di Perchè No?
Grazie a feder per la revisione di questa mia ucronia!
CONTESTO
La XXX dinastia è l’ultima dinastia
indigena egiziana, composta cioè di nativi della terra del Nilo. Meglio
conosciuta per il suo ultimo sovrano Nectanebo II (Nakhthorheb), la dinastia
conobbe una fine ingloriosa quando l'Egitto venne infine conquistato dal
persiano Artaserse III (Artaxerxes), nel corso della seconda campagna intrapresa
da quest'ultimo al fine di sottomettere la patria dei faraoni. Egli, occupata la
capitale, costrinse Nectanebo II a fuggire nel Sud, condannandolo alla scomparsa
dai registri storici. Ciò che più colpisce gli egittologi è proprio la rapidità
dell'operazione di conquista: l’Egitto in quell'epoca era ancora un Paese ricco,
sia per la sua proverbiale fertilità, sia, soprattutto, per la funzionale
organizzazione in cui i faraoni avevano sistemato, nel tempo, i propri sudditi e
la loro terra. Tanta era l'opulenza del Paese, che i sovrani potevano
permettersi di usare senza badare a spese le risorse a loro disposizione per
pagare gli abili mercenari greci del settentrione. L'Egitto poteva contare poi
su un’importante rete di alleati tra cui le poleis di Sparta e Atene in Grecia,
nonché Sidone e le altre città della Fenicia.
Prima di Nectanebo II l’Egitto era governato dal faraone legittimo Teos (Djedhor).
A Teos mancò poco per ottenere la vittoria decisiva contro i Persiani: il suo
errore fu nell'aver preferito l'impiego di una tattica offensiva, piuttosto che
attendista, com'era lecito attendersi dalla situazione difensiva. Ad uso del
lettore, ecco un breve riassunto delle sfortune belliche di re Teos.
Nel 359 a.C. Teos, salito sul trono due anni prima, riunisce una spedizione
importante. Accoglie il generale ateniese Cabria (già in servizio di suo padre
all’epoca) e perfino il re spartano Agesilao, con le rispettive truppe. In
considerazione dell'abilità lacedemone nei combattimenti di terraferma, Agesilao
è messo a capo dell’intero esercito mercenario greco (il quale doveva ammontare
ad almeno 20000 uomini), mentre, conoscendo l'esperienza degli ateniesi sul
mare, Cabria comanda le 200 triere costruite dall’Egitto negli anni precedenti.
Re Teos riesce così a placare i tumultuosi rapporti fra gli alleati. Alla forza
greca, che costituisce la punta di diamante della difesa egizia, si aggiunge il
principe Nectanebo, che dirige la grande massa dei 100000 soldati machimoi
(coloni di origine libica ma insediati in Egitto da secoli, dietro la promessa
della battaglia). Il faraone può contare anche sull’alleanza di Cipro e di
numerose città fenicie.
Teos stesso si mette alla testa della spedizione. Il suo esercito riesce a
sbarcare in Fenicia, bene accolto allorché una parte dell’esercito risale la
costa dall’Egitto, in modo tale da tenersi alla portata dei rifornimenti
trasportati sulle acque. La reazione persiana è debole: con Artaserse III appena
salito sul trono, le contestazioni rivolte al nuovo potere sono rampanti,
giungendo alla ribellione aperta del satrapo Artabazo di Frigia (cui,
ovviamente, gli egiziani non negano il proprio sostegno). Il Re dei Re è
bloccato: può solo stare a guardare e aspettare.
Cosa è andato storto? Per finanziare l’enorme sforzo di guerra, Teos ha
confiscato i beni di molte famiglie nobili e, ancora più grave, di molti templi,
che di punto in bianco si trovano i loro tesori svuotati. Tasse pesanti ed
elargizioni forzate portano Teos a diventare, nell'opinione dei suoi sudditi, un
tiranno odiato. Questo ispira suo fratello Tjahapimu, nominato reggente e
rimasto indietro a Saïs. Con il supporto degli scontenti, Tjahapimu guida un
colpo di stato e proclama suo figlio Nectanebo nuovo faraone. Quando la notizia
giunge all’esercito c’è un momento di indecisione. I Machimoi acclamano il loro
comandante e i Greci, da buoni mercanti, lasciano fare (addirittura, Cabria e
Agesilao reimbarcano sulle proprie navi e tornano a casa). Teos fugge, per
venire accolto dal proprio nemico Artaserse III, che finirà per metterlo alla
testa di un’esercito che gli riconquisti l’Egitto, ma senza successo. La
spedizione è cancellata, Nectanebo regna per quasi un ventennio con grande
prosperità, ma sostanzialmente inerte dal punto di vista militare e l'Egitto non
sarà più capace di bloccare il ritorno di fiamma della Persia ristabilita.
Ma se invece durante i preparativi della spedizione Teos si fosse fermato ad
ascoltare i consigli dell'ateniese Cabria?
Mettiamo che, prima di partire, Teos crei una moneta d’oro di valenza nazionale
(cosa poi fatta realmente da Nectanebo II), il nubnefer («oro perfetto»).
L'intento immediato è quello di soddisfare a pieno i suoi mercenari, ma nel
lungo periodo il Farane spera anche di sviluppare un’economia basata sulla
moneta e rivolta verso il commercio nel Mediterraneo, com'è costume in Grecia.
Un Egitto meno impoverito significherà casse più capienti per il sovrano, e come
ulteriore conseguenza una minore necessità di ricorrere all'odiosa pratica delle
confische. Teos promette anche ai templi di rimborsare i loro contributi con il
bottino, fare generose donazioni dopo la vittoria. I nobili, persuasi anche
dalla generosa vendita di cariche di corte, si fanno promettere la stessa cosa.
Anche i machimoi sono convinti dalla parola data del sovrano, che giura di
fornire delle terre da colonizzare in Filistea per i loro figli. La situazione
interna egiziana resta così più stabile, un complotto di Tjahapimu diventa
improbabile e la spedizione avviene senza timore di pugnalate alla schiena.
