La parte degli angeli

di Generalissimus

Premessa importante: per comprendere meglio questo racconto, leggete questo articolo.

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17 dicembre 2019

In una delle 1100 stanze che componevano il palazzo neo-barocco che a Londra aveva l’onore di ospitare l’Ufficio della Guerra sedeva, dietro una scrivania, il Maggiore Lawrence Robinson.

Robinson aveva passato la cinquantina, i suoi capelli ricci tagliati corti stavano iniziando ad assumere una colorazione sale e pepe, e ogni volta che non indossava il suo berretto con visiera metteva in mostra una calvizie incipiente.

Aveva una corporatura robusta, un’altezza nella media e un perenne sorriso stampato sul volto tondeggiante, cosa che rendeva palese il carattere bonario che tra i suoi sottoposti gli aveva fatto guadagnare il soprannome di “Zietto Larry”, sebbene sapesse ottimamente far valere la sua autorità nei momenti giusti.

A completare il tutto c’erano dei folti baffoni neri, che nel suo caso servivano anche a nascondere una cicatrice che si era procurato agli inizi della sua carriera militare, combattendo in Sudan durante la Guerra Mahdista.

La stanza in cui si trovava era piuttosto spoglia.

Oltre all’obbligatorio ritratto di Re Giorgio V appeso al muro c’erano solo un busto in gesso della Regina Vittoria, una lampada che stonava completamente col colore delle pareti e un’altra scrivania, più piccola, dove era seduto il suo attendente, il Sergente Douglas Davies.

Questo giovanotto allampanato, dai fitti capelli neri e dal naso aquilino, non avrebbe sfigurato, grazie alla sua notevole altezza, in un reggimento delle Guardie, ma forse perché giudicato di costituzione troppo gracile era diventato il quasi inseparabile accompagnatore del Maggiore Robinson, e gli era stato risparmiato, almeno per ora, di prendere parte alla tragedia immane che si stava svolgendo appena oltre il Canale della Manica.

Robinson tirò fuori dalla tasca della giacca una pipa, poi iniziò a frugare tutte le altre di cui era dotata la sua uniforme di servizio, ma senza cercare ciò che desiderava.

“Accidenti”, disse sconsolato, “ho dimenticato di comprare del tabacco venendo qui. Ah, che vogliamo farci, ormai sto perdendo colpi. Sergente Davies, non è che per puro miracolo ne ha un po’?”

“Mi dispiace, signore”, rispose Davies, “ma io non fumo”.

“Va bene, nessun problema, tanto ormai mi sto abituando a farne a meno sempre più”.

Ripose in tasca la pipa, mise in ordine gli incartamenti che aveva davanti a sé e riprese a dialogare: “Allora, Davies, novità dalla guerra?”

“Sì, signore, anche se sono pessime. Ormai è ufficiale, la Battaglia di Loos è persa”.

Il volto del Maggiore Robinson si fece più scuro: “Beh, accidenti, questa non ci voleva proprio. Fortunatamente non tutto è perduto, ci rifaremo sicuramente! Ma torniamo a noi. Sembra che oggi ci si prospetti davanti un compito tedioso e allo stesso tempo insolito”.

“Se così si può dire, signore… Dovremmo interrogare i testimoni di un evento avvenuto l’anno scorso”.

“Quelli ancora vivi e ai quali è stato permesso di venire qui in licenza”, ci tenne a precisare Robinson. “Davies, cosa ha di così importante questo evento da meritare un’indagine dell’Ufficio della Guerra?”

“Beh, signore, non so come dire, ma… Sembra che questo evento abbia a che fare col soprannaturale”.

Il Maggiore Robinson, al sentire questa parola, riuscì a stento a trattenere l’ilarità: “Soprannaturale? Addirittura? Che sarà mai successo? Gli Unni hanno iniziato a schierare vampiri e licantropi tra le loro file? I cadaveri dei nostri alleati francesi hanno ripreso vita per tornare a combattere al nostro fianco? O delle potenze aliene come quelle protagoniste del romanzo La Guerra dei Mondi hanno deciso di allearsi con noi?”

“Angeli, signore”.

“Come, prego?”

“Ha capito bene, signore, angeli, durante la Battaglia di Mons dell’estate dello scorso anno, nel momento peggiore per le nostre truppe, sarebbero comparse dietro le linee tedesche schiere di guerrieri angelici che si sarebbero messe a combattere dalla nostra parte evitando una disfatta e permettere alle unità più avanzate di coprire la ritirata delle altre”.

L’ufficiale inglese, al sentire il resoconto del suo sottoposto, non poté fare altro che assumere un’espressione interrogativa: “Oh! Beh… Perbacco! In effetti sì, è una faccenda strana. Che dire? Sembra proprio che ne sentiremo delle belle, oggi. Senza contare il fatto che, se queste affermazioni dovessero risultare vere, allora come disse la Regina Elisabetta alle truppe a Tilbury, Si Deus Nobiscum, Quis Contra Nos?”

“Come, Maggiore? Non credo di aver ben compreso”.

“Ah, giusto, scusa, tu forse non hai studiato il Latino come me, vuol dire, se Dio è con noi, chi oserà contrastarci? Voglio dire, è una gran cosa se l’Onnipotente ha deciso di schierarsi con la Triplice Intesa, no?”

Davies però scosse la testa: “Non saprei, signore, sicuramente c’è qualcosa sotto. E poi, se devo essere sincero, non credo che a una divinità sia concesso di intervenire così pesantemente nelle vicende umane e prendere parti così nette”.

Il Maggiore Robinson, che fino a quel momento non aveva perso neanche per un secondo il suo proverbiale sorriso, iniziò apertamente a ridere: “Oh! Oh! Oh! Oh! In effetti hai proprio ragione, ragazzo, non posso obbiettare a quello che hai detto. Sai cosa mi ricorda questa faccenda, figliolo? L’epoca della Reconquista, quando i cavalieri spagnoli affermavano che l’Apostolo Giacomo il Maggiore scendesse fisicamente in battaglia con loro per assisterli nella loro lotta contro i Saraceni. Comunque, grazie alla sua ultima esternazione, caro il mio Sergente Davies, si è guadagnato l’ingrato compito di avvocato del diavolo, contento? Se le viene qualche dubbio o ha qualche incertezza può interrompere la trascrizione delle testimonianze quando vuole e fare tutte le domande che lei ritiene sia opportuno fare”.

“D’accordo, signore, accetto con piacere questo fardello”, rispose Davies sorridendo di rimando.

“Eccellente! A proposito, mi rinfreschi la memoria, lei è un eccellente stenografo, giusto?”

“Beh, eccellente no, signore, ma mi difendo bene”.

“Bene, allora direi che possiamo cominciare. Per caso, entrando, ha visto se erano già arrivati dei testimoni?”

“C’era un ragazzo, seduto in corridoio, credo sia uno di loro”.

“Vado a chiamarlo, prima finiamo, prima possiamo occuparci di altro”.

Il Maggiore si alzò dalla sua sedia, aprì la porta e invitò dentro il testimone. Il suo abbigliamento, del quale spiccavano kilt e berretto balmoral, non lasciavano spazio ad alcun dubbio: il giovane apparteneva ad un reggimento delle Highland.

Dopo avergli stretto la mano e averlo fatto accomodare su una sedia al centro della stanza, equidistante sia dalla sua scrivania che da quella di Davies, il Maggiore Robinson tornò al suo posto e diede il via al colloquio:

“Allora, posso offrirle del tè? Posso fare qualcosa per metterla più a suo agio?”

“No, grazie, signore, sono a posto così”.

“D’accordo, come vuole lei. Volevo giusto farle capire che questa sarà più che altro una chiacchierata amichevole, può dire tutto quello che vuole, noi non ci faremo alcun tipo di pregiudizio. Direi che per cominciare può dirci chi è”.

Il giovane iniziò a parlare con un quasi impercettibile accento scozzese, che avrebbe sicuramente tradito le sue origini se non avesse avuto indosso alcun abito tradizionale di quella regione:

“Sono il Sergente Maggiore Donald Murdoch, del 1° Battaglione degli Highlander dell’Argyll e del Sutherland. Sono nato il 25 Luglio del 1893 a Campbeltown, e mi sono arruolato come volontario allo scoppio della guerra”.

“Mi scusi”, lo interruppe il Maggiore, “ma la sua faccia ha un’aria familiare. Lei mi ricorda qualcuno, e poi il suo cognome, Murdoch… Che possa trattarsi di una piacevole coincidenza? Il nome Silas Murdoch le dice qualcosa?”

