proposte di ambedue i contendenti, poi, però, una volta assicuratosi l'appoggio delle banda principali, dei Kastamoniti, e di molte importanti città, decise di muoversi: sconfisse un'incursione turca tra Mersifonte e Neocesarea, guadagnandosi la patente di combattente per l'ortodossia, come tutti i buoni imperatori dovevano dimostrare. In seguito sconfisse Andrea a sud est di Cerasunte. Infine marciò in Paflagonia accompagnato dalla moglie, dirigendosi verso Kastamon. Entrò con la moglie nella grande basilica di santa Irene imperatrice e convinse il patriarca a cedere la corona a sua moglie (non a lui. Con i simboli occorreva andarci cauti). Poi, di ritorno a Trebisonda, il metropolita incoronò Teodora imperatrice e questa concesse, con una studiata cerimonia, il titolo di imperatore al proprio marito Angelo I Gabras. E' l'inizio di una nuova dinastia.
- 1428: Nel frattempo la situazione nei Balcani non migliora: gli Aydinidi, visti i preparativi di Teodoro di Nicea, decidono di giocare d'anticipo. Con una loro squadra sbarcano a Lemno e la conquistano, nonostante l'accanita resistenza. Poi è la volta di Imbro. La flotta nicena non fa una grande figura, ma per terra va meglio, anche perché molti armati turchi sono in Europa. Teodoro scende nella valle dell'Ermo alla testa del suo esercito e sconfigge diverse volte i generali turchi, ma la chiave per il controllo della regione, la città fortificata di Magnesia, gli sfugge. Inoltre Aydin riesce a tirare dalla propria parte anche Karaman, nonostante il suo emiro fosse molto restio: era ancora piuttosto indebolito ed aveva timore che l'allargamento del conflitto avrebbe potuto convincere Trebisonda ad uscire dalla propria neutralità armata, soprattutto ora che era cambiato imperatore.
- 1429: Costantino Paleologo, molto giovane ma già capace, dopo aver levato un esercito di ben 6000 uomini, sventa uno sbarco a Nauplia, poi risale verso il continente, sconfigge un'incursione turca nell'Attica, poi avanza verso Tebe “ripulendo” la Beozia. Infine si dirige a Neopatria, per aiutare il fratello maggiore Teodoro in difficoltà. Gli Aydinidi però a nord sono in vantaggio: dilagano, costringendo Giovanni Paleologo e Stefan Dragas a subire un duro assedio della Calcidica, spesso costretti ad asserragliarsi rispettivamene a Tessalonica a ovest e a Serre a est. Nel frattempo il generale Jangu diventa nuovo capo dei tatari e khan di Costantinopoli. Il nuovo signore della seconda Roma è, però al comando di un popolo che, pur ancora forte, non è più nient'altro che una pedina nel gioco balcanico. Inoltre, come se non bastasse, non è nient'altro che un ottuso sanguinario, che sogna di essere un nuovo conquistatore, ma non ha né gli uomini né il genio militare né la chiara idea politica di Tamerlano, e nemmeno l'intelligenza diplomatica di Abaga. Nel frattempo un monaco bulgaro di nome Zosima aveva deciso, qualche anno prima, partendo da Tarnovo, con un gruppo di seguaci, di seguire le orme di Cirillo e Metodio ed andare a predicare il vangelo ai tatari. Se è vero che questi sono in maggioranza di fede coranica, si può però dire che molti di loro lo sono in modo perlopiù superficiale. Come sempre, la chiave del successo è la traduzione, fatta dallo stesso Zosima, della Bibbia (e non solo). Comincia perciò a formarsi una minoranza tatara convertita al cristianesimo, che rapidamente aumenta di numero sino a diventare percentualmente consistente.
- 1430: Karaman aveva visto giusto: Angelo I decide di tornare ad una politica un po' più aggressiva in occidente e offre il proprio aiuto nella lotta contro Aydin e Karaman. A questo punto è una vera e propria guerra greco turca. Jangu non sa bene da che parte stare, ma propende per Aydin, che gli promette, con abili parole, una spartizione dei domini di Teodoro di Nicea. I convertiti, però non ci stanno: sotto la guida di Uqtash (ribattezzato Ottasio in occidente) si alleano ai regni cristiani, ponendo la propria capitale a Filippopoli. Da una successiva definizione fatta dall'imperatore Angelo di Trebisonda, i tatari cristiani verranno chiamati “traci bianchi”, mentre i musulmani “traci neri”.
- 1430-1435: Con l'aiuto dei Karamanidi e di Jangu, Aydin passa al contrattacco anche in Asia. Il generale Amir devasta l'Alania minore e ottiene dal Khan il possesso di Gallipoli. I Serbi del nord e i bosniaci pensano bene di approfittare del caos. Scendono verso la Macedonia. Commettono tuttavia l'errore di inimicarsi sia il despota di Serre, sia gli invasori, rimediando una grave sconfitta sul Vardar da parte delle armate tatare, con la benevola complicità dei Dragas e dei Paleologi. Quel che è peggio è gli Ungheresi colgono l'occasione per muovere guerra al gran re di Bosnia, scatenando un conflitto con Venezia e con Filippo Maria, suoi interessati difensori. Ancora una volta le rivalità dei sovrani occidentali non fanno altro che indebolire la posizione degli stati impegnati nella difesa contro i turchi. Ma nel 1435, il generale pontico Giorgio Gidon, al comando di 12mila uomini sbarca finalmente a Selimbria, mentre Manuele Kastamonite, con altri 10mila scaccia gli Aydinidi da Lampsaco.
- 1435-1438: Nonostante la morte del fratello Teodoro, Costantino Paleologo libera dall'assedio turco Neopatria, poi riconquista Boudonika. L'anno seguente, Demetrio Paleologo, da Arta, nell'Epiro, attua una diversione a nord per porre sotto il proprio controllo i clan albanesi ed integrarli nelle file del suo esercito. Questi ultimi stanno combattendo una difficile guerra sulle montagne contro un gruppo di traci neri, i tatari di Jangu, che si era spostato autonomamente verso i monti dell'ovest e che, grazie alle azioni imprudenti dei bosniaci, erano riusciti ad espandere notevolmente l'area sotto il proprio controllo. Stefan Dragas e Giovanni continuano a resistere in Calcidica e tenere saldamente Tessalonica e Serre, aiutati da Ottasio che riesce a sorprendere diverse volte i generali turchi. Gli Aydinidi a questo punto si rendono amaramente conto di avere troppi fronti aperti e un'eccessiva dispersione di forze: come fare?
- Aydin Chiede a questo punto aiuto a Venezia ma quest'ultima si guarda bene dall'intervenire. L'invasione si arena: le vie di comunicazione tra le fortezze conquistate sono instabili, i molteplici nemici riescono ormai con facilità a interrompere i rifornimenti, la collaborazione con Jangu è difficile e, cosa ancor più grave, serpeggia nell'esercito malcontento e morale basso. La riscossa greca intorno nell'anno 1438 si fa allora inarrestabile. Battaglia di Stenimakos: Ottasio sconfigge Jangu, che si ritira a nord e a est. Molti tatari decidono di sottomettersi a Uktash e farsi battezzare. Battaglie di Volo e di Larissa: Costantino Paleologo, assieme ai suoi due fratelli minori Tommaso e Demetrio, riconquista la Tessaglia al generale Masud. Battaglia di Trikala: Giovanni sconfigge, coi suoi nuovi rinforzi, un gruppo di tatari che ormai rispondevano solo a loro stessi, riuscendo a ricongiungersi con l'esercito dei suoi fratelli. Battaglia di Prilep: Pesantissima sconfitta del generale Amir contro Giovanni e Costantino Paleologo riunitisi con Stefan Dragas. Questi successi sono stati resi possibili dalle sconfitte ripetute di traci neri e turchi nella valle dell'Ergene contro le armate di Giorgio Gidon, in grado di indebolire considerevolmente la posizione Aydinide in Tracia e Macedonia.
