Tre Franceschi impediscono l'unità d'Italia

di Massimiliano Paleari


Se si osserva il modo in cui "si fece l'Italia" tra il 1859 e il 1861 non si può non convenire che entrarono in gioco una serie di eventi e di circostanze fortuiti e contingenti difficilmente ripetibili, uniti alla totale insipienza politica degli Stati italiani preunitari (ad eccezione del Piemonte ovviamente) e a gravi errori di valutazione da parte della stessa Austria. Le cose quindi avrebbero potuto prendere una piega diversa. Ecco un'ipotesi ucronica in tal senso...

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Gli accordi segreti di Plombières tra Napoleone III e Cavour prevedevano l'entrata in guerra della Francia a fianco del Piemonte contro l'Austria solo se quest'ultima avesse attaccato il Piemonte. Occorreva quindi creare un casus belli che inducesse l'Austria a fare la prima mossa. L'attenzione si concentra sul territorio di Massa, allora appartenente al Ducato di Modena, dove Cavour intende fare scoppiare disordini pro Piemonte in modo da provocare la reazione del Duca e quindi dell'Austria. Intanto, a partire dall'inizio del 1859 il Piemonte permette provocatoriamente a Garibaldi di arruolare nella legione dei Cacciatori delle Alpi anche esuli lombardi. La situazione è tesissima ma gli avversari dell'espansionismo sabaudo sapranno tenere i nervi a posto e giocheranno bene le loro carte.

Il Duca di Modena Francesco V decide il 15 gennaio 1859 di riconoscere finalmente Napoleone III come legittimo imperatore di Francia (fino a quel momento si era ostinatamente rifiutato di farlo). Questo fatto, per quanto possa apparire marginale, contribuisce a ridurre l'ostilità di Napoleone III verso il piccolo Ducato e avrà conseguenze importanti poco dopo.

Di fronte al rapido peggioramento dei rapporti diplomatici tra il Piemonte e l'Austria, è sempre Francesco V con un'abile mossa diplomatica e promuovere il 15 marzo 1859 la Conferenza di Pontremoli insieme alla Reggente del Ducato di Parma e Piacenza Luisa Maria di Berry Borbone e al Granduca di Toscana Leopoldo II. I tre Sovrani sanciscono la neutralità dei rispettivi Stati e approvano una serie di misure per la nascita di una Confederazione Italica dell'Appennino in buoni rapporti con l'Austria ma al contempo desiderosa di un ruolo meno subalterno. Presiederà provvisoriamente la Confederazione Leopoldo II. Per il momento si decide di mettere in comune la politica estera e di introdurre misure per la progressiva unificazione delle forze armate.

Il 20 marzo in Toscana il Barone Bettino Ricasoli convince il Granduca a reintrodurre la Costituzione. Leopoldo II accetta. In questo modo la dinastia degli Asburgo Lorena riacquista prestigio anche tra gli ambienti liberali e si smorzano le simpatie pro Piemonte, diffuse fino a quel momento anche all'interno dell'esercito granducale. Nel giro di una settimana la Costituzione viene introdotta anche nei 2 Ducati.

Il 5 aprile Bettino Ricasoli diviene il primo Cancelliere della Confederazione (Primo Ministro). Vienna non è entusiasta delle novità incorse ma Ricasoli riesce a persuadere la diplomazia asburgica che la Confederazione tutto sommato è nell'interesse della stessa Austria: una forte compagine statale nell'Italia centro/settentrionale rappresenta un baluardo alle ambizioni sabaude. Vienna accetta quindi il fatto compiuto, rassicurata anche dal fatto che le dinastie amiche e imparentate con la stessa casa imperiale austriaca sono rimaste al loro posto.

Il 23 aprile Cavour, dopo avere introdotto alcuni agenti sobillatori e avere fatto sconfinare in territorio modenese una colonna di volontari formata da fuoriusciti, fa scoppiare disordini a Massa. Le truppe del Duca di Modena si ritirano momentaneamente a Fivizzano per riorganizzarsi e attendere rinforzi, mentre a Massa un Comitato Nazionale proclama immediatamente l'annessione al Piemonte. Il 28 aprile però le truppe modenesi supportate da contingenti toscani che agiscono unitariamente nell'ambito della neonata Confederazione rientrano a Massa. L'Austria non è intervenuta nella faccenda, pertanto Cavour non può appellarsi a Napoleone III.

Il 29 aprile Garibaldi cerca di forzare la mano all'Austria traghettando sulla sponda lombarda del Lago Maggiore una parte dei suoi Cacciatori delle Alpi. Malgrado l'evidente provocazione da parte piemontese, Francesco Giuseppe, avendo ormai avuto sentore dell'accordo franco piemontese, non cade nella provocazione. Gli Austriaci si limitano a "insaccare" i garibaldini nell'alto varesotto. Questi, dopo due settimane di inconcludente guerriglia, sono costretti a riparare parte in Svizzera e parte a ritraghettare in Piemonte. Cavour è costretto a chiedere scusa all'I.R. Governo Austriaco per l'increscioso incidente. E' il fallimento totale di quella trama politico/diplomatica faticosamente costruita da molti anni. Cavour, fortemente amareggiato, si dimette il 1 giugno, sostituito da un Ministero incolore che risponde sostanzialmente ai desiderata di Vittorio Emanuele II.

Il 15 giugno Napoleone III riconosce ufficialmente la Confederazione Italica dell'Appennino. Scartata ormai la carta piemontese, l'Imperatore francese cerca con questa mossa di controbilanciare l'influenza austriaca. Del resto per ragioni politiche interne a Napoleone III non dispiace sostenere in questo modo la posizione della Reggente di Parma, una Borbone di Francia.

Il 30 giugno scoppia a Perugia un moto antipapalino. Gli insorti, attaccati dalle truppe pontificie, chiedono l'aiuto di Ricasoli. I Toscani intervengono, mentre anche nelle Delegazioni emiliane e romagnole si formano Giunte locali di Governo che chiedono di potere entrare a fare parte della Confederazione. Sotto le mura di Perugia i Papalini sono sconfitti dai Toscani il 18 luglio. Due giorni dopo le truppe estensi e quelle parmensi entrano a Bologna dando man forte agli insorti locali. Malgrado le fortissime proteste di Pio IX, entro metà agosto l'Umbria, Bologna, Ferrara, Ravenna, la Romagne, Urbino e il Pesarese entrano a fare parte della Confederazione decisione sancita da successivi plebisciti. Il Papa conserva comunque il Lazio e nelle Marche Ancona, Macerata e Ascoli, mantenendo quindi uno sbocco sul Mare Adriatico.

Il 15 marzo 1860 anche Francesco II di Napoli concede la Costituzione e firma un patto di amicizia e di cooperazione con la Confederazione, contribuendo in tal modo a isolare diplomaticamente ancora di più il Piemonte.

Il 30 aprile 1860 Napoleone III, a corto di successi in politica estera, lancia un ultimatum al Piemonte intimando un referendum in Savoia e a Nizza (da tenersi sotto l'occhio vigile dell'esercito imperiale francese) per decidere del loro destino. Vittorio Emanuele II è costretto a chiedere l'aiuto dell'Austria, ribaltando così interamente la politica sabauda degli ultimi 20 anni. Vienna gongola e accetta maliziosamente di fare da piacere. Non si arriverà alla guerra e alla fine il Piemonte sarà costretto a cedere alla Francia la Savoia, mentre potrà conservare il Nizzardo.

Il 27 maggio 1860 l'irrequieto Garibaldi, espulso dal Piemonte, parte da Malta con il tacito assenso delle autorità inglesi (in quel momento in cattivi rapporti con la corte napoletana) e con circa 300 uomini sbarca in Sicilia. L'intento è quello di abbattere la dinastia borbonica e di risalire la penisola fino a Roma proclamando la Repubblica Italiana. Poco dopo lo sbarco però le truppe napoletane del Generale Landi, in schiacciante superiorità numerica, circondano i Garibaldini facendole a pezzi. I Borbonici sono supportati nella fase finale della battaglia anche dai "picciotti" siciliani. Garibaldi viene deportato alle Isole Tremiti. Sarà liberato nel 1862 e espulso dal Regno a seguito di un decreto di amnistia di Francesco II. Garibaldi finirà i suoi giorni povero e amareggiato in Uruguay, dopo avere tentato senza successo alcune avventure imprenditoriali nel settore dell'allevamento.

L'Italia resta così divisa e con una importante influenza austriaca nel nord della penisola, mentre il Piemonte è indebolito e marginalizzato. Al "centro" però si è avviato un processo confederale che ha "razionalizzato" la situazione. Come andrà a finire? La Confederazione con il tempo diverrà il motore di una diversa unità italiana in "salsa federale"? Oppure si consolideranno rispettivamente un patriottismo meridionale e uno centro/settentrionale? E il ruolo dello Stato della Chiesa? Il Papa riuscirà a conservare i suoi residui domini o subirà una ulteriore erosione del suo potere temporale, magari a seguito di una spartizione concordata tra la Confederazione e il Regno delle Due Sicilie dopo la caduta di Napoleone III? Infine, la Lombardia e il Veneto si integreranno nell'Impero Asburgico, magari a seguito di buone politiche di sviluppo economico, o resteranno un'area turbolenta e periferica per Vienna? Chi prova a rispondere?

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Così ci prova Bhrghowidhon:

Ottima mossa la Confederazione (abbastanza ottimistica), forse un po' troppo facili le annessioni a spese dello Stato Pontificio. La conquista francese della Savoia (regione deliziosa, ma francamente troppo poco rispetto alle ambizioni) è comunque incredibile senza alcun compenso; neppure Napoleone III poteva permettersi di prendere senza pagare.

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E Massimiliano replica:

C'è da dire che Francesco V di Modena aveva realmente vagheggiato una confederazione italiana presieduta dal Papa e a "regia austriaca". I problemi erano due:

1) non voleva saperne di concedere la Costituzione (alienandosi così le simpatie dei liberali)
2) i piccoli Stati italiani erano molto gelosi dei rispettivi particolarismi.

Per quanto riguarda il secondo punto basti ricordare le forti frizioni tra il Ducato di Modena e Granducato di Toscana nel 1847. In seguito agli accordi presi già al tempo del Congresso di Vienna, nel 1847 Lucca fu annessa alla Toscana. Contemporaneamente però alcune storiche enclavi toscane incuneate tra il territorio lucchese e quello dei due Ducati furono cedute a Parma e a Modena. Gli abitanti ex granducali destinati a passare sotto la sovranità del Duca di Modena non volevano saperne, e in Toscana si invocò la guerra contro Francesco V, guerra evitata per l'atteggiamento bonario e accomodante di Leopoldo II, oltre alle forti pressioni austriache che voleva evitare ulteriori grattacapi in Italia. Quindi certo, lo scenario di una Confederazione è abbastanza ottimistico, anche se forse una "zampata di genio" dovuta alla paura avrebbe potuto svegliato i Sovrani dell'Italia Centrale dal loro intorpidimento.

Militarmente lo Stato Pontificio era piuttosto debole, e il Granduca Leopoldo aveva appena finito di riarmare e ammodernare l'esercito sostenendo forti spese (esercito che però nella timeline reale degli eventi si schierò con i filo piemontesi costringendo il Granduca ad abbandonare la Toscana nel giugno 1859). Anche il Duca di Modena disponeva di un esercito relativamente grande (rispetto alle dimensioni dello Stato), efficiente e fedele, che avrebbe potuto operare efficacemente in Emilia. Credo quindi che, con l'Austria neutrale, il Papa avrebbe comunque perso le Legazioni e parte dell'Umbria e della Marche. Forse non sarebbe stata una "scampagnata" come a Castelfidardo, ma alla fine i Confederati aiutati dai liberali locali l'avrebbero spuntata.

Per quanto riguarda la Savoia, era il minimo che Napoleone potesse ottenere. L'Austria sarebbe stata ben contenta di "pagare" tale prezzo (tra l'altro con "merce" non sua, ma piemontese) per "ricompensare" Napoleone del mancato intervento in Italia e nello stesso tempo per punire Vittorio Emanule II per il tentativo abortito di scompaginare le carte in Italia. Il piccolo Piemonte, diplomaticamente e militarmente isolato, avrebbe potuto fare ben poco da solo e la Savoia, di lingua francese e anche geograficamente non italiana, non avrebbe scaldato più di tanto gli animi nemmeno dei patrioti unitari italiani...

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Bhrghowidhon torna alla carica:

Che l'occupazione militare dei territorî pontifici fosse possibile è chiaro; se tuttavia fosse stata così indolore non sarebbe stata rimandata fino al XIX. secolo, sarebbe avvenuta da un'enormità di tempo. È invece molto probabile che l'imbarazzo diplomatico per l'Austria, garante dell'applicazione del Trattato di Vienna per l'Espressione Geografica tra le Alpi e il Mediterraneo, fosse davvero insostenibile; solo Napoleone I se l'era potuto temporaneamente permettere, ma come corollario dopo aver eliminato tutti i nemici compresi tra Gran Bretagna e Russia.

