San Marco vive, viva San Marco!

ovvero: una storia alternativa della Repubblica di Venezia dal 1715 ai giorni nostri

di Massimiliano Paleari

Così ci ha scritto un giorno l'amico Stefano Bergonzi:

Innanzi tutto un caloroso saluto allo staff del sito da me ritenuto uno dei più belli della rete... I vostri lavori sono veramente appassionanti!
E, facendo affidamento sulla vostra competenza, vi chiederei di ricostruire una Timeline dove la Serenissima Repubblica non viene inglobata nell'impero Austro-Ungarico dopo il congresso di Vienna, ma continui a sopravvivere come potenza Mediterranea (non so, magari alleandosi contro Napoleone, o fondando un rilevante impero coloniale).
Vi ringrazio anche solo per l'attenzione. Firmato: u
n fan di Utopiaucronia.

.

Per accondiscendere alla richiesta del cortesissimo amico Stefano, Massimiliano Paleari ha scritto questa appassionante ucronia:

Riassunto: In questo narrazione ucronica si immagina che nel 1715 (punto principale di divergenza dalla timeline reale) la Repubblica di Venezia riesca a conservare la Morea (Peloponneso) strappata ai Turchi nella guerra del 1684-1687 a costo di enormi sacrifici. La Morea resta sotto il dominio veneziano anche grazie al taglio dell'Istmo di Corinto, opera portata a termine dalla Serenissima nel 1714, e al contemporaneo ammodernamento e rafforzamento della flotta (punti secondari di divergenza dalla timeline reale). Da questo momento si sviluppa una storia alternativa che vede la Serenissima non soccombere nel 1797 ma conservare l'indipendenza fino ai giorni nostri. Si dipaneranno quindi curiosi intrecci e sovrapposizioni con personaggi ed avvenimenti della nostra realtà. Il quadro finale che ne esce è quello di una timeline complessivamente "positiva", in cui Venezia non commette gli errori e gli orrori (o ne commette meno) in cui cade l'Italia appartenente alla nostra linea del tempo. Buona lettura.

Gli storici tendono a considerare inevitabile e in qualche modo "attesa" la caduta della Repubblica di Venezia nel 1797, ritenuta moribonda al termine di un secolo di continua decadenza e stagnazione.

Eppure la Serenissima, malgrado fosse solo l'ombra della potenza di un tempo, fin quasi all'epilogo finale si mostrò capace di farsi rispettare nell'arena internazionale. Nel 1785 e nel 1786 ad esempio la flotta da guerra veneta, al comando del "Capitano da mar" Angelo Emo, bombardò i porti di Sfax, Tunisi e Biserta per punire i Pirati Barbareschi che infastidivano le rotte commerciali veneziane.

Emo morì improvvisamente nel 1792, dopo aver tentato inutilmente di riformare la flotta sul modello di quella inglese.

Sia come sia, la debole e sfiduciata classe dirigente della Serenissima, a partire dall'ultimo Doge Lodovico Manin e dal Senato, non osarono opporre resistenza al "brigante corso". Il 12 maggio il Maggior Consiglio si riunì per l'ultima volta. Il Doge espose le ragioni che consigliavano di accogliere le imposizioni napoleoniche in merito al cambiamento della Costituzione. I sì furono 512, i no solo 20, gli astenuti 5. La Repubblica di Venezia finì così ingloriosamente.

L'effimera municipalità democratica filofrancese, con scarso seguito tra la popolazione, succeduta al Governo oligarchico, fu immediatamente tradita da Napoleone che a Leoben aveva già concordato la cessione di Venezia all'Austria in cambio del Belgio e della Lombardia con Mantova.

Il Trattato di Campoformio del 17 ottobre 1797 sancì poi questi accordi. Il territorio della Repubblica Veneta a sinistra dell'Adige, compresa Venezia, l'Istria e la Dalmazia passarono sotto la dominazione austriaca. Venezia, saccheggiata, privata dei cavalli di san Marco, spogliata di moltissime opere d'arte, il 18 gennaio 1798 fu sgomberata dai Francesi del generale Serrurier per essere consegnata agli Austriaci, che le tolsero la libertà di cui aveva goduto per più di undici secoli.

Eppure anche in quei drammatici frangenti non mancarono forti segnali di attaccamento alla vecchia repubblica. Nella terraferma veneta le popolazioni contadine insorsero contro i Francesi e le guardie civiche formate dai pochi "giacobini" locali (per lo più esponenti della borghesia cittadina e del patriziato minore insofferenti del governo oligarchico veneziano) al grido di "Viva San Marco!".

Anche alcune città si ribellarono ai soprusi francesi e dimostrarono attaccamento alla Serenissima.

Tra tutti citiamo l'episodio più famoso, quello delle "Pasque Veronesi". I montanari dell'altopiano di Asiago, che nell'ambito della Serenissima avevano sempre goduto di un'ampia autonomia ricambiata con un forte sentimento di fedeltà verso Venezia, addirittura armarono di propria iniziativa alcune centinaia di uomini con il proposito di calare a valle in difesa della patria minacciata. Qua e là le pur scarne milizie venete, formate in gran parte dai fedeli Schiavoni Dalmati, dimostrarono, anche con i fatti, il fermo proposito di resistere. A Perasto, cittadina oggi in Montenegro alle Bocche di Cattaro (Kotor), la bandiera di San Marco fu ammainata solo il 23 agosto 1797, più di tre mesi dopo la caduta ufficiale della Serenissima. E' stata tramandata fino ai giorni nostri la commovente dichiarazione pronunciata in quell'occasione dal "Capitan" Giuseppe Viscovich, comandante veneziano di Perasto:

« In sto amaro momento, in sto ultimo sfogo de amor, de fede al Veneto Serenisimo Dominio, al Gonfalon de la Serenisima Republica, ne sia de conforto, o citadini,... Savarà da nu i nostri fioi, e la storia del zorno farà saver a tuta l'Europa, che Perasto la gà degnamente sostenudo fin a l'ultimo l'onor del Veneto Gonfalon, onorandolo co sto fato solene, e deponendolo bagnà del nostro universal amaro pianto... Par 377 ani le nostre sostanse, el nostro sangue, le nostre vite le xè sempre stàe par Ti, S.Marco; e felicisimi senpre se gavemo reputà, Ti co nu, nu co Ti, e senpre co Ti sul mar semo stài ilustri e virtuoxi. Nisun co ti ne gà visto scanpar, nisun co Ti ne gà visto vinti e spauroxi!... Ma xa che altro no ne resta da far par Ti, el nostro cor sia l'onoradisima tò tonba, e el più duro e el più grando elogio le nostre làgreme. »

Tutto fu però inutile di fronte alla volontà di resa sancita dal Senato e dal Doge. Del resto, anche se i vertici della Serenissima avessero voluto resistere, che alternative praticabili avrebbero avuto (se si esclude quella di un'eroica ma senza speranza resistenza a Venezia stessa)?

Senza una base territoriale sufficientemente sicura in cui riparare, probabilmente la storia non sarebbe cambiata. La stessa Dalmazia veneta non era difendibile, dal momento che gli Austriaci, in quel frangente complici di Napoleone nella spartizione dei territori di San Marco, erano in procinto di annetterla.

Ma se il Serenissimo Governo Veneto avesse potuto disporre, oltre che di maggior coraggio, anche di un territorio abbastanza ampio e fuori dall'immediato raggio d'azione di Napoleone e degli Austriaci, magari facilmente difendibile con l'aiuto della flotta inglese dell'ammiraglio Nelson? Ad esempio il Peloponneso... Oppure l'ancor più lontana Creta...

Si... però, c'era un "piccolo" problema: Venezia aveva abbandonato la Morea (Pelopponeso) nel 1715. Per non parlare di Creta, definitivamente perduta fin dal 1669.

A questo punto occorre fare un piccolo salto indietro nel tempo al fine di riprendere il filo degli avvenimenti prima dell'inizio del nostro racconto ucronico.

Dopo una durissima guerra ventennale per la difesa di Candia (Creta) attaccata dai Turchi, nel 1669 i Veneziani sono costretti ad evacuare definitivamente l'isola. Per Venezia si tratta di una perdita importante: Creta era considerato il "gioiello" dei possedimenti d'oltremare. Nella guerra di Candia tra l'altro la Repubblica di Venezia si era letteralmente dissanguata, sia letteralmente che dal punto di vista finanziario.

Nel 1683 i Turchi vengono fermati e battuti alle porte di Vienna. Nel 1684 si forma la Sacra Lega, una sorta di riedizione della Lega Santa che circa 100 anni prima aveva sconfitto i Turchi a Lepanto.

Vi aderiscono la Polonia, l'Austria, la Toscana, lo Stato della Chiesa e la Serenissima. Il teatro di operazioni principali è quello del bacino del Danubio, dove gli Asburgo scacciano i Turchi da Budapest.

Per Venezia è l'occasione di prendersi una rivincita sugli Ottomani. La perdita di Candia, che risale a soli 15 anni prima, brucia ancora. Dapprima si pensa addirittura di tentare la riconquista dell'isola, ma poi questa opzione viene scartata. Si decide quindi di attaccare la Morea (il Pelopponeso), più vicina alle basi veneziane delle Isole Ionie e della stessa Dalmazia veneta. I Veneziani, guidati dal Capitano da mar e poi Doge Francesco Morosini, passano da una vittoria all'altra. Nel 1687 la Morea è interamente in mani veneziane. Per alcuni mesi i Veneziani riescono anche ad occupare Atene nell'Attica, allora ridotta ad un piccolo villaggio di 5000 anime. Fu nell'assedio dell'acropoli di Atene che il Partenone, trasformato in una polveriera dai Turchi, fu quasi interamente distrutto in seguito ad un colpo di mortaio veneziano andato a segno. Poi (saggiamente) si ritirano nel Peloponneso, dal momento che l'Attica era indifendibile.

Morosini, ormai onorato con l'appellativo di "Peloponnesiaco", prima di rientrare a Venezia per godersi il meritato trionfo, ordina ad un gruppo di genieri del suo seguito di studiare la possibilità di realizzare un canale che tagli l'Istmo di Corinto. Il fatto è storicamente accertato, ma poi il canale non venne realizzato (perlomeno non dai Veneziani alla fine del XVII secolo).

Da questo punto inizia la narrazione ucronica degli avvenimenti.

Malgrado il notevole sforzo finanziario già profuso fino a quel momento, il Senato veneto decide di accogliere le proposte di Morosini relativamente alla costruzione del canale che deve separare la Morea dall'Attica. Accanto agli innegabili futuri vantaggi commerciali (l'accorciamento delle rotte verso il Mediterraneo orientale), il canale può costituire una formidabile barriera difensiva contro il sempre possibile ritorno offensivo dei Turchi. L'opera, pur ardua e complessa per la tecnologia dell'epoca, non è di impossibile realizzazione (e del resto i Veneziani possono contare su una secolare esperienza in materia di scavo di canali). L'ostacolo vero è di natura finanziaria, ma il Governo della Serenissima riesce ad ottenere un prestito congiunto dai banchieri fiorentini e da quelli genovesi. I lavori possono così partire alacremente e il canale sarà ultimato nel 1714, appena in tempo per la nuova guerra contro il Sultano. Contemporaneamente viene riorganizzata ed ammodernata la flotta con un ulteriore sforzo finanziario, a cui concorrono anche i capitali privati delle famiglie patrizie più ricche.

Nel 1715 così, quando i Turchi tentano la riconquista della Morea, si trovano di fronte non il vecchio vallo bizantino rinforzato approssimativamente dai Veneziani (come nella timeline reale) ma il formidabile ostacolo del canale di Corinto. La non imponente ma moderna e ben equipaggiata flotta della Serenissima inoltre fa buona guardia impedendo sbarchi a sorpresa dei Turchi. Il 7 settembre 1715 le navi veneziane intercettano al largo di Negroponte una poderosa flotta di invasione ottomana diretta in Morea e la fanno a pezzi. Il Sultano, in difficoltà anche nei Balcani, rinuncia alla riconquista del Pelopponeso.

Il corso reale degli eventi sancì invece con la Pace di Passarowitz del 1718 il ritorno della Morea sotto il dominio Ottomano, dando così il colpo di grazia alle speranze di rinascita della Serenissima, perlomeno come media Potenza nel Mediterraneo.

Al contrario, con la Morea saldamente in possesso di Venezia, nel XVIII la Serenissima riprende fiducia nelle proprie forze e nelle proprie possibilità. L'oligarchia al potere, invece di concentrarsi quasi interamente sulle rendite agricole dell'entroterra e di trastullarsi nella godereccia ma inconcludente e dispendiosa vita mondana veneziana, continua a guardare al mare e ai suoi traffici con interesse.

La Morea, povera ma semi spopolata, diviene terra di emigrazione per Veneti, Veneziani e Dalmati in cerca di fortuna, attratti anche dalle forti agevolazioni fiscali concesse dal Governo. Nel corso del XVIII nel Pelopponeso veneto vengono introdotte tecniche agricole più moderne e si aprono anche piccoli opifici.

Intanto a Venezia la cantieristica navale, rinnovata nelle tecniche anche dalle necessità delle guerre intraprese, registra un rinnovato sviluppo. Il prestigio acquisito con le vittorie contro i Turchi fa sì che arrivino commesse per l'allestimento di navi anche dagli altri Stati italiani, dall'Austria e persino dalla lontana Russia degli Zar.

Il prestigio militare di Venezia ha benefiche ricadute anche nell'ambito della fabbricazione di armi, da sempre fiore all'occhiello della Serenissima. I piccoli opifici del Bresciano, sommersi dagli ordini, hanno l'opportunità di ingrandirsi adottando tecniche di produzione innovative importate dall'Inghilterra.

Infine, si sviluppa notevolmente anche l'industria cartiera e la contigua produzione libraria. Venezia si conferma come la più grande esportatrice di libri. Basti pensare solo alla produzione di Bibbie e messali in Greco per il Clero ortodosso (nei territori dell'Impero Ottomano era difficoltoso stampare libri liturgici al di fuori ovviamente del Corano).

Insomma, il quadro economico complessivo appare molto più dinamico e positivo rispetto alla timeline reale. Forse questa Venezia ucronica lascia ai posteri "meno Canaletto, meno Goldoni e meno Casanova", ma più concretezza.

Nel 1756 Venezia, dopo un paziente lavoro diplomatico (la diplomazia veneziana era reputata tra le migliori del mondo), si allea con la Russia. Mentre lo Zar attacca i Turchi in Crimea e nel Caucaso, i Veneziani si lanciano alla riconquista di Creta. Nell'isola era nel frattempo scoppiata una rivolta antiturca, sobillata dagli stessi Veneziani. Le truppe venete riescono a sbarcare nella parte occidentale dell'isola, mentre l'Armada da mar blocca i Dardanelli. La guerra si trascina per quasi due anni tra alterne vicende. Ad un certo punto i Veneziani si trovano in difficoltà a causa dell'ostinata resistenza turca, ma alla fine la resa di La Canea, assediata da terra e dal mare, segna la fine della guerra. I Turchi ottengono di poter sgomberare l'isola senza essere molestati. Nei decenni successivi anche Creta, risvegliatasi dal sonnolento dominio ottomano, sarà teatro di una certa rifioritura economica, così come già avvenuto per la Morea.

La rivoluzione francese è vista con sospetto dall'oligarchia al potere a Venezia, che comunque riconosce il governo del Direttorio, secondo una logica di "realpolitik" da sempre seguita dalla diplomazia della Serenissima. Quando Napoleone Buonaparte (non ancora "Bonaparte") si affaccia nella penisola, Venezia (tutto questo senza divergenze rispetto alla timeline reale) proclama una assoluta neutralità.

Francesi e Austriaci violano la neutralità veneziana quasi contemporaneamente scontrandosi ed attraversando il Veneto occidentale. All'inizio di aprile del 1797 Il Doge Lodovico Manin, conscio di non poter combattere contemporaneamente contro Austriaci e Francesi, decide di uscire dallo stato di imbelle neutralità optando per il "male ritenuto minore" e fa votare dal Senato la dichiarazione di guerra alla Francia. Gli Austro/Veneti vengono però duramente sconfitti da Napoleone nella battaglia dei Monti Berici nei pressi di Vicenza. A Padova il "Battaglione Spartano" formato dai fieri granatieri di Morea e due compagnie di fanteria leggera Morlacca (i Morlacchi erano popolazioni slave dell'entroterra dalmata, fedelissime a Venezia) si fanno massacrare per permettere ai resti del piccolo esercito veneziano di terraferma di rinchiudersi a Venezia. Intanto l'Armada da Mar fa buona guardia attorno alla laguna, impedendo possibili sbarchi francesi dalla parte del mare. Gli Austriaci nel frattempo chiedono a Napoleone una tregua, che ottengono.

Napoleone, infuriato per le sollevazioni antifrancesi che scoppiano alle spalle delle proprie linee e indispettito per la quasi assoluta mancanza di sostenitori locali (in questa timeline, come abbiamo visto, la nascente borghesia e la piccola nobiltà delle città venete dell'entroterra hanno maggiori motivi per restare fedeli alla Serenissima) intima al Doge di abdicare e di modificare sostanzialmente la costituzione della Serenissima, al fine di trasformare la Repubblica oligarchica in una municipalità giacobina. Sarebbe di fatto la fine della Serenissima.

Il 12 maggio 1797 il Senato, convocato dal Doge, discute su che risposta dare all'ultimatum del generale Corso. Molti Senatori propendono per una resistenza ad oltranza nella stessa Venezia; altri, seppur in minoranza, per la resa. Alla fine prevalgono le lucide argomentazioni del Doge Lodovico Manin. Ecco la trascrizione letterale del suo discorso, tradotto in Italiano dal Veneto:

« Resistere a lungo a Venezia, senza aiuti esterni che non si profilano all'orizzonte, sarebbe impossibile ed inutile - esordisce il Doge - In città, la cui popolazione è aumentata a dismisura con l'afflusso di sfollati dalle province invase e per la presenza delle truppe, le scorte alimentari sono appena sufficienti per un mese e vi è il rischio concreto di epidemie. Non possiamo contare in alcun modo sull'aiuto degli Austriaci, che anzi nei territori del Veneto orientale da loro occupati rimuovono le nostre autorità civili e disarmano le nostre guarnigioni, mentre mi è appena giunta notizia di concentramenti di truppe asburgiche in Dalmazia, pronte a marciare su Zara. D'altro canto accettare le richieste di Napoleone equivarrebbe alla fine della nostra millenaria repubblica. Ci resta un'unica soluzione praticabile: sgomberare Venezia senza capitolare e trasferire il Governo della Repubblica e il maggior numero possibile di soldati in Morea con l'Armada da mar. Là potremo forse contare anche sulla protezione della flotta inglese che naviga nel Mediterraneo. »

Canale di Venezia, acquerello di Sandro Degiani

La proposta dell'avveduto Doge è accolta quasi all'unanimità dal Senato. In pochi giorni è tutto pronto e l'Armada da mar salpa in direzione della Morea insieme al Doge, al vessillo di San Marco, alla maggior parte dei membri del patriziato aventi incarichi di governo con le loro famiglie e a 3500 soldati. Dopo una sosta a Perasto, il convoglio raggiunge la Morea il 25 maggio senza incidenti di rilievo. Le poche navi francesi presenti nell'area non possono fare nulla per fermare la flotta veneziana riunita.

I Francesi il 1 giugno 1797 entrano in Venezia, dove si costituisce una effimera municipalità democratica con i pochi "giacobini" presenti. Ma il vessillo di San Marco non è stato ammainato; si è solo trasferito in Morea (un po' come fecero i Savoia che si rifugiarono in Sardegna durante il periodico napoleonico).

Poco dopo Napoleone si accorda con gli Austriaci, ai quali cede il Veneto e la Dalmazia in cambio di Lombardia e Belgio (anche qui senza sostanziali divergenze rispetto alla nostra Timeline). Nel gennaio del 1798 gli Austriaci entrano a Venezia sgomberata dai Francesi. In Dalmazia invece qua e là devono aprirsi la strada combattendo. Zara cade solo in aprile, dopo un assedio prolungato e dopo che i "pirati" Uscocchi di Senj, alleati degli Asburgo, l'hanno bloccata anche dalla parte del mare occupando le isole Kornati prospicienti la città. Knin nell'entroterra, difesa dai fedeli Morlacchi, capitola solo a maggio.

Perasto e le Bocche di Cattaro invece, dove hanno gettato l'ancora due fregate inglesi, restano sotto controllo veneziano.

Intanto la Serenissima, che controlla comunque ancora la Morea e Candia, sottoscrive un formale trattato di alleanza con la Gran Bretagna. Da questo momento in poi l'amicizia con l'Inghilterra, in questa fase in funzione antifrancese, diverrà una costante fondamentale della diplomazia veneta.

Intanto Napoleone parte alla conquista dell'Egitto. Il 1 agosto 1798 la flotta inglese dell'Ammiraglio Nelson, validamente appoggiata anche dalle navi veneziane, sbaraglia quella francese ad Abukir.

Napoleone riesce solo a stento a rientrare in Francia.

Si forma una nuova coalizione antifrancese, di cui la Serenissima fa parte. Con la mediazione inglese si decide di rinviare alla fine della guerra la sistemazione definitiva del Veneto e della Dalmazia. Gli austro-russi comandati dal Generale Suvorov dilagano in Italia settentrionale. Ai combattimenti partecipa anche un piccolo contingente dell'esercito veneto. In questo modo il Doge può riaffermare, almeno simbolicamente, la sovranità della Serenissima su Venezia e sugli antichi domini di terraferma.

Napoleone comunque riesce a battere nuovamente gli Alleati e Venezia resta sotto l'occupazione austriaca. Le truppe del Doge intanto concorrono anche alla caduta della Repubblica Partenopea. Le fregate di San Marco bombardano il porto di Bari e occupano le Isole Tremiti, che da quel momento passano sotto la sovranità veneziana.

Nel 1803 Napoleone tenta uno sbarco in Morea, ma le navi francesi vengono intercettate da quelle veneziane e nella battaglia di Capo Matapan il Leone di San Marco, con l'aiuto di alcune navi inglesi, costringe i Francesi a ripiegare.

Nel 1805 Bonaparte, dopo le battaglie di Ulma e di Austerlitz, ha comunque l'Europa continentale ai suoi piedi. L'Austria è costretta a cedere il Veneto e la Dalmazia a Napoleone. Questi territori entrano per il momento a far parte del Regno d'Italia, vassallo dell'Impero francese.

Dal 1806 al 1814 l'entroterra veneto e la Dalmazia sono scossi da continue "insorgenze" al grido di "Viva San Marco". Sono in molti a odiare il dominio italico, che ha portato solo una pesante tassazione, mai conosciuta sotto la Repubblica di Venezia, e la coscrizione obbligatoria (Napoleone aveva continuamente bisogno di "carne da cannone" per alimentare le sue guerre di conquista).

Molti renitenti alla leva si danno alla macchia e formano bande che alimentano la guerriglia antifrancese e antimilanese (la capitale del Regno d'Italia era Milano). A differenza che nella timeline reale, qui inoltre gli "insorgenti" possono guardare con speranza oltremare, verso la Morea e Creta, dove il vessillo di San Marco non è stato mai ammainato e dove la vecchia Repubblica sopravvive. Del resto, specie in Dalmazia, qua e là l'invio di rifornimenti agli insorti e piccoli sbarchi di truppe della Serenissima alimentano continuamente la guerriglia.

Come vedremo in seguito, l'attaccamento alla Repubblica dimostrata da tanti Veneti e Dalmati avrà un peso non indifferente quando al Congresso di Vienna dovrà essere decisa la sorte di queste terre.

Nel 1814 Napoleone, dopo il disastro della Campagna di Russia, è costretto ad abdicare. Le truppe del Regno Italico, malgrado una valorosa resistenza sulle linee del Tagliamento e poi dell'Adige, si ritirano verso Milano.

Il Doge capisce che è il momento di agire in fretta, per impedire che gli Austriaci occupino interamente tutti i vecchi territori della Serenissima sgomberati dai Francesi e dagli Italici, mettendo le diplomazie davanti al fatto compiuto. Sulle isole della Dalmazia i presidi francesi che non si sono ritirati vengono messi sottto assedio dalle truppe regolari della Serenissima. Sulla costa le bande di insorgenti occupano i centri abitati issando la bandiera del Leone e battendo sul tempo i reparti asburgici in avanzata. Il Veneto è controllato dagli Austriaci, ma il 12 maggio (data simbolica) 1814 la Flotta da mar riunita, con lo stesso Doge, arrivano a Venezia, tra il tripudio della popolazione. Qui il demoralizzato presidio italico, che ancora teneva la città, si arrende senza combattere. Per gli Austriaci diventa ora più difficile dichiarare che vi sia una "vacatio"di poteri legittimi nei vecchi territori della Serenissima.

Così la Repubblica di Venezia, che aveva dato un valido contributo al blocco continentale antinapoleonico, sostenuta anche dalla diplomazia inglese, viene completamente restaurata nel 1815 dal Congresso di Vienna, malgrado qualche tentativo in senso contrario dell'Austria. Venezia si limita a subire qualche aggiustamento territoriale in Dalmazia a favore degli Asburgo, ma nulla di più.

