Anche se si suppone a ragione che Carlo V stesse già da tempo meditando sulla sua successione, è all'epoca del Trattato di Passau che si fa risalire la decisione di Carlo V di dividere i suoi domini tra il figlio ed il fratello. La decisione di dare alcuni possedimenti all'uno invece che all'altro sarà gravida di conseguenze per la storia d'Europa.
Ipotizziamo dunque un momento che Carlo decida per una ripartizione leggermente diversa dei suoi possedimenti, in questo modo:
al figlio Filippo II: Regno di Spagna, Napoli, Sicilia e Sardegna, Americhe
al fratello Ferdinando I: Sacro Romano Impero, Boemia, Austria, Ungheria, Fiandre, Franca Contea, Milano
Vediamo di immaginare i futuri cambiamenti dello scenario europeo (e forse mondiale) originati da questa "piccola" differenza...
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1554.
Filippo II sposa a Winchester Maria I Tudor, ma, sul consiglio del padre, non assume la corona di Re d'Inghilterra, rimanendo unicamente consorte, così come Maria non assume la corona di Regina di Spagna. L'accordo matrimoniale tranquillizza una piccola parte della nobiltà inglese, anche se i più lungimiranti sanno bene che l'unione effettiva si avrà non appena nascerà l'erede al trono, che sarà destinato ad unire nella sua persona entrambe le corone.
Alle prime avvisaglie di ripresa del conflitto con la Francia, Carlo V abdica, lasciando ufficialmente l'italia meridionale, la Spagna e le sue colonie americane a Filippo II, che il 16 gennaio a Madrid viene incoronato Re di Spagna, Sicilia, Napoli, del Perù, della Nuova Spagna e delle Filippine; mentre il fratello Ferdinando I il 15 marzo a Vienna viene incoronato Imperatore del Sacro Romano Impero e Duca di Milano e delle Fiandre, titoli che si vanno ad aggiungere a quelli già posseduti di Arciduca d'Austria e Re di Boemia, Ungheria e Transilvania.
Il Re di Francia Enrico II, dopo un'iniziale esitazione (nella nostra TL l'assenza di "scossoni politici" permetté a Francesco Duca di Guisa di respingere gli imperiali a Renty, annullando l'assedio di Metz) prosegue la guerra contro il Sacro Romano Impero, Filippo II, preoccupato per la situazione in Inghilterra, decide di ritirarsi dal conflitto contro la Francia e lascia che sia lo zio a vedersela con i francesi.
Ferdinando I, grande riformatore ed innovatore in termini di burocrazia ed amministrazione, è, a differenza del fratello e del nipote, un cattolico moderato, fautore di politica tollerante e di riconciliazione religiosa, favorevole al colloquio tra cattolici e protestanti. Questo cambio di rotta ammorbidisce le posizioni di molti nobili tedeschi e fiamminghi, grazie anche alla chiamata al governo delle Fiandre di Margherita d'Austria, Duchessa di Parma e Piacenza, figlia naturale di Carlo V e pedina importantissima per il governo Asburgico in italia centrale. A Margherita viene affidata l'educazione del fratellastro, Don Giovanni d'Austria, coetaneo del figlio Alessandro.
Siena chiama l'intervento francese in italia, ma il 2 agosto l'esercito franco-senese è battuto a Marciano dalle truppe imperiali e ducali, Siena cade e viene incorporata nel ducato mediceo.
1555.
Mentre Ferdinando I, confidando nell'armistizio con gli Ottomani, lanciava una controffensiva in Lorena con l'obiettivo di riprendere l'importante piazzaforte confinaria di Metz, e nelle Fiandre, respingendo francesi e ribelli presso Tournai, Filippo II firma a Tolosa la pace con la Francia, e si dedica con vigore alla pacificazione ed all'affermazione del cattolicesimo nel Regno d'Inghilterra.
Maria dà alla luce un figlio, Don Ferdinando, che in Inghilterra è Ferdinando Principe di Galles, possibile erede alla corona Inglese.
Ferdinando I ratifica ad Augusta gli accordi di Passau, viene introdotta la regola del "cuius regio, eius religio", che esclude però tutti i movimenti, come i calvinisti, staccatisi dal luteranesimo. I principi luterani ratificano lo scioglimento della Lega di Smalcalda, decretata già con la capitolazione di Wittenberg nel 1547.
1556.
Con il Trattato di Vaucelles, Ferdinando I cede ad Enrico II la Franca Contea e le città di Toul e Verdun, ma ottiene in cambio la restituzione di Metz. Ma entro la fine dell'anno, sostenuto da Papa Paolo VI Carafa, ostile agli Asburgo, Enrico II riprende la guerra nelle fiandre.
1557.
Nonostante una manovra che vedeva l'impero attaccato su tre fronti (la Lorena, le Fiandre ed il nord italia, con l'occupazione del piemonte da parte francese e l'invasione del Ducato di Parma da parte delle truppe pontificie), l'esercito imperiale, comandato dal Duca Emanuele Filiberto di Savoia, batte i francesi a Sanint-Quentin, alle porte delle fiandre. L'esercito francese subisce una rovinosa sconfitta ed Enrico II è costretto a firmare la pace di Cateau-Cambrésis, nella quale la Francia ratificava l'assetto territoriale deciso a Vaucelles, inoltre si impegnava a restituire la Corsica alla Repubblica di Genova, ed il Piemonte, la Savoia ed il Marchesato di Saluzzo al Duca di Savoia. Alla Francia rimanevano Metz e la Franca Contea.
I Ducati di Parma, Modena e Mantova diventavano dei vassalli imperiali, mentre la Repubblica di Genova ed il Granducato di Toscana, anche se nominalmente indipendenti, era alleati di fatto dipendenti da un punto di vista militare.
Il Papato, vedendo il crescere dei movimenti protestanti chiamati "Ugonotti" all'interno della Francia stessa, vide come alleato naturale il blocco Anglo-Spagnolo, governati da sovrani ultra cattolici, per gli stessi obiettivi in campo controriformistico.
La Francia da questo momento inizierà a soffrire gravemente per la diffusione del protestantesimo, che aveva sempre caldeggiato all'estero in funzione anti-asburgica, in patria.
1558.
Muore di tumore Maria I Tudor, l'erede al
trono, il piccolo Ferdinando, ha solo tre anni e la reggenza viene assunta dal padre Filippo. Scoppiano violente rivolte anti-cattoliche ed anti-asburgiche nel paese.
Filippo può contare sull'appoggio dell'Irlanda e della Scozia, da sempre avverse all'Inghilterra anglicana. Per rompere la secolare alleanza tra Scozia e Francia, Filippo riesce, grazie a fortissime pressioni diplomatiche, ad ottenere lo scioglimento della promessa matrimoniale tra Maria Stuart ed il Delfino di Francia Francesco II, ed a combinare il matrimonio tra Maria Stuart ed il figlio Don Carlos, erede al trono spagnolo, grazie alla convergenza d'interessi cattolici ostili ad un sovrano protestante sul trono inglese. (nella nostra TL la Scozia è troppo legata alla Francia, nemica della Spagna, per preferire gli Stuart alla protestante Elisabetta I). Convergenza ora molto più importante e prioritaria per la Scozia in quanto la Spagna si è ritirata dal conflitto con la Francia. Enrico II deve piegarsi alle richieste della Scozia e del Papa, anche perché il dilagare degli Ugonotti in patria non gli permette di certo di aprire una nuova guerra anche con un'eventuale Inghilterra protestante.
Come contraccambio, Filippo II si fidanza con la figlia di Enrico II, Elisabetta di Valois, e si impegna a cedere la città di Calais, ultimo possedimento inglese su suolo francese, alla Francia.
Nel frattempo, invia Don Fernando Álvarez de Toledo y Pimentel, Duca d'Alba, in Inghilterra con pieni poteri, per reprimere le rivolte protestanti, alla guida di un contingente di 25.000 uomini scortati dalla flotta agli ordini del Marchese di Santa
Cruz.
1558-1559.
Dilagano le guerre di religione in Inghilterra. Da una parte ci sono i protestanti inglesi, stretti attorno alla figura di Elisabetta Tudor, e scozzesi, legati a Lord James Stewart, I Conte di Moray ed al predicatore calvinista John Knox; dall'altra ci sono i cattolici, capitanati da Filippo II e dal Duca d'Alba, al quale si aggiungono gli irlandesi, gli scozzesi di Maria Stuart, del cugino Henry Stuart, Lord Darnley, e del capo della fazione cattolica scozzese, Lord Huntly, ed infine un contingente religioso e militare inviato dal Papa, composto principalmente da Domenicani e Gesuiti, questi ultimi particolarmente legati alla corona spagnola, affiancati da soldati e con l'espresso compito di stanare, processare ed estirpare gli eretici dal regno inglese, guidati dal Grande Inquisitore domenicano Card. Michele Ghislieri.
1559.
Le truppe protestanti di Lord Robert Dudley, Conte di Leicester, rinforzate dagli scozzesi di Lord Giacomo Stewart, I Conte di Moray, battono prima le truppe scozzesi di Lord Huntly a Carberry Hill, e poche settimane dopo quelle di Lord Darnley presso Langside.
Le due vittorie però sono alquanto inutili in quanto Elisabetta, a York, fa richiamare con urgenza il Leicester allarmata dall'avanzata da Londra dell'Armada spagnola del Duca d'Alba.
Gerald FitzGerald, 14th Earl di Desmond e leader dei cattolici irlandesi, sbarca con le proprie truppe in Galles, protetto dalla flotta spagnola, e marcia verso Shrewsbury, dove programma di unirsi all'armada del Duca d'Alba.
Le truppe protestanti, alle quali si sono unite anche le forze scozzesi di Lord James Hepburn, IV Conte di Bothwell, e di Lord George Talbot, VI conte di Shrewsbury, che, vedendo le proprie terre direttamente minacciate dall'avanzata spagnola, preferisce ripiegare verso York e congiungersi all'esercito del Leicester, che sta scendendo a marce forzate dal nord.
Inaspettatamente, alla causa cattolica si unisce anche Lord Thomas Howard, IV duca di Norfolk, che si pone alla guida della fazione cattolica inglese, favorevole all'ascesa al trono di Maria
Stuart.
Le due armate si scontrano presso Barnsley, nello Yorkshire, il 28 febbraio 1559.
Lord Dudley suddivide lo schieramento inglese in tre tronconi: alla sua destra pone gli scozzesi di Lord Hepburn, alla sinistra gli altri scozzesi di Giacomo Stewart, lui occupa l'ampio centro con il grosso delle truppe inglesi mentre, per precauzione, Lord Talbot è assegnato alla retroguardia, per meglio controllare eventuali mosse false degli alleati scozzesi.
Il Duca d'Alba opta per una soluzione diversa: al fianco sinistro schiera gli irlandesi di FitzGerald, ma il resto dello schieramento lo occupa lui stesso al comando dei tercios, intervallati nello schieramento da postazioni di artiglieria. Gli inglesi del Norfolk, con grande azzardo, li pone come riserva.
La superiorità numerica e la maggior abilità nell'uso delle armi da fuoco spagnoli mettono da subito in difficoltà gli inglesi del centro e della destra, mentre gli scozzesi di Lord Hepburn sembrano prevalere sugli irlandesi. Lord Dudley, intravedendo la possibilità di una breccia sul fianco protetto dagli irlandesi, ordina a Lord Talbot di raggiungere con le sue truppe gli scozzesi del Bothwell.
A quel punto, il Duca d'Alba ordina al Norfolk di colpire il fianco sinistro anglo-scozzese dello Stewart.
L'assalto del Norfolk getta nel panico l'ala sinistra protestante, che ripiega con scarso ordine verso il centro. Nel mezzo del caos, tentando di ripristinare l'ordine, il Leicester viene colpito da un colpo di moschetto che gli sfonda la corazza e viene trasportato a braccia lontano dalla battaglia. Caduto il comandante generale, anche il centro ora inizia a cedere e ben presto l'ala destra del Bothwell è l'unica ancora in grado di combattere, ma l'arrivo delle truppe del Norfolk e del Duca d'Alba pongono rapidamente termine alla loro disperata resistenza. Lo Shrewsbury, secondo in comando dopo il Leicester, si arrende, nonostante le proteste del
Bothwell.
Giacomo Stewart, Lord Hepburn e Lord Talbot sono presi prigionieri, Lord Dudley, ferito gravemente, muore pochi giorni dopo la battaglia.
Mentre l'armata cattolica avanza verso York, giunge notizia che Lord Huntly e Lord Darnley, riorganizzate le forze, hanno messo sotto assedio la stessa York, difesa da Lord William Knollys, I Conte di Banbury, e dalla stessa Elisabetta.
Il Duca d'Alba, dopo aver congedato l'armata irlandese, si dirige a nord, affiancato dal Norfolk. Entro la fine dell'estate York capitola, dopo mesi di fame e malattia. Durante l'ultimo assalto, Lord Darnley rimane ucciso.
Lord James Stewart, Lord James Hepburn, Lord George Talbot, Lord William Knollys e la stessa Elisabetta, vengono condotti in catene a Londra, dove li attende il Re Filippo II in persona, affiancato dal Card. Ghislieri.
Lord Talbot è l'unico a chiedere perdono ed a presentare formale sottomissione a Sua Maestà, e disposto ad abiurare l'eresia protestante per tornare alla fede cattolica. Filippo accetta la sua sottomissione, ma affida il verdetto finale su di lui e dello stesso Norfolk, che ufficialmente è ancora considerato protestante, al giudizio del Cardinale.
La pronta e sincera abiura del protestantesimo ed il ritorno al cattolicesimo convincono il Card. Ghislieri a graziarli ed a suggerire a Filippo il loro reintegro nei propri titoli e funzioni.
Stewart, Hepburn, Knollys ed Elisabetta vengono decapitati.
Il predicatore calvinista John Knox, catturato durante l'assedio di York, viene arso vivo sul rogo.
1560.
Calvinisti e Luterani, in fuga dall'Inghilterra, si rifugiano in Francia.
Carlo IX succede a Francesco II, morto molto giovane, ma data la sua età il governo è retto dalla madre, Caterina de' Medici.
La politica moderata e tollerante degli Asburgo d'Austria affianco alla brutale estirpazione dei capi del protestantesimo in Inghilterra iniziano a ritorcere contro la stessa Francia la politica di sovvenzione attiva dei luterani. Non passerà molto tempo prima che la cattolicissima Francia da alleata dei protestanti in casa d'altri diventi una feroce persecutrice dei protestanti in casa propria.
1561.
Caterina de' Medici promulga l'Editto di Orleans, con il quale decreta la tolleranza verso gli ugonotti, a cui aderivano molti membri della nobiltà e della borghesia.
1562.
All'Editto di Orleans fa seguito l'Editto di St. Germain: viene sancito il riconoscimento degli ugonotti, ai quali viene data libertà di riunirsi solo fuori delle città e di celebrare i riti religiosi solo nelle case private.
Iniziano a farsi più frequenti i tumulti in Francia, fino a quando, nell'estate dello stesso anno, un gruppo di ugonotti viene massacrato durante una funzione religiosa dai seguaci del duca di Guisa. E' la Strage di Vassy, ed è la scintilla che innesca la guerra civile in Francia.
Filippo II approfitta della coreggenza su Spagna ed Inghilterra per sviluppare, grazie alle esperienze congiunte dei maestri spagnoli ed inglesi, un'enorme flotta oceanica, con la quale intensificare la presenza imperiale nel Nuovo Mondo.
1563.
Francesco, duca di Guisa, viene assassinato da un ugonotto mentre assedia Orléans. La guerra diventa sempre più drammatica e molti protestanti di origine inglese si rifugiano nelle città di Calais e Le Havre, ancora sotto la sovranità inglese. Le armate cattoliche di Francia marciano sulle città inglesi.
Filippo II ottiene la cessione delle due città inglesi alla Francia in cambio di un'indennità di 7,5 milioni di sovrane.
Le Havre e Calais, assediate per terra dai francesi e bloccate sul mare dalla flotta anglospagnola, cadono entro l'estate.
Viene siglata la Pace di Amboise. Negoziata tra il Principe di Condé ed il maresciallo di Francia Anne de Montmorency, concede agli ugonotti, specialmente a quelli di nobili natali, una limitata tolleranza.
1564-1565.
Massimiliano II diventa Imperatore del Sacro Romano Impero, alla morte del padre Ferdinando I.
Mentre, dall'altra parte del mondo, Miguel Lopez de Legazpi scopre in nome di Filippo II le Filippine, così battezzate in suo onore, i coloni francesi abbandonano Charlesfort, primo tentativo francese di colonizzazione del Nuovo Mondo, e si ritirano a Fort Caroline, in Florida, e i portoghesi fondano la città di São Paulo, in Brasile, l'Impero Ottomano risponde alle provocazioni dell'Ordine degli Ospitalieri ed attacca Malta con una poderosa flotta.
L'imponente flotta turca, che partì da Costantinopoli nel mese di marzo, fu avvistata a Malta all'alba di venerdì 18 maggio, ma non sbarcò immediatamente; costeggiò l'isola ed infine approdò nel porto di Marsa Scirocco, a circa 10 km dal Gran Porto. Tra il capo delle forze terrestri, il visir Lala Kara Mustafa Pascià, e l'ammiraglio Piyale Paşa, ci furono alcuni dissensi. Piyale era dell'idea di mettere al sicuro la sua flotta dai venti del Mediterraneo nel Grande Porto, e perciò propose di attaccare la base fortificata, Mustafa preferiva invece tentare l'attacco alla vecchia capitale, Medina, che era situata al centro dell'isola, per poi attaccare via terra i forti San Michele e Sant'Angelo. Alla fine la spuntò Piyale, convincendo i suoi compagni che i cavalieri a Sant'Elmo avrebbero resistito solamente un paio di giorni. Così, il giorno 24 maggio, posizionò intorno al piccolo forte 21 batterie di cannoni per cominciare subito i bombardamenti.
Certamente Solimano commise un grave errore a distribuire il comando tra Piyale e Mustafà, anche se il comando generale spettava a Dragut, che però arrivò a operazioni già iniziate poiché la sua nave era incappata in una tempesta. Egli, non appena giunse a Malta, disapprovò la scelta di Piyale, ma ritenne disonorevole interrompere l'attacco già iniziato.
Il forte Sant'Elmo era difeso da circa 100 cavalieri e 500 miliziani ai quali la Valette aveva ordinato di lottare fino alla fine, cercando di resistere fino a quando non sarebbero arrivati i rinforzi promessi da García Álvarez de Toledo y Osorio, viceré di Sicilia.
Il pesante bombardamento ridusse il forte in macerie in meno di una settimana, ma la Valette, e i cavalieri degli altri due forti, rimpiazzarono i feriti con truppe fresche e ripararono la fortezza di notte passando per un sentiero nascosto. Il forte, nonostante gli incessanti bombardamenti, continuò a resistere con i cavalieri annidati tra le macerie.