Vessillo dei traci bianchi
- Se per i turchi la guerra sembra finita, Costantinopoli è ancora governata da Jangu, che, fortunatamente, può contare sulla rivalità dell'alleanza cristiana. Angelo, ossequioso al senato pontico, non ne rivendica il possesso, ma propone, per evitare liti inutili che la città, una volta ripresa, venga divisa in tre parti uguali tra Trebisonda, Mistra e Nicea e diventi una sorta di condominio tra le potenze greche. Ottasio viene incoronato despota di Tracia da Giovanni Paleologo, diventando ufficialmente suo vassallo. Il suo dominio ha per capitale Filippopoli ed in pratica si estende nella valle della Mariza e parte dei monti Rodopi. La Tracia inferiore, però, ancora tutta da conquistare con Adrianopoli e Didimoteico è pretesa da Giovanni Paleologo. Ovviamente con compresa Costantinopoli. Teodoro, dal canto suo, è personalmente impegnato in Asia. Con l'aiuto dei trapezuntini di Axuch riesce a scacciare gli invasori, per poi entrare finalmente nella valle dell'Ermo ancora una volta. Una dopo l'altra cadono Sardi, Filadelfia, Ninfeo ed infine la roccaforte di Magnesia e addirittura il porto fortificato di Smirne. In virtù di questi successi, Teodoro è ampiamente convinto di essere lui il sovrano più qualificato per tenere Costantinopoli.
- 1438-1440: Angelo, nuovamente, disperatamente, cerca riunire gli alleati per decidere una strategia. Nel frattempo Aydin viene attaccata anche da Venezia e Genova, che sono ben decise ad approfittare della situazione per spartirsi le isole dell'Egeo il più presto possibile. Karaman, che si era svicolata non appena aveva avuto sentore che la guerra potesse toccarla direttamente decide di agire per “salvare” Aydin, occupando il suo territorio. Attaccato su tutti i fronti, l'emirato dei pirati capitola per sempre, punito per aver osato troppo e troppo presto. L'emiro Ibrahim III di Karaman, giusto per mettere in chiaro le cose, firma un trattato di amicizia e pace sia con Trebisonda sia con Nicea.
- 1439-1440: Concilio di Serre: Teodoro e Giovanni, grazie alla mediazione di Angelo I, riescono finalmente a rappacificarsi. O meglio, il primo si arrende alle minacce trapezuntine: il sovrano pontico non vuole che le due sponde dei Dardanelli siano occupate da uno stesso stato, per cui, se proprio Costantinopoli deve appartenere ad una persona sola, meglio Giovanni VIII. Il concilio di Serre ribadisce inoltre “l'alleanza perpetua” tra Nicea, Mistra, Trebisonda e Panagiopoli (per quanto a quest'ultima ormai possa interessare ben poco, visto che i suoi interessi sono ormai rivolti a nord), allargandolo anche alla Macedonia. , alla Tracia Bianca ed alla Bulgaria (l'astuto principe di Vidin, nel caos generale aveva fatto una breve campagna di conquista. Aveva conquistato Sofia, poi si era diretto verso l'antica capitale di Tarnovo, dove si era fatto incoronare re Ivan Sisman II. Tutta la Bulgaria tra i monti Balcani e il fiume Danubio, l'antica provincia romana della Moesia Inferior, era riunita sotto il suo controllo. Subito aveva cercato il riconoscimento e l'amicizia di tutti gli stati confinanti, che dal canto loro erano troppo impegnati in altre cose per negarglielo). A questo punto si può seriamente pensare di liquidare il dominio di Jangu su Costantinopoli.
- 1440-1444: campagna della lega di Serre contro i tatari (in realtà Nicea non manda nessun uomo, solo 5 galee che si uniscono alle 25 dei pontici ed alle 3 di Panagiopoli). 1441: presa di Didimoteico ed Adrianopoli. 1442, marzo: conquista di Selimbria. In maggio inizia l'assedio di Costantinopoli per terra e per mare. L'assedio dura ben tre mesi ed è durissimo. Dopo pochi giorni, infatti, i 30mila abitanti scarsi della città (la china demografica è scesa molto in basso), cercano disperatamente di scrollarsi di dosso il proprio padrone, ma falliscono miseramente. Jangu comincia a far massacrare la popolazione, ma, improvvisamente, ha il colpo di genio. Approfittando delle tenebre, espelle dalle mura tutti gli abitanti. I greci non sarebbero stati in grado di sfamare tutta quella gente, ponendo un preciso limite di tempo al loro assedio. Inoltre all'interno delle mura ci sarebbero stati solo tatari, decisi e pronti a battersi. Così è. A pesare sui difensori, tuttavia, gioca il fatto che sono un popolo delle steppe, abituato a combattere a cavallo e non dietro a delle mura. Con Tamerlano hanno presto imparato a conquistare città fortificate, ma molto meno a difendersi all'interno di esse. Gli assedianti conquistano la città dopo essere riusciti a scavare delle gallerie sotto le mura. Al mattino del 17 luglio 1442 la città è riconquistata. Nello scontro muoiono molti signori dell'alleanza, tra cui occorre ricordare Demetrio Paleologo, che diventerà, con la nascita dell'agiografia sulla riconquista della città, uno dei principali eroi e Stefan Dragas, che non lascia eredi. Dopo le grandi feste d'obbligo, nel palazzo delle Blacherne viene rinsaldata ancora una volta la lega. Teodoro di Nicea decide di non mandare nessun messaggio di congratulazioni né di rispondere all'invito di Giovanni di entrare in città (se non lui, almeno un suo messo). Ma, invecchiato sui sogni di gloria infranti, Teodoro muore qualche mese dopo, lasciando il trono al figlio, Giorgio, piuttosto contrario alla politica di grandezza paterna, e che perciò si affretta a mandare Michele Asideno come inviato a Costantinopoli per riconoscere Giovanni come imperatore di Costantinopoli e per far entrare Nicea nella lega.
- 1444-1445: Guerra serbo-bizantina. Non passa molto tempo dalla fine di una guerra che subito ne inizia un'altra. In quanto morto senza eredi Stefan Dragas, i nobili macedoni si riuniscono in dieta a Serre per decidere a chi dare il trono di Macedonia. Subito si palesano due correnti. La prima è quella dei signori del sud-est, filo bizantini, ormai molto grecizzati e abituati a combattere al fianco dei Paleologi da lungo tempo. Questi optano per Giovanni, anche perché è cugino del defunto. Ma non tutti sono concordi. Una parte preferirebbe cedere ai cugini del nord, del regno Serbo di Giorgio Brankovic, a sua volta vicino agli ungheresi, che, però, sono impegnati anche loro in un conflitto per il trono tra la dinastia sassone e quella transilvana dei Corvino, per cui non possono impegnarsi troppo nelle vicende balcaniche. Giovanni Paleologo, non troppo entusiasta all'idea intervenire con la forza in Macedonia, propone al sovrano di Nis (la nuova capitale serba) una spartizione: la parte nord-occidentale (che corrisponde più o meno alla “nostra” FYROM) a Giorgio, mentre a Giovanni la parte sud-orientale, tra i Rodopi, la Struma ed il mare, comprendente Serre. Per Giorgio non sembra un accordo molto vantaggioso, tuttavia sarebbe tentato comunque a dare il proprio assenso; ma i nobili serbi lo spingono, facendogli paventare la possibilità di diventare un novello Stefano Dusan. Per cui, organizza subito un'armata per prendere il possesso del regno. Giovanni non è molto convinto che Giorgio faccia sul serio, ma una volta che il re fa occupare prima Skoplje, poi Stip, con l'intenzione di marciare verso Strumica, si arrende all'idea e ordina al fratello Costantino di marciare su Serre da Tessalonica per prendere lui il titolo di despota di Macedonia e fermare Giorgio. Costantino, però, fa, come al solito di testa sua, e, invece, partendo dalla fortezza di Florina marcia verso est, occupando Monastir (Bitola), Ocrida, Strougon (Struga) e Debar. Da queste città, alle pendici dei mondi, scende verso Skoplje, distruggendo la guarnigione Serba. Subito dopo sconfigge presso Veles i signori macedoni della zona, che erano i più favorevoli al Brankovic. Mantenendo il proprio caposaldo nella città, fa occupare tutta la valle del Vardar, facendosi arrivare rinforzi e vettovaglie direttamente da Tessalonica. Giorgio è sì arrivato nel frattempo a Serre, ma è isolato in un territorio che essenzialmente gli è ostile. Costantino manda messi verso sud per preparare il suo arrivo. Appena giunto a Petrika (HL: Petric), i signori della zona si uniscono al suo esercito, mentre Giorgio gli viene incontro. Lo scontro decisivo è alle pendici del monte Orvilos. Giorgio viene sconfitto e catturato, ma Costantino, con cavalleresca clemenza, lo trattiene come ostaggio di rango. Al suo arrivo a Serre gli viene un'idea e si propone lui come despota di Macedonia: è sempre cugino di Stefan Dragas, ed in più così, Serre e Costantinopoli non si trovano sotto lo stesso signore, almeno per un po', salvando perlomeno le apparenze. Nella notte di Natale del 1445 Costantino II Paleologo, detto Dragazes, viene incoronato a Serre come despota di Macedonia, con gli omaggi dell'imperatore suo fratello, del re Bulgaro, di Giorgio Brankovic (non ancora liberato), con cui vengono fissati con precisione i rispettivi confini, e di Ottasio di Filippopoli. In realtà l'illusione delle corone divise non dura molto, poiché Costantino 3 anni dopo, nel 1448, succederà al fratello come imperatore. A partire dal suo regno diventerà prassi che l'erede al trono imperiale sia nominato re di Macedonia.