“In effetti è un nome che mi dice parecchio, signore, è quello di mio padre”.

Robinson si alzò raggiante dalla sedia per andare ad abbracciare il suo interlocutore: “Ma è meraviglioso! Vedi, ragazzo, io ho combattuto con tuo padre! Ah, è un vero scandalo che non gli abbiano concesso la Victoria Cross per quello che ha fatto durante la Spedizione Seymour! Sai, no? Durante la Ribellione dei Boxer. Tuo padre ti racconta mai le sue avventure?”

“Beh, non esattamente, signore”.

“Eh, un po’ lo capisco, dopotutto ne ha viste di tutti colori, certi ricordi non sono per niente piacevoli da rievocare. Dimmi, come sta?”

“L’artrosi lo fa un po’ penare, signore, ma per il resto direi che sta benissimo”.

“Ah, eccellente, mi fa piacere sentirlo! Però chiariscimi una cosa: tu, come tuo padre, tuo nonno e tutti i tuoi antenati appartenete ai Visconti Murdoch del Kintyre, eppure mi hai appena detto di essere un semplice sergente maggiore. Se qualcuno mi avesse detto che il figlio di Silas Murdoch si era arruolato, io me lo sarei già immaginato già ufficiale; come mai hai scelto di scalare tutti i ranghi dal basso? Avevi tutte le possibilità per essere già capitano, a quest’ora”.

Murdoch sorrise e scosse la testa abbassandola: “Lo so, signore, me lo hanno detto praticamente tutti i miei parenti, ma che posso dire? Sono il più anticonformista della mia famiglia. Volevo essere alla pari con i miei commilitoni più sfortunati, non volevo sfuggire a nessuna delle loro sofferenze. D’altronde. perché avrei dovuto farlo? Solo perché sono nato in una famiglia ricca e facoltosa? Nossignore, diciamo che questo non è affatto il mio stile. I gradi che ho me li sono guadagnati sul campo”.

Robinson annuì compiaciuto e poi aggiunse: “Che dire, ragazzo? Una decisione che ti fa onore. D’altronde, se non ricordo male, il capostipite della tua schiatta iniziò proprio così. Comunque sia, ragazzo, bando ai convenevoli e torniamo a noi. Sei sicuramente un uomo intelligente, non devo certo dirti il perché tu sia stato convocato qui, vero?”

“No, signore, ho capito benissimo di cosa volete che io vi parli: degli Angeli di Mons”.

“Precisamente, figliolo. Tu eri lì ad Agosto dell’anno scorso, vero? Perché non ci dici cosa ti ricordi? Ogni più piccolo particolare può essere utile”.

“Mmm, da dove cominciare? Ero in trincea quel giorno, e il nostro battaglione, come tutti gli altri presenti in quella battaglia, aveva un compito arduo: bloccare le ondate e ondate di soldati tedeschi che avrebbero cercato di sfondare le nostre linee per arrivare dritte dritte a Parigi.

Resistemmo più che potemmo, ma i Tedeschi erano veramente troppi per noi, e rischiarono di travolgerci un paio di volte.

Poi arrivò l’ordine di ritirarsi, e la nostra missione cambiò: avremmo dovuto coprire la ritirata delle altre unità fino a quando non sarebbe toccato a noi abbandonare le trincee dove ci trovavamo.

La battaglia divenne sempre più ardua, gli Unni ci martellavano duro e continuavano a falcidiarci, ero sicuro che avremmo ceduto, e poi all’improvviso accadde”.

“Non fermarti, figliolo, continua”.

“Ad un certo punto… Come dire… Calò una nebbia sulle linee tedesche, sempre più fitta…”

Sentendo questo, il Sergente Davies interruppe il giovane nobile scozzese: “Nebbia, ha detto? Beh, questo può spiegare molte cose: i cosiddetti angeli forse non sono altro che un’illusione causata da un qualche genere di arma chimica utilizzata in quell’occasione dai Tedeschi”.

“No, Sergente (lei è sergente, giusto?), questo lo escludo”.

“Come fa a dirlo?”

“Purtroppo, durante questa maledetta guerra, ho visto con i miei occhi che cosa possono fare i gas che i Crucchi usano contro di noi. Non ti fanno avere le traveggole, ti conducono unicamente alla morte, una morte orribile: i polmoni ti si riempiono di liquidi nel giro di una settimana, è come morire annegati lentamente”.

Un brivido corse lungo la schiena dei presenti e il Maggiore Robinson, perdendo per un attimo il suo sorriso, disse: “Ci risparmi questi, particolari, grazie, abbiamo compreso. Cosa è successo dopo che è comparsa questa nebbia?”

“Beh, dunque, vediamo… Dopo la nebbia ho visto un bagliore comparire a mezz’aria al centro dell’orizzonte, come se nel cielo fosse comparsa una nuova stella”.

Davies interruppe di nuovo l’Highlander: “Un bagliore, lei dice? Sicuro che non fosse il sole che faceva capolino dalla foschia?”

“No, Sergente, ne sono sicuro, era passato mezzogiorno, non è possibile che fosse il sole, era alle nostre spalle”.

“E se si fosse trattato di un razzo da segnalazione?” chiese il Maggiore Robinson.

“No, signore, non credo, lo avremmo visto partire da terra e poi scendere di nuovo lentamente, ma questo non è successo, è rimasto sospeso in aria per tutto il tempo. E comunque era di un colore strano che non avevo mai visto, insolito per un razzo da segnalazione”.

“D’accordo, vada avanti”.

“Dicevo, compare questo bagliore… E uno dopo l’altro iniziano a comparire gli angeli!”

“Come erano fatti questi… Angeli?” chiese Robinson.

“Beh, erano fatti esattamente come noi. Erano tutti giovani, alti, belli… E avevano le ali!”

“Li distinguevate bene?”, intervenne Davies.

“Sì, Sergente”.

“Ma quanto distavano le linee tedesche dalle vostre?”

“Beh, non erano vicine, ma non erano neanche troppo lontane, tutti quelli che erano con me hanno visto chiaramente quello che ho visto io, ed era possibile distinguere quello che stava accadendo”.

“Come erano vestiti questi angeli?” chiese il Maggiore Robinson.

“Avevano armature, come i soldati medioevali”.

“Erano anche armati?”

“Oh, sì, assolutamente, avevano spade, asce da battaglia, lance, mazzapicchi, daghe, scudi di tutti tipi e chi più ne ha più ne metta. C’erano perfino dei reparti di cavalleria, se così li si può definire! Ma la maggior parte era armata con archi lunghi”.

“Archi lunghi?”, esternò il Maggiore Robinson, “Come quelli della Guerra dei Cent’Anni?”

“Beh, sì, signore, direi proprio di sì”.

“Va bene, vada avanti, cosa è successo dopo che sono comparsi questi militi angelici?”

“Una cosa incredibile! Hanno iniziato a fare sfracelli nelle linee tedesche! Vedevamo i Crucchi cadere sotto i loro colpi e sembrava che nulla potesse fermarli!”

Un silenzio provocato dal dubbio e dallo stupore aleggiò per qualche attimo nella stanza.

Il silenzio venne interrotto dal Maggiore Robinson, che chiese al Sergente Maggiore Murdoch: “E voi, nelle trincee inglesi, che cosa faceste?”

“All’inizio rimanemmo tutti stupiti a guardare per qualche secondo, ma poi mi riscossi e dissi a quelli che mi stavano vicino che non potevamo star lì senza far niente, e ordinai il fuoco a volontà. Mi passi il termine, ma ci mettemmo a sparare come indemoniati! Sebbene i Tedeschi continuassero a cercare di caricare le nostre linee a discapito di tutto, non potevano fare altro che tenere la testa bassa”.

“Per quanto tempo è andato avanti tutto questo?”, domandò Robinson.

“Non saprei, signore, dieci minuti? Mezz’ora? Nella foga del combattimento ho perso la cognizione del tempo. Comunque sia ad un certo punto, così come era comparsa, la luce misteriosa scomparve, e con essa i guerrieri paradisiaci. Poi piano piano scomparve anche la nebbia”.

“E poi cosa accadde?”

“Niente, Maggiore, quando anche l’ultimo banco di nebbia si diradò arrivò l’ordine di ritirata anche per noi. Temevamo che i Tedeschi ne avrebbero approfittato per inseguirci, ma non successe nulla, non si mossero dalle loro trincee. Evidentemente gli angeli avevano inflitto loro perdite tremende”.