Approfittando del momento favorevole (le già menzionate ribellioni di satrapie,
con annessa temporanea debolezza persiana) gli Egizi e i loro amici greci
riescono a farsi aprire le porte di tutte le città della Fenicia. Entrano
perfino, con la nomea di alleati, presso le corti di quei sovrani di Gerusalemme
e della Siria montana collegati all'aurea potente del Gran Re, cui la supremazia
persiana sta sempre più stretta. Nella tradizione egiziana Teos non instaura
delle satrapie, bensì costituisce una rete di alleati-vassalli con i quali
conclude trattati commerciali vantaggiosi e promette protezione per mezzo di
guarnigioni composte principalmente di mercenari greci e machimoi insediati.
Tiro e Sidone ricevono un trattamento ancora più favorevole, non accolgono
guarnigioni e ricevono privilegi commerciali da riscuotere verso la corona
egiziana. I rari tentativi persiani di fermare l’esercito nemico non danno
risultati e gli ufficiali del Re dei Re preferiscono ripiegare in territorio
sicuro e aspettare gli ordini. L’anno si conclude con l’apparenza di una
vittoria facile. Teos ricompensa i suoi soldati, e sopra a tutti i mercenari,
con generose donazioni di monete di oro (talvolte prese dal bottino di guerra o
dal tesoro reale). Forte di questo trionfo, Teos torna in Egitto. Nel suo
palazzo di Saïs, il Faraone ordina la creazione di numerose stele di vittoria su
modello di quelle erette da Ramesse II. Cabria, Agesilao e Nectanebo (i primi
subordinati a quest'ultimo) rimangono in Siria con le loro truppe.
Ma nel 357 Artaserse III ha sistemato la situazione alla corte di Persepoli e si
prepara alla rivincita contro l’Egitto e contro Artabazo II, satrapo di Frigia.
Il Re, in ogni caso, pensa che quest’ultimo, così lontano, può attendere la
vendetta persiana. L'obiettivo principale è di riconquistare innanzitutto la
Siria (caduta in mani egiziane nel 358) e tutto il Levante prima di fare i conti
con il cugino ribelle. L’esercito persiano, comunque, è riunito in fretta e
furia, senza aggiungere la cattiva accoglienza che riceve avvicinandosi al
posto. La larga autonomia offerta dagli Egizi, insieme alla protezione garantita
dall'ospitare mercenari greci non incoraggia a defezionare dal campo del
Faraone.
Qui però Agesilao ottiene da Nectanebo la battaglia decisiva che aspettava cosi
tanto. Questa si svolge presso Aleppo e vede uno scontro durissimo nel quale i
Greci, rinserrati nelle loro formazioni oplitiche, riescono a caro prezzo a
respingere l’assalto persiano. Tra i numerosi morti si conta proprio Agesilao,
re di Sparta (cui, più tardi, sarà intitolato, un monumento funebre sul posto).
Alla fine della giornata si assiste alla ritirata dei Persiani: non è una
sconfitta decisiva, ma non è nemmeno una vittoria.
Malgrado la sua intenzione di provarci ancora, Artaserse III deve ordinare il
ritorno a casa perché Artabazo II sembra avere intenzione di muoversi verso di
lui (riuscirà a spingersi fino alle montagne del Tauro): lui e Nectanebo avevano
concluso un’alleanza segreta (perfino alla conoscenza del Faraone!) l’anno
prima.
Teos regna saldamente in Egitto, ma sul posto è Nectanebo a essere acclamato
dall’esercito, Greci inclusi, e dai levantini che gli attribuiscono un
soprannome: il Falcone, per la sua oculatezza nel calare con potenza sui suoi
nemici. Dopo avere sistemato le guarnigioni e consolidato le posizioni egiziane,
Nectanebo può tornare in Egitto. Al suo seguito c'è un massiccio bottino di
guerra.
Nectanebo arriva a Saïs nel momento in cui la capitale, fiorente più che mai,
vede assistere all'invio di merci dal mondo intero, cui risponde spedendo i
prodotti tipici del Paese: grano, papiro, oggetti di lusso, incensi, profumi e
altro ancora. I mercanti fanno affari d’oro, ma i preti sono scontenti: Teos non
ha consegnato tutti i doni promessi, e i frutti del bottino sono stati
distribuiti solo ai mercenari e ai soldati, che il re sembra favorire con ancora
maggior trasporto a seguito della conquista. Per tutto questo tempo, il padre
del Falcone, Tjahapimu ha tenuto a bada come poteva il malcontento e, ora vede
suo figlio tornare vittorioso dalla battaglia, acclamato da tutti come un eroe.
Nel 356, i piani di Tjahapimu e Nectanebo finalmente si concretizzano. In una
sola notte a Saïs lanciano un colpo di stato sostenuto innanzitutto dai templi,
e che vede l'interessato sostegno dei machimoi. La guardia greca del palazzo è
persuasa ad abbassare la guardia dalla fama del Falcone, e il faraone Teos è
fatto prigioniero da Nectanebo in persona. Il generale è magnanimo: gli concede
la scappatoia del suicidio, subito dopo essere stato riconosciuto come erede.
Egli i fa incoronare come re legittimo e viene presto riconosciuto dal Paese
d’Egitto e dai suoi alleati.