- Finalmente giunge la tanto agognata pace. I Balcani meridionali sono devastati dalla lunga guerra, in particolare la Tracia. I due fratelli Paleologi fanno del loro meglio per dare mano all'opera di ricostruzione. In questo periodo il peso relativo della Morea nel contesto dell'impero bizantino aumenta ancor di più. Mistra era già rapidamente divenuta la terza città per popolazione, ma dopo la guerra raggiunge persino la ragguardevole cifra di 30mila abitanti, rischiando di sopravanzare persino le spopolate Tessalonica e Costantinopoli. Inoltre anche Monemvassia, in pratica “il porto” di Mistra, gode di uno sviluppo enorme, così come Neopatria, nella Tessaglia meridionale, che si riprende in modo sorprendentemente rapido dalle ferite del lungo conflitto, e Tebe, nella Beozia.
Nemmeno il resto del mondo era però, nel frattempo, rimasto fermo.
L'Italia e l'Impero
- L'astuta volpe di Filippo Maria aveva faticato non poco a rendere stabile il proprio dominio e garantire al figlio la successione all'eredità materna. Senza una figura forte a Napoli, però, qualsiasi tentativo di sbalzarlo da sella era destinato a cadere nel vuoto. Firenze tra il 1425 ed il 1430 aveva tentato, accogliendo gli esiliati membri cadetti degli Scaligeri che volevano eliminare Filippo Maria, alleandosi con i signori romagnoli reinsediati da Ladislao e persino tentando un approccio con il pontefice e con Venezia. Ma la fortuna non gli aveva arriso: per dissuadere la Serenissma e riportarla nell'alveo dell'alleanza al Visconti era bastato imporre un blocco delle merci e del transito dei suoi mercanti sul suolo del suo dominio e comprare la ribellione di Ancona, cui avrebbe donato anche tutto il litorale marchigiano dal Cesano al Tronto e il feudo dei Varano di Camerino, che però si salvò dalla grande purga cambiando schieramento nell'ultimo momento utile. I Montefeltro, per poter guadagnare qualcosa contro i tradizionali rivali Malatesta, si allearono anch'essi a Filippo. Ne' Francia ne' imperiali erano in quel momento in grado di intervenire; quando il Carmagnola prese Ferrara agli alleati, mentre Braccio di Montone assediava Pistoia, allora Filippo fece scattare la sua trappola: Firenze era colma di spie lombarde, e il partito “lombardo” stava guadagnando consensi per la stessa ragione per cui anche Venezia aveva rinunciato a schierarsi con l'alleanza: i fiorini. Impossibilitata a commerciare nelle Fiandre e in Inghilterra via terra, con la pirateria pisana che bloccava ogni comunicazione marittima, e i banchi che spremuti dallo stato cominciavano a saltare uno dopo l'altro, era solo una questione di tempo, forse. In più, il Visconti, ci mise del suo, visto che puntò su un banco molto attivo in Lombardia e decise di lasciare aperti crediti e valichi (ovviamente sottobanco), solo ad esso. Erano i Medici. Cosimo, con i soldi intascati praticamente senza concorrenti, poté comprare ascendente politico e corrompere i massimi organismi del comune. Il 12 novembre del 1429, al grido di “pane e pace!” da parte della folla, opportunamente indottrinata nel mese precedente, Cosimo divenne gonfaloniere della repubblica fiorentina, la massima carica, con l'incarico di trattare la pace, o, perlomeno, una tregua a lungo termine con Milano. Pochi mesi dopo, Firenze si arrendeva a divenire repubblica “collegata” dei duchi di Verona e Milano, obbligata ad ospitare una guarnigione Viscontea; non venne però amputata territorialmente e godette, come Lucca, di ampi privilegi bancari. L'età d'oro dell'indipendenza era di fatto finita, ma i Medici le garantiranno per secoli il ruolo di “banchiera” di Lombardia. (Tra l'altro Cleofa la bella, secondogenita di Filippo Maria, verrà data in sposa al figlio di Cosimo, Giovanni, che sarà uno dei più grandi mecenati della prima metà del '400). Dopo un nuovo periodo di consolidamento interno, “la volpe” (o “il duplice”, come era denominato Filippo Maria, sia per la sua doppiezza, sia perché per tutti era due volte duca, di Verona e di Milano, anche se non aveva mai preteso per sé la berretta scaligera, ma solo per il figlio. A lui stesso non dispiaceva, tanto da aver preso come suo simbolo personale un giano bifronte) aveva segnato un altro colpo facendo sposare nel 1434 la figlia del re di Sicilia, Eleonora, a Can Galeazzo, dopo che Giovanna II aveva rifiutato di cedere la mano a quest'ultimo, molto più giovane di lei, molti anni prima. Del resto, la Sicilia era già da mezzo secolo integrata nel circuito politico-economico lombardo e questo matrimonio non faceva altro che sancire ufficialmente la sottomissione dell'isola all'Italia centro-settentrionale Da questo momento uno dei motti della casa Visconteo-Scaligera sarà: “Non con Marte, ma con Venere”, ad indicare la fortunata politica matrimoniale. Nel frattempo, la longa manus lombarda si era estesa molto lontano. A Roma, per esempio, dove le incessanti lotte tra le famiglie magnatizie e la crisi conciliare concedevano terreno politicamente fertile per poter giocare il pericolo gioco di interessato arbitro delle liti. Martino V, nonostante in qualche occasione fosse stato costretto a chiedere aiuto alla potenza lombarda per ribadire l'autorità papale a dispetto dei cardinali conciliari riuniti a Basilea, odiando cordialmente Filippo Maria, aveva fatto di tutto per sollevare di nuovo le sorti di una lega anti-viscontea, anche dopo la resa di Firenze, ma si era dovuto rassegnare. L'unico possibile alleato, la regina Giovanna ed il principe consorte, assieme, per forza di conseguenza, all'erede adottivo Luigi (con l'Aragona molto più debole rispetto alla nostra timeline, Giovanna opta subito per gli Angiò, risparmiandosi una buona dose di difficoltà) se li giocò denunciando la riprovevole condotta morale dell'angioina. Essa decise di usare questa scusa per rendere manifesta la sua politica di riavvicinamento alla Lombardia: scelta quasi obbligata, ormai, perché con i fiorentini passati dalla parte di Milano e Verona, era economicamente alla mercé di una potenza ostile, dato che i toscani praticamente controllavano l'economia del regno. Una pericolosa crisi si apre nel 1435, quando in rapida successione muoiono sia Luigi, sia Giovanna. Il trono è rivendicato dal fratello di Luigi, Renato di Provenza, ma i baroni del regno si ribellano, chiedendo il sostegno nientemeno del papa, dal 1430 Eugenio IV, di origine veneziana, che ama ricordare che quello di Napoli è un feudo devoluto della Santa Chiesa. Filippo Maria ed il giovane Can Galeazzo sostengono l'Angiò, ovviamente per avere, come ritorno, amicizia e alleanza. La svolta avviene quando Renato viene catturato, nel 1437 con una congiura. Niccolò Piccinino, condottiero al servizio lombardo, riesce a liberarlo, facendo una strage. Nell'anno seguente Renato entra trionfalmente a Napoli e promette la figlia Yolanda di Bar, una bimba di dieci anni, a Francesco, fratello minore di Can Galeazzo e insignito per l'occasione del titolo di “principe di Perugia”. Ma l'espansione dell'area di influenza del Visconti-Della Scala non si esaurisce qui. Ottiene l'informale sottomissione dei duchi di Savoia e la suffraganeità dei vescovati di Siòn e Coira all'arcivescovato milanese, frustrando le mire dei confederati svizzeri, che sconfigge, in alleanza con le tre leghe e gli austriaci una prima volta presso il passo del Lucomagno (1432). Anche gli Asburgo d'Austria, lentamente, entrano nella sfera di influenza lombarda. A partire dalla morte prematura