Durante il periodo della Restaurazione a Venezia si introducono importanti riforme istituzionali.

Dimostrando un raro esempio di senso dello Stato e di generosità (assai raro nella storia), la tradizionale oligarchia al potere, che già durante il periodo napoleonico aveva dovuto fare qualche concessione ai maggiorenti greci di Morea e di Candia in cambio della loro fedeltà, comprende che la Repubblica per sopravvivere ha bisogno di cambiamenti. Occorre far condividere almeno in parte il potere ai Greci, ai Dalmati e ai Veneti di terraferma, per garantirsi anche in futuro la coesione dello Stato.

Il territorio della Repubblica viene diviso in 9 Provveditorati:

Ogni Provveditorato elegge su base censitaria un Senato locale che affianca il Provveditore nominato dal Doge. Inoltre ogni Provveditorato, a prescindere dal numero degli abitanti, elegge, sempre su base fortemente censitaria, 7 componenti del Gran Consiglio (ad eccezione di Venezia che ne nomina 10), che a loro volta eleggono il Doge (il quale, almeno teoricamente, può quindi essere scelto anche tra un non veneziano). Il vecchio Senato della Serenissima, formato esclusivamente dalla nobiltà lagunare, sopravvive con la funzione di Camera Alta, ma le sue prerogative vengono nel tempo ridotte (un po' come per l'evoluzione della Camera dei Lord inglese).

Come si vede si tratta di un'architettura istituzionale abbastanza equilibrata che apre le stanze del potere anche ai non Veneziani. Questi ultimi nello stesso tempo conservano una certa egemonia, sia perché vengono eletti anche dagli altri Provveditorati (dove si sono radicate famiglie patrizie greco/veneziane, dalmato/veneziane e veneto/veneziane), sia per la suddivisione territoriale dei Provveditorati, che avvantaggia i territori del vecchio "dominio de tera", dove i legami e gli intrecci (anche di sangue) con la vecchia oligarchia veneziana sono più forti.

Venezia si avvia così ad evolvere, seppur lentamente e progressivamente, da Città Stato in una vera Repubblica Federale dove trovano rappresentanza tutte le etnie presenti.

Inoltre la Serenissima, con lungimiranza, decide di mantenere in vigore, ed anzi di estendere anche ai territori di Oltremare, il codice civile napoleonico. Viene quindi paradossalmente conservata una innovazione del vecchio nemico che contribuirà al futuro progresso della Repubblica.

Nel 1830 le Legazioni Pontificie (Bologna, Ferrara e le Romagne), l'Umbria e le Marche (sull'onda delle notizie provenienti da Parigi dove Carlo X, momarca assolutista, è costetto ad abdicare) insorgono contro l'inetto e opprimente dominio del Pontefice. Le milizie papaline e le famigerate "centurie nere" (queste ultime, anche nella reale timeline, erano squadracce formate da elementi turbolenti e spesso anche da veri e propri delinquenti, utilizzati dalle autorità delo Stato della Chiesa per incutere il terrore tra i "liberali") passano però alla controffensiva e iniziano a soffocare la rivolta. Il Generale Zucchi (un ex ufficiale del Regno Italico di napoleonica memoria), chiede aiuto alla Serenissima, alla quale del resto guardano con simpatia i liberali di ogni dove per la relativa aria di tolleranza e di libertà che si respira nei territori dove sventola il Leone di San Marco.

I Veneziani si accordano con il Granduca di Toscana (che a sua volta aveva iniziato timide riforme del suo Stato in senso liberale) ed intervengono congiuntamente. I Lorena occupano l'Umbria.

L'esercito della Serenissima entra in Bologna, dilaga in Romagna e penetra nelle Marche. A Castelfidardo, nei pressi di Ancona, le raccogliticcie milizie papaline vengono facilmente sconfitte dai Veneziani, aiutati dai liberali di Zucchi.

Il conflitto del 1830-31 vede così il rafforzamento territoriale del Granducato di Toscana, che ora comprende anche l'Umbria, e l'espansione di Venezia fino alle Marche. I 2 Stati inoltre siglano un importante accordo di alleanza e di cooperazione. Tale accordo si rileverà importante nel 1859, come vedremo tra poco.

Ora comunque si aggiungono al territori della Serenissima i seguenti nuovi Provveditorati:

Ne consegue ovviamente una prolungata crisi diplomatica con il Papa, che giunge a minacciare la scomunica nei confronti dei vertici politici della Serenissiama e del Granduca. Nel 1833 la questione è finalmente risolta con il versamento al Pontefice di una grossa indennità per le perdite territoriali subite, mentre un Congresso internazionale sotto l'egida congiunta francese ed austriaca (a cui aderisce anche Venezia), sancisce per il futuro la salvaguardia del residuo potere temporale del Papa (ormai limitato al solo Lazio). Un piccolo corpo internazionale formato dalle Potenze Cattoliche (Francia, Austria e Spagna) sbarca a Civitavecchia a protezione del Pontefice e ad ulteriore garanzia degli accordi presi.

Sul piano del "balance of powers" bisogna tenere a mente che in questa timeline gli Austriaci hanno meno influenza in Italia rispetto al corso reale degli eventi. Gli Asburgo occupano sì Milano e svolgono il ruolo di "protettori" nei confronti dei piccoli Ducati centrali di "Parma e Piacenza" e di "Modena" (come nella timeline reale) ma sono tenuti a freno dalla presenza del relativamente forte Stato Veneto, che tra l'altro ora è anche alleato con il Granducato di Toscana e di Umbria, senza contare i perduranti rapporti privilegiati con la potente Inghilterra.

Nel 1848 Re Carlo Alberto, nella speranza di annettersi Milano (tradizionale obiettivo dei Savoia), corre in aiuto dei cittadini di quella città insorti contro gli Austriaci (le Cinque Giornate di Milano). Dopo gli iniziali successi ha però la peggio ed è costretto ad abdicare in favore di suo figlio, che diviene Re con il nome di Vittorio Emanuele II. In questo frangente Venezia resta neutrale e non viene coinvolta nel conflitto.

Nel 1859 il Piemonte ci riprova e questa volta, con il determinante aiuto francese e in nome dell'unità d'Italia, riesce a scacciare gli Austriaci dalla Lombardia e ad occupare anche i Ducati austriacanti di Parma e Piacenza e di Modena. Ma l'espansione sabauda si ferma qui. Napoleone III da una parte (attraverso dure pressioni diplomatiche sul Piemonte), e Venezia dall'altra, impediscono che il Granduca di Toscana e di Umbria Leopoldo II perda il trono per mano dei Piemontesi e dei loro agenti locali. Il Governo della Serenissima, timorosa che l'eccessivo espansionismo sabaudo rompa gli equilibri di forza in Italia, in virtù anche dell'alleanza in vigore invia addirittura un contingente militare in Toscana a puntellare la traballante dinastia dei Lorena.

Nel 1861 un Congresso internazionale sancisce la divisione della Penisola italiana tra i seguenti Stati, uniti in una vago patto confederale sotto il simbolico patronato del Pontefice: Regno d'Italia Nord Occidentale (Dinastia dei Savoia); Granducato di Toscana e Umbria (Dinastia dei Lorena); Stato Pontificio (limitato al solo Lazio); Regno delle Due Sicilie (Dinastia dei Borbone di Napoli).

Niente quindi unità d'Italia sotto l'egida dei Savoia in questa timeline.

Venezia, pur partecipando al Congresso, preferisce non aderire alla Confederazione Italica. Ritiene sufficientemente tutelato il suo entroterra dai Patti di Neutralità o di Alleanza sottoscritti con gli altri Stati italiani. Inoltre Venezia si sente uno Stato multinazionale, in cui l'elemento "italiano" (sarebbe meglio dire veneto in questo caso) ne rappresenta solo una delle componenti, insieme a quella slavo/dalmata e a quella greca, con forti contaminazioni reciproche.

A questo proposito, apriamo una piccola disgressione linguistica. Che lingua si sarebbe parlata a metà ottocento nella Repubblica di Venezia? Lingua ufficiale sarebbe stato ovviamente il veneziano, localmente parlato con forti contaminazioni e prestiti dalle lingue locali: avremmo così avuto uno slavo/veneto, un greco/veneto, un dalmatico/veneto, un istrorumeno/veneto, un morlacco/veneto. Le ultime tre nella timeline reale sono lingue romanze balcaniche scomparse o sul punto di scomparire. Il Morlacco (un tempo diffuso tra i pastori dell'Erzegovina e delle Alpi Dinariche) è parlato da sole 22 persone (censimento del 1991). L'Istrurumeno da poche centinaia. Il Dalmatico, un tempo diffuso con diverse varianti lungo tutta la costa dalmata, è oggi una lingua morta. Tuone Udaina (in Italiano Antonio Udine), di professione barbiere, che visse e che morì nel 1898 sull'isola di Veglia (oggi la Croata Krk), fu l'ultima persona in grado di parlare la lingua dalmatica. Ma nella multinazionale Repubblica di Venezia le cose sarebbero andate probabilmente in maniera diversa. Senza l'imposizione di una vera lingua nazionale unificante, questi idiomi non sarebbero stati soffocati. Il Veneto sarebbe stato una sorta di lingua franca per tutti, mentre le diverse comunità etniche avrebbero continuato ad utilizzare, soprattutto tra le mura domestiche, la lingua materna.

Ma torniamo alla narrazione degli eventi storici. La Serenissima, che aveva partecipato con propri capitali insieme ai Francesi alla sua costruzione, si avvantaggia sul piano commerciale e politico dall'apertura del Canale di Suez nel 1869. Il Mediterraneo orientale torna ad assumere valore strategico, dal momento che ora le merci provenienti o dirette dall'Asia e in Asia non sono più costrette a circumnavigare l'Africa.

Nel 1875 l'Egitto, soffocato dal debito estero, è costretto a vendere per 4 milioni di sterline la quota posseduta nella società di gestione del Canale in parte agli Inglesi e in parte al Governo della Serenissima. Nel 1882 durante una guerra civile, truppe britanniche e venete intervengono congiuntamente in Egitto a protezione degli interessi comuni . L'Egitto divenne così di fatto un condominio anglo-veneto, pur restando sotto la sovranità formale della Sublime Porta.

Venezia intanto consolida l'alleanza strategica con l'Inghilterra. La prima gioca ovviamente un ruolo subalterno rispetto alla seconda e funzionale agli interessi britannici globali, ma si tratta di una subalternità "dorata" di cui non esita ad avvantaggiarsi. Ad esempio, mentre nel 1878 gli Inglesi occupano Cipro, Venezia si annette Rodi e le isole vicine. In questo modo il Sultano "paga" l'appoggio diplomatico anglo/veneto nella guerra contro la Russia. Nasce così anche il Provveditorato del Dodecaneso.

Canale di Venezia, acquerello di Sandro Degiani

Nel 1884 la flotta veneziana, rimodernata grazie ai lucrosi introiti provenienti dal Canale di Suez, si presenta davanti alle coste eritree con il consenso inglese. L'Eritrea, controllata svogliatamente dai Turchi, che nella zona mantengono solo una piccola guarnigione, viene occupata senza colpo ferire.

Qualche anno dopo è la volta della Somalia, mentre gli Inglesi consolidano il controllo del Sudan.

Per la Gran Bretagna la presenza veneziana nel Corno d'Africa costituisce un elemento di stabilità in quanto fa da contrappeso e argine alle mire francesi nella regione. Somalia ed Eritrea non sono costituite in Provveditorati ma divengono "possedimenti d'oltremare" (colonie) retti ciascuno da un governatore che risponde direttamente al Doge. I Veneziani, grazie anche alla tradizionale abilità diplomatica, riecono addirittura a concludere con il Negus Abissino un trattato di alleanza (nota come il Trattato di Uccialli) che pone di fatto l'Etiopia nella sfera di influenza della Serenissima.

Verso la fine dell'Ottocento anche nei territori della Serenissima attecchisce il movimento socialista, specie tra la nascente classe operaia di Mestre e di Marghera, nel bresciano e tra i contadini romagnoli (la Romagna era del resto da sempre considerata una terra turbolenta). Nel 1912 in Romagna scoppiano violenti disordini (in cui si distinguono i giovani Pietro Nenni, leader locale del Partito Popolare Repubblicano, e Benito Mussolini, sanguigno esponente del Partito Socialista Veneto). L'introduzione di alcuni miglioramenti salariali e l'allargamento della base elettorale, unitamente ad una situazione economica relativamente florida grazie anche al traffico commerciale con l'Oriente, disinnescano però la minaccia di rivolgimenti sociali più radicali. Inoltre le popolazioni dei territori d'oltremare, che possono contare su propri rappresentanti all'interno del Gran Consiglio, restano fedeli alla classe dirigente della Serenissima, di cui anzi ormai fanno parte integrante.

Nel 1900 fanti di marina veneziani, partecipano, nel quadro dell'alleanza delle 8 nazioni, alla repressione della rivolta dei Boxers. Questo episodio frutta a Venezia l'acquisizione di una concessione sulle coste della lontana Cina. A molti secoli di distanza da Marco Polo, i Veneziani rimettono piede in quelle terre lontane. Questo fatto, di per sé di importanza modesta, suscita però forti emozioni tra l'opinione pubblica della Serenissima, e contribuisce un poco a stemperare ulteriormente le tensioni sociali sempre serpeggianti.
Nel 1914, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, la Serenissima dichiara la propria neutralità.

Ma nel 1915 i Turchi entrano nel conflitto a fianco delle Potenze Centrali: attaccano l'Egitto e bombardano le posizioni venete a Creta e nel Dodecaneso. Venezia si trova, suo malgrado, a scendere in guerra contro l'Impero Ottomano. Non però con Austria e Germania, almeno per il momento.

La confederazione Italica, che intanto aveva proseguito un lento e graduale processo di unificazione commerciale e doganale, guidata dal Cancelliere Giolitti, resta prudentemente fuori dal conflitto.
Alla fine del 1915 il cretese Eleftherios Venizelos
(nella timeline reale degli eventi Venizelos, nato a Creta, è un importante politico greco; è lui a spostare la Grecia durante la Prima Guerra Mondiale nel campo dell'Intesa) viene eletto Doge. Per la Repubblica di Venezia è un evento epocale. Per la prima volta la massima magistratura dello Stato è assunta da un non Veneto. Nel suo programma vi è la completa equiparazione di tutte le etnie della Repubblica e maggiori poteri per i vari Provveditorati, in un'ottica compiutamente federalista, pur nel quadro della tradizionale fedeltà allo Stato.

Ma le riforme caldeggiate da Venizelos devono essere per momento accantonate. Nel 1916, in seguito all'affondamento di un bastimento asburgico che trasportava rifornimenti ai Turchi da parte di uno dei primi sottomarini in dotazione alla Veneta Serenissima Armata (il nuovo nome ufficiale della marina veneta), l' Austria dichiara guerra a Venezia.

Gli Austro-ungarici dilagano rapidamente nell'entroterra veneto, solo momentaneamente rallentati sul Piave. Le truppe della Serenissima, per evitare il rischio di essere accerchiate (un secondo corpo di spedizione austroungarico era calato su Verona) si rinserrano nella laguna veneziana protetti soprattutto dalla flotta. Anche in Dalmazia Venezia è costretta a cedere il passo: gran parte dell'entroterra è perduto e i Veneziani riescono solo a difendere le isole del litorale e poche posizioni sulla terraferma.

Nel dicembre dello stesso anno un corpo di spedizione anglo/franco/australiano sbarca a Mestre in soccorso delle truppe venete. Il fronte si stabilizza quindi su un perimetro difensivo a copertura di Venezia e del suo immediato entroterra. La situazione rimarrà sostanzialmente cristallizzata fin quasi alla fine del conflitto.
Intanto nel 1917, provenendo dall'Egitto, un corpo coloniale congiunto anglo/veneto occupa la Cirenaica sconfiggendo i Turchi. Lo stesso fanno i Francesi in Tripolitania, invasa dalla Tunisia.

La Prima Guerra Mondiale termina come nella timeline reale, con la sconfitta dell'Impero Ottomano e degli Imperi Centrali. A fine ottobre del 1918 l'Austria, indebolita anche dagli innumerevoli fermenti nazionalistici sviluppatisi tra le etnie del suo composito impero, cede di schianto. Le truppe della Serenissima, appoggiati dal corpo di spedizione alleato, passano all'offensiva e in pochi giorni dilagano fino a Trento e Trieste incontrando solo una debole resistenza. I Veneziani si impossessano anche della flotta imperiale asburgica, alla fonda nel porto di Trieste.

La Serenissima siede al tavolo dei vincitori, tra le Potenze dell'Intesa. Recupera i territori veneti temporaneamente occupati dagli Austriaci e annette il Trentino (ma non l'Alto Adige) e Trieste (nascono quindi i Provveditorati del Trentino e della Venezia Giulia). E' costretta però a cedere una fetta consistente dell'entroterra dalmata, che passa al neocostituito Regno di Jugoslavia. A Venezia è assegnata anche un'area di influenza in Anatolia, di fronte al Dodecaneso, ma Mustafa Kemal Ataturk, il leader nazionalista della Turchia moderna, costringe i Veneziani nel 1921 a sgomberare questi territori.

Intanto in Russia hanno preso il potere i Bolscevichi. I Veneziani avevano inviato in Siberia, insieme a Francesi ed Inglesi, un corpo di spedizione a sostegno dei Bianchi, che intendevano combattere i "Rossi" e contemporaneamente continuare la guerra contro gli Imperi Centrali. Ma nel 1919, con i Bianchi in rotta, le truppe veneziane tornano a casa dopo aver raccolto tra le proprie fila ex prigionieri di guerra asburgici di origine trentina e triestina, ormai divenuti cittadini dello Stato Veneziano.

L'immediato dopoguerra è comunque segnato da disordini, scontri politici e da una perdurante crisi economica. Le campagne e le città venete, già devastate dalla guerra, sono in subbuglio. I massimalisti del PSV (Partito Socialista Veneto) e il PCV (Partito Comunista Veneto) guidano operai e contadini in scioperi ed occupazioni di terre. La violenza dilaga. E' il cosiddetto "biennio rosso".

Inoltre crescono i disordini anche nei territori di oltremare: qui le rivendicazioni sociali si mescolano con le istanze nazionalistiche di parte delle popolazioni greche e slave inglobate nei territori della repubblica. I cittadini greci della Serenissima ora subiscono l'attrazione di uno Stato Ellenico indipendente (costituitisi al termine della Prima guerra Mondiale), comprendente grosso modo i territori già Ottomani della Grecia continentale e le isole dell'Egeo, con capitale Atene. Allo stesso modo tra le popolazioni dalmato/slave alcuni iniziano a guardare in direzione del neocostituito Regno di Jugoslavia.

Contemporaneamente cresce tra molti ex combattenti smobilitati della Serenissima un forte risentimento per la "vittoria mutilata". Non solo non è stata ottenuta la frontiera naturale del Brennero sull'arco alpino, ma si sono persi in Dalmazia territori che facevano parte della Serenissima da secoli, mentre nulla è stato acquisito in Medio Oriente delle spoglie dell'Impero Ottomano, diviso in aree di influenza tra Francia e Regno Unito.
Nel 1919 in un famoso bar di Piazza San Marco, Benito Mussolini, l'ex maestro elementare romagnolo (non dimentichiamoci che in questa timeline la Romagna è parte della Serenissima fin dal 1849), già leader massimalista del PSV, che durante la Prima guerra Mondiale si era spostato su posizioni patriottiche e aveva partecipato al conflitto con il grado di caporale in un reparto di fanteria di marina, fonda i Fasci Veneti di Combattimento. Il programma politico è piuttosto confuso: generiche istanze sociali con venature socialisteggianti si mescolano con il patriottismo, il culto del reducismo degli ex combattenti di San Marco nella Grande Guerra e un certo fastidio per il programma federalista del Doge Venizelos, considerato un pericolo per l'unità della Repubblica.

Nel 1922 Mussolini giunge a progettare una marcia su Venezia con i suoi manipoli di squadristi, al fine di rovesciare Venizelos, di reprimere le sinistre e di impedire l'evoluzione federalista dello Stato.

La situazione è caotica. Il 28 ottobre 1922 le colonne fasciste provenienti da Ferrara, da Verona, da Belluno e via mare da Zara arrivano all'imbocco del ponte stradale e ferroviario che porta a Venezia attraverso la laguna. Il ponte è difeso da un cordone di fanti di marina, tra cui vi sono molti ex commilitoni dello stesso Mussolini. Al grido comune di "Viva San Marco" i due gruppi fraternizzano. Il Ras di Ferrara Veneto Balbo guida velocemente gli squadristi verso Piazza San Marco. Venizelos, insieme ad alcuni esponenti del Gran Consiglio e ad alcuni reparti rimasti fedeli al Governo legittimo, si imbarca e trova scampo a Spalato.
Intanto Mussolini si fa proclamare Doge per acclamazione dai suoi e da parte dello stesso popolino di Venezia, che non aveva mai amato troppo lo "straniero" Venizelos.

La situazione però non migliora. Nell'entroterra veneto continuano e anzi aumentano gli scontri e le violenze che vedono contrapposti i fascisti ai comunisti e ai socialisti massimalisti. Creta (e non ci si sarebbe aspettati niente di diverso) si dichiara a favore di Venizelos, così come gran parte della Dalmazia, le Marche, la Lombardia veneta e le città di Padova e di Rovigo. La Serenissima è sull'orlo di una disastrosa guerra civile dall'esito incerto.

La situazione viene sbloccata dallo stesso Venizelos, che si dimette dalla carica dogale pur continuando a svolgere un ruolo politico di primo piano. Il giovane Giacomo Matteotti, nato a Fratta Polesine vicino a Rovigo, leader dell'ala riformista del Partito Socialista Veneto, promuove la creazione di una vasta alleanza che riunisce i Partiti Federalisti moderati (il Partito Federalista Democratico Dalmata e il Partito di Morea), la componente socialdemocratica del PSV e il nuovo Partito Popolare Veneto, di ispirazione cristiana e centrista, forte soprattutto nelle campagne venete e in Trentino. Si tratta, diremmo oggi, di una alleanza di centro sinistra che esclude le estreme. Nel giro di poche settimane Mussolini è costretto ad abbandonare Venezia e si rifugia a Milano, da cui negli anni successivi vagheggerà senza successo la costituzione di una Repubblica Sociale Italiana.

Viene eletto nuove Doge lo stesso Giacomo Matteotti, che essendo veneto rassicura maggiormente l'opinione pubblica moderata dei territori italiani della Serenissima. Ma il programma federalista di Venizelos viene portato avanti. Nel 1927 viene promulgata la nuova Costituzione, scritta sul modello di quella Elvetica. I Provveditorati, con qualche aggiustamento territoriale, diventano Cantoni dotati di larghissima autonomia. Vengono riconosciute come lingue ufficiali di Stato, oltre all'Italoveneto, anche il Greco e il Croatodalmata, mentre sono tutelati per Legge in quanto idiomi minoritari l'Istrorumeno, il Dalmatico, il Morlacco e l'Armeno (gli Armeni erano già da secoli presenti a Venezia; ancora oggi vi è un quartiere armeno, anche nella nostra timeline; alla fine della Prima Guerra mondiale molti Armeni, in fuga dai Turchi, trovarono rifugio nel territorio della Serenissima). La stessa denominazione ufficiale della Repubblica di Venezia cambia: ora si chiama Repubblica Federale Veneziana.

Lentamente la situazione torna alla normalità. Nella seconda metà degli anni '20 si assiste ad una ripresa dell'economia. Nel 1928 vengono inaugurate regolari linee aeree che collegano Venezia con i più remoti territori della Repubblica, oltre che con l'Egitto, la Cirenaica e i due Governatorati del Corno d'Africa.
La crisi economica mondiale del '29 fa però sentire i suoi effetti anche nella Serenissima. Aumenta nuovamente la disoccupazione. Negli anni '30 molti Veneti sono costretti ad emigrare in Sudamerica, terra che sembra offire buone prestazioni.

Nel 1938 in Cirenaica (condominio anglo/veneto) vengono scoperti abbondanti giacimenti di petrolio. Si crea subito una società mista anglo/veneta per l'estrazione e lo sfruttamento commerciale del petrolio. Prenderà il nome di SAVI, Società Anglo Veneziana Idrocarburi (EVOS, English Venethian Oil Company nella dizione inglese). Nei decenni successivi, divenuta una delle c.d. "8 Sorelle" (le principali compagnie di estrazione del petrolio che hanno monopolizzato a lungo il mercato degli idrocarburi) , contribuirà non poco al benessere economico della Serenissima.

Inizia anche a svilupparsi il turismo, per il momento con caratteristiche d'élite, soprattutto verso Rodi e Creta, dove si costruiscono grandi e lussuosi alberghi.

In questa timeline Hitler non è riuscito a prendere il potere in Germania. Senza l'esempio di Mussolini, l'ex imbianchino austriaco non va oltre il 10% dei voti. La NSDAP (ma non Hitler, che aveva dichiarato "tutto il potere o niente") guidata ora dall'ex Asso della Prima guerra Mondiale Hermann Goering, accetta alla fine di entrare nel 1933 in una coalizione di centro/destra guidata dal Cancelliere Von Papen. Quindi niente Seconda Guerra Mondiale e nessun Olocausto del popolo ebraico.