La mattina del 3 giugno i giannizzeri scagliarono un attacco contro le mura, urlando e sparando all'impazzata anche favoriti dalle massicce dosi di hashish loro distribuite prima della battaglia. Per scalare le mura vennero utilizzate scale e corde mentre i cavalieri rovesciarono il fuoco greco sugli assalitori che in pochi istanti si trasformarono in torce umane. I superstiti che raggiunsero la cima si trovarono davanti i cavalieri dell'ordine: uomini interamente ricoperti di ferro, armati di spade e lance, che avevano dedicato la loro vita all'addestramento militare e alla preghiera. Né i fendenti di scimitarra, né le frecce, penetrarono le corazze; solamente un colpo di archibugio sparato a bruciapelo poteva provocare danni, ma i turchi ne disponevano di pochi; infatti, a parte i giannizzeri, i soldati erano equipaggiati alla leggera e con indosso solamente un corpetto corazzato. A mezzogiorno i turchi si ritirarono lasciando sul campo 2.000 morti; i cavalieri che persero la vita in questo scontro furono solamente 10 mentre 70 furono le vittime tra i miliziani.
I bombardamenti continuarono per giorni, alternati da massicci assalti dei giannizzeri sempre respinti. I soldati dei rispettivi eserciti si massacrarono a vicenda, convinti che se la morte li avesse colti durante la battaglia avrebbero ottenuto la ricompensa: agli ottomani era promesso il paradiso delle Huri, ai cavalieri era concessa l'indulgenza plenaria da Papa Paolo IV.
L'8 giugno i cavalieri, stremati dagli incessanti bombardamenti (6.000 palle di cannone sparate al giorno), inviarono un messaggio al Gran Maestro, in cui si chiedeva l'autorizzazione a morire con la spada in pugno facendo una sortita nel campo nemico. In risposta, il Gran Maestro disse che se i Cavalieri dovevano morire allora era meglio che morissero nel modo in cui lui aveva ordinato: «sacrificando le nostre vite una ad una, faremo guadagnare tempo all'Europa e alla Cristianità». Anche se ridotta allo stremo, la guarnigione resistette, respingendo numerosi assalti del nemico e ritardando la caduta della fortezza.
Il 18 giugno Sant'Elmo era ormai un cumulo di macerie.
Mustafà e Dragut si spinsero su una collina per assistere all'ennesimo assalto. Ma quel giorno accadde l'imprevedibile. L'artigliere piemontese Antonio Grugno, attirato dalle bandiere dai colori sgargianti dei due comandanti, prese il suo cannone, mirò e fece fuoco su di loro. La palla di cannone centrò in pieno il comandante dei giannizzeri e una scheggia si infilò nell'occhio destro di Dragut.
Il vecchio pirata morìà cinque giorni dopo, appena saputa la notizia della caduta del forte.
Il 23 giugno i turchi riuscirono a prendere ciò che era rimasto del forte di Sant'Elmo, vendicandosi sui prigionieri: massacrarono i cavalieri catturati, crocifissero i loro corpi a tavole di legno e li spinsero sulle acque del porto verso le posizioni dei cavalieri piazzati negli altri due forti. La Valette ordinò una risposta dello stesso tenore: tutti i prigionieri turchi furono decapitati e le loro teste sparate dai cannoni verso il campo nemico.
Ora che i turchi avevano vinto, la flotta di Piyale gettò l'ancora nel porto. L'assedio del forte Sant'Elmo per la parte turca non ebbe meno di 6.000 vittime, tra cui la metà dei suoi migliori soldati, i giannizzeri. Piyale stesso era stato ferito alla testa. Mustafà comprese il suo errore strategico, il forte Sant'Elmo era stato conquistato ad un prezzo troppo caro. Guardando verso il forte Sant'Angelo ancora intatto con i cannoni tuonanti, gridò: «Allah! Se un figlio così piccolo è costato tanto caro, quale prezzo dovremo pagare per un padre così grande?».
Intanto la notizia dell'assedio si era diffusa nel continente provocando il panico. Non vi era alcun dubbio che il risultato dell'assedio di Malta sarebbe stato drammatico e che il suo esito avrebbe potuto decidere la lotta tra l'Impero ottomano e l'Europa cristiana. Una volta presa l'isola, i turchi avrebbero invaso l'Italia da sud pur continuando la conquista dell'Ungheria e della penisola balcanica: l'Europa occidentale si sarebbe ritrovata in una morsa letale.
Filippo, nonostante le suppliche e le minacce di Papa Paolo IV, sembrava completamente assorto dai propri impegni in terra britannica ed oltre oceano.
Per questo motivo il genovese Gianandrea Doria venne posto a capo di una spedizione di salvataggio, il "Gran Soccorso", che comprendeva galee di tutti gli stati mediterranei ad eccezione di Francia e Venezia, che non parteciparono per paura di guastare i loro rapporti commerciali e politici con l'Impero ottomano, e della Spagna.
Inoltre, Filippo II ordinò esplicitamente al viceré di Sicilia, García Álvarez de Toledo y Osorio, di non impegnare le sue galee: il ricordo della sconfitta a Gerba era ancora vivo nel "Re prudente".
Tuttavia García era angosciato da un terribile dilemma: il suo spirito di soldato lo spingeva a partire immediatamente con le sue galee alla volta di Malta (anche perché suo figlio militava tra le truppe maltesi), ma gli ordini di Madrid lo trattenevano.
Così alcuni ardimentosi cominciarono a violare il blocco navale turco per portare viveri e rinforzi agli assediati. In pieno giorno, una barca a remi diretta verso il Gran Porto fu colpita da una cannonata turca ed un comandante dell'Ordine, un tale Salvago, ed il capitano spagnolo Miranda, raggiunsero la costa a nuoto e si unirono agli assediati. In un'altra occasione una galera siciliana riuscì a scappare da sette galee nemiche mentre cercava di approdare.
Un rinforzo di 600 uomini comandati da Enrique de la Valette, nipote del Gran Maestro, non riuscì a raggiungere la costa e fu costretta a fuggire. Dopo altri due tentativi falliti, il 28 giugno raggiunse Malta un consistente numero di rinforzi: circa 600 uomini su quattro galere sotto il comando di Juan de Cardona, inviate dal viceré di Sicilia. Ciò provocò un enorme aumento del morale. Questa piccola guarnigione comprese una compagnia spagnola d'élite, 150 cavalieri e molti volontari, inclusi i fratelli del duca di Infantado e il Conte di Monteagudo, comandati da don Melchor de Robles. Il successo si deve ad un singolo soldato, Juan Martinez di Luvenia, che appena sbarcato si occupò di segnalare la presenza o l'assenza delle navi nemiche con un falò.
Infine partecipò ai rinforzi anche il Ducato di Savoia che organizzò una spedizione, chiamata "Piccolo Soccorso", guidata dal genovese Andrea Provana di Leinì. Il gruppetto di galee riuscì avventurosamente a superare il blocco navale e a sbarcare un gruppo di volontari e alcune casse di viveri prima di riprendere il largo.
Con Piyale ferito, Mustafà suddivise le forze in tre gruppi: uno avrebbe attaccato Birgu e Medina (i due borghi dell'isola), e gli altri due i forti rimanenti. Furono costruite 100 piccole imbarcazioni nel Gran Porto, con l'intenzione di lanciare un attacco anfibio contro il promontorio di Senglea, mentre i pirati attaccavano il forte San Michele. Fortunatamente per i maltesi, un disertore turco mise in guardia la Valette dell'imminente operazione ed il Gran Maestro ebbe il tempo di costruire un recinto e sbarramenti sottomarini. L'attacco ebbe luogo il 15 luglio: alcune navi turche si schiantarono contro le palizzate mentre altre finirono intrappolate nelle catene disseminate lungo la riva. Quando i turchi tentarono di distruggere le difese in mare furono aggrediti dai nuotatori maltesi che ingaggiarono un violento corpo a corpo. Quel giorno non furono fatti prigionieri e ai turchi che si arresero venne tagliata la gola al grido di «Per vendicare Sant'Elmo!». Anche l'azione dei pirati fallì. Infatti una decina di vascelli carichi di gianizzeri arrivò a portata di una batteria di cannoni del comandante de Guiral, ai piedi del forte Sant'Angelo. Dopo poche salve nove barche affondarono trascinando con sé gli equipaggi.
Nel frattempo, i turchi avevano circondato Birgu e Medina e, con i loro 64 pezzi d'assedio, il 2 agosto le due città furono oggetto del più duro bombardamento che avesse mai avuto luogo nella storia.
Venne quindi lanciato il segnale d'attacco e gli assedianti si scagliarono contro ciò che rimaneva delle mura; lo scontro durò per sei ore ma alla fine furono respinti.
Il 7 agosto Mustafà ordinò due massicci attacchi simultanei contro forte San Miguel e contro la cittadella di Birgu. Mentre i turchi si avvicinarono alle mura, il Gran Maestro la Vallette decise di effettuare un'improvvisa sortita contro gli assedianti.
Il Gran Maestro si rivolse ai suoi uomini con queste parole: «Sono certo che se io cadrò, ciascuno di voi sarà in grado di prendere il mio posto e di continuare a combattere per l'onore dell'Ordine e per amore della nostra Santa Chiesa. Signori cavalieri. Andiamo a morire che è giunto il nostro giorno!»
I cavalieri piombarono nello schieramento turco interamente ricoperti di ferro, menando colpi con il pesante spadone a due mani provocando il caos nello schieramento avversario. Lo scontro infuriò per nove ore fin quando i turchi non si ritirarono. A questo punto Mustafà, pensando che i cavalieri avessero ricevuto rinforzi, decise che da quel momento in poi avrebbe affidato il compito di continuare l'assedio alle sue artiglierie.
Dopo l'attacco del 7 agosto i turchi ripresero, senza interruzione, il loro bombardamento contro San Michele e Birgu alternando sporadiche sortite di giannizzeri e spaihs dove si aprivano delle brecce nelle mura, come avvenne il 18 agosto quando una mina aprì una breccia nella quale si riversarono gli assedianti, costringendo lo stesso Gran Maestro ad intervenire gettandosi nella mischia. Il suo gesto fu d'esempio per i difensori che si precipitarono verso le mura dando vita ad un violento corpo a corpo. L'assalto fu respinto ma la Vallette rimase ferito ad una gamba da una granata.
Intanto a Messina la preparazione della flotta del Gran Soccorso andava per le lunghe. Il 26 agosto le navi cariche di volontari salparono ma furono subito costrette a tornare indietro a causa di una violenta tempesta. Ciò ritardò di molto le operazioni e la spedizione poté riprendere il largo solo il 5 settembre. Arrivarono nella baia di Mellieħa, tra Malta e Gozo, due giorni dopo. L'arrivo dei rinforzi fu il colpo di grazia per i turchi. Il combattimento decisivo avvenne sulla piana di Pietranera alla quale parteciparono anche i cavalieri usciti in massa dai forti. Dopo cinque ore di combattimento i turchi si ritirarono e s'imbarcarono sulle loro navi.
Il 12 settembre la flotta di Piyale lasciò l'isola; dovette però abbandonare parte delle navi, che furono date alle fiamme per non lasciarle al nemico: non vi erano più uomini sufficienti per manovrarle.
Le perdite registrate furono: 31.000 turchi, 7.000 civili maltesi, 3.000 tra fanti e Cavalieri dell'Ordine.
Quando la notizia della vittoria di Malta si diffuse nel continente, in tutte le chiese ci furono funzioni di ringraziamento. Giunsero a Malta doni da tutta Europa.
Filippo II inviò a Malta circa 6.000 uomini di rinforzo, un'ingente somma di denaro e regalò a la Vallette una spada e un pugnale con incise queste parole: PLUS QUAM VALOR VALET LA VALLETTE.
Ma ciò non sminuì minimamente l'alone di vergogna e vigliaccheria che il "Rey Catolico" si attirò da tutta Europa, per non aver inviato forze a difesa dell'ultimo baluardo della Cristianità.
Per giunta, il viceré d'Italia, don Garcia, fu destituito per aver disubbidito agli ordini.
Il Papa Pio IV offrì a la Vallette di diventare cardinale ma questi rifiutò: l'anziano cavaliere voleva vivere i suoi ultimi anni sulla sua isola. Egli infatti morì il 21 agosto 1568 e a lui fu dedicata la nuova capitale di Malta: La Valletta.
Per l'Impero ottomano, al contrario, la sconfitta di Malta fu un grave colpo anche sul piano finanziario, poiché l'economia turca si reggeva principalmente sulle razzie e sul bottino di guerra: per la prima volta la loro moneta fu svalutata, e i turchi conobbero l'inflazione. Meno di un terzo dell'esercito ritornò a Costantinopoli e la flotta fu guidata nel porto in piena notte per evitare che il popolo si rendesse conto dei danni subiti. Solimano intendeva ripetere l'attacco l'anno successivo e questa volta Malta, ormai semidistrutta, non avrebbe potuto resistere.
Ma durante l'inverno, agenti segreti dell'Ordine di Malta, riuscirono ad entrare nell'arsenale di Istanbul e a far esplodere il deposito delle polveri, distruggendo parte della flotta turca che era ormeggiata nei bacini. Il sultano cambiò i suoi piani e per il 1566 progettò di dirigere nuovamente i suoi sforzi bellici verso l'Ungheria.
1566.
Giunge al punto di rottura la delicata situazione familiare interna alla corte spagnola. L'Infante Don Carlos, che sin dall'infanzia aveva dato preoccupanti segni di grave squilibrio mentale, è incarcerato.
Colpevole di innumerevoli violenze, soprattutto sulla servitù, responsabile di comportamenti osceni e blasfemi, Don Carlos raggiunge il colmo congiurando contro il padre. A corte qualcuno lo accusa persino di essere l'amante della matrigna, Elisabetta di Valois.
Filippo II, che l'aveva sempre protetto e perdonato, questa volta non può fare altro che risparmiargli la vita, decretandone la condanna al carcere e l'estromissione dalla linea di successione.
Maria Stuart, che, spaventata e disgustata dai comportamenti del promesso sposo aveva sempre approfittato di tutte le scuse possibili per rinviare le nozze, ora tira un sospiro di sollievo. Ma Filippo, desideroso di assicurarsi definitivamente il possesso delle isole britanniche, si affrettò ad ufficializzare il fidanzamento della ventiquattrenne Maria Stuart con l'undicenne Infante Don Ferdinando, figlio suo e di Maria I Tudor, ora erede ai due troni di Gran Bretagna e Spagna.
Nel 1566 il Sultano Solimano I, detto "il Magnifico", aveva 72 anni e governava l'Impero Ottomano da 46.
Pur soffrendo di gotta nella misura in cui era costretto a spostarsi unicamente portato su una lettiga, egli volle condurre di persona anche la sua tredicesima campagna militare
Nei primi mesi del '66 infatti crebbe la tensione tra Solimano I ed il Sacro Romano Impero. Il Sultano desiderava infatti riprendersi le città precedentemente conquistate dagli Ottomani in Ungheria e Bosnia e, quando i negoziati fallirono, dichiarò guerra a Massimiliano II.
Il 1 maggio 1566 il Sultano lasciava Costantinopoli alla testa di uno dei più grandi eserciti che avesse mai comandato.
Solimano I raggiunse Belgrado il 27 giugno, dopo una marcia di quarantanove giorni, dove si incontrò con Giovanni II Sigismondo Zápolya, cui in precedenza aveva promesso la corona di tutta l'Ungheria, per poi passare in Ungheria, dove avvenne lo scontro tra una parte degli Ottomani e le truppe del nobile croato-ungherese Nikola Zrinsky.
Il Conte Nikola Zrinsky, uno dei maggiori proprietari terrieri della Croazia, era un veterano delle guerra di frontiera austro-ottomane e poteva vantare una carriera militare di successo, distintosi sul campo di battaglia a Mohács nel '26 e durante l'assedio di Vienna del '29.
Quest'ultimo ebbe la meglio contro l'avanguardia ottomana, sconfiggendo il Sancak Bey Tirhal Mehmet presso l'accampamento turco a Siklós, per poi giustiziarlo insieme al figlio e acquisire un bottino di 17.000 ducati. Ciò suscitò l'ira del Sultano, che decise di rinviare il suo attacco ad Eger ed ordinò invece a Sokollu Mehmet Pascià di assediare la fortezza di Zrinsky a Szigetvár, mentre il governatore di Buda, Arslan Pascià, perdeva per mano delle truppe del Zrinsky le città di Palota, Veszprém e Tata.
Per questo motivo il sultano privò Arslan della sua carica e lo sostituì con Sokollu.
A Szigetvár il comando delle truppe sul campo era affidato dunque a Sokollu Mehmet Pascià ed ai suoi figli Kurt Bey e Hassan Bey.
L'esercito ottomano si presentò sotto le mura di Szigetvár con 90.000 soldati e 300 cannoni il 2 agosto 1566.
Il 5 agosto raggiunse il campo di battaglia lo stesso Solimano I, e la sua grande tenda da guerra venne eretta sul colle Similehov, dandogli una visione completa del campo di battaglia.
Zrinsky disponeva nel complesso di forza di circa 2.300 uomini tra croati ed ungheresi.
La città-fortezza di Szigetvár era divisa in tre sezioni, separate tra loro da un corso'acqua: la città vecchia, la città nuova ed il castello; ognuna delle quali era collegata alla successiva da ponti ed alla terraferma da strade rialzate. Anche se non era stato costruito su un terreno particolarmente elevato, il castello non era direttamente accessibile dagli attaccanti. Questo perché prima di lanciare un attacco diretto al castello era necessario prendere le due piazzeforti urbane che lo circondavano.
Quando il Sultano prese posizione dinanzi alla fortezza, vide le mura tappezzate di stoffa rossa: ciò significava che gli assediati non intendevano né chiedere né offrire quartiere. Si preannunciava uno scontro all'ultimo sangue.
L'assedio iniziò il 6 agosto: Solimano I ordinò un assalto generale sui bastioni, ma l'attacco venne respinto con successo.
Negli stessi giorni a Vienna Massimiliano II radunava l'esercito imperiale e richiamava dalle Fiandre Don Giovanni ed Alessandro Farnese, ai quali intendeva offrire il comando della spedizione per scacciare il Gran Turco dall'Ungheria.
Dopo oltre un mese di sanguinosi ed estenuanti combattimenti, i pochi difensori rimasti si ritirarono nella città vecchia per la loro ultima resistenza. La caduta del castello appariva oramai inevitabile, ma l'alto comando ottomano esitava.
Il 6 settembre, ad un mese esatto dall'inizio dell'assedio, il Sultano Solimano I, "il
Magnifico", venne trovato morto nella sua tenda.
Sokollu Mehmet Pascià giustiziò tutti coloro che avevano assistito alla morte del Sultano ed annunciò alle truppe che questi era troppo malato per mostrarsi e che si sarebbe curato a Szigetvár, nel frattempo egli avrebbe agito secondo le sue disposizioni.
La battaglia finale iniziò il 7 settembre, il giorno dopo la scomparsa di Solimano.
Dopo un mese di bombardamenti e mine, le mura della fortezza erano ormai ridotte in macerie. Al mattino l'artiglieria ottomana martellò insistentemente le postazioni imperiali, prima di lasciare campo libero all'assalto dei giannizzeri.
Zrinsky, per evitare che il nemico entrasse nel castello, attese che i turchi avanzassero lungo un ponte stretto, per uscire poi improvvisamente dalla porta e sparare con un grosso mortaio caricato a mitraglia, uccidendo 600 nemici.
Zrinsky ordinò infine la carica dei suoi restanti 600 soldati, ma ricevette due ferite di moschetto al petto e rimase ucciso poco dopo da una freccia alla testa.
Le sue forze rimaste si ritirarono nel castello.
Il cadavere Zrinsky fu decapitato e la sua testa venne inviata a Costantinopoli.
Poco prima di guidare la sortita finale dal castello, Zrinsky ordinò di preparare una miccia per la polveriera.