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La XXX Dinastia Egizia
Il Regno di Nectanebo II, detto il Falcone
I primi anni di regno di Nectanebo II sono
anni di consolidamento del potere egizio in Asia, con i machimoi che si spingono
nel profondo delle terre protette, solidificando la presa del Faraone su quei
territori da loro abitati. Il pretesto di riportare doni ai templi permettono di
distribuire meglio i benefici del commercio nel Delta, sottraendo il primato
delle classi all'esercito e ai mercanti. I mercenari greci, in quanto potere
esterno, devono però essere placati: Naucrati, prima semplice emporio, viene
rifondato come città greca autonoma, mentre altri empori fortificati sono
costruiti un po' dappertutto sulle altre foci del Nilo. Un nuovo, grande
arsenale militare a Racotide permette di mantenere la flotta di triere costruita
da Teos. I machimoi si vedono offerti terre a colonizzare in ogni luogo del
Levante, dove diventano spesso rappresentanti egiziani presso gli alleati. Le
fortezze nella Siria del nord, al confine col Tauro, sono mantenute e l’oro
egiziano (conosciuto come statera) diventa una moneta internazionale.
Nectanebo II deve tuttavia restare attento alla minaccia persiana. Cabria di
Atene è morto, ma suo figlio Ctesippo è stato confermato come principe e
generalissimo delle truppe, con il compito di mantenre la rete dei Paesi
satelliti. Nel 354, a seguito della sottomissione di Artabazo II, Artaserse III
è pronto per la sua seconda spedizione. Il re persiano pone anche alla testa
delle truppe un falso Teos, annunciando la sua volontà di riportare il faraone
legittimo sul trono. La guerra, combattuta fra il 354e il 351 vede una parte
della Siria settentrionale tornare inizialmente nelle mani persiane, ma in una
nuova battaglia a Hamat si assiste alla vittoria dei generali Diofanto di Atene
e Lamio di Sparta, che combattono per il faraone. Il riaccendersi della
ribellione in Ionia finisce per concludere questa seconda guerra; anche negli
anni successivi Artaserse sarà troppo occupato dai rivolgimenti interni per
avere l’occasione di riprovarci. L’impero egiziano così si mantiene, e con esso
la confederazione dei suoi vassalli nel Levante.
Da questo momento Nectanebo puo godere di una relativa pace. Il Faraone si rende
protagonista di una rilevante attività monumentale, con la costruzione di nuovi
templi in Egitto e (novità assoluta per l'epoca) anche in Grecia, dove finanzia
la costruzione o ricostruzione di santuari tra i suoi alleati, in particolare a
Cipro e Rodi, due tra i suoi più importanti partner commerciali.
La sua attività diplomatica è però ancora più importante: Stratone di Sidone e
Evagora II di Cipro accettando di diventare suoi vassalli, protetti da un
contratto di clientela simile a quello sottoscritto dal popolo d'Israele. Egli
firma anche degli accordi con Atene, con Cirene e perfino con Cartagine, per
mezzo dell’intercessione di Tiro. La flotta egiziana, pur non essendo la più
forte in battaglia, è numerosa e, la sua continua attività di molestia impedisce
i tentativi di creazione di una flotta persiana. Il commercio resta il maggior
interesse di Nectanebo, soprattutto al fine di alimentare il tesoro. Questo dev'essere
tenuto in salute, così da pagare regolarmente il salario dei mercenari, ma anche
per corrispondere munifici doni ai templi, fondamenta del potere regio.
Questo incoraggia Nectanebo a iniziare la restaurazione del canale di Necao II
verso il Mar Rosso. Sebbene l'opera non sarà conclusa ancora per molto tempo, il
Falcone incomincia già a inviare delle triere lungo le coste fin nel paese di
Punt, allo scopo di esplorare le terre e riprendere i contatti, interrotti da
secoli. Relazioni diplomatiche sono anche stabilite con il regno di Nubia, per
mezzo della discesa del Nilo. Con quest'ultimo in particolare è trovato un
accomodamento singolarmente stupefacente: l'Egitto gli riconosce l'eredità della
XXV dinastia, ma questa decide di lasciare da parte le proprie pretese alla
corona egiziana, terminando anche sul piano giuridico una contesa che di fatto
si era estinta molto prima.
L'ultimo attacco di Artaserse avviene nel 344, ma ancora una volta il sistema di
alleanze egiziano, ormai stabile nel lungo periodo, si dimostra capace di
respingerlo. L’esercito coalizzato (nel quale ci sono anche delle truppe
giudaiche) è comandato stavolta da Mentore di Rodi e ricaccia indietro con una
sonora vittoria le truppe del Gran Re. Negli anni seguenti Artaserse III, sempre
più preoccupato dallo sviluppo militare della Macedonia, sembra finalmente
lasciare l’Egitto in pace. Lo sfortunato sovrano viene poi assassinato con la
sua famiglia dell'eunuco Bagoa, che pone sul trono Artaserse IV, ostentando una
continuità al trono che non sussiste nei fatti.
Filippo II di Macedonia è tuttavia un problema anche per Nectanebo II. Il
faraone veva una lunga alleanza con Atene (fra tutti l'oratore Demostene ne
coltivava il sostegno), ma non poteva ignorare lo sviluppo di un tale potenziale
alleato contro la Persia. Filippo II era in contatto con Saïs già dal 352, con
il consueto strascico di lusinghe e doni, ma fu soltanto dopo la battaglia di
Cheronea che l’Egitto decise di saltare sul carro del vincitore, scambiando la
sua antica alleanza ateniese per l'amicizia macedone. Questo cambiamento porta
alla triste deposizione di Ctesippo, figlio di quello stesso Cabria che con i
suoi consigli aveva assicurato la vittoria di Teos. Egli viene rimosso dalle sue
cariche; i suoi titoli sono trasmessi a Mentore di Rodi, che così diventa
generalissimo. A completamento dell'opera, Mentore riceve vaste terre in Egitto,
con annessa la gestione del porto di Naucrati, che diventa la sua base di
potere, nonché sede territoriale. Nelle fonti, egli viene talvolta designato
come tiranno di Naucrati anche se la città non era veramente indipendente,
benché possedesse le sue istituzioni, come gentile concessione del Faraone.