Invece per la Savoia è troppo basso il prezzo della neutralità francese. Come avevano mostrato le Guerre di Successione, ogni accrescimento territoriale - specialmente di Stati non direttamente coinvolte nel conflitto - sarebbe stato da compensare in egual misura a favore delle altre Parti contraenti del Trattato e dato che si trattava di portare il confine sullo Spartiacque, militarmente meglio difendibile (le questioni nazionali erano puri pretesti - la Savoia non è più francese che i Grigioni o Milano, essendo tutti linguisticamente galloromanzi - e a quel punto il medesimo criterio avrebbe rivendicato anche le altre parti francoprovenzali sabaude, in primis la Valle d'Aosta), l'Austria non si sarebbe accontentata di Novara e Alessandria (tutte indifendibili) e avrebbe forse voluto Genova.

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Massimiliano allora corregge il tiro:

Provo dunque a immaginare le seguenti varianti:

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Bhrghowidhon gli risponde:

Eccellente, l'espulsione di un socio dal sistema di equilibrio delle Potenze e la sua spartizione sono una strategia tipicamente europea (benché non esclusiva). Il 'gioco' però funziona solo se si trova un compenso anche per lo Stato Pontificio. Comunque il punto critico diventa adesso la Germania. I successi su un quadrante non possono mai giustificare la rinuncia totale su un altro: evitare lo scontro è possibile solo attraverso un accordo di spartizione soddisfacente per entrambe le parti.

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E Massimiliano annuisce:

Vero, il problema diventa il ruolo della Prussia e dell'Austria in Germania. Diciamo che l'Austria, più proiettata verso sud (dopo l'occupazione di Genova inizia a guardare anche verso l'Africa con interesse), non punta in piedi per lo Schleswig-Holstein e si accontenta di conservare una certa egemonia sulla Germania meridionale.

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Allora Bhrghowidhon commenta:

Col senno di poi sarebbe una soluzione ragionevolissima; tuttavia è inevitabile che occorresse un compenso territoriale anche per la rinuncia all'Holstein. Invece mi stupisce l'interesse austriaco per l'Africa, che dovrebbe essere invece di pertinenza pressoché esclusivamente riservata alla Francia (certo in concorrenza con la Gran Bretagna), mentre una tentazione fortissima diventerebbe il Regno delle Due Sicilie...

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Ma Massimiliano non demorde:

Qualche timido tentativo di impiantare colonie (Nicobare, Borneo) da parte di Austriaci, anche se scarsamente appoggiati dal loro Governo, in realtà ci fu tra il XVIII e il XIX Secolo. Perchè quindi non ipotizzare un accresciuto interesse dell'Austria per il bacino del Mediterraneo, per l'Africa e per le rotte verso l'Oceano Indiano a seguito dell'occupazione di Genova e del perdurare del dominio diretto sull'Italia settentrionale? Del resto nella Seconda metà del XIX secolo il "mal d'Africa (e d'Asia)" interessò Potenze grandi, medie e piccole. Chissà, forse la Libia sarebbe stata occupata da una spedizione congiunta Austro/Napoletana, con relativa successiva spartizione (Tripolitania all'Austria, Cirenaica a Napoli) nel contesto di una guerra con la Turchia iniziata per l'egemonia sull'Albania...

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E Bhrghowidhon fa notare:

Certo, obiettivi coloniali austriaci esistevano eccome, ma erano anzitutto l'Egitto e in sèguito una spartizione con la Germania della parte asiatica dell'Impero Ottomano.

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Con Massimiliano che aggiunge:

L'Austria ebbe anche una concessione a Tientsin in Cina a seguito della sua partecipazione alla spedizione internazionale organizzata per reprimere la rivolta dei Boxers e riportare la dinastia Manciù a "più miti consigli". Dopo la Prima Guerra Mondiale la concessione austriaca fu annessa alla contigua concessione italiana.

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Bhrghowidhon ha ancora una freccia al suo arco:

Da quel punto di vista la proposta giapponese del 1916 era più sensata di quanto si è storicamente verificato: spartizione della Cina tra Giappone (ovviamente) e altre Potenze europee (ma principali), soprattutto la Russia, in cambio di rinuncia di quest'ultima non solo a ulteriori espansioni, ma addirittura a proprie province periferiche in Europa, che andrebbero a soddisfare le ambizioni degli Imperi Centrali. Aggiungere la spartizione degli altri Imperi asiatici (in primis l'Ottomano) avrebbe completato il quadro, ma naturalmente chi - per fortuna dei Turchi - si è opposto a tutto questo è l'Impero Britannico (per evitare accrescimenti di potere altrui), che poi comunque ha ampiamente partecipato alla spartizione dell'Impero Ottomano (con la sola Francia).

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C'è poi il contributo di Rivoluzionario Liberale:

La Prussia ormai è in piena ascesa, ma per la regola dell'alleanza a scacchiera la Prussia è un ottima alleata perchè confinante sia con l'Austria che con la Francia. Quindi la Prussia avrà interesse a un forte stato italiano nel Mediterraneo in funzione antifrancese e antiaustriaca.

A questo Punto il Bismarck non solo fa l'unità tedesca, ma annette l'Austria, alleato di una coalizione di paesi italiani. magari con a capo il papa. Una volta creato un enorme impero tedesco con l'annessione anche bella Boemia e la creazione di un Ungheria e una Croazia semi indipendenti, si affronta la Francia come nella HL.

Non saprei chi potrebbe comandare, ipotizziamo i Borboni, Franceschiello diventa l'eroe dell'unificazione, le guerre gli le vince tutte la Prussia, Garibaldi va a lavorare per il sud, e i suoi Cacciatori dell'Appennino guidano la spedizione. nel nord. Il sud unifica il nord!

Con una Germania cosi però Trento e Trieste ce le sogniamo, sono città tedesche, e prima o poi si germanizzano anche. Finisce anche la dinastia Asburgica, e nel '70 pure quella napoleonica. I Savoia rimangono in una Savoia di loro proprietà, una specie di stato cuscinetto. L'Italia comprende anche la Corsica ceduta dalla Francia umiliata. Francesco di Borbone Re d'Italia...

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Cui replica Bhrghowidhon:

Mi sembra che il punto debole della tua ricostruzione sia il dare per scontata la sconfitta sia francese sia austriaca; in ogni caso un'incoerenza clamorosa è il passaggio di campo della Confederazione Austriacante (dall'Austria alla Prussia).

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Facciamo spazio all'idea di Never75:

La differenza più evidente tra l'Unità d'Italia e quella di Germania è che mentre nella prima i Savoia fecero l'asso pigliatutto e si papparono tutti i regni, ducati, granducati ecc. preesistenti cancellando ogni autonomia esistente, in quella tedesca no. Nonostante la Prussia ebbe fino al 1918 la preminenza nel Reich, tuttavia esistettero al suo fianco altri regni semi-indipendenti (in primis la Baviera) che, aldilà della politica estera e macroeconomica, godevano di ampie autonomie da Berlino.

In verità qualcosa del genere si sarebbe potuto benissimo verificare anche da noi. Se Francesco II avesse dato maggiormente ascolto al Primo Ministro Carlo Filangieri (filo-francese e filo-britannico) e un po' meno alla moglie e il Regno Duo-siciliano si fosse alleato con i Savoia contro l'Austria nel 1859? In realtà l'apporto alle battaglie di San Martino e Solferino sarà puramente simbolico, però basterà a salvargli il trono.

Sul suo esempio, anche gli altri sovrani non fuggono e si schierano a favore dei franco-piemontesi (forse eccettuato il Granduca di Modena, retto da un parente di primo grado degli Imperatori d'Austria e quello pontificio).

Magari, con l'apporto di tutti questi Stati assieme le cose, alla fine, vanno più o meno come a Plombiéres. Anche il Veneto viene unito subito al Regno di Sardegna. Il Ducato di Modena viene o diviso tra Savoia, Toscana e Parma-Piacenza, oppure viene dato a un altro principotto. Magari (perché no?) proprio a Plon-Plon e a Clotilde come dono di nozze? Il problema più grosso sarebbe stato il papa. Ma, con le buone o con le cattive, anche lo Stato pontificio (ovviamente ridotto al solo Lazio, anche questo prevedeva Plombiéres) deve entrare nel neonato Regno d'Italia.

In questo caso si ha un Regno di Sardegna notevolmente ingrandito territorialmente, con le regioni d'Italia più ricche (eccettuata la Sardegna), più popolose e industrializzate. Anche nel neonato Regno d'Italia, quindi, i Savoia faranno la voce grossa e avranno pressoché il monopolio su politica estera e macroeconomia. Ma, al fianco della Sardegna, gli altri Stati sopravvivranno con relative autonomie. Non è proprio federalismo, ma qualcosa di molto simile.

Vantaggi? La questione meridionale, se non eliminata, sarà affrontata in modo molto diverso. Niente brigantaggio, niente separazione Stato-Chiesa. Un'Italia più forte e unita (nel vero senso della parola) poi non è detto che non possa dire ben presto la sua in questioni internazionali di un certo peso. Con la caduta di Napoleone III a Sédan, per l'Italia si apriranno ulteriori opportunità sullo scacchiere mediterraneo. Si inizierà prima a pensare a delle colonie (battendo sul tempo la Germania, soffiandole i pochi territori ancora liberi) Così anche in futuro non saremo più considerati una potenza di terz'ordine (e quindi, al Congresso di Berlino non facciamo una figura di cioccolata!)

Nel 1865 accettiamo l’Alleanza con la Prussia. A Custoza e a Lissa vinciamo. Approfittando della rotta della flotta austriaca, Cherso, Veglia e altre isole istriane vengono occupate.

Trento, Rovereto, Gorizia, l'Istria, la città di Fiume, l'arcipelago di Pelagosa e le tre isole di Cherso, Lussino e Veglia diventano italiane, con la vistosa eccezione di Trieste che, a causa dell'impuntarsi di Bismarck, rimane austriaca. L'Impero però, alla conferenza di pace, si impegna a concedere numerose autonomie ai triestini e ci cede l'enclaves di Zara.

Vista la gestione complessiva della guerra (qui a differenza della HL siamo stati un vero supporto per Bismarck anziché una palla al piede), il Regno d'Italia viene rispettato e temuto in tutta Europa. Così, con l'approssimarsi della crisi franco-prussiana, entrambe queste potenze cercano di accattivarsi le simpatie italiane.

Alla vigilia della guerra, Napoleone III promette al Regno, in caso di alleanza, la Corsica (da barattarsi a fine conflitto con la Val d'Aosta) che considera più che altro una palla al piede. Noi fingiamo di accettare. Bismarck però è più generoso e stipula un'alleanza segreta. Così, con un voltafaccia incredibile, a inizio conflitto dichiariamo guerra alla Francia. L'Austria rimane comunque neutrale.

Garibaldi alla guida di un corpo di volontari occupa la sua amata Nizza, mentre la Corsica viene conquistata dalla Marina del Regno. Distogliendo una parte delle forze francesi dal fronte prussiano, le vittorie militari di Von Moltke sono pure maggiori. Tutta la Lorena viene conquistata, mentre Nizza e Corsica sono annesse al Regno d'Italia. La Francia è ancora più arrabbiata con noi, ma alla fine è un Paese occupato e fragile, che deve a Prussia e Italia notevoli somme economiche per una guerra persa. Il prestigio dell'Italia è ancora maggiore.

Intanto, con la scusa che l'Impero Francese non c'è più, anche gran parte del Lazio viene invaso e al Papa rimane solo la città di Roma e provincia.

Nel 1872, l'affondamento di alcune navi battenti bandiera militare italiana con altre tunisine offrono il pretesto per occupare il vicino paese maghrebino. Messo da parte il bey senza tanti riguardi, la Tunisia viene divisa in Stati e considerata parte del territorio metropolitano italiano (come l'Algeria per i francesi), lasciando al bey un potere pressoché formale. Questa è la situazione degli Stati Italiani nel 1873.

1) Tre Regni:
Regno di Sardegna e Corsica (il cui re appartenente alla dinastia dei Savoia è automaticamente re d'Italia) comprendente Piemonte, Val d'Aosta, Lombardia, Liguria, Nizzardo, Veneto, Sardegna e Corsica. I "piemontesi" hanno nel Parlamento federale più voti di tutti gli altri Stati italiani: per cui su politica estera a difesa decidono tutto i Savoia.
Regno di Napoli comprendente tutte le regioni meridionali più il basso Lazio e la città di Ancona col circondario. Assegnata ai Borbone-Napoli è il secondo regno per popolazione ed estensione territoriale.
Regno di Sicilia comprendente, oltre all'isola omonima, anche parte della Tunisia settentrionale, assegnato ai Borbone-Trani, ramo collaterali dei Borbone-Napoli. Il primo re è Luigi, figlio di Maria Teresa d'Asburgo-Teschen e fratellastro di Francesco II.