L’espressione del Maggiore Robinson divenne pensierosa: “Non ha mai più visto quegli angeli?”

“No, signore, fino ad ora no, quella è stata la prima e l’ultima volta che li ho visti”.

Dopo un altro attimo di pausa Robinson disse: “Sergente Maggiore Murdoch, lasci che le faccia un’ultima domanda: lei è credente?”

Murdoch, però rimase un po’ interdetto: “Maggiore Robinson, scusi se le sembro impertinente, ma se lei dice di conoscere mio padre saprà che lui è un uomo che tiene molto agli aspetti religiosi della vita. Egli ha fatto di tutto per inculcarmi i suoi stessi valori. Certo, ho i miei peccati come tutti, ma in generale mi definisco un buon credente. Quello che voglio dire è che non capisco cosa c’entri questa domanda con quello che è accaduto. Lo abbiamo visto tutti! Pensi che del mio plotone faceva parte un soldato con simpatie Socialiste che si era più volte dichiarato apertamente ateo. Ebbene, quel giorno era proprio alla mia sinistra, e ha visto le stesse cose che ho visto io e che hanno visto tutti gli altri”.

“Mmm, interessante, secondo lei sarebbe possibile fargli qualche domanda al riguardo?”

“No, Maggiore, mi dispiace, ma l’ultima volta che l’ho visto era stato letteralmente ridotto a brandelli da un colpo di mortaio da 210mm che ha centrato in pieno una decina dei nostri uomini sulla Marna”.

“Oh, mi dispiace”.

“Anche a me. In fondo in fondo era un ottimo soldato”.

Robinson tirò di nuovo fuori la pipa dalla giacca, si ricordò di nuovo di non avere in suo possesso tabacco da poter fumare e disse: “Beh, io non credo di avere altre domande da fare. E lei, Sergente Davies?”

“No, signore, non ho altre domande”.

“D’accordo, ha preso nota di tutto?”

“Certo, Signore”.

Robinson si alzò per salutare il giovane nobile scozzese e accompagnarlo verso la porta: “Grazie per la tua collaborazione, ragazzo, quello che ci hai detto è stato molto utile. Se rivedi tuo padre, digli che Larry Robinson lo saluta calorosamente… E che quelle 20 Sterline che mi deve ancora dai tempi del nostro servizio in India le rivoglio indietro con gli interessi!”

“Ah! Ah! Glielo riferirò senz’altro, Maggiore, arrivederci! E arrivederci anche a lei, Sergente!”

Appena la porta si chiuse alle spalle di Donald Murdoch il Maggiore Robinson, sempre sorridendo, scosse la testa e disse, rivolto a Davies: “Quel giovane scavezzacollo ha mentito spudoratamente”.

Quest’affermazione lasciò interdetto il sergente: “Davvero, signore? Come fa ad esserne sicuro?”

“Beh, vede, io e il padre del Sergente Maggiore Murdoch non abbiamo una frequentazione degna di questo nome, ma intratteniamo una certa comunicazione epistolare, una corrispondenza della quale il ragazzo non sembra essere al corrente. In una delle ultime lettere, che ho ricevuto qualche mese fa, il buon Silas Murdoch si lamentava del fatto che suo figlio fosse stato degradato per continui e reiterati atti di insubordinazione e violazioni del regolamento militare”.

“Quindi era davvero un ufficiale?”

“Esattamente, sarebbe stato strano il contrario”.

“Ma allora ci ha raccontato una marea di stupidaggini! Perché lo ha lasciato parlare, Maggiore?”

“Beh, prima di tutto perché adesso abbiamo almeno una versione dei fatti da confrontare con le altre, e seconda cosa perché a me è sembrato sincero riguardo all’evento su cui stiamo indagando. L’ho guardato negli occhi e sembrava assolutamente sicuro di quello che diceva”.

Il Sergente Davies non poté fare altro che scrollare le spalle poco convinto, ma i racconti dei successivi due testimoni, un trasandato tenente irlandese e un caporale di Manchester congedato perché aveva perso entrambe le gambe incappando in una mina, non fecero altro che confermare la versione del sottufficiale scozzese entrato per primo: una nebbia, poi una luce sospesa nel cielo, l’apparizione delle schiere angeliche e poi la scomparsa di tutti questi fenomeni.

“Accidenti, Maggiore, o si sono messi d’accordo nel corridoio sulla versione da fornire o c’è davvero da crederci!”, disse Davies una volta andato via il terzo interpellato.

“Eh! Eh! Eh! Calma, ragazzo, calma! Non è ancora il momento di trarre conclusioni! Oh, bussano alla porta, chi è?”

Un soldato fece capolino e disse all’ufficiale: “Maggiore Robinson, c’è qui un civile che sta facendo il diavolo a quattro, non so nemmeno chi lo abbia fatto entrare. Dice che esige di volerla vedere”.

“Oh, cosa avrà mai di così importante da dirmi? Lo faccia entrare, per cortesia”.

Il soldato si fece da parte, la porta si aprì e nella stanza entrò un uomo sulla cinquantina, dai lineamenti decisi e dai capelli lunghi e radi.

“Buongiorno, lei è il Maggiore Lawrence Robinson?”

“Sì, sono io”.

“Ed è lei che si sta occupando dei cosiddetti Angeli di Mons?”

“Sì, sono sempre io, però mi scusi, potrebbe perlomeno presentarsi, per cortesia? Sebbene io abbia l’impressione di aver già visto la sua faccia da qualche altra parte”.

“Perdoni la mia irruenza, ma mi preme particolarmente ristabilire la verità riguardo a questa faccenda. Mi presento: mi chiamo Arthur Llewellyn Jones, meglio noto al grande pubblico come Arthur Machen”.

“Ho capito chi è lei!”, disse il Maggiore Robinson, “Lei è quello che ha scritto Il Grande Dio Pan! Sebbene devo dire che non l’ho esattamente trovato di mio gradimento”.

“Non si preoccupi, Maggiore, non è il solo”.

“Lei ha detto di avere qualcosa da dire riguardo alla misteriosa apparizione di angeli durante la Battaglia di Mons”.

“Certamente. La verità è che mi sono inventato tutto”.

“Come?”

“Sì, ha capito bene, tutta questa faccenda non è altro che una montagna di baggianate ideate da me”.

“Ma per quale motivo lo ha fatto?”

“Beh, a dire il vero non è che io lo abbia fatto di proposito. Vede, glielo spiegherò nella maniera più breve possibile. Forse lei saprà che io sono un corrispondente di guerra”.

“Sì, è vero, ricordo qualcosa al riguardo”.

“Ebbene, dopo la Battaglia di Mons scrissi un racconto, Gli Arcieri, nel quale gli spiriti degli arcieri che hanno partecipato alla Battaglia di Azincourt, evocati dalla preghiera a San Giorgio di un soldato inglese, infliggono una sconfitta ai Tedeschi”.

“Bello”.

“Sì, ma da subito hanno iniziato a chiedermi le prove di quello che era accaduto! Ho scritto il racconto con una prospettiva in prima persona e la gente, dopo la sua pubblicazione, ha iniziato a credere che ciò che avevo scritto fosse vero! Sì, è vero, sono un autore di racconti soprannaturali, credo nell’esistenza di un mondo strano e misterioso trascendente al nostro, mi interesso al paganesimo, al misticismo e all’occulto, ho perfino indagato su Artù e il Santo Graal, ma una cosa è scrivere racconti di fantasia, e un’altra è dare adito a notizie false e disinformazione! E io non voglio avere nulla a che fare con questo! Io voglio che a farsi strada sia la verità! E la verità è che a Mons non c’è stato nessun intervento ultraterreno! Tutto quello che hanno fatto i soldati inglesi in quella battaglia lo hanno fatto da soli, con le loro forze, e non c’è che da essere fieri di questo!”

“Signor Machen, i suoi intenti sono ammirevoli”.

“Forse, eppure sa cosa sta succedendo? Per questo mio desiderio di rendere nota a tutti la verità vengo tacciato di essere un disfattista! Io!”

“Suvvia, Signor Machen, si calmi! Ecco, si sieda. Posso farle qualche domanda? Magari può darci una mano nelle indagini”.

“Certo, Maggiore, assolutamente, può farmi tutte le domande che vuole”.

“Ottimo, ottimo! Allora, ascolti, noi abbiamo già interrogato alcuni testimoni della misteriosa apparizione, e ci hanno fornito tutti la stessa versione. Come se lo spiega questo?”