Nel 1939 scoppia però una guerra "locale", che poi prenderà il nome di III Guerra Balcanica, che vede Venezia protagonista. Tra la Repubblica Federale Veneziana e il Regno di Jugoslavia i rapporti erano stati sempre tesi. Gli Jugoslavi non nascondono di guardare alle coste adriatiche come confine naturale del loro Stato. Il 1 settembre 1939 scoppia un incidente di confine tra l'Albania di Re Zog, in buoni rapporti con Venezia, e il Regno di Jugoslavia. Da Belgrado si invoca una marcia su Tirana. Re Zog chiede aiuto a Venezia, che invia a Valona e Durazzo alcune navi. Gli Jugoslavi a questo punto dichiarano guerra sia all'Albania che a Venezia. La piccola Austria del Cancelliere Dolfuss (in questa timeline non vi è stato ovviamente l'Anchluss) vede in tutto questo l'occasione per recuperare almeno Trento e, con Trieste, uno sbocco sul Mare Adriatico. L'Austria scende quindi in guerra a fianco della Jugoslavia. Venezia si trova attaccata lungo tutte i suoi estesi confini terrestri. La guerra va male per Venezia. Gli Austriaci da nord e gli Jugoslavi da Est riescono ad isolare e circondare Trieste. In Albania le truppe albanesi e quelle venete ripiegano verso i porti di Durazzo e di Valona. L'inverno 1939-1940 segna una stasi nei combattimenti, ma in primavera l'offensiva austro-jugoslava riprende vigore. Trieste cade il 25 aprile 1940. Zara è sotto il tiro dell'artiglieria jugoslava. Nel frattempo anche il Montenegro scende in guerra contro Venezia. I Montenegrini attaccano in direzione di Scutari. Infine nel gugno del 1940 è la Grecia a dichiarare guerra a Venezia, nella speranza di riunire alla madrepatria ellenica il Pelopponeso, Creta e Rodi. La debole Grecia può fare però ben poco sul mare, per cui i Greci si limitano ad occupare una fetta di Albania meridionale abitata da una minoranza ellenica.

Venezia è in difficoltà, ma perlomeno, grazie anche alla saggia politica federalista adottata negli ultimi decenni, le popolazioni slave e greche all'interno dei suoi confini, tranne poche eccezioni, non sembrano attratte dai "fratelli" d'olteconfine in guerra con la Serenissima, e restano fedeli a San Marco. Del resto le condizioni di vita nella Repubblica Federale Veneziana sono di gran lunga superiori a quelle presenti nelle relativamente arretrate Grecia e Jugoslavia.

A questo punto Venezia, con un colpo da maestro, riesce a tessere le fila di un'alleanza antijugoslava e antigreca. Convince Ungheresi e Rumeni ad attaccare la Jugoslavia (gli Ungheresi restano però neutrali nei confronti dell'Austria), mentre i Bulgari aggrediscono la Grecia nel tentativo di riprendersi in Tracia uno sbocco sul Mar Egeo. Greci e Jugoslavi sono costretti a parare le nuove minacce alle loro spalle e devono sguarnire i fronti dalmata e albanese. Venezia può passare così alla controffensiva, recuperando i territori perduti e spingendosi addirittura fino a Sarajevo, ben accolta dalla componente musulmana della città che si era già sollevata contro le truppe Jugoslave, formate in gran parte da Serbi. Solo Trieste continua a rimanere in mano austriaca.

Il 1 ottobre 1940 finalmente le grandi Potenze, preoccupate anche per un possibile ulteriore allargamento del conflitto (l'Unione sovietica aveva iniziato a concentrare truppe in Bessarabia), intimano ai combattenti il cessate il fuoco.

Viene convocata una conferenza internazionale a Nizza. Il Trattato di Pace che ne segue vede Venezia di nuovo all'interno dei confini di anteguerra (viene però garantito all'Austria il libero transito delle merci da e per Trieste). Il Regno Jugoslavo viene invece smembrato. Al suo posto nascono: la Repubblica di Slovenia; il Regno di Croazia, di Bosnia e di Erzegovina (dove si insedia l'ex Imperatore Asburgico con il titolo di Re di Croazia, Re di Bosnia e Mangravio di Erzegovina); il Regno di Serbia, che ingloba anche il Montenegro (in modo da mantenere uno sbocco sul mare).

La Macedonia viene spartita tra Bulgaria, Albania e Grecia. L'Albania si annette anche il Kosovo ma perde la regione meridionale che confina con la Grecia. I Bulgari inoltre riacquistano uno sbocco sul Mar Egeo a spese della Grecia.

Questa sarà l'ultima guerra europea. A partire dagli anni '50 si fa forte la spinta verso una integrazione tra i Paesi della vecchia Europa, anche per evitare altri possibili conflitti. Nasce il MEC (Mercato Comune Europeo), che vede Venezia tra gli Stati fondatori. E' proprio a Venezia anzi che vengono siglati gli accordi istitutivi.

Nel 1946 l'Egitto era tornato ad essere indipendente, ma Venezia e Londra continuano a svolgervi un discreto "tutoraggio" politico/economico. I Veneziani e gli Inglesi incoraggiano la Cirenaica a dichiararsi indipendente dal Cairo, per poter meglio tutelare così i forti interessi petroliferi che entrambi hanno nell'area. Nel 1956 un ufficiale nazionalista egiziano, Nasser, prende il potere in Egitto: immediatamente dichiara la nazionalizzazione del Canale di Suez e la riannessione alla madrepatria della Cirenaica. Nell'ottobre del 1956 paracadutisti inglesi e fanti di marina veneziani intervengono nella zona del canale e a Bengasi. Si giunge infine ad un compromesso: il Canale di Suez passa definitivamente sotto il totale controllo egiziano, ma Bengasi conserva la propria indipendenza. Gli interessi veneziani (e quelli inglesi) in Cirenaica sono così salvaguardati.

Nel 1962 Venezia, assecondando la generale ondata anticolonialista montante nel Terzo Mondo, concede l'indipendenza alla Somalia e all'Eritrea, ma conserva in quei Paesi basi militari e truppe, oltre che una forte influenza sull'economia locale. Eritrei e Somali non si fidano dell'Etiopia, e preferiscono poter contare sulla protezione veneziana.

Nel 1980 in Unione Sovietica (con 10 anni di anticipo rispetto alla nostra timeline) crolla il Comunismo. Intanto prosegue il processo di integrazione europea.

In gran parte dei territori d'oltremare della Serenissima l'economia è trainata dal turismo. In Veneto e nelle alte regioni italiane si è imposto un fiorente e dinamico modello economico basato sulla piccola e media industria (specie tessile, abbigliamento e calzaturiero). Le griffe veneziane sono famose in tutto il modo.

Il 12 maggio 1997, festa nazionale, si celebrano a Venezia e in tutti i territori della Repubblica grandi festeggiamenti per il bicentenario del "Gran Rifiuto" (così è ricordata la decisione del Doge Lodovico Manin di non piegarsi alle intimazioni di Napoleone ma di riparare in Morea insieme al Gonfalone della Serenissima). In tutte le Piazze della Repubblica si grida gioiosamente:

« SAN MARCO VIVE, VIVA SAN MARCO! »

La Repubblica di Venezia sulla Luna (grazie a Diego Marion!)

La Repubblica di Venezia sulla Luna (grazie a Diego Marion!)

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Postfazione – un'autocritica a questo racconto ucronico (e relativa risposta)

Commentando questo racconto ucronico, si potrebbe obiettare che si è sottovalutato il peso dei nazionalismi sviluppatisi a partire dall'Ottocento. Le spinte nazionalistiche dei Greci, dei Serbi, dei Croati e degli stessi Italiani avrebbero potuto probabilmente disgregare la Serenissima anche se essa fosse sopravvissuta a Napoleone. Provo a rispondere con le seguenti argomentazioni.
Il lungo e ininterrotto Governo di Venezia su territori compositi ha potuto in questa timeline da una parte ingenerare forti identità localistiche, distinte dalle nazionalità di riferimento (ad esempio i Greci di Creta hanno iniziato a sentirsi più Cretesi che Greci, accentuando le differenze culturali e anche linguistiche con i loro "fratelli"), dall'altra rafforzare un senso di identità comune sovranazionale "Veneziano e Serenissimo", simboleggiato dal Leone di San Marco, dal mare, dalla storia e dai nemici comuni.
Inoltre, l'assetto federalista dato dallo Stato Veneto a se stesso a partire dall'Ottocento e compiuto definitivamente nella prima metà del Novecento, ha contribuito in questa timeline a disinnescarne le tensioni nazionaliste.
Infine, non bisogna dimenticare che la relativa prosperità dello Stato Veneto in questa timeline, soprattutto se confrontata con la situazione socioeconomica dei suoi vicini (ad eccezione forse dell'Austria, che però per ragioni storiche non attraeva molto i sudditi e poi i cittadini della Serenissima), ha svolto un ruolo non indifferente nel cementare la fedeltà alla Repubblica. Non a caso l'unica veramente pericolosa crisi politica interna, il tentativo di Mussolini di sovvertire le istituzioni legittime, avviene in un momento di crisi economica e di forte scontro sociale.
E se qualcuno non fosse ancora convinto, ricordo che vicino a noi abbiamo sotto gli occhi uno Stato confederale non molto grande, formato da diverse nazionalità e circondato da Stati nazionali più grandi che teoricamente dovrebbero esercitare un forte potere attrattivo sui cittadini dello Stato confederale che parlano la stessa lingua di quella dello Stato nazionale contiguo. Avete indovinato di chi sto parlando? Beh, la risposta è molto facile. Si tratta della Svizzera. Quindi perché no in Europa una Repubblica Confederale Veneziana accanto alla Confederazione Elvetica?

Massimiliano Paleari

Se volete farmi sapere che ne pensate, scrivetemi a questo indirizzo.

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Così commenta in proposito l'amico Stefano d'Adamo:

A parte la difficoltà di tenere assieme nazionalità diverse come veneti, slavi e greci (il paragone svizzero è improprio: prima di tutto quella è gente di buonsenso, abituata da secoli a una stretta convivenza e storicamente poco portata alle discordie civili, in secondo luogo il territorio elvetico è contiguo, non diviso dal mare in vari tronconi), vorrei segnalare un'ovvia correzione. Al congresso di Vienna, natürlich, l'Austria invece di prendersi inutili pezzettini di Dalmazia (Fiume le basta e avanza) si ingoia la Lombardia orientale (Crema, Brescia, Bergamo) da attaccare al suo Regno Lombardo, volenti o nolenti i "viva San Marco" locali, se non altro per minime ragioni geostrategiche - altrimenti l'unico collegamento di Milano con l'Austria sarebbe attraverso lo Stelvio!!! Altrimenti i rinforzi austriaci nel 1849, da dove diavolo vengono? tutto un esercito marciando lassù? Difficile. Il Tonale e la direttrice Giudicarie-val Sabbia sono decisamente più praticabili, per tacere del trasporto lacustre sul Garda (condiviso con i veneziani). E comunque anche così vi sarebbero grossi problemi nel 1849 per l'Austria: dopo le prime sconfitte non vi sarebbe alcuna ritirata nel Quadrilatero. Peschiera xe veneta, Mantova è troppo defilata in un cul de sac; non resterebbe che fortificarsi in Valtellina e in Valcamonica, dietro la linea Colico-Bergamo-Brescia. E' vero d'altrocanto che non vi sarebbe alcuna insorgenza veneziana alle spalle; i veneziani però non collaborerebbero in alcun modo, a meno che l'Austria non glir enda la Lombardia orientale (ma ormai è tardi, e l'attrazione di Milano fa aggio su quella di Venezia). Anche ponendo che nel 1849 l'Austria vinca e umili i piemontesi a Novara, dieci anni dopo questi ultimi non si muoverebbero senza avere l'appoggio armato dei francesi, questo è sicuro. Quindi, come OTL, i francesi calano in treno da Susa verso il Ticino, e gli austriaci sono cacciati. Garibaldi li finisce in Valtellina, mentre gli svizzeri guardano, un po' compiaciuti, un po' preoccupati. Il Mincio diviene il confine tra il nuovo Regno d'Italia e Sardegna (nel 1860 Vittorio Emanuele cede "solo" la Savoia: Garibaldi a muso duro, minacciando la rivoluzione in Parlamento, lo convince a tenersi Nizza). L'Italia "vera" non s'ha da fare e non si farà: con queste premesse, è normale, e forse davvero meglio così per tutti.

Un'altra questione è quella dellos tato greco, che OTL nasce da una rivoluzione antiturca negli anni Venti dell'Ottocento. "Qui", che succede? Io propenderei per una ripetizione in cui i greci guardano naturalmente a Venezia, accettandone la guida e l'appoggio, al punto, nel momento della massima difficoltà, da rinunciare a uno stato nazionale proprio in vista di una fusione completa con la Serenissima. Questo implicherebbe per la Repubblica una decina d'anni guerra con i turchi fino al 1830 circa, più altri round:

a) durante la guerra di Crimea, che ci sarebbe lo stesso;
b) durante quella del '76-78;
c) nel '97;
d) durante le guerre balcaniche del '12-'13? Ci sarebbero?
e) durante la Grande Guerra, forzosamente, dalla primavera del '15, trascinatici più dagli intrighi anglofrancesi che da volontà propria.

Finita la Grande Guerra, però, rischia di finire anche la luna di miele greco-veneziana, sempre che sia durata fin qui. Il principio di nazionalità à la Wilson spingerà a un'indipendenza greca, e non può essere nientemeno che Venizelos stesso a gestirla se si vuole evitare che scorra del sangue. La crisi fascista del '22 può essere il catalizzatore finale. A quel punto Venezia è fuori dal Mediterraneo Orientale, forse conserva alcune basi militari (a Corfù, Zante, Creta, Rodi, Cipro) e un'alleanza di ferro se la cosa si risolve per il meglio. Stesso discorso, nello stesss periodo, per la Dalmazia: se il trend secolare della slavizzazione non si è fermato - e non è facile, neppure con un Ottocento di marca veneta invece che asburgica, saranno guai. E' prevedibile un conflitto violento, lungo e sanguinoso tra "serenissimi" e "jugoslavi", non necessariamente legato al solo piano etnico, ma con risvolti sociali (la borghesia con Venezia, i contadini e i pescatori poveri con gli slavi) e ideologici (liberali, cattolici e socialisti con Venezia, ortodossi e etnonazionalisti con gli slavi); prevedo una possibile vittoria venezian, nonostante tutto, ma al prezzo dell'abbandono di molta parte dell'interno dalmata (Knin ecc.) alle locali "krajne ante litteram".

Se no emerge un Hitler a scatenare la seconda guerra mondiale, anche il conflitto più limitato prospettato nel 1939-40 sarebbe comunque una campana a morto per lo Stato veneziano multietnico. Ben che vada nel 1950 la Serenissima controllerebbe dal Mincio al Quarnaro, con le isole relative, il confine a un passo da Fiume (veneziana) e una stretta alleanza militare con l'Austria (o la Germania, se come probabile se la pappa "democraticamente") da una parte e la Gran Bretagna dall'altro, tanto per cambiare (niente II Guerra Mondiale, niente babau sovietico nel cuore d'Europa e quindi niente americani a dettare legge). Sul futuro del possesso di Romagna e Marche (Ascoli inclusa? come se la passerebbero gli ascolani, bollati come "terroni" per l'accento, e molto più logicamente legati alla Roma papalina?), anche lì, solo la struttura federale interpretata con rigore elvetico darebbe un futuro allo Stato. E poi, la questione italiana: il probabile terrorismo irredentista legato al passato movimento fascista dove lo mettiamo? Le mene "piemontesi" per mettere le mani su tutto il possibile (i Savoia sempre brutta gente erano) e garantirsi uno sbocco anche sull'Adriatico?

Presuppongo quindi che alla fine lo stato sarebbe stato più omogeneo, nel senso di un'italianità "adriatica" e comunque italiana, nel senso che il veneto sotto il Po proprio non loc apiva nessuno, l'italiano era almeno noto alle persone istruite (e nelle Marche centrali, anche alla gente comune che ne parlava un dialetto).

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Cui Massimiliano replica puntualmente:

Per il quanto riguarda il paragone con la Svizzera, non direi che lì non vi siano state discordie civili. Senza andare molto indietro nel tempo, ricordo come nel 1847 vi sia stato un vero e proprio conflitto armato tra i Cantoni liberali e 7 Cantoni cattolici e conservatori riuniti nel Sonderbund (Lega Separata). Questi ultimi cercarono addirittura l'alleanza dell'Austria. Nel Canton Ticino nel 1890 Liberali e Conservatori si combattevano a schioppettate. E' vero poi che la Svizzera può contare sulla continuità del proprio territorio, a differenza della Serenissima, ma  è altrettanto vero che valicare in inverno catene montuose senza gli ausili della moderna tecnologia può essere altrettanto disagevole che andare per mare.

Con questo non sostengo che Venezia si trovasse nella stessa situazione della Svizzera, ma solo sottolineare come in linea di principio la presenza di forti tensioni interne non sempre determini la dissoluzione di una compagine statale.

Per quanto riguarda la contemporanea presenza di tre distinte nazionalità (l'Italiana, la Slava, la Greca), vi è un altro elemento da tenere presente. In tutti e tre i casi le nazionalità conviventi all'interno della Serenissima erano, da un punto di vista geopolitico, culturale e a volte anche linguistico e storico, "periferiche" rispetto ai "motori catalizzatori" delle rispettive identità nazionali (Lubiana, Zagabria e Belgrado per gli Slavi; Atene per i Greci; Torino, Firenze e Roma per gli Italiani). Questo fatto avrebbe potuto indebolire di molto i movimenti nazionalistici su base etnica, a patto ovviamente di una evoluzione in senso autenticamente federale dello Stato Veneziano.

Personalmente credo che gli elementi fortuiti, anche di relativa modesta entità, giochino un ruolo non indifferente negli avvenimenti e nelle evoluzioni della storia, ed è per questo motivo che ho iniziato, divertendomi, a scrivere scenari ucronici.

Al Congresso di Vienna l'Austria avrebbe preferito annettersi la Lombardia Veneta piuttosto che qualche avanzamento in Dalmazia, in modo da garantirsi migliori collegamenti con Milano? Certamente si! Ma nella timeline ucronica proposta Venezia è uno Stato alleato della Gran Bretagna, che partecipa per circa 17 anni a tutte le coalizioni antinapoleoniche e che dà un costante e attivo contributo (relativamente modesto certo, ma non del tutto ininfluente, specie per mare) alle operazioni militari e al blocco continentale. Tutto questo avrà un certo peso al tavolo della pace. Si può ipotizzare un compromesso di questo tipo: la Lombardia Veneta viene assegnata alla Serenissima ma all'Austria è consentito il libero transito di truppe da/per Milano attraverso le province di Bergamo e Brescia e lungo direttrici chiaramente determinate.

Per quanto riguarda la questione dello Grecia indipendente, nella timeline alternativa proposta immagino che essa nasca soltanto dopo la Prima Guerra Mondiale con la totale dissoluzione dell'Impero Ottomano o, al massimo, pochi anni prima (nel 1912-1913) in seguito a qualcosa che assomiglia alle prime due Guerre Balcaniche della nostra timeline. Penso che la cosa non sia del tutto inverosimile. Senza il retroterra della Morea (che resta veneziana) difficilmente la guerra di indipendenza greca degli anni '20 dell'Ottocento si sarebbe accesa o si sarebbe sviluppata con la medesima intensità. E' proprio in Morea infatti che si accende e si alimenta nella timeline reale la rivolta antiturca.

Immagino inoltre che Venezia non partecipi ai conflitti balcanici minori del resto dell'Ottocento, un pò perché questi non avvengono (non c'è ancora uno Stato Greco indipendente che vuole espandere i propri confini a spese dell'Impero Ottomano), un pò perché, paga degli assetti territoriali conseguiti, intuisce che cacciarsi ulteriormente nel ginepraio dei conflitti interbalcanici e in quello che vede da una parte il declinante ma ancora non trascurabile Impero Ottomano e dall'altra i recenti o recentissimi Stati di Serbia, Montenegro, Romania e Bulgaria, può essere molto pericoloso per uno Stato comunque relativamente piccolo e relativamente debole dal punto di vista militare.

Per quanto riguarda la questione dell'irredentismo slavo (o jugoslavo che dir si voglia), sono convinto che in una Dalmazia che resta veneziana (non italiana, attenzione) nel corso dell'Ottocento gli avvenimenti avrebbero preso una piega molto diversa. I confini etnici sarebbero stati molto più sfumati, il bilinguismo molto diffuso e alla fine avrebbe forse prevalso un sentimento identitario "veneziano" (non nel senso etnico del termine, ma inteso come fedeltà ad una patria multinazionale e federale) cementato ormai da secoli di storia comune. Nel Novecento non vi sarebbe stata la contrapposizione aggressiva tra il nazionalismo italiano e quello slavo, o, se vi fosse stata, avrebbe assunto forme molto più attutite.

Per quanto riguarda la questione delle Marche meridionali (l'Ascolano), concordo con il mio interlocutore. Probabilmente prima o poi si sarebbero staccate per entrare nella confederazione Italica proposta nella timeline alternativa.

Non concordo invece su un altro punto. Credo che uno Stato Veneziano indipendente possa sopravvivere solo in quanto Stato multinazionale (non malgrado sia uno Stato multinazionale). Se si riduce ad essere uno Stato italiano del Nord/est o poco più è destinato inevitabilmente, in qualsiasi timeline, ad essere assorbito da una compagine statale più grande egemone nella penisola italiana (nella timeline da me proposta la Confederazione Italiana). Del resto è proprio questo il punto centrale del racconto: San Marco vive perché nel XVIII secolo riesce a conservare la Morea e a riconquistare Creta, accentuando così il carattere multinazionale della propria compagine statale.

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Enrico Pizzo ci scrive:

Attualmente sto leggendo il libro di Maria Pia Pedani " Venezia porta d'Oriente ".
Nel primo capitolo la Prof.ssa Pedani suggerisce un'ipotesi suggestiva riguardo l'adozione del Leone come simbolo dello stato Marciano.
Ci fa notare come, inizialmente, il Santo Patrono della città lagunare fosse Teodoro, sostituito a partire dall'828 dal culto dell'Evangelista Marco il cui corpo, o presunto tale, venne traslato da Alessandria d'Egitto.
Dall'828 fino al 1260 il simbolo di Venezia fu l'immagine umana dell'Evangelista, solo a partire dal 1261 inizio l'uso di raffigurarlo in forma di Leone alato.
Il 1261 non è un'anno casuale, è l'anno in cui le truppe Bizantine riconquistano Costantinopoli, principale piazza commerciale veneta, ponendo fine all'Impero Latino d'Oriente, soggetto politico creato da Venezia al termine della Quarta Crociata, ed espellono tutti i mercanti Veneziani.
Espulsi da Costantinopoli i Veneziani si spostarono in massa ad Alessandria d'Egitto.
L'Egitto stesso era appena uscito da una fase politica travagliata, iniziata nel 1250 con la progressiva sostituzione della dinastia Ayyubide coi Mamelucchi.
Nel 1260 al-Malik al-Ẓāhir Rukn al-Dīn Baybars al-Sālihī al-Bunduqdārī divenne Sultano Mamelucco d'Egitto, uomo molto capace, sconfisse i Mongoli di Hülegü nella battaglia di Ayn Ğālūt gettando le basi per la rinascita economica e culturale dell'Egitto.
Al-Bunduqdārī adottò a partire dalla sua incoronazione come insegna regale un Leone.
La Prof.ssa Pedani suggerisce che la quasi contemporanea adozione del Leone come simbolo dello stato Marciano nasca dalla necessità per i Veneziani di " vendersi bene " sulla nuova piazza di Alessandria.
Voi cosa ne pensate?

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E Bhrghowidhon gli risponde:

Effettivamente è molto suggestiva e, siccome una ragione ci deve pur essere, almeno al momento sembra la migliore.

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Paolo Maltagliati ha un'altra idea:

Sappiamo tutti che la Morea fu un acquisto sostanzialmente inutile e dispendioso per la Serenissima. Il tentativo di rendere produttiva la colonia comportò più spese che benefici. In più i greci non gradirono le tendenze organizzative e accentratrici e non scattò mai alcun feeling tra dominatori e dominati. Un po' fu anche colpa degli austriaci, che a Carlowitz imposero severamente il principio dell' Uti possidetis, ossia del “chi tiene prende”. Infatti era scattata nel cervello degli oratori veneziani (che peraltro ebbero la sfortuna di parlare per primi, prima cioè di sapere esattamente l'entità delle pretese asburgiche, bravi a far la predica agli altri, un po' meno quando si trattava delle loro stesse ambizioni) l'idea dello scambio Morea per Negroponte/Creta, a scelta della Porta, ma preferibilmente la seconda.

E se i veneziani riescono a far passare tale linea e, invece dell'improduttiva (e strategicamente poco difendibile in caso di un contrattacco in forze) Morea, riescono a tornare in possesso di Creta? Dal punto di vista economico non cambia poi tantissimo, ma almeno i cretesi sono sudditi un po' più affezionati. Inoltre, per l'impero ottomano è più dispendioso provare a riconquistare l'isola nel 1715, tant'è che preferisce lasciar perdere e lasciare le cose come stanno.