2) Un Granducato: quello di Toscana assegnato ai Lorena e comprendente anche Lucca.

3) Tre ducati:
Ducato di Savoia-Modena assegnato a Clotilde di Savoia e a Girolamo Bonaparte quale principe consorte.
Ducato di Parma e Piacenza: assegnato ai Borbone-Parma.
Ducato d'Istria e Dalmazia comprendente il Litorale Giuliano eccetto Trieste e circondario, Istria, Fiume con le isole, con capitale Gorizia, assegnato a Ferdinando di Savoia, fratello di Vittorio Emanuele II. Da qui in poi la dinastia ducale regnante si definirà come Savoia-Istria.

4) Due principati: quello di Monaco e quello di Vaticano e Borgo.

5) 6 città libere. Trento (con il territorio dell'ex-principato vescovile), Zara, Ravenna, Ferrara, Bologna e Cesena.

6) Il protettorato tunisino, comprendente quasi tutto il Paese tranne la zona costiera con la capitale. A differenza degli altri Stati, non ha la dignità di Regno e la sua autonomia è molto limitata. Anche al suo nominale sovrano (il bey) non è consentito di diritto sedere nel Parlamento Nazionale, anche a causa della diversa religione. In questa Timeline lo Stato rimane ancora più clericale che nella nostra.

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Questo è il dottiissimo contributo in proposito di Bhrghowidhon:

Il successo dell’Inghilterra è dovuto alla Rivoluzione Industriale, che a sua volta presuppone l’Impero Britannico, entro il quale la Scozia, che nel Regno Unito è stata soggetta all’Inghilterra molto più e peggio che la Lombardia alla Germania nel Sacro Romano Impero, ha usufruito di enormi vantaggi rispetto – per dire – al ben più potente e indipendente Portogallo.

Il successo della Prussia è pure dovuto alla Rivoluzione Industriale e, prima ancora, al Sacro Romano Impero stesso (le regioni più sviluppate del Regno di Prussia all’epoca della Rivoluzione Industriale erano quelle della Renania, cuore politico e culturale dell’Impero)), dopodiché al Secondo Reich (che comunque ha finito per tendere ugualmente – e inevitabilmente – alla Grande Germania).

Il successo della Svezia è anche dovuto al fatto che dal 1814 a oggi ha avuto solo quattro caduti in conflitti o scontri che abbiano coinvolto lo Stato; per il resto, l’Aristocrazia norvegese non è stata da meno di quella svedese, pur attraversando molti più secoli (sei) in condizione di “periferia” di un altro Stato.

Per contro, l’Aristocrazia spagnola non è stata certo mai periferica, eppure le vicende della Spagna sono state spesso peggiori di quelle delle Due Sicilie considerate di per sé. L’Aristocrazia polacco-lituana e quella ungherese (fra le più superbe d’Europa) non hanno fatto meglio di quella duosiciliana.

Mi pare che questi esempi e controesempi bastino a rendere lecita la conclusione che il nesso fra ruolo politico della Classe Dirigente locale e Sviluppo non sia di causa-effetto.

Questo però non può lasciare senza una scala di valutazione il panorama delle alternative storico-geopolitiche che i due Regni di Sicilia hanno avuto dopo gli Aragonesi. La Storia ha selezionato l’annessione all’Italia e in particolare all’attuale Repubblica Romana (per cui chiamo “R” questo sviluppo temporale); le alternative sarebbero state appunto la permanenza nella Spagna (“E”) oppure l’Indipendenza (“N” di Napoli), che sono convinto che prima o poi avrebbe in qualsiasi caso portato alla Conquista Turca (“T”) – e successiva nuova Indipendenza (“N”) entro il XIX. secolo – o all’annessione da parte della Francia (“F”), altrimenti alla (Ri)conquista da parte dell’Austria (“A”), a seconda dei casi definitiva o invece sostituita da quella Sabauda (in ultima analisi di nuovo “R”). Non prendo in considerazione né l’ucronia austrispanica/austriberica (perché non sarebbe dipesa dal controllo o meno di Napoli) né lo scenario di un’Unione Mondiale delle Repubbliche dei Consigli degli Operai e dei Contadini di tipo trockista (perché sono convinto che abbia come precondizione un Sistema Monetario Unico Mondiale e comunque sarebbe molto più verosimilmente partita dall’Impero Britannico o dal Secondo Reich /Unione Mitteleuropea); mi limito a sottolineare che il massimo ruolo geopolitico delle Due Sicilie nella Storia Moderna è stato in vista dell’Austrispania/Austriberia (quest’ultima ancora all’epoca di ambientazione dei Promessi Sposi, dalla cui Lombardia sono significativamente tratti i due fittizi esempi di Aristocrazia che dovrebbero rappresentare quella duosiciliana, Don Ferrante – che simboleggia un ideale di vita come quello che è stato realmente, nel Regno, di Giambattista della Porta e, per quanto riguarda l’Aristotelismo e perfino l’Astrologia di nientemeno che Athanasius Kircher – e Don Rodrigo, che non molestava i Poveri per puro capriccio, bensì era sinceramente innamorato di Lucia e agiva – come ovvio da appartenente alla sua Classe – di conseguenza, altrimenti ne avrebbe potuto tranquillamente disporre senza preoccuparsi del Matrimonio; l’Aristocrazia lombarda e duosiciliana erano unite nel Consejo de Italia, la Lombardia era al contempo Corona di Spagna e centro del Regno Longobardo della Nazione Gallesca nel Sacro Romano Impero e all’epoca l’Italia era davvero l’intersezione fra Spagna e Germania).

Dunque R (la Storia reale: annessione prima o poi all’Italia e a Roma), E, F, T (annessione all’Impero Ottomano) + N o A (definitivo o daccapo in R).

E (Napoli rimane definitivamente alla Spagna): come parte integrante della Corona di Aragona, la condizione attuale del Regno di Sicilia (Al di Qua e Al di Là del Faro) sarebbe paragonabile a Valencia, quindi nel complesso forse migliore di quella reale (in ogni caso con propria autonomia linguistica e amministrativa) ossia E > R.

F (Napoli prima o poi alla Francia): in questo caso la francesizzazione linguistica è garantita (come in Corsica) e la situazione socio-economica si collocherebbe più o meno fra quella del Rossiglione e (in particolare per la Sicilia) quella della Corsica; comunque, nel complesso, migliore di quella reale (F > R). Fra Impero Ottomano, Spagna e Francia mi pare che non rimangano residui (cfr. Cipro, Candia e la Morea) perché lo Stato rimanga indipendente e integro (comunque assimilabile al Montenegro, anch’esso fra l’altro tributario dal 1528 al 1696).

La vicenda T → N oscilla fra il parallelo della Grecia (nel caso di un’annessione diretta all’Impero Ottomano) e quello della Serbia e della Romania (se invece Napoli e la Sicilia fossero stati Principati Tributarî come appunto la Serbia, la Valacchia, la Moldavia), da discutere se migliore o uguale (o invece peggiore?) della condizione attuale (N ≥ R o N ≤ R?).

Nel caso invece di T → A (come la Transilvania, dall’Impero Ottomano a quello Asburgico) e in quello direttamente A (prosecuzione della fase 1707-1735), ammesso che (per le vicende otto-novecentesche) non si rifluisca in R (o N), la condizione attuale sarebbe come minimo quella della – all’epoca e in séguito ancora a lungo in realtà assai più povera di Napoli – Carinzia, quindi anch’essa senza dubbio migliore di quella reale (almeno tanto quanto Valencia o il Rossiglione), dunque A > R.

La mia identità napoletana (di parrocchiano della chiesa di San Giacomo degli Spagnoli e abitante nell’omonima via), ben sintetizzata dalla felice formula («etnicamente longobardo, storicamente austriacante e politicamente pangermanista») impiegata da Alessio in altro contesto (la simulazione di Versailles, lo scorso settembre) e rappresentativa – per rimanere nella nostra discussione – dell’Aristocrazia lombardo(/genovese)-napoletana dell’epoca degli Austrias, preferisce lo scenario A (non è una sorpresa); tuttavia, ciò che mi par balzare agli occhi è che A, E, F siano > R, mentre N è ambiguo e T, nella sua transitorietà, ha esito incerto (fra N, R e A).

Per brevità, assumo A (Carinzia) come rappresentativa anche di E (Valencia) e F (Rossiglione); l’alternativa (a parte R, reale) è N (Grecia o Serbia/Romania), comunque né l’Inghilterra né la Prussia né la Svezia. Ecco perché «qualcuno potrebbe anche pensare che fosse meglio far parte di un grande e glorioso impero invece che di un piccolo regno»: PIL prō căpĭtă (corretto per potere d’acquisto) 33˙000 euro (Carinzia) ÷ 21˙217 (Grecia; con la Serbia sarebbe peggio)...

Io oserei dire che la Repubblica Romana si considera una Città-Stato anziché un Impero. Nel dire questo, ho usato un’espressione allusiva (a Mazzini e alla Tradizione Repubblicana) per dire: «la Repubblica Italiana, con Capitale Roma, si considera una Città-Stato (la Repubblica di Roma) anziché uno Stato composto da più Nazioni».

Invece lo Stato Italiano è da considerarsi uno «Stato Pseudonazionale», per le seguenti ragioni:

1) la Repubblica Italiana (come, prima, il Regno d’Italia) si considera, almeno di fatto, uno Stato Nazionale e in particolare della “Nazione Italiana”;

2) la Nazione Italiana si considera, tradizionalmente, «una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue, di cor»;

3) oggi «una d’arme» è l’Alleanza Atlantica (non più l’Italia, come invece quando era Regno d’Italia) e l’Italia ha, al suo interno, una Sovranità su cui se non altro è lecito discutere;

4) l’Italia non è «una di lingua» né a livello di lingua alta (ce n’è più di una e l’italiano stesso non è limitato all’Italia, bensì comprende territorî non ufficialmente rivendicati) né a livello di lingua bassa (in Italia sono parlate e radicate da un lato tradizioni linguistiche italoromanze – anche se non tutte, perché il corso non è parlato in Italia – e dall’altro tutte le tradizioni linguistiche sarde – che non sono italoromanze – nonché molte reto-cisalpine, neanche esse italoromanze, bensì romanze occidentali come il francese, il provenzale, il catalano, il castigliano e il portoghese, con queste imparentate tanto quanto il toscano col siciliano);

5) «una d’altare» è la Cattolicità (come, s livello sovraordinato, il Cristianesimo), ovviamente molto più estesa che l’Italia, la quale fra l’altro a livello subordinato non è unitaria (esistono almeno tre Riti, di cui uno – quello Ambrosiano – solo in Italia, ma appunto in una piccola minoranza del territorio statale);

6) l’Italia è «una di memorie» (ossia di Storia) solo in quanto parte dell’inter(sub)continente euromediterraneo (Europa e Bacino del Mediterraneo, sommati), mentre se si specifica è costituita dalle memorie dello Stato della Chiesa, della Repubblica di Venezia, dei Regni delle Due Sicilie e di Sardegna (che, più a lungo, sono stati parti della Spagna) – tutti frammenti di Impero Romano (Bizantino) – e di alcuni parti del Sacro Romano Impero (al cui interno si possono distinguere ulteriori tradizioni locali) e non c’è niente che le accomuni se non l’Impero Romano (evidentemente ben più esteso che l’Italia), mentre prima dei Romani l’Italia risulta una solo come parte dell’Indoeuropa (nei millenni di mezzo fra gli Indoeuropei e i Romani si sono distinti i Latini, gli Italici, i Dauni/Peucezi/Messapi, gli Etruschi, i Greci, i Veneti, i Celti – compresi i Reti e i Liguri – e i Paleosardi, a loro volta divisi in due; tutto ciò senza considerare Fenici e Arabi);

7) «una di sangue» (ossia a livello genetico) l’Italia si può dire solo di antenati remoti, i cui discendenti includono la maggior parte dell’Umanità, mentre nello specifico è costituita da due gruppi di popolazione molto diversi (perfino la Sicilia è talmente divisa che una delle sue due componenti principali è più vicina agli Amerindi che all’altra parte della Sicilia);

8) se l’Italia sia «una di cor» (a livello di Politica, Interna ed Estera) si capisce dalla continuità della contrapposizione fra Rōmānī e Pĕrĕgrīnī, fra Cristiani e Pagani, fra Cattolici e Ariani, fra Romani e Longobardi, fra Bizantini e Carolingi, fra Pontifìci e Imperiali, fra Guelfi e Ghibellini, tra Franciosanti e Austriacanti, fra Irredentisti e Triplicisti, fra Partigiani e Nazifascisti, fra Atlantisti e “Comunisti” &c.;

9) insomma l’Italia è una (Nazione) se (sovra)estesa a tutta l’Alleanza Atlantica o risp. la Romània, la Cattolicità, la Romanità, l’Indoeuropa, l’Eurasia con le Americhe, mentre entro i confini della Repubblica Italiana è divisa in almeno tre Nazioni, una per intero (la Sardegna) e due parziali (l’Italia vera e propria – con le restanti Isole Maggiori, ben individuate – e la Cisalpina con la Liguria);

10) ciò determina il fatto che la Repubblica Italiana può essere lo Stato Nazionale della Nazione Italiana (cui mancherebbe la Corsica), ma per il resto è uno Stato Plurinazionale che comprende un’intera altra Nazione (la Sardegna) e parte di una terza.