di Alberto V d'Asburgo, della linea albertina, avvenuta nel 1420 . In quel frangente Ernesto d'Asburgo, della linea leopoldina (ossia i reggitori di Carinzia, Stiria e Carniola), peraltro già imparentato con i Visconti in quanto figlio del duca Leopoldo e di Verde Visconti, una figlia di Bernabò, si era trovato impelagato nel conflitto per raccogliere sotto il suo dominio l'eredità del parente defunto, fedele alleato dell'imperatore Sigismondo. Quest'ultimo era più propenso a dare ad altri il territorio vacante. A questo punto Ernesto, vistosi in difficoltà, aveva chiesto aiuto al ramo tirolese della propria famiglia (il fratello Federico Tascavuota. Quello era il momento in cui si stava veramente meritando quel soprannome) che però in quel momento era in difficoltà per diatribe con il vescovo di Trento. Si era infine rivolto oltralpe. Filippo Maria, di fronte all'opportunità di guadagnarsi un alleato stabile a controllo dei valichi alpini orientali, colse al volo l'occasione, concedendogli un prestito di svariate migliaia di ducati. Grazie ad essi Ernesto poté vincere le resistenze dei bavaresi. Doveva però ancora vincere le resistenze dell'imperatore Sigismondo. Questi infatti gli oppose un altro candidato, a lui più gradito, per prendere il controllo di Linz e Vienna. Dopo diversi scontri dall'esito alterno, Ernesto chiese nuovamente aiuto a Filippo Maria. Questi gli concesse altri soldi, ma, in cambio, richiese una percentuale sui proventi delle miniere d'argento e la metà dei suoi profitti dai dazi sul transito dei passi dal Veneto e dal Friuli verso la Carinzia. Alla fine, Sigismondo si pronunciò definitivamente a favore di Ernesto (probabilmente grazie ad un terzo prestito di Filippo Maria, ma su questo non si hanno stavolta dati incontrovertibili) ; in cambio, l'imperatore scorporava dall'Austria tutti i territori a nord della valle del Danubio, per incorporarli alla Moravia, che aveva intenzione di affidare a Federico Wettin il bellicoso, langravio di Meissen, il suo favorito, che già aveva innalzato all'elettorato di Sassonia dopo che la dinastia Ascanide di Dresda si era estinta senza lasciare eredi. Su di lui aveva grandi progetti. Questo per rendere la regione a est della Boemia un solido baluardo contro il dilagare dell'hussitismo. Dal canto proprio Ernesto poteva ritenersi più che soddisfatto. Decise di legare la propria dinastia a quella visconteo-scaligera, per assicurarsi un forte alleato meridionale; pertanto progettò il futuro matrimonio tra Bianca Maria, terzogenita di Filippo Maria e Taddea, con Federico V d'Asburgo, suo figlio ed erede presuntivo che avvenne nel 1432, a seguito della già citata campagna fortunata contro gli svizzeri. Nel 1438 si apre una nuova crisi ai confini lombardi. Muore infatti senza eredi maschi Sigismondo. Il trono Ungherese e Boemo passa quindi a Federico II Wettin il grande (nella nostra timeline è “il mansueto”), langravio di Meissen ed elettore di Sassonia, che aveva sposato nel 1431 Elisabetta di Lussemburgo, figlia unica di Sigismondo. Dal 1422 suo padre, Federico il bellicoso, dopo aver acquistato i favori dell'imperatore, l'elettorato sassone e la Moravia, si era prodigato incessantemente e con un certo successo a compattare i propri domini ereditari, secondo due direzioni fondamentali: riunire sotto di sé tutti i territori del casato Wettin, al fine di creare un vasto nucleo di potere nella Turingia; recuperare l'integrità dell'elettorato di Sassonia che sotto gli Ascanidi aveva perso, per le divisioni ereditarie, molti territori, scissi in piccole signorie indipendenti. Alla sua morte, nel 1428, il giovane figlio aveva continuato la sua opera, contando anche sulla decisa solidarietà del suocero. Sì perché l'imperatore aveva deciso di donare la propria eredità ai Wettin, diffidando della politica filo-italica degli Asburgo (che in realtà non si comportavano molto diversamente dagli elettori sassoni: cercare di compattare i propri domini ereditari e, nel caso espanderli, cercando nel processo di appoggiarsi ad amici potenti). Ma, alla morte di Sigismondo, l'ambizioso Federico d'Asburgo tenta comunque la sorte e propone la sua candidatura. I due contendenti al titolo imperiale tedesco sono il giovane Federico d'Asburgo e, ovviamente, Federico Wettin. Si trasforma ben presto in una disfida economica tra le banche italiane che sostengono il primo (che fa anche balenare la proposta di concedere al ducato di Milano e a quello Veronese (separati, per mantenere il numero di elettori dispari), la dignità di principi elettori) e quelle anseatiche, che favoriscono il secondo. L'ago della bilancia sarà però Filippo il buono di Borgogna, che, alla fine, farà vincere, con i suoi mercanti fiamminghi, il sassone, in spregio agli Asburgo, sulle cui terre occidentali vantava delle rivendicazioni (il Sundgau, il Brisgau e la contea di Ferrette). Questo fatto mise in agitazione Filippo Maria e Can Galeazzo (ormai da citare entrambi perché a partire dal 1434, Filippo aveva praticamente lasciato quasi completamente la gestione del ducato Veronese al figlio, che teneva corte a Verona, appunto), sicuri che alla fine avrebbe vinto il loro “protetto”: si erano curati troppo poco di quanto stava accadendo in Francia, per lasciarsi immischiare nelle beghe imperiali e a ciò occorreva porre rimedio. La pace tra il Borgognone ed Carlo VII di Francia risaliva al 1435, ed era stata un capolavoro diplomatico del secondo: la Borgogna si era staccata dall'alleanza con l'Inghilterra e, in pratica, era sola dinnanzi alle ambizioni del re di Francia, che tutto aveva in mente, meno che rispettare la lettera del trattato e fermare le incursioni dei suoi routiers nel territorio del duca. Forte ma isolata, la Borgogna necessitava di un alleato in grado di mettere un freno alle mire francesi. Mentre si prodigava ad espandere il suo dominio fiammingo, annettendo Brabante, Zelanda e Olanda e tentando di porre il proprio controllo sul vescovo di Liegi, il pensiero di Filippo il Buono fu rivolto al suo omonimo lombardo, come attestano diversi scambi di missive, ma vi erano non pochi ostacoli ad un'alleanza tra i due: gli Angiò e gli Asburgo, ormai fedeli soci dei lombardi, erano decisamente ostili ai signori di Digione. I primi per ragioni prevalentemente personali (Renato era stato a lungo prigioniero in Borgogna, trattato molto male) nell'ambito del conflitto anglo-francese (gli Angioini erano ferventi sostenitori della monarchia) i secondi per le già citate mire borgognoni su possedimenti asburgici. Viceversa i Savoia e il vescovo di Siòn, ultimamente cercavano proprio il sostegno Borgognone per scrollarsi di dosso la pesante tutela milanese. Gli unici nemici in comune tra i due sembravano i confederati svizzeri e la sempre più forte Francia. A rompere gli indugi e favorire un accordo, ci pensò però nel 1442 Ginevra, importante città crocevia di traffici e formalmente sotto il controllo dei Savoia. Di fronte alla ribellione contro i duchi dei ginevrini, ansiosi di entrare nella confederazione elvetica, anche il Vallese decise di ribellarsi alla tutela viscontea, che li obbligava alla ripartizione dei dazi doganali e l'obbligo di fornire compagnie di mercenari. I sabaudi a questo punto, pensarono di avere tra le mani una buona carta per allentare la presa milanese sulle Alpi. Con la scusa di un intervento volto al recupero di Ginevra, chiesero l'aiuto borgognone, facendo balenare al duca di Digione la