Mentre anche l'ultimo dei difensori si ritirava nella fortezza, l'esercito ottomano sciamò tra le macerie di Szigetvár e cadde nella trappola: 3.000 libbre di polvere da sparo esplosero sotto i loro piedi. Il Visir ed i suoi ufficiali a cavallo avevano avuto abbastanza tempo per scappare, ma 3.000 i turchi morirono nell'esplosione.
Nel tardo pomeriggio però, quando ormai tutti davano per scontata l'avvenuta caduta della fortezza, giunsero sul campo di battaglia Giovanni d'Asburgo ed Alessandro Farnese, alla testa di un esercito forte di 45.000 uomini, che scesero all'attacco a passo di carica. L'attacco fu condotto da Don Giovanni in persona e dai suoi 5000 cavalieri, mentre Alessandro Farnese lo supportava al comando di 40.000 picchieri e moschetieri.
La carica sbaragliò definitivamente l'esercito turco, che dovette uscire dalle mura a raggiungere i commilitoni travolti dall'impetuosa carica del Don Giovanni ed erano già in rotta.
Il cronista turco Mehmed Silihdar così commentò l'arrivo dell'armata di Don Giovanni:
« Gli infedeli spuntarono sui pendii con le loro divisioni come nuvole di un temporale, ricoperti di un metallo blu. Coprivano il monte ed il piano formando un fronte di combattimento simile ad una falce. Era come se si riversasse un torrente di nera pece che soffoca e brucia tutto ciò che gli si para
innanzi. »
Il gigantesco esercito approntato da Solimano I per strappare l'Ungheria all'Impero era già duramente provato da un mese di assedio e con il colpo di maglio infertogli da Don Giovanni ed Alessandro Farnese venne interamente spazzato via nella battaglia finale.
La disfatta a Szigetvár aveva vanificato completamente ogni piano ottomano per la conquista di Vienna e due ambasciatori inviati da Massimiliano II, il croato Antun Vrančić e lo stiriano Christoph Teuffenbach, arrivati
ad Istanbul il 26 agosto 1567, trovarono la città completamente traumatizzata dall'entità del disastro e dalla morte del Sultano Solimano I, che Sokollu Mehmet Pascià faticava a giustificare, dopo le menzogne annunciate agli ufficiali prima della battaglia.
Il nuovo Sultano, Selim II, di tempra radicalmente diversa da quella dell'energico padre, siglò l'accordo di pace tra i due imperi il 21 febbraio 1568 ad Adrianopoli, rinunciando formalmente per 30 anni a condurre nuove campagne ai danni
dell'Impero.
1567-1569.
Massimiliano II d'Asburgo concede, con la Dieta di Torda, la libertà religiosa nell'Impero.
Con l'Unione di Lublino nasce la Confederazione Polacco-Lituana, una potenza temibile con la quale la Russia, recentemente ascesa al ruolo di grande potenza sotto lo scettro del primo Zar, Ivan IV, ed il Sacro Romano Impero, dovranno fare i conti.
Una forza spagnola, sotto il comando del capitano Juan Pardo, fonda l'insediamento di Forte San Juan nella terra dei nativi americani Joara. Il forte è il primo insediamento europeo nella Carolina del Nord.
Diego de Losada fonda in Venezuela la città di Santiago de León de Caracas.
Nel 1567 scoppia in Francia la seconda guerra di religione, quando il Principe di Condé e Gaspard de Coligny falliscono nel tentativo di catturare il re Carlo IX e sua madre a Meaux. Gli ugonotti catturano diverse città tra le quali New Orleans e marciano su Parigi.
Il 10 novembre gli ugonotti danno battaglia ai realisti a Saint-Denis: Anne de Montmorency ed i suoi 16.000 vengono sconfitti da 3.500 ugonotti del Principe di Condé.
Filippo II approfitta della situazione per intervenire contro le colonie francesi in Nord America, con il pretesto di aiutare Carlo IX a liberare i cattolici dalla "pestilenza" ugonotta.
Battaglia di Jarnac (1569): le truppe realiste sotto il maresciallo Gaspard de Tavannes sorprendono e sconfiggono gli ugonotti del Principe di Condé, che viene catturato e ucciso.
Una parte considerevole dell'esercito ugonotto riesce a fuggire sotto Gaspard de Coligny che, raggiunte dalle forze del Principe Enrico di Navarra, passano al contrattacco ed assediano Poitiers, mentre ad Orthez le forze di ugonotte di Gabriel de Montgomery sbaragliano i realisti cattolici del generale Terride in Navarra.
Fino a dicembre del 1569 i cattolici subiscono una batosta dopo l'altra, quando a Moncountour le forze realiste del Maresciallo di Francia Tavannaes e del Duca d'Anjou riescono ad infliggere una dura sconfitta al Coligny, liberando Poitiers dall'assedio.
L'Armada del Norte, partita dal Vicereame della Nuova Spagna, sottomette le città ed i forti coloniali francesi di Louisiana, Georgia, Sud Carolina e Florida, molti dei quali finiti in mani ugonotte. La presenza francese nell'America Settentrionale è praticamente ridotta al solo Canada: Filippo II intende estendere il dominio spagnolo su tutto il blocco continentale.
(l'assenza dell'Inghilterra e dell'Olanda e la debolezza della Francia permettono in questa TL alla Spagna di avere rotte sicure per le ricchezze che dal Nuovo Mondo affluiscono ancor più copiose in direzione dell'Europa)
1570.
Nel 1570 viene siglata la Pace di Saint-Germain, che conclude la terza guerra religiosa in Francia. Agli ugonotti viene promessa la libertà di culto e l'autonomia politica e Filippo II riesce ad ottenere dalla Francia il controllo della Florida, ma deve rinunciare all'occupazione della Louisiana.
Viene firmata una tregua tra Russia, Svezia, Danimarca-Norvegia e Polonia-Lituania, impegnate nella guerra di Livonia, e la Pace di Stettino tra Danimarca-Norvegia e Svezia. Con questi trattati, mediati da Massimiliano II, La Danimarca-Norvegia ottiene il ripristino dell'Unione di Kalmar con la Svezia che, a sua volta, sotto pagamento di un indennizzo cede i territori dell'Unione sul Baltico orientale alla Polonia-Lituania.
L'accordo lascia profondamente indispettito Ivan IV, che rimane a bocca asciutta.
Il nuovo Sultano, Selim II, salito al trono nel 1566, durante la campagna d'Ungheria della guerra ottomano-asburgica, aveva, tra i primi atti, deposto l'ultimo Duca dell'Arcipelago, Jacopo IV Crispo, vassallo della Repubblica di Venezia.
Selim II, giovane ed ambizioso ma con un evidente complesso di inferiorità verso il padre, Solimano il Magnifico, affidò il controllo degli affari di stato al Gran Visir Sokollu Mehmet Paşa, il quale decise di rivolgere le attenzioni dell'Impero Ottomano su Cipro, il vasto e ricco possedimento veneziano situato a pochi chilometri dalle sue coste, che ben si prestava a garantire la via marittima per il pellegrinaggio alla Mecca.
Venezia, in pace armata coi Turchi sin dal 1540, al termine della terza guerra turco-veneziana, tentava di non dare pretesto a Selim per la guerra, ma il 13 gennaio 1570 il bailo di Costantinopoli, Antonio Barbaro, informò la Serenissima Signoria di essere venuto a sapere delle bellicose intenzioni del Sultano. In precedenza si era molto discusso (sia a Venezia che a Costantinopoli) di una possibile spedizione ottomana contro Granada, in cui la minoranza islamica, insorta nel 1568, stava subendo la vendetta spagnola. La Spagna era stata però informata dalle sue spie di questi maneggi, e ne aveva preso nota. Il 28 marzo giunse a Venezia l'ambasciatore di Selim, recando la richiesta di consegna dell'isola, con il pretesto della sua passata appartenenza all'Islam oltre a quello, molto più concreto, che sull'isola andavano sovente a rifugiarsi corsari crisitiani che i veneziani non potevano o non volevano catturare e consegnare (come da accordi) alla giustizia ottomana. La risposta venne rigettata e iniziarono i preparativi di guerra: a Cipro, dove era luogotenente Nicolò Dandolo, venne inviato Giulio Savorgnan, esperto in fortificazioni, mentre venivano dispensati dal partecipare all'elezione del nuovo Doge tutti quei magistrati che avessero avuto parte ai preparativi militari. Girolamo Zane fu nominato Capitano Generale da Mar ed tutti i legni veneziani venne dato ordine di non lasciare i porti senza autorizzazione. Richieste di aiuto vennero inviate in tutta Europa, persino al Patriarca di Costantinopoli, perché istigasse con il suo clero la Morea alla rivolta, e allo Zar Ivan il Terribile perché attaccasse per via di terra.
Filippo II, che risentiva duramente della pessima figura fatta in precedenza agli occhi della cristianità, quando rifiutò di portare aiuto a Malta, questa volta mobilitò prontamente la propria flotta, affidata agli ammiragli spagnoli Don Álvaro de Bazán, marqués de Santa Cruz de Mudela, e Luis de Requesens y Zúñiga ed all'ammiraglio inglese Sir Francis Drake.
La flotta veneziana, forte di cinquanta galee, si mosse quindi su Zara per attendere la flotta promessa da Filippo II di Spagna. La lunga sosta consentì a flottiglie turchesche di saccheggiare i centri della Dalmazia, mentre la disciplina si allentava tra i veneziani e si diffondevano malattie. Lo Zane decise quindi di puntare su Corfù, giungendovi ad estate inoltrata.
Frattanto il 1 luglio i Turchi, al comando di Lala Mustafà Pascià, erano sbarcati in un'incursione a Limisso, seguita, il 3 luglio, dallo sbarco dell'armata principale, che non fu contrastata dai Veneziani (inizialmente in superiorità numerica, soprattutto in termini di cavalleria, ma carenti, a differenza dei turchi, di ufficiali esperti e truppe veterane). La popolazione cipriota veniva concentrata nella difesa di Nicosia e Famagosta, mentre i borghi e le campagne circostanti avevano ordine di trasportare tutti i viveri nelle fortezze e di distruggere gli abitati non portetti per non lasciare ai Turchi nulla di cui servirsi. Purtroppo l'ordine non fu eseguito quasi da nessuna parte. La popolazione cipriota era molto ostile ai venziani e alla nobiltà crociata (di origine italo-francese) cattolica che, con l'appoggio dei veneti, sfruttava in maniera coloniale gli abitanti greco-ortodossi. Per punire la cittadina di Lescara, che, con esempio pericoloso, si era prontamente sottomessa ai Turchi, i Veneziani inviarono un contingente da Nicosia che, nottetempo, distrusse il paese dandolo alle fiamme. I Turchi, dal canto loro, marciarono sulla capitale Nicosia ed iniziarono l'assedio e il bombardamento. La città, difesa da poche migliaia di soldati (1.000-1.500 mercenari italiani, circa 3.000 miliziani delle cernide, e circa 2.000 o poco più della milizia del popolo, ma maldisposta verso i veneziani e mal addestrata) era abitata da circa cinquantamila uomini, tra nativi e profughi, ed oltre alla fanteria si era rifugiata nella città anche buona parte della nobiltà cipriota (circa 500 famiglie) che era tenuta a combattere come cavalleria armando i propri bravi come cavalleggeri (circa 1.000-1.500 uomini) ed i cavalleggeri stradioti albanesi (400-600 uomini) che, assieme agli schiavoni croato-dalmati, costituiva i reparti d'élite delle truppe veneziane.
Il 15 agosto la guarnigione di Nicosia attaccò i Turchi in una sortita, ma il mancato intervento della cavalleria stradiota (per un errore di comando) non permise di rompere l'accerchiamento della capitale. Nella notte i Turchi irruppero in città ed il 16 agosto Nicosia era caduta. Numerose migliaia di abitanti furono deportati come schiavi. Seguirono in breve il suo destino anche Limisso e Larnaca, arresesi ai Turchi, così come si arresero molti castelli delle montagne a settentrione di Nicosia, ove non pochi nobili ciprioti accettarono la conversione all'islam per conservare i loro feudi come timurie.
Il 22 agosto la città di Famagosta, difesa da Marcantonio Bragadin e da Astorre Baglioni, venne assediata dall'imponente flotta capitanata da Lala Kara Mustafa Pascià.
Verso metà ottobre, il comandante ottomano Lala Mustafà invitò gentilmente il governatore della città Bragadin ad arrendersi, ma questi rifiutò. Vedendosi rifiutato il proprio invito, il generale turco s'irritò passando quindi a modi "meno cortesi": inviò l'ordine di resa immediata insieme alla testa mozzata e in fase di putrefazione di Niccolò Dandolo, governatore di Nicosia. Questo non spaventò né Bragadin né Baglioni, i quali, dopo aver fatto seppellire con le dovute onoranze funebri la testa del malcapitato, decisero di non arrendersi.
Famagosta aveva un ottimo sistema difensivo: si affacciava al mare ed era protetta da un muro di cinta dotato di quattro bastioni e a sua volta la cinta muraria era protetta da un ampio e profondo fossato. Questo però non poteva resistere all'enorme esercito ottomano, e per giunta in continuo incremento d'unità. A peggiorare la situazione dei veneziani s'aggiunse pure la scarsità di derrate alimentari in giacenza.
I primi attacchi vennero condotti dai giannizzeri, che però furono respinti dalla cavalleria veneziana. Vedendo la futilità di questo tipo d'attacco, Lala Mustafà decise di cambiare tattica e di far uso dell'artiglieria: con 25 cannoni e 4 basilischi iniziò a bombardare la città.
Data la loro colossale inferiorità numerica, gli assediati, dal canto loro, non potevano fare altro che resistere con la speranza che da un momento all'altro giungessero in loro aiuto rinforzi da Venezia. Nel frattempo Bragadin ed il comandante delle truppe Astorre Baglioni seppero sfruttare al meglio le poche truppe di cui disponevano ed il sistema fortificato sul quale si appoggiavano: riuscirono a resistere per tutto l'inverno, in grazia principalmente della loro batteria e delle incursioni a sorpresa che effettuavano al di fuori delle mura nell'accampamento degli assedianti.
Tutto questo non fece altro che irritare maggiormente il generale turco, il quale temeva un'altra rovinosa sconfitta come quella subita durante l'Assedio di Malta avvenuto cinque anni prima; un altro insuccesso militare e avrebbe compromesso la sua carriera e forse anche la sua stessa vita. Quindi chiese ulteriori rinforzi e dopo due mesi riuscì ad incrementare il proprio esercito assediante raggiungendo le 250.000 unità.
1571.
Il 26 gennaio 1571 giunsero a Famagosta 16 galee veneziane guidate da Marcantonio Querini, non per offrire supporto militare contro il nemico, bensì solo per rifornimento di viveri e di nuove truppe, circa 1.600 uomini: tra questi rimase a combattere anche il figlio di Gianantonio Querini, Marcantonio. Un successivo rifornimento di 800 fanti arrivò in marzo.
Agli inizi di aprile l'esercito turco riprese attivamente l'attività bellica; nel frattempo gli ottomani avevano posizionato nuova artiglieria, in tutto 85 cannoni più alcuni grossi basilischi di bronzo, e scavato nuove trincee.
Riprese quindi anche il bombardamento sulla città, la quale ormai era ridotta a un cumulo di macerie.
Verso fine luglio Mustafa Pascià, che aveva da poco perso il figlio in battaglia, ordinò il più pesante bombardamento dall'inizio dell'assedio. Ormai le mura non erano più in grado di resistere e di soldati, in gran parte feriti, erano rimasti appena settecento, incapaci di gestire la difesa.
Il Baglioni e il Colonnello Martinengo optarono per la resa. Marcantonio Bragadin prevedeva il tragico destino della città, ma decise di sottoscrivere lo stesso la resa.
Il 4 agosto Famagosta si arrese.
I capi veneziani ottennero da Mustafa Pascià la promessa di aver salva la loro vita e quella di tutti gli abitanti della città ancora in vita, considerando anche l'eventualità che essi decidessero di rimpatriare.
Ma Mustafa, venendo contro alle sue promesse, fece uccidere Baglioni appena firmata la resa. Il colonnello Martinengo, catturato, fu impiccato tre volte. La città venne lasciata in balia delle milizie ottomane, che seminarono la strage.
Marcantonio Bragadin venne catturato e gli furono mozzate le orecchie. Fatto girare per le vie della città per tredici giorni a cavallo di un mulo, sottoposto allo scherno dei soldati vincitori, il 17 agosto venne condotto, dopo altre innumerevoli sevizie ed umiliazioni, nella piazza principale e scuoiato vivo.
La sua pelle, ancora oggi conservata a Venezia, venne issata sulla nave ammiraglia e portata ad Istanbul.
L'eroica resistenza di Famagosta servì in ogni caso a far guadagnare tempo alle forze cristiane, tenendo impegnata l'immensa flotta ottomana mentre quella cristiana si stava ancora mobilitando.
Il 2 luglio intanto, Venezia, il Papato e la Spagna siglarono un'alleanza contro i Turchi passata alla Storia come Lega Santa.
La coalizione cristiana era stata promossa alacremente da Papa Pio V per soccorrere la città veneziana di Famagosta. In realtà il Pontefice voleva bloccare definitivamente l'invasione turca difendendo così l'intero Occidente cristiano. Il vessillo, benedetto dal Papa, giunse a Napoli il 14 agosto 1571, dove venne consegnato solennemente a Don Álvaro de Bazán, nella basilica di Santa Chiara.
La flotta della lega raggiunse in seguito la Sicilia, lasciando Messina dopo aver riunito una flotta composta da 50 navi veneziane tra galee, navi da carico, imbarcazioni minori e 6 potenti galeazze, 79 galee della Spagna (incluse le 29 provenienti dal Regno di Napoli, 7 dal Regno di Sicilia e le 3 di Malta, poiché erano feudi appartenenti all'impero spagnolo), 38 fregate inglesi (versione britannica delle galeotte mediterranee, progettate per andare sia a vela che a remi, erano più pesantemente armate delle loro cugine) sempre parte del contingente anglo-spagnolo, oltre a 3 galee del Ducato di Savoia, 12 galee del Granduca di Toscana noleggiate direttamente dal Papa e la flotta maltese degli Ospitalieri.
Giungendo in cerca di riparo dalla nebbia e dal forte vento nel porto di Viscando, non lontano dal luogo della battaglia di Azio, la flotta cristiana fu raggiunta dalla notizia della caduta di Famagosta e dell'orribile fine inflitta dai turchi a Marcantonio Bragadin.
Nonostante il maltempo le navi della Lega presero il mare verso Cefalonia, sostandovi brevemente, e giungendo, il 6 ottobre davanti al golfo di Patrasso, nella speranza di intercettare la potente flotta ottomana.
Il 7 ottobre, domenica, Don Álvaro de Bazán fece schierare le navi della lega in formazione serrata, deciso a dar battaglia: non più di 150 metri separavano le galee l'una dall'altra.
Il centro dello schieramento cristiano si componeva di 30 galee e 2 galeazze veneziane, 15 galee spagnole e napoletane, 7 pontificie, 3 maltesi, 1 sabauda, per un totale di 56 galee e 2 galeazze. Lo comandava Don Álvaro de Bazán in persona. Con lui a bordo vi era anche Francesco Maria II della Rovere, figlio ed erede del Duca Guidobaldo II della Rovere nonché Capitano Generale degli oltre 2.000 soldati volontari provenienti dal Ducato d'Urbino. Affiancavano per ragioni di prestigio la galea Real spagnola la Capitana di Sebastiano Venier, settantacinquenne Capitano Generale veneziano, la Capitana di Sua Santità di Marcantonio Colonna, trentaseienne ammiraglio pontificio, la Capitana di Andrea Provana di Leinì, Capitano Generale piemontese, l'ammiraglia Vittoria del priore Piero Giustiniani, Capitano Generale dei Cavalieri di Malta.