Tutto ciò è causato dalla sovrapposizione di un retaggio storico-militare (l’esito di scontri bellici nel Passato i cui effetti – a differenza di molti altri – tuttora perdurano) sui rapporti autonomamente considerati fra gruppi di popolazione umana. In particolare, i problemi sono:

1) se lo Stato debba essere per forza nazionale o no;

2) quali sono le Nazioni accettate e quali no;

3) quali confini vengono scelti per ciascuna Nazione-Stato;

4) se ogni Stato(-Nazione) debba avere una Capitale o no;

5) se sì, quale.

Ognuno di questi problemi apre una discussione interminabile. Le risposte che, per mestiere, sono costretto a dare sono:

1) no (fra l’altro, la maggior parte degli Stati – il che, come ovvio non è un motivo cogente – non lo sono);

2) che la Nazione Italiana sia riconosciuta e quella Gallesca no è la conseguenza della vittoria definitiva della Tradizione Romano-Pontificio-Guelfa su quella Longobardo-Imperial-Ghibellina;

3) il Confine Alpino è di per sé uno Spartiacque, ma come confine politico (di Stato) taglia per la maggior parte del suo corso comunità molto vicine fra loro;

4) quanto più passa il tempo, tanto meno necessario è che ci sia una (sola) Capitale;

5) entro la specifica Nazione Italiana (la sola Penisola, escluse quindi le Isole, la Liguria e la Cisalpina), Roma non ha più ragioni (ne ha qualcuna, ma non tutte) rispetto a, per esempio, Napoli o Firenze (né in Toscana Firenze più che Siena, Pisa e Lucca).

A onta di tutti questi problemi, la “soluzione” realmente adottata è:

1) Stato-Nazione,
2) solo la Nazione Italiana (non altre),
3) sovraestesa alle Isole (a parte la Corsica) e al Confine Alpino,
4) centralista,
5) con Capitale Roma.

Per aggirare le conseguenze dei problemi, si fa finta che la Repubblica Italiana sia davvero la continuazione della Repubblica Romana (antica e ottocentesca) – in modo che Napoli, Firenze &c. (per non dire Palermo, Cagliari, Venezia, Milano, Genova, Torino, Trieste, Trento, Bolzano) non interferiscano – e si tratta il tutto come se lo Stato fosse lo Stato Pontificio in forme repubblicane (appunto la Repubblica Romana mazziniana e “risorgimentale”). Questa è la radice della Questione Meridionale e di ogni altra questione.

Ci sarebbe un’alternativa? La situazione più simile che mi è capitato di osservare è l’Impero Austro-Ungarico: altrettanto incoerente da tutti i punti di vista, puro prodotto di (in questo caso) sconfitte storiche (anziché vittorie) a livello militare, diplomatico &c. (da notare che, neppure nella Restaurazione, è mai stato uno Stato unitario come l’Italia; prima del Compromesso del 1867, la Monarchia era comunque Duplice, Impero d’Austria e Regno Lombardo-Veneto, sempre con distinti repertorî di lingue ufficiali).

Nel caso dell’Italia (o della Serbia, Romania &c.), l’obiettivo di conquistare altri territorî (più o meno simili sul piano geoantropico) viene chiamato Irredentismo; nel caso dell’Impero Austro-Ungarico, più prosaicamente, Imperialismo, ma la dinamica è identica: estendere i confini dello Stato ad altri territorî (in nome di un principio ritenuto degno: la Religione, la Legittimità, la Nazione &c.). La differenza, se vogliamo, è che l’Imperialismo austro-ungarico era quello di un Impero (dove la “Nazione Imperiale” era distinta dalle Nazioni dell’Impero), mentre l’Irrendentismo (italiano &c.) è l’Imperialismo di uno Stato Plurinazionale che si rappresenta come unicamente Nazionale (di una sola Nazione) e di fatto, come visto, è una Città-Stato (notoriamente – beninteso – vale anche, ad esempio, per la Francia con Parigi e così via).

Se si nota (ma non pretendo tanto), in pressoché tutte le ucronie che ho delineato, soprattutto in quest‘ultimo decennio (e che non erano affatto irenistiche, anzi erano intese come crudamente realistiche, nonostante ciò che ne pensino alcuni Partecipanti – o meno – alla discussione), l’intera somma dei territorî dell’attuale Italia viene unificata in un’unica compagine politica, ma Napoli, Palermo, Cagliari, Lucca, Genova, Milano, Venezia e quasi sempre Modena [o Ferrara] e Firenze – spesso anche Spoleto, Aquileia e Gorizia – sono e restano Capitali tanto quanto Roma (e Trento e Trieste non dipendono da alcuna di queste né quasi mai Siena o Pisa da Firenze). È una situazione omologa a quella tedesca; non significa che non ci sarebbero questioni locali (evidenti sproporzioni sono la sovraestensione della Lombardia e di Napoli), ma se non altro di portata molto minore (e si tratta – ribadisco – di scenarî crudamente realistici, almeno nelle intenzioni; non di soluzioni ideali).

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Prende la parola Paolo Maltagliati:

Se fino a vent'anni fa la soluzione era semplicemente l'etnocidio lento, affidato alle migrazioni interne per via delle sperequazioni del mercato nazionale, o, ancor più semplicemente, alla televisione, alla scuola e alla morte fisica degli anziani, ora non è più possibile.
Il risultato è stato un discreto successo nella creazione di una identità manzoniana al nord e un discreto insuccesso al sud, ma ora i giochi cambiano nuovamente.
La somma di inverno demografico e dei i nuovi flussi migratori rendono ormai defunta qualsiasi pretesa di veridicità della definizione manzoniana(anzi, la conducono al limite dell'offensivo).
Parliamo delle due lingue(quella di immigrazione antica e quella di immigrazione moderna) albanesi, il Wu (maggioritario in Italia), lo Yue e (ma molto minoritario) il Mandarino per le comunità cinesi, l'arabo (anche qui diviso tra l'Arabo africano, un tempo maggioritario, ora non più, e il levantino, ora maggioritario attraverso l'egiziano), il rumeno, il woloof, l'ucraino, il sinhalese e il bengali, solo per citare le principali lingue delle più recenti ondate.

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Anche Alessio Mammarella vuol dire la sua in merito:

Sono rimasto alquanto perplesso per quanto riguarda i parallelismi proposti (Napoli-Valencia, Napoli-Carinzia... ecc). Perplesso perché si tratta di paragoni del tutto arbitrari: in base a quali dati dovremmo pensare che nel meridione d'Italia, se fosse stata applicata la politica economica (agricola/industriale/commerciale/finanziaria) della Spagna ci sarebbe oggi un livello di vita paragonabile a quello di Valencia? E perché non dell'Andalusia invece? E perché non del Limosino o dell'Alvernia, se parliamo del caso "F"? Si tratta di paragoni la cui dimostrazione avrebbe bisogno di moltissimi elementi, probabilmente ci vorrebbe un libro. Il caso più difficile è quello dell'Austria: se la Spagna e la Francia hanno la stessa dimensione geografica ed etnica dei secoli passati (quando Napoli e Sicilia avevano fatto parte della Spagna) l'Austria di oggi è un paese del tutto diverso dall'Austria di quei secoli lontani. Quell'Austria era un impero, con una struttura politica ed economica di un certo tipo; l'Austria di oggi è un paese che da decenni insegue il modello svizzero, quello del piccolo paese alpino con un sistema fiscale e finanziario business friendly (per usare una definizione benevola/liberale). Le regioni austriache sono tra le più ricche in Europa in termini di reddito pro-capite, ciò è pacifico, ma non c'è prova che sarebbe così se l'Austria fosse rimasta un impero (sottinteso che solo in quel caso avrebbe contenuto anche Napoli e la Sicilia). Il caso dell'Austria non è unico, potremmo fare l'esempio della Lituania: se al posto del piccolo e dinamico paese baltico ci fosse una Lituania estesa come nel Medioevo fino a Kyiv, il livello di tecnologia e ricchezza pro-capite sarebbe lo stesso? Lecito dubitare, quantomeno.

Ci tengo a precisare che l'Inghilterra o la Svezia non avevano nulla a che vedere con l'imperialismo o con la rivoluzione industriale: so bene che l'Inghilterra ha vissuto un certo percorso storico per tutta una serie di fattori (come la presenza di carbone in abbondanza) che non erano presenti a Napoli o in Sicilia. Io però avevo focalizzato la mia attenzione sulle modalità di organizzazione del regno in epoca medievale: tutti sappiamo che i normanni impostarono il Regno di Sicilia in modo simile a quanto fecero i loro cugini d'oltremanica, e che certamente quel modo di organizzare l'amministrazione e il fisco, quel tipo di equilibrio tra monarchia, nobiltà e borghesia cittadina... erano tutti elementi vincenti rispetto al modello franco/continentale. Nel momento in cui le dinastie successive ai normanni ritornarono al modello feudale franco, determinarono un peggioramento strutturale. Ciò non significa ovviamente crisi economica di per sé, ma significa appunto imboccare un percorso storico diverso da quello dell'epoca normanna, e che secondo me era maggiormente promettente.

Ovviamente non si può negare che i paesi nordici hanno avuto una storia diversa anche per la religiosità protestante (non mi riferisco tanto all'argomentazione dell'etica protestante, piuttosto sopravvalutata, ma al rapporto tra cittadini ed autorità). Napoli e la Sicilia erano troppo vicini a Roma per non essere stabilmente cattolici (a parte ucronie molto particolari nelle quali i papi restano ad Avignone e quindi il cattolicesimo potrebbe restringersi, per ragioni geopolitiche, alla sola Francia) con un approccio alla vita pubblica più ipocrita che rigoroso, volto più alla penitenza che all'onestà.

Riepilogando, non credo che abbiamo ancora degli elementi sufficienti per stabilire quale tra i modelli A, F, N, R, S sia migliore o peggiore.

Secondo me, siamo scivolati su un discorso "etnico" che mi sembra poco sensato. Uno stato democratico contemporaneo non può vedere sé stesso come lo stato di una sola etnia, di una sola lingua, cuore o altro: non sarebbe uno stato realmente democratico ed egualitario. Io inviterei a lasciar perdere le poesie ottocentesche e concentrarci sul fatto che la nascita di uno stato più o meno nazionale è un evento rivoluzionario. L'Italia ha vissuto tre rivoluzioni che ne hanno fissato progressivamente l'identità:

- la prima è stata quella dell'epoca napoleonica, che ha visto la nascita della bandiera tricolore e di un "Regno d'Italia" (non si dica che esisteva già, perché quasi sempre lo si chiama Regno Longobardo della Nazione Tedesca e Gallesca... non "Italia" - la differenza di denominazione corrisponde a una differenza ideologica: nel 1800 Lombardia era il concetto conservatore, Italia quello rivoluzionario);
- la seconda è stata quella del cosiddetto Risorgimento che ha condotto a un Regno d'Italia diverso (quello precedente era scaduto a vassallo dell'Impero Francese; il nuovo ha scontato spesso questo trauma precedente con un atteggiamento misogallico a volte controproducente);
- la terza è stata quella della Repubblica Italiana nata dalla Resistenza. Quella è stata l'ultima delle rivoluzioni, il mito fondativo attuale, la nostra storia comune. L'Italia di oggi non può e non deve essere discendente della Repubblica Romana, perché le tesi di Mazzini sono ormai superate. La nostra è l'Italia di De Gasperi, Pertini, Berlinguer...