prospettiva di una possibile spartizione di Vallese, Ossola e Verbano. Ma la reazione di Filippo Maria fu a dir poco energica: furente, sentendosi tradito dai signori di Chambery, inviò tempestivamente Braccio di Montone contro i Sabaudi e Muzio Attendolo contro i Vallesi, per una rapida e esemplare risposta. I Savoia Acaia, per una volta insieme al ramo principale della famiglia, cercarono di occupare il territorio meridionale del Monferrato e da lì prendere di sorpresa Alessandria. I monferrini ovviamente chiesero l'aiuto di Milano, ma non abbastanza rapidamente. Chivasso e Alba furono prese e già i Savoia marciavano su Asti. Ma questa azione diversiva non diede i risultati sperati. Filippo Maria non richiamò i suoi dalla conquista di Ivrea, confidando nella bontà della recente opera di fortificazioni nell'astigiano. Nel frattempo concedeva una condotta al marchese di Monferrato allo scopo di riprendersi i suoi domini, ma, questa volta, come feudo del ducato di Milano (c'è chi pensò che Filippo Maria, da vero “duplice” abbia indugiato proprio per arrivare a questo). Muzio Attendolo nel frattempo si copriva di gloria sconfiggendo i picchieri svizzeri nella celebre, sanguinosa battaglia del passo del Sempione. Dopo la sconfitta gli elvetici pensarono bene di abbandonare a sé stesso il Vallese e firmare una pace separata con Milano e le tre leghe, che in questa occasione si erano dimostrate fedeli alleate. Anzi, gli svizzeri si proponevano di cambiare schieramento e minacciare l'esercito borgognone, in cambio, naturalmente, di una cospicua somma di denaro. Filippo Maria era propenso ad un rifiuto, visto che aveva, come scopo, quello di avvicinare a sé il borgognone. Can Galeazzo, però spinse il padre ad accettare, presentendo che, vista l'indole di Filippo il buono, avrebbe ceduto più facilmente con la spada di Damocle degli svizzeri sulla testa. Incontrando ormai una resistenza scarsa, Muzio Attendolo attraversava tutta l'alta valle del Rodano per giungere a Villanova sul Lemano (Villeneuve). Filippo di Borgogna non sapeva cosa fare. Le sue truppe avevano conquistato Ginevra, ma era preso dal dilemma se correre incontro al condottiero italiano o approfittare della sconfitta dei confederati per prenderli alle spalle. Filippo Maria inviò al suo ambasciatore una lettera per il duca: gli proponeva una pacifica spartizione del dominio sabaudo: Chablais ai Borgognoni, con il ginevrino; il Vaud sotto controllo sabaudo agli svizzeri; contea di Savoia, valle d'Aosta, val di Susa e le valli valdesi sarebbero rimaste al duca (ma con la spartizione a metà con i lombardi dei proventi dell'attraversamento del Sestrière) ; il principato di Piemonte con Torino e l'antica marca arduinica di Ivrea, con Biella, ai Visconti e la contea di Nizza agli Angiò. Filippo il buono, pur di guadagnarsi un alleato ed essere tolto da un conflitto su un fronte inaspettato non ci pensa due volte ad accettare. I Savoia diventano così una sorta di protettorato congiunto, un prezioso stato cuscinetto che torna alla sua vocazione originaria: il controllo dei passi montani (contro le eventuali mire Francesi). Finalmente, dopo un paio d'anni di calma generale su tutti i fronti, nel 1444, Can Galeazzo, una volta compiuti i trent'anni, ed essere stato benedetto dalla nascita, 4 anni prima, di un erede maschio, il piccolo Gian Mastino, orchestra il colpo a lungo preparato: dopo aver ottenuto l'assenso dell'imperatore (la richiesta era stata condita con l'astronomica cifra di 400mila fiorini d'oro. Si sa, gli imperatori fanno sempre una politica costosa e i soldi non si buttano mai via. Però si ostinò a non concedere il titolo elettorale al neo-costituito regno: non aveva ancora dimenticato l'appoggio dato al candidato avversario) scende a Roma per farsi incoronare dal papa “Rex Lombardiae”, decretando Pavia capitale del regno. Molto furbescamente, organizza una sorta di commedia pubblica per rifiutare il titolo di “rex Italiae”, proclamando che il titolo è indissolubilmente legato a quello di “rex Romanorum”, che spetta solo all'imperatore. In questo modo ostenta una professata fedeltà al sovrano germanico, non volendo rompere con lui. Can Galeazzo e Filippo Maria inoltre hanno il tempo per regolare definitivamente gli ambigui rapporti con i “collegati”: Venezia, Genova, Ancona, Firenze, Siena, Montefeltro, Mantova e Camerino. Per quanto riguarda, invece, Pisa e Lucca la situazione è presto sistemata: dopo aver vissuto un trentennio di relativa prosperità dopo più di un secolo di decadenza, la condizione di definitiva sottomissione delle repubbliche al governo di un podestà del regno che deve governare in accordo con un consiglio di dieci membri rappresentanti della città non desta particolari problemi. Più complesso è l'accordo con le altre. A Pavia viene firmato nel 1446 il “patto di obbedienza”, come verrà poi chiamato, tra Can Galeazzo e i delegati delle repubbliche Veneta, Genovese, Fiorentina e Anconetana, poi sottoscritto anche dagli altri quattro. Il trattato di Pavia sanciva che: i dogi, appena eletti dovevano fare giuramento di eterna alleanza al “rex Lombardiae”; i nemici del sovrano erano anche i nemici delle due repubbliche, così come gli amici; era loro vietato dare asilo o sussidi a qualsivoglia nemico del regno; i mercanti lombardi che avevano attività nelle repubbliche dovevano essere considerati a tutti gli effetti come membri della repubblica stessa, con tutti i diritti e privilegi conseguenti e viceversa. I profitti di ogni accordo economico o politico di pace o di guerra, erano equamente suddivisi in base al contributo militare ed economico versato dalle repubbliche per il raggiungimento dei suddetti accordi. Infine, il capitolo più dibattuto, la ripartizione delle sfere di influenza: i mercanti del regno e delle repubbliche collegate, pur tenendo salda la fedeltà alla propria patria, secondo i termini che questo comportava, potevano commerciare solo ed esclusivamente sotto le bandiere: lombarda, genovese, veneziana, pisana (che comprendeva su piano paritario Lucca, Firenze, Siena e Pisa) ed anconetana. Infine, veneziani e anconetani non potevano annettere e conquistare territori a ovest di Malta, i genovesi e i toscani a est di essa. Il Mediterraneo era, di fatto, spartito in due sfere di influenza (di fatto l'est a Venezia e l'ovest a Genova), con, come cerniera e collegamento tra le due e l'Europa centrale, il dominio del Biscione e della Scala. Le repubbliche marinare di un tempo si apprestavano a diventare vere e proprie compagnie d'affari al servizio del regno, pur largamente autonome. La conseguenza primaria fu che i dinasti veneziani delle isole egee dovettero giurare fedeltà al sovrano di Pavia, così come i baili di Candia, Negroponte e tutti gli altri avamposti veneziani. Stessa cosa dovettero fare le maone genovesi dei Giustiniani e dei Gattilusio, attive a Chio, Focea, Samo e Cipro. Che peraltro mal digerivano l'idea di dover rispondere a Venezia invece che alla madrepatria Genova. Ma la stessa cosa si poteva al fondo dire dei Ca' da Mosto, o i Foscari, Veneziani che si erano concentrati nel commercio con la Barberia, che si trovarono a dover giurare insieme ai rappresentanti genovesi della Corsica, della Sardegna, e di tutte le altre colonie di San Giorgio. Toscani ed anconetani, al contrario, non vedevano alcun problema: non avendo vere e proprie colonie, non avevano nulla da perdere e tutto da guadagnare dai favori concessi dal re.