Nectanebo non ha però il tempo di fare di più. Il grande conquistatore muore di
malattia nel 335, e gli succede suo figlio ed erede Tjahapimu I. Nectanebo, da
restauratore della potenza egiziana, è seppellito con un fastoso rito funebre
nella tomba della necropoli dinastica di Samannud (Sebennytos) ma si fa anche
costruire un piccolo cenotafio di stile greco ad Abido, il primo (ma non certo
l'ultimo!) del suo genere.
Regno di Tamenofi I (Tjahapimu all'egizia e Tamenophis alla greca):
Il fulcro delle attenzioni di Tamenofi I verte ovviamente in Oriente. Il nuovo
faraone era cosmopolita: avendo già viaggiato nel mondo greco, fu lui a
incontrare Filippo II quando l’alleanza con l’Egitto era stata discussa. Sapeva
parlare il greco, specialmente nella sua accezione ionica, ed era curioso della
cultura greca al punto di ornare il suo palazzo di opera greche (e di ordinare
la realizzazione del primo colosso faraonico di stile greco). Quando vennero
stesi i primi progetti macedoni per la spedizione in Asia contro la Persia,
Tamenofi I se ne dimostrò un accanito sostenitore, mettendo a disposizione di
Filippo II ogni aiuto che gli fosse possibile concedere. Sciaguratamente, il
generalissimo Mentore di Rodi era morto poco dopo Nectanebo II ma il faraone
provò ugualmente a convincere il generale Memnone, della stessa famiglia, di
prendere il suo posto, offrendogli gli stessi titoli e privilegi che erano stati
del defunto, ma aggiungendo a questi la proposta di sposare Merinite (Meryneith),
vedova di Mentore e cugina del faraone. L'offerta entrò in porto nel 336, con il
doppio beneficio di fare perdere ai Persiani uno grande generale e impiegare le
sue doti al servizio dell’Egitto. Poco prima della sua morte lo stesso Mentore
era riuscito a fare passare la Caria nell’alleanza egiziana dopo, averne
rovesciato la regina Ada, figlia di Mausolo.
Quando Filippo II viene ucciso nel 336, il Faraone è portato a credere in un
primo momento che i suoi grandi piani per l’Asia erano stati guastati oltre
rimedio, e con loro l'enorme quantità di oro già pagato per la sua
organizzazione. Ma, ovviamente il nuovo re Alessandro III, non era della stessa
opinione. Diffidando del giovane, Tamenofi sceglie di non lanciarsi
nell’avventura e quando il Macedone sbarca in Asia, il faraone non lo segue. Nel
333 però la situazione è ben diversa: passando di vittoria in vittoria,
Alessandro è ormai arrivato alle porte dell’Oriente e sconfigge lo stesso Dario
III alla battaglia di Isso, mentre gli Egizi rimangono inerti nelle loro terre
più a sud, difendendo Fenicia e Siria. Il crollo dell’impero persiano è uno
shock per il Faraone, che può solo lamentarsi di non essere entrato in guerra
come previsto al fine di guadagnare il suo pezzo dell’impero. Peggio ancora: i
tentativi di abboccamento rivolti ad Alessandro erano freddi, al meglio, ma
Tamenofi provò, nonostante tutto, a farsi perdonare, offendo oro e mezzi. Egli
iniziava anche a preoccuparsi del nuovo ordine che Alessandro stava creando, con
il malcelato timore di aver scambiato la vecchia minaccia persiana con la nuova
minaccia macedone. Un trattato venne comunque firmato a Tiro, confermando
l’alleanza tra Alessandro e l’Egitto.
Dopodiché all’Egitto e ai suoi alleati non restò nessun ruolo, se non quello di
spettatori dell’avventura macedone. Nonostante l'inazione, il faraone ne fu
comunque influenzato. Guidato dal desiderio di conquiste del re, una grande
spedizione fu organizzata da Memnone per conquistare le coste del Mar Rosso,
creando porti, fortezze di coloni e regni vassalli fino a Saba e quello che è il
nostro attuale Yemen. Questa campagna di dieci anni vede Memnone sottomettere
anche le tribù arabe e fare sacrifici allo Zeus della Caaba nell'antico
santuario di quella che sarebbe diventata la Mecca islamica. Le vie commerciali
verso il Punt vengono sviluppate, permettendo l’arrivo di grandi quantità
d'avorio, incenso e oro africano. è molto probabile che queste spedizioni
avessero a che fare con il progetto di Alessandro di arrivare fino in India,
forse sperando di battere il re macedone sul tempo. In ogni caso, è pacifico
assumere che l’Egitto volesse assicurarsi il controllo del mare, qualora la via
marittima verso l’India fosse divenuta importante. Memnone aveva anche
intenzione di preparare una spedizione verso la Nubia, ma per quell'epoca, la
fine del suo patrono e mecenate era già giunta.
In Oriente, nel 323 Alessandro era appena morto a Babilonia. La notizia fu
accolta con un sospiro di rilievo a Saïs dove molti pensavano che il
conquistatore mirava ormai, come i re persiani prima, all’Egitto (fra gli
storici, esiste l’ipotesi di un avvelenamento egizio). Ma la situazione interna
sul Nilo non era del tutto placida. Le guerre del faraone, condotte in terre
lontane da Memnone, erano celebrate trionfalmente, ma per molti questa gloria
era quella dei mercenari (che lentamente assumevano il ruolo di coloni) greci.
Soprattutto, il peso fiscale dell’esercito era diventato troppo grande. Nel 322,
una congiura guidata dal cugino Nakhtnebef, comandante delle truppe machimoi, si
fa portavoce delle istanze degli autoctoni e compie un nuovo golpe. Tamenofi I
fu avvelenato con l'inganno, dopo che gli fu estorto il riconoscimento
dell'intrigante generale come erede.