Una variante, a dir la verità più semplice, prende in considerazione la fortuna e scelte più oculate, che, si sa, sono le classiche variabili aleatorie su cui noi spesso contiamo; Morosini e Corner, dopo il grande successo nel Peloponneso, si trovano nella possibilità di scegliere l'obiettivo successivo della loro rapida campagna. Negroponte o Creta? optano per la prima. I turchi però stavolta hanno fatto bene i conti e l'attacco sfuma. La blitzkrieg veneziana si trasforma nella solita guerra di esaurimento, che reca vantaggio ai soli Asburgo. In più, sia Corner che Koenigsmark si ammalano di peste, lasciando il comando a più mediocri capitani, almeno fino a Girolamo Dolfin, che comunque prende in mano la situazione quando la pace è prossima e quindi, sostanzialmente, troppo tardi.

Se si punta subito su Creta, difesa sì, ma in maniera relativa rispetto alle forze del Morosini? La Canea viene presa a sorpresa. L'esercito turco che fa la muffa a Negroponte viene diviso tra Candia e un'azione di alleggerimento contro Atene e Corinto. I rinforzi però arrivano a Candia quando è già troppo tardi e finiscono intrappolati. I turchi riprendono Atene, ma non sfondano. Ora è la volta di Negroponte essere sguarnita. Mentre le azioni veneziane nelle Cicladi e addirittura un tentativo di forzare i Dardanelli riuscito (anticipiamo qui ciò che fece Dolfin nel 97-98), distolgono forze preziose, Koenigsmark investe di nuovo l'attica, mentre Corner sbarca nell'Eubea. lo svedese prestato alla repubblica arriva sino alla Beozia, ma muore di peste. A questo punto siamo nel 94 con i veneziani che controllano tutto il Peloponneso, Creta, Negroponte, l'Attica, le isole ionie, Cerigo e Cerigotto. In più hanno messo piede a Chio e nelle Sporadi Boreali. Sul lato dalmatico la situazione è come nella nostra Timeline. Anzi diciamo che i veneziani non lanciano alcuna offensiva sull'Albania (culminata nell'inutile conquista di Valona), perché hanno già le mani piene con le offensive in Grecia. A questo punto i veneziani hanno esaurito il loro potenziale offensivo, e puntano a tenere le posizioni conquistate. Riescono ad arrivare a Carlowitz con una buona dote di conquiste che verranno ratificate. Nella guerra del ‘15 i turchi riprendono qualche posizione, ma i veneziani riescono a mantenere Negroponte, Chio, Creta, Corone, Modone, Nauplia, Monemvassia e Lepanto, oltre, ovviamente, alle sempiterne ionie.

E ora spostiamoci di qualche anno. Guerra di successione spagnola: invece del partito neutralista, vince quello “attivista”. Se poniamo uno degli esiti sopra descritti per la guerra della lega santa, una vittoria degli interventisti sarebbe certamente più probabile. La Serenissima vorrebbe sedere al tavolo dei vincitori, ma si fa verosimilmente blandire dai francesi, la cui posizione sembra molto forte. Non vi tedio nella descrizione di un possibile svolgimento del conflitto, ma a Utrecht la secolare storia dell'indipendenza veneziana si chiude con 83 anni d'anticipo. Il Friuli ed il Veneto entrano a far parte dei domini degli Asburgo d'Austria. L'unico dilemma è sui domini levantini della repubblica. Possiamo pensare, invero piuttosto fantasiosamente, che gli Asburgo pongano Creta, Negroponte & co. alle dipendenze amministrative di Napoli. Così che quando i Borbone si troveranno sul trono del regno del sud, avranno anche quelle come dipendenze. Sarebbe interessante pensare alle conseguenze di una tale situazione sul destino dei rispettivi risorgimenti greco e italiano...

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E ora, alcuni POD proposti dal grande Enrico Pizzo:

Venezia autarchica
La Repubblica di Venezia è stata caratterizzata, per tutta la sua storia, da una debolezza strutturale, la dipendenza dal mercato estero, in particolar modo da nazioni nemiche, di alcune materie prime indispensabili per l'economia.
Questa dipendenza nel lungo periodo si è tramutata in una condizione di sudditanza psicologica degli uomini di governo verso potenze esterne.
3 erano le materie prime di cui la Repubblica o difettava o era completamente assente.
Granaglie, la terraferma non bastava a garantire una produzione sufficiente, dovendo ricorrere all'acquisto della parte mancante sul mercato turco.
Fibra di Canapa, la terraferma produceva filati in quantità sufficiente per il consumo domestico interno, ma per le necessità della flotta si doveva ricorrere all'acquisto nello Stato Pontificio, o nella Lombardia.
Cenere di Roscano, impiegata nella lavorazione del vetro rappresentava la prima voce delle importazioni nella bilancia commerciale veneziana.
Oltre un milione di libbre per complessivi 300000 Ducati d'oro che si dirigevano verso la Spagna...
Il governo era consapevole di questa debolezza e tentò, senza mai riuscirci, di porvi rimedio.
La produzione della granaglie venne intensificata aumentando la superfice coltivabile con le bonifiche.
Fu l'unico successo ottenuto...
La produzione aumentò fino a raggiungere l'autosufficienza, ed in annate buone c'era anche un surplus sufficiente ad una timida esportazione.
Ma una serie di annate cattive costringevano a rivolgersi al mercato turco...
La produzione della Canapa venne intensificata imponendo per legge che 800 campi nella Scodosia fossero dedicati a questa coltivazione.
Il numero però non garantiva tutta la materia prima necessaria all'arsenale, obbligando comunque all'acquisto della rimanenza all'estero.
Infine il Roscano.
Per questa pianta si susseguirono per 100 anni tentativi di coltivazione, presso l'isola del Cavallino e nelle isole Ionie.
Gli esperimenti fallirono tutti per la scarsa conoscenza dell'agricoltura da parte degli sperimentatori...
Ma ipotizziamo ora un POD:
Granaglie
Viene adottato per le granaglie un meccanismo simile a quello usato per stabilizzare il prezzo del cafè. Nelle annate buone il surplus viene acquistato dallo Stato che lo destina all'ammasso.
Canapa
Si stabilisce la coltivazione di 1200 campi invece di 800
Roscano
Gli esperimenti al Cavallino vengono fatti da privati, ma per decreto del Senato questi devono essere affiancati da agronomi nominati dall'Università di Padova
Verso la fine del XVII secolo la Repubblica è autosufficiente e non deve dipendere dall'estero, una contrazione delle importazioni, restando costanti le esportazioni porterebbe ad una bilancia commerciale sempre in attivo nel periodo compreso tra il 1690 ed il 1790.
Combinando questo con una maggiore lotta all'evasione fiscale ipotizzo che il debito pubblico della Repubblica sia molto inferiore agli 80 milioni di Ducati nel 1725, e ipotizzando che le politiche di riduzione del debito siano come in HL potremmo arrivare all'estinzione, o quasi, verso il 1770.
La Repubblica non apparirebbe come un organismo in necrosi e durante l'ultima aggregazione al Maggior Consiglio molte più famiglie della terraferma decidono di aderire, entrando nel governo e "disinnescando" la "bomba giacobina" che distruggerà la Repubblica.

Il comitato di Monselice
Nell'alto Medioevo il territorio della Scodosia era per quanto riguarda l'amministrazione civile incluso nel Comitato Monselicense mentre dal punto di vista spirituale era parte delle Diocesi di Padova.
Dopo l'888, a causa dello stato di anarchia feudale, il comitato di Monselice perse rapidamente la propria capacità di controllo del territorio, senza che la Diocesi di Padova potesse in qualche modo aiutarlo.
Di questo stato di debolezza aprofittarono i vescovi delle diocesi vicine che cercarono di impadronirsi di porzioni di territorio di quella Padovana.
La diocesi di Vicenza riuscì ad assorbire il territorio di Lozzo, mentre quella Veronese puntava alla Scodosia.
La crisi Padovana terminò con la discesa in Italia di Ottone II che "degradò" Monselice da sede comitale a iudiciaria ed affidò al vescovo di Padova il governo civile del territorio Padovano.
Tra i primi atti della rinnovata diocesi Padovana vi fu nel 970 il ripristino dell'autorità cittadina sul territorio della Scodosia tramite "inventio" del presunto corpo di S. Fidenzio e "traslatio" a Megliadino S. Tommaso, cambio della dedica della chiesa locale e fortificazione del borgo.
Ipotizziamo che l'azione della diocesi Veronese sia più energica e porti verso il 950 al distacco non solo spirituale ma anche civile della Scodosia dal territorio Padovano a quello Veronese.
Verona potrebbe contare su un territorio accresciuto e Padova perderebbe una delle migliori fonti di soldati, la Scodasia garantiva circa 1/3 degli effettivi: come potrebbe cambiare la Storia?

Padova indipendente
Un amico mi ha chiesto se era possibile una TL in cui Padova restava indipendente da Venezia ed io gli ho risposto che era impossibile, poiché la Dominante aveva la necessità di assumere il controllo della terraferma per realizzare quelle opere idrauliche necessarie alla conservazione della laguna, si trattava di una questione di vita o di morte ed il conflitto poteva terminare solo con l'eliminazione politica di una delle due. Però immediatamente dopo avere scritto queste righe mi è tornato in mente che l'attuale Naviglio non esisteva prima del 1142, si tratta infatti di un ramo creato artificialmente dai Padovani durante la guerra con Venezia tagliando l'argine sinistra del Brenta, verosimilmente all'altezza di Dolo.
L'obiettivo era quello di realizzare un canale navigabile che collegasse i due centri favorendo i commerci e, forse, evitasse ai Padovani il pagamento del Dazio all'abate di S. Ilario.
Per garantire una sufficiente portata d'acqua al nuovo alveo vennero contemporaneamente disattivate le vecchie direttrici di deflusso verso Sanbruson e Saonara.
Ma in questo modo una notevole massa di acqua finì per scaricarsi in mare tramite il porto di San Nicolò, iniziando quel processo di interramento che diverrà preoccupante a partire dal 1330.
Ipotizziamo che nel 1140 il Comune di Venezia offra a quello di Padova, come compenso per le laboriose procedure necessarie alle navi per raggiungere la laguna, l'esenzione perpetua dai Dazi di transito e sul sale.
Il Comune di Padova non si troverebbe nella necessità di intervenire sul fiume e Venezia, in assenza di pericoli di interramento del suo porto, diventerebbe molto meno interessata a quello che accade in terraferma.
Come potrebbe cambiare la Storia?

Il Ducato d'Oro
Gli amici venetisti amano ripetere che la prima moneta dal valore di una Lira è stata la Trona del 1472.
Hanno ragione, ma non completamente.
Il passaggio per la Lira da moneta di conto a moneta reale si è compiuto nel 1284, con la coniazione del Ducato d'oro dal valore di 3 Lire Veneziane.
La Trona è stata invece la prima moneta in argento dal valore di una Lira.
Il Ducato a sua volta non può vantare il primato di prima moneta d'oro coniata in Europa, dato che è stato preceduto di qualche decennio dal Fiorino e di qualche secolo dal Tarì Siciliano.
Quest'ultimo era una moneta in oro, magari un po' allungato, titolo 680/1000, del peso di 1/4 di Dīnār, corrispondenti a circa 1,05 g.
Riflettere su queste cifre mi ha suggerito un POD.
Ipotizziamo che il Doge Giovanni Dandolo decida di affiancare al Ducato d'oro una moneta divisionale, peso 1/3 di Ducato, con lo scopo di fare concorrenza al lanciatissimo Tarì, puntando sul maggior peso, 1,19 g contro 1,05, è maggior titolo, 993/1000 contro 680.
Come potrebbe cambiare la Storia?

La Guerra di Chioggia
La sconfitta Genovese nella Guerra di Chioggia è essenzialmente conseguenza del comportamento dell'Ammiraglio Genovese Pietro Doria. Infatti a fine Agosto del 1379, immediatamente dopo la conquista Genovese di Chioggia, il Governo Marciano, riconosciuta l'impossibilità di continuare l'impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, aveva inviato a Chioggia tre ambasciatori per trattare la pace.
Il Governo Marciano, per bocca degli ambasciatori, aveva comunicato che, fatta salva la libertà di Venezia, avrebbe accettato qualsiasi condizione gli Ungaro-Genovesi avessero voluto porre, ma Doria rispose che non intendeva concedere ne pace ne tregua.
La tradizione vuole che mentre gli ambasciatori Veneziani si allontanavano Doria abbia aggiunto "Venezia è senza speranza, presto metterò le briglie ai cavalli di San Marco".
L'arrogante risposta Genovese scatenò la rabbia nella popolazione Veneziana ed il 13 settembre, praticamente a furor di popolo, il Capitano Vettor Pisani fu liberato e postò nuovamente al comando della flotta.
Il resto è noto, ma ipotizziamo che Doria decida di accettare l'offerta Veneziana; io al posto suo avrei chiesto Treviso a Padova, Istria e Dalmazia all'Ungheria, i possedimenti in Egeo a Genova aggiungendoci sopra il pagamento di 1.000.000 di Ducati in oro da spartire in parti inuguali tra Padova, Genova e Buda. Come potrebbe cambiare la Storia?

Lo stoccamobile
Uno dei piatti più prelibati della Veneta Serenissima Cucina è il Baccalà alla Vicentina.
Nonostante il nome, l'ingrediente principale di questa preparazione alimentare è lo Stocafisso, cioè Merluzzo artico norvegese, Gadus morhua, decapitato, eviscerato e conservato tramite essicazione. Stocafisso è l'italianizzazione del termine norvegese Stokkfisk, si differenzia dal Baccalà, anche questo Gadus morhua, che è conservato tramite salagione.
L'introduzione dello Stocafisso sul mercato del triveneto è una fortunata conseguenza di uno sfortunato viaggio commerciale.
Nel 1432 il patrizio veneziano Pietro Querini doveva trasportare un carico di vino Malvasia da Candia alle Fiandre.
La sua barca fece naufragio nell'atlantico ed i pochi superstiti sono approdati alle Lofoten in Norvegia.
Soccorsi dalla popolazione locale, poterono fare ritorno portando con loro alcuni esemplari di "stocchifissi".
L'accoglienza del mercato veneziano verso questo pesce secco fu più che positiva.
Ma cosa sarebbe successo se il viaggio di Querini avesse avuto successo?
E come sarebbe ora il girovita dello scrivente che non è diventato bello rotondino solo grazie all'aria buona dei Colli Euganei?"

Il Montone Bianchissimo?
Le guerre combattute tra la Repubblica e la Sublime Porta erano, almeno fino alla seconda metà del Seicento, di durata piuttosto breve. Fa eccezione la guerra turco - veneta del 1463 - 1479. La maggiore durata di questo conflitto rispetto ai tre che seguiranno nel Cinquecento è dovuta alla certezza del Governo Marciano di riuscire a concludere la guerra in modo positivo per Venezia.
Tale convinzione nasceva dalla vasta rete di alleanze in funzione anti-turca che vedeva coinvolti, tra l'altro, il Re d'Ungheria Matteo Corvino ed il Sultano del Montone Bianco Uzun Hassan. In particolare con quest'ultimo la Repubblica poteva anche vantare rapporti di parentela. Sua moglie era Despina Khatun, nata Theodora Megale Komnene, zia della moglie del patrizio Veneto Caterino Zeno che fu infatti Ambasciatore Plenipotenziario presso il Montone Bianco.
Per sostenere il Sultano del Montone Bianco la Repubblica gli inviò tra l'altro circa 1200 bocche da fuoco, personale specializzato e denaro liquido per oltre 10000 Ducati...
Purtroppo questo non fu sufficiente, tattico brillante Uzun ottenne alcune brillanti vittorie ma nessuna che fosse strategica, finendo alla fine sconfitto da Mehmed II nella battaglia di Otlukbeli. Con la sconfitta militare il suo Impero andò rapidamente in pezzi. Sarà un suo nipote ad inizio Cinquecento a riunificare la Persia, con il nome di Ismā'īl Shāh. E se invece Uzun Hassan ce la fa?

I turcoveneti in Meridione
Ad inizio maggio 1480 Sinan bey, uomo di fiducia del Gran Visir Gedik Ahmed, si recò a Venezia.
Scopo della missione era convincere il governo Marciano a prendere parte ad un'operazione congiunta contro il Re di Napoli Ferdinando I d'Aragona.
Il Doge declinò educatamente l'offerta ma, memore dell'aiuto fornito dai Napoletani ai Turchi nella guerra da poco conclusa tra la Dominante e la Sublime Porta, non informò Napoli del pericolo imminente.
Pericolo che si concretizzó poche settimane dopo con l'attacco Ottomano ad Otranto.
In HL la morte improvvisa del Sultano Mehmed II, e la conseguente guerra civile scoppiata tra i figli per la successione al trono, salvarono l'Italia meridionale dal diventare una provincia dell'Impero Ottomano.
Ma ipotizziamo che il Doge decida di accettare la proposta turca: grazie all'impegno Veneziano nella guerra Bayezid potrebbe sentirsi più sicuro e non richiamare le truppe dalla Puglia.
Come potrebbe cambiare la Storia con una conquista veneto - turca del Meridione?

San Nicolò addio
Il Porto di San Nicolò tra il XIV ed il XVIII secolo ha subito un progressivo interramento. Gli sforzi per cercare di salvarlo sono stati descritti da Bernardino Zendrini nel suo " Memorie Storiche dello stato antico e moderno delle lagune di Venezia ".
In particolare Zendrini ci informa di come, a partire dal 1492, le navi mercantili a vela non entravano più in laguna tramite il Porto di San Nicolò bensì attraverso quello di Malamocco, dove scaricavano le merci che con naviglio minore venivano condotte in Bacino.
Dopo il 1492 San Nicolò rimase in uso solo per il naviglio mercantile di piccolo pescaggio e per la flotta militare.
Tuttavia il processo di interramento proseguì, tanto che ad inizio XVIII secolo l'unico modo per far transitare le navi militari era sollevandole parzialmente assicurando ai lati una coppia di Cammelli.
Per evitare il rischio di restare prigionieri nella stessa laguna nel 1725 il Governo Marciano ordinò lo scavo di un canale artificiale che collegasse il Bacino di San Marco col Porto di Malamocco.
L'esperimento ebbe un successo incredibile consentendo il grande rilancio commerciale della Repubblica nella seconda metà del XVIII secolo.
E se ad inizio XVI secolo il Governo Marciano non si intestardisse nella volontà di preservare il Porto di San Nicolò, ordinando subito lo scavo del canale di collegamento?

Alleanza Veneto-Persiana
Il 9 Marzo 1509 l'Ambasciatore Plenipotenziario di Persia consegnò nelle mani del Doge Leonardo Loredan una lettera da parte di Shāh Ismā'īl.
Nella missiva il nuovo Shāh chiedeva al Doge l'invio in Oriente di fonditori di cannoni e proponeva al Governo Marciano un'alleanza contro il comune nemico Turco.
Il giovane Shāh suggeriva un azione congiunta Persiano - veneta in cui la Dominante avrebbe attaccato l'Impero Ottomano via mare mentre lui da terra.
Purtroppo il momento non era propizio per un'alleanza, in Europa contro Venezia si era formata la potentissima Lega di Cambrai e solo due mesi dopo ad Agnadello la Repubblica subirà la peggiore sconfitta della sua Storia...
Ma ipotizziamo che Venezia riesca diplomaticamente ad impedire la formazione della Lega consentendole di impegnarsi a fondo contro il Turco. Come potrebbe cambiare la Storia?

Porta Codalonga
Nella Padova di inizio XVI secolo il punto debole del sistema fortificato era rappresentato da Porta Codalonga.
In quel punto infatti le mura Carraresi, per poter comprendere il piccolo borgo che si era formato lungo la strada per Limena, descrivevano una " V " stretta e lunga.
Questo perchè i lavori per l'ampliamento della cinta muraria di Padova, cominciati ad inizio XIII secolo dal Comune e terminati dalla Signoria Carrarese, erano stati portati avanti in economia e senza un reale progetto, solo con l'obiettivo di includere all'interno delle mura i borghi che si erano formati intorno al nucleo storico della città.
Del pericolo rappresentato dalla particolare forma di Porta Codalunga era ben consapevole l'Imperatore di Germania Massimiliano I che proprio qui che a partire dal 15 Settembre 1509 decise di concentrare l'urto dei suoi 40000 Lanzichenecchi ed il fuoco dei suoi 200 cannoni. Purtroppo per Massimiliano anche il Provveditore Andrea Gritti era consapevole del pericolo ed aprofittando dei problemi logistici che avevano ritardato l'arrivo a Padova dell'artiglieria dell'esercito Imperiale, aveva proceduto a rinforzare le difese della città.
Le mura Carraresi erano state abbassate fino ad un'altezza di 5 metri ed erano stati scavati 2 valli, uno esterno ed uno interno alle mura, con la terra di scavo erano stati realizzati 2 terrapiani, uno esterno ed uno interno addossato alle mura che avrebbe aiutato a smorzare l'energia delle palle di cannone.
Il 30 Settembre, ormai a corto di denaro per pagare i Lanzichenecchi, Massimiliano decise di togliere l'assedio alla città e tornare in Germania.
Il POD è questo: ipotizziamo che il trasferimento dell'artiglieria da Trento a Padova sia preparato con maggiore attenzione, in HL i Tedeschi rimasero inattivi dal 20 Agosto al 15 Settembre, in modo tale da far si che si possa iniziare il bombardamento già a partire dal 25 Agosto.
Molto probabilmente Padova sarebbe costretta ad arrendersi verso il 20 Settembre, il conseguente saccheggio risolverebbe i problemi economici di Massimiliano e gli lascerebbe tempo per portarsi all'inizio di Ottobre sulla gronda lagunare e catturare il porto di Fusina.
Padrone di Fusina gli basterebbe tagliare l'argine per far defluire le acque del Brenta verso Venezia e le " brentane " di inizio Novembre lavorerebbero per lui...
Persa la terraferma, a rischio interramento il porto, l'unica possibilità rimasta alla Repubblica sarebbe stata la resa. Come sarebbe potuta cambiare la Storia?

O bey o bey
Il 17 Ottobre del 1513 Ali bey, Ambasciatore Plenipotenziario del Sultano Selim I, era in visita ufficiale a Venezia.
Scopo ufficiale della visita era assistere al rinnovo della Pace tra la Dominante e la Sublime Porta, scopo reale della visita era offrire alla Repubblica l'aiuto militare Turco contro la Lega di Cambrai. Il Sultano era infatti estremamente preoccupato di quanto stava accadendo in Veneto e offriva l'invio di contingenti di truppe, ma non gli "Akinci", truppe di confine non regolari, ma reparti dei Giannizeri.
Il Maggior Consiglio apprezzò enormemente la proposta Turca, all'Ambasciatore furono consegnati, in segno di stima, 2000 Ducati d'oro mentre per il Gran Visir Hersekzade Ahmed c'era un anello con diamante del valore di 1000 Ducati.
I cambi di alleanze in Veneto e la necessità, per Selim, di impegnarsi in Oriente e Egitto, fecero tramontare la possibilità che la Sublime Porta intervenisse direttamente nella Guerra della Lega di Cambrai. Ma se la proposta fosse andata a buon fine erano previsti un vitalizio di 200 Ducati d'oro annui per l'Ambasciatore e di 10000 per il Sultano. E se va a buon fine?

Sistema di misura Veneto
La Repubblica di Venezia era caratterizzata da una incredibile varietà di unità di misura. Praticamente ogni città possedeva le sue, spesso molto diverse come valore, da quelle della città vicina.
A questo va aggiunta una doppia circolazione monetaria, sebbene formalmente la valuta fosse la Lira Veneta, la Dalmazia e le isole Ionie, ed in passato credo anche per Creta e Cipro, avevano una loro moneta, la Lira Dalmata.
Non si trattava di una differenza solo formale, perché il cambio tra la Lira Dalmata e quella Veneta era fissato a 5/12. Ritengo che questa molteplicità di unità di misura e valute circolanti nascesse da motivi "micro-protezionistici".
Personalmente credo che il commercio, per potersi sviluppare perfettamente, debba avere meno ostacoli possibili, ed un numero enorme di unità di misura rappresentasse un'ostacolo alla circolazione delle merci. 
Il POD è questo: ipotizziamo che con Ducale del 22 marzo 1525 (la data è inventata ma non casuale...) venga stabilito il passaggio ad un solo sistema di misura per tutto il Dominio.
Si stabilisce un periodo di 60 anni per perfezionare la transizione, suddiviso in 3 fasi dalla durata di 20 anni ciascuna.
Nella prima si potrà continuare ad usare esclusivamente le unità di misura correnti, nella successiva si potranno ancora utilizzare le vecchie unità di misura per prezzare merci o stipula di contratti, ma dovranno essere indicati i corrisponde nelle nuove.
Nell'ultima si dovranno utilizzare solo le nuove, affiancando però quelle vecchie.
Finalmente, a partire dal 23 Marzo 1585 si dovranno utilizzare solo le nuove unità di misura.
Come potrebbe cambiare la storia?