Credo che l'argomentazione "l'Italia è troppo piccola o troppo grande, in ogni caso è sbagliata" sia un'argomentazione che può valere fino alla IV superiore, quando si studia il Risorgimento, oppure fino a metà del V, quando si studia il fascismo. Poi però il fascismo finisce, e arriva una Costituzione che assicura uguali diritti a tutti, indipendentemente dal DNA e dalla vicinanza del suo dialetto natìo rispetto al fiorentino letterario. Anzi, la Costituzione prevede adeguate autonomie per le comunità che hanno una identità con delle specificità distintive. Ad esempio: la Sardegna non è italiana? Applicando criteri rigidamente etnici e linguistici no, però i sardi sono pienamente integrati nella comunità nazionale italiana, basta guardare quanti voti ottengono i partiti indipendentisti. Chi vive sotto altre bandiere, per esempio i catalani o i corsi, non è detto che si senta altrettanto bene integrato. Con ciò non intendo tratteggiare un ritratto elegiaco dell'Italia: ci sono per esempio gli abitanti di Bolzano che hanno talvolta degli atteggiamenti piuttosto antipatici rispetto agli altri italiani/ai simboli dell'Italia. Eppure anche in quella provincia, dove ci sono partiti a connotazione etnico-linguistica, non si vedono referendum secessionisti, come quelli catalani. Un motivo ci sarà...

Personalmente, lo ribadisco, ritengo che il Risorgimento sia stato caotico, e che abbia portato un mix di frutti buoni e cattivi, ma tutto ciò ormai ha rilevanza sul piano storico (e le ucronie ci stanno benissimo) ma non su quello politico, perché la storia politica di questa Italia parte dal 25 aprile 1945, dal 2 giugno 1946 o dal 1° gennaio 1948. A mio personale modo di vedere non si può discutere la "sensatezza" dello stato italiano discutendo Manzoni o Mazzini... si deve fare i conti con quelle tre date lì.

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Aggiungiamo ora la proposta di Alessandro Cerminara:

1866, la guerra italo-austriaca si apre con un netto successo italiano a Custoza, totale ed assoluta rivincita sul 1848. L'esercito italiano dilaga in Veneto, dove gli austriaci si ritirano dietro la piazzaforte di Verona.

Va meglio all'Austria sul fronte prussiano: netta vittoria a Sadowa, a cui ne seguono altre in territorio prussiano.

Francesco Giuseppe si consulta con i suoi generali: "in Italia non resisteremo a lungo. In Trentino gli italiani continuano ad avanzare, se continuano così arrivano alle Alpi in poche settimane. In Veneto a Verona resistiamo, ma non dureremo a lungo. Senza rinforzi ce li ritroveremo fino a Lubiana". Già, rinforzi, ma quali? Distogliere truppe dal fronte prussiano? Non se ne parla nemmeno, la guerra con la Prussia ha priorità assoluta.

"Cerchiamo una Pace separata con Firenze. Gli avevamo offerto il Veneto senza combattere per farli rimanere fuori, ci hanno detto di no. Vogliono pure il Trentino? Diamoglielo, e diamogli anche qualcosa in più per compenso dell'alleanza rotta, basta che escono subito e ci lasciano a combattere la Prussia".

Tra gli strali di Bismarck che urla al tradimento, l'Italia firma la Pace separata, ottenendo Veneto, Trentino e Gorizia. Da Parigi, giunte voci di certe intenzioni prussiane per il futuro, danno via libera.

L'esercito austriaco, già in vantaggio sul fronte prussiano, ora dilaga. Le popolazioni della Renania, annesse alla Prussia da pochi decenni, si ribellano quasi compattamente (poche eccezioni, tra cui Dortmund) alla Prussia. Alla fine da Berlino devono chiedere la Pace. Ed è una Pace che costa. L'Austria si annette la Slesia. I territori presi nel 1815 tornano agli Stati che li avevano persi, come la Sassonia, o tornano indipendenti (salvo poche enclave che decidono tramite plebisciti di rimanere con Berlino). E c'è l'espulsione dalla Confederazione Germanica.

Come cambia la storia successiva?

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Risponde Paolo Maltagliati:

Desumo da questa ucronia che von Moltke abbia cambiato nazionalità e sia diventato Italiano... Suona bene 'de' Molchi'?

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Alessandro gli ribatte:

A dire il vero vincere a Custoza non era così strano, eravamo in superiorità numerica (così come a Lissa). Quelle sconfitte infatti furono particolarmente umilianti. Quanto al dilagare in Trentino, in HL i "cacciatori delle Alpi" da soli avanzarono parecchio, non è così strano a questo punto che l'esercito regolare dilaghi. In Veneto, invece, sfondata Custoza, non aveva senso per gli Austriaci ritirarsi su una linea più avanzata di Verona (e Legnano), non c'erano altre fortificazioni. Ma a quel punto che l'assedio possa, alla lunga, riuscire, è una possibilità... Che dei generali che si sono visti battere finora sarebbero portati a considerare non così remota.

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E Paolo precisa:

La mia voleva essere una battuta...
Comunque, quello che mi fa strano non é che gli italiani possano vincere (vero, superata la disorganizzazione e i litigi tra i comandi), ma che i prussiani possano perdere. Non con von Moltke a guidarli e non con l'organizzazione dell'esercito prussiano rispetto all'austriaco. Quindi... Von Moltke s'è fatto italiano. ^__^

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L'Italia unificata da Sud!

di Francesco Dessolis

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Nel quadro delle ucronie che prevedono inversioni di ruoli, ho immaginato un'Italia unificata da Sud. A molti sembrerà irrealistica. Ma l'idea è divertente...

Gennaio- Febbraio 1848:

Primi moti in Europa. A Napoli, re Ferdinando emette per primo in Italia una costituzione ispirata a quella francese. Il re è acclamato come possibile re d'Italia da molti liberali. In questa TL, Re Ferdinando non accetta l'offerta, ma comincia a prendere in considerazione l'idea…

Marzo 1848:

Concedono una costituzione anche re Carlo Alberto a Torino, IL granduca Leopoldo a Firenze e il papa Pio IX.
Scoppia la rivoluzione a Vienna. Rivolte in tutto il Lombardo Veneto. Alla fine delle Cinque giornate, gli Austriaci lasciano Milano. Solo allora Carlo Alberto si decide a invadere la Lombardia entrando nella già liberata Milano senza colpo ferire.
In questa TL, Re Ferdinando convince Pio IX a permettere alle sue truppe di attraversare Marche e Romagna per andare in soccorso dei “fratelli italiani”. Pio IX non dichiara guerra all'Austria ma permette a dei “volontari” di unirsi all'esercito di re Ferdinando, guidato dal generale Pepe.

Aprile 1848:

Carlo Alberto tentenna per convincere i milanesi a votare l'annessione al Piemonte. Appena saputo che le truppe napoletane hanno varcato il Po, il re guida l'esercito verso il Quadrilatero dove sconfigge gli Austriaci a Goito, e occupando la fortezza di Peschiera.
Intanto i napoletani, accolti festosamente dai ribelli veneti, raggiungo l'Adige ed espugnano la fortezza di Legnago. Il generale Pepe si dirige poi verso Mantova dove le truppe napoletane e piemontesi s'incontrano. Cade anche Mantova, e i generale Radetzky è costretto ad asserragliarsi a Verona.

Maggio 1848:

A Custoza, le truppe napoletane e piemontesi affrontano insieme l'esercito austriaco. Il generale Radetzky, sconfitto, si ritira a Verona, ultima fortezza del Quadrilatero rimasta all'Austria.
Cominciano i primo disaccordi tra piemontesi e napoletani. Carlo Alberto vorrebbe annettere lombardia e veneto al Piemonte ma molti vorrebbero la repubblica e altri inneggiano a re Ferdinando. Carlo Alberto inizia negoziati segreti con l'Austria.

Giugno 1848:

Il governo austriaco offre a Carlo Alberto l'annessione al Piemonte di Milano e la Lombardia fino all'Adda. in cambio di una pace separata del Regno di Sardegna con l'Austria.
Carlo Alberto tentenna ma suo figlio Vittorio Emanuele, timoroso anche del prestigio che sta guadagnando Re Ferdinando, lo spinge ad accettare. Dopo che i Milanesi hanno votato l'annessione al Regno di Sardegna, l'esercito piemontese si ritira a Cremona, lasciando l'esercito del generale Pepe ad affrontare Radestzky.

Luglio 1848:

Il tradimento di Carlo Alberto lascia tutti indignati, in primo luogo Giuseppe Garibaldi appena giunto dall'America. Garibaldi organizza la difesa di Bergamo e Brescia mentre Re Ferdinando occupa Mantova e manda la sua flotta ad aiutare i ribelli veneziani, che lo acclamano come ultimo difensore dell'Italia.

Agosto- Settembre 1848:

Radetzky riceve rinforzi dall'Austria e costringe i soldati Napoletani a ritirarsi oltre il Po, tenendo solo la fortezza di Mantova. Resta libera solo Venezia, grazie anche ai rifornimenti della flotta napoletana.
L'esercito di re Ferdinando continua l'occupazione di Marche e Romagna con il pretesto di difendere il territorio del papa dall'Austria.
Garibaldi cacciato dalla Lombardia ri rifugia A Firenze, dove è tra gli animatori della Repubblica toscana.
A Torino e a Milano ci sono dimostrazioni contro il traditore Carlo Alberto che finisce per abdicare a favore del figlio Vittorio Emanuele.

Ottobre- Dicembre 1848:

Re Vittorio Emanuele sospende a tempo indeterminato la costituzione, e reprime con la forza i moti di Torino e Milano.
In Austria sale al potere il giovane Francesco Giuseppe. Gli austriaci iniziano l'assedio di Mantova mentre un esercito austriaco occupa Parma e Modena e attacca la Toscana.

1849:

Cade la repubblica toscana e il granduca è rimesso sul trono dagli austriaci. Le truppe napoletane, per difendere il papa, occupano anche Umbria e Lazio del nord schierandosi ai confini del granducato di Toscana. Il papa si pone come mediatore tra Napoli e Vienna.
I napoletani si ritirano da Mantova, ma continuano ad occupare le fortezze della Romagna.
Garibaldi si ritira nell'isola di Ponza.
Il parlamento napoletano è convinto ad accettare la pace con l'Austria da due esuli piemontese: Massimo d'Azeglio e Camillo Benso, conte di Cavour. Cavour prenderà poi la cittadinanza napoletana e Re Ferdinando lo nominerà primo ministro.

1850-1854:

A Napoli si consolida il regime parlamentare. Una revisione della costituzione dà ampia autonomia alla Sicilia. Continua l'afflusso di profughi dal Veneto e dal regno di Sardegna dove Vittorio Emanuele si mostra spietato con i suoi oppositori meritando il soprannome di re bomba. Re Ferdinando non ha rinunciato al suo sogno di diventare re d'Italia e continua a mantenere il grosso del suo esercito in Romagna, malgrado le proteste del papa.

1855:

Cavour convince re Ferdinando ad allearsi con la Francia mandando un contingente in Crimea. Al congresso di Parigi Cavour denuncerà l'oppressione Austriaca nel Veneto e il governo tirannico di Vittorio Emanuele in Piemonte e a Milano.
Re Ferdinando rivendica il regno di Sardegna per suo figlio Francesco, la cui madre discendeva dalla linea diretta dei Savoia.

1856-1858:

Regno delle Due Sicilie e Francia raggiungono un accordo per un nuovo assetto dell'Italia.
La Francia si impegna a difendere il regno dall'Austria. In caso di vittoria, re Ferdinando avrebbe sarebbe diventato re d'Italia, cedendo Piemonte e Liguria alla Francia.
Il principe Francesco sposa Letizia Rasponi Murat, nipote di Gioacchino Murat.

1859:

In seguito a una rivolta in Liguria, Garibaldi parte con mille volontari da Castellammare di Stabia, approdando a Genova Quarto. La città insorge e i garibaldini sconfiggono l'esercito di Vittorio Emanuele presso Novi Ligure.
Vittorio Emanuele chiede l'aiuto all'Austria. L'Austria interviene provocando l'intervento della Francia e dell'Esercito del Regno delle Due Sicilie che supera il Po e avanza verso il Quadrilatero.
Garibaldi entra trionfante a Torino mentre Vittorio Emanuele fugge in Sardegna.
Ribellioni anche in Toscana, Parma e Modena...
L'esercito franco napoletano sconfigge le truppe austriache a Solferino e a San Martino. L'intera Lombardia è liberata quando Napoleone, vedendo che il Piemonte acclama Garibaldi e re Ferdinando, stipula un trattato di pace separata con l'Austria.

1860-1861:

Dopo lunghe trattative, Napoleone accetta che Re Ferdinando diventi Re d'Italia, accontentandosi di Nizza e Savoia. 
L'esercito italiano sbarca in Sardegna. Vittorio Emanuele fugge in Austria. A Napoli re Ferdinando è incoronato re d'Italia.
All'Austria rimane il Veneto oltre l'Adige (fino al 1866) . 
Al papa rimane solo il Lazio (fino al 1870).