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Il Regno di Nectanebo III (Nakhtnebef in egiziano)
Il regno di Nectanebo III rappresenta un
ritorno all’isolamento. Le conquiste arabe e lo sviluppo del Punt, tutti
progressi risalenti al regno precedente, sono conservati, ma il nuovo Faraone
taglia brutalmente molti legami, alcuni dei quali risalenti nel tempo, con il
mondo greco. Le motivazioni, al di fuori di una generica ostiltà alla politica
di Tamenofi, non sono del tutto chiare. Per alcuni, si trattava di un pretesto
per stare lontano dalle lotte tra i diadochi, successori di Alessandro,
crogiolandosi in una posizione di severa neutralità; per altri, può anche darsi
che la vera ragione fosse fermare l’arrivo delle famiglie di mercenari greci e
macedoni (tra i quali molti fuggono dalle guerre), che negli anni precedenti si
erano stanziati sempre più spesso nel Delta e nel Levante. Il Faraone autorizza
però la creazione di città greche sulle coste del suo impero levantino e nel Mar
Rosso. Sa anche fare eccezioni, nella sua neutralità. Quando njel 321 Memnone di
Rodi muore di malattia durante una spedizione nel Punt, il faraone riesce a
convincere l’ammiraglio di Alessandro, Nearco, a prendere il suo posto,
facendogli sposare la figlia di Merinite e Mentore, Merinite (II). La scelta di
un valkido navigatore come Nearco quale comandante in capo delle truppe d'Egitto
dimostra anche che Nectanebo III considerava sempre più la potenza navale
dell’Egitto come vitale, volendo approfittare delle capacità del lupo di mare
per inviare esploratori fino all’Indo.
Il re deve anche gestire l’inizio delle agitazioni nel Levante. Le città fenicie
rimangono fedeli ma una ribellione scoppiata a Gerusalemme deve essere
stroncata. Questa era stata provocata dalla richiesta di sacrifici in onore del
nuovo faraone per l’inizio del suo regno, in accordo con le antiche tradizioni
egizie. Questo, ovviamente, entra in contrasto con il monoteismo tipico del
popolo d'Israele. A peggiorare la situazione, nello stesso momento Cipro, sotto
re Evagora III, inizia a staccarsi dall’alleanza egiziana, ma senza provocare
una reazione immediata dal faraone. impegnato a terminare la resistenza ebraica.
Anni più tardi, Evagora III sarà rovesciato da un’altro superstite
dall’avventura alessandrina, il generale Tolomeo, sconfitto nelle sue pretese
dagli altri diadochi, ed ora fuggito a Cipro con l'intento di dorgiare per sé e
per i suoi discendenti un potente regno insulare (egli fu poi capace di imporre
il suo controllo sulla Caria e la Panfilia). Era nata la dinastia lagida di
Cipro, che sarebbe diventata un nemico secolare dell’Egitto sul mare.
Questa minaccia lagide sul mare era una delle tante ragioni per accogliere
Nearco nei ranghi dell'esercito, che da ex commilittone qual era con Tolomeo
aveva già avuto a che fare. Piuttosto che mettersi nei panni di Mentore e
Memnone a Naucrati, comunque, Nearco si insediò nel porto militare di Racotide,
dove la fortezza e l’arsenale greco erano stati ingranditi. Negli anni seguenti
Racotide si sviluppò in una vera città, poi ribattezzata Nearchia, di spirito e
stirpe ellenica. Nella zona tra Naucrati e Nearchia, in ogni caso, l'attività di
colonizzazione greca e macedone si era molto intensificata. Anche nella capitale
Saïs il quartiere greco era diventato la parte più moderna e ricca, al punto di
accogliere il maggiore tempio di Zeus-Ammone della nazione.
Il regno di Nectanebo III fu lungo, 34 anni, le guerre combattute furono tutte
brevi (Gerusalemme, Cipro, le spedizioni nel Mar Rosso). Il Faraone fece in
tempo a vedere la fine delle guerre tra i diadochi, ma per quell'epoca il mondo
era cambiato. L’impero seleucide fu subito visto come una minaccia per l’Egitto
e perciò l'antica alleanza fu rinnovata con la Macedonia, ormai sotto la
dinastia antigonide. Dalla parte loro i seleucidi erano alleati con i lagidi,
che fornivano loro la potenza navale necessaria per rivaleggiare il Faraone nel
Mediterraneo. La rivalità con i seleucidi, che avevano preso il ruolo
geopolitico della Persia, era comunque la più pericolosa. Le mire di entrambi
gli imperi si concentravano sulla Siria, ma la partita si concluse in pareggio:
l’Egitto fu sospinto più a Sud, concedendo ai Seleucidi la tanto sospirata
finestra aperta sul mare, celebrata dalla fondazione della città di Antiochia,
nuova capitale.
In queste condizioni nel 283 il vecchio Nectanebo III si spegneva, con l'Egitto
in declino che vedeva con ansia lo sviluppo dei regni ellenistici.
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Regno di Pedio I (Pediamon in greco)
Il figlio di Nectanebo III era già un uomo
maturo quando divenne faraone, e fu presto confrontato da una nuova crisi.
Tolomeo II di Cipro aveva convinto Cirene a cacciare i popoli libici insediati
in Cirenaica, promettendo il suo aiuto per colonizzare tutta la zona così
liberata. Una delegazione libica andò a Saïs, chiedendo il supporto del faraone
Pedio. Per il nuovo sovrano era l’occasione di mostrare la forza rinnovata
dell’Egitto nella sua persona. Deciso a prendere lui stesso la testa di una
spedizione militare, egli scelse di annoverare nelle sue fila solo i soldati
machimoi e i loro cugini libici. Il Faraone forse non si fidava della lealtà dei
Greci d’Egitto, come dimostra il fatto che neanche Nearco II fu invitato a
partecipare, malgrado il suo rango.
La spedizione fu un disastro. Senza l'aiuto della flotta, l’avanzata
dell'esercito egizio nel deserto fu lenta e mal organizzata. Arrivati a Cirene
furono sorpresi dalla presenza di soldati lagidi, ma anche di reparti costituiti
da altri mercenari greci, con ogni probabilità mossi dalla longa manus seleucide.