Il corno sinistro si componeva di 43 galee e 2 galeazze veneziane, 10 galee spagnole e napoletane e 2 pontificie, per un totale di 55 galee e 2 galeazze al comando del provveditore generale Agostino Barbarigo, ammiraglio veneziano.
Il corno destro era invece composto di 20 galee e 2 galeazze veneziane, 35 fregate inglesi, 8 galee spagnole e siciliane, 2 sabaude e 2 pontificie, per un totale di 32 galee, 35 fregate e 2 galeazze, al comando dell'inglese Sir Francis Drake sulla sua capitana.
Le spalle dello schieramento erano coperte dalle 28 galee di Luis de Zúñiga y Requesens: 13 spagnole e napoletane, 12 veneziane, 3 pontificie, più 2 fregate inglesi.
L'avanguardia, guidata da Juan de Cardona, si componeva di 8 galee: 4 siciliane e 4 veneziane.
In totale la flotta cristiana si componeva di 6 galeazze, 179 galee, 38 fregate, 30 navi da carico, circa 14000 marinai, circa 44000 rematori, circa 28000 soldati e circa 2000 cannoni.
I Turchi schieravano l'ammiraglio Mehmet Shoraq, detto Scirocco, all'ala destra con 55 galee, il comandante supremo Mehmet Alì Pascià al centro con 90 galee conduceva la flotta a bordo della sua ammiraglia Sultana, su cui sventolava il vessillo verde sul quale era stato scritto 28.900 volte a caratteri d'oro il nome di Allah; infine l'ammiraglio, considerato il migliore comandante ottomano, Uluč Alì, detto Occhialì, presiedeva all'ala sinistra con 90 galee.
Nelle retrovie schieravano 10 galee e 60 navi minori comandate da Amurat Dragut.
Don Álvaro de Bazán decise di lasciare isolate in avanti, due davanti ad ogni "corno", come esca le 6 potentissime galeazze veneziane, camuffate da navi da carico. Le galeazze davanti allo schieramento veneziano erano al comando degli ammiragli Antonio e Ambrogio Bragadin, che verosimilmente bramavano di vendicarsi per la brutalissima uccisione del loro fratello Marcantonio a Famagosta.
All'avvicinarsi degli ignari Turchi, queste scaricarono cannonate con una potenza di fuoco mai vista prima sul mare fino a quel giorno.
Le linee ottomane subiscono molte perdite ma Alì Pascià, vista l'imprendibilità di queste fortezze galleggianti, decise di superare di slancio le galeazze: queste navi erano inabbordabili da una normale galea, vista la loro notevole altezza. Di conseguenza Don Álvaro de Bazán aveva deciso di togliere un gran numero di spadaccini dalle galeazze e sostituirli con archibugieri, i quali crearono gravi danni alla flotta turca. Pertanto Alì, senza impegnarsi in battaglia con queste grosse navi, dopo averle superate decise di scagliare tutta la sua flotta in uno scontro frontale per, essendo in superiorità numerica, tentare di circondare la flotta nemica mirando unicamente all'abbordaggio della nave di Don Álvaro de Bazán e provare ad ucciderlo subito, demoralizzando così la flotta della Lega Cristiana.
Nell'ambito dei comandanti turchi non poche voci si erano espresse in senso contrario, ma il temperamento ed il carisma di Alì Pascià spinse i Turchi, in favore di vento, a scatenare la battaglia.
Per i cristiani gli scontri all'inizio coinvolsero pesantemente il veneziano Barbarigo, che era alla guida dell'ala sinistra e posizionato sotto costa: deve contrastare l'abile comandante Scirocco ed impedire che possa insinuarsi tra le sue navi e la spiaggia, per accerchiare la flotta cristiana. La manovra ha solo un parziale successo e lo scontro si accende subito violentemente. La stessa galea del Barbarigo diventa teatro di un'epica battaglia nella battaglia con almeno due capovolgimenti di fronte. Ferito gravemente alla testa, Barbarigo muore e le retrovie devono correre in soccorso dei veneziani per scongiurare la disfatta: ma grazie all'arrivo della riserva, guidata da Luis de Zúñiga y Requesens, le sorti si riequilibrano e così Scirocco venne catturato, ucciso ed immediatamente decapitato.
Al centro degli schieramenti, Alì Pascià cerca e trova la galea di Don Álvaro de Bazán, la cui cattura risolverebbe definitivamente lo scontro. Contemporaneamente altre galee impegnano il Venier e Marcantonio Colonna. Molti sono gli episodi di eroismo: l'equipaggio della galea Fiorenza dell'Ordine di Santo Stefano rimane quasi interamente ucciso in un assalto, eccetto il suo comandante Tommaso de' Medici con quindici uomini, che vengono catturati dai turchi.
Con un rumore assordante, i Turchi iniziarono l'assalto alle navi di Don Álvaro de Bazán suonando timpani, tamburi, flauti.
La flotta di Don Álvaro de Bazán era viceversa nel più assoluto silenzio, e quando i legni giunsero a tiro di cannone, i cristiani ammainarono tutte le loro bandiere e Don Álvaro de Bazán innalzò lo Stendardo di Lepanto con l'immagine del Redentore Crocifisso. Una croce venne levata su ogni galea ed i combattenti ricevettero l'assoluzione secondo l'indulgenza plenaria concessa da Pio V per la crociata. Improvvisamente il vento cambiò direzione: le vele dei Turchi si afflosciarono e quelle dei cristiani si gonfiarono. Rincuorato da quello che sembrava un segno divino, Don Álvaro de Bazán puntò diritto contro la Sultana. Il Tercio di Sardegna si lanciò per primo l'arrembaggio alla nave turca, che diviene il campo di battaglia, i musulmani a poppa e i cristiani a prua.
Al terzo assalto i sardi sfondarono fino a poppa, ma Don Álvaro de Bazán venne ferito ad una gamba nel corso del combattimento ed i turchi approfittarono per respingere gli spagnoli.
Più volte le navi avanzarono e si ritirarono, Venier e Colonna dovettero disimpegnarsi per accorrere in aiuto a Don Álvaro de Bazán che sembrava avere la peggio.
Alla sinistra turca, al largo, la situazione era ancora poco cruenta ma un po' più complicata.
"El Draque", come gli spagnoli chiamavano Sir Francis Drake, disponeva di sole 32 galee, meno della metà di quelle degli altri tronconi della flotta, e davanti a sé aveva schierate ben 90 galee, cioè circa il doppio dei nemici fronteggiati dai veneziani sul lato opposto dello schieramento, ed oltretutto in un'area molto più ampia di mare aperto.
Quello che gli ottomani ignorano è che le fregate inglesi non sono delle semplici "galeotte", quali sembrano, bensì legni progettati per battaglie navali in ambito oceanico.
Drake, ad un certo momento della battaglia, si sgancia con le sue fregate, facendo vela verso il mare aperto.
Nonostante avesse avuto l'ordine, ugualmente al Barbarigo, di difendere e proteggere il fianco della flotta di Don Álvaro de Bazán, per impedire l'accerchiamento delle sue navi che si trovavano sotto un violento attacco frontale, inaspettatamente spaccò il lato destro dello schieramento cristiano, puntando verso il mare aperto e lasciando aperto un buco che le 32 galee del suo schieramento faticavano nel tentare di chiudere per coprire il fianco destro.
A quel punto, Uluç Ali si insinuò nel varco, pensando che gli inglesi fossero in fuga, per attaccare il fianco destro dello schieramento di Don Álvaro de Bazán. Vedendo le intenzioni di Uluc Alì, la nave ammiraglia dei Cavalieri di Malta al cui comando era Pietro Giustiniani, priore dell'Ordine, la Fiorenza e la San Giovanni della flotta papale, e la Piemontesa della flotta sabauda, si voltarono per affrontarlo.
Ma a questo punto scattò la strategia del Drake: le fregate inglesi, a differenza delle galee mediterranee, non erano armate con il cannone di corsia, posto a prora, bensì erano state adattate per le necessità della guerra in atlantico. Dotate di due alberi a vele latine e 12 remi semplici, erano armate con alcuni cannoni sui castelli e 20 cannoni sul ponte, 10 per ciascuna murata.
Quando la flottiglia del Drake riuscì ad allinearsi dando il fianco ai turchi, una pioggia di ferro e fuoco si abbatté sulla flotta ottomana, devastandola prima che arrivasse a contatto con il centro dello schieramento cristiano.
Al centro, il comandante in capo ottomano Alì Pascià, già ferito, cadde abbattuto da un'archibugiata. La nave ammiraglia ottomana venne abbordata e, contro il volere di Don Álvaro de Bazán, il cadavere dell'ammiraglio ottomano Alì Pascià viene decapitato e la sua testa esposta sull'albero maestro dell'ammiraglia spagnola.
La visione del condottiero ottomano decapitato contribuì enormemente a demolire il morale dei Turchi. Di lì a poco, infatti, alle quattro del pomeriggio, le navi ottomane rimaste abbandonavano il campo, ritirandosi definitivamente.
Il teatro della battaglia si presentava come uno spettacolo apocalittico: relitti in fiamme, galee ricoperte di sangue, morti o uomini agonizzanti. Erano trascorse quasi cinque ore quando infine la battaglia ebbe termine con la vittoria cristiana.
Don Álvaro de Bazán riorganizzò la flotta per proteggerla dalla tempesta che minacciava la zona ed inviò galee verso tutte le capitali della lega per annunciare la clamorosa vittoria: i Turchi avevano 110 galee affondate 130 catturate, 34 galeotte affondate e 18 catturate, inoltre 53.000 uomini tra morti e feriti ed altri 13.000 prigionieri. Inoltre vennero liberati 26.000 cristiani dalla schiavitù ai banchi dei remi.
Gli Ottomani avevano salvato meno di un terzo delle loro navi.
Molti prigionieri ottomani, in particolare gli abilissimi e addestratissimi arcieri e i carpentieri, furono uccisi dai veneziani, sia per vendicare i prigionieri uccisi dai turchi in precedenti occasioni, sia per impedire alla marineria turca di riprendersi rapidamente.
La flotta della lega fece quindi rientro a Napoli.
Nelle città d'occidente la notizia venne accolta in un tripudio di feste e gioia popolare che durarono giorni; a Roma, Venezia e Torino vennero celebrati solenni Te Deum di ringraziamento. A Napoli fu elevata la colonna della vittoria nel posto esatto dove le navi cristiane approdarono. Papa Pio V nel 1572 istituirà la "Festa di Santa Maria della Vittoria", successivamente trasformata nella "Festa del SS. Rosario", per celebrare l'anniversario della storica vittoria ottenuta "per intercessione dell'Augusta Madre del Salvatore, Maria".
La bandiera della nave ammiraglia turca di Mehmet Alì Pascià, presa da due navi pisane, la "Capitana" e la "Grifona", venne custodita a Pisa, nella chiesa dei Cavalieri dell'Ordine Cavalleresco Sacro Militare Marittimo di Santo Stefano Papa e Martire, fondato da Cosimo I de' Medici granduca di Toscana.
Questa battaglia fu la prima grande vittoria di una flotta cristiana occidentale contro l'Impero ottomano ed ebbe anche un'importanza psicologica notevole, in quanto avveniva solo pochi anni dopo la devastante vittoria Austriaca a Szigetvár.
I Turchi infatti, fino a quel momento potevano vantare decenni di travolgente espansione territoriale ai danni dei cristiani d'oriente e dei Balcani.
Le due vittorie cristiane segnarono infatti un punto di svolta importante negli equilibri militari nell'area del Mediterraneo: dopo oltre un secolo di continua espansione turca, che dalla occupazione di Costantinopoli (1453) in poi aveva continuato un'avanzata che pareva ormai inarrestabile (Siria, Arabia, Egitto, Belgrado, Rodi, Ungheria, arrivando persino ad assediare Vienna); le disfatte di Lepanto e Szigetvár rappresentarono una significativa inversione di tendenza, che impedì ai turchi una ulteriore espansione.
Nonostante la sconfitta turca a Lepanto, la scarsa coesione tra i vincitori impedì alle forze alleate di sfruttare appieno la loro vittoria ed ottenere una supremazia duratura sugli Ottomani.
Dal canto suo, l'Impero Ottomano, che pure aveva risentito duramente del colpo, iniziò subito una poderosa opera di ricostruzione della flotta, che si concluse in 6 mesi ma, pur riacquistando la superiorità numerica nei confronti della coalizione cristiana, la marina turca non riuscì a riconquistare la supremazia. Le nuove navi turche infatti erano state costruite troppo in fretta, tanto che l'ambasciatore veneziano notificò al Senato veneziano che bastavano 70 galee ben armate e ben equipaggiate per distruggere quella flotta costruita con legname non stagionato e cannoni mal fusi.
Dopo Lepanto infatti la flotta turca evitò a lungo di ingaggiare grosse battaglie, dedicandosi invece con successo alla guerra di corsa e alla distruzione dei traffici nemici.
La sconfitta, tuttavia, non permise ai Veneziani e all'esercito cristiano di riconquistare l'isola di Cipro che era caduta da appena due mesi in possesso ottomano. Questo anche a causa dell'ostilità delle altre potenze nei confronti della Serenissima che, se troppo forte, avrebbe potuto riprendere una politica egemonica sulla penisola italiana.
La Serenissima fu quindi costretta a firmare un trattato di pace a condizioni poco favorevoli.
La battaglia di Lepanto ebbe anche importanti conseguenze all'interno del mondo musulmano, gli Hafsidi e le varie Rreggenze barbaresche che governavano il Maghreb in nome del Sultano Ottomano e sotto il suo protettorato, soprattutto perché costretti dalla sua potente flotta e desiderosi di ottenere protezione contro la Spagna, dopo questa battaglia "rialzarono la testa", guadagnando spazi d'autonomia, o dedicandosi nuovamente alla guerra di corsa, anche contro gli interessi del Sultano.
Nel Sacro Romano Impero intanto, ai festeggiamenti per la vittoria cristiana si mescolavano i malumori di Giovanni Andrea Doria, indispettito con Massimiliano II per aver voluto rispettare la tregua trentennale con il Sultano e rifiutare all'Ammiraglio imperiale la partecipazione alla battaglia, anche sotto le sole bandiere della Superba. Massimiliano blandisce il genovese con il titolo di Grand'Ammiraglio dell'Impero, estendendo i poteri militari di Doria anche sulle flotte tedesche e sullo strategico porto imperiale di Trieste, decisione che indispettisce e preoccupa enormemente Venezia.
E poi?
Per farmi sapere che ne pensate, scrivetemi a questo indirizzo.
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La palla passa a Perchè No?:
"Quelli che cadono" è il titolo di un recente saggio del storico Jérémie Foa a proposito del massacro della Notte di San Bartolomeo. La sua ricerca è stata veramente impressionante, ricercando i dettagli sulla vita degli uomini che hanno compiuto il massacro e studiando come esso è stato possibile.
In Francia abbiamo un'immagine assai drammatica dell'evento. L'immagine dei semplici parigini che diventano in una notte una massa di pazzi omicidi ed assassinano nelle strade uomini, donne e bambini in nome di Dio è stata largamente popolarizzata da Alexandre Dumas nella sua "Regina Margot" e corrisponde a una visione repubblicana più tardiva.
Il lavoro di Jérémie Foa dimostra che il
massacro è stato piuttosto il risultato dell'azione di cinque o sei capi presi
nel popolo con funzioni municipali. Questi individui hanno arrestato e
massacrato gli Ugonotti in spazi chiusi e privati, lontano dagli occhi dei più,
e sembra che parte dei Parigini potesse ignorare (più o meno volontariamente)
cosa succedeva.
Gli Ugonotti parigini si sono lasciati riunire senza difendersi perché negli
anni precedenti gli stessi individui avevano già compiuto tali arresti di massa
(poi con liberazioni o riscatti), ma stavolta si sono lasciati intrappolare
nelle mani degli esecutori.
Si deve ovviamente fare una distinzione dalla San Bartolomeo nobile al Louvre,
opera più politica dei Guise e della famiglia reale, un evento più limitato. Gli
ufficiali parigini però hanno compiuto un massacro più vasto e non previsto, del
quale la famiglia reale ha dovuto prendersi la responsabilità a posteriori per
mascherare la suo mancanza totale di controllo.
L'autore porta anche la sua conclusione alla domanda centrale: il massacro è stato previsto? Era una trappola? Lui dice che, a parte l'assassino di Coligny e alcuni altri, non era previsto, ma anni di persecuzioni, ripetendo i futuri meccanismi del massacro, lo hanno permesso, senza parlare della tolleranza nei confronti dei futuri capi del massacro per mantenere l'ordine senza controllare i loro metodi.
Personalmente questo libro mi ha molto scosso. Sono nato il 24 agosto, il giorno della Notte di San Bartolomeo, e il massacro è sempre stato uno degli eventi fondamentali nella mia visione della storia e dell'umanità (o della mancanza di fiducia in questa stessa umanità). Sapere che le orde di assassini ordinari non sono forse esistite, ma che fu l'abituale piccolo gruppo di bastardi ad approfittare dell'occasione mi sembra una lezione utile (forse spesso limitata a eventi più recenti del XX secolo) e salutare, senza parlare della grande qualità di scrittore dell'autore, la sua inchiesta impeccabile e i suoi riferimentimeta-storici. Posso solo sperare in una futura traduzione italiana.
Questo apre pero diversi scenari ucronici per noi:
- La famiglia reale e i Guisa sono più prudenti, e controllano meglio i loro collaboratori parigini. La notte di San Bartolomeo solo i capi protestanti sono uccisi, ma i disordini popolari sono sotto controllo. I protestanti senza capi (Henri di Navarra essendosi convertito) si sottomettono almeno per il momento, e il potere reale ne esce rafforzato, permettendo l'inizio di un ritorno all'ordine (e il Guisa sarà fatto fuori più tardi come nella nostra TL).
- Spaventati dalle informazioni che arrivano al Louvre, Caterina de' Medici e Carlo IX ordinano di fermare il massacro e di difendere gli Ugonotti parigini. Arriviamo allo stesso risultato di prima, ma la dinastia Valois non ne esce umiliata e sopratutto non diventa sinonimo di tradimento, forse i Valois possono mantenersi sul trono. Non so se lo sapevate, ma Carlo IX aveva un figlio illegittimo (da una protestante!), poi legittimato senza diritto al trono (é diventato il duca di Angoulême). A Carlo IX sarebbe successo suo fratello Henri III e non vedo perché il loro fratello, il duca di Alençon, non potrebbe morire come nella nostra TL. Ma dopo i fratelli e davanti alla scelta della successione in favore di Henri di Navarra si potrebbe immaginare una legittimazione piena di Angoulême per mantenere la dinastia. Sarebbe stato re sotto il nome di Carlo X. Davanti alla scelta della successione di Henri de Navarre il regno potrebbe acconsentire a vederlo salire sul trono come Carlo X. Il suo regno inizierebbe nel 1589 (se Henri III è assassinato lo stesso) e finirebbe nel 1650. Dopo di lui ci sarebbe Luigi XIII (o Louis-Emmanuel I) per un breve regno fino al 1653, e dopo di lui Antoine I fino al 1701, ma a questo punto la genealogia sarebbe diversa con i matrimoni dinastici.