La vittoria di Prevesa
La sconfitta di Prevesa non è imputabile solo al comportamento di Andrea Doria, ma anche alla sfortuna che, tradizionalmente, accompagna i Veneziani...
La mancanza di vento costrinse la nave ammiraglia della flotta, il Galeone di Venezia, a non prendere parte attivamente allo scontro.
Il Galeone diede comunque ottima prova perché pur attaccato da numerose galee riuscì, grazie all'armamento pesante, a non essere abbordato causando gravi danni ai Turchi.
Ipotizziamo però che il vento dia una mano ai veneziani consentendo al Galeone di impegnarsi attivamente nella battaglia.
Il risultato di Prevesa sarebbe diverso e, soprattutto, il Governo Marciano potrebbe convincersi della necessità di passare dalla flotta militare a remi a quella a vela con circa 100 anni di anticipo.
Come potrebbe cambiare la Storia Europea?

L'acquisto di Cipro
Il 29 Marzo del 1570 çavuş Kubad, ambasciatore del Sultano Selim II, venne ricevuto a Palazzo Ducale dal Doge Pietro Loredan. Pallido e tremante Kubad spiegò al Doge che il suo Signore desiderava che gli fosse consegnata l'isola di Cipro.
Il rifiuto veneziano scatenò la terribile Guerra di Cipro ma, almeno inizialmente, lo scoppio delle ostilità non era necessariamente scontato.
Una parte del patriziato era preoccupata per i costi della guerra e per il danno che la chiusura dei mercati orientali avrebbe causato al commercio.
Il Partito "Pacifista "propose di "vendere" l'isola al Sultano, soluzione che era accettabile per il Diritto Islamico.
Venezia pagava un "tributo" di 8.000 Ducati annui per il possesso dell'isola che garantiva alla Repubblica entrate per 300.000 Ducati annui. Si poteva quindi proporre a Selim di acquistare l'isola per un milione di Ducati.
Alla fine prevalse il Partito "Intervista" e furono combattute la Guerra di Cipro e la Battaglia di Lepanto.
Ma se avessero vinto i "Pacifisti", come sarebbe potuta cambiare la Storia?

L'uva passa della discordia
L'uva passa è una preparazione alimentare a base di uva da tavola, fresca, di un cultivar senza semi, "appassita" al sole.
Nell'era moderna il principale centro di produzione dell'uva passa era l'isola veneziana di Zante.
Principale acquirente della dolce specialità levantina era il regno d'Inghilterra.
Il commercio veneziano, nel XVI secolo, era organizzato in modo contorto. Tutte le merci prodotte nel territorio della Dominante dovevano essere trattate sulla piazza di Rialto, li avveniva anche il pagamento del dazio.
A partire dal 1573 i commercianti inglesi presero a disertare la piazza realtina ed a concludere i loro acquisti direttamente a Zante evitando cosi il pagamento del dazio.
Si trattava di un danno sia economico, in conseguenza del mancato incasso, sia di prestigio, a causa della minor frequentazione del porto di Venezia.
Il governo Marciano poteva risolvere almeno il problema del mancato gettito fiscale organizzando delle dogane periferiche, invece scelse di obbligare i commercianti inglesi ad effettuare i loro acquisti sul mercato di Rialto imponendo una supertassa di 10 Ducati, valuta corrente da L6S4, che doveva essere pagata da tutti quegli stranieri che acquistavano uva passa per i porti oltre lo Stretto di Gibilterra.
Gli inglesi presero molto male la nuova imposta, oltre alle proteste ufficiali del governo si sviluppò un'intensa attività sia di contrabbando sia di ricerca di nuovi mercati dove acquistare il prodotto.
Per quanto riguarda i nuovi mercati venne individuata la turca Morea, anche se, ammettiamolo, la qualità dell'uva non era quella zantina, invece per il contrabbando si ricorreva a compiacenti cittadini veneziani che, essendo esentati dal pagamento del dazio, acquistavano grosse quantità di prodotto e le facevano trasportare in Morea dove, grazie alla complicità di funzionari turchi compiacenti, come dice mia sorella "il denaro muove anche le pietre", avveniva la vendita finale ai mercanti inglesi.
Per fortuna di Venezia l'enorme aumento del consumo di uva passa nel mercato inglese tra il 1550 ed il 1640 obbligava i mercanti inglesi a frequentare comunque il mercato di Rialto, il contrabbando zantino e la Morea fornivano solo la metà del fabbisogno, ed a pagare la superimposta.
Ma se Venezia avesse scelto una politica più intelligente, dogane periferiche, oppure se Elisabetta non si fosse limitata a larvate proteste diplomatiche ed avesse dato ordine ai suoi legni corsari di trattare come nemiche tutte le navi Veneziane?

Lepanto veneziana
Come tutte le marine mediterranee anche quella Turca basava, almeno fino alla seconda metà del '600, la propria componente militare sulla galea.
I Turchi però chiedevano alle loro navi soprattutto agilità e velocità e per raggiungere lo scopo, complice anche la scarsa dimestichezza con la fusione del ferro che li obbligava ad usare solo il bronzo, limitavano l'armamento delle loro galee a 3 cannoni, di cui solo uno, quello di corsia, di grosso calibro.
Galeotte e Fuste non portavano artiglieria.
La Serenissima invece armava le proprie galee con 6 cannoni, di cui solo uno, quello di corsia, di grosso calibro, e 20 petriere.
Le galeazze invece portavano 18 cannoni, tutti di grosso calibro, e 8 petriere.
Il POD è questo, l'adesione della Serenissima alla Lega Santa nel Maggio del 1571 non era affatto scontata.
Il partito anti-papale considerava oltraggioso il coinvolgimento di 2 potenze, che in passato avevano collaborato insieme per la distruzione della Repubblica, in quella che veniva considerato un "regolamento di conti" con la Sublime Porta e riteneva l'Armata Sottile perfettamente in grado di affrontare la flotta di Meyzinoğlu Ali Pasha che si era concentrata a Lepanto.
Questa convinzione nasceva dalla consapevolezza che Ali Pasha poteva contare soltanto su 750 cannoni, 216 di grosso calibro, mentre l'Armata Sottile poteva opporre 762 cannoni, 217 di grosso calibro, e 2228 petriere.
È vero che l'arco Turco era un'arma letale, ma anche le petriere, caricate a mitraglia, lo erano altrettanto.
Purtroppo in quel periodo la vita politica della Serenissima era dominata dal partito filo-papista e la Repubblica finì per aderire alla Lega.
Ma ipotizziamo che i filo-papisti siano meno influenti e Venezia decida di combattere da sola a Lepanto.
Come potrebbe cambiare la Storia?

Le galee turche
Ipotizziamo che ad inizio '500 un gruppo di fonditori bresciano-bergamaschi, perchè stanchi del governo della Serenissima o per sete di denaro o perchè rapiti da agenti nemici, finisca per lavorare al servizio della Sublime Porta istruendo le maestranze turche nella tecnica della fusione del ferro.
Le galee turche potrebbero portare un armamento molto più pesante, questo come influenzerebbe gli eventi futuri?

Sopra li beni inculti
Uno dei punti deboli della Serenissima era l'insufficiente produzione alimentare, che costringeva, in caso di annate scarse, all'acquisto di partite di granaglie all'estero nell'Impero Ottomano. 
Per risolvere questo problema nel 1556 venne istituito il magistrato "sopra li beni inculti", che aveva il compito di valorizzare i territori paludosi della bassa padovana e vicentina.
Strumento di quest'opera furono i Retratti. 
Il Retratto funzionava cosi: espropriava i terreni paludosi, li bonificava, li restituiva ai legittimi proprietari dietro pagamento delle spese sostenute per il loro risanamento. 
Il primo Retratto istituito fu quello di Monselice, nel 1557. 
I lavori terminarono nel 1561 e furono un grande successo. 
Le terre retratte, ossia prosciugate, furono pari a 6664 campi padovani, circa 2250 ettari. 
Visto il successo dell'iniziativa furono istituiti altri Retratti, ossia quello della Brancaglia, del Gorzone e di Lozzo. 
I lavori però iniziarono tardissimo, per il Retratto di Lozzo solo nel 1580! 
Questo fu dovuto al fatto che le comunità di Monselice e i paesi limitrofi non poterono riscattare le terre retratte nella loro interezza, ma solo nella misura di un 30 %. 
La parte restante venne messa all'asta per il 20 % tra le famiglie nobili Padovane e per il 50 % tra quelle Veneziane, innescando cosi quel fenomeno di distoglimento dall'attività mercantile a favore della rendita fondiaria che caratterizzerà sempre più il Patriziato. Quest'ultimo non doveva essere coinvolto nell'assegnazione delle terre, che dovevano tornare completamente ai legittimi proprietari. 
Gli acquisti furono possibili grazie a funzionari compiacenti, ma tutto questo ritardò la conclusione dei lavori, tanto che questi si conclusero ufficialmente solo nel 1567. 
Il POD è questo, ipotizziamo che non si verifichino interferenze nell'assegnazione dei terreni, in modo tale e che i lavori degli altri Retratti partano già nel 1562. 
La Repubblica arriverebbe alla vigilia della guerra di Cipro senza l'incubo di dover chiudere le ostilità in fretta per poter acquistare granaglie in Turchia in caso di annate scarse. 
Come potrebbe cambiare la Storia?

La Regina veneta
Nel libro di Valeria Palumbo "Veronica Franco, la cortigiana poetessa" leggo che Veronica iniziò l'attività di cortigiana probabilmente nel 1564, immediatamente dopo la separazione dal marito, e che la madre inizialmente le fece da ruffiana.
Infatti nel "Catalogo di tutte le principali e più onorate cortigiane di Venezia", Venezia 1570, Veronica veniva indicata come "Vero. Franca a Santa Mar. Formo. Pieza so mare. Scudi 2". Valeria definisce bassa la, ehm..., "tariffa" di Veronica, aggiungendo che si fece presto notare e che poté alzare i prezzi a 6 scudi per un bacio e a 50 scudi per una, usando il termine del filosofo francese Montaigne, "nègociation entière". Nel "Manuale di Metrologia delle Tre Venezie e della Lombardia", lo "Scudo" del 1570 viene definito come moneta d'oro dal peso di 3.441 g e titolo 906/1000, contenente quindi 3.118 g di fino. Sempre nel "Manuale" leggo che nel 1570 il Ducato d'oro aveva peso di 3.495 g e titolo di 933/1000 e valore di 8 Lire e 12 soldi. Da queste informazioni ricavo che uno scudo corrisponde al valore di 7 Lire 14 Soldi e 6 Piccoli. Di conseguenza nel 1570 per una, ehm... ci siamo capiti..., bisognava pagare alla mamma la somma di lire 15 e soldi 9..., che non mi sembra esattamente poco. considerando che un contadino veniva retribuito con la somma di 1 lira al giorno... Inoltre nel periodo di massimo successo, che immagino all'incirca verso il 1574 anno in cui, ehm..., Veronica ha, diciamo... "entusiasmato" il futuro Enrico III, la ragazza si faceva pagare 46 lire e 7 soldi per un bacetto ed addirittura 386 lire e rotti per una, ehm... ci siamo capiti. E se Enrico III perdesse la testa per lei?
Il marito era Paolo Panizza, ricco e facoltoso medico che aveva sposato giovanissima ma da cui si era presto separata. Non mi sembra improbabile che una notte nebbiosa riceva la chiamata per un caso urgente - che so, un parto -, e mentre si reca al lavoro imbocchi la calle sbagliata e "caschi" in un canale. Così Veronica eredita tutto e grazie ai soldi e alle amicizie influenti - in pratica tutto il Maggior Consiglio era passato per il suo letto - che in HL gli servirono per farla assolvere nientemeno che dalla Santa Inquisizione, ottiene un titolo nobiliare e così plachiamo anche i tradizionalisti francesi. Veronica diventa così Regina di Francia. Certo qualche nobile potrebbe contestarne la legittimità, ma sono sicuro che le sue... ehm... particolari doti convinceranno anche i più ostici. Avremo una Regina che per raffinatezza e movenze politiche sarebbe pari alla Pompadour. Come potrebbe influenzare la politica francese?
La Franco promuoverebbe le arti e potrebbe spingere contro i Turchi (suo fratello Serafino era loro prigioniero), anche se forse sarebbe più semplice pagare il riscatto. La Franco promosse anche la creazione di case di cura per le donne indigenti e per i poveri, proposta che venne bocciata dal Maggior Consiglio, ma forse come Regina di Francia... Sopratutto se riuscisse a dare un erede ad Enrico si eviterebbe l'ascesa dei Borbone. Senza Enrico IV di Navarra niente Maria De Medici e niente Massacro di San Bartolomeo. Concini potrebbe ritagliarsi uno spazio solo perchè italiano e senza molto potere (non ha sposato la sorella di latte di Maria). Che influenza avrebbe dunque la Regina Veronica sulla Storia di Francia in uno dei suoi periodi più tumultuosi e sanguinari?

Dobbiamo fidarci?
A Gennaio 1571 Sokullu Mehmed Paşa, Sadr-ı âzam del Devlet-i Aliyye-i Osmâniyye, presentò al Governo Marciano una proposta di pace. Venezia avrebbe ceduto alla Sublime Porta l'isola di Cipro mantenendo la sovranità sulla città di Famagosta, in quel momento sotto assedio.
In HL la proposta del Gran Visir fu respinta, prolungando così l'assedio che terminerà con il martirio di Marcantonio Bragadin. Ipotizziamo invece che la Dominante scelga di accettare la proposta. Come potrebbe cambiare la Storia?

Il pepe di Venezia
Nel Maggio del 1584 Re Filippo II di Spagna, per cercare di riconciliarsi con Venezia dopo un decennio di freddezza, offrì alla Serenissima il monopolio mondiale sul pepe importato dall'Oriente, fino ad un massimale di 3 milioni di libbre all'anno, praticamente il doppio di quanto annualmente scambiato sul mercato Realtino. Oltre a ciò il re offriva anche una consistente riduzione del dazio e si impegnava a far scortare lungo il percorso le navi mercantili veneziane dalla propria flotta.
L'offerta era allettante e prometteva immensi profitti, però non mancarono voci critiche.
Alcuni patrizi fecero notare che accettare una proposta del genere avrebbe comportato la totale rovina del commercio con la Sublime Porta, e che di conseguenza il destino della Repubblica sarebbe stato legato a quello della Spagna...
Inoltre, sebbene Filippo II fosse il monarca del più grande impero che il mondo avesse mai visto, all'interno del patriziato più di qualcuno dubitava che questo impero fosse realmente in grado di durare nei secoli...
Infine i rapporti degli ambasciatori a Londra ed ad Amsterdam descrivevano nazioni la cui potenza marina aumentava di anno in anno, cosa che invece non si poteva dire di Madrid...
Sulla base di queste informazioni la Dominante decise di rifiutare la proposta Spagnola.
Il POD è questo: ipotizziamo che il Governo Marciano sia meno prudente e molto più avido, accettando quindi l'alleanza con la Spagna. Come potrebbe cambiare la Storia?

Guerra Anglo-Veneziana
La vita politica della Serenissima era dominata dallo scontro tra due "partiti" , uno filo-papale l'altro anti-papale.
Alla fine del XVI secolo il partito filo-papale era predominante a Venezia, e la, a volte, cieca obbedienza agli ordini della Curia finiva per influenzare piuttosto pesantemente la politica della Repubblica. 
Un esempio di questa negativa influenza è stato l'interruzione delle relazioni diplomatiche con l'Inghilterra durante il regno di Elisabetta. 
Venezia era un'importante partner commerciale per Londra e la mancanza di relazioni diplomatiche dirette un ostacolo al commercio. 
Per cercare di ristabilire le normali relazioni diplomatiche verso la fine del proprio regno Elisabetta autorizzó la guerra di corsa contro le navi mercantili di Venezia. 
Si trattava di assalti " sotto tono " condotti cercando di causare meno morti possibili al solo scopo di danneggiare il commercio. 
La guerra terminò improvvisamente nel 1603, in coincidenza dell'invio del nuovo ambasciatore a Londra.
Ma ipotizzando che il partito filo-papale si mantenga forte per tutta la prima metà del seicento la "guerra fredda" tra Venezia e Londra potrebbe diventare "calda"?

La Crisi dell'Interdetto
Nel 1606 nel territorio della Serenissima vennero arrestati, per reati comuni, 2 religiosi.
Le leggi della Repubblica stabilivano che per i reati comuni, indipendentemente da chi li aveva commessi, il giudizio spettava al " Tribunale del Maleficio ".
Questa legislazione non era gradita al Papa che sosteneva il diritto dei religiosi ad essere giudicati da un tribunale eclesiastico.
Al rifiuto del governo Marciano di consegnare i due religiosi il Papa lanciò l'Interdetto sulla Serenissima. 
Si trattava di una scomunica collettiva, che poneva fuori dalla comunità Cristiana tutti i cittadini della Repubblica. 
Il governo Marciano reagì proibendo che la notizia dell'Interdetto diventasse di dominio pubblico, obbligando, pena arresto o espulsione dal territorio della Repubblica, i religiosi alla celebrazione delle funzioni religiose ed alla somministrazione dei sacramenti. 
Visto il fallimento dell'Interdetto la Spagna propose al Papa un'azione militare contro la Serenissima, proposta che causò un brusco aumento della tensione tra Spagna e Francia, quest'ultima dichiarò che in caso di guerra avrebbe aiutato Venezia. 
Il rischio di un nuovo conflitto europeo venne disinnescato grazie alla mediazione del N.H. Pietro Duodo, di famiglia tradizionalmente filopapista e fratello di Francesco, eroe di Lepanto.
Pietro convinse il governo Marciano ad accettare l'aiuto della Francia. 
I due religiosi sarebbero stati consegnati al re di Francia, che a sua volta li avrebbe ceduti al Papa.
Ma ipotizzando che la mediazione di Pietro Duodo fallisca e si arrivi alla guerra tra franco-veneziano ed ispano-papalini?

Grandi opere in Laguna
La laguna Veneta, ma anche le altre, è separata dal mare da un cordone sabbioso, interrotto in corrispondenza di quelle che erano le antiche foci fluviali.
Le maree agivano, ed agiscono, sui flussi di acqua in uscita dalla laguna, provocando 2 volte al giorno un fenomeno di rigurgito che impediva al materiale sabbioso trasportato di disperdersi, facendolo accumulare in corrispondenza della foce che quindi diminuiva, progressivamente, la propria profondità fino a quando non si arrivava alla chiusura della bocca di porto.
Il pericolo di interramento del Porto di San Nicolò divenne manifesto verso il 1330, e fu da subito affrontato con energia dai tecnici della Repubblica.
Non disponendo della tecnologia necessaria alla costruzione di dighe foranee i tecnici della Repubblica agirono sull'unico fattore sul quale potevano intervenire, cioè la quantità di sedimenti che arrivava in laguna, riducendone il volume tramite la progressiva deviazione dei fiumi che sfociavano in Laguna.
Purtroppo la complicata situazione politica del Veneto costrinse la Repubblica a rimandare la regolazione idraulica per decenni, inoltre gli ingegneri della Dominante, nella loro inesperienza, avevano completamente trascurato, concentrandosi solo su Brenta, Bacchiglione, Adige e Po, il problema degli apporti sabbiosi del Piave, apporti che alla fine porteranno alla rovina del Porto di San Nicolò.
Solo verso il 1640 la Repubblica avviò i lavori per la deviazione del Piave a Cortellazzo, lavori tra l'altro portati a termine in ritardo a causa della Guerra di Candia.
Ipotizziamo che il Governo Marciano decida già nella seconda metà del XV secolo, appena effettuato il primo intervento di deviazione del Brenta, di procedere alla deviazione del Piave, preservando così l'officiosità del Porto di San Nicolò almeno fino al XVIII secolo.
Come potrebbe cambiare la Storia?

La Valtellina austriaca.
Il massacro nel Luglio 1620 della popolazione Protestante in Valtellina per mano dei Cattolici filo-Spagnoli fu l'episodio scatenante la Guerra della Valtellina, combattuta tra Francia e Spagna nel periodo dal 1620 al 1626.
Sebbene sollecitata da Parigi ad intervenire militarmente nel conflitto la Repubblica scelse di non abbandonare la sua tradizionale politica di neutralità, limitandosi all'alleanza politica con la Corte Francese ed all'aiuto economico ai Grigioni.
Immaginiamo che il Governo Marciano abbandoni l'ossessione dell'assedio Asburgico e scelga di intervenire nel conflitto a fianco della Spagna.
La Valtellina verrebbe aggregata al Ducato di Milano e nel XVIII secolo si avrebbe la continuità territoriale tra Lombardia Austriaca e Tirolo.
Nel 1796 i resti dell'esercito Austriaco evacuerebbero la Lombardia passando per Bormio ed a Napoleone mancherebbe un valido pretesto per entrare in territorio Veneto.
Come potrebbe cambiare la Storia?

Lemno e Tenedo
Durante la prima fase della Guerra di Candia, dal 1647 al 1657, la strategia del governo Marciano è stata quella di impedire l'arrivo di rifornimenti al corpo di spedizione Turco a Creta.
Per raggiungere lo scopo venne organizzato un blocco navale di fronte ai Dardanelli.
Non solo le navi Ottomane non potevano uscire dagli Stretti ma veniva impedito a tutte le navi, indipendentemente dalla loro nazionalità, di proseguire in direzione di Istanbul.
Anche intorno a Creta era stata imposta una quarantena simile.
Questo non impediva i rifornimenti al corpo di spedizione, ma li rendeva, però, discontinui ed estremamente costosi.
Era infatti necessario trasportarli via terra fino ad un porto sulla costa anatolica e li imbarcarli su una nave battente bandiera europea, generalmente Francese o Inglese, appositamente noleggiata allo scopo, in modo tale da aumentare le possibilità di passare inosservati alle navi Veneziane.
Ma in questo modo si riusciva a " mantenere vivo " il corpo di spedizione, ma non a consentirgli un'azione efficace contro le forze Veneziane arroccate a Candia.
Per uscire da questa " impasse " la Sublime Porta ordinò, verso la metà di Giugno del '56, al Kapudan Pashà Sinaù di forzare il blocco, uscendo dagli Stretti con tutta la flotta.
Il tentativo, a cui presero parte 28 Sultane 8 Maone e 40 Galee, si risolse in un cocente sconfitta.
Verso sera Sinaù Pashà riuscì a rientrare negli Stretti con solo 14 Galee, il resto della sua flotta, e 15000 uomini della stessa, stavano. per dirla alla siciliana, dormendo coi pesci...
I Veneziani nelle settimane seguenti approfittarono del momento di totale superiorità per occupare le isole di Lemno e Tenedo.
Il POD è questo: ipotizziamo che invece di sprecare energie per occupare quelle isole il governo Marciano ordini di agire contro il corpo di spedizione Turco a Canea, che ormai non aveva più neanche la polvere nera a sufficienza per i cannoni, come potrebbe cambiare la Guerra di Candia?

Cromwell e Venezia
Nell'inverno 1655-1656 all'interno del Patriziato era ormai diffusa la convinzione che le sole forze della Repubblica non fossero sufficienti e che l'unico modo per sconfiggere la Sublime Porta fosse l'alleanza con altre nazioni europee.
In Italia nessuno era disposto ad aiutare la Dominante...
Genova, l'antica nemica, rifiutava il proprio aiuto a meno che le sue navi, in verità poche..., non avessero avuto la precedenza, in pratica il comando delle operazioni, ed anche il Papa si negava aiuto a meno che la Repubblica non revocasse il bando contro i gesuiti.
Il Regno di Francia, a causa della sua alleanza col Turco, era impossibilitato a fornire aiuto militare e si limitava a portare avanti le trattative diplomatiche.
Il Regno di Spagna era disponibile ad aiutare Venezia ma la Pars Occidentalis Imperium Habsburgensis poteva contare nel Mediterraneo solo su 23 galee e 20 galeoni e comunque, secondo la relazione del N.H. Domenico Zane, Ambasciatore della Repubblica a Madrid, la qualità degli equipaggi e degli armamenti era talmente bassa che un loro coinvolgimento nel conflitto sarebbe stato più un aiuto per la Sublime Porta che per Venezia.
La Repubblica delle Sette Province Unite aveva noleggiato alla Dominante praticamente tutta la propria flotta a vela, composta da 24 galeoni, ed ogni ulteriore aiuto era impossibile.
Restava solo la Repubblica Inglese, al cui Doge Oliver Cromwell l'Ambasciatore Veneziano Giovanni Sagredo chiese un intervento militare.
Purtroppo per Venezia Cromwell, preoccupato per i danni che avrebbe causato al commercio un coinvolgimento Inglese nella guerra, poté rispondere solo con belle parole...
Ma ipotizziamo che Cromwell sia meno preoccupato dei possibili danni al commercio e decida di intervenire gettando nella mischia tutta la potenza del naviglio inglese: come potrebbe cambiare la Storia?