L'Aragona
“La gabbia”, un poema romantico cavalleresco catalano del primo quattrocento, descrive bene la situazione Aragonese del periodo. Vogliosa di espandersi, era però circondata da forze ostili che soffocavano la sua vocazione mercantile e marittima. La grande nemica era la repubblica di Genova, che aveva ributtato a mare i catalani in Sicilia e Sardegna. Con la prima non provarono neanche più ad osare, pur mantenendo, i sovrani di Barcellona, il titolo di re dell'isola. Per quanto riguarda la seconda, vi furono due attacchi, uno nel 1416 ed uno nel 1427, in alleanza con Firenze, che sperava di ottenere dagli aragonesi un cospicuo aiuto contro i lombardi. In ambedue le occasioni fu un sonoro fiasco. In più va ricordato che dal 1412, sull'Aragona non regnava più dinastia di Barcellona, ma i Trastamara, la stirpe regnante castigliana, per via del famoso compromesso di Caspe. In quella occasione Filippo Maria aveva sudato freddo, poiché uno dei cinque pretendenti dopo la morte senza eredi del re Martino il vecchio era Luigi d'Angiò. E se quest'ultimo fosse stato incoronato re a Barcellona, dinasti angioini avrebbero governato su buona parte del Mediterraneo occidentale. E forse il giovane Luigi si sarebbe alleato con Ladislao per spartirsi il suo dominio. Così fortunatamente non fu, dato che le cortes riunite di Valencia, Aragona e Catalogna elessero Ferdinando di Trastamara, della famiglia regnante catalana, come proprio sovrano. Il suo regno durò solo fino al 1416. Poi fu la volta del suo figlio primogenito. E fu proprio con il secondo dei castigliani sul trono aragonese, Alfonso il magnanimo, che i catalani cercarono una degna alternativa alle tradizionali direttrici di espansione, ormai diventate le sbarre della “gabbia”. Dopo il fallimento della spedizione su Cagliari del 1427, il re si rese perfettamente conto che ormai era del tutto inutile proseguire una politica di ostilità contro angioini e lombardi. Firmò un trattato commerciale ed uno di pace e tregua sia con Filippo Maria ed il doge di Genova, sia con Renato e Luigi d'Angiò. Ma Alfonso aveva la guerra nel sangue, per cui preparò una campagna verso una direttrice di espansione che nessuno si sarebbe aspettato e che, in caso fortunato, avrebbe potuto anche infliggere un bel colpo a Genova, anche se indiretto. I suoi piani vennero tuttavia rimandati dalle beghe castigliane. Nel regno di Toledo, infatti, l'instabilità era di casa. All'epoca della sua incoronazione re Giovanni era solo un bambino. La reggenza venne attribuita inizialmente alla madre ed allo zio, il futuro re Ferdinando. Quando quest'ultimo diventò il re d'Aragona lasciò il compito di gestire la situazione e i patrimoni di famiglia ai figli, Alfonso, Giovanni ed Enrico. Ma poi anche Alfonso era andato a Barcellona per succedere al padre ed erano rimasti gli altri due, gli “infantes de Aragona”. Che, com'era prevedibile, dopo la morte della madre del re, avevano preso informalmente il controllo della Castiglia. Ma il piccolo Giovanni nel frattempo era cresciuto e sopportava malamente le ingerenze dei cugini più grandi. Si servì così della fazione nobiliare per toglierli di mezzo. Enrico venne imprigionato nel 1430. Alfonso allora, per difendere la famiglia dovette minacciare di marciare contro i Castigliani. Si giunse così facilmente al compromesso: Enrico venne liberato. In cambio i due fratelli non dovevano più rimettere piede in Castiglia. Ma per i sovrani di Toledo i problemi erano appena cominciati. Nel frattempo, il sovrano aragonese poté riprendere il suo progetto. Nel 1431 venne costruita nel porto di Perpignano una enorme flotta di galee. Filippo Maria temeva fossero rivolte contro Genova, proprio nel momento culminante per consolidare il suo potere su Firenze, ancora no consolidato. Pertanto fece di tutto per far costruire nuove navi da aggregare alle flotte di Genova e Pisa. Non era necessario, anche se ciò ebbe il non trascurabile risultato di affrettare la resa del partito anti-mediceo. La flotta aragonese era infatti diretta a sud, contro gli impotenti Nasridi di Granada. Il sultanato non era cosi fragile dal punto di vista militare, come si è portati a pensare, dato che aveva resistito a diversi tentativi castigliani di invasione fino a poco prima. Ma i castigliani venivano dal nord, dove erano state costruite numerose fortezze facilmente difendibili. Non ci si aspettava certo un attacco dal mare. Colto di sorpresa, l'ultimo lembo di terra in mano musulmana della penisola iberica viene conquistato in una breve campagna terminata nel 1433, con la resa della capitale. Gli aragonesi non l'avevano però fatto per spirito crociato, anzi, non avevano come primario interesse che i mori si convertissero al cristianesimo. L'avevano fatto per spirito imprenditoriale: il sultanato era la porta dell'Atlantico: chi teneva lo stretto di Gibilterra teneva anche la chiave per giungere via mare all'Inghilterra e nelle Fiandre. Per questo Granada era divenuta una succursale ligure, e i quartieri genovesi con diritto di extraterritorialità erano sparsi in ogni città. Alfonso non era però stupido a tal punto da voler cacciare i suoi rivali economici. Senza di loro i traffici si sarebbero dimezzati o peggio, rendendo vano l'acquisto. Voleva però che pagassero per i loro privilegi, in modo da riempire d'oro le sue casse. Non era però ancora finita. Alfonso ci aveva preso gusto a fare il finto crociato (ma vero pirata). Per assicurarsi il totale controllo economico sullo stretto di Gibilterra occorreva che conquistasse dei territori sulla sponda africana. Attaccò dunque il sultano di Fez strappandogli Tangeri, prima che potessero farlo i portoghesi. Questi ultimi possedevano già Ceuta dal 1415, grande porto verso cui si dirigevano le carovane provenienti dal Marocco. Ma una volta che gli Aviz avevano conquistato la città, i carovanieri si spostarono nell'ancora musulmana Tangeri. I portoghesi avevano compreso troppo tardi che per assicurarsi il transito delle ricchezze del Maghreb dovevano conquistare ambedue le città, ma fallirono. Ovviamente gli Aviz fecero fuoco e fiamme. Enrico il navigatore giunse con una flotta per tentare di prendere la città. Sconfisse la flotta di Alfonso e entrò in Tangeri. Però i catalani, spinti da loro re, non volevano cedere così facilmente. Gli unici a possedere una flotta di dimensioni tali da poter sfidare i grandi navigatori del Portogallo erano però i nemici di sempre, i Genovesi. Era il 1436. Ambasciatori aragonesi giunsero in Italia per chiedere aiuto navale. L'occasione era ghiottissima, soprattutto per i genovesi, che speravano così di riguadagnarsi in fretta la loro precedente posizione in Granada. Ma Filippo Maria aveva bisogno di loro per sostenere Renato contro i baroni napoletani e non se ne fece nulla. L'anno seguente la situazione, per Barcellona, era peggiorata. La flotta portoghese aveva di nuovo sconfitto quella catalana nelle acque antistanti Gibilterra e da quell'avamposto aveva cercato di sollevare i mori contro Alfonso, anche se con poco successo. Enrico d'Aragona fece del suo meglio per domare le ribellioni, ma la situazione era comunque molto precaria. Nel 1438 però, Renato aveva fatto il suo ingresso a Napoli e le potenti flotte degli italiani furono libere da impegni. Filippo Maria mandò delle squadre in aiuto di Alfonso, ma in cambio quest'ultimo dovette accettare condizioni di favore per i mercanti genovesi e toscani che commerciavano nei suoi regni e la rinuncia ai titoli di re di Sardegna, Corsica e Sicilia. Più la garanzia di tutele giuridiche per le colonie genovesi nei suoi domini. Una flotta congiunta Catalano-genovese-pisana vinse presso Tarifa contro i portoghesi, ma nel complesso la determinante per la pace fu il sanguinoso conflitto in Portogallo per la reggenza a nome del re bambino tra il duca di Coimbra e i Braganza. Inoltre il sultano del Marocco, approfittando delle liti tra gli europei riconquistò Tangeri. Nessuno dei contendenti riuscì a riconquistarla nell'immediato, e, in breve, si giunse ad un accordo di pace. Alfonso però non era tipo da lasciarsi scoraggiare. Voleva ancora costruire il suo impero marittimo. Attaccò di sorpresa Orano, riuscendo a conquistarla, poi fu la volta di Tenes, Melilla e Nadòr. Sconfisse il sultano di Algeri in mare in più di un'occasione, poi, nel 1445, tentò nuovamente di riprendersi Tangeri, lasciando che fosse il fratello Giovanni ad occuparsi nuovamente della Castiglia. A Toledo, infatti, per una certa qual ironia, tolti di mezzo gli “infantes” l'illusione di poter regnare da solo di Giovanni era durata molto poco. Era un debole e si appoggiò alla famiglia de Luna, salvo poi pentirsene e richiamare Enrico e Giovanni d'Aragona per limitarne l'influenza. Ma poi si pentì nuovamente, per l'ennesima volta, arrivando nel 1445 alla resa dei conti finale. A Olmedo il re di Castiglia sconfisse i suoi cugini. Enrico venne ferito alla mano, che andò in cancrena, per poi morire poco dopo di setticemia. Nel frattempo dopo una sanguinosa battaglia Alfonso riuscì a conquistare Tangeri. Subito dopo cadde anche Ceuta. I portoghesi stavolta lasciarono perdere, impegnati com'erano a sfidarsi con i genovesi per l'esplorazione e la colonizzazione delle coste africane. L'aragonese comprese che il suo dominio, per essere più stabile, doveva minimamente allargarsi nell'entroterra, sino ai contrafforti delle montagne. Dopo una dura campagna della durata di 6 anni contro i marocchini, nel 1451, poteva dirsi creato il nuovo regno di Tingitania, con capitale Tetuàn, che andava da Arzila a Mellilla, e comprendeva anche l'exclave di Orano.