- Alternativa alla precedente. La reazione negativa del re spaventa i capi parigini che decidono allora di proteggersi attaccando anche il Louvre. Caterina de' Medici e il re scappano con i Guisa e Parigi entra in una ribellione simile alla successiva Lega Santa parigina. Simili ribellioni avvengono altrove e il Guisa si tiene lontano dagli eventi per non sembrare sostenere un campo o l'altro. Paradossalmente Carlo IX è costretto ad avvicinarsi adHenri di Navarra e ai suoi sostenitori ugonotti per riprendere la sua capitale dopo un assedio brutale, ricreando le condizioni gia viste nella nostra TL all'epoca di Henri III e portando a una pacificazione e coabitazione forzata in Francia. Forse si potrebbe sperare in una fine anticipata delle guerre di religione (dipende se si possono fare fuori i Guisa in questa occasione).
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Diamo ora la parola ad Alessio Mammarella:
Tutti sappiamo quanto la morte in battaglia di un sovrano (o di un suo erede) può apportare cambiamenti alla storia di una dinastia. Come sarebbe cambiata la storia se Ferdinando d'Ungheria fosse morto nel 1634, nel corso della battaglia di Nordlingen?
Provo a illustrare la questione per punti:
- Ferdinando d'Ungheria in HL è diventato
l'Imperatore Ferdinando III nel 1637, in caso di morte in quella battaglia non
lo sarebbe mai diventato (sostituito presumibilmente da suo fratello minore
Leopoldo Guglielmo);
- Ferdinando d'Ungheria è stato padre dell'Imperatore Leopoldo I, che in questo
scenario non sarebbe mai nato (con enormi conseguenze: quasi tutti gli esponenti
successivi della dinastia sono discesi da lui).
- Leopoldo Guglielmo, se avesse preso il posto del fratello, avrebbe potuto
regnare fino alla sua morte (1662) però essendo un religioso non ha e non
avrebbe avuto figli;
- Ferdinando, il primo degli unici due figli avuti da Ferdinando d'Ungheria in
questa ipotesi, sarebbe stato il più accreditato per la successione dello zio,
ma solo fino al 1654, quando sarebbe morto di vaiolo;
- Marianna, secondogenita di Ferdinando d'Ungheria, sposò in HL Filippo IV di
Spagna. Lo avrebbe sposato comunque, anche in questo scenario? Suo fratello
Ferdinando, alla data in cui avvenne quel matrimonio, appariva perfettamente
sano e pronto a diventare Imperatore nel giro di qualche anno, quindi possiamo
pensare di sì. Possiamo considerare la sua morte improvvisa, avvenuta dopo pochi
anni a causa del vaiolo, come un accidente imprevedibile;
- Margherita Teresa, figlia di Marianna e Filippo di Spagna, in HL sposò
Leopoldo I (che in questo scenario non è nato). Chi avrebbe sposato allora?
Sarebbe stata lei a trasmettere presumibilmente l'eredità austriaca al rampollo
di un'altra dinastia (come nel caso Maria Teresa-Francesco Stefano);
- Altri principi, come i bavaresi Ferdinando Maria e Massimiliano Filippo
(nipoti di Leopoldo Guglielmo in quanto figli di sua sorella) avrebbero potuto
accampare pretese? In ogni caso penso che avrebbero cercato di approfittare del
delicato passaggio;
- Claudia Felicita, figlia di Ferdinando Carlo del Tirolo (un ramo asburgico
cadetto) in HL sposò Leopoldo I: anche chi avrebbe sposato lei in questo diverso
scenario avrebbe rilievo.
Riassumendo:
A causa della morte precoce di Ferdinando
d'Ungheria, Leopoldo Guglielmo sarebbe stato Imperatore dal 1637 al 1662. Fino
al 1654 con l'idea di trasmettere la corona al nipote Ferdinando,
successivamente confidando negli eredi di Filippo IV di Spagna e la nipote
Marianna.
Dopo il 1662 Marianna sarebbe stata l'erede dei domini asburgici, ma sarebbe
dovuta restare lontano da Vienna in quanto Regina di Spagna. E' anche difficile
pensare che suo marito avrebbe potuto aspirare alla carica di Imperatore, salvo
trovarsi quasi tutti gli stati europei coalizzati contro.
Forse in via provvisoria a vestire la corona imperiale sarebbe stato un altro
religioso di famiglia, Sigismondo Francesco (fratello minore di Ferdinando Carlo
del Tirolo) che comunque sarebbe morto nel 1665, stesso anno peraltro di Filippo
IV di Spagna.
Il 1665 sarebbe quindi stato l'annus horribilis per la dinastia, in cui Marianna
d'Asburgo avrebbe dovuto approntare il matrimonio di una figlia quattordicenne
(da accasare al più presto con un principe tedesco abbastanza prestigioso e
capace da governare i domini asburgici e cingere la corona imperiale) e al tempo
stesso curare la reggenza per il proprio figlio, giovanissimo e molto malato,
diventato improvvisamente Re di Spagna. Magari a complicare la situazione ci si
sarebbe messo Ferdinando Maria di Baviera che avrebbe forse tentato di ottenere
lui la corona imperiale e poi far leva sul vuoto di potere a Vienna e
impadronirsi dei domini asburgici.
Vi sembra una ricostruzione plausibile? Avete idee su come potrebbe svilupparsi
questo scenario successivamente?
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Tommaso Mazzoni obietta:
Beh, mi pare chiaro che Leopoldo Guglielmo avrebbe chiesto e ottenuto una dispensa papale per sposarsi.
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Gli replica il nostro Federico Sangalli:
Leopoldo Guglielmo ricoprì vari Principati-Vescovati ma non prese mai i voti quindi non sarebbe neanche necessaria una dispensa papale per sposarsi ma bisogna vedere con chi. Allora gli Asburgo erano in piena politica dei matrimoni tra cugini per tenere intatto il patrimonio asburgico e a maggior ragione questo indirizzo prevarrebbe col rischio di estinzione del ramo principale della dinastia, quindi guarderei alla Spagna. Purtroppo gli Asburgo di Spagna non hanno nessuna donna adatta, a parte Maria Anna di Spagna, la vedova di Ferdinando, che ovviamente incontrerebbe ostacoli dato che se non erro esistono remore a sposare la cognata vedova dopo che il matrimonio è già stato consumato.
Come alternative ho trovato:
Secondo il principio della successione matrilineare, nel primo caso il successore di Leopoldo Guglielmo sarebbe il nostro Ferdinando Carlo di Mantova, nel secondo l'Arciduca Carlo Giuseppe d'Austria (che morirebbe subito dopo Leopoldo), nel terzo non ci sarebbero eredi e nel quarto infine ci sarebbe solo eredi femmine (la nostra Arciduchessa Claudia d'Austria, Sacra Romana Imperatrice). Mi pare evidente che in caso di estinzione della linea maschile asburgica, in qualunque scenario questa si verifichi, la conseguenza più immediata sarebbe lo scoppio di una Guerra di Successione Austriaca.
Particolare interessante: la morte di Ferdinando (III) lascerebbe orfano il piccolo primogenito Ferdinando il quale, come detto, morirrebbe poi improvvisamente nel 1654. Al momento della sua morte il giovane Ferdinando stava per sposare Maria Teresa di Spagna, la quale finì per andare poi in sposa a Luigi XIV di Francia nel 1660. Se però la dinastia fosse percepita come pericolante ci sarebbe una maggiore pressione affinchè Ferdinando si sposi e produca un erede. Se quindi Maria Teresa lo sposasse difficilmente poi potrebbe essere disponibile per un matrimonio con la Francia visto che ormai sarebbe un'arciduchessa austriaca vedova: poiché la madre di Luigi (sorella di Filippo IV di Spagna) e Mazzarino volevano che si sposasse con una figlia del re di Spagna per porre fine al conflitto con Madrid la scelta di ripiego logica sarebbe sua sorella Margherita Teresa, che sarebbe "libera" visto che non potrebbe sposarsi con il nostro Imperatore Leopoldo (qua mai nato). Ma Margherita Teresa avrebbe partorito solo figlie femmine prima di morire nel 1673, dopo la quale Luigi sposerebbe come in HL la sua amante, la Marchesa di Maintenon. A succedere Luigi XIV sarebbe quindi suo nipote Filippo d'Orléans.
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Alessio approva:
Molto interessante. Don Giovanni d'Austria era senz'altro un personaggio intelligente e carismatico, certamente sarebbe stato un ottimo sovrano. In effetti io non l'avevo considerato in quanto figlio illegittimo, ma è probabile che in una situazione di grave crisi dinastica questo aspetto sarebbe stato trascurato. Mi lascia un po' più perplesso l'ipotesi di Carlo II come Imperatore. Ok che non era lui a governare direttamente, avrebbero fatto tutto i suoi ministri, però forse sarebbe stato un regnante troppo "virtuale"...
Se prendiamo in considerazione l'ipotesi che Leopoldo Guglielmo si sarebbe sposato, allora penso che lo avrebbe fatto già nei primi anni del suo regno. Delle quattro principesse menzionate da Federico, due erano maggiorenni già verso il 1640, quindi secondo me la prescelta sarebbe stata una delle due. In HL Anna de' Medici si sposò piuttosto tardi perché la sua famiglia aveva cercato in via preferenziale uno sposo francese. Ciò potrebbe favorire Anna Caterina Vasa. Considerando che quest'ultima sarebbe morta giovane (1652), Leopoldo Guglielmo avrebbe potuto prendere anche Isabella Clara come moglie, dopo la morte di Anna Caterina.
- Primo matrimonio di Leopoldo Guglielmo
(intorno al 1640) con Anna Caterina Vasa... senza figli;
- Secondo matrimonio di Leopoldo Guglielmo verso il 1653-54 con Isabella Clara
(tenuta in attesa appositamente come potenziale moglie di riserva)... Ferdinando
Carlo (in HL Gonzaga) che sarebbe nato verso il 1655-56.
Alla morte del padre Ferdinando Carlo sarebbe stato ancora un bambino ma avrebbe fatto riferimento alla madre come reggente nei domini asburgici e a Don Giovanni d'Austria come Imperatore. Morto quest'ultimo, gli sarebbe subentrato.
Ovviamente in questa TL Ferdinando Carlo non finirà espropriato per fellonia (questa è proprio una ucronia dei paradossi!) e avrebbe sposato qualche altra principessa (nulla togliere alle sue consorti in HL, ma avrebbe probabilmente puntato a una sposa di rango più elevato e avrebbe potuto avere una discendenza legittima).
Forse avrebbe sposato la stessa Eleonora
del Palatinato-Neuburg (in HL ultima moglie di Leopoldo I) cosa che gli avrebbe
fruttato molti eredi. In pratica questa ucronia, che sembrava poter condurre
all'estinzione della dinastia, potrebbe invece "raddrizzarsi" e sfociare in uno
scenario (quasi) identico a quello della HL.
in alternativa Ferdinando Carlo avrebbe anche potuto sposare Maria Beatrice d'Este,
soprattutto se lui fosse nato dopo Eleonora del Palatinato, anche solo di
qualche mese (mentre Maria Beatrice, nata nel 1658, sarebbe stata certamente più
piccola di lui). Una inversione dei matrimoni (l'imperatore asburgico che sposa
Maria di Modena e Giacomo Stuart che sposa la prolifica Eleonora del Palatinato)
potrebbe essere un gioco ucronico interessante: ci sarebbero potuti essere molti
più "giacobiti" in circolazione in Europa.
Riassumendo... Imperatori dal 1637 in poi:
- Leopoldo I (Leopoldo Guglielmo)
1637-1662
- Giovanni I (Don Giovanni d'Austria) 1662-1679
- Ferdinando III (Ferdinando Carlo) 1679-1708
- Giuseppe I (come in HL) 1708-1711
- Carlo VI (come in HL) 1711-1740
Molto interessante anche la questione della successione francese. In passato stavo pensando a una ucronia basata su matrimoni alternativi, nella quale Luigi XV avrebbe sposato, come sembra fosse inizialmente previsto, Marianna Vittoria di Spagna. In tal caso (sempre tenendo conto che i figli siano comunque gli stessi nati in HL da quella madre) Luigi XV non avrebbe avuto figli maschi e quindi sarebbe stata anticipata di un secolo la successione da parte degli Orléans (con probabili recriminazioni da parte di legittimisti spagnoli).
Nel caso che stiamo ipotizzando adesso invece, il passaggio della corona agli Orleans sarebbe avvenuto ancora più presto e senza nessuna contestazione. Così come si sarebbe "sfrondato" il ramo degli Asburgo, si sarebbe sfrondato anche (in misura maggiore) quello dei Borbone.
La prima conseguenza che mi viene da annotare è che non ci sarebbe stato un candidato francese per il trono spagnolo e che Carlo II avrebbe certamente indicato un parente asburgico nel suo testamento. Non è detto però che si sarebbe evitata la Guerra di Successione... magari la Francia avrebbe appoggiato un candidato alternativo a quello asburgico. Chi avrebbe potuto essere? Forse Vittorio Amedeo II di Savoia, ma con la Spagna dalla parte degli Asburgo, una coalizione Francia-Savoia sarebbe stata un po' debole. Un'alleanza tra Francia e Gran Bretagna apparentemente sarebbe stata impossibile vista la rivalità navale e commerciale tra le due potenze, ma avrebbero potuto trovare un accordo di fronte alla prospettiva di condurre una guerra predatoria contro le ricche colonie spagnole?
Comunque fosse andata, trovo scontato che alla fine il prescelto di Carlo II sarebbe rimasto sovrano a Madrid e che l'unica cosa su cui ci sarebbe da discutere sarebbe quali territori la Spagna avrebbe dovuto cedere in nome della pace.
Tornando agli Asburgo d'Austria, bisognerebbe vedere cosa accadrebbe poi con Maria Teresa e sua sorella Maria Anna. In questa TL potrebbero esserci ugualmente perché Federico Carlo avrebbe sposato Eleonora del Palatinato e da loro sarebbe nato Carlo VI. In questa TL però non è detto che ci sarebbero Francesco Stefano di Lorena e suo fratello Carlo Alessandro. Facciamo un passo indietro: poiché Ferdinando d'Ungheria sarebbe morto già nel 1634, non sarebbe mai nata Eleonora Maria Giuseppina d'Austria, nonna paterna dei due principi di Lorena (in HL è nata dal terzo matrimonio di Ferdinando, vent'anni dopo Nordlingen).
Carlo V di Lorena avrebbe dovuto sposare qualcun altra, e di conseguenza non possiamo sapere quali e quanti eredi avrebbe avuto. Dovremmo un attimo aprire una parentesi su di lui, e sulla linea dei Lorena per capire se ci sarebbe potuto essere almeno Francesco Stefano di Lorena, la cui esistenza sarebbe fondamentale.
Veniamo ora al Granducato di Toscana. In questa TL non è mai nato Filippo V di Spagna, quindi bisogna capire chi avrebbe sposato Elisabetta Farnese. nell'ambito della dinastia borbonica, gli unici principi che per età si avvicinano ad Elisabetta sarebbero Luigi Augusto, Principe di Dombes (in questa TL dovrebbe diventare Luigi XVII) e suo fratello Luigi Carlo, Conte d'Eu, poi ci sarebbe loro zio Luigi Alessandro (fratello minore di Luigi Augusto). Dunque tre possibili capostipiti di una dinastia Borbone Parma alternativa. Escluderei il primo, perché Luigi Augusto, che tramava per ottenere il trono, si sarebbe complicato solo la vita facendo sposare quello che poteva essere il futuro Delfino con la signoria di un piccolo stato italiano. Marito di Elisabetta sarebbe potuto diventare quindi il Conte d'Eu.
Bisognerebbe capire a questo punto che cosa accadrebbe con la successione francese. Il Principe di Dombes diventerebbe appunto Luigi XVII nel 1736. Considerando l'ostracismo delle altre grandi dinastie europee avrebbe trovato con difficoltà una sposa e forse gli sarebbe venuto in aiuto l'altro "illegittimo" d'Europa, il Re d'Ungheria Giovanni, che potrebbe dargli in sposa una delle sue due figlie (probabilmente la più giovane, Francesca). Francesca Gonzaga in HL non risulta avere avuto figli, quindi comunque a diventare Luigi XVIII sarebbe stato proprio Luigi Carlo, Conte d'Eu, marito di Elisabetta Farnese. In questo caso credo che Parma e la Toscana sarebbero stati lasciati al figlio minore Filippo, visto che Carlo sarebbe diventato il nuovo Delfino. Sul trono francese arriverebbero quelli che in HL consideriamo "Borbone di Spagna" (anche se il legame con l'antenato Luigi XIV sarebbe passato tramite uno dei suoi figli illegittimi).
Carlo in HL sposò una principessa sassone e potrebbe forse farlo in HL, considerando che la Francia era un grande regno e che l'ostracismo delle corti europee non verso la nuova dinastia francese non poteva durare in eterno. In HL Carlo fu un sovrano riformatore e amato dal popolo, potrebbe guidare la Francia molto meglio che in HL. La Rivoluzione, che comunque aveva ragioni strutturali di tipo economico, potrebbe comunque scoppiare sotto suo figlio Carlo XI. Carlo (in HL Carlo IV di Spagna) dovrebbe trovare una moglie (la moglie che ebbe in HL potrebbe non esserci in questa TL) e potrebbe allora essere sempre la famosa Maria Antonietta. In questa TL del resto Francia e Spagna sembrano non avere cattivi rapporti, nonostante siano retti da dinastie diverse e teoricamente rivali. Probabilmente l'isolamento diplomatico della Francia dovuto alla visione di Luigi XVI come usurpatore e la perdita dell'Impero da parte degli Asburgo hanno attenuato la tensione tra le due casate, che probabilmente collaborano (come in HL del resto) in funzione antibritannica a livello navale e coloniale. Quindi Carlo XI avrebbe per consorte Maria Antonietta.
Siamo però andati troppo avanti con gli anni, senza guardare che cosa sarebbe successo nell'Europa centrorientale dopo il 1721 (fine della Grande Guerra del Nord). La guerra, conclusasi con la vittoria della coalizione Russia-Danimarca-Polonia-Impero avrebbe messo in sicurezza il potere della dinastia di Sassonia e quindi in questa TL non dovrebbe esserci la Guerra di Successione Polacca, perlomeno non nel passaggio tra Augusto II e Augusto III. Potrebbe eventualmente scoppiare in seguito, alla morte di Augusto III. Nel 1763, anno della sua morte, sarebbero sul trono sia Federico il Grande sia Caterina II e nessuno dei due avrebbe ancora avuto modo di dispiegare le proprie ambizioni. Federico, tra l'altro, non sarebbe Re, perché in assenza della Guerra di Successione Spagnola gli Hohenzollern sarebbero ancora Elettori del Brandeburgo e Duchi di Prussia. Sarebbe quindi particolarmente affamato. I due ambiziosi sovrani, insieme Filippo d'Ungheria (in HL Filippo Gonzaga... sarebbe succeduto al padre nel 1743) avrebbero potuto puntare a sottomettere la Polonia. Il giovanissimo Augusto IV (tredicenne) avrebbe avuto il suo bel da fare. Forse sarebbe riuscito ad ottenere aiuti dalla Gran Bretagna e da altri paesi circostanti come Danimarca e Svezia, ma probabilmente alla fine avrebbe dovuto soccombere. Immagino che in questo frangente la dinastia sassone avrebbe potuto perdere:
- a favore della Prussia, la Slesia e la
Prussia Occidentale;
- a favore dell'Ungheria, il Regno di Boemia, con conseguente rientro del ramo
ungherese degli Asburgo nel gioco dell'elezione imperiale;
- a favore della Russia vari territori di confine se non l'intero Granducato di
Lituania.