“Semplice: si è trattato di isteria collettiva, come quando nel Medioevo le suore di mezza Europa iniziarono a ridere incontrollabilmente senza alcun motivo apparente o come quando la popolazione di una cittadina francese iniziò a ballare senza mai fermarsi. E quell’allucinazione che hanno avuto, perché di allucinazione si tratta, non l’hanno avuta nella parte finale della battaglia, ma durante la ritirata, dopo aver passato diverso tempo senza dormire e magari senza neanche mangiare, una situazione che non fa certo bene alla psiche di una persona, portandola magari a cadere in errore riguardo la sequenza di dati eventi e a vedere cose che non esistono, come degli angeli salvatori”.

Il Maggiore Robinson rimase a osservare lo scrittore gallese per un po’ e poi disse: “Dunque è questa la sua versione dei fatti?”

“Precisamente, Maggiore. Nessun angelo è disceso dal cielo per aiutare le nostre truppe in Belgio, così come i Tedeschi non crocifiggono i prigionieri con le baionette, né mandano i cadaveri dei nostri compatrioti in fabbriche che riciclano il grasso dei loro corpi. E in tutto questo non voglio neanche parlare dei soldati che stanno approfittando di questa faccenda degli angeli per acquisire notorietà”.

“Sì, capisco, ma le ripeto, perché le versioni coincidono? Perché tutti dicono di aver visto tutti la stessa cosa?”

“Vede, Maggiore, in questo momento, dal Mare del Nord fino alla Svizzera, si estende un’enorme striscia di ferro e fango nota come Fronte Occidentale. Mons è solo una piccolissima porzione di questo fronte, le voci possono diffondersi in fretta, ed uniformarsi altrettanto rapidamente. E in più pensate a questo come prova finale: sono mai trapelati rapporti tedeschi di massacri operati da delle figure ultraterrene?”

“Beh, che io sappia no, ma qualcosa mi dice che se chiedessi ai membri della nostra intelligence mi risponderebbero di no”.

“Appunto”.

Dopo un attimo di pausa, Robinson si rivolse al suo sottoposto: “Lei che ne pensa, Sergente Davies?”

“La trovo una spiegazione convincente, signore”.

“Beh, direi che ci è stato di grande aiuto, Signor Machen”, disse il Maggiore Robinson estraendo per la terza volta la pipa dalla tasca della giacca, “terremo questa sua testimonianza in gran conto e… Ah, giusto, il tabacco, ma dove ho la testa, oggi?”

“Prenda un po’ del mio, Maggiore”.

“Ah, grazie Signor Machen, le sono infinitamente grato!” L’ufficiale britannico poté finalmente accendere la sua pipa.

“Comunque, stavo dicendo, la sua testimonianza ci ha aiutato tantissimo a far luce su tutta misteriosa faccenda, che a dire la verità abbiamo scoperto non avere nulla di misterioso. Per il momento non posso fare altro che ringraziarla e salutarla”.

“Grazie a voi per avermi ascoltato”.

Dopo aver stretto la mano ai presenti, lo scrittore gallese andò via.

Appena si chiuse la porta alle spalle, il Maggiore Robinson commentò: “Ecco svelato l’arcano. E nientemeno che dalla fonte di tutto questo trambusto”.

“Il fatto che si sia offerto spontaneamente di spiegare tutto è una riprova della sua buona fede, signore, ma che facciamo adesso?”

“Non saprei, Davies, credo che in corridoio sia rimasto solo un testimone da interrogare. Potremmo benissimo mandarlo a casa, a questo punto, oppure interrogarlo giusto per scrupolo… Aspetta, hanno bussato di nuovo… Chi è?”

Lo stesso soldato che prima aveva annunciato la presenza di Arthur Machen fece di nuovo capolino dalla porta:

“Maggiore Robinson, può venire un attimo? Il Colonnello King la sta cercando, dice che deve dirle alcune cose e consegnarle qualche documento, e che ci vorrà solo qualche minuto”.

“D’accordo, gli dica che sto arrivando”.

Dopo che il soldato chiuse la porta, il Maggiore Robinson si alzò e indossò cappotto e cappello.

“Quando il Colonnello King dice “qualche minuto” in realtà vuole dire “ere geologiche”. Facciamo una cosa, Davies, perché non interroga lei l’ultimo testimone?”

“Io, signore? Ne è sicuro?”

“Ma certo, tanto ha visto come si fa, no? Sicuramente non avrà nulla di nuovo da dirci, e per quando sarò tornato avrà sicuramente finito”.

“Allora va bene, signore, lo farò”.

“Ottimo, allora ci vediamo dopo”.

Detto questo si avviò verso la porta, la aprì e invitò ad entrare l’ultimo testimone della manifestazione angelica, che rimase solo nella stanza col Sergente Davies.

Questi, quando lo vide, rimase praticamente di stucco: “Accidenti, questa è la giornata delle sorprese! Guarda un po’ tu se non è Francis Cranshaw!”

L’uomo, però, arrossì e rispose in modo impacciato: “No, mi dispiace sergente, si sbaglia. Deve per forza avermi scambiato per qualcun altro. Io sono il Sottotenente Henry Holmes, del Royal Flying Corps”.

“Davvero, Francis, o per meglio dire “Frankie”, come ti chiamavano tutti? Sì, è vero, è parecchio che non ci vediamo, ma io riuscirei a riconoscerti anche nel mezzo di uno Stamford Bridge pieno come un uovo, senza parlare di quell’inconfondibile accento dell’East End. Se davvero non sei Frankie Cranshaw allora fammi vedere il tuo fianco sinistro!”

“E va bene, Doug, mi hai beccato, sono io, Frankie”.

Holmes, o per meglio dire Cranshaw, non ottemperò alle richieste del suo conoscente di vecchia data perché a causa di una cicatrice causata da un coltello durante una rissa, Davies avrebbe scoperto la vera identità del suo interlocutore.

“Frankie, che cos’è questa storia? Perché ti stai spacciando per un’altra persona? Cosa c’è sotto?”

“Eh, è una storia lunga”.

“Puoi raccontarmela?”

“Eh, non proprio".

Dopo un attimo di esitazione, però, Frankie Cranshaw cambiò idea: "Anzi... Sai che ti dico? Te la racconterò. Ma promettimi che tutto quello che dirò non uscirà da questa stanza”.

Davies ci pensò un po’ su e disse: “D’accordo, lo prometto. Ma è una storia così brutta?”

“Purtroppo sì. Sai che non sono affatto uno stinco di santo, vero?”

“Così come non lo sono neanche io. Non ricordo con piacere gli anni della mia infanzia a Londra”.

“Non passava giorno che non rubassimo qualcosa, ma lo facevamo per sopravvivere. Ti ricordi come urlava ogni volta quel fruttivendolo Ebreo?”

“Sì, lo facevamo impazzire”.

“Però almeno tu un giorno ti sei salvato. Grazie ad un colpo di fortuna tuo padre riuscì ad entrare nella polizia e vi trasferiste a Birmingham. Io invece dovetti rimanere a marcire a Londra. Mio padre morì, così come morirono i miei fratelli che non erano già morti. Alla fine rimanemmo solo io, mia madre e le mie due sorelle più piccole. Non riuscivo a trovare uno straccio di lavoro, dovevo assolutamente trovare un modo per racimolare qualche soldo. E così mi sono risolto alle truffe, in particolare quelle amorose. Abbordavo le giovani fanciulle dell’alta borghesia e della piccola nobiltà fingendomi a mia volta il figlio ripudiato e sfortunato di un nobile, o un giovane artista alla ricerca di un mecenate, o cose così, e una volta che si erano innamorate di me vivevo praticamente da parassita nelle loro dimore. A quel punto era fatta, e delle due l’una: o finivano i soldi e io le piantavo in asso, o scoprivano chi ero e me la davo a gambe. Il tutto prima nella stessa Londra, poi per qualche tempo a Leeds e poi di nuovo a Londra”.

“Accidenti, è pazzesco”.