Negli anni successivi il l'Italia meridionale avrà un enorme sviluppo industriale, mentre l'Italia settentrionale conserverà un'economia prevalentemente agricola.
Il nord subirà questa situazione?
Oppure nascerà una Lega Padana con qualche decennio d'anticipo?

Per farmi sapere che ne pensate, scrivetemi a questo indirizzo!

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E ora, l'idea di Ainelif:

La Seconda guerra d'indipendenza italiana nel 1859 fallisce, i Piemontesi vengono sconfitti dagli Austriaci. Il governo imperiale di Vienna che rischia comunque di perdere il Lombardo-Veneto a causa dei moti italiani che premono per la fine dell'occupazione austriaca, troppo poliziesca, decide di concedere di porre sul trono di Milano una dinastia, gli Asburgo-Lorena, già regnanti in Toscana, ovviamente filo-austriaci. Il nuovo indipendente Regno Lombardo-Veneto guidato da generali d'oltralpe inizia esso stesso l'annessione dei territori italiani, con ripetuti conflitto col vicino Regno di Sardegna che perde l'appoggio di Napoleone III e si disinteressa alla questione italiana dopo le disfatte piemontesi. I Savoia cedono agli Asburgo-Lorena Piacenza, Modena e la Romagna e qualche concessione di confine tra Lombardia e Piemonte.

Nel 1866 l'esercito Austro-lombardo-veneto si congiunge con le truppe toscane che ben volentieri abbracciano l'unificazione asburgica e incamerano le Marche e l'Umbria, in cambio lo Stato Pontificio riconosce il nuovo regno, protetto sia dai Francesi e sia dagli Austriaci, la capitale potrebbe rimanere a Milano o sarebbe spostata a Firenze. Nel 1870 scoppia una guerra tra il nuovo Regno d'Italia contro i Borbone di Napoli e si risolve con la sconfitta di questi ultimi. Giuseppe Garibaldi non si sa se potrebbe sostenere un'unificazione ampiamente appoggiata da una potenza straniera, per giunta reazionaria, ma in certi ambienti nazionalisti andrebbe bene, perché dopotutto finalmente l'Italia si unisce. L'arrivo delle truppe unificatrici in Sicilia è salutato come una liberazione, possibile annessione del Regno di Sardegna e fine dei Savoia. Ma come ipotizzare l'esistenza di un'Italia unita e filo-asburgica? Le resistenze sarebbero da subito più ampie, la politica sarebbe tremendamente influenzata da quella di Vienna, per non parlare poi di sommosse, rivolte, insurrezioni e attentati contro i Re e i governi, sebbene "costituzionali" (fantomatica Costituzione o Leggi del Regno). Se l'Italia si unifica in altro modo sopravvive Napoleone III? L'Italia senza indugio entrerebbe in un futuro primo conflitto mondiale con gli Imperi Centrali? Se così fosse, dopo la sconfitta per la monarchia non ci sarebbe più scampo, oppure per paura di una rivoluzione comunista i monarchi Asburgo-Lorena ingaggeranno dittatori realisti che si inimicheranno la popolazione e da qui potrebbe scoppiare la Guerra Civile Italiana, da una parte i Repubblicani, Socialisti, Comunisti, Anarchici e Azionisti e dall'altra le destre reazionarie desiderose dopo la caduta degli Asburgo in Austria di mantenere gli Asburgo-Lorena in Italia.

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Così gli risponde Paolo Maltagliati in forma interlineare:

Ainelif:

La Seconda guerra d'indipendenza italiana nel 1859 fallisce, i Piemontesi vengono sconfitti dagli Austriaci. Il governo imperiale di Vienna che rischia comunque di perdere il Lombardo-Veneto a causa dei moti italiani che premono per la fine dell'occupazione austriaca, troppo poliziesca, decide di concedere di porre sul trono di Milano una dinastia, gli Asburgo-Lorena, già regnanti in Toscana, ovviamente filo-austriaci. Il nuovo indipendente Regno Lombardo-Veneto guidato da generali d'oltralpe inizia esso stesso l'annessione dei territori italiani...

Paolo:

Perché?

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Ainelif:

...con ripetuti conflitto col vicino Regno di Sardegna che perde l'appoggio di Napoleone III e si disinteressa alla questione italiana dopo le disfatte piemontesi.

Paolo:

Vorrei capirne più approfonditamente il motivo. E’ solo perché i piemontesi perdono? A logica, mia, a maggior ragione sarebbe un motivo per interessarsi del destino sabaudo, che potrebbe comunque diventare una succursale francese (in parte lo era già). Ad ogni modo, pur pensando che sia assolutamente contemplabile l’idea di non appoggiare più la monarchia sabauda, ritengo che fosse assurdo, da parte della Francia, disinteressarsi della questione italiana. Al disastro militare si sarebbe aggiunto il disastro diplomatico, con Parigi a fortissimo rischio di isolamento tra le grandi potenze.

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Ainelif:

I Savoia cedono agli Asburgo-Lorena Piacenza, Modena e la Romagna e qualche concessione di confine tra Lombardia e Piemonte. Nel 1866...

Paolo:

A questo punto mi interessa capire il grado di sudditanza del lombardo-veneto verso Vienna Perché sprecare uomini per un’impresa assolutamente rimandabile mentre c’era da combattere contro i prussiani mi pare segno che il lombardo veneto abbia un grado di autonomia decisionale considerevole!

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Ainelif:

...l'esercito Austro-lombardo-veneto si congiunge con le truppe toscane che ben volentieri abbracciano l'unificazione asburgica e incamerano le Marche e l'Umbria, in cambio lo Stato Pontificio riconosce il nuovo regno, protetto sia dai Francesi e sia dagli Austriaci, la capitale potrebbe rimanere a Milano o sarebbe spostata a Firenze.

Paolo:

Mi torna la domanda di prima. Perché se il regno toscano-lombardo-veneto ha come garante anche la Francia, non è poi così vero che Napoleone III si disinteressa delle vicende italiane. Entrando di più nel merito della questione, detta così mi sembra più che altro una indebita intrusione tardiva in una sfera di influenza asburgica, non molto comprensibile se non in virtù di:
a) un pregresso riavvicinamento diplomatico tra Parigi e Vienna. Che tuttavia mi fa pensare anche ad un possibile diverso esito della guerra austro-prussiana;
b) una qualche contropartita territoriale o economica/diplomatica, con, come vittima e moneta di scambio, sempre i Savoia.
c) si tratta di un’alternativa diplomatica disperata di Napoleone III, tesa a riavvicinarsi all’Austria in funzione anti-prussiana. Si tratterebbe quindi di un riconoscimento di mano libera asburgica in Italia in cambio, forse, di un appoggio, in caso di conflitto franco-prussiano, ad un arrotondamento dei confini francesi verso il Reno. Ambedue gli stati diplomaticamente avrebbero da guadagnare da un accordo con l’altro, ma un accordo simile potrebbe avere ripercussioni negative sui piani interni delle due potenze.

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Ainelif:

Nel 1870 scoppia una guerra tra il nuovo Regno d'Italia contro i Borbone di Napoli e si risolve con la sconfitta di questi ultimi.

Paolo:

Questa la capisco solo in virtù di un crescente grado di autonomia decisionale dell’establishment di Milano, che, tuttavia, per decidere qualcosa del genere dovrebbe essere contemporaneamente infettato con una certa forza dagli ideali risorgimentali. Il che non credo possa fare molto piacere alla bicefala aquila madre di una tale Italia. Da un punto di vista diplomatico sarebbe un vero disastro internazionale.
Nella nostra Timeline l’impresa dei mille fu un gesto non previsto né dai Savoia, né tantomeno, dai francesi. Dal punto di vista della geopolitica del tempo, fu un’audace scommessa inglese. Che, col senno di poi, non giudico del tutto riuscita. Scommessa che risiedeva nella speranza di riequilibrare l’ipoteca francese sulla penisola, proprio in corrispondenza di un inizio di insofferenza del peso inglese nella gestione di certi ambiti, per Londra lucrosi, dell’economia borbonica.
Tuttavia l’Italia non assunse mai una politica veramente antifrancese (il tentativo crispino, alimentato sull’onda del trattato del Bardo, si risolse in un nulla di fatto, in buona sostanza)
In questa TL, gli inglesi non credo potessero avere alcun interesse nell’aumentare la proiezione mediterranea degli Asburgo, anzi. A meno di ipotizzare, come ho già sostenuto, un netto e pericolosissimo (e pertanto piuttosto improbabile) distacco di Milano (o Firenze), dall’impero. 
Credo che all’alba del 1870 la perfida Albione abbia avuto tempo e modo per risolvere certe intemperanze di Napoli, magari in cambio di investimenti economici più mirati sul territorio. Per cui si tratterebbe senza dubbio di una proditoria aggressione alla sfera di influenza inglese nel Mediterraneo.
A questo punto, per giustificare questa azione mi piacerebbe capire se è stata compiuta prima o dopo la sconfitta francese contro la Prussia (tutta da vedere poi, in virtù di quanto ho affermato prima).
Perché collocata prima della disfatta francese, potrebbe essere il frutto di una joint austro-francese per sfidare la Gran Bretagna sui mari. E’ l’ultima occasione per vendere ciò che resta dei Sabaudi alla Francia, se non è già stato fatto prima. Penso, ovviamente, alla Sardegna. In più il monopolio sulle attività estrattive del regno del sud passerebbero, per tacito o esplicito accordo a Parigi.
In prospettiva di lungo periodo, tale alleanza avrebbe come vittima principale l’impero ottomano.
Dinnanzi ad una decisa aggressività contro i turchi, da parte di Austria e Francia gli inglesi potrebbero addirittura pensare all’alleanza innaturale con gli zar, concedendo a questi ultimi molto. L’abbandono della convinzione di poter salvare l’impero ottomano potrebbe però essere più probabile.
A questo punto Francia e Austria potrebbero persino trovare un punto di accordo con la Russia e al regno unito non resterebbe che avvicinarsi all’ambigua e militaristica Prussia, che dal canto proprio, punterebbe comunque a trovarsi con le spalle orientali coperte da un accordo con lo Zar (cui non dispiacerebbe tenere il piede in due scarpe, forse).
Se però il tutto è compiuto DOPO un’eventuale sconfitta di Napoleone III contro i prussiani, allora mi è ancora più difficile trovare una giustificazione. L’ondivaga politica mediterranea del secondo impero, infatti, sarebbe abbandonata. La paranoia dell’accerchiamento da parte di potenze germaniche potrebbe farsi strada e, pertanto, i francesi potrebbero diventare i primi difensori dei borbone, assieme agli inglesi.
Anche se, se rendiamo vera una decisa amicizia tra Parigi e Vienna, non è affatto detto che Napoleone III venga sbalzato di sella o che gli stessi Asburgo non intervengano per impedire ai prussiani l’occupazione di Parigi.

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Ainelif:

Giuseppe Garibaldi non si sa se potrebbe sostenere un'unificazione ampiamente appoggiata da una potenza straniera, per giunta reazionaria, ma in certi ambienti nazionalisti andrebbe bene, perché dopotutto finalmente l'Italia si unisce. L'arrivo delle truppe unificatrici in Sicilia è salutato come una liberazione, possibile annessione del Regno di Sardegna e fine dei Savoia. Ma come ipotizzare l'esistenza di un'Italia unita e filo-asburgica? Le resistenze sarebbero da subito più ampie, la politica sarebbe tremendamente influenzata da quella di Vienna, per non parlare poi di sommosse, rivolte, insurrezioni e attentati contro i Re e i governi, sebbene "costituzionali" (fantomatica Costituzione o Leggi del Regno).

Paolo:

Io (ma in questo caso rimango a livello di considerazione del tutto personale) non sopravvaluterei l’incidenza di rivolte, insurrezioni, etc. etc.
Innanzitutto, sul problema di insurrezioni di popolo non vedo grossi rischi. Il popolino tendeva ad essere piuttosto conservatore e, comunque, non era facile farlo appassionare a cause di tipo nazionalistico. A titolo esemplificativo, ti cito un proverbio di mia nonna (io vivo in paese che è limitrofo a Magenta, luogo della nota battaglia)
“Oh Giulay Giulay, se ta m’è fai! Te lassà vert al bus di quàii!” Che tradotto vuol dire: “Oh Giulay, Giulay, cosa mi hai fatto! hai lasciato aperto il buco delle quaglie!” (cioè “hai volto le terga al nemico”. Giulay era il capitano delle forze austriache nella battaglia di Magenta)
Il problema al limite era nelle città, tra i borghesi, ma una “normalizzazione” dei moti (in particolare se si fosse provveduto a togliere loro il già limitato supporto popolare) non sarebbe stata così difficoltosa come si potrebbe pensare. Il fronte nazionalistico-risorgimentale era già in partenza estremamente eterogeneo, per cui dividerlo ulteriormente guadagnando il favore di alcune frange con una politica di alternanza bastone-carota non sarebbe stato così impossibile.
Per quanto riguarda lo scontento per una politica di sudditanza da una potenza straniera, allora non è affatto diverso da quello che c’è stato nella nostra Timeline. Fino al 1870 la politica di sudditanza a Parigi è stata fortissima e palpabile. E anche dopo, sarà pur svanita a livello di percezione popolare, ma è certamente continuata, per quanto più subdolamente velata e addolcita. A mio modesto modo di vedere è durata, per certi aspetti fino al ‘36 e, forse, è svanita del tutto solo quando siamo passati alla sudditanza americana dopo il referendum monarchia-repubblica.
Infine, va detto che lo statuto albertino non era affatto l’ideale costituzionale e democratico che esiste solo nei moderni ideali post-risorgimentali, per cui la concessione di qualcosa di addirittura più avanzato, magari in corrispondenza dell’Ausgleich in Ungheria, non sarebbe stata una cosa così fuori dall’ordinario.