Reyno de Tingitania |
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Reyno de Granada |
Durante gli intervalli dalle sue campagne, Alfonso prevalentemente risiedeva a Granada, nell'Alhambra. Il regno, e successivamente anche quello di Tingitania, o del Rif, assunsero progressivamente una cultura originale, in virtù dei mutamenti della composizione etnica. La conversione venne attuata in modo piuttosto deciso, com'era tradizione per qualsiasi sovrano iberico, ma nel complesso verso i musulmani non vennero attuate persecuzioni. Tanto meno verso gli ebrei, che erano importanti dal punto di vista economico . Ciò nondimeno, la popolazione di fede cristiana rapidamente crebbe soprattutto per via dell'immigrazione catalana e genovese, incoraggiata dal sovrano. Alfonso però si innamorò anche della lingua mozaraba, tanto da apprenderla e circondarsi di mori convertiti alla sua corte come consiglieri. Molte grandi famiglie catalane vennero spinte ad imparentarsi con le grandi famiglie di mozarabi cristianizzati. Tale politica non fu immediatamente vista con favore. Tuttavia, su queste cose, gli italiani erano generalmente meno schizzinosi e, pertanto, progrediva la fazione “genoesa” a Granada. Perciò, per non perdere terreno, i catalani si adeguarono alla cosa, tanto più che, dopotutto, non Alfonso non li stava obbligando ad andare con gente di fede diversa (anche se il dubbio che certe famiglie rimanessero criptomusulmane permaneva). Stessa cosa non si poteva fare nel Rif. Qui il re cercò di favorire l'immigrazione dei mozarabi di Granada cristiani, con catalani e italiani, ma, a differenza del regno del melograno, qui era difficile sperare nella progressiva conversione della popolazione, che peraltro non aveva mai avuto a che fare con i cristiani, mentre a Granada c'era una secolare tradizione di convivenza, più o meno forzata e, in generale, tolleranza. Il tempo per l'integrazione sarebbe stato necessariamente più lungo.
Per quanto riguarda la successione, Alfonso non ebbe figli dalla sua legittima consorte. Pertanto cercò di premurarsi che il successore in Granada e Tetuàn fosse il proprio figlio bastardo Ferdinando (il nostro Ferrante). Per quanto riguardava i “quatro reynos”, ossia Aragona, Catalogna, Valencia e Maiorca, il proprio successore sarebbe stato il fratello Giovanni. Inoltre, l'anno dopo la pace firmata con il Marocco, nel 1452, Alfonso, che amava moltissimo il figlio, non fidandosi molto che il fratello Giovanni non avrebbe tentato qualche colpo per togliere Granada al figlio (che, fosse stato per lui avrebbe ereditato tutto. Ma le cortes non avrebbero mai lasciato Barcellona nelle mani di un bastardo, lo sapeva benissimo), lo fece legare, mediante matrimonio, con i Visconti della Scala, che, pensava, avrebbero avuto tutto l'interesse a tenere Granada divisa da Barcellona, anche per difendere gli interessi dei mercanti genovesi, toscani e lombardi. Ferdinando sposò quindi Bona Visconti della Scala, di 11 anni più giovane, essendo nata nel 1435, la primogenita di Eleonora di Sicilia e Can Galeazzo.
Impero (di nuovo), Ungheria, Polonia e Lituania
Se il giovane imperatore Federico Wettin aveva tutta l'intenzione di creare un grande forte nucleo territoriale che gli permettesse di non rendere vano il suo titolo, non si può però dire che il mondo volesse rendergli il compito facile. Ma le difficoltà non iniziarono, come era logico supporre, dalla Germania. Qui, infatti, gli unici seri competitori erano i potenti Asburgo,che però, per il momento guardavano più verso sud, all'Italia, che non a nord. Anche le guerre hussite si stavano lentamente avviando verso la conclusione: lacerati dai conflitti interni ed incapaci di guadagnare un reale seguito all'esterno di Boemia e Moravia, avevano perso la loro invincibilità sul campo di battaglia. Tra battaglie e compromessi l'imperatore era riuscito a renderli inoffensivi, fino alla definitiva pace del 1438. La vera, grande sfida proveniva dall'Ungheria. Il suo principale rivale sarà Janos Hunyadi, voivoda di Transilvania, che si era distinto come un fedele servitore di Sigismondo nelle guerre hussite e aveva poi adempiuto al suo desiderio di combattere gli infedeli partecipando, con una sua piccola compagnia, alla grande guerra balcanica al servizio, prima dei Brankovic, poi dei Dragas (quando aveva capito che i secondi erano più affidabili e capaci). La ragione degli attriti pare debba essere ricercata nella differenza di vedute in politica estera. Hunyadi, infatti, pensava che fosse finalmente giunto il momento, una volta messi a tacere gli hussiti, per espandersi verso sud, conquistando alla corona di Santo Stefano Moldavia, Valacchia, Serbia e Bosnia. Vedeva inoltre con timore il processo di unificazione in Italia: esso non poteva che portare una crescita dell'influenza italiana in Dalmazia, Croazia, Zeta e Albania, su cui invece occorreva che l'Ungheria imponesse il proprio dominio, anche per aprire una via d'accesso diretta al Mediterraneo. Al contrario il sovrano Sassone guardava a nord, verso i mercati Baltici, l'Hansa, il Brandeburgo e la Polonia, verso cui stava tentando una politica di avvicinamento. L'Ungheria era più che altro un'appendice territoriale utile per estensione e prestigio, nient'altro.
Da questo punto di vista, si può anche dire che una tale visione politica risente anche della diplomazia greca. A Costantinopoli, qualsiasi potenza terrestre cattolica con la volontà di espandersi nei Balcani era vista con terrore. La guerra con i turchi si avviava alla conclusione, e occorreva tempo per riprendersi dalle ferite. Poteva essere la grande occasione per inaugurare un lungo periodo di pace e, forse, anche di prosperità, cosa che all'impero bizantino non capitava dal lontano 1050. Anche Trebisonda e Panagiopoli avevano buoni motivi per essere interessati alle idee di Hunyadi. Uno sbocco Ungherese sia sul Mar Nero, sia sul Mediterraneo, magari con uno stabile sfruttamento del Danubio per il transito delle merci in grande stile, a prescindere dalle reali capacità imprenditoriali magiare, avrebbe alterato tutti i circuiti economici del levante che avevano contribuito alla ricchezza dei due stati nel loro ruolo di ponte tra oriente e occidente. Nel 1442, appena riconquistata Costantinopoli, i greci non perdono tempo e si riuniscono per meditare sul da farsi. Si decide per attuare pressione diplomatica su alcuni esponenti di spicco dell'Hansa, notoriamente vicini a Federico. La scelta non è casuale. Anche i mercanti baltici, infatti, traggono beneficio dal monopolio commerciale greco (anche se lo vorrebbero avere loro) sull'asse Baghdad-Trebisonda-Tiria-Kiev-Riga, protetto e sostenuto dal gran re di Lituania. Da Trebisonda, le mercanzie provenienti dal golfo Persico prendevano la via di Panagiopoli (città in cui si assommavano a quelle provenienti dalla via della seta, che arrivavano a Tana) . Da lì si avviavano per le foci del Dnepr, a Tiria e Ophioncastro. Ripartivano poi alla volta di Kiev, città in cui venivano scambiate in parte con cereali e altri prodotti agricoli. Poi raggiungevano il nord, in prossimità di Orsa, dove vi era una grande stazione carovaniera (controllata da greci, perlopiù) che metteva a disposizione il trasporto via terra fino a Vitebsk, città da cui il percorso riprendeva su chiatte fino a Riga, lungo il fiume Dvina. Intorno a metà degli anni '20, poi, Vytautas aveva fatto avviare la costruzione di un grande canale navigabile che mettesse in comunicazione i due fiumi. A Riga, i mercanti anseatici facevano affari d'oro, comprando spezie in cambio di metalli, pellicce e la leggendaria ambra, con la quale gli orafi del Ponto e del Bosforo Cimmerio amavano sbizzarrirsi, per poi venderla, lavorata, alle nobildonne.
Pelliccie e metalli i pontici perlopiù li rivendevano, andando a finire in gran parte nelle stive delle galee italiche a Costantinopoli, Calcedonia o Gallipoli. In tutto questo, l'ultimo anello era rappresentato dai mercati del piccolo Ponto, le città grecofone sulla costa europea del Mar Nero sotto tutela Panagiopolitana (ma che in realtà erano largamente autonome), che “rivendevano” agli ungheresi, appunto, sia spezie, sia pellicce e metalli, assieme, ovviamente a prodotti finiti come vestiti, monili etc. Di solito in cambio di cavalli e argento. Ultimamente i greci avevano di cominciato anche a popolare la “via occidentale” ossia la strada, in parte fluviale ed in parte terrestre, dalle foci del Dnestr fino a Danzica, ma senza lo stesso collaudato successo.