“Pazzesco e molto rischioso, col passare del tempo affinai le mie doti, ma nonostante questo le cose hanno iniziato a prendere una brutta piega. soprattutto quando iniziai anche ad offrirmi come amante alle povere nobildonne trascurate e maltrattate dai mariti. Le prime volte andò bene, nel senso che riuscivo a cavarmela indenne dopo che i mariti che cornificavo scoprivano le tresche che le loro mogli avevano con me, ma un bel giorno, la tragedia: all’epoca me la spassavo con una certa Lady Whitmore, una bella donna benestante quanto prosperosa, anche se aveva almeno dieci anni più di me. Comunque sia, nonostante fosse estate e avessimo la finestra aperta, una notte non ci accorgiamo che Lord Whitmore torna prima dal club in cui di solito passava l’intera giornata, e quello coglie in flagrante me e sua moglie a letto. Dopo un iniziale momento di stupore, Lord Whitmore schiuma di rabbia, diventa paonazzo e dà letteralmente di matto, inizia a prendere a calci mobili e suppellettili e a sfasciare tutto quello che trova a tiro sotto i nostri sguardi impietriti, poi comincia a minacciare di morte tutti e due… E infine passa dalle parole ai fatti. Tira fuori una rivoltella, la punta verso sua moglie, le urla qualche altro insulto e la fa fuori come se niente fosse. Non so come diavolo abbia fatto a non perdere il sangue freddo durante tutto quel tempo, ma sarei stato sicuramente il prossimo se non avessi preso a mia volta una semiautomatica Browning che mi ero procurato tempo prima al mercato nero e non avessi centrato Lord Whitmore proprio in mezzo alla fronte. Non era ancora stramazzato al suolo che io già avevo iniziato a rivestirmi in tutta fretta, poi saltai giù dalla finestra rischiando di spezzarmi tutte e due le caviglie e sparii nel buio delle strade di Londra prima di attirare le attenzioni sgradite di qualcuno, visto il fracasso che avevamo sicuramente fatto”.

“Buon Dio, Frankie, lo hai detto tu stesso che non eri uno stinco di santo, ma non sei mai stato un assassino!”

“Eppure quella notte lo divenni, Doug, sebbene forse avessi l’attenuante della legittima difesa. Ma aspetta, perché non è ancora finita, e per di più la storia si fa ancora più oscura. Non so neanche come feci a scamparla dall’affare Whitmore, forse quegli idioti di Scotland Yard hanno deciso di chiudere la faccenda come un omicidio-suicidio. Comunque sia, non avevo nessuno alle calcagna. Un bel giorno mi imbucai in una festa a cui partecipavano alcune delle personalità più in vista del panorama londinese… E vidi lei”.

“Lei chi?”

“La donna di cui mi innamorai. Si chiamava Josephine Ballantine, aveva i capelli rossi, gli occhi azzurri e… Aaah! Accidenti! Ogni volta che ci penso mi viene voglia di colpirmi la testa con un batticarne! Ma cosa diavolo mi era saltato in mente?”

“Immagino che l’amore vero non si addica a qualcuno che ha deciso di vivere una vita di truffe, raggiri, espedienti e mezzucci… E che per di più ha un morto sulla coscienza”.

“Puoi ben dirlo, Doug, puoi ben dirlo, e ti sto parlando della figlia di un membro della Camera dei Lord. Eppure mi bastò parlare con lei quella sera per capire che avrei voluto passare con lei il resto della mia vita, fu il classico colpo di fulmine. E per tutto il tempo che l’ho frequentata ho avuto l’impressione, anzi no, la certezza, che lei provasse le stesse cose per me e che il mio amore fosse ricambiato. Per continuare a rivederla ho dovuto spremere al massimo possibile tutte le mie doti “interpretative”, fingendomi un giovane conte rimasto orfano, nonché ovviamente il gruzzolo che ero riuscito a mettermi da parte. Riuscii perfino chissà come a mandare “fuori dai giochi” altri due contendenti alla mano della bella Josephine, loro sì veri nobili facoltosi. La mia sembrava una strada in discesa diretta verso il matrimonio con Josephine e la fine di tutti i miei problemi, finché non accadde l’irreparabile. Mi presentai nella villa in campagna del padre di Josephine, Cornelius, ma invece di tutta la famiglia riunita trovai solo lui. Mi venne incontro scurissimo in volto, mi prese per un braccio, mi trascinò fino ad uno studiolo al piano terra e chiuse la porta a chiave dietro di sé. Era accaduto quello che più temevo: Cornelius Ballantine conosceva una delle mie ex vittime, un imprenditore di Liverpool che avevo fregato col trucco della finta consegna di materiali industriali da pagare in anticipo. Trovandosi a parlare di sua figlia parlò anche di me, e quando mi descrisse a quell’industriale costui percepì una strana somiglianza con l’uomo che lo aveva gabbato tempo addietro. Chiese a Ballantine una mia foto, e quando ne vide una che ritraeva me insieme a Josephine, un errore che a posteriori non avrei mai dovuto commettere, non ebbe più dubbi: quello che si stava spacciando per chissà quale conte era in realtà il più abbietto dei truffatori. Cornelius Ballantine iniziò delle indagini in privato, e dopo aver raccolto tante prove contro di me da riempire un’enciclopedia, eccolo davanti a me che mi poneva due scelte: potevo andarmene di mia spontanea volontà e non farmi rivedere mai più a meno di un miglio di distanza da lui o sua figlia oppure affrontare tutte le conseguenze del caso ed entrare in un carcere per uscirne chissà quando. A quel punto scoppiai in lacrime, dissi che io amavo davvero Josephine e che non avevo secondi fini nei suoi confronti, ma Cornelius andò su tutte le furie e non volle sentire neanche un’altra parola. Disse che non avrebbe mai e poi mai accettato che un comune criminale fosse entrato a far parte della sua famiglia, e che per colpa mia erano andati a monte svariati matrimoni d’interesse che avrebbero favorito enormemente la sua famiglia. Avrei dovuto rimanere in silenzio, accettare la sua proposta di ritorno nell’anonimato e andarmene subito con la coda tra le gambe, invece, ad un certo punto, non ce la feci più a sopportare il fiume di improperi e ingiurie che stava riversando contro di me, e inoltre ebbi l’impressione che stesse per alzare il bastone da passeggio che portava sempre con sé per aggredirmi, così afferrai un pesante portacandele in ottone appoggiato su un comò alla mia destra e gli fracassai la testa con quello. Il sangue che fuoriusciva dal suo cranio non lasciava spazio a dubbi: Cornelius Ballantine era morto. Presi le chiavi della porta dello studio, tutto il denaro e gli oggetti di valore presenti in quella stanza che potevo portare sulla mia persona e fuggii via”.

“Tutto ciò è tremendo”.

“Già, ma che farci? Ho perso il controllo, ma mi sono pentito quasi subito della sua morte. Senza contare il fatto che non c’è giorno che non pensi almeno una volta a Josephine. Mi piacerebbe tornare da lei e provare a chiederle perdono per tutto quello che è successo, ma ho troppa paura della sua reazione. Comunque, dopo la morte di Cornelius, riuscii in qualche modo a tornare a Londra, che in quel periodo si stava riempiendo di soldati provenienti da tutto l’Impero per via della guerra. Mi rifugiai in uno dei pub più squallidi che avessi mai visto. Non so quanto tempo rimasi in quella bettola, persi la cognizione del tempo e scolarsi un bicchiere dopo l’altro di gin non aiutava di certo, se fossero arrivati dei poliziotti ad arrestarmi per quello che avevo fatto non sarei stato minimamente nelle condizioni di oppormi. All’improvviso un forte sospiro mi fece capire che qualcuno si era seduto sullo sgabello a fianco al mio. Mi sono voltato per vedere chi fosse, per curiosità, e rimasi di stucco. Il ragazzo che si era seduto a fianco a me era il mio sosia perfetto! L’unica differenza erano dei ridicoli baffetti che mai mi sarei sognato di portare in vita mia. Si accorse che lo stavo fissando, si voltò, e vidi disegnarsi sul suo volto la mia stessa espressione esterrefatta. Quello era il vero Henry Holmes, un ragazzo di Southampton che si era unito al Royal Flying Corps e che il giorno appresso avrebbe dovuto prendere una nave che lo avrebbe portato in Francia, dove in seguito si sarebbe unito al suo reparto. Quella sera stava cercando una taverna dove scaricare la tensione del viaggio che lo attendeva, ma non essendo pratico di Londra era finito per errore nella stessa stamberga dove mi trovavo io. Era forse un segno del destino? Una folle idea mi balenò all’improvviso nella mente: sostituirmi a lui. Mi guadagnai la sua fiducia, poi con una scusa uscimmo da quel pub e infine, arrivato in un vicolo buio e isolato, strangolai Henry Holmes”.

“Buon Dio, Frankie! Ti rendi conto di cosa mi stai dicendo? Questo è a dir poco mostruoso! Era davvero necessario?”