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Ainelif:

Se l'Italia si unifica in altro modo sopravvive Napoleone III? L'Italia senza indugio entrerebbe in un futuro primo conflitto mondiale con gli Imperi Centrali?

Paolo:

Ma, a fronte di tutto quel che s’è detto, si formerebbe la Triplice Alleanza? O non avremo forse (se l’avremo. E magari senza una guerra mondiale non sarebbe una Timeline così malvagia) una guerra mondiale con fronti del tutto diversi?

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C'è pure la proposta del grande Enrico Pellerito:

Nella nostra realtà storica le manifestazioni di malcontento da parte dei torinesi, a causa del trasferimento della capitale del Regno d'Italia a Firenze, subirono una violenta e del tutto esagerata repressione da parte sia delle Guardie di Pubblica Sicurezza, sia dei Reali Carabinieri (in particolare gli allievi dell'Arma utilizzati in quel frangente) sia dei reparti dell'Esercito presenti a Torino. Vi furono anche episodi di fuoco fratricida fra Carabinieri ed Esercito!

Secondo quanto riportato da Roberto Gremmo nel suo "La prima strage di stato: le giornate di sangue di Torino del 21 e 22 settembre 1864", le suddette manifestazioni furono anche "manovrate" per dimostrare che la città piemontese fosse inadatta al ruolo di capitale, proprio perché i suoi abitanti risultavano essere violenti e facinorosi.

Responsabili di questo "complotto" sarebbero stati il presidente del Consiglio dell'epoca Marco Minghetti, il ministro degli Interni Ubaldino Peruzzi e l'allora onorevole Gioacchino Napoleone Pepoli; nessuno dei tre era piemontese, essendo il primo e il terzo bolognesi e il secondo fiorentino. Si veda per esempio questo link.

Per espressa richiesta del sindaco di Torino, il marchese di Rorà, anche la Guardia Nazionale locale, costituita da piemontesi a differenza dei soldati regolari provenienti dal resto del Regno, venne chiamata per concorrere nel mantenimento dell'ordine pubblico.

Cosa accade, però, se la situazione degenera a tal punto che i componenti della suddetta Guardia Nazionale (dove non saranno mancati elementi anch'essi non entusiasti del prossimo trasferimento della capitale) decidono di difendere la folla da quella che appare una repressione spropositatamente violenta?

Propalandosi in città la notizia di un tale avvenimento, questo potrebbe spingere la popolazione torinese (e in seguito l'intero Piemonte) ad insorgere contro gli "italiani" e quello che appare uno stato traditore? Quanto plausibile può essere una simile sollevazione?

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Enrico Pizzo aggiunge:

Da tempo i Neoborbonici hanno preso l'abitudine, nei post Facebook relativi alla Spedizione dei Mille ed all'Intervento Sardo in Meridione, di commentare con la frase: « che diritto avevano di venire a "liberarci"? »
Questa affermazione, oltre a dimostrare che il commentatore ha ENORMI carenze relative alla conoscenza della situazione politica del periodo, sottintende che la popolazione Meridionale fosse, nel bene e nel male, soddisfatta del proprio Governo e che il cambiamento è stato da loro vissuto come una violenza.
Io non condivido questa tesi e credo di poterlo dimostrare presentando alcuni dati relativi alle Elezioni Politiche avvenute il 15 Giugno 1848 ed il 27 Gennaio 1861.
Per semplicità analizzerò solo i dati relativi alla città di Napoli.
Le elezioni del 15 Giugno 1848 erano le seconde che avevano luogo dopo che Ferdinando II aveva concesso la Costituzione, sulla base della Legge Elettorale del 29 Febbraio 1848 avevano diritto di voto 9.384 persone, di queste se ne recarono al Seggio 1.491.
Le elezioni del 27 Gennaio 1861 erano le prime dopo il Plebiscito del 21 Ottobre 1860 che aveva sancito l'unione del Regno delle Due Sicilie al resto d'Italia, sulla base delle Legge Elettorale del 17 Marzo 1848 avevano diritto di voto 12.700 persone, 🤔 , di queste se ne recarono al Seggio 6.398 .
Il dato dell'affluenza ci dice, con grande chiarezza, che nel 1861 si recarono al Seggio 4.907 elettori in più rispetto a quanto accaduto 13 anni prima.
Anche ipotizzando che quei 1.491 elettori del 15 Giugno 1848 fossero dei Borbonici Duri & Puri e che si siano recati tutti a votare in occasione delle elezioni del 27 Gennaio ricavo che, comunque, i Savoia attiravano gli elettori al Seggio in misura più che tripla rispetto ai Borbone.
Questo, a mio parere, è un segnale che la società civile meridionale prima del 1860 era in condizioni di sofferenza, ed una cosa su cui vale la pena di riflettere.

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Gli risponde Findarato Anàrion:

Ti faccio i complimenti per aver tirato fuori un dato davvero oggettivo e inattaccabile, anche se sappiamo bene che chi ragiona per preconcetti attacca qualunque dato non gli dia ragione.
Complimenti anche per mantenere la calma (almeno apparente: poi non lo so se ogni volta devi andare all’IKEA più vicina per procurarti un tavolo nuovo) davanti a queste affermazioni.
Detto questo, mi permetto di aggiungere che l’uso del verbo “liberare” e del virgolettato ironico, probabilmente viene fatto per forzare un parallelo con la liberazione dello Stivale durante la WW2, con il risultato che lo Stivale (il Rd2S prima e il RdI poi) abbia finito per essere una succursale di qualcos’altro (il RdI prima e gli USA poi). È un ragionamento contorto, ma ho scoperto che buona parte degli ambienti neoborbonici si sono spostati verso il complottismo (e questo era di base), ma anche abbracciando posizioni No Vax e filoPutin, quindi non mi stupisce l’uso di argomentazioni del genere.
La rabbia è che il movimento neoborbonico nacque (che ci crediate o no) come un serio movimento culturale, ma è finito troppo presto ostaggio di analfabeti funzionali che sanno solo gridare “viva ‘o rre” non avendo neanche idea di chi inneggiano… per esempio, quasi nessun neoborbonico sa che la famiglia Borbone non è più esiliata dalla proclamazione della Repubblica Italiana, avendo accettato la Repubblica, e gli eredi dell’ultimo Re di Napoli (opps, Due Sicilie) si tengono anche opportunamente lontani dalla politica.
In pratica, i Borbone sono repubblicani, i neoborbonici no!

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E Alessio Mammarella aggiunge di suo:

Una possibile spiegazione della diversa affluenza può essere nella percezione di importanza del voto. Provo a spiegarmi meglio: trattandosi di elezioni a suffragio censitario, gli elettori erano certamente non solo persone dotate di patrimoni e redditi cospicui, ma anche di cultura e consapevolezza. Possiamo allora immaginare che nel 1848-49 molti di essi considerassero futile la tornata elettorale, visto che era palese che da parte del sovrano non c'era una sincera svolta liberale, ma solo un momentaneo espediente per far fronte a una situazione di trono traballante. Le aperture liberali erano state già tradite prima (da Ferdinando I) e lo sarebbero state anche dopo (da Francesco II che non ebbe il tempo di tradirle ma lo avrebbe probabilmente fatto) era proprio un vizio di famiglia. E' possibile che nel 1860 un maggior numero di elettori avesse la percezione che il voto sarebbe servito a qualcosa, che si trattava di un passaggio politico importante al quale partecipare. Questo di per sé mi sembra comunque troppo poco per trarre la conclusione che la dinastia sabauda fosse più popolare di quella borbonica. Ci occorrerebbero più dati e soprattutto, dati sulla popolazione complessiva (non solo su una ristretta cerchia di latifondisti e notabili vari).

Vorrei chiarire una cosa: come abbiamo visto in altre occasioni, la persistenza della monarchia borbonica è solo una delle realtà alternative possibili per uno stato meridionale. Il fatto che i neoborbonici siano dei soggetti piuttosto tragicomici non toglie che il tema di uno stato suditaliano indipendente sia legittimo e interessante. Il Regno delle Due Sicilie, nelle sue varie denominazioni storiche, è tanto antico quanto l'Inghilterra e altri stati nazionali europei. Non rinnego l'Italia (assolutamente no) ma penso che se la storia fosse andata diversamente ed esistesse uno stato nazionale suditaliano, potrebbe essere ugualmente cosa buona e giusta.

L'eventuale esistenza di quello stato non va associata necessariamente alla dinastia borbonica e anzi, potremmo ben pensare che una dinastia diversa, oppure una svolta repubblicana (ma questa nel 1860 sarebbe stata prematura... la cosiddetta "comunità internazionale", essendo ancora in parte composta da potenze monarchiche assolutiste, per lungo tempo considerò qualsiasi esperimento repubblicano come sinonimo di sovversione giacobina) avrebbero garantito la sopravvivenza di quell'antico stato meglio rispetto ai discendenti di Ferdinando I (preferisco usare questo termine invece che "Borboni" - riconosco infatti che Carlo di Borbone fu un buon sovrano, tanto in Italia quanto in Spagna, ed è incredibile come figli e nipoti riuscirono a rovinare la sua opera).

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E ora, un'altra idea di Findarato Anàrion:

Come cambia la storia d'Italia se l'unità si ferma al 1861 (Venezia nell'Austria-Ungheria e il Lazio de jure indipendente, ma de facto protettorato francese)?

Se la prima guerra mondiale avrà lo stesso luogo (nella mia ignoranza, non vedo come Venezia austriaca potrebbe evitarlo), l'Italia se ne guarderà bene dal dichiarare guerra all'Austria, o lo farà comunque, col rischio di perdere l'intero nord?

O dichiarerà guerra alla Francia, con rischio di aprire due fronti (Piemonte e Lazio) contemporaneamente?

Io la butto così: l'Italia, con l'illusione di strappare i territori della Serenissima all'Impero Austro-Ungarico, dichiara guerra all'Impero, come in HL, ma a questo giro la guerra va male per l'Italia e bene per gli imperi (mi servirebbe qualche POD aggiuntivo: mancata rivoluzione russa? O neutralità statunitense? O magari entrambi?) l'Austria fa a pezzi l'Italia ed occupa la Lombardia e la Romagna, trasformandosi nella triplice monarchia Austro-Ungaro-Italiana (sottoPOD: quando la Lombardia fu unita al Regno di Sardegna, l'Austria sciolse quello che restava del Lombardo-Veneto, per integrarlo nell'Austria); da quello che resta dell'Italia e dalla Francia, vengono scorporati i territori del Regno di Sardegna al 1848, e viene fondata la Repubblica delle Due Sardegne; la Francia dovrà lasciare autonome il Lazio e la Corsica (oltre a Nizza e Savoia, già implicitamente citate). Il Regno Unito perderà colonie a favore di Germania e Impero d'AUI.

Come continuiamo? Ci sarà una seconda guerra mondiale? Se si, probabilmente non partirà dalla Germania...

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Leonardo Rivalenti gli replica:

Io la vedrei più incline a fare la guerra ai Francesi: il Lazio e soprattutto Roma sarebbero molto più importanti del Veneto!

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Enrico Pellerito gli tiene dietro:

Condivido. Una situazione per come quella qui ipotizzata, può comportare un approccio strategico più favorevole per l'Italia se si schiera a fianco degli Imperi Centrali (a prescindere se sono stati stipulati gli accordi con Vienna e Berlino nella seconda metà del XIX secolo) e considerando l'importanza politica di Roma.