L'assedio di Cirene, la cui durata debilitò le forze del Faraone prima ancora
che fosse possibile trovare una risoluzione in campo aperto, si rivelò essere
una sconfitta umiliante per Pedio I. Costretto alla fuga verso il Delta, si dice
che il re fu assassinato dagli stessi soldati libici che lo avevano inizialmente
seguito, infuriati di quello che vedevano come (e in effetti era) un tradimento.
Regno di Pedion II (Pediamun alla greca) :
Figlio del faraone assassinato, il cui corpo non venne neanche recuperato per
essere mummificato, e la cui tomba di Sebennytos fu poi abbandonata. A Pedion II
passò la carica di gestire la crisi. A contrario di suo padre, egli era un’amico
dei Greci e di Nearco II. La sconfitta di Cirene era una questione militare, da
riscattare nel tempo; ma il malcontento dei libici fu interpretato come una
ribellione. Una grande purga fu lanciata nel 281 contro i loro capi, fino a
riportare sotto il controllo diretto della corona terre consegnate ai coloni
machimoi da secoli. In questa missione il Faraone fu assistito da Nearco II e
dai suoi Greci, che furono lesti ad accaparrarsi buona parte dei territori così
riassegnati.
Per ricompensare il suo amico d’infanzia il Faraone riconfermò Nearco II come
suo generalissimo e gli offrì sua sorella, Nitocride (Nitokerty), come sposa.
Sfortunatamente Pedion II non fu capace di riprendere Cirene, finendo per
considerato come debole dagli Egizi, l'utile pupazzo dei Greci. La risposta del
Faraone fu di estendere la repressione ai nobili e persino ai templi. Nel 278,
la situazione era degenerata al punto che Pedio II non poteva neanche più uscire
dal palazzo di Saïs, ad eccezione dei viaggi rituali intrapresi sopra la sua
titanica barca sul Nilo. Fu proprio approfittando dell'assenza della sua guardia
greca nel contesto di una di queste escursioni che nel 277 una congiura condotta
da suo cugino Nectanebo (IV) riuscì ad assassinare il faraone per mettere il
loro candidato sul trono. Contro di loro, la fazione tradizionalista trovò
Nearco II e Nitocride, pronti a difendere i loro diritti. Nel biennio 277-275
divampò quindi la guerra civile, ma molto rapidamente la potenza militare greca,
estesa su tutto il Delta, il Levante e il Mar Rosso riuscì a imporre la sua
volontà alla valle del Nilo. Nectanebo IV trovò rifugio in Nubia, dove venne
accolto con tutti gli onori: ma la sua fuga fu l’atto finale di vergogna della
XXX dinastia sebennitica.
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XXXI DINASTIA (detta dinastia greca o ellenica, nearchica o nearchide)
Regno di Nearco II detto Sotere (il Salvatore) e Nitocride I
Nearco II fu il primo faraone di stirpe
realmente greca: per questa ragione, al momento dell'ascensione al trono il suo
potere era ancora instabile. Egli raccoglieva tuttavia nella sua figura la
fedeltà al suo predecessore grazie al suo matrimonio con Nitocride. In aggiunta
a questo, Nearco si dimostrò abbastanza astuto per trovare un compromesso con i
templi e la nobiltà di Menfi, regalando donazioni in oro e terre da sviluppare
sulla costa araba. I congiurati al servizio di Nectanebo IV rappresentavano solo
una piccola fazione all'interno della società egizia, quindi un'amnistia
generale fu concessa per chi non era direttamente colpevole di aver partecipato.
In accordo con la nuova linea conciliatoria, Pedio II fu seppellito con tutti
gli onori a Sebennytos. Pur ellenico di stirpe e di lingua, Nearco II assunse
una titolatura pienamente egiziana, facendosi rappresentare nelle vesti
tradizionali dei faraoni; in questo seguiva l’esempio del persiano Dario I che
era riuscito a guadagnarsi il favore del popolo egiziano rispettando le sue
usanze.
Ma il Faraone aveva anche bisogno di una vittoria per dimostrare alla sua gente
il favore che gli dei avevano concesso alla nuova dinastia: fare un nuovo
tentativo contro Cirene divenne il nuovo imperativo categorico dell'Egitto. La
Cirenaica era praticamente diventata una provincia dell’impero marittimo lagide,
con molti Greci di Cirene, nostalgici dell'autonomia cittadina, che non ne erano
pienamente soddisfatti. Stavolta il nuovo Faraone organizzò una doppia
spedizione terrestre e marittima, prendendone lui stesso la guida e lasciando la
reggenza del Paese alla sua regina. I lagidi stavolta non avevano l’aiuto dei
seleucidi, a causa di una guerra combattuta poco prima. Il risultato
dell'offensiva egizia fu una decisiva battaglia navale presso Cirene dove la
flotta di Nearco II si guadagnò la vittoria. Trovandosi dinnanzi la prospettiva
di un disastroso assedio, Cirene si arrende da subito, riconoscendo Nearco II
come suo tiranno. Fu una mossa saggia: nelle settimane seguenti il Faraone
ricompensò la città, organizzando la Libia in un regno separato, incentrato su
Cirene. Le terre confiscate agli irriducibili furono distribuite ai machimoi,
creando una colonizzazione inversa dei Libici d'Egitto sulle loro terre
ancestrali. Durante la sua permanenza a Cirene, il Faraone entrò anche in
contatto con Cartagine. Le due potenze firmavano un nuovo trattato, i cui
termini di amicizia comprendevano la promessa egizia di non aiutare le città
greche della Sicilia.