“E cosa avrei dovuto fare? Dargli una botta in testa e lasciarlo lì legato come un salame? Avrebbe ripreso i sensi prima o poi, e avrebbe raccontato a tutti quello che gli era successo, e mi sarei trovato di nuovo con gli sbirri alle calcagna. E poi un morto in più, un morto in meno… A quel punto che differenza faceva? E poi stavo per andare in guerra, mi sarei comunque dovuto abituare in qualche modo a togliere la vita ad innumerevoli altre persone. Sai qual è l’unica differenza tra un soldato e un assassino? Lo stipendio statale”.

“Cos’è, ti metti a fare anche battute, adesso?”

“Più che una battuta questa era un’amara considerazione”.

“Ma non hai pensato che anche quel ragazzo potesse avere una famiglia?”

“Certo che sì… Anche se non in quel momento. Però, a dire la verità, ho notato che finora non ho ricevuto lettere indirizzate a me. Possibile che questo Holmes fosse un uomo solo al mondo? Comunque sia, tolsi l’uniforme al suo cadavere e la indossai: mi stava a pennello! Gli misi i miei abiti e gli infilai i miei documenti, quelli veri, nelle tasche. Francis Cranshaw era ufficialmente morto in quel vicolo. Quando avrebbero trovato il suo cadavere avrebbero dedotto che l’assassino di Lord Cornelius Ballantine, nonché noto truffatore, era andato incontro al suo destino ultimo in seguito ad un regolamento di conti con dei probabili debitori o degli ex complici arrabbiati con lui per dei torti subiti. Tempo due settimane ed ero arrivato al fronte”.

Davies non ce la fece più a trattenersi: “Sono a dir poco allibito! Mi hai raccontato una delle storie più orribili che abbia mai sentito! Ti ho lasciato ladruncolo di strada e ti ho ritrovato spietato pluriomicida! Dammi un solo motivo per cui non dovrei chiamare immediatamente la polizia e consegnarti ad essa!”

“Semplice, gli angeli!”

La risposta di Frankie fece rimanere interdetto Davies: “Cosa c’entrano gli angeli?”

“Mi hanno convocato qui per parlare di loro, no?”

“Sì, questo è vero, ma…”

“Ebbene ti assicuro che c’entrano”.

“Guarda che se hai intenzione di raccontarmi anche tu la storia della nebbia, della luce e dei…”

“Cosa? No, no, no! Non ho visto niente di tutto questo”.

“E allora? Io continuo a non capire cosa c’entrano questi fantomatici angeli, considerato anche il fatto che abbiamo appena scoperto che tutto quello che li riguarda è una panzana colossale”.

“Invece c’entrano eccome, e non sono affatto una “panzana”, come dici tu. Ti prego, lascia che ti racconti la mia storia. Avevo intenzione di dare questa come testimonianza, ovviamente omettendo accuratamente tutto quello che ti ho detto prima”.

Davies rimase almeno un minuto buono a pensarci, ma poi disse: “D’accordo, ascolterò. Ma spero per te che la tua storia sia abbastanza convincente da evitarti la galera a vita”.

“Sei davvero determinato a farmi finire in cella, eh? Beh, in effetti al momento non mi viene in mente nessuno che più di me meriti questo destino, a parte Jack lo Squartatore, ovvio, e sempre ammesso che sia ancora vivo. Dunque, da dove cominciare? Ah, sì… Come ti ho detto mi sono ritrovato a far parte del Royal Flying Corps. Mi hanno addestrato a pilotare un aereo, ma ti rendi conto? Anche se in realtà è come andare in bicicletta, una volta imparato non te lo dimentichi più”.

“Non divagare e arriva al punto, Frankie, ricordati che il ghiaccio che in questo momento ti separa da un annegamento sicuro è molto sottile”.

“Oh, sì, giusto, scusa. E comunque… Il giorno della battaglia ero in missione di ricognizione come osservatore su un biposto Avro 504. Stavamo sorvolando le linee tedesche, ma ad un certo punto il fuoco di fucileria proveniente da terra si fece più intenso. Diversi proiettili trapassarono il nostro velivolo e qualcuno colpì addirittura il motore, iniziando a causare seri problemi. Invertimmo immediatamente la rotta per tornare al nostro campo d’aviazione, ma il motore ci abbandonò sul più bello. L’unica cosa che ci restava da fare era provare un atterraggio d’emergenza. La manovra riuscì, ma fu piuttosto brusca, e io persi i sensi. Quando mi risvegliai mi ritrovai in un’infermeria da campo improvvisata. Avevo un braccio rotto, ma ero ancora vivo, il pilota invece non era stato così fortunato: aveva continuato a pilotare l’aereo nonostante tre colpi di Mauser in corpo, ed era morto dissanguato prima che riuscissero a trovarci. A recuperarmi dai rottami dell’aereo era stato un reparto delle Guardie Coldstream, e adesso mi ritrovavo affidato a loro fino a quando non fossi riuscito a tornare al mio reparto. Anche se a dire il vero in quel momento nessuno di quelli che si trovavano intorno a me pensava che sarebbe riuscito ad arrivare vivo per vedere l’alba del giorno dopo. Erano le ultime fasi della battaglia, era già arrivato l’ordine di ritirarsi a tutte le unità coinvolte, ma le Guardie Coldstream erano rimaste intrappolate. Avevano combattuto fin quasi a rischiare l’annientamento, pochi ufficiali erano rimasti illesi e adesso il reggimento era bloccato in una posizione quasi indifendibile, senza possibilità di ritirata e con tutte le vie di fuga interrotte da ben 250.000 Tedeschi pronti a piombare su di noi e farci a pezzi dal primo all’ultimo, me compreso. L’unica cosa che potevamo fare era cercare di organizzare un’ultima, disperata difesa e portare con noi nella tomba quanti più Unni possibile. Recuperai una semiautomatica Webley e decisi che avrei fatto anche io la mia parte, anche se sarebbe stata piuttosto piccola: avevo solo sette colpi a disposizione, il mio braccio sinistro rotto mi avrebbe reso il cambio del caricatore quasi impossibile. Dopo una vita di miseria, di truffe e perfino di omicidi sarei andato incontro alla morte da eroe. Se questo fosse bastato a evitarmi l’Inferno che meritavo, lo avrei lasciato decidere all’Onnipotente. E poi invece accadde”.

“Sì, sì, lo so, prima è calata una strana nebbia, poi nel cielo…”

“No, no, no! Ti ho già detto che non ho visto niente di tutto questo, né io né le guardie che erano con me. Era sera, e io stavo gironzolando cercando di smorzare il nervosismo. Arrivai nei pressi di un boschetto, defilato rispetto a dove si trovava la maggiore concentrazione delle nostre truppe, e fu lì che vidi qualcosa. Notai che tra gli alberi c’era uno strano bagliore, che diventava sempre più luminoso e soprattutto sembrava avvicinarsi. Assomigliava proprio ad una lanterna, così puntai la pistola di cui mi ero impossessato, perché all’inizio pensai che potesse trattarsi di truppe tedesche. Se si fosse trattato davvero dei Crucchi avrebbero avuto gioco facile di noi, perché ci avrebbero presi alle spalle arrivando da un punto non difeso, ma poi ho pensato: perché rendere nota la propria presenza utilizzando una lanterna? Abbassai la pistola. Magari era un picchetto delle Guardie che rientrava da una perlustrazione. Ma ad un certo punto quella luce smise di avvicinarsi. “Chi va là?!”, chiesi, ma non ottenni risposta. Mi avvicinai lentamente, ripetei la domanda, e di nuovo non ottenni risposta. Decisi che dovevo andare in fondo alla questione, perciò mi diressi verso la luce. Posai la pistola nella fondina, estrassi una baionetta e mi addentrai nel bosco facendo dei segni sugli alberi dove passavo, ma sembrava che non riuscissi mai a raggiungerla. Ormai era quasi buio, proseguivo nel bosco a fatica anche a causa del mio braccio fratturato. Appena mi resi conto che probabilmente mi stavo allontanando troppo dal luogo dove si trovavano le Guardie Coldstream la luce che stavo seguendo sparì. Non vedevo più il punto da cui ero partito, se avessi voluto tornare indietro avrei dovuto utilizzare i segni che avevo fatto con la baionetta. Mi girai intorno per cercarli, pensando che avessi stupidamente inseguito un miraggio, ma all’improvviso vedo la mia ombra stagliarsi sul terreno e sugli alberi circostanti. Qualcuno aveva acceso una luce dietro di me! Mi giro… E vedo lei. Non so neanche come descriverla, era la donna più bella che avessi mai visto, per un attimo mi fece perfino dimenticare di Josephine”.