Lazzaro, vieni fuori!
Durante la Guerra di Candia la strategia Veneziana del blocco dei Dardanelli è stata l'unica che ha portato a risultati degni di nota.
Purtroppo la morte nel 1657 di Lazzaro Mocenigo fece optare io Governo Marciano per una diversa strategia basata sulla guerra di movimento, strategia che non condurrà a risultati interessanti e che si concluderà con la cessione di Candia alla Sublime Porta.
Il Mocenigo era inoltre un forte sostenitore della necessità da parte della Repubblica di dotarsi di una propria flotta di navi a vele quadre, ritenendo inefficace il noleggio di Galeoni Olandesi.
Ipotizziamo invece che Lazzaro Mocenigo non muoia nel 1657. Verosimilmente la Repubblica proseguirà nella strategia del blocco navale ai Dardanelli, anticipando inoltre di almeno un decennio la creazione del primo nucleo di quella che diverrà l'Armata Grossa. Come potrebbe cambiare la Storia?

Morosini e le navi a vela
All'inizio della Guerra di Candia all'interno del Patriziato vi era unanimità sulla necessità di affiancare alla flotta a remi una componente a vela.
Non vi era tuttavia unanimità sul modo in cui arrivare a questo risultato.
La maggioranza riteneva che il noleggio fosse il sistema migliore, facendo notare che il costo di una nave a vela era quasi sei volte quello di una galea, senza considerare la spesa necessaria per adeguare gli squeri dell'Arsenale, e che con la stessa somma si poteva noleggiare una nave a batteria Olandese per tre anni.
La minoranza invece sosteneva che strumenti indispensabili per la sicurezza dello Stato dovessero essere di fabbricazione nazionale, e ricordava come l'affidarsi solo al nolo esponeva al pericolo che le navi non fossero più disponibili, com'era accaduto tra il 1665 ed il 1667 quando, a causa dello scoppio della Seconda Guerra Anglo-Olandese, le navi noleggiate dalla Dominante avevano dovuto fare ritorno nei mari del nord.
Ma nonostante questo episodio l'atteggiamento del Patriziato restò essenzialmente ancorato all'idea del nolo, a far cambiare mentalità fu la Terza Guerra Anglo-Olandese.
Le fasi iniziali di questo conflitto videro la Repubblica delle Sette Province Unite in estrema difficoltà di fronte all'alleanza Anglo-Francese, tanto che Venezia credeva che Amsterdam non sarebbe riuscita a sopravvivere alla guerra.
Come conseguenza il Governo Marciano deliberò l'inizio dei lavori per l'adeguamento degli squeri dell'Arsenale ed ordinò allo stesso i vascelli "Fama", "Drago Volante", "Madonna della Salute", "Venere Armata" e "Venezia Trionfante".
Sebbene Francesco Morosini non sopportasse le navi a vela la loro presenza si rivelò fondamentale nelle fasi iniziali della Prima Guerra di Morea.
L'Armata Grossa che navigava in Egeo impressionò fortemente gli Ammiragli Turchi, convincendoli a non uscire dagli Stretti.
La mancanza della Marina Ottomana consentì a Morosini di effettuare le operazioni di sbarco che dal 1685 al 1687 gli consentirono di conquistare tutta la Morea.
Il POD è questo. Ipotizziamo che le fasi iniziali della Terza Guerra Anglo-Olandese vedano un netto successo di Amsterdam, nel Governo Marciano si rafforzerebbe la convinzione di poter noleggiare all'occorrenza le navi di cui ha bisogno in Olanda.
Ma dall'Olanda all'Adriatico la strada è lunga e Venezia non avrebbe a disposizione subito un deterrente per proteggere l'esercito durante l'assedio di Corone.
Come potrebbe cambiare la Storia?

Nicolò Duodo Doge
Tempo fa ho letto il libro di Cristina Bertazzo "Metamorfosi a Villa Duodo", dedicato alla descrizione ed interpretazione del ciclo scultoreo, opera di Tommaso Bonazza, che decora facciata e giardino della villa.
Nel libro Cristina riporta anche alcune informazioni biografiche sui vari personaggi che, a vario titolo, contribuirono all'opera, naturalmente tra di loro c'è anche il committente.
A pagina 122 leggevo che nel 1712 Nicolo Duodo era stato nominato ambasciatore presso la Santa Sede, incarico che aveva inizialmente cercato di evitare facendosi nominare Bailo a Costantinopoli, ma che finì per accettare, nel 1713.
Il desiderio del Duodo di assumere l'incarico di Bailo a Costantinopoli veniva spiegato da Cristina con la maggiore retribuzione che spettava al Bailo, anche se mi sembrava strano che un uomo come Nicolò, che el jera incalcà de schei come un ovo, fosse interessato al lato venale della cosa...
Mi aveva colpito il fatto, ma questa è una semplice curiosità, che Duodo rinunciasse all'incarico tanto desiderato proprio nel 1713, cioè alla vigilia della Seconda Guerra di Morea, evidentemente aveva orecchi fini...
Qualche giorno fa terminavo di leggere il libro di Guido Ercole "Vascelli e fregate della Serenissima".
A pagina 250, nella scheda del Primo Rango classe "Leon Trionfante" Buon Consiglio, leggevo che nella Primavera del 1771 la nave trasportò a Costantinopoli il nuovo Bailo Paolo Renier.
Quindi, nella Primavera del '71 Renier veniva nominato Bailo a Costantinopoli, nella primavera del '78 faceva ritorno a Venezia e 9 mesi dopo, 19 Gennaio del 1779, veniva eletto Doge.
Non è che il Bailato a Costantinopoli era cosi ambito in quanto propedeutico all'elezione a Doge?
Credo di si, anche perchè nel 1719, quando sarebbe terminato il periodo del Bailato, il Doge Giovanni Corner avrebbe avuto 72 anni, età per l'epoca molto avanzata, in HL infatti Corner è morto nel 1722.
Il POD è questo: ritardiamo la scoppio della Seconda Guerra di Morea al 1720, Duodo ha tempo di svolgere il suo periodo di Bailato a Costantinopoli ed alla morte di Corner viene eletto 112° Doge della Repubblica, in questa TL Alvise Mocenigo non fa in tempo a mettersi in mostra sconfiggendo i Turchi in Dalmazia.
Il Dogado di Nicolò termina con la sua morte nel 1742, non abbiamo l'elezione di Alvise Pisani nel 1735, Secondo POD: niente elezione di Pisani, niente Villa Piani oggi Nazionale a Strà come cambia l'aspetto della Riviera del Brenta?, e neppure quella di Pietro Grimani nel 1741.
Nicolò Duodo era un "riformista", ritengo che la sua elezione ed un lungo Dogado darebbero forza al partito riformista.
Duodo era tra i sostenitori della necessità dell'apertura del Maggior Consiglio alle famiglie più ricche della terraferma, magari si potrebbe arrivare a questo risultato intorno al 1730 invece che nel 1774.
Una grossa presenza di famiglie " nuove " modificherebbe la politica veneziana negli anni successivi.
Cosa ne pensate?

Morea addio
La seconda guerra di Morea ha visto contrapposte per il possesso del Peloponneso tra il 1715 ed il 1718 Venezia e la Turchia. La guerra si concluse con un "pareggio", Venezia fu costretta a cedere la Morea ma mantenne Cerigo, Butrinto e le isole Ionie. Il progetto originale della Sublime Porta non prevedeva però
ingrandimenti territoriali. Le condizioni di pace prevedevano la restituzione a Venezia dei territori persi durante la guerra, Venezia a sua volta avrebbe smantellato le fortificazioni esistenti nello " Stato da Mar ", ceduto la flotta a vela quadra, si sarebbe impegnata a non costruirne più ed avrebbe mantenuto, per la propria sicurezza, solo l'ormai arcaica flotta a remi.
In pratica la Serenissima sarebbe diventata una sorta dì protettorato, un territorio di passaggio da utilizzare nella prossima guerra contro l'Austria.
Sarebbe stata una soluzione più felice per Venezia?"

La sfortuna del Golfo di Laconia
La storia della Serenissima è spesso caratterizzata da una grande sfortuna.
Un esempio di questa sfortuna è la battaglia del 19 Luglio 1717 nel golfo di Laconia, in cui l'Armata Grossa, forte di 26 navi a cui vanno aggiunti anche 7 vascelli alleati Portoghesi, prevalse sulla flotta Turca che schierava 35 sultane a cui si aggiungevano altre 17 navi nolleggiate ad Istambul in tutta fretta per riempire i vuoti causati dalla sconfitta di Corfù.
Per poter armare in fretta le navi noleggiate erano state disarmate le fortificazioni costiere dei Dardanelli e di Nauplia. Durante la battaglia il Capitano Generale Andrea Pisani era riuscito a porre la flotta Turca tra la costa e l'Armata Grossa in modo tale da spingere la prima a sfasciarsi sugli scogli.
Pisani pregustava già la vittoria quando, inopportuna come non mai, giunse l'Armata Sottile...
Per i Turchi fu un invito a nozze, iniziarono subito a bersagliare le galee veneziane coi cannoni delle sultane, Pisani fu costretto ad intervenire in difesa delle galee, lasciando cosi alle navi Turche la possibilità di fuggire...
I Turchi non furono i soli a fuggire.
Anche le navi Portoghesi, che erano arrivate solo il 1 Luglio, terminata la battaglia e rattoppati i danni fecero vela verso occidente, ripassarono lo Stretto di Gibilterra e non si fecero mai più rivedere...
Ipotizzando però che l'Armata Sottile giunga in ritardo dando cosi il tempo a Pisani di distruggere la flotta Turca come cambierebbe il corso della Seconda Guerra di Morea?

C'era Cerigo
La perdita della Morea nel 1718 costrinse il Governo Marciano a trasferire la sede del Provveditore Generale da Mar da Napoli di Romania a Corfù.
Tra le conseguenze dello spostamento della flotta vi fu il ripensamento della politica estera della Serenissima, che si cristallizzò su posizioni di pura conservazione dell'esistente. Tuttavia Corfù non era l'unica scelta possibile per la Repubblica, l'isola di Cerigo era una delle possibili alternative.
Ipotizziamo che nel 1721, una volta stabilito il confine con la Sublime Porta tramite la Linea Mocenigo, il Governo Marciano decida di spostare la sede del Provveditore Generale da Mar a Cerigo. Che accade?

I Granchi zoppi
L'obiettivo principale della Sublime Porta nella Seconda Guerra di Morea, la conquista delle Isole Ionie, non era stato raggiunto.
Non erano bastate allo scopo le 60 Sultane e le 100 Galee fatte approntare dal Kapudan Pascia Janun Hogia.
Janun Hogia stesso nel corso della guerra era stato, per "scarso rendimento", privato del comando ed imprigionato.
Reintegrato nel suo ruolo al termine della guerra si era impegnato anima e corpo nella ricostruzione della Marina Ottomana.
Ossessionato dall'idea di vendicarsi di coloro che lo avevano umiliato, Hogia si era posto un'obiettivo estremamente ambizioso, una flotta di 100 Sultane con cui schiacciare i "Granchi zoppi", nome che i Turchi usavano per identificare i Veneti, in un solo, brutale, colpo.
Purtroppo per Hogia all'inizio degli anni '30, quando le condizioni per una nuova guerra contro Venezia sembravano perfette, un imprevisto cambiamento della politica estera Ottomana vanificò tutto il suo lavoro...
I "Fireng harceng leng", i "Veneziani granchi zoppi", non erano più il Nemico da combattere.
Agli occhi della Sublime Porta gli sforzi dell'Impero andavano rivolti contro gli "Alman biaman", i "Tedeschi spietati", ed in quest'ottica Venezia poteva persino assumere un ruolo da alleati.
Ipotizziamo però che la svolta nella politica Ottomana non avvenga e che Hogia, nel '33, attacchi Corfù con le sue 100 Sultane. Come cambierebbe la Storia?

Dolfin, che cosa fai?
L'andamento disastroso della fase iniziale della Seconda Guerra di Morea è conseguenza dell'atteggiamento rinunciatario del Capitano Generale da Mar Daniele Dolfin.
Il Governo marciano, tra le altre cose, gli rimproverava di non aver portato l'Armata Grossa di fronte ai Dardanelli ad inizio 1715, in modo da impedire, o quanto meno ostacolare, l'uscita della flotta Turca.
Dolfin si difese sottolineando la disparità delle forze a sua disposizione, ricordando come lui a Dicembre 1714 disponesse di 22 navi contro le circa 50 che poteva utilizzare Il Kapudan Pascià Januch Hogia.
Il Governo Marcianò ribatteva che 8 di quelle 22 navi erano vascelli di Primo Rango, 7 dei quali modernissimi, mentre la flotta di Hogia era in gran parte, dati dell'intelligence Veneziana, armata con pesantissimi cannoni di bronzo.
Le navi erano talmente pesanti da imbarcare acqua dalla batteria bassa, costringendo gli equipaggi ad un continuo e massacrante lavoro alle pompe.
Inoltre, a causa dell'insufficiente capacità produttiva delle fonderie imperiali, per armare le navi si erano disarmati i forti costieri dei Dardanelli e di Istanbul.
Il POD è questo, ipotizziamo che Dolfin porti ad inizio primavera del 1715 l'Armata Grossa in Egeo, per intercettare Hogia nel momento in cui uscirà dagli Stretti.
Hogia non potrebbe contare sulla protezione delle batterie costiere e dovrebbe fare affidamento solo sull'armamento delle sue enormi, e lente, navi.
Uscire dagli Stretti non sarebbe facile e, anche ammettendo che i Veneziani non riescano a ripetere l'impresa del 26 Giugno 1656 Hogia non avrebbe forze sufficienti per aiutare le truppe di terra nell'assedio di Nauplia.
Come potrebbe cambiare la Storia?

Unione Monetaria Settecentesca
Nella prima metà del XVIII secolo la valuta circolante nell'Arciducato d'Austria era il Gulden d'argento, contenente 11.69 g di fino, suddiviso in 20 Groschen. Nell'Impero Ottomano la valuta circolante era lo Juslic, suddivisa in 100 Para. 5 Gulden corrispondevano ad 1 Juslic, per cui Groschen e Para avevano identico valore. I vantaggi di una tale decisione sono evidenti, monete di identico valore non richiedono l'intervento di cambiavalute facilitando enormemente in questo modo i commerci. Esattamente come per il nostro Euro, checchè ne dicano i detrattori... Nella Veneta Serenissima Repubblica la valuta circolante era la Lira Veneta d'argento, contenente 2.42 g di fino, suddivisa in 20 Soldi. Non abbiamo una corrispondenza perfetta per il valore, 1 Para turco corrisponde a 4.83 Soldi veneti. Il POD è questo, come sarebbe cambiata la storia dell'Europa se Arciducato d'Austria, Veneta Serenissima Repubblica ed Impero Ottomano si fossero accordati, magari già dopo Passarowitz, per avere una unità di conto comune? Per la Serenissima questo si realizzerebbe stabilendo che la Lira debba contenere 2.338 g di fino.

I boschi banditi
Per garantirsi la materia prima necessaria per l'Arsenale alcuni boschi della terraferma, tra cui quelli del Cansiglio, Montello e Rovolon divennero " banditi ".
Si trattava di un particolare status in cui il bosco, pur rimanendo di proprietà di un privato, ente ecclesiastico o comunità, veniva dichiarato di pubblica utilità ed il taglio degli alberi proibito. 
Il proprietario del fondo poteva esercitare alcuni diritti, tipo caccia e raccolta della flora commestibile, raccolta di foglie o altro derivante da attività di pulitura e pascolo, controllato, degli animali.
I boschi andavano dichiarati all'estimo, potevano essere alienati e su di essi si pagavano le tasse.
Non si poteva effettuare il taglio degli alberi, a meno di non possedere speciali autorizzazioni e gli alberi stessi erano inventariati.
Sebbene causa di tensioni coi privati, il legno di rovere era richiestissimo nell'edilizia sia nell'attività molitoria, un rovere si vendeva a 10 Ducati, valuta corrente da L6S4, il sistema dei boschi banditi funzionò abbastanza bene fino alla caduta della Repubblica preservando i preziosi roveri indispensabili per l'Arsenale. 
Il grande nemico di Venezia, la Sublime Porta, invece non cercò mai di creare delle " riserve " di legname pregiato, preferendo acquistare via via il necessario. 
A volte, in corrispondenza di momenti di particolare necessità, si utilizzava legname di seconda scelta o di essenze non adatte alle costruzioni navali.
La pace di Passarowitz aveva lasciato scontenta la Sublime Porta, la riconquista della Morea era solo l'obiettivo secondario della guerra, e sia la Porta che il governo Marciano sapevano che in futuro sarebbe stata necessaria una terza guerra.
Per non correre il rischio di trovarsi impreparata la Porta negli anni '30 del XVIII secolo effettuò grandi acquisti di legname pregiato.
La tensione tra Venezia ed Istanbul salì per tutta la prima metà degli anni '40 per poi stemperarsi di colpo nel 1745.
In quell'anno un colossale incendio, scoppiato " casualmente ", distrusse completamente l'arsenale di Istanbul ed i suoi, costosissimi, depositi di legname.
Le inchieste turche dimostrarono, al di la di ogni ragionevole dubbio, la " casualità " dell'incidente. 
La cantieristica Turca fu costretta a ripartire da 0 e la nuova guerra contro Venezia venne rimandata a data da decidersi.
Ma se il provvidenziale incendio non si fosse scatenato?

La Grande Deviazione
La Repubblica ha combattuto per secoli una guerra contro due spietati nemici che la attaccavano su due fronti.
Da un lato c'era il mare, legittimo consorte, di cui la Dominante doveva tenere sotto controllo l'azione di erosione che minacciava l'esistenza dei lidi che garantivano la separazione tra mare e laguna.
Dall'altro invece c'erano i fiumi, figli bastardi..., che con le loro torbide rischiavano di interrare la laguna della mamma...
Per risolvere quest'ultimo problema vennero effettuati numerosi lavori di deviazione del corso dei fiumi, non sempre ben riusciti...
Il primo di cui la Dominante mutò il corso è la Brenta, fiume dell'odiata nemica Padova, che con le sue torbide minacciava la stessa Rialto.
Gli interventi di diversioni vennero portati avanti nel corso di 200 anni, senza una raale pianificazione, limitandosi a cercare di allontanare quanto più possibile il fiume.
Allo scopo si procedette inizialmente alla riattivazione del vecchio alveo che portava a Malamocco, per poi procedere alla definitiva estromissione tramite lo scavo di un nuovo alveo, la Brenta Nova, tra Sambruson e Brondolo.
La soluzione non era brillante, il nuovo corso era lungo e caratterizzato da scarsa pendenza, le acque erano pigre e in caso di piena si avevano frequenti straripamenti.
Ma la Brenta non era l'unico fiume pericoloso per la laguna, ad est c'erano il Sile, che metteva in pericolo Torcello, la Piave che minacciava il porto di San Nicolò, e la Livenza che interrava la laguna di Caorle. 
Nel corso del XVII secolo venne studiata una soluzione per estromettere Piave e Sile dalla Laguna, deviando il primo fino a Santa Margherita, rendendolo cosi affluente del Livenza, ed il Sile nell'alveo abbandonato del Piave.
La soluzione salvaguardava Venezia ma condannava Caorle, le famiglie Caorlotte che sedevano nel Maggior Consiglio presentarono una Parte per attuare una Grande Deviazione. 
In pratica si chiedeva lo scavo di un nuovo alveo che avrebbe intercettato Livenza, Piave e Sile e condotto le loro acque nella Brenta Nova e quindi a Brondolo. 
La proposta era suggestiva, in questo modo tutto il Dogado sarebbe stato salvo, ma fortunatamente gli ingegneri idraulici ascoltati al riguardo espressero parere totalmente negativo. 
Fecero notare che il volume d'acqua che avrebbe dovuto scorrere nella Brenta Nova era enorme, circa 400 mc / sec in media, ed a causa della scarsa pendenza la velocità di scorrimento sarebbe stata bassissima, in pratica il fiume avrebbe esondato con qualsiasi condizione meteo diversa dall'optimum.
Stranamente il parere degli ingegneri fu ascoltato e la Parte respinta.
Ma cosa sarebbe accaduto se la Parte fosse stata approvata e la Repubblica avesse creato artificialmente il secondo più grande fiume della penisola?

L'Arsenale di Zara
Uno dei problemi che hanno afflitto la Veneta Serenissima Marina nel corso del XVIII secolo, e che secondo l'opinione dello scrivente contribuì, almeno in qualche misura, alla decisione della Repubblica di mantenersi neutrale, era lo scarso armamento delle proprie navi.
Infatti, mentre il peso di bordata della batteria di un Téméraire era di 504 libbre Francesi l'omologo Veneziano classe Leon Trionfante poteva contare su una bordata di sole 336 libbre Francesi, con una differenza a sfavore del transalpino di ben 168 libbre.
Tale debolezza non derivava dall'incapacità dei Marangoni dell'Arsenale ma dalle caratteristiche tipiche della Laguna nel XVIII secolo, da me analizzate in precedenti contributi, che imponevano alle navi Venete forti limitazioni in termini di sagoma e pescaggio.
Ipotizziamo che il Governo Marciano decida ad inizio XVIII secolo il trasferimento delle strutture produttive dell'Arsenale da Venezia alla fedelissima Zara.
Gli architetti dell'Arsenale non sarebbero limitati dai bassi fondali dell'alto Adriatico e potrebbero sbizzarrirsi nelle loro realizzazioni e nel 1784 l'Ammiraglio Emo, partendo per Tunisi, non si alzerebbe la sua bandiera su una Fregata Grossa ma su un mostruoso 3 ponti da 120 cannoni. Come potrebbe cambiare la Storia?

Il Giuspatronato.
Giuspatronato è la forma italianizzata di Jus patronatus. Si trattava del diritto, concesso ad un laico, di scegliere un religioso, ad esempio il parroco di una parrocchia, in cambio del mantenimento dello stesso e degli edifici religiosi.
Nella Veneta Serenissima Repubblica la nomina dei Vescovi del Dogago era giuspatronato del Serenissimo Principe.
Questo diritto venne usurpato nel 1510 da Papa Giulio II durante la Guerra della Lega di Cambrai.
Per secoli la Repubblica protestò con la Santa Sede per questa prevaricazione, ma la necessità di mantenere buoni rapporti col Papa a causa del costante pericolo Turco impedirono una efficace azione politica.
Solo nel 1753, a conclusione della Crisi scoppiata tra la Repubblica e la Santa Sede a causa della soppressione del Patriarcato di Aquileia, a Venezia fu restituito il Giuspatronato sulle diocesi di Chioggia, Torcello e Caorle, sull'arcidiocesi di Udine e sul Patriarcato di Venezia.
Il POD è questo, ipotizziamo che nel 1606, durante la crisi dell'Interdetto il governo Marciano, esasperato da questa seconda gravissima ingerenza Romana, decida di recidere i legami con Roma nominando il Doge Capo Supremo della Chiesa Veneta e ripristinando il Giuspatronato non solo per le diocesi del Dogado ma anche, come già rivendicato da Venezia, su tutte le diocesi del Dominio.
Come potrebbe cambiare la storia?"

Happy Dey.
250.000 Zecchini in contanti a titolo di risarcimento per i 25 Tripolini morti a Zara in uno scontro con le navi della Veneta Serenissima Marina.
Qualora la richiesta non fosse stata esaudita 25 schiavi Veneti sarebbero stati giustiziati sulla pubblica piazza.
Questo era quanto Alì Karamanli, Dey di Tripoli, aveva comunicato alla Repubblica nella Primavera del 1766 attraverso l'Ambasciatore Plenipotenziario Haggi Abdularam.
Come reazione alla minaccia il Senato, in data 24 Maggio 1766, decretò di affidare a Jacopo Nani, Capitano delle Navi, una squadra composta dalle navi San Michele, Vigilanza, Tolleranza, San Vincenzo, Santissimo Crocifisso, Redentor, Spirito Santo, Natività del Signore, Sacra Famiglia, Regina degli Angeli, Fedeltà ed Angelo Custode.
La squadra Veneta comparve nelle acque Tripoline il 4 Agosto, provocando il panico tra la popolazione civile che temendo il bombardamento si diede ad evacuare la città.
In realtà questa misura non fu necessaria in quanto il Dey decise di risolvere la crisi diplomaticamente restituendo le 5 navi che i suoi corsari avevano catturato nel Golfo, catture peraltro proibite dal Trattato di Pace che il Dey stesso solo pochi anni prima aveva firmato con la Repubblica, liberando i prigionieri, riconsegnando i beni predati ed accettando di pagare alla Repubblica, a titolo di risarcimento, 12600 Zecchini.
Non disponendo tuttavia di una simile somma in contanti il Dey si accordò col Console Veneziano Giuseppe Ballovich per una fornitura a titolo gratuito di 10000 Moggia di sale di prima scelta per un valore commerciale di 14000 Zecchini.
Immaginiamo invece che il Dey rifiuti di comporre diplomaticamente la crisi costringendo il Capitano delle Navi ad ordinare il bombardamento di Tripoli. Che accade? La Prima Guerra Barbaresca si combatterà tra gli Stati Barbareschi e Venezia, non gli Stati Uniti?