A seguito del conflitto, e del cambiamento degli equilibri elettorali, la dinastia sassone avrebbe perso anche l'Impero. Il titolo di Imperatore sarebbe andato presumibilmente a Massimiliano III di Baviera.
Sarebbe chiaramente la morte dell'Imperatore Massimiliano ad aprire un'altra fase dello scontro: Carlo Teodoro sarebbe stato eletto come suo erede ma anche contro di lui sarebbe sorta una coalizione. Stavolta la Russia non sarebbe stata della partita, troppo lontana dai confini, ma alleate della Prussia e dell'Ungheria sarebbero potute essere la Francia, interessata ai possedimenti della dinastia bavarese sul Reno e il Duca di Savoia (anche lui, in mancanza della Guerra di Successione Spagnola non sarebbe un Re...sia la Sardegna sia la Sicilia sarebbero state ancora parte della Spagna). Dalla parte di Carlo Teodoro avrebbero potuto schierarsi invece la Gran Bretagna. In questo caso penso che la forza dell'esercito prussiano avrebbe potuto essere decisiva. La Gran Bretagna potrebbe quindi trovarsi dalla parte perdente e in tal caso il trattato di pace potrebbe stabilire delle cessioni di territorio nelle Americhe che i coloni yankee non avrebbero accettato, cogliendo l'occasione per proclamare l'indipendenza. In questa TL quindi l'indipendenza americana potrebbe derivare non da una insurrezione contro le tasse eccessive, ma contro l'incorporazione dei territori britannici nell'America Francese.
Per quanto riguarda i verdetti in Europa, la vittoria della coalizione franco-prussiano-ungherese potrebbe determinare la rinuncia di Carlo Teodoro all'Alsazia in favore della Francia, di Milano in favore dei Savoia e di almeno una parte dei vecchi territori asburgici (Carniola, Carinzia o qualcosa di più).
La Francia, pur vincitrice, avrebbe potuto trovarsi finanziariamente in crisi a causa dei costi del conflitto, e quindi cadere nella Rivoluzione.
Chiaramente, è difficile pensare al nostro mondo senza la nascita degli Stati Uniti e senza la Rivoluzione Francese. Nonostante i cambiamenti dovuti a personaggi non esistenti (i discendenti diretti di Ferdinando d'Ungheria), e alcuni matrimoni necessariamente diversi, ho pensato di arrivare comunque a queste due colonne (e ci sono arrivato senza forzature, tutto sommato).
In Spagna invece, dove ci sarebbe una dinastia asburgica invece che borbonica, Maria Teresa regnerebbe in un lungo periodo di pace (salvo qualche probabile baruffa a livello coloniale con i britannici). la Spagna non avrebbe alcuna ragione per gettarsi nella mischia delle guerre di Polonia e di Baviera e con la sua strategica neutralità non vedrebbe neppure minacciati i suoi possedimenti nei Paesi Bassi. Giuseppe, il figlio primogenito di Maria Teresa, forse sposerebbe solo una delle sue mogli (l'altra potrebbe non esistere in questa ucronia) ma comunque non avrebbe eredi, quindi resterebbe invariato il passaggio di consegne con il fratello minore. Quest'ultimo potrebbe chiamarsi Francesco (essendo figlio di Francesco III di Modena) e non invece Leopoldo, nome tipicamente "lorenese".
Ci resta da vedere un'ultima questione, l'Ungheria. Giovanni d'Ungheria (in HL Giovanni Gonzaga, figlio illegittimo di Ferdinando Carlo Gonzaga) sarebbe stato già sposato quando sarebbe asceso al trono, quindi diventare Re non avrebbe influito sulle sue scelte. Su quelle del figlio Filippo di però: in HL sposò una nobildonna ungherese in seconde nozze. Ora, che sposi una ungherese non sarebbe male, ma un erede al trono non avrebbe sposato una vedova. Penso quindi che Filippo avrebbe dovuto sposare un'altra donna. Considerando l'alleanza matrimoniale stretta con la Francia (ricordo che una figlia di Giovanni avrebbe sposato Luigi XVII) sarebbe potuta essere una principessa francese? Mi sembra che nella casa reale francese, ristretta com'è in questa ucronia, non ci sia una principessa che Filippo potrebbe sposare. Ho trovato però Maria Giuseppa Eleonora, principessa di Esterhazy. Appartenente a una delle più prestigiose famiglie ungheresi, nacque nel 1712 (3 anni più giovane di Filippo). Certamente un matrimonio con una ungherese avrebbe potuto rafforzare il legame tra il paese e la dinastia, arrivata a regnare praticamente per caso (Giovanni voleva regnare a Vienna dopo il suo fratellastro e al posto delle sue nipoti... l'Ungheria era semplicemente ciò che gli era rimasto in mano). Maria Giuseppa Eleonora in HL ebbe ben 11 figli, tra cui 3 maschi. Il maggiore di loro in HL ha raggiunto la ragguardevole età di 82 anni. Quindi questa dinastia potrebbe continuare con lungo regno.
Riepilogando:
- le grandi guerre del XVIII secolo in questo scenario sarebbero solo tre
(Guerra di Successione Austriaca, anticipata e incrociata con la Grande Guerra
del Nord; Guerra di Successione Polacca dopo il 1763; Guerra di Successione
Bavarese che risulta molto più importante rispetto alla HL, e quindi
presumibilmente dura anche più a lungo, comunque non oltre la metà degli anni
'80 del secolo);
- l'indipendenza americana si verifica ugualmente ma per ragioni diverse: perché
i coloni vogliono, dopo la sconfitta europea della Gran Bretagna, evitare di
trovarsi sotto la sovranità francese;
- la Rivoluzione Francese si verificherà ugualmente a causa della crisi
finanziaria e dopo la sostituzione del buon sovrano Carlo X con il debole Carlo
XI (in HL, Carlo IV di Spagna);
- la Spagna invece resta neutrale nei conflitti principali e il lungo periodo di
pace, insieme alla conservazione dei Paesi Bassi e dei territori italiani,
dovrebbe aver fermato o quantomeno rallentato molto il declino del paese (fino a
questo momento, mi sembra il paese che guadagna maggiormente in questa ucronia).
Imperatori:
- Leopoldo I (in HL Leopoldo Guglielmo) 1637-1662
- Giovanni I (in HL Don Giovanni d'Austria) 1662-1679 con Ferdinando Carlo come
Re dei Romani
- Ferdinando III (in HL Ferdinando Carlo Gonzaga) 1679-1708
- Giuseppe I 1708-1711
- Augusto I (già Augusto II di Polonia) 1711-1733
- Augusto II (già Augusto II di Polonia) 1733-1763
- vacante 1763-1770 (durata ipotetica della guerra di successione polacca)
- Massimiliano III (di Baviera) 1770-1777
- Carlo VI 1777-1799
Re di Francia:
- Luigi XIV 1643-1715
- Luigi XV 1715-1718
- Luigi XVI (in HL Luigi Augusto, Duca del Maine) 1718-1736
- Luigi XVII (in HL Luigi Augusto, Principe di Dombes) 1736-1755
- Luigi XVIII (in HL Luigi Carlo, Conte d'Eu) 1755-1775
- Carlo X (in HL Carlo III di Spagna) 1775-1788
- Carlo XI (in HL Carlo IV di Spagna 1788-rivoluzione (da definire per tempi e
modi)
Re d'Ungheria:
- Giovanni III (in HL Giovanni Gonzaga) 1711-1743
- Filippo I (in HL Filippo Gonzaga) 1743-1778
- Giovanni IV 1778-1823 (ancora ipotetico, non sappiamo che ne sarà
dell'Ungheria così in avanti).
Re di Spagna:
- Carlo III (in HL Imperatore Carlo VI) 1700-1740
- Maria Teresa 1740-1780
- Giuseppe I 1780-1790
- Francesco (in HL Leopoldo) 1790-1792
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A questo punto, Lorenzo Anteri ci ha posto la seguente domanda:
Come avrebbe potuto la Baviera unificare la Germania al posto della Prussia? E quali sarebbero state le conseguenze (io mi immagino una Germania molto più simile all'Italia, cioè abbastanza debole industrialmente e militarmente ma forte culturalmente...)?
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E Tommaso gli ha risposto:
Intanto bisogna potenziare la Baviera al posto della Prussia. Per farlo, la Guerra di Successione Austriaca è il momento più adatto se non si vuole risalire troppo in su. Una vittoria Bavarese nella Guerra di Successione Austriaca renderebbe sicuramente più forte la Baviera. Poi, una sconfitta Prussiana nella Guerra dei Sette Anni alternativa con la Baviera al posto dell'Austria darebbe certamente alla Baviera il vantaggio necessario contro la Prussia.
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Andrea Mascitti ha aggiunto:
Invece che una Germania ed un'Austria, avremmo, due Germanie, una a nord, a guida prussiana e protestante e una a sud a guida austro-bavarese e cattolica?
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Non può mancare il parere del grande Bhrghowidhon:
Non è un’ucronia facile. Un Punto di Divergenza nella Guerra di Successione Austriaca avrebbe il solo effetto di indebolire l’Impero (che perderebbe di colpo il Regno Longobardo, non una conseguenza trascurabile) e forse si ritroverebbe in rivalità con l’Ungheria senza del resto poter contare su un controllo stabile della Polonia-Lituania (e tutto ciò renderebbe ancora più difficile una vittoria bavarese contro la Prussia nella Guerra dei Sette Anni).
Insomma mi sembra che un Punto di Divergenza all’epoca di due dei più grandi e sfortunati Imperatori o Re dei Romani (nonché due dei tre Wittelsbacher), Ludovico il Bavaro e Ruperto del Palatinato, non sia troppo retrocesso. Le variabili sono tante, sia sul lato squisitamente dinastico – anzitutto la conquista di Napoli da parte di Ludovico (paradossalmente, è più complicato mantenere alla Dinastia il Brandenburgo e il Tirolo; praticamente impossibile i Possedimenti nei Paesi Bassi), poi ovviamente quale Ramo si imponga maggiormente nei secoli XV.-XVII. (v. più avanti) e perciò se le temporanee Unioni Dimastiche con la Danimarca e la Svezia possano essere più durature – sia su quello delle altre Dinastie imperiali (c’è comunque qualche possibilità in più per Sigismondo di Lussemburgo in Polonia anziché in Ungheria, con tutto ciò che ne consegue: gli Asburgo in Ungheria e poi nella stessa Polonia, il ramo austriaco dapprima solo in Lituania, i Wasa cattolici – ma v. qui poco oltre – in Svezia e verosimilmente anche in Russia). Se lasciamo invariato – come credo inevitabile – l’esito della Guerra dei Cent’Anni, la massima incognita è forse legata alla Riforma Evangelica: è perlomeno verosimile che un Imperatore Wittelsbach che non sia al contempo Re Cattolico sia meno vincolato nei confronti di Roma (lo si è visto nella stessa Arcicasa al tempo di Massimiliano II.). Le ricadute sulla (Prima) Guerra dei Trent’Anni sarebbero quasi incalcolabili (non solo e non tanto per quanto riguarda la Boemia, ma soprattutto perché gli Asburgo – comunque Re d’Ungheria e che forse appunto potrebbero conservare ugualmente la Boemia – avrebbero la possibilità quasi certa di impiegare Wallenstein contro gli Ottomani). Con Carlo (per noi VI.) d’Asburgo ‘solo’ Granduca di Lituania (dopo la morte del fratello maggiore), da un lato la Successione Spagnola (che in questo caso sarebbe anche Polacco-Ungherese) non rappresentebbe alcuna minaccia per le Potenze Atlantiche (a parte, evidentemente, la Francia), dall’altro risulterebbe impossibile la Prammatica Sanzione, per cui i Wettiner erediterebbero Spagna, Ungheria e Polonia-Lituania, mentre Maria Teresa sarebbe Regina Consorte di Svezia (nel caso che questa non fosse dei Wittelsbach) se non dell’intera Unione di Kalmar (alla stessa condizione) e in ogni caso probabilmente Imperatrice di Tutte le Russie (invece di Caterina II.) se, come è concepibile, i Lorena subentrano ai Wasa cattolici.
Nello scenario più favorevole ai Wittelsbacher (quello in cui il Ramo del Palatinato rimane sia in Danimarca-Norvegia sia in Svezia e le riunisce entro il XVIII. secolo; senza questi Regni esterni all’Impero, è difficile che la Dinastia conservi la Corona Imperiale) e sia pure senza alterare la Riforma Evangelica (se non evitando la Prima Guerra dei Trent’Anni; difficile ma non impossibile), l’ultima grande variabile è data dalla Corsica (con le immaginabili conseguenze per Napoleone). Non ci sarebbero Guerre di Successione né Polacca né Austriaca e quindi entro la metà del secolo l’isola verrebbe incamerata dall’Imperatore (a meno che nel 1549 Andrea Doria non avesse ugualmente offerto Genova a Carlo I. di Spagna, in questo caso interessatissimo alla Corsica – che del resto storicamente in quell’anno stava invadendo – e a una testa di ponte sul Continente a difesa della Sardegna e quindi pure della Sicilia); in qualsiasi caso, Napoleone non sarebbe francese (in alcun modo).
In questa ucronia, le vicende dei Paesi Bassi sono pressoché identiche alla Storia reale (se non che Massimiliano Emanuele – essendo Imperatore – non si schiererebbe con Filippo V.) e di riflesso anche quelle dell’Inghilterra. Al termine delle Guerre Rivoluzionarie, i Wittelsbacher (a Rami riunificati) sarebbero Sacri Romani Imperatori, Re (pur se cattolici!) di Danimarca-Norvegia e Svezia nonché di Napoli, mentre i Wettiner Re Cattolici (anche di Sardegna e Sicilia), Apostolici e di Polonia e Granduchi di Lituania (oltre che Sovrani Feudali dei Dominî dei Kaunitz eredi delle eventuali conquiste di Wallenstein a spese dell’Impero Ottomano), gli Asburgo-Lorena Imperatori e Autocrati di Tutte le Russie (nonché forse non solo titolarmente dei Romani); il Brandenburgo sarebbe dei Wittelsbacher se non dei Wettiner, la Prussia (Orientale) un Feudo degli uni (attraverso la Svezia) o degli altri (attraverso la Polonia).
In questa situazione, gli Asburgo-Lorena restano estranei (ben di più che nella Storia reale) alle vicende della Germania; la rivalità fra Asburgo e Hohenzollern è qui fra Wittelsbacher e Wettiner (i primi sono in piena rotta di collisione col Regno Unito, dapprima per la questione del Regno di Grecia – ammesso che nasca ugualmente – e poi per quella dell’Eredità Stuarda). Tuttavia, l’Impero non è stato soppresso e quindi i Wettiner sono Vassalli – in Germania – dei Wittelsbacher (contendendosi però la Sovranità Feudale sugli Hohenzollern di Prussia). I ruoli somigliano rispettivamente agli Hohenzollern e agli Asburgo-Lorena, ma lo scopo dell’ucronia è già realizzato (da notare che Berlino è qui bavarese, se non austro-sassone). Sarajevo è dei Wettiner dal 1740, ma nel 1914 Francesco Ferdinando d’Asburgo-Lorena -Este, se mai vi si recasse in visita, sarebbe l’idolo dei Panslavisti serbi, compreso Gavrilo Princip...
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Tommaso però ha scosso il capo:
Non lo so, preferisco PoD più vicini. forse la soluzione migliore sarebbe il matrimonio fra Carlo Alberto di Wittelsbach e Maria Teresa a quel punto la guerra di successione Austriaca si evita completamente i Wittelsbach sono in posizione migliore per battere la Prussia.
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E Bhrghowidhon ha ribattuto:
Non ci allontaneremmo dai rapporti di forza del 1866: una Grande Baviera comunque più piccola che l’Austria storica ha ancora meno probabilità... Comunque sia, questa è la mia proposta. Per parte mia non vedo alcuna possibilità in un Punto di Divergenza settecentesco (che pure è già un miglioramento rispetto alla formulazione iniziale presa nei termini ottocenteschi, che equivarrebbe a proporre il Ducato di Parma e Piacenza come conquistatore del Regno d’Italia); a questo punto dipende dalle ragioni della Tua preferenza: dato un grado X di probabilità al Punto di Divergenza settecentesco (dove X per me è uguale a zero e per Te è maggiore di zero), il grado di probabilità Y della mia proposta è per Te maggiore, uguale o minore di X (e perché)?
Riflettete: la cosiddetta Unificazione della Germania ne ha invece fissata la spaccatura. Il paradosso è che, prima, la Germania era federale e tutto sommato unitaria (nei limiti del possibile o forse un po’ sotto), mentre dopo è sì rimasta federale, ma divisa. Sappiamo tutti che dal 1866 al 1870 la divisione è stata massima, ma se uno Stato (la Prussia) ne divide un altro (la Confederazione Germanica) e poi ne riunifica la metà (il Secondo Reich) non si chiama propriamente “Unificazione”.
Per questo mi pare necessario che un’ucronia intitolata «La Baviera unifica la Germania!» (con tanto di punto esclamativo) debba arrivare al punto di includere – almeno – tutti gli Stati (nella loro integrità) compresi nel Regno di Germania fino a quando è iniziata la continua espansione della Francia ai suoi danni (XVI. secolo al più tardi). «Almeno», perché verosimilmente ne sarebbero stati considerati parte anche gli altri Stati a élite tedesca (Transilvania ed ex-territorî dell’Ordine Teutonico); poi c’è l’ambiguità del nome Germania, che traduce sia il tedesco Deutschland sia il tedesco Germania, quest’ultimo nel senso di ‘territorî di lingua germanica’.
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C'è anche la curiosa proposta di Massimo Berto:
1713: La Sardegna va alla casa di Baviera
1734: in Corsica intervengono i bavaresi per ripristinare la ordine e
successivamente se la annettono.
1796: un brillante militare corso al servizio della Baviera e che sarà sposato
con una delle figlie del re trascina a un vasto espansionismo sia in Italia che
Germania. Darà vita alla casa di Wittelsbach-Bonaparte...
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E ora, la parola a feder:
Leggendo queste ucronie, mi sono imbattuto in un dilemma che proverò ad illustrarvi. Tutti noi conosciamo la c.d. lotteria asburgica di fine '400 e inizio '500, tramite la quale una famiglia relativamente importante come quella austriaca ha potuto, grazie a una serie impressionante di colpi di fortuna, assurgere a principale dinastia d'Europa. Ricapitoliamoli di seguito: Maria di Borgogna si innamora di Massimiliano, hanno due figli ma poi questa mu ore, consentendo al re dei romani di perseguire una politica estera indipendente; Filippo della suddetta unione sposa la quarta in ordine di successione al trono di Castiglia e Aragona e lo eredita; Ladislao II d'Ungheria ha solo due figli, una dei quali, Anna, sposa un figlio di Filippo, Ferdinando, e quando Luigi II d'Ungheria muore in battaglia contro i Turchi Ferdinando ne eredita i regni; infine, Carlo sposa Isabella, figlia di Manuele I del Portogallo, e da questo matrimonio nascerà l'erede al trono di tutta la penisola, giacché la linea d'Aviz si estinguerà in linea maschile perché tutti (e saranno almeno dieci persone!) i figli di Manuele I e Giovanni III muoiono lasciando solo figli illegittimi o proprio niente. Tengo fuori dall'equazione della lotteria i risultati fortuiti di certe battaglie e la scoperta delle Americhe perché, seppure di fortuna si trattò, la ritengo una specie di fortuna obbligata, perché da un lato gli obiettivi minimi del regno di Carlo V (ad esempio, la conquista di Milano) sarebbero stati raggiunti anche al prezzo di una sconfitta in più, tale era il dominio da lui ammassato; e dall'altro lato presto o tardi il continente americano sarebbe stato scoperto comunque, se non dagli spagnoli, allora dai portoghesi.