“Ma è chiaro”, lo interruppe Davies, “hai inseguito la stessa bella ragazza belga per tutto il tempo e non te ne sei reso conto. Non c’è nulla di soprannaturale in tutto questo. Non prendermi per fesso, Frankie, non ho proprio la voglia di farmi prendere in giro da te”.

“Se permetti, di belle ragazze francesi e belghe ne ho viste a decine, ma mai come quella che vidi quella sera in quel bosco. Come ti ho detto era di una bellezza indescrivibile, era più alta di me, era vestita in modo semplice ma aveva un portamento quasi regale, nonostante la lanterna che aveva in mano sembrava emanasse una luce propria, emanava un meraviglioso profumo che non avevo mai sentito prima e il guardarla mi provocava un’ondata incontenibile di emozioni positive”.

“Un vero e proprio angelo, insomma”.

“Esattamente! E sai come faccio ad essere sicuro del fatto che fosse un angelo?”

“Illuminami”.

“Sapeva il mio nome! Il mio vero nome! Come accidenti farebbe una campagnola belga qualsiasi che non ho mai visto in vita mia a conoscere il mio nome? Non so per quanto tempo rimasi ad ammirarla estasiato, ma ad un certo punto disse: “Vieni, Francis, dobbiamo andare!”, e poi schizzò via come un fulmine. La cosa mi lasciò di sasso per un po’, ma poi mi misi ad inseguirla come potevo. Dovevo assolutamente raggiungerla e farle tutte le domande che in quel momento mi balenavano in testa, ma lei non aveva l’impedimento di un braccio rotto al quale pensare e sembrava che fluttuasse a pochi centimetri dal suolo, evitando ogni ostacolo. Mi aveva già distanziato quando la vidi scomparire, come se fosse caduta in una buca. Riuscivo ancora a vedere la luce della lampada che aveva in mano, perciò mi affrettai a raggiungerla. Arrivai sul ciglio di una specie di argine, ma tutto quello che vidi era la sua lanterna poggiata per terra. Quella donna era sparita così come era comparsa. Scesi quell’argine con qualche difficoltà e raccolsi la lanterna, ne avrei avuto bisogno se avessi voluto tornare indietro. Diedi un’occhiata in giro. Non c’erano tracce che indicavano dove fosse andata quella bellezza celestiale, in più mi accorsi che ero finito su un sentiero poco battuto. Un sentiero! Magari se non se ne erano accorte le Guardie Coldstream non se ne erano accorti neanche i Tedeschi! Dovevo assolutamente correre ad avvisare i miei nuovi compagni d’arme, ma a quanto pare mi avevano preceduto: appena mi girai vidi sul ciglio dell’argine dove poco prima mi trovavo io due guardie, anch’esse con in mano delle lanterne che illuminavano i loro volti entusiasti. Mi dissero: “Amico, ma ti rendi conto che ci hai salvato tutti? Questo sentiero sembra andare proprio nella direzione della ritirata! Dobbiamo solo mandare qualcuno in avanscoperta ad assicurarsi che sia sgombro dagli Unni e sarà fatta! Saremo al sicuro! Ma come facevi a sapere che qui c’era un sentiero? Era un po’ che ti seguivamo al buio senza riuscire a capire dove stavi andando”. Chiesi se per caso avessero visto qualcuno insieme a me, ma mi dissero di no. Questo era impossibile! Se davvero mi seguivano da vicino dovevano aver visto per forza la ragazza che era con me. Chiesi se erano sicuri di avermi visto da solo per tutto il tempo, ma loro ribadirono che era così. Allora mi inventai una scusa per non essere preso per pazzo: dissi che lo avevo visto dall’alto quando ero ancora sull’aereo. Tornammo tutti e tre dal grosso del reggimento per organizzare una ricognizione del sentiero che avevo scoperto. Era fatta! Neanche i Crauti si erano accorti di quel sentiero. Evacuammo in fretta e furia quel settore e riuscimmo a ricongiungerci col resto della British Expeditionary Force. Quella sera l’apparizione di quell’angelo salvò più di mille persone, e io venni immeritatamente insignito della Medaglia per la Condotta Distinta”.

Davies si tolse la bustina che aveva in testa, poggiò i gomiti sul tavolo, abbassò la testa e si mise le mani nei capelli. Rimase per un po’ in questo modo a pensare, poi chiese a Frankie:

“Cosa c’entra questo con tutto quello che mi hai raccontato prima?”

“Non capisci, Doug? Tutto questo è stato un messaggio, un segno! C’è qualcuno lassù che nonostante tutti gli atti orribili che ho commesso mi ama ancora e mi ha dato una seconda possibilità. Qualcuno che mi ha lanciato un’ancora di salvezza e mi ha dato un’occasione per ricominciare salvando indirettamente tutti quegli uomini delle Guardie Coldstream!”

Davies rimase di nuovo per qualche momento in silenzio, poi disse: “Tu ti aspetti che io ti creda?”

“Io non mi aspetto un bel niente, Doug”.

Il Sergente Davies si alzò dalla sua sedia e si avvicinò lentamente alla scrivania dove fino a poco tempo prima era seduto il suo superiore. Frankie Cranshaw si accorse che stava fissando il telefono che si trovava in un angolo di essa: “Ho capito cosa hai intenzione di fare, Doug”.

“Calma, Frankie, non ho ancora deciso”.

“Se ritieni che questa sia la cosa giusta, Doug, non esitare a farlo, alza pure quella cornetta e contatta le autorità, io non ti serberò alcun rancore, anzi”.

“Io credo di doverlo fare. Se io ti lasciassi andare così, chi mi assicura che non riprenderai ad ammazzare allegramente gente che non se lo merita?”

“Intendi al di fuori dei Tedeschi che ho abbattuto e abbatterò col mio apparecchio?”

“Sì, intendo proprio quello”.

“Ammetto di essere il peggiore dei peccatori, e, come ti ho già detto, nessuno meglio di me merita di finire vittima degli arzigogolati supplizi di Satanasso, ma io mi sono definitivamente lasciato quella vita alle spalle in una foresta dell’Hainaut”.

Davies allungò con una certa lentezza la mano destra verso il telefono e la lasciò sospesa a pochi centimetri sopra di esso. Poi iniziò a far ondeggiare le dita come se stesse battendo i tasti di una macchina da scrivere invisibile, scosse la testa come per riaversi da un annebbiamento della mente e ritrasse rapidamente la mano. Cacciò un sospiro e disse a Frankie:

“Devo essere impazzito. Qualcosa nel profondo mi sta dicendo che… Io devo crederti. Ho deciso… Puoi andare”.

Cranshaw si alzò e andò ad abbracciare Davies: “Grazie, Doug, vedrai, non ti farò pentire di questa tua scelta”.

“D’accordo, d’accordo, però adesso fuori di qui e non farti vedere mai più”.

“Eh, no, caro mio, questo non posso promettertelo”.

“Cosa? E perché?”

“Perché ho intenzione di tornare a trovarti, sempre ammesso che qualche Fokker non mi faccia la festa quando tornerò a combattere. Sai com’è, con quel bel faccino che hai saresti un ottimo complice per le mie truffe”.

Cranshaw rispose all’espressione furiosa che si era disegnata in quel momento sul volto di Davies con un sorriso:

“E dai, scherzavo! Però davvero, potrebbe servirmi il tuo aiuto per certe cose che ho intenzione di fare. Niente di illegale, lo giuro!” Detto questo, si alzò e fece per andarsene, ma Davies lo bloccò:

“Cosa hai intenzione di fare, adesso, Frankie?”

“Beh, ti dirò, mi resta ancora una settimana di licenza, avevo pensato prima di tutto di fare un salto da mia madre e dalle mie sorelle, gli verrà un colpo quando scopriranno che non sono morto davvero. E poi se c’è tempo andrò a Southampton, voglio cercare di scoprire quanto più possibile sull’uomo della cui identità ho preso possesso”.

“E dopo?”

“Dopo? Al momento non saprei proprio. Tornerò al fronte, questo è sicuro, ma questa guerra non durerà certo per sempre. Se non morirò in qualche posto sperduto della Francia dovrò tornare qui… E penso che avrò la mia buona dose di torti da riparare. Magari un giorno tornerò anche da Josephine e le spiegherò tutto. Sicuramente non mi perdonerà mai per quello che ho fatto, e mi farà finire nella galera che tu mi hai evitato, ma… Come ho già detto sarà la cosa giusta. Per adesso ti dico arrivederci Doug, sperando che non si trasformi in un addio!”

Detto questo, Francis Cranshaw uscì dalla stanza.