I "1780"
Al termine della seconda guerra di Morea il governo Marciano stabilì la consistenza dell'Armata Grossa in 30 vascelli di primo rango, di cui 10 in servizio a Corfù e 20 in riserva in Arsenale.
A partire dal 1750 il diminuito rischio di una guerra con la Turchia e l'aumentato pericolo dei corsari barbareschi spinsero i vertici della Marina Veneta a modificare le loro richieste.
Agli enormi, ma lenti, vascelli di primo rango, perfetti per disalberare le altrettanto enormi e lente "sultane" turche si iniziarono a preferire le meno potenti, ma più veloci, fregate, perfette per compiti di polizia.
La tecnologia dei primo rango subì praticamente un arresto, l'ultima serie costruita furono i "San Carlo Borromeo" del 1744.
Alla fine degli anni '70 il Capitano delle Navi Emo, N.H. Angelo Emo riuscì a convincere il governo Marciano che, pur restando indispensabili le fregate, era tempo che Venezia riprendesse la costruzione di vascelli di primo rango ispirandosi alle nuove navi della Marina Britannica. 
Stranamente Emo, N.H. Angelo Emo, fu ascoltato, venne ordinata all'Arsenale una nuova serie di vascelli di primo rango chiamati genericamente Classe "1780".
Si trattava delle navi più grandi mai costruite a Venezia, oltre 56 m di lunghezza, su di esse Emo desiderava sperimentare la chiglia rivestita in rame, recente invenzione britannica giunta in laguna grazie ad un'abile opera di corruzione di ufficiali londinesi. 
Il primo dei "1780" sarebbe dovuto essere l'ammiraglia di Emo, purtroppo la burocrazia veneziana fu inflessibile...
C'erano ancora in Arsenale dei Leoni e dei San Carlo, il "1780" sarebbe stato varato solo esauriti questi...
Alla fine l'unica Marina che poté utilizzare i "1780" fu quella francese, in cui furono inseriti dopo la confisca conseguente agli eventi del 12 Maggio 1797.
Ma ipotizzando che, per una volta, la burocrazia veneziana non sia cosi granitica e consenta il varo almeno del primo vascello della serie?

Il Gran Rifiuto
« Savio agli Ordini, Presidente aggiunto al Collegio della Milizia da Mar, Provveditore alle Biade, Provveditore alle Fortezze, Aggiunto ai Riformatori dello Studio di Padova, Savio alla Mercanzia, Provveditore agli Ori e alle Monete, Savio alle Acque, Nobile a Pietroburgo. » Questo era il Cursus Honorum del Nobil Homo Ferigo Foscari quando con Parte del 6 Giugno 1790 fu designato come Bailo presso la Sublime Porta.
Durante la sua permanenza sulle rive del Bosforo fu avvicinato, 9 Luglio del '96, dall'Inviato Francese Raymond Verminac che gli presentò la proposta del suo Governo relativa ad un alleanza difensiva Franco-Veneto-Ottomana in funzione anti Austriaca ed anti Russa.
Il 22 Agosto il Governo Marciano, tramite il Bailo, rifiutò ufficialmente la proposta.
Ipotizziamo invece che la Proposta Verminac sia accettata. Come potrebbe cambiare la Storia?

Napoleone sulla "Muiron"
Attualmente sto leggendo il libro di Guido Ercole "Vascelli e fregate della Serenissima - Navi di linea della Marina veneziana 1652 - 1797".
A pagina 258 mi sono imbattuto in un'informazione interessante, da cui salta fuori un POD.
Il 13 maggio 1789, sullo squero 11 della Novissima Grande, venne impostata dall'architetto Andrea Chiribiri una fregata leggera, lunga 45.9 m, larga 11.63 ed armata con 44 cannoni, di cui 28 da 30 libbre in corridoio e 16 da 10 libbre in coperta.
La costruzione della nave fu proseguita dall'architetto Andrea Calvin ed infine varata il 6 agosto 1797.
Vi starete, giustamente, chiedendo perchè vi annoio con queste notizie e, in nome del cielo, dove stia il collegamento tra una fregata leggera veneziana e l'Imperatore dei Francesi...
E' presto detto: se rileggete la data del varo noterete come la nave sia scesa in acqua non sotto il governo del Serenissimo Principe, decaduto ormai da quasi 3 mesi, ma durante l'esperienza della municipalità provvisoria, cioè durante la prima occupazione francese.
Questa nave, insieme alla gemella sullo squero 21 ed ad altre, venne aggregata alla flotta francese con il nome di La Muiron.
Si tratta della nave con cui l'Imperatore dei Francesi (OK, non lo era ancora ma preferisco Imperatore dei Francesi a Generale Bonaparte...) rientrò in Francia riuscendo a forzare il blocco navale Inglese dopo il fallimento della spedizione in Egitto.
L'Imperatore apprezzò molto la nave, veloce come una corvetta, robusta come un primo rango e dotata di un armamento più che dignitoso.
A questo punto, giustamente, starete pensando che, ok, il collegamento con l'Imperatore c'è ma, in nome del cielo, quale sarebbe il POD?
Eccolo, come ricorderete nell'Estate del 1787 i rapporti del Console a Parigi iniziarono a farsi particolarmente allarmanti, paventando l'imminente collasso del Regno di Francia e lo scoppio di una nuova, devastante, guerra europea. Il governo Marciano, però, riteneva impossibile un'estensione all'Italia del futuro conflitto e decise.., di non fare assolutamente niente...
L'unica, labile, precauzione presa fu quella di cercare di accelerare la trattative di pace col Bey di Tunisi.
In Arsenale le cose continuarono come negli ultimi 50 anni, non essendoci indizi di una guerra le costruzioni navali si limitavano a Fregate Grosse e Leggere, perfette per la lotta alla pirateria.
Ma ipotizziamo che il Doge Paolo Renier, ed il suo successore Ludovico Manin, temano che un grande conflitto europeo potrebbe essere la scusa che il Turco attende da 80 anni per regolare i conti con Venezia e diano quindi la massima priorità alla costruzione in Arsenale di vascelli di primo rango, lasciando perdere le Fregate, Napoleone non avrebbe una nave veloce e robusta con cui cercare di forzare il blocco.
Come potrebbe cambiare la storia?

Il Corsaro di Venezia
Il Pallade era una fregata leggera da trasporto, lunga 42,42m e larga 11,13 armata con 24 cannoni da 20 libbre.
Varata il 3 Maggio 1786 fece parte della squadra veneziana impegnata contro Tunisi. 
Il 12 Maggio del 1797 la nave si trovava in mare, agli ordini del capitano Corner, N.H. Andrea Corner, impegnata in missione di vigilanza.
Avvertito in mare della caduta della Repubblica il Corner rifiutò di obbedire all'ordine di rientrare a Corfù e consegnare la nave ai Francesi decidendo di dirigersi verso il porto di Cagliari. 
Giunto in Sardegna congedò l'equipaggio ed autoaffondò la nave.
Durante il viaggio verso Cagliari vi fu chi propose di dedicarsi alla guerra da corsa contro le navi francesi, Corner, N.H. Andrea Corner, rifiutò.
Ma se il Corner avesse accettato il suggerimento dei suoi marinai, magari aggregandosi formalmente alla marina britannica?
Nemmeno io pensavo a qualcosa del genere, ma magari il Corner poteva essere d'esempio per i capitani di altre navi Veneziane. 
C'erano 14 navi a Corfù, anche escludendo le unità più vecchie si potrebbe allestire una flotta corsara di 11 navi.

Le Liberateur de Venice
L'affondamento del Liberateur d'Italie fu, per Napoleone, il pretesto per dichiarare guerra alla Serenissima.
Il porto del Lido nel 1797 era fortemente insabbiato, potevano entrare solo navi di piccolo pescaggio, le navi mercantili e queĺle della marina veneta utilizzavano il porto di Malamocco.
Il Liberateur era, effettivamente, una nave di piccolo pescaggio, una tartana, ma se, per motivi di prestigio, Napoleone decide che a forzare il porto del Lido devono essere 3 navi di primo rango?

Morte a Venezia
Come tutti sapete il 12 maggio 1797, sotto la pressione Giacobina, il Maggior Consiglio aveva votato il proprio scioglimento rimettendo formalmente la Sovranità all'Arengo.
In realtà Napoleone già il 18 Aprile a Leoben aveva raggiunto un accordo preliminare con l'Austria volto alla spartizione del territorio della Repubblica. 
Accordo perfezionato con il trattato di Pace firmato il 17 Ottobre a Campoformido. 
Il trattato fu inizialmente tenuto nascosto ai rappresentanti Veneziani, ciononostante notizie preoccupanti di una cessione di Venezia all'Austria iniziarono subito a circolare.
Foscolo, in un discorso del 7 Novembre aveva proposto "di metter a fuoco alla Città, cosicché l'Austria entrasse in possesso solo delle ceneri di Venezia".
Fortunatamente il suggerimento non fu ascoltato, però è affascinante pensare alle conseguenze.

Il numero illegale
Secondo alcuni la votazione del 12 maggio 1797, in cui il Maggior Consiglio approvò il proprio scioglimento, fosse non valida mancando il numero legale. 
Dovevano essere presenti almeno 610 patrizi, mentre i votanti furono solo 537... e se Ludovico Manin decidesse di non dichiarare valida la seduta e la Repubblica non decadesse quel giorno?
A quel punto Manin può tentare di formare un governo in Esilio, magari sulle Ionie, e a quel punto sperare nelle simpatie Inglesi. O si forma la Serenissima Repubblica di Corfù (ancora oggi esistente, paradiso fiscale e porto franco della criminalità internazionale, un incrocio tra Montenegro e Isole del Canale), o si restaura Venezia, trovando a quel punto compensi per i Paesi Bassi Austriaci. Possibili compensazioni: Napoli (post Murat), annessione diretta dei Ducati, Senegal, Guyana olandese o francese o Borneo.
Comunque anche la restaurata Serenissima dovra rinunciare alla Lombardia Veneta, non credo che Vienna rinunci ad un collegamento diretto con i propri territori Italici. Per compensazione a Venezia potrebbe essere ceduta Ragusa.

Il Generale venale
A fine marzo 1797, nel tentativo disperato di salvare la Repubblica, il Senato offri a Napoleone la somma di 2,2 miliardi di Piccoli. Il Generale rifiutò sdegnosamente e pochi giorni dopo dichiarò guerra alla Serenissima; ma come potrebbe cambiare la storia ipotizzando che accetti la somma e che quindi la pace tra Austria e Francia si mantenga su quanto stabilito dai Preliminari di Leoben? Quindi Bergamo e Brescia alla Francia, Veneto e Friuli all'Austria. Venezia col Dogado rimane e riceve in compensazione Ferrara, Bologna e la Romagna.

Non ha dato Forfait
Il trattato di Campoformido stabiliva che entro 3 mesi dalla firma la Francia avrebbe trasferito all'Austria la sovranità su Venezia. Per evitare che gli Austriaci potessero usare le risorse dell'Arsenale contro i Francesi, Napoleone diede ordine di asportare tutto quello che poteva essere utilizzato a scopi bellici.
Furono prelevati 2,5 milioni di razioni di biscotto, 54000 libbre di sale, 8150 cannoni di grosso calibro e 20000 fucili.
Legno, cordame, vele e ferro non lavorato vennero venduti a privati, le navi in acqua affondate per ostruire i canali interni e le navi "in riserva sullo scalo" sabotate.
Infine l'Arsenale avrebbe dovuto essere minato e fatto esplodere.
Fortunatamente il lavoro necessario per sabotare le navi "in riserva" richiese moltissimo tempo, tanto che non ne restò più per minare la strutture murarie salvando così l'Arsenale per le generazioni future. Il POD è questo: ipotizziamo che l'Ing. Forfait, che sovrintendeva ai lavori di svuotamento e sabotaggio, abbia meno scrupoli di natura morale, ed invece di perdere giorni preziosi per distruggere manualmente le navi "in riserva", decida di passare direttamente alle mine. Come potrebbe cambiare la Storia?

Non fidatevi!
Il trattato di Campoformido che sanciva la fine delle ostilità tra la Repubblica Francese e l'Austria, tra le clausole vi era la cessione del Veneto alla seconda, venne firmato a Passariano il 17 Ottobre del 1797.
Ai lavori parteciparono, in veste di spettatori, due delegati della municipalità di Venezia. 
Il testo del trattato non era noto ai delegati veneziani.
Immediatamente iniziarono a circolare voci, poi rivelatesi esatte, della cessione di Venezia all'Austria.
Confortata dal risultato di un referendum, in cui la maggioranza della popolazione dichiarava di essere favorevole a difendere la libertà se necessario con le armi, la municipalità decise l'invio di due delegazioni. 
La prima delegazione doveva incontrare Napoleone a Milano e garantirgli la fedele collaborazione veneziana, porre a sua disposizione i resti dell'esercito veneto, 18.000 uomini, e, se necessario, offrire un dono in denaro, il cui importo era di 7,92 miliardi di Piccoli.
La seconda delegazione doveva invece dirigersi a Parigi incontrare il Direttorio, ottenere da questo il riconoscimento formale del nuovo governo veneto e la garanzia che la libertà di Venezia non era in pericolo.
Sfortuna volle che la seconda delegazione arrivasse a Milano per prima.
I delegati cercarono di incontrare Napoleone, non riuscendoci proseguirono il viaggio ma solo dopo avere lasciato una lettera in cui spiegavano motivo e destinazione del loro viaggio. 
Venuto a conoscenza dello scopo del viaggio Napoleone si infuriò e diede ordine che i delegati venissero fermati e condotti da lui legati mani e piedi.
I francesi riuscirono ad intercettarli alla frontiera tra la Francia ed il Piemonte.
Vennero riportati, legati mani e piedi, prima a Milano da un furente Napoleone e poi a Venezia con l'accusa di furto.
Ma ipotizziamo che i delegati siano un po' più prudenti e meno fiduciosi nell'amicizia di Napoleone e riescano a parlare al Direttorio, quali sarebbero le conseguenze?

La Val Calaona
Lo sfruttamento a scopo terapeutico delle sorgenti termali sui Colli Euganei è antico probabilmente quanto l'uomo. I Colli sono circondati da un anello di sorgenti, si tratta per lo più di buche nel terreno da cui fuoriesce acqua calda ed idrogeno solforato che nelle nebbiose mattine autunnali ammorba l'aria.
La loro modesta portata ha costretto l'uomo ad utilizzare solo quelle che garantivano un volume sufficiente al riempimento delle vasche, principalmente si tratta di quelle localizzate nella zona di Abano-Montegrotto.
Ma non è del "Fons Aponi", della visita di re Teodorico, della lettera di Cassiodoro all'architetto padovano Aloisius, dell'oracolo di Gerione, dei dadi d'oro di Ercole, del santuario della Sanante Reitia, del laghetto di San Pietro Montagnon, dei 10000 ex-voto ricavati da un saggio di scavo su 3 mc di terreno estratti da sotto l'Hotel Terme Neroniane che vi voglio parlare.
Come ho detto le sorgetti della zona di Montegrotto sono, forse dovrei dire erano, le più copiose, ma non si trattava delle uniche.
Nella Val Calaona, bassura situata nel comune di Baone tra il Canale Bisatto e lo Scolo di Lozzo, esiste una sorgente termale di portata sufficiente a riempire un piccolo laghetto.
Nel XIX secolo la Val Calaona apparteneva amministrativamente al comune di Este, che era anche proprietario delle sorgenti termali.
Ad inizio secolo ci fu chi propose un " rilancio " delle terme atestine sull'esempio di quanto stava accadendo ad Abano.
Ma mentre sull'altro versante la famiglia Dondi Dell'Orologio incaricava, 1825, il grande architetto Japelli di ampliare il Grand Hotel, ad Este l'amministrazione comunale optava, 1823, per il rilancio delle terme su un modestissimo edificio in legno ad un piano..., deludendo parte degli abitanti di Este.
Neppure la promozione di Este al rango di Città, ottenuta grazie all'energica azione del deputato atestino Vincenzo Fracanzani, ultimo esponente della prestigiosa famiglia che governava la città del lontano XIV secolo, riuscì a far cambiare le cose.
Il Fracanzani, nel frattempo divenuto Podestà di Este, si premurò di far realizzare un Ginnasio, trovare una sede per il nuovo Civico Museo Lapidario, embrione di quello che 70 anni dopo diverrà il Museo Nazionale Atestino, e ricostruire il Teatro dell'Opera, ma neppure sotto la sua amministrazione si tentò una vera valorizzazione delle terme...
Solo anni dopo, verso la fine secolo, con la separazione tra i comuni di Este e Calaone si costruirà un vero edificio termale.
Purtroppo era troppo tardi per poter fare una vera concorrenza ai lanciatissimi centri di Abano e Montegrotto, che già potevano contare su circa 1000 posti letto, e dopo la Prima Guerra Mondiale le terme della Val Calaona vennero abbandonate.
Al giorno d'oggi la zona, complice il fatto che le principali vie di comunicazione la evitano, è molto isolata, praticamente dimenticata, se escludiamo i residenti della zona e qualche appassionato di storia locale come lo scrivente, ed è diventata zona di spaccio...
Però ipotizziamo che intorno al 1850 si realizzi una sorta di alleanza tra il Podestà Fracanzani, il ricchissimo industriale Gaetano Longo ed il giovane e brillante architetto Giuseppe Riccoboni per la costruzione di un Grand Hotel presso le terme della Val Calaona, come potrebbe cambiare la storia del termalismo euganeo?

Il saccheggio del Catajo
Il Marchese Tommaso Obizzi (1750-1803) fu l'ultimo esponente dell'importante famiglia padovana.
Assurdamente ricco e senza nulla di importante da fare si dedicò, con amore, per tutta la sua vita al suo hobby favorito, l'acquisto di antichità, creando a poco a poco una impressionante collezione di quadri, monete antiche, lapidi romane e reperti euganei che proprio in quegli anni cominciavano ad essere sterrati dal sottosuolo della vicina Este con notevole frequenza.
Per poter ospitare la sua colossale collezione fece costruire una nuova ala nel suo castello del Catajo, adibendola a Museo Obiciano.
Morto senza eredi diretti il Castello, con le sue collezioni, passo al parente più prossimo ancora in vita, il Duca Ercole III d'Este.
Estinti anche gli Este, Castello & collezioni passarono ai loro parenti più prossimi, gli Asburgo - Este e, di estinzione in estinzione, agli Asburgo.
Ora vi starete chiedendo dove sta il POD, è presto detto.
A fine XIX secolo Cecco Beppe fece trasferire tutte le collezioni del Catajo al Kunsthistorisches Museum di Vienna.
Questo trasferimento fu letteralmente la goccia che fece traboccare il vaso.
La nascente opinione pubblica, già indignata per le gravi perdite che il patrimonio storico italiano stava subendo, solo pochi anni prima gran parte di Padova era stata rasa al suolo per la costruzione del nuovo rettifilo, chiese a gran voce al Parlamento una legge per la tutela del patrimonio storico e del paesaggio italiani.
La risposta della politica fu rapida ma insoddisfacente, la legge 185 del 12 Giugno 1902, sottoponeva a vincolo una serie di monumenti ma si limitava solo alla parte edilizia degli stessi, senza che fossero previsti vincoli per la tutela del paesaggio esterno al monumento.
Troppo poco per gli italiani, la prima correzione arrivò con la legge 364 del 20 Giugno 1909 che estendeva il vincolo anche ai parchi ed ai giardini.
Non era ancora abbastanza ma lo scoppio della guerra Libica e poi della Prima Guerra Mondiale rimandarono a tempi migliori l'approvazione di leggi più restrittive.
Nel dopoguerra arrivò la legge 778 del 11 Maggio 1922 che estendeva il vincolo, per la prima volta, alle bellezze panoramiche ma a causa della difficoltà a stabilire una definizione precisa di " bellezza panoramica " l'applicazione della legge si limitava a singoli edifici, parchi e giardini.
Soltanto con la legge 1497 del 21 Giugno 1939 anno XVI EF, il vincolo paesaggistico diventa finalmente operativo.
IL POD è questo: ipotizzando che il trasferimento delle collezioni del Catajo non abbia luogo come cambierebbe l'atteggiamento dell'opinione pubblica italiana nei confronti della tutela del paesaggio?
Ed un ritardo di alcuni decenni nell'approvazione delle prime leggi di tutela che conseguenze avrebbe per il Belpaese?

L'ingegnere che ci vedeva lontano
A fine 1806 il Governo Francese inviò a Venezia l'ingegner Maillot.
Scopo del viaggio era stabilire i lavori necessari affinché l'Arsenale ed il porto di Venezia potessero essere utilizzati per la produzione dei Vascelli da 74 cannoni della Classe Temeraire, che sarebbero dovuti uscire in mare pronti al combattimento.
Nella sua relazione l'ingegnere scrisse che sarebbe stato necessario aprire una nuova "porta d'acqua", dragare la Darsena dell'Arsenale, il canale di collegamento con il porto di Malamocco ed il porto stesso fino ad una profondità di 8,5 metri, oltre a costruire 2 dighe foranee per bloccare l'accumolo della sabbia.
L'ingegnere spiegava che si trattava di lavori lunghi e costosi e proseguiva illustrando un progetto alternativo.
Faceva notare che, pur pescando un metro in meno, il Vascello Veneziano da 74 cannoni Classe Leone Trionfante aveva le stesse dimensioni, equipaggio e potenza di fuoco dell'omologo Francese.
Il minor pescaggio, proseguiva l'ingegnere, derivava dal minore peso del Leone, 2300 tonnellate contro 2800, e questo era dovuto al fatto che i Leoni, a differenza dei Temeraire, erano utilizzati solo per crociere nel Mediterraneo e nel Mare del Nord e quindi portavano una quantità minore di viveri ed acqua, 60 giorni contro 180.
Suggeriva quindi di far costruire in Arsenale, come navi Mediterranee, dei Vascelli da 74 cannoni Classe Leone Trionfante Modificato, adottando per l'uscita in mare la metodologia da me descritta il 26 Settembre.
La risposta del Governo Francese fu celere, ringraziò l'ingegnere per il suo lavoro e decretò che venisse aperta una nuova "porta d'acqua", che si dragasse la Darsena dell'Arsenale, il canale di collegamento con il porto di Malamocco ed il porto stesso fino alla profondità di 8,5 metri, oltre a costruire 2 dighe foranee per bloccare l'accumulo della sabbia...
L'attuazione di questi lavori richiese circa quattro anni, tanto che solo nel 1810 poté iniziare la costruzione dei Temeraire.
Il POD è questo: ipotizziamo che il Governo Francese approvi la seconda proposta del Maillot. Le costruzioni navali nell'Arsenale inizierebbero già nel 1807, con una cadenza produttiva di 4 navi all'anno la Francia potrebbe contare al 1814 su una flotta Mediterranea con aggiunte 30 navi.
Come potrebbe cambiare la Storia?

La Cattedrale di Santa Maria in Equilio
Il 15 Dicembre del 1856 Don Giovanni Guiotto, parroco di Cavazuccherina, inviava all'Imperatore Francesco Giuseppe una supplica chiedendo un contributo economico per risolvere il problema della scarsa capienza della chiesa parrocchiale, insufficiente per le necessità di una popolazione che aveva raggiunto le 3000 anime.
Nella supplica Don Guiotto faceva notare che a poca distanza dal centro di Cavazuccherina si trovavano le rovine dell'antica città di Equilio, nome che nei secoli era stato storpiato in Giesolo, e suggeriva all'Imperatore di far restaurare la Cattedrale. 
Di questo edificio rimane oggi solo qualche brandello di muro, ma dalla, scarsa, documentazione in mio possesso mi sembra di intuire che nel 1856 la situazione fosse ben diversa, con la Cattedrale abbastanza intatta anche se priva del tetto. 
La risposta dell'Imperial Regio Governo fu una lunga, sonora, e ben modulata pernacchia, ma ipotizziamo che Cecco Beppe presti più attenzione alla supplica e decida di stanziare i fondi necessari al restauro. 
I POD sono:

1 - l'attuale, penoso, stato della Cattedrale è conseguenza dei furibondi duelli di artiglieria che hanno sconvolto quella zona nell'Estate del 1918 durante la Battaglia del Solstizio, trattandosi di rovine nessuno ha prestato loro attenzione, un restauro della Cattedrale potrebbe indurre Italiani ed Austriaci ad un maggiore rispetto?

2 - l'antica Diocesi di Equilio è stata soppressa nel 1466 ed è rinata, nel 1966, come Diocesi Titolare. 
Un restauro della Cattedrale unito all'aumento della popolazione potrebbe comportare il ripristino, già verso la fine dell'Ottocento, della Diocesi non solo come Titolare ma Residenziale?