Ciò non toglie, comunque, a una successione di eventi tanto irrealistica da parere allostorica. In effetti, se qualcuno mi facesse leggere una cronotassi siffatta, magari però ad uso e consumo di un'altra dinastia, mi verrebbe spontaneo dirgli che non sta studiando storia o scrivendo ucronia, ma facendo tifoseria. Madama Natura ci ha proprio tirato un gancio qui, perché fornendoci ad esempio la realizzazione del risultato più improbabile possibile, ci ha impedito di poter giocare la carta della probabilità, per escludere la possibilità di questa o quell'altra successione. Così diventa lampante che, a rigor di logica, in ucronia tutti gli sviluppi sono concessi, restando questi alle piene dipendenze dell'autore.
Ho coltivato a lungo questa riflessione, convinto com'ero che la conclusione precedente fosse l'unica sensata. Eppure, c'è qualcosa che non mi piace, che non mi soddisfa. Per realizzare ucronia che non fosse di scopo (e.g. e se l'Impero Russo esistesse ancora?), ma caotico e gioioso gioco di pedine nella storia (e.g. chi avrebbe governato la Russia se Sofia Romanov fosse riuscita a soffiare il trono a Pietro il Grande, e con quali conseguenze?) bisogna pervenire allo sviluppo di un metodo intelligente per la creazione di genealogie alternative. Io ne ho elaborati uno, con tre varianti, che provvedo a esporvi di seguito; se voi conoscete o utilizzate un altro metodo, sarei curioso di applicarlo. Buona lettura.
Metodo allostorico
a) variante estrema: si tratta della piena realizzazione della massima di cui
dicevo prima: la Storia non è altro che il parco giochi dell'ucronista, che può
inventare a proprio piacimento particolari verosimili al fine di raggiungere lo
scenario da lui prefissato. Un esempio potrebbe essere questo: Stanislao II
Augusto non ha avuto figli, ma io faccio in modo che a 18 anni il principe si
perda durante una battuta di caccia, si innamori perdutamente di una bella
contadina, questi si sposino con l'intercessione di un fraticello compiacente,
copulino e producano prole. Applicando il metodo allostorico a variante estrema
ho creato una discendenza dove non c'era, alterando sensibilmente il corso della
storia (qui gli Jagelloni non si estinguono, potenzialmente la monarchia polacca
non diventa elettiva, magari il Commonwealth non scompare) e ho ottenuto come
risultato una genealogia totalmente fittizia, che posso gestire come voglio. Pur
rientrando pienamente all'interno del principio di cui prima (stante la
successione di Carlo d'Asburgo, tutto ciò che fu storicamente possibile dev'essere
messo in conto dall'ucronista), questo metodo non mi piace: lascia troppa
libertà all'autore, allontanando il lettore dalla sospensione dell'incredulità.
b) variante intermedia: ad un occhio disattento, questa potrebbe sembrare la medesima occasione della precedente, ma in realtà varia leggermente in conseguenza del fatto che l'alterazione da me esercitata va in direzione dei personaggi storici, e non mi invento proprio nulla. Prendendo sempre il caso di Sigismondo II, che trovo molto emblematico: se la sua prima moglie Elisabetta d'Austria non fosse stata educata all'Hofburg, Innsbruck, dai più severi maestri della Controriforma, ma avesse invece partecipato alla corte del padre Ferdinando, fratello di Carlo V, tra Buda e Vienna, certamente ne sarebbe uscita una bambina più solare e allegra, capace di catturare gli animi del libertino principe Sigismondo. Di conseguenza, ho che il re di Polonia ha ottenuto una discendenza che è sì totalmente fittizia, ma pur sempre prevedibile, conoscendone io la madre e il padre e gli effetti che un'unione jagiellonico-asburgica di questo tipo avrebbero avuto sullo scacchiere geopolitico. Questo metodo è apprezzabile, ma fin troppo aleatorio nei risultati per essere considerato da me soddisfacente.
c) variante moderata: questa variante si prospetta di ottenere la massima alterazione sulla Storia con il minimo intervento dell'autore. Si tratta solitamente di un cambiamento da poco: una malattia, non di origine genetica, che non sopraggiunge, o una decisione annullata o presa in ritardo, o una gravidanza che non va a buon fine, eccetera. A fini esplicativi, utilizziamo sempre il nostro amico Sigismondo II, che in gioventù la mamma Bona voleva far sposare a Margherita di Valois, figlia di Francesco I di Francia, in maniera tale da contrastare l'influenza asburgica sulla Polonia. Rispetto alle altre unioni allostoriche da me delineate, a cambiare è il fatto che, stante il matrimonio di successo storicamente contratto da Margherita con Emanuele Filiberto di Savoia, so per certo che la principessa di Francia fosse una sposa fertile, in grado di partorire a Sigismondo II perlomeno un figlio. In questo caso, dunque, l'ucronista si appoggia ai figli di lei per supplire alla mancanza di figli di lui, generando una discendenza che resta fittizia, ma completamente riscontrabile in termini di corrispondenza fra individui reali e immaginari (in tal caso, il ruolo di figlio di Sigismondo II Augusto sarebbe ricoperto dal figlio di Emanuele Filiberto, cioè Carlo Emanuele I, il testa d' foc). Metto le mani avanti: bene che questa equivalenza è del tutto arbitraria e non del tutto plausibile. Mille coose potrebbero andare storte: per esempio, il clima più rigido di Cracovia rispetto a Torino potrebbe fare ammalare Margherita e ucciderla, prima ancora che ella possa restare incinta; oppure, siccome a variare sono le oggettive condizioni del matrimonio, Margherita potrebbe partorire più figli, o meno; o ancora, il suddetto Carlo Emanuele sarebbe certamente una persona diversa, crescendo alla corte jagiellonica anziché a quella sabauda. Però fra tutte è quella che consente all'ucronista di sovrapporre in maniera utile due dati storici al fine di sviluppare uno scenario credibile, perciò resta la mia preferita.
Segue: ancora sulla variante moderata.
Possibili sviluppi
Il problema, nell'applicazione di questa variante, sorge nel caso in cui a
sposarsi sono due persone che storicamente hanno avuto diversa prole. In questo
caso, chi dovrebbe avere la prevalenza, i figli di lui, o i figli di lei? Stante
che in un contesto realistico questo problema non si sarebbe posto (una diversa
unione avrebbe portato al concepimento di figli terzi, non assimilabili né coi
primi né coi secondi) ai fini di una discussione quanto più possibile aderente
alla realtà sarebbe meglio selezionare la prole di lui, perché in linea di
massima, nella famiglia cristiana di impronta romano-giudaica, l'eredità si
passava fino a non troppo tempo fa con il criterio di prevalenza, totale o
relativa, maschile. Così, se il figlio di Sigismondo II, c.d. Carlo Emanuele I,
il quale ha storicamente avuto prole dall'infanta Caterina Michele di Spagna,
sposasse una differente donna in ragione del suo diverso ruolo quale principe di
Polonia e non principe di Piemonte (ad esempio Anna d'Austria, figlia
dell'arciduca Carlo II d'Asburgo), tutti e due individui con prole, a prevalere
sarebbero i figli del primo, e cioè ben nove, tra cui l'erede al trono di
Polonia, il nostro Vittorio Amedeo.
Ovviamente questa variante non si presta alla ricostruzione di ogni possibile genealogia, dal momento che si tratta fattivamente di aprire voragini nella storia in corrispondenza di quei personaggi storici che vogliamo prendere in prestito per i nostri sviluppi. Per esempio, se con lo stesso metodo, nel medesimo scenario, volessimo determinare chi governerà in Savoia, dovremmo trovare una sposa alternativa a Emanuele Filiberto, che gli "presti i suoi figli"; conflitto, questo, risolvibile soltanto applicando quel criterio della prevalenza maschile di cui dicevo sopra, che ci conduce alla conseguenza paradossale per cui avremo in circolazione due profili sovrapponibili con la figura storica di Carlo Emanuele di Savoia: uno, per discendenza dal padre Emanuele Filiberto; l'altro, per discendenza dalla madre Margherita di Valois nel caso in cui (ed è questo di cui stiamo parlando) il suo marito alternativo, cioè Sigismondo II, non abbia storicamente avuto figli. Questo Carlo Emanuele sposerebbe l'infanta Caterina Michela, e sarebbe in tutto e per tutto paragonabile al duca storico, avendo gli stessi figli della OT, come anche li avrebbe il Carlo Emanuele alternativo, figlio di Sigismondo II; la convergenza storica non si dipana poi con la successione dei figli di questi, perché chicchessia la loro partner, applicando il criterio della prevalenza maschile avremmo figli identici da entrambi i lati della famiglia, che conduce a un paradosso logico.
Allora, come si risolve questo imbroglio? Un'idea sarebbe quella di utilizzare i figli della sposa di Emanuele Filiberto come successori alla carica di duca di Savoia. Però vedete che così siamo punto e a capo: sostituendo personaggio per personaggio, otteniamo una successione infinita di serpenti che si mordono la coda, sicché l'utilizzare i figli dell'eventuale sposa di Emanuele Filiberto ci porta a lasciare senza figli il marito reale di quest'ultima, e così via. La soluzione appare irraggiungibile con questa logica: e di fatto lo è. Motivo per cui ci si riduce a disapplicare quei personaggi storici che ai fini dello sviluppo desiderato risultano indifferenti: per esempio, se stiamo scrivendo un'ucronia di sopravvivenza jagiellonica, possiamo rimanere indifferenti di fronte alla possibilità che Emanuele Filiberto resti senza figli, dato che comunque, con ogni probabilità, egli troverà una moglie e avrà figli, conducendo a uno sviluppo storico sufficientemente simile a quello reale da poterlo ritenere irrilevante.
Non si tratta di una soluzione univoca, insomma. Anzi, mi rendo conto che si tratta di una sistemazione molto problematica e fallace, ma in tanti anni di scrittura è l'unica che sono riuscito a trovare. Mi piacerebbe dunque conoscere il vostro parere. Voi come fate? Che metodo applicate? Avete delle correzioni da usare su quest'ultimo mio metodo?
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Gli replica Bhrghowidhon:
Capisco ahimé fin troppo bene il dilemma! È quello che mi ha paralizzato e alla fine costretto a optare solo per genealogie realmente esistite (e per di più con la limitazione che devono risultare da matrimonî politicamente verosimili nelle mutate condizioni dell’ucronia; insomma una forte restrizione...).
Per quanto riguarda la Lotteria Asburgica, l’alternativa realistica sarebbe stata comunque una fusione fra Trastámara e Aviz da un lato e fra Asburgo e Jagielloni d’Ungheria dall’altro (nel primo caso i matrimonî erano incrociati, nel secondo c’era pure il Patto di Mutua Successione). Se aggiungiamo che Carlo V. non ha fatto in tempo a ereditare il Portogallo né l’Ungheria, di fatto l’unica ‘stranezza’ è stata la temporanea Unione Personale fra Impero e Spagna, che comunque sarebbe altrimenti stata con la Francia o con l’Inghilterra (quindi neanche tanto diversa, come stranezza).
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feder si informa:
Di conseguenza mi pare di capire che tu non utilizzi nessuna genealogia alternativa, bensì quelle storiche, soprassedendo alla differenza genetica risultante da una diversa coppia genitoriale. Ad esempio, prova a risolvere con il tuo metodo il seguente problema ucronico: Carlo VI d'Asburgo sposa, come il padre, una delle figlie di Federico Guglielmo del Palatinato (matrimonio realisticamente possibile). Scegliamone una che ha avuto storicamente prole: Maria Sofia di Neuberg (anche se probabilmente tutte le figlie di Federico Guglielmo erano fertili). In questo caso abbiamo da un lato la prole interamente femminile di Carlo VI (storica) e quella maschile e femminile di Maria Sofia (storica); che figli produrrebbe questo matrimonio? La differenza è rilevante, perché se usiamo il criterio della prevalenza maschile facciamo scoppiare la guerra di successione austriaca; se ammettiamo alcuni o tutti (ne basta uno) dei figli maschi di Maria Sofia nell'equazione, allora abbiamo salvaguardato l'integrità dei possedimenti asburgici. Cosa mi dici?
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Ma Bhrghowidhon scuote la testa:
No no, non uso questo metodo: utilizzo solo genealogie realmente esistite; non soprassiedo «alla differenza genetica risultante da una diversa coppia genitoriale» perché non postulo alcuna diversa coppia genitoriale: rinuncio a sviluppare le ucronie che richiedano una diversa coppia genitoriale e rinuncio perfino alle ucronie in cui la coppia genitoriale non diversa sarebbe inverosimile dal punto di vista politico. Quindi il caso che mi proponi non è un’ucronia che svilupperei.
Naturalmente, non è una censura; è un genere di ucronia come gli altri (e ovviamente diverso dagli altri, tanto quanto ogni genere lo è). Si basa su due criterî molto restrittivi (per cui ha un’assai limitata possibilità di applicazione), dunque di per sé non è attraente, ma cionondimeno lo scelgo perché rende l’ucronia molto più politica. Non ho infatti niente da eccepire su alcun genere ucronico; semplicemente partecipo quasi solo a questo in quanto provoca – credo – una passione maggiore. Si tratta infatti non di un’elaborazione – per quanto asettica e rigorosa, come possono benissimo essere le ucronie a genealogie alterate – solitaria né di un concorso a realizzare una complessa opera collettiva, ma intrinsecamente di una polemica, che può essere di due tipi ma resta comunque polemica:
a) “per fortuna che non c’è stato il tale
Punto di Divergenza, altrimenti oggi saremmo pressoché di sicuro così e così”;
b) “maledizione se non c’è stato il tale Punto di Divergenza, perché oggi
staremmo di certo molto meglio”.
Faccio queste affermazioni confortato da un’osservazione pratica. Di solito, le ucronie suscitano ammirazione (da questa a quelle del Comandante, a quelle degli Intervenuti, ad altre ugualmente grandiose e così via) e anzi può accadere che l’Autore si deprima un po’ se non suscita discussioni (benché magari ciò succeda perché nessuno ha alcunché da eccepire); invece, nelle ucronie che discuto (o, peggio, propongo) la polemica è quasi garantita e se non c’è ho la netta impressione che non sia perché non la susciti, ma perché i Lettori si astengono da commenti in quanto non vogliono essere, almeno al momento, coinvolti in una discussione accesa (poi, per carità, c’è sempre una maggioranza di Indifferenti, ma questo è assolutamente normale e naturale).
Ebbene, questo tasso di emotività lo riscontro altrimenti soltanto nelle discussioni politiche (tant’è vero che in alcuni casi abbastanza recenti siamo arrivati, in confronti ucronici, a toni che per il resto ho trovato solo quando ci sono contrapposizioni ideologiche o di critica storica, comunque non ucroniche). Se questo risulta sgradevole ne chiedo scusa; per me è gratificante, perché mi pare che implichi che la posta in gioco coinvolga le forti emozioni di solito prerogativa dell’àmbito politico. In un certo senso, le ucronie che cerco stanno al resto delle ucronie come il gioco d’azzardo sta agli altri giochi; come nel gioco d’azzardo la posta è costituita da soldi veri, così nelle ucronie a genealogie inalterate la posta è costituita da un groviglio emotivo storiografico-politico-ideologico. Tutto questo era appunto solo per ‘giustificare’ un rifiuto che può apparire altero e invece è solo passionale.
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feder lo rassicura:
Caro Bhrghowidhon, la tua scelta di dedicarti a ucronie c.d. 'politiche' non soltanto è giustificata dalla difficoltà nel generare genealogie alternative, ma anche, come dici, dalla maggiore passione che esse possono suscitare. Io, per conto mio, mi dedico a ucronie che possano suscitare il maggior piacere letterario: sono contento quando voi amici, leggendole, non vi annoiate, e riesco a donarvi un po' di intrattenimento. È anche la ragione per cui la maggior parte dei miei lavori non si incentra sull'Europa, bensì sull'Africa, sull'Oceania o sulle Americhe: l'assenza di fonti dettagliate dona sempre maggior spazio di manovra. Alcuni progetti che ho in mente per il futuro sono: il proseguimento della civiltà aborigena in Australia; l'impero copto etiope esteso da Aksum a Gerusalemme; l'impero serbo-romano della dinastia Dušan; l'impero romano d'Occidente nel Medioevo, restaurato da Giulio Nepote o da Maggioriano; lo Stato Inca che sopravvive o rinasce da Pizarro; la Cina cattolica convertita da Matteo Ricci; e molto altro ancora... :)
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Prende la parola Federico Sangalli:
È un tema molto più complesso di quanto non sembri in apparenza, perché costringe il nostro intelletto a confrontarsi, al punto da cercare una logica riproducibile nei nostri casi-scenari, con una questione (la nascita della Vita e il suo sviluppo in un individuo formato) che supera di gran lunga le nostre abilità intellettive (perché scientificamente non avremo mai tutte le variabili e metafisicamente queste attingono probabilmente a un mondo che non è del nostro intelletto). Ne derivano delle riflessioni scientifiche (quanto e come la genetica dipende dall'unione dei genitori?), sociologiche (chi e quanto influisce sulla formazione di un individuo? Il padre? La madre? Il suo tutore? La società?), filosofiche (quanto del carattere di un individuo è frutto della sua educazione? Quanto dei contatti umani? Quanto è innato?) e questo solo limitandosi a quelle più strettamente pratiche e senza toccare le loro sfumature culturali, etiche, teologiche e così via. Insomma, senza addentrarsi in nessuna di esse appare chiaro come la summa di queste riflessioni sia tanto vasta e dalla tanto non facile risposta da potersi riassumere con un, per parafrasare Einstein, "A volte anche Dio gioca a dadi". Ma l'arbitrarietà di questa risposta è incompatibile con l'Ucronia stessa che, in attesa che si decida se sia più un'Arte con una propensione scientifica o una Scienza con una propensione artistica, mantiene comunque una componente scientifica che esige la possibilità, anche solo teorica, anche solo approssimativa, di poterne calcolare esiti e traiettoria. Su quale metodo sia più adatto a individuare tale possibilità non posso dare una risposta conclusiva, posso solo dire come, da qualche tempo, mi regolo io.
Io ho optato per l'Opzione Matrilineare, che assegna alla coppia ucronica l'eventuale prole avuta in HL dalla madre. Questo principio, che si basa, oltre che su tutte le considerazione già menzionate da Feder, sull'adagio per cui "Mater semper certa est", si applica in linea generale. Vanno infatti tenuti presenti alcuni fattori:
- età al momento dell'unione. Se maschio A
e femmina B si sposano e femmina B ha avuto in HL dieci figli, però il
matrimonio avviene a 40 anni è difficile che possa produrre una prole
altrettanto numerosa prima del sopraggiungere della menopausa.