Davies cacciò un altro sospiro, tornò lentamente a sedersi al suo posto e disse tra sé e sé:

“Signore, spero tanto di aver fatto la cosa giusta. Se davvero ha cambiato vita, allora proteggilo e aiutalo a rimanere sulla retta via. Se invece ho lasciato un assassino impenitente a piede libero, allora ti supplico di risparmiarmi la tua collera”.

Qualche momento dopo tornò il Maggiore Robinson: “Bontà divina! Non la finiva più di parlare! Sergente Davies, ho visto l’ultimo testimone scendere le scale, deduco che con lui abbia finito. Per caso ne ha ricavato qualcosa di nuovo?”

“No, mi dispiace signore, gli ho fatto tutte le domande del caso ma si è rivelato solo un inattendibile mitomane, non ho nemmeno perso tempo a prendere nota della sua deposizione”.

“Oh, beh, pazienza, tanto credo che abbiamo comunque tutto quello che ci serve”.

Robinson tirò fuori un orologio da tasca, gli diede un’occhiata e quasi fece un salto: “Perdiana, Davies! Quel dannato Colonnello King mi ha fatto perdere la cognizione del tempo, è quasi ora di pranzo! Molla tutto, Davies, se ci sbrighiamo troveremo sicuramente ad aspettarci un bel piatto di pasticcio di selvaggina col nostro nome sopra!”

“Non me lo faccio ripetere due volte, signore!”

"Splendido, ragazzo! Dì un po', ti ho mai raccontato di quando ho partecipato alla Battaglia di Abu Klea?

* * *

Intanto, in un luogo irraggiungibile agli esseri umani con mezzi convenzionali, un’intelligenza ultraterrena osservava con atteggiamento sereno quello che stava accadendo sulla Terra.

Dopo aver osservato tutto quello che ho descritto qui sopra, chiamò con fare severo:

“Abdiele! Abdiele! Vieni un secondo qui!”

L’interpellato si materializzò immediatamente: “Dimmi, Zerachiele, qualcosa non va?”

“Abdiele, hai visto cosa sta succedendo sulla Terra?”

“E chi potrebbe non vederlo, Zerachiele? Tutti quei morti inutili, quelle file interminabili alle porte di Inferno, Purgatorio e Paradiso, tutti quegli angeli custodi rimasti momentaneamente disoccupati in così poco tempo, la Trinità, Maria e tutti i Santi che non smettono un secondo di piangere... non vedevo qualcosa del genere da quando quel Tamerlano si mise in testa di conquistare il mondo conosciuto”.

“Non fare il finto tonto, Abdiele, mi sto riferendo ad un evento in particolare”.

“Oh, ehi, amico, frena, sai quanti eventi in particolare vedo ogni giorno? Credo che dovrai essere un tantino più specifico”.

“E se dico Belgio?”

“Eh, il Belgio sembra piccolo, ma in realtà…”

“Sto iniziando leggerissimamente a perdere la pazienza, Abdiele, e se ti dicessi che voglio sapere che parte hai avuto in un certo avvenimento svoltosi nel luogo che gli umani chiamano Mons e nei suoi dintorni?”

“Cosa? Zerachiele, mi meraviglio di te! Non penserai mica che c’entri qualcosa? E poi hai sentito cosa ha detto quello scrittore, era tutto falso, e ha ragione lui…”

“Aha! Colto in flagrante! Sapevo che non avresti resistito alla tentazione di origliare anche tu! E comunque no, non mi riferivo certo a quello. Volevo parlarti più che altro dell’uomo chiamato Francis Cranshaw”.

“Puntualizziamo: stiamo parlando del Francis Cranshaw nato e cresciuto a Londra, del Francis Cranshaw che domani sera festeggerà i suoi 80 anni a Winnipeg, del Francis Cranshaw…”

“Del primo che hai nominato”.

“Va bene, lasciami fare mente locale… OK, che cosa vuoi sapere?”

“Sospetto un tuo intervento diretto nella sua esistenza”.

“E allora? Non è certo contro le regole agire in questo modo. Suvvia, amico, ho convertito un cuore alla nostra causa, non dirmi che la cosa non ti aggrada”.

“Sai benissimo che il problema non sono io…”

“Sono forse io il problema?”, disse una terza voce all’improvviso.

“Oh, Samael, qual buon vento?”

“Silenzio, Abdiele! Cosa accidenti ti è saltato in mente? Per colpa tua c’è la possibilità che ad un uomo indegno venga concessa l’entrata nel Regno dei Cieli”.

“Eeeeh, indegno! Da dove ti vengono certi termini, Samael? Certo, ha fatto qualche errore, ma…”

“E tre omicidi ti sembrano un errore da poco?”

“Ti assicuro che si è pentito sinceramente di quegli atti e che si è lasciato completamente alle spalle quella vita. E con l’aiuto di vecchi e nuovi amici sono sicuro che riuscirà anche a trovare una soluzione per mettere una pezza ai suoi sbagli. E infine ti ricordo che sai benissimo che non spetta certo a te il giudizio definitivo di condanna o assoluzione”.

“Sai, Abdiele, a volte penso che tu sia troppo buono per fare questo lavoro, lo prendi troppo alla leggera”.

“E tu cerchi sempre il pelo nell’uovo”.

Samael scosse la testa: “Uff, mi arrendo, Abdiele, fai pure come ti pare. Tanto se l’Altissimo non è ancora intervenuto personalmente nei tuoi confronti vuol dire che a Lui questa cosa in fondo sta bene”.

“Dopo tutto questo tempo pensavo che ormai conoscessi le dimensioni della Sua bontà”.

Samael però non rispose a quest’ultima frase di Abdiele. Disse un laconico “Arrivederci” e scomparve così come era apparso.

Zerachiele tirò un sospiro di sollievo e disse: “Incredibile, in fondo ce la siamo cavata a buon mercato. Fossero stati i bei vecchi tempi avrebbe mandato tuoni e fulmini e si sarebbe rivolto ad un’autorità superiore assillandola fino a quando non avesse indetto un processo celeste per dirimere la questione”.

“Eh, eh, eh! Perfino l’unico angelo che si oppose alla creazione del genere umano può ammorbidirsi col passare degli eoni”.

“Spero tanto che il tuo Francis Cranshaw riesca a rimanere sulla retta via appena ritrovata fino a quando non verrà chiamato dal Padre, altrimenti dovremo sorbirci le reprimende di Samael… E non solo”.

“Oh, non preoccuparti, Zerachiele. Io ho fiducia in lui, e anche tu dovresti nutrirne. E poi il suo angelo custode mi riferisce di ogni suo minimo passo. Solo il tempo ci dirà se ho fatto bene a concedergli una seconda possibilità”.

Abdiele e Zerachiele tornarono ad osservare la Terra, come tutti i loro colleghi, concentrandosi in particolare sulle zone coinvolte da quella che in seguito sarebbe diventata nota su quel pianeta come Prima Guerra Mondiale, sperando che terminasse al più presto.

Generalissimus

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La mia amica Patrizia in un foto in stile "caravaggesco" con uno degli angeli del Merisi!

La mia amica Patrizia in un foto in stile "caravaggesco" con uno degli angeli del Merisi!

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Così commenta Bhrihskwobhloukstroy:

Già Ladislao I. ha avuto la visione di un Angelo (non inteso come esponente della Dinastia di Imperatori Bizantini, benché fosse alleato di Bisanzio) prima della Battaglia di Kemecse del 29. marzo 1075 del fratello Géza I. contro i soldati tedeschi e italiani del cugino Salomone I. (che Gregorio VII. ha imposto a Enrico IV. di non soccorrere, senza che ciò gli impedisse di scomunicarlo l'anno dopo).

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E Perchè No? aggiunge:

Se ricordo bene la storia di Mons con i celesti arcieri era prima una finzione scritta nel 1914 da Arthur Machen (autore di romanzi gotici) per celebrare i soldati britannici che stavano combattendo. Il pubblico britannico l'ha preso sul serio per sei mesi ma é stato poi dimenticato fino al 1931, quando la storia é stata ripresa da John Charteris, un ex ufficiale dell'Intelligence Service specializzato nella propaganda.

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Conclude per ora le danze William Riker:

Stimolato dal lavoro dell'amico Generalissimus, anch'io ho voluto provare a scrivere un racconto sullo stesso tema, intitolato "Homo angelus". Chi volesse leggerlo, può trovarlo a questo link.

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Per farmi conoscere il vostro parere in proposito, scrivetemi a questo indirizzo.


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