Considerato il fatto che i mercanti baltici erano i principali creditori di Federico Wettin, non stupisce il fatto che le ambascerie greche a Lubecca non cadessero affatto nel vuoto. Quello che i mercanti baltici volevano dall'imperatore era, semmai, che egli si impegnasse nel controllo della Polonia, in modo da spezzare il monopolio greco su tutto il percorso. Non certo che essi smettessero di giungere a Riga o a Danzica dai fiumi della pianura con le loro spezie e mercanzie pregiate!
La nobiltà ungherese era invece divisa: da una parte c'era chi pensava che con un sovrano più vicino sarebbe stato più difficoltoso avere larga autonomia, in particolare se il sovrano in questione sarebbe stato un tipo volitivo e accentratore come l'Hunyadi. D'altra parte la politica di espansione territoriale piaceva a molti baroni, che già pregustavano ampi appezzamenti in Serbia o Bosnia. Inoltre non disdegnavano nemmeno avere un sovrano ungherese, dopo secoli di re stranieri. Janos, per parte sua, non voleva porsi in aperto contrasto con Federico e nemmeno prendere per sé la corona.
La goccia che però fece traboccare il vaso fu la guerra di successione polacca. Jogaila, morto nel 1434, aveva lasciato il trono di Polonia al decenne figlio Ladislao III. La posizione del bambino e della reggenza non era facile: Teodoro di Lituania, figlio di Vytautas, aveva inaugurato il suo regno con una serie di incursioni a danno dei vicini, polacchi compresi. Certamente la Lituania stava diventando lo stato egemone dell'Europa orientale e il re aveva invitato nella sua capitale, per abbellirla, tutti i maggiori artisti di Trebisonda, Panagiopoli, Nicea, ma anche russi e occidentali (tra cui qualche italiano, come Pisanello, che lo raffigurerà nei suoi celebri medaglioni, e Bellini durante una tappa del suo lungo peregrinare nelle corti d'oriente).
Ma, tornando alle vicende politiche, il regno di Cracovia si era rivolto in cerca di sostegno in occidente, incontrando l'interessata benevolenza dell'imperatore Federico. Nel 1441 l'esercito di una coalizione composta da Sassoni, Teutonici, Polacchi e Masuriani (i lituani rimasti cattolici. Cominciano ad essere chiamati così dalla regione in cui si sono insediati), sconfigge un tentativo di invasione della Varmia da parte dei lituani, costringendoli alla pace (accordo di Byalistok). Alla pace segue il matrimonio, l'anno dopo, di Ladislao, ormai 18enne e Anna, la sorella di Federico, 22enne. Appena un anno dopo alla coppia nasce un forte e sano maschietto, anch'egli chiamato Ladislao. Ma il re di Polonia non fa in tempo a godere le gioie della paternità: nel 1444 suo fratello, Casimiro, sobillato dai nobili della parte orientale del regno, la più esposta alle scorrerie lituane, si ribella. In una battaglia presso Leopoli il re Ladislao trova la morte. La regina, allora, temendo per la propria vita e quella del figlio, fugge a Dresda, chiedendo asilo al fratello. Per la fretta di agire l'imperatore commette un errore fatale: chiama alle armi la nobiltà magiara, senza nemmeno convocare una dieta dei baroni a Buda, come avrebbero richiesto il buon senso e la permalosità ungherese, visto che la situazione era già estremamente tesa. A questo punto i principali signori del regno di Santo Stefano si radunano a Buda e dichiarano deposto il sovrano sassone per inadempienza. Al suo posto eleggono Janos Hunyadi, che, suo malgrado, accetta. Federico però non vuole cedere nessuno dei due ossi: né il polacco, né l'ungherese. Ben conoscendo il valore di chi li comanda, invia contro questi ultimi un esercito di veterani boemi delle guerre hussite, al comando del fratello Guglielmo, mentre lui marcia personalmente con i suoi sassoni contro Casimiro di Polonia, verso Cracovia. L'usurpatore polacco viene sconfitto, e le cose sembrano mettersi bene, quando all'imperatore giunge la notizia del disastro in Ungheria. Le truppe di Guglielmo Wettin sono state annientate in due scontri sui monti Tatra, dove l'Hunyadi ha teso loro una trappola perfetta, nonostante fosse in grave inferiorità numerica. A questo punto il “Corvino” (come comincia a farsi chiamare Janos) invia all'imperatore le sue pretese: Federico dovrà cedere la corona di re apostolico di Santo Stefano e la Moravia. Ovviamente l'imperatore rifiuta, e già si prepara a marciare verso la Slovacchia quando un nuovo evento fa saltare il banco. Casimiro, per non farsi catturare fugge a est, dove trova baroni disposti ad appoggiare la sua causa, ma non solo. Chiede infatti aiuto al nemico di sempre, il re lituano Teodoro, che, non si fa ripetere due volte l'invito. Ma vista la situazione, il signore di Vilnius pensa bene di allargare il suo raggio d'azione. La sua preda non è più solo la Polonia. E' anche l'Ungheria. Hunyadi si rende conto che non può affrontare da solo due nemici così preparati e determinati. E dopo una batosta rimediata, ancora a Leopoli, anche l'intemperante Federico giunge alla stessa conclusione. Seguendo l'adagio “meglio il cattivo che si conosce che il buono da conoscere” L'Hunyadi e il Wettin si accordano per una tregua per ricacciare indietro i lituani. Teodoro, che si aspettava un facile passaggio di vittoria in vittoria fino a Buda, visto il caos generale, rimane brutalmente sorpreso da una dura sconfitta inflittagli dal Corvino sui Carpazi orientali (le “sue” montagne). Anche il suo protetto, Casimiro, nonostante le forze “donategli” da Teodoro per riprendere possesso della Polonia, fa una ben misera e magra figura contro Federico. Anche perché i nobili polacchi preferiscono di gran lunga la reggenza del sassone. I lituani a questo punto preferiscono non forzare, puntando su altre prede, a est. Finalmente, nel 1448, a Lublino, viene rinnovato il trattato di pace tra Polonia e Lituania. Viene inoltre sancito che il re di Polonia debba essere il piccolo Ladislao IV Jagellone, sotto la reggenza dello zio, l'imperatore Federico. Per quanto riguarda l'Ungheria, è presto detto: Janos Hunyadi ottiene per sé la corona d'Ungheria e Croazia, ma a titolo di feudo imperiale (ossia, in mancanza di eredi diretti sarebbe dovuta tornare all'imperatore). Per ora niente grandi guerre a sud, però. Hunyadi dovrà scornarsi contro la desolante verità: nel frattempo, la situazione balcanica si era sufficientemente cristallizzata per rendere quanto mai difficoltoso un radicale mutamento degli equilibri.
la Bosnia era sotto tutela veneziana (quindi lombarda), come la Zeta; la Serbia e la Valacchia sotto la protezione ungherese (che comunque, a parziale riscatto per le ambizioni del Corvino, in futuro si farà sempre più forte); la Bulgaria e la Tracia Tatara, alleate con l'impero bizantino (a sua volta alleato con gli altri stati greci); la Moldavia sotto influenza lituana.
Infine un piccolo accenno anche ad un altro dei sostenitori di Federico di Sassonia: il suo omonimo, Federico Hohenzollern di Brandeburgo, che aveva sposato l'altra sorella dell'imperatore, Caterina, nel 1445. Merita di essere citato per un motivo: l'ambizione di Federico Wettin era quella di poter riscattare, un giorno, quella signoria, che il suocero Sigismondo, per via del bisogno di soldi, aveva venduto. Ma, fino ad allora, occorreva tenerseli vicino il più possibile, nella speranza di subentrare a loro alla prima occasione.
Forse, della complessa vicenda della guerra Ungherese e della guerra di successione polacca, chi riuscì a guadagnarci maggiormente fu proprio l'imperatore, che governò la Polonia per conto del nipote per altri 10 anni, guadagnandosi il favore di una buona parte della piccola nobiltà. Anche dopo, durante il regno di Ladislao IV il paese subirà la fortissima influenza dei sassoni. E quando, molti anni dopo, nel 1485, lo Jagellone morirà senza eredi, la Szlachta, la dieta dei nobili polacchi, eleggerà come proprio re Ernesto Wettin di Sassonia, figlio di Federico e sacro romano imperatore. E da quel momento, ma gli elettori non potevano saperlo, la Polonia rimarrà legata alle sorti dei Wettin per molti secoli.
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