- condizioni dei coniugi. Se il marito in HL è stato sterile i figli non li
fanno neanche se la moglie è Lady Godiva. Se il marito ha una propensione
caratteriale (vedasi il caso di Sigismondo Bàthory, Principe di Transilvania, e
del suo matrimonio con Maria Cristina d'Asburgo) o un problema fisico tale da
rendere difficile l'unione bisogna tenerne conto. Se il marito è un omosessuale
conclamato con tendenze misogine (distinzione importanti, perché abbiamo vari
casi di aristocratici con comportamenti perlomeno ambigui che generano prole con
le legittime consorti) questo va considerato.
- tempistica del matrimonio. Se la femmina B in HL ha cinque figli nei dieci
anni di matrimonio che precedono la sua morte nell'anno X ma in una linea
storica alternativa si sposa con un altro uomo solo cinque anni prima della sua
morte è improbabile che riesca ad avere tutti i figli nella nostra TL nel
medesimo tempo. Qua di solito conviene mantenere un principio pragmatico: se in
HL nei primi cinque anni di matrimonio la nostra sposa ha avuto tre figli,
allora ne avrà tre.
- condizioni genetiche. Se una malattia genetica viene trasmessa dalla madre o
dal padre il cambio di genitore deve essere considerato. Il luogo di nascita non
impatta particolarmente, salvo per qualche malattia particolare (è difficile
morire di febbre gialla in Scandinavia).
Questo per quanto concerne la nascita. Altra cosa invece è la formazione dell'individuo. In linea di massima le circostanze e l'ambiente di nascita bastano e avanzano per determinare le tendenze principali delle azioni di una persona (tanto non ci interessa molto sapere se sarà giocherellone o scorbutico quanto se dichiarerà guerra in un certo frangente o meno). Nel caso dei personaggi più importanti, quelli che determinano interi secoli e il cui carattere gioca un ruolo importante, ci si può basare su una pluralità di fonti (i due genitori, eventuali parenti e tutori, corte e società generale al momento della nascita e della sua educazione).
I figli individuati in linea matrilineare sono mantenuti per quanto riguarda la durata di vita e le condizioni di salute, salvo casi di natura incidentale (se si ammala di tubercolosi perché combatte nelle Highlands può anche non accadere, se muore di cancro è un altro discorso). Per la nomenclatura invece tendo a mantenere i nomi di figli in linea patrilineare, perché storicamente è sempre stato il padre a decidere queste cose (fanno salvo i nomi dedicati alla madre e alla sua famiglia, ovviamente), il che in linea di massima vale anche per quanto riguarda l'educazione (per molti secoli è stato il padre, come capo famiglia, a decidere di queste cose e generalmente la moglie andava a vivere nella casa del marito e cresceva i figli nel suo ambiente, quindi, al netto delle circostanze particolari che possono sempre cambiare, prediligo il versante maschile. Diciamo, per fare un esempio, che se Anna Bolena avesse sposato Carlo V, si fosse trasferita con lui a Vienna e gli avesse dato una figlia questa sarebbe stata più simile a una principessa asburgica che a una britannica, pur con le differenze dell'indole di Elisabetta I).
Chiudo questa lunga disamina riconoscendo che questo procedimento innesca spesso una sorta di "gioco delle sedie" per cui diventa necessario trovare una moglie per ogni sovrano rimasto improvvisamente scapolo e questo si ripete a ogni passaggio di generazione. In linea di massima il procedimento è un po' macchinoso ma le sedie sono sempre meno di quanto non si debba temere. Capita spesso infatti che a un certo punto si possa offrire all'ultimo sovrano scapolo una nobildonna di natali adeguati, che in HL fu davvero nelle possibilità considerate dal monarca in questione, ma che nella nostra TL è finita in sposa a un nobile di rango minore, al quale non è necessario, ai fini della storia, individuare una moglie precisa (naturalmente fatto salvo il caso in cui il suddetto non sia capostipite di qualche dinastia dal grandioso futuro). Spero con questo di non aver annoiato nessuno e aver invece soddisfatto la curiosità dimostrata per l'annosa questione delle genealogie alternative.
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Anche Tommaso Mazzoni dice la sua in merito:
Personalmente anch'io ho cominciato a basare il numero dei figli sulla madre, ma tenendo conto anche delle circostanze di vita. Ad esempio cambiando il padre posso decidere di evitare aborti e nati morti( cosa che generalmente faccio). Poi ovviamente uso i cambiamenti come più mi interessa, perché in ogni ucronia io so già da dove voglio partire ma scopro dove posso arrivare solo dopo e agisco di conseguenza. Sapete come la penso, se le cose possono andare in maniera più interessante perché non dovrebbero? Siccome penso che l'educazione conti di più della genetica, uso quella per influenzare il comportamento del futuro individuo. In quanto alla data di morte, tendo a tenerla uguale se dovuta a tumori o problemi cardiocircolatori a meno di non aver cambiato completamente l'ambiente del soggetto, l'alimentazione ecc,ecc. Magari, la disponibilità di cure migliori può influire su qualche anno di vita in più. Anche l'assenza di cause di depressione o di stress può aiutare.
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Non può mancare il parere di Alessio Mammarella:
Per lungo tempo non ho alterato le genealogie perché mi sembrava troppo complicato toccare questo aspetto. Poi, se ricordate, ho confezionato quella lunga ucronia sul Portogallo, la cui finalità era duplice: da una parte mostrare la storia di un Portogallo che mantiene, in ogni fase della sua storia, una dinastia regnante indipendente; dall'altra illustrare proprio il metodo che avevo sviluppato per genealogie alternative. Credo che sia molto simile, se non proprio coincidente con quello che Feder ha indicato come "C" e anche con quello descritto da Federico. Lo descriverei così:
- Finalità: non sono un appassionato di unioni personali, quindi solitamente le genealogie alternative le disegno per lo scopo contrario, ossia per favorire la sopravvivenza di qualche dinastia e quindi assicurare a un certo paese il mantenimento dell'indipendenza. Qualche volta comunque l'ho anche usato per ipotizzare lo sfoltimento di dinastie particolarmente corpose (tanto per vedere se tali dinastie si sarebbero estinte e cosa sarebbe potuto accadere).
- Matrimoni alternativi: di solito mi baso su matrimoni che sono stati effettivamente previsti o quantomeno ipotizzati nella loro epoca (es. quello tra Luigi XV e Marianna Vittoria di Borbone) perché il totale arbitrio non lo vorrei. Quando però ciò non è possibile, non posso fare altro che andare a cercare manualmente un principe/principessa che possa essere adatto. Con quali requisiti? Questi:
1) il marito/moglie alternativo ha
pressappoco la stessa età del coniuge reale (quindi se il sovrano X in HL ha
sposato una sedicenne, nell'ucronia non sposerà una trentenne);
2) i coniugi della coppia alternativa in HL si sono sposati nel medesimo anno o
in anni vicini;
3) i coniugi alternativi appartengono alla medesima confessione religiosa o
comunque c'è ampia disponibilità di uno dei due di convertirsi alla fede
dell'altro.
- Figli: la sposa alternativa ha lo stesso numero di figli avuti in HL (anche io seguo il principio mater semper certa est); può averne meno se si sposa con qualche anno di ritardo rispetto alla HL oppure se lo sposo alternativo muore prima di quello reale; se la sposa alternativa in HL non ha avuto figli oppure non si è mai sposata neppure nell'ucronia avrà figli.
- Longevità e salute: di solito non mi permetto di toccare questo aspetto, salvo due casi. Il primo è il sopraggiungere di epidemie. Se il personaggio nell'ucronia si sposta in un certo paese colpito da epidemia, do per scontato che possa morire a causa di quella invece di avere magari una vita lunga. Il secondo, decisamente più frequente, sono le battaglie. Posso ipotizzare che un personaggio storico muoia prematuramente in battaglia oppure che al contrario sopravviva. Preferisco il primo caso, perché nel secondo dovrei poi stabilire una data di morte in modo arbitrario (magari sempre morte in battaglia, ma altrove e anni dopo).
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Paolo Maltagliati invece propone:
Io utilizzo un criterio intermedio con criteri di selezione autoimposti. Traduco:
1)la selezione del coniuge ucronico è
fatta guardando allo scopo dell'unione SENZA il senno di poi (so che sembra
difficile come processo mentale, ma ci si fa l'abitudine)
2)Chiaramente, SE il coniuge ucronico è andato in sposa/o ad altri in hl si ha
la domanda: l'unione ucronica è geopoliticamente più probabile dell'unione
effettiva?
1)sì
2)no
(Ovviamente per ogni unione è necessario studiare questo passaggio)
Nel caso del SÌ è necessario fare il
lavoro da te detto, ovverosia dare un marito/moglie alternativi a TUTTI quelli
che così rimangono senza.
Nel caso del NO, si riparte da capo nel ragionamento fino a che non arrivo a un
sì non forzato (capita, a volte, che quello che vorrresti non sia plausibile. Si
sospira e si cerca una alternativa, niente trucchi. Capita anche che quello che
a prima vista sia un sì, a volte a studiarlo meglio capisci che è un no... idem,
ci si rimbocca le maniche e si studia una alternativa).
Essendo, come tu giustamente dici, un lavoro molto lungo, tendo a minimizzare l'impatto, mantenendo ove ragionevole e giustificabile, oltre che possibile, i matrimoni reali e per ivpersonaggi ucronici attingendo alla riserva di - nell'ordine -
1)celibi/nubili in hl (qui va studiato se la loro scelta sia di famiglia o frutto di convinzione personale: per tale ragione escludo dall'equazione santi, beati e venerabili)
2)morti infanti o giovani, a patto che la malattia sia di natura 'normale' (nel senso di febbri e non, invece, malformazioni congenite. Tendo perciò a preferire la sopravvivenza di chi comunque ha conseguito almeno 3-4 anni di vita).
Step due, progenie.
Tu l'hai chiamata 'lotteria'... ebbene, quella faccio, tiro il dado(nel senso
che faccio un calcolo probabilistico).
I check sono di solito:
-Alla nascita (il check più pericoloso non è però sulla vita o morte del
bambino, ma sulla vita o morte della puerpera. Odio far morire di parto le
donne, ma, sebbene tenda a far vivere i personaggi storici reali quanto sono
vissuti in hl, questa 'protezione' per il parto dovrei temporaneamente
sospenderla: partorire era oggettivamente un rischio reale.)
-Allo svezzamento
-In occasione di epidemie o carestie storicamente accertate
-battaglie, invasioni
Se fossi davvero rigoroso, farei LETTERALMENTE i check col dado ma tendo ad andare di giustizia divino compensativa (nel senso che ragiono sul 'non può andarmi sempre bene o sempre male').
Ammetto che così sembra tedioso, ma questo lavoro mi ha permesso di conoscere un sacco di personaggi secondari che altrimenti non avrei mai conosciuto! Certo, è un pochino lento come processo...
Ah, dimenticavo: uso il metodo di salvare gli infanti solo in casi rarissimi.
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Per ora chiude le danze di nuovo feder:
Ti ringrazio per aver condiviso il tuo metodo, che mi pare coincida con quello che io ho delineato essere intermedio (in effetti, confesso, Paolo, che speravo in una tua risposta). La soluzione di resuscitare i morti in gioventù per mantenere inalterato l'albero genealogico è abbastanza incisiva, perciò io non mi sentirei di usarla (sono più un fautore del metodo moderato). Colgo però l'occasione per accogliere gli aggiustamenti da te consigliati in merito alla necessità di sposare tutti quei personaggi che così restano senza compagno/a. Ecco dunque la genealogia di Renato II Augusto d'Angiò-Sforza-Aragona ricostruita con il metodo moderato, corretto con gli aggiustamenti di Paolo e il criterio della prevalenza maschile:
Renato I il Buono, re di Napoli e di Sicilia (1435-1480), sposato con Isabella, duchessa di Lorena (1435-1453):
1) Giovanni (II) il
Granduca, duca di Calabria (1453-1470), sposato con Maria, figlia
illegittima di Alfonso V d'Aragona (1453-1459). Sua moglie storica, Maria di
Borbone-Clermont, sposa invece Federico I, elettore palatino, sostituendosi alla
di lui amante Clara Tott;
1a) Giovanni (III) il Giovane, principe di Taranto
(1445-1470), duca di Calabria (1470-1471), sposato con Ippolita Maria Sforza,
figlia del duca di Milano Francesco I (1465-1471). Stante il matrimonio che in
HL Giovanni non ebbe, genera i figli che in HL furono di Ippolita:
1a i) Roberto II il Fanciullo o il Bellatore, duca di Calabria (1473-1480), re
di Napoli e di Sicilia (1480-1496), dal 1480 al 1488 sotto la reggenza della
madre Ippolita, sposato con Lucrezia di Lorenzo il Magnifico (1486-1496). Il
marito storico di lei, Jacopo Salviati, sposa invece Ginevra Vespucci, restando
all'interno dell'entourage mediceo;
1a ii) Isabella Maria, duchessa consorte di Milano
(1489-1494) tramite il matrimonio con Gian Galeazzo Maria (storico)
1a ii A) Renato Francesco II Maria il Duchetto o il
Reuccio, duca di Milano (1494-1512), re di Napoli e Sicilia (1496-1512),
morto in esilio in Francia per mano di Enrico V e VIII Tudor;
1a ii B) Bona Maria Sforza d'Angiò, duchessa di
Milano, regina di Napoli, di Sardegna e di Sicilia, regina consorte delle
Baleari (1512-1557) tramite il matrimonio con 1a ii C)
Alfonso III d'Angiò-Aragona.
due figlie morte giovani.
1b) Carlo (IV) l'Improbabile, principe di Taranto
(1470-1471), duca di Calabria (1471-1473), sposato con la vedova del fratello,
Ippolita Maria Sforza, figlia del duca di Milano Francesco I (1471-1473);
1b i) Luigi (IV) principe di Taranto (1472-1480),
duca di Calabria (1470-1491), fu per breve tempo l'erede presuntivo al trono di
Napoli e Sicilia, governò per conto del fratellastro;
1c) numerosi altri figli illegittimi o morti in fasce.
2) Luigi d'Angiò, marchese di Pont-à-Mousson (1427-1443), morto in battaglia; il suo ruolo verrà ereditato dal fratellastro Giovanni, bastardo d'Angiò;
3) Iolanda la Cieca,
regina consorte delle Baleari (1458-1483) tramite il matrimonio con Ferdinando
I, re delle Baleari (1458-1494) figlio illegittimo di Alfonso V d'Aragona. Suo
marito storico, Federico II di Lorena, sposa invece Carlotta di Savoia, figlia
del duca Ludovico;
3a) Alfonso II d'Aragona (I del ramo delle Baleari
è considerato il capostipite Alfonso V), re delle Baleari (1494-1495), sposato
con Giovanna d'Aragona, figlia di re Giovanni II d'Aragona (1494-1495), che in
HL sposò il padre Ferdinando I;
3a i) Ferdinando II d'Aragona, re delle Baleari
(1495-1508), re di Napoli e di Sicilia, contestato (1504-1508), sposato con
Caterina Gonzaga di Giorgio, del ramo di Novellara (XV-XVI sec.). Dato che qui è
vittorioso, nessuno gli scippa al regno, sinchè non è l'imperatore Massimiliano
I a scendere in Italia, poi muore fuggendo. Ha il tempo di generare un figlio
(Alfonso) che si sovrappone al nostro Ferdinando, in HL figlio dello zio
Federico;
3a i A) Alfonso III d'Aragona, re delle Baleari
(1508-1550), re di Napoli e di Sicilia (1504-1550), duca consorte di Milano
(1512-1550). Sposa Bona Sforza riunificando i due rami della dinastia angioina.
3b) Eleonora, sposa di Carlo, principe di Viana,
figlio di Giovanni II d'Aragona, matrimonio senza figli. Suo marito storico
Ercole I d'Este sposa invece Costanza di Capua, figlia del conte Luigi
d’Altavilla;
3c) Federico, sposa Isabella d'Aragona, primogenita
di Ferdinando II il Cattolico re d'Aragona, sarà brevemente re delle Baleari in
opposizione al nipote Ferdinando II durante la permanenza di quest'ultimo in
Italia (1496-1504) sotto il protettorato aragonese. Avrà un figlio, Michele, che
morirà nel giro di un anno dal parto. Con lui muore la linea secessionista delle
Baleari.
3d) Giovanni, cardinale e vescovo di Barcellona;
3e) Isabella, cresciuta con il fratello minore
Pietro come ostaggi alla corte di Renato il Buono a seguito della rivolta delle
Baleari (1460-1464). Sarà data da Roberto II in sposa di Piero il Fatuo, signore
di Firenze (1492-1494, 1498-1503). Suo marito storico Ladislao sposa invece
Eufrosine (1458-1476), quartogenita dell'importante nobile Nicola di Ilok, bano
di Croazia, Slavonia, Dalmazia e Macsó, voivoda di Transilvania e re titolare di
Bosnia in modo da cementificare il suo potere sul trono. Non ha figli e alla sua
morte sposa da HL Anna di Foix, avendone i figli conosciuti Anna e Luigi.
3f) Francesco, duca di Sant'Angelo e marchese di
Bisceglie (1461-1486) per concessione di Roberto II.
3g) una figlia dalla seconda moglie, numerosi altri figli
illegittimi o morti giovani.
4) Margherita d'Angiò, regina consorte d'Inghilterra e di Francia (1442-1471) tramite il matrimonio con Enrico VI e III;
5) Edoardo di Westminster, principe di Galles (1453-1471), morto in battaglia. Estinzione del ramo di Enrico V e II.
6) numerosi altri figli illegittimi o morti in fasce.
In linea di massima sono d'accordo con le considerazioni espresse da Federico e Tommaso sull'educazione e la salute di personaggi allostorici, che è ovviamente soggetta a variazioni in conseguenza dei differenti eventi da noi progettati. Concordo nel dire che il gioco delle sedie, così come l'ha definito Federico, è un po' fine a sé stesso, nel senso che inseguire la discendenza di figure sempre più minori finché non diventano insignificanti rischia di diventare ridicolo, motivo per cui cerco di evitarlo. Eppure, ha la sua utilità, nel senso che immerge chi scrive nel mondo che fu, permettendo di comprendere a pieno le dinamiche del mondo in cui bisognerà cercare di far immedesimare il lettore. Ci tengo comunque a sottolineare che trovo giusto determinare il numero di figli ucronici sulle situazioni di entrambi i genitori, e non solo sulla madre: alle condizioni descritte da voi due, io aggiungerei una disamina del padre, tanto dettagliata quanto quella della madre. Chiudo con una nota simpatica. Non so quanti di voi conoscano o giochino o abbiano giocato a Pokémon (il videogame). Ebbene, da qualche tempo sulla rete ha iniziato a spopolare un simpatico sito, il quale si occupa di fondere in maniera più o meno coerente due mostriciattoli tascabili in maniera tale da avere come risultato una creaturina terza, con caratteristiche discendenti dai due "genitori" (ve lo lascio qui, casomai voleste provarlo). Ebbene, quanto mi piacerebbe che esistesse una cosa del genere con i personaggi storici! Perlomeno, avrei qualche foto per illustrare i racconti di cui vi scrivo...!
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Per farci sapere che ne pensate, scriveteci a questo indirizzo.