Questa vittoria fu largamente descritta e glorificata nelle iscrizioni dei
templi. Sulla via del ritorno, Nearco II fu abbastanza intelligente per svolgere
una deviazione verso l’oasi di Siwa dove fu riconosciuto come figlio di
Zeus-Ammone. Questa divinità assunse così il prestigioso compito di nume
tutelare della dinastia, con i suoi re che ee ne proclamavano eletti. Alla
stessa maniera, il culto di Serapide fu incoraggiato, con il rimescolamento di
elementi greci ed egizi nei rituali.
La vittoria in Libia ebbe però il suo prezzo. Occupati in occidente, gli Egizi
non poterono difendere l'oriente dalle mire antigonidi. L’impero seleucide
riuscì così a mettere a segno una serie di importanti colpi, strappando
all'Egitto il controllo della maggior parte dei suoi antichi regni vassali del
Levante. A Nearco II rimanevano solo le città più fedeli della Fenicia, oltre
che la zona più a sud, al confine col regno di Giuda. Proprio per rafforzare il
suo controllo Nearco II fu costretto a firmare una pace e trasformare la vecchia
rete clientelare in propria provincia sotto guida di un governatore scelto dalla
capitale, un suo fratello, provocando il malcontento di molti, in specie ebrei.
Paradossalmente, proprio il declino della potenza egizia spinse al
riavvicinamento con i lagidi, anch'essi preoccupati dalla nuova ondata di
espansione seleucide. Per suggellare la ritrovata amicizia, il figlio del
faraone, il principe Nearco, sposò Cleopatra della dinastia lagide.
Per il resto del suo regno Nearco II si dedicò a sviluppare e ampliare I
monumenti dell’Egitto e il suo prezioso commercio sul Mar Rosso. Nuovi porti
furono costruiti e il controllo della costa araba andò affermandosi a scapito
dei locali. Fu però in questa occasione che l'elemento nativo conobbe un primo
riscatto, dato che la flotta egizia iniziò ad arruolare mercenari e marinai
arabi. Nearchia fu ampliata per diventare la vera capitale commerciale del
regno: il simbolo tangibile della potenza egizia sul mare era l'imponente torre
dell’isola del Faro. Una grande via fu costruita per legare il porto alla
capitale storica di Saïs dove Nearco II inaugurò il santo tempio di Neith-Athena.
Presso questo tempio fu aperta una grande biblioteca e molti filosofi furono
invitati a insegnare (ma anche imparare) dai saggi dell’Egitto.
Nearco II Sotere mori dopo 14 anni di regno nel 263, lasciando un regno
geograficamente più piccolo, ma politicamente molto rafforzato, a suo figlio
Nearco III.
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Regno di Nearco III, detto il Philoindikos
Il nuovo Faraone era ancora giovane e per
la maggior parte del suo regno la madre Nitocride fu la vera governante
dell’impero. Questo fattore si rivelò premonitore, nel senso che Nearco III
passò alla storia come il Faraone delle Tre Regine: innanzitutto sua madre
Nitocride I, ma successivamente anche Cleopatra, la moglie lagide, e finalmente
Nitocride II, la sorella dello stesso Faraone. Dal punto di vista degli egizi,
Nitocride II era la grande sposa reale e la regina legittima del Paese, ma dal
punto di vista dei Greci il matrimonio con una congiunta era profondamente
immorale e quindi Cleopatra veniva considerata la sposa legale. Questa
controversia, mai definitivamente chiarita, fu la causa di molte turbolenze.
Per la maggior parte del regno di Nearco III l’Egitto fu prospero e il suo
commercio continuò a essere ricco. Fra le altre cose, come risultato degli
sforzi degli anni precedenti, la navigazione verso l’India era diventata più
facile che in passato. Ciò permise all’Egitto di firmare un trattato di amicizia
con la nuova dinastia Maurya di re Asoka, il quale venne celebrato da una
splendida ambasciata indiana che arrivò in Egitto tramite il nuovo porto di
Nitocria sul Mar Rosso. L’ambasciata risalì fino a Saïs e infine a Nearchia,
accolta in trionfo. In scambo un’ambasciata egiziana fu inviata nel regno Maurya
(fu anche l’occasione di compiere sacrifici comuni in onore di Alessandro,
riconosciuto come dio comune al pantheon di entrambe le tradizioni). Al momento
dell'ambasciata indiana risalgono anche le prime tracce di una comunità buddista
in Egitto. Si dice insomma che fu proprio Asoka, cupido di conoscenza, a inviare
i suoi monaci buddisti a discutere con i filosofi del Mouseion.
All’estero l’impero egizio fu testimone dell’inizio della guerra tra Cartagine e
Roma nel 264. Nearco III onorò il trattato stipulato dal suo predecessore,
schierandosi con la prima, ma nei fatti l’aiuto egizio era limitato a fornire
grano e oro. Solo nei regni successivi il grado di impegno dell'Egitto aumentò
fino a renderlo un componente chiave dello scacchiere mediterraneo occidentale.
Questa carenza di aiuti fu anche il risultato della seconda guerra di Siria,
combattuta contro Antioco II. La flotta egizia, occupata ad aiutare i lagidi
contro l'aggressione seleucide e antigonide, non poté disimpegnarsi dall'oriente
per recarsi in occidente a prestare il proprio supporto ai Cartaginesi. Alla
fine del conflitto Cipro aveva perso il suo controllo sulla Caria, la Lidia e la
Panfilia, venendo di nuovo ridotta all'isola patria. In questa occasione, però,
Nearco III coglie il destro per imporre il suo controllo sull'isola di Creta. La
conquista di Creta, fra le altre cose, era considerata di massima importanza
perché terra di origine della dinastia, e il suo discendente la considerava come
una provincia legittima del suo regno. Nel Levante le posizioni erano sempre le
stesse, ma la guerra non aveva mancato di imporre nuove tasse e obbligazioni
agli alleati, usati sempre più come fossero sudditi.