Il fronte del Lazio sarebbe, tutto sommato, abbastanza difendibile per gli Italiani, contenendo eventuali azioni francesi e se la Regia Marina ha raggiunto gli stessi obbiettivi quali-quantitativi della realtà storica, considerando pure il "plus" derivante dalla flotta austriaca, per la Francia diventerebbe, non dico impossibile, ma certamente oneroso e complicato rifornire e rinforzare il dispositivo militare presente nello Stato della Chiesa; in prospettiva vi sarebbero forze italiane sufficienti per potere pure tentare la conquista del territorio in questione, mentre il fronte alpino occidentale vedrebbe truppe austriache schierate a fianco del Regio Esercito contro i Francesi, sebbene il particolare teatro bellico dell'alta montagna renderebbe i progressi ottenibili molto contenuti per entrambi gli schieramenti e poi, come diceva von Clausewitz "...attaccare la Francia dalle Alpi è come voler pretendere di sollevare un fucile afferrandolo per la punta della baionetta".

Resta il fatto che un congruo numero di effettivi dell'Armée de Terre sarebbe impegnato al confine con l'Italia, restando fissati e non impiegabili contro i Tedeschi.

Qualcosa potrebbe anche cambiare sulle Alpi Marittime o sulle Graie a seguito di un rafforzamento austro-ungherese e tedesco, recuperando unità dagli ormai flemmatizzati fronti orientali, dopo un'eventuale fuoriuscita dei Russi dal conflitto (non vedo, infatti, perché debba venire meno la rivoluzione russa) ma il fronte italiano non rappresenterebbe il vero punto focale del conflitto, che resterebbe quello sulla Marna.

Una neutralità Usa aumenterebbe le probabilità di sconfitta della Francia (e di un'Italia schierata con Londra e Parigi) a seguito delle massicce offensive imperiali; da qui le richieste di armistizio.

Si può concretizzare la stessa situazione dell'estate 1940, con l'abbandono del continente da parte del Royal Army britannico, prosecuzione della guerra navale, una sorta di stallo in Europa, con conseguenze progressivamente similari anche nei teatri che interessano l'Impero Ottomano, nel frattempo sempre più aiutato dai propri alleati per contenere le manovre britanniche in Arabia.

Le richieste di pace da parte di Berlino, con il riconoscimento di alcune garanzie per Londra, potrebbero essere valutate, specie se non ci sarà un precoce Churchill alla guida del governo di sua Maestà.

A quel punto le colonie africane occupate dagli Alleati, potrebbero tornare ai loro "legittimi proprietari" (ciò varrebbe anche per Libia ed Eritrea se il Regno d'Italia è alleato agli Imperi Centrali), che aumenterebbero il loro carniere a spese dei possedimenti già belgi, britannici, francesi e portoghesi, per come ipotizzato dall'autore.

Viceversa una campagna di guerra italo-francese nel Veneto, potrebbe risultare abbastanza facile finché non si raggiungono le pendici delle catene montane, ma altrettanto facilmente la pianura sarebbe riconquistata allorquando il dispositivo austro-ungarico venisse rinforzato nell'autunno del 1917.

Secondo me, il Regno d'Italia sopravvive (e si espande nel Lazio oppure nel Nord Est) altrimenti crolla, indipendentemente dalla scelta di campo che faranno a Firenze, divenuta sempre sede della Capitale per ragioni strategiche.

Ipotesi A: il conflitto viene vinto dall'Intesa e l'Italia ne fa parte, ritrovandosi vittoriosa anche nell'eventualità di venire messa fuori gioco (stessa situazione della Serbia); finisce per espandersi a spese dell'ormai cessato Impero Austro-Ungarico.

Ipotesi B: conflitto vinto dall'Intesa e l'Italia è a fianco degli Imperi Centrali; perdita certa delle colonie in Africa, pagamento di pesanti danni di guerra, possibile smembramento di parti del territorio a favore della Francia.

Ipotesi C: conflitto vinto dagli Imperi Centrali e Italia a loro fianco, con conseguente conquista dello Stato della Chiesa e ampliamento dei possedimenti coloniali, oltre ad incorporare territori di confine con la Francia (Nizza e Savoia certamente).

Ipotesi D: conflitto vinto dagli Imperi Centrali e Italia loro nemica; l'autore ha già espresso il quadro possibile.

Vediamo se ci sono altri pareri al riguardo.

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Questo è il parere al riguardo di Bhrihskwobhloukstroy:

Sempre complimenti per le splendide e interessantissime analisi! Mi accodo anch'io riprendendo dall'inizio il quarto caso («Ipotesi D»). Da quel che mi risulta (ma ormai sono passati varî decenni) non circola quasi nessuna trattazione degli Obiettivi di Guerra dell'Austria-Ungheria nei confronti dell'Italia (ed eventualmente della Francia), se non il classico piano del Gen. Conrad di riacquisire il Veneto, che in questa ucronia è invece punto di partenza.

La Politica Dinastica asburgica implica tuttavia che perlomeno si dava tradizionalmente per contata la Restaurazione degli Stati del 1858, compreso quello Pontificio (che qui sussisterebbe limitatamente al Lazio e quindi presumibilmente verrebbe reintegrato, con qualche incertezza sulle Legazioni sotto Occupazione Militare, specialmente Ferrara e la Romagna). Resta invece del tutto aperto l'interrogativo se il Regno di Sardegna sarebbe stato mantenuto oppure direttamente annesso alla Monarchia Asburgica.

Qui si aggiunge il fatto che, invece, gli Obiettivi di Guerra del Secondo Reich erano se non altro più discussi (nonostante il divieto che lo fossero). Per quanto riguarda la Francia, la versione più estesa, che si trova su una cartina spesso riprodotta sia in versione originale sia in adattamenti (in francese e russo; quella in francese tratta dal «Daily Mail», ma dopo la fine del Conflitto) e, a quanto si legge sulla didascalia della (presunta) riproduzione, ritrovata da un Ufficiale italiano in un casa di Gorizia (quindi non prima del 13. agosto 1916), ma riferita al 1914 (l'Italia infatti non risulta alterata nei proprî confini di allora), prevedeva – fra il molto altro (Belgio, Gran Bretagna, Polonia, Russia Bianca, Baltico per la Germania; Ucraina, Serbia, Montenegro, Irlanda per l'Austria-Ungheria) – l'annessione pressoché totale della Francia alla Germania, escluso il Dipartimento dei Bassi-Pirenei (cui si sarebbe ridotta la Terza Repubblica, con Capitale Bayonne) e la Corsica, apparentemente dello stesso colore dell'Italia (altri piani caldeggiavano invece che tutta la Francia Meridionale, compresa la Corsica, divenissero Colonie Tedesche).

Una sola fonte asserisce l'intenzione tedesca di annettere la Lombardia (attraverso la Svizzera) al Reich; si tratterebbe dell'unica sovrapposizione di Obiettivi in Italia fra i due Imperi Centrali (all'Austria sarebbe comunque andato il Veneto).

Se applichiamo tutto ciò alla nostra ucronia e uniamo le considerazioni geostrategiche scritte da Engels più di un cinquantennio prima a proposito del vantaggio per la Francia di avere un confine sulle Alpi Occidentali, ne risulta che – almeno a quanto si ricava dalle fonti disponibili – il Regno di Sardegna non sarebbe stato restaurato nei suoi confini del 1858 (né annesso in questa estensione all'Austria).

In conclusione, nel caso di Vittoria-‘Lampo’ degli Imperi Centrali nel 1915-1916 sulla Fronte Austro-Italiana (oltre che su quella Occidentale) a partire dalla conservazione del Veneto anche dopo il 1866, l'ipotesi che emerge è la Restaurazione degli Stati del 1858, con le seguenti differenze:

    - Regno di Sardegna senza Nizza e Savoia (alla Germania), probabilmente annesso all'Austria-Ungheria;
    - Ferrara e Romagna incerte fra Austria-Ungheria e Stato Pontificio;
    - Corsica incerta fra Germania e Austria-Ungheria.

Mi soffermerei infine a sottolineare un paio di aspetti storici che hanno fatto la sfortuna del Lombardo-Veneto. A fronte dell’abbastanza rara soluzione delle due Capitali (Milano e Venezia) e dell’integrazione anche economica e doganale con l’Impero d’Austria, i due Regni hanno sofferto di amputazioni territoriali più o meno ampie: nel caso di Venezia, quasi tutto rientrava comunque nei confini del Duplice Regno o dell’Impero, però le Isole Ionie hanno rappresentato una perdita secca e molto grave; nel caso di Milano la situazione era ancora peggiore, perché il confine imperiale durato fino al 1795 (con Savoia, Nizza, Liguria, Toscana e Modena entro il Regno Longobardo della Nazione Gallesca) è arretrato fino al Ticino, senza che la sola Valtellina e Valchiavenna potessero compensare questa vera e propria catastrofe (Bergamo e Brescia non contano, perché in quanto già veneziane rientrano nel novero dell’apporto territoriale della Serenissima tanto quanto Venezia stessa o l’Istria e la Dalmazia) né vale che il Ticino fosse già confine dal 1748, perché allora divideva semplicemente un Feudo Imperiale dai suoi Suffeudi, mentre dal 1814 è diventato Confine di Stato senza alcuna attenuazione (che è quel che conta).

In breve, quindi, ciò che ha fatto fallire il Lombardo-Veneto non era certo l’unione con l’Austria (che, anzi, rappresentava un vantaggio), bensì da un lato la privazione delle Isole Ionie e dall’altro – ancor di più – la separazione dagli Stati Sardi (in particolare di Terraferma), la quale infatti è stata la causa prossima delle guerre di metà Ottocento. In pratica, c’era incompatibilità fra il Lombardo-Veneto e lo Stato Sabaudo; la Questione Italiana non era tanto la divisione dell’“Espressione Geografica” in sette Stati (due dei quali – i più grandi, esclusa l’Austria – esistevano da secoli, come il Portogallo o i Paesi Bassi, non a caso anche questi passati da un periodo spagnolo), quanto quella della Lombardia in due compagini, la sabauda e l’austriaca (che di fatto teneva insieme quattro Stati più o meno piccoli e con ogni verosimiglianza sarebbe arrivata a costituire comunque una Confederazione). Dunque: dopo tre secoli di rivalità capetingo-asburgica, è stata quella sabaudo-asburgica a rivelarsi insostenibile.

Così arrivo al punto ucronico che mi preme: se da un lato è ovvio – e chiunque lo ammette – che se i Savoia avessero dominato fino all’Isonzo già dal 1814 (come arrivandoci, non so; ma ammettiamolo per un momento) non ci sarebbero state più guerre nell’area per tutto l’Ottocento, dall’altro bisogna riconoscere come altrettanto vero che lo stesso positivo risultato si sarebbe avuto se fossero stati gli Asburgo a dominare fino a Nizza e alla Savoia già dal 1814 (e qui sappiamo benissimo come arrivarci). Non sto discettando di giusto o sbagliato, solo di guerra o no.

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Chiudiamo per ora con quanto ci ha scritto Dario Carcano:

Di solito, quando si parla del periodo immediatamente successivo all'Unità d'Italia, nei manuali scolastici è frequente trovare il termine "piemontesizzazione", con cui si intende il processo con cui il sistema burocratico e amministrativo del regno sardo-piemontese fu esteso al resto dell'Italia, ora unita. Un processo non semplice, durato quattro anni (dal 1861 al 1865) che fu concluso con la codificazione del 1865, con cui entrarono in vigore il nuovo codice civile (il codice Pisanelli) e il codice di commercio sabaudo fu esteso all'intera Italia unita.

O quasi, perché su un argomento molto importante non si riuscì a trovare un accordo: il diritto penale.

Infatti sul diritto penale venivano a trovarsi in conflitto tre tradizioni distinte che, nonostante gli sforzi della classe politica post-unitaria, non fu possibile unificare in tempi brevi:

Fu soprattutto il conflitto tra la tradizione sabauda e quella toscana a impedire il raggiungimento di una sintesi tra queste tre tradizioni giuridiche. Se infatti la tradizione sabauda e quella borbonica avevano molto in comune, essendo entrambe basate sulla codificazione napoleonica, era tra il Codice albertino e quello toscano che era difficile trovare un accordo.

La Toscana infatti è stata il primo Stato al mondo ad abolire la pena di morte, nel 1786 col Codice Leopoldino, e poi di nuovo nel 1859, quando il Codice del 1853 - che aveva reintrodotto la pena capitale - fu emendato dal governo provvisorio della Toscana.

Da questo punto di vista, la legislazione sabauda d'impronta napoleonica era molto più arretrata.

Ci fu un tentativo per risolvere la questione, emendando il Codice penale albertino con l'eliminazione della pena capitale, ma l'opposizione del Senato regio fece fallire questo proposito.

Così, nel 1865, in conseguenza di questo stallo vennero a crearsi tre sistemi penali diversi:

Questa situazione fu superata solo ventiquattro anni dopo, nel 1889, con l'entrata in vigore del Codice Zanardelli, che aboliva la pena di morte su tutto il territorio nazionale e realizzava l'unificazione del diritto penale.

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