Finalmente liberi ad est, gli Egizi erano pronti ad aiutare Cartagine nel
momento di maggior bisogno. I Romani del console Regolo erano infatti sbarcati
in Africa e il Senato punico supplicò Nearco III di inviare aiuto militare.
L'operazione si svolse così sotto il comando di suo figlio secondogenito
Androtimo: l’esercito egizio arrivato da Cirene fu importante per assicurare la
vittoria contro Regolo, che venne espulso dall'Africa. Da questo momento, delle
navi furono prestate ai Cartaginesi per pattugliare le proprie coste e
scongiurare il pericolo di nuovi sbarchi, proprio nel momento in cui le risorse
della città punica erano esauste. Delle truppe di mercenari libici furono
persino offerte al Senato punico da Nearco III (che sperava forse di farsi
offrire la corona di Cartagine).
In tutto questo, Nearco III non era per niente un soldato e non amava la guerra:
i suoi maggiori interessi erano il commercio e le scoperte geografiche. Egli fu
il primo a stanziare una colonia permanente nel Punt, composta da Egiziani,
Greci, Arabi ed Ebrei, e che passò allo storia proprio con il nome biblico di
Ophir. Nearco III desiderava esplorare in persona le coste africane, ma fu
sempre costretto a restare nella capitale dai conflitti scoppiati nel
Mediterraneo, tutto contro la sua volontà. Il quasi costante stato di guerra
rappresentò anche un notevole spreco dell’oro e delle ricchezze dell’Egitto,
provocando nella valle del Nilo delle ribellioni locali di minore entità, presto
stroncate.
Nearco III morì di malattia ancora giovane nel 245, e la sua successione fu
difficile. Due rivali avanzavano le proprie pretese sul trono: Nearco, figlio di
Nitocride II, e Androtimo, figlio di Cleopatra. Tra questi fratelli rivali
risorgeva anche la tradizionale divisione tra Egizi e Greci. Androtimo aveva la
sua base a Cirene, dove teneva delle truppe greche e libiche in assetto da
guerra, mentre suo fratello comandava da Nearchia, sotto protezione delle truppe
egizie e, soprattutto, della flotta del Mar Rosso, costituita in misura sempre
più grande da elementi arabi. La contesa divenne anche una faccenda
internazionale, giacché il primo era (logicamente) sostenuto dai lagidi di
Cipro, mentre il secondo era sostenuto dai seleucidi, cui era riuscito il
colpaccio di sposarlo alla principessa Berenice. La guerra civile non sembrava
evitabile.
Questa fu combattuta dal 245 fino al 241: quattro anni di una guerra combattuta
perlopiù in Libia e sul mare. L’Alto Egitto, da sempre avvolto nelle sue
tradizioni, fu poco toccato dal conflitto, al contrario del vitale delta del
Nilo. Androtimo mantenne a lungo la stretta intorno a Saïs, disperando di
prendere l'antica capitale, ma alla fine venne scacciato e respinto con l’aiuto
di Seleuco II stesso. A conclusione della guerra, un compromesso fu raggiunto
con la creazione di un regno indipendente di Androtimo, coadiuvato dalla regina
Arsinoe di Cipro, in Libia. Nearco IV, invece, fu creato Faraone d’Egitto alla
presenza di Seleuco II, il quale si era fatto pagare il suo aiuto per mezzo
delle terre egizie del Levante. In ogni caso, la guerra civile egizia fu anche
la causa del ritiro dei Faraoni dalla prima guerra punica e, per molti storici,
una delle motivazioni dietro alla, per nulla scontata, definitiva sconfitta di
Cartagine.
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Regno di Nearco IV detto il Filopatore
Questo regno fu abbastanza debole, con il
Faraone adulto, ma posto di fatto sotto la tutela dei suoi ambiziosi ufficiali
che litigavano per il controllo della corte, facendo, sotto sotto, il gioco di
Seleuco II, che desiderava un Egitto diviso e paralizzato, da manovrare da
remoto. La regina Merneith era la figlia del generale e capo di fazione Djedhor,
già leggendario difensore di Saïs. Egli, come molti altri nobili, furono
ricompensati con un’autonomia estesa nei loro principati, in Egitto, ma anche
nel Mar Rosso e in quel poco che restava del Levante egizio. Le casse erano
vuote, a causa del fatto che il commercio egiziano era stato bloccato per anni.
Ci voleva del tempo per ritrovare la prosperità, ma le tasse pesanti, necessarie
per mantenere in essere la strutttura dello Stato, erano causa di nuove
ribellioni. La più importante fra tutte, anche per l'impatto che ebbe sulla
cultura del tempo, fu probabilmente la ribellione di Tiro e Sidone. Questi
vecchi alleati erano stanchi di essere trattati come sudditi e volevano
riprendere la loro indipendenza, anche se per farlo dovettero chiedere aiuto a
Tolomeo IV di Cipro.
Il generale Archidamo fu inviato ad assediare Tiro ma l’isola, fin troppo
difficile da raggiungere e aiutata dalla flotta lagide nei rifornimenti fu
capace di respingerlo. In tre anni la Fenicia fu persa una volta per tutte, da
questo momento in avanti esce dall’influenza egizia per evolvere verso un
modello di civiltà sempre più ellenizzante ed ellenizzato. Alla stessa maniera,
la Giudea tentò di riconquistare la sua cara indipendenza, ma stavolta la
reazione egizia, durissima, fu capace di sottomettere nuovamente il Paese. Più
in generale, il regno di Nearco IV marcò il declino del Levante egiziano, nato
un secolo e mezzo prima. La cosa non era sorprendente: la scacchiere più
importante per l’Egitto era da qualche tempo il Mar Rosso, con annesso il suo
accesso al Mediterraneo.
Si dice che Nearco IV fu avvelenato dalla moglie solo dopo dieci anni di regno
per porre il loro figlio minorenne sul trono, ed assicurarsi così il potere.
[continua]
Per farmi sapere che ne pensate, scrivetemi a questo indirizzo.