Canali Caorlotti
Tutti sanno che Venezia sorge su alcune isole, molti sanno che condivide questa particolarità con Murano e Burano, pochi sanno che anche Chioggia ha la stessa caratteristica, nessuno sa che in passato, almeno fino ad inizio '800 anche Caorle si presentava uguale.
Il centro storico era attraversato da alcuni canali, in caorlotto "rii", che la dividevano in isolette ed erano collegati al mare. 
Il reggimento di Caorle andò incontro, a partire dal '500, ad una grave crisi demografica che vide gli abitanti calare dai quasi 4000 di inizio '600 ai poco più di 1000 di inizio '800.
Tra le conseguenze di questo calo demografico ci fu anche una diminuita disponibilità economica del reggimento e di conseguenza una mancata manutenzione ai rii che portò ad un progressivo interramento degli stessi tanto da renderli, a causa della malaria, pericolosi per la salute pubblica.
Ad inizio '800, dopo la soppressione della cattedra vescovile la municipalità di Caorle affrontò il problema dell'interramento dei rii.
Una parte della popolazione desiderava che questi venissero scavati, ripristinando la comunicazione col mare mentre un'altra parte chiedeva il loro definitivo interramento utilizzando il materiale di risulta proveniente dalle demolizioni dei numerosi edifici fatiscenti che erano presenti in città. 
La seconda proposta fu giudicata più economica e, tristemente, nel giro di pochi anni Caorle non fu più, come scriveva il Sanudo, città che "sorge sull'acqua come Venezia" ma "semplicemente città di terraferma" e dei suoi rii rimase solo, in alcuni casi, la malinconica denominazione di "rio terrà"...
Ma se la prima proposta fosse stata accolta ed ancora oggi Caorle conservasse i suoi canali attraversati da ponti?

Il Mulino di Bagnarolo
Prima della costruzione, ad inizio XIII secolo, del Canale Battaglia le acque del Bisatto utilizzavano come direttrice di deflusso verso la laguna l'odierno Canale di Bagnarolo.
Il Canale di Bagnarolo non fu tuttavia abbandonato, la differenza di livello tra questo ed il Battaglia permise di utilizzarlo come " troppo pieno " del secondo mentre l'energia prodotta dal salto fu da subito sfruttata per l'istallazione di un mulino idraulico.
Il Mulino di Bagnarolo, i cui resti sono tuttora visibili sulla destra al viaggiatore che a Monselice percorra Viale della Repubblica in direzione Padova, ad inizio del XX secolo fu oggetto di un dibattito riguardante la sua riqualificazione che, se realizzata, avrebbe cambiato Monselice.
La proposta era quella di realizzare una centrale idroelettica che sfruttasse l'energia prodotta dalla differenza di livello tra i 2 canali.
L'energia prodotta, circa 45 kW, avrebbe consentito un più economico funzionamento del mulino, contribuendo quindi ad abbassare il prezzo del pane con notevole beneficio della popolazione più povera, oltre a ridurre i costi sostenuti dal Comune per l'illuminazione pubblica, 181 lampade nel 1907, ed a creare le premesse per l'insediamento in zona di attività industriali indispensabili per " elevare economicamente lo stato della cittadinanza ".
Purtroppo il progetto incontrò da subito l'ostilità di Misurata, Giuseppe Volpi Conte di Misurata Megapresidente della Sade, che non gradiva l'idea che a Monselice si realizzasse un concorrente della lanciatissima Centrale Idroelettrica di Battaglia Terme...
Abbandonato il progetto il mulino continuò a funzionare fino al 1950, successivamente cessata l'attività molitoria ospitò per alcuni anni un'officina automobilistica fino all'abbandono attuale.
Ipotizziamo che il Consiglio Comunale di Monselice non ceda di fronte alle pressioni del Megapresidente procedendo alla ristrutturazione del Mulino.
Come potrebbe cambiare la Storia locale?

Le Terme padovane
Ad inizio del XX secolo, durante i lavori di piantumazione del parco della villa dell'Ing. Tosi ad Albignasego (Pd), lo scavo di un pazzo artesiano portò alla scoperta, alla profondità di 112 m, di una sorgente di acqua che le analisi indicarono essere termale fortemente mineralizzata cloruro-sodica, con una portata di 0,0013 mc/s.
Per consentire il consumo e proteggere la sorgente i proprietari fecero costruire un gazebo.
Per quanto la portata della sorgente possa sembrare risibile era sufficiente per il riempimento, in 24 ore, di una piscina di metri 8 x 7,2 x 1,5 garantendo contemporaneamente acqua a sufficienza per 3 cannelle con una portata di 6 litri al minuto primo.
Ipotizziamo che l'Ing. Tosi non si limiti alla costruzione del gazebo ma decida per uno stabilimento termale dove praticare la balneazione e l'idroterapia.
Come potrebbe cambiare la Storia del Termalismo Euganeo?

Le Ferrovie Venete
Il 23 Aprile del 1911 veniva inaugurata la tranvia Padova - Abano Terme, due mesi dopo la tranvia venne allungata fino a raggiungere il comune di Torreglia ed attivata la diramazione per Villa di Teolo.
Queste due tranvie, però, rappresentavano solo l'embrione di un ambizioso progetto che prevedeva da un lato il prolungamento della Padova - Abano - Torreglia fino ad Arquà, passando per Galzignano, dall'alto il congiungimento a Zovon della Padova - Villa di Teolo con la costruenda Este - Vo.
Ma tra Villa di Teolo e Zovon si frappone l'enorme corpo riolitico del Monte Altore, direte voi, ed io vi rispondo che è vero, gli amministratori di allora erano consci del problema ed avevano deciso di risolverlo tramite l'escavazione di un ardito tunnel che collegasse direttamente le due località.
Purtroppo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale causò il blocco di questi progetti e la crisi economica successiva alla guerra prima mandò in crisi la rete tranviaria per poi causarne la soppressione nel 1933.
I POD che mi vengono in mente sono:

1 - L'attivazione della Padova - Villa di Teolo causò una specie di "corsa", da parte della ricca borghesia patavina, alla costruzione di, discutibili, villini Liberty alla falde dei Colli.
Avremmo avuto 'sto schifo praticamente ovunque con il completamento della rete?

2 - Con la chiusura di molte tranvie negli anni '30 il loro sedime venne riadattato a sede stradale.
Tra Villa di Teolo e Zovon sarebbe rimasto il tunnel e questo dovrebbe essere sufficientemente largo da consentire il transito automobilistico.
Quali sarebbero state le conseguenze sulla circolazione, ed anche sulla popolazione, esistendo un collegamento stradale diretto tra la zona orientale dei Colli ed il Capoluogo?

3 - Considerata la capacità di attrazione che il Capoluogo avrebbe esercitato nei confronti degli abitanti della zona orientale dei Colli lo scrivente annoierebbe la mailing-list con le sue improbabili proposte nel caso che i suoi antenati avessero fatto " San Martino ", cioè si fossero trasferiti, nell'alta padovana?

Il Duomo di Santo Stefano
Nel primo dopoguerra, a causa del forte aumento della popolazione residente, la necessità di trovare una collocazione più comoda al Duomo di Monselice iniziò ad essere pressante.
Tra i vari progetti presi in considerazione vi era anche quello del restauro dell'antica Chiesa di Santo Stefano, un tempo parte dell'omonimo Convento dei Padri Dominicani soppresso dal Veneto Serenissimo Governo con Parte del 2 Agosto 1770, dal 1859 di proprietà del Comune di Monselice che l'aveva acquistata dall'ultimo proprietario, Gabriele Trieste del fu Maso, e da allora adibita a stalla, magazzino ed alloggio per le truppe di passaggio.
Purtroppo il progetto di restauro naufragò preferendosi edificare, nel secondo dopoguerra, il deformante Duomo Nuovo dedicato a San Giuseppe Artigiano che si inserisce nel contesto medievale di Monselice con la stessa delicatezza con cui l'abbattuto Hotel Fuenti si inseriva nella Costiera Amalfitana (...), mentre la Chiesa di Santo Stefano rimase il rudere che faceva paura allo scrivente quando il suo babbo lo accompagnava al vicino, ed ahimé ormai chiuso, Cinema Corallo e parcheggiava l'auto di fronte alla chiesa-magazzino...
Ipotizziamo che tra gli anni '20 e '30 del secolo scorso le autorità di Monselice optino per il restauro della Chiesa di Santo Stefano. Come potrebbe cambiare la Storia locale?

Il Faro di Arquà
È noto che il Duce, che è la luce, voleva che la guerra contro le corrotte plutocrazie occidentali iniziasse nel '43.
In questo modo sarebbe terminato il programma di aggiornamento delle Forze Armate e raccolta valuta pregiata grazie alla vendita dei biglietti dell'Esposizione Universale. 
Per il '41 era prevista la celebrazione per il seicentesimo anniversario dell'incoronazione di Petrarca in Campidoglio, incoronazione che era " presagio divinatore della potenza imperiale di Roma, la quale realmente si identifica ora nelle realizzazioni dell'era fascista e nella missione civile e politica del verbo mussoliniano ".
Tra i vari, faraonici, progetti era previsto un faro alto 200 metri sulla cima del Ventolone la cui luce sarebbe stata visibile sino a Venezia e che avrebbe dovuto simboleggiare " il passato, con la sua torre campanaria, il presente, cioè il Cavalier Laico che in Campidoglio il trionfal carro conduce, ed il futuro, cioè la nuova luce della civiltà fascista nell'era mussoliniana ".
Per una volta si può dire che " fortunatamente " lo scoppio anticipato della guerra fece abortire tutti i progetti, ma come sarebbe cambiata la Storia dei comuni dei Colli Euganei in caso di loro realizzazione?

Il Museo Archeologico di Eraclea
La Serenissima, come sapete, era costituita da tre "entità": lo "Stato di Terra", lo "Stato da Mar"  ed il "Dogado".
Quest'ultimo corrispondeva a quella porzione di territorio veneto ancora sotto controllo Bizantino al momento della riforma che istituiva la figura del Dux, durante il regno di Leonzio.
Prima capitale del Ducato fu Heraclia, sito posto ai bordi della laguna opitergina corrispondente, pressapoco, all'odierna Cittanova, costruito in gran parte con materiale di risulta proveniente dalla demolizione di edifici di Oderzo.
Heraclia fu la prima tra le nuove città costruite sulle isole della laguna a decadere, già in crisi nel X secolo risulta praticamente abbandonata a partire dal XIII.
Nel 1684, e forse anche nel 1865, risultavano ancora visibili alcuni ruderi della Cattedrale, ma verso la metà del secolo scorso, complici due guerre mondiali e lo spostamento della popolazione residente, non c'era più nessuna traccia visibile dell'antica città.
Nell'Aprile del '54, durante lavori di aratura, vennero riscoperti i resti della cattedrale.
Purtroppo, sia a causa della lentezza della burocrazia, che faceva tardare i fondi necessari per avviare una campagna di scavi, sia per la scarsa sensibilità delle amministrazioni di allora, a Primavera del '55 i resti vennero nuovamente interrati.
Si dice, ma di questo non ho nessuna prova scritta solo pettegolezzi orali..., che alcuni anni dopo tutto quello che restava dell'antica Heraclia venne sistematicamente distrutto ed il materiale di risulta cosi ottenuto utilizzato per le fondamenta dei nuovi edifici che stavano sorgendo ad Eraclea...
Il POD è questo: ipotizziamo che i fondi ministeriali arrivino più celermente, dando la possibilità di portare avanti gli scavi e la forza di farsi sentire a quelli che ritenevano che il sito dovesse essere valorizzato, anche nell'ottica di una sua fruizione turistica, mediante l'istituzione di un Museo Archeologico.
Come potrebbe cambiare la Storia?

La California Veneta
Come molti paesi del Bellunese, anche Gosaldo è un comune sparso, costituito cioè da più frazioni, nessuna delle quali porta il nome del paese.
Il comune di Gosaldo, infatti, si trova nella frazione di Don, altre frazioni sono Tiser, Sarasin e Villa Sant'Andrea.
Fino al 4 Novembre del 1966 esisteva anche una quinta frazione, California, situata alla confluenza del Gosalda nel Mis.
Si trattava di una frazione nata per ospitare gli operai che lavoravano nelle vicine, e ricche, miniere di Mercurio e che alla data del 4 Novembre stava, con successo, riconvertendo, dopo la chiusura delle miniere avvenuta nel '62, la propria economia verso il turismo.
Nella notte tra il 3 ed il 4 Novembre California venne investita dall'ondata di piena dei torrenti Gosalda e Mis, uscendone devastata.
Oltre ai danni alle abitazioni ed agli alberghi, California patì anche il cedimento in più punti della comunale che la collegava alle altre frazioni.
Gli abitanti di California vennero temporaneamente ospitati nelle altre frazioni del comune, in attesa dell'arrivo dei fondi governativi per il ripristino della sede stradale.
Purtroppo le promesse governative svanirono, come lacrime nella pioggia, ed ai desolati abitanti della ormai ex-località non restò altra scelta che l'emigrazione, mentre il bosco, a poco a poco, ne inghiottiva i resti.
Solo all'alba degli anni '90, non so dire il perchè, le comunicazioni con California vennero ripristinate...
Il POD è questo: ipotizziamo che a Roma, per una volta, i veneti non vengano considerati cittadini di serie C2, e pure in zona play-out..., e che quindi i fondi per la ricostruzione della strada divengano disponibili già a partire dal 8 Novembre.
Come potrebbe cambiare la Storia, almeno quella Bellunese?

I colli (di bottiglia) Euganei
L'attività estrattiva sui Colli Euganei probabilmente è antica quanto l'uomo.
Dalle coline si è sempre estratto calcare per le fornaci da calce e trachite per le costruzioni, ma l'estrazione per secoli, anzi per millenni, si è sempre limitata a poche centinaia di metri cubi di materiale, tanto che le cave in alcuni casi sono persino diventate, in un certo modo, parte del paesaggio.
Le cose, purtroppo, iniziarono a cambiare dalla seconda metà del XIX secolo, quando alla modesta domanda di pietra da taglio si aggiunse una ben più corposa richiesta di " pietra da annegamento " necessaria per le fondazioni, che i volumi estratti fanno un salto di qualità. Da allora è stato per 100 anni un continuo crescendo, passando dai 70000 mc del 1895, ai 200000 del 1931 ed ai 500000 del 1952.
Ma è col Boom economico e l'avvio dei lavori di costruzione della rete autostradale che l'assalto ai Colli si fa brutale, arrivando ai 6000000 di mc del 1969.
Ma questa brutale attività di estrazione, che alla fine degli anni '60 minacciava l'esistenza stessa dei colli, scatenava sempre di più la paura delle popolazioni locali, frane smottamenti polvere e danni alla rete idrica erano pane quotidiano, e l'indignazione dei turisti.
Alla fine degli anni '60 sorsero numerosi "comitati spontanei" volti al salvataggio dei Colli che incontrarono l'appoggio della stampa nazionale, primo tra tutti il Corriere della Sera che il 9 Febbraio 1971 titolava "Diga di giovani per i Colli Euganei".
L'attività dei comitati e la campagna stampa non potevano bastare senza un appoggio politico che venne trovato nel parlamentare locale Giuseppe Romanato, allora Presidente dell'ottava Commissione Belle Arti.
Romanato si impegno a presentare una proposta di legge che regolamentasse l'attività estrattiva.
La proposta di legge, intitolata " Norme per la tutela delle bellezze naturali e ambientali e per le attività estrattive nel territorio dei Colli Euganei ", venne presentata alla Camera il 4 Gennaio 1971, secondo firmatario era il deputato atestino Carlo Fracanzani. La proposta era firmata anche da numerosi altri parlamentari, non solo di diversi partiti ma persino di diverse correnti dello stesso partito!!, che in quell'occasione raggiunsero un'unanimità sconcertante...
La proposta di legge prevedeva il divieto di aprire nuove cave e la riattivazione di quelle dismesse e la chiusura di quelle "che forniscono materiale trachitico, liparitico, calcareo o di altro tipo destinato a riempimenti, arginature, opere di difesa marittima, costruzioni di rilievi stradali e ferroviari".
La legge passò alla Camera il 13 Maggio, il 14 una violentà protesta dei cavatori paralizzò la Bassa con blocco della linea ferroviaria e auto incendiate, in Senato le cose furono più difficili, il Presidente Fanfani però nicchiava dichiarandosi preoccupato per le ricadute occupazionali e le conseguenze che queste avrebbero avuto sulle future, imminenti, elezioni anticipate.
Fortunatamente la pressione dei comitati riuscì a vincere le resistenze senatoriali ed a fine Luglio la legge era approvata anche se alcune modifiche ne rendevano necessario un secondo passaggio parlamentare.
Data l'imminente fine anticipata della legislatura ci furono forti pressioni su Romanato perchè rimandasse a dopo le elezioni l'approvazione finale della legge, ma questi decise di essere coerente e rimettendola in discussione.
La proposta di legge venne definitivamente approvata il 24 novembre 1971, ultimo giorno della legislatura, nessun voto contrario, e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 22 Dicembre.
I cavatori reagirono ricorrendo alla Corte Costituzionale sostenendo l'incostituzionalità della legge che espropriava beni di privati senza prevedere l'indennizzo.
Il 22 Febbraio del 1973 la Corte Costituzionale respingeva i ricorsi ricordando che il sottosuolo, e quindi il materiale lapideo delle cave, è di proprietà del Demanio che può concederlo in uso ai privati ma senza che questi possano vantare un effettivo diritto di proprietà.
La legge, purtroppo, arrivava troppo tardi per salvare alcune colline...
Nel 1972 del monte Fiorin e del monte Barbaro restavano solo dei desolanti buchi del terreno, in seguito goffamente camuffati in laghetti...
Ma cosa sarebbe successo se Romanato nel '71 avesse ceduto alle pressioni dei suoi compagni di partito rimandando l'approvazione della legge a tempi futuri?

Venezia, anni settanta
Tra il 1973 ed il 1977 il Comune di Venezia approvò una variante al PRG relativo all'allora Quartiere Cavallino.
La variante prevedeva, tra le altre cose, la totale risistemazione della viabilità Cavallina tramite la costruzione di una superstrada a 4 corsie, in 2 carreggiate separate, realizzata tramite:
1 - raddoppio dell'esistente Via Fausta, nel tratto compreso tra il Campeggio Union Lido e Cà Pasquali
2 - allargamento e raddoppio di Via Vettor Pisani e Via Brenta, nel tratto compreso tra Cà Pasquali e Punta Sabbioni
3 - raddoppio di Via Francesco Baracca, nel tratto compreso tra gli incroci con Via Fausta e Via del Granatiere
4 - allargamento di Via del Granatiere, che sarebbe diventata la carreggiata per coloro che viaggiavano in direzione Jesolo
5 - costruzione di un nuovo tratto di collegamento tra Via Fausta, incrocio con Via del Bersagliere, e Via Francesco Baracca, incrocio con Via del Fante
6 - prolungamento di Via Francesco Baracca dall'incrocio con Via Fausta fino al Campeggio Union Lido
7 - raddoppio del ponte sul Piave.
Il progetto, che prevedeva anche la sostituzione di tutti gli incroci a raso con colossali rotatorie alla Francese e che avrebbe risolto tutti i problemi di viabilità del Cavallino, purtroppo rimase sulla carta.
Ipotizziamo che il Comune di Venezia a fine anni '70 decida di tradurre in realtà quanto ipotizzato con la variante.
Come potrebbe cambiare la città di Venezia?

L'aeroporto internazionale di Jesolo
Nel 2010 in consiglio comunale a Jesolo venne discussa la possibilità di costruire, anche se sarebbe più esatto ricostruire, al Lido un aeroporto turistico, in modo da venire incontro ai bisogni della nuova clientela, i " russi coi miliardi che fanno shopping da Trussardi ", verso cui si stava orientando la città.
Per quanto è a mia conoscenza non se ne è ancora fatto nulla.
Ho scritto prima " ricostruire " perchè tra la fine degli anni '50 e l'inizio degli anni '70, grazie all'aiuto dell'Aero Club di San Donà di Piave, venne allestito al Lido un aeroporto turistico, su pista erbosa, che durante l'Estate veniva aperto al traffico internazionale.
La crisi petrolifera del 1973, accoppiata alle spese che era necessario sostenere per la trasformazione della pista da erbosa ad asfaltata, spese di cui nessuno voleva farsi carico, decretarono la fine dell'aeroporto sul cui sito sorse in seguito la Zona Artigianale.
Il POD è questo: ipotizziamo che l'Associazione Albergatori sia più coraggiosa e decida di non far morire l'aeroporto che, tra alti e bassi, sopravvive fino al 2005 per essere poi rilanciato in grande stile in occasione dell'avvio dei lavori di riqualificazione di piazza Drago, come potrebbe cambiare la storia del Veneto Orientale?

Pax tibi, Marce, evangelista meus

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Il nostro Enrico Pizzo poi ha avuto un'idea davvero particolare:

Qualche giorno fa, non avendo niente di particolare da fare ed un sacco di tempo per farlo, sfogliavo pigramente i miei libri alla ricerca di qualche POD o anche di qualche informazione da condividere con voi.
Sul quarto volume di "Civiltà Veneta" di Gianfranco Siega e Paolo Mameli leggevo, a pagina 743, su Lodovico Flangini "ferito da un colpo di moschetto al collo, si fa portare sul ponte di comando della sua galera, il Leone Trionfante, per incitare i Veneziani all'inseguimento e alla distruzione totale della squadra turca".
Ho sentito le mie fibre di appassionato di storia torcersi di fronte a quell'abominio!!
Il "Leone Trionfante" non era una galera, ma un vascello di Primo Rango capostipite dell'omonima classe!
Ordinato all'Arsenale il 13 Dicembre del 1714, venne costruito da Francesco da Ponte di Angelo e varato il 16 Maggio 1716.
Lungo 49 m ed armato con 70 cannoni, di cui 2 in versione "mostro" da 200 libbre, fu per anni la nave ammiraglia della Marina Veneta, su cui era imbarcato il Capitano Straordinario Lodovico Flangini.
Nella battaglia di Monsanto del 12-16 Giugno 1717 il " Leone Trionfante " era capofila della Divisione Rossa, l'ordinanza dell'Armata Grossa era:

Divisione Rossa - Capitano Straordinario delle Navi Lodovico Flangini

Leone Trionfante
Grande Alessandro
Costanza
Madonna dell'Arsenale
San Francesco
Aquila Valiera
Fenice
Sant'Andrea
Corona

Divisione Gialla - Almirante Francesco Correr

Madonna della Salute
Terror
San Pietro
Nostra Signora del Rosario
Gloria Veneta
Nettuno
Aquiletta
Scudo della Fede

Divisione Blu - Capitano Ordinario Marco Antonio Diedo

San Pio V
Sacra Lega
Valor Coronato
San Gaetano
Rosa Moceniga
Venezia
Colomba
Trionfo
San Lorenzo Giustiniani

Navi appoggio

Ercole Vittorioso
Giuditta
Madonna del Rosario
San Domenico
Regina degli Angeli
Ercole
Santissimo Crocifisso
Pietro
Due Santi
Margherita

Dall'altra parte c'era la flotta Turca del Kapudan Pascià Ibrahim Hogia, forte di 40 Sultane di cui una, guidata dall'infame rinnegato Veneziano Pietro Moro già ufficiale alle vele sulla Stella Maris e catturato dai Turchi dopo la battaglia delle Spalmadori di Scio e liberato per aver abbracciato l'eresia Maomettana, armata con 110 cannoni.
Ibrahim Hogia divise la flotta in 2 colonne, la prima comandata da lui, la seconda dal Feta Kapudan Marabut, rinnegato Inglese convertitosi all'eresia Maomettana ed ora al servizio della Sublime Porta.
La battaglia avrebbe potuto risolversi in una schiacciante vittoria Veneziana, al tramonto del 16 Giugno i Turchi lamentavano la perdita di 5 sultane, 8 capitani di nave e 2500 uomini senonchè, per colmo di sfortuna, Flangini fu colpito al collo da una palla di moschetto, svenuto morirà per le conseguenze della ferità alcuni giorni dopo, senza gli ordini del Capitano Straordinario la battaglia si ridusse ad un duello di artiglierie che durò fino al tramonto quando i Turchi ne approfittarono per sganciarsi e ritirarsi verso i Dardanelli.
Il POD sarebbe questo, la palla di moschetto non colpisce Flangini, l'Armata Grossa non resta senza ordini e riesce ad impedire la fuga di Hogia, le perdite Turche sono molto più gravi, la Sublime Porta non può garantire una presenza in Egeo per mesi e Flangini ne approfitta per sbarcare a Modone, Nauplia e Negroponte.
A Passarowitz Venezia sarebbe in posizione di forza e magari potrebbe riuscire a convincere Turchi ed Austriaci ad accordarsi per il ripristino dello Status quo ante.
Cosa ne pensate?

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Enrico Pellerito gli risponde:

Complimenti per la cultura riguardo l'argomento specifico.
Certo le fonti studiate sono di prima mano.
Per inciso, c'è da notare la notevole influenza che nei tempi passati aveva la fede religiosa sull'onomastica delle navi militari; caratteristica comune alla maggior parte (se non a tutte) le marine della nazioni cattoliche.
Chissà quanto incideva l'aspetto sinceramente fideistico, quanto la convinzione di essere i detentori della "vera fede" (per cui nella lotta contro i miscredenti l'apporto favorevole del Cielo si sarebbe meglio concretizzato battezzando i propri strumenti di morte con nomi religiosi) e quanto superstizione e scaramanzia.
Certamente una disfatta della flotta ottomana a Monsanto avrebbe compromesso la capacità dei turchi di contrastare la proiezione di potenza veneziana nei mesi successivi e quanto prospettato in termini di sbarchi e conquiste è molto plausibile.
A Passarowitz è molto probabile che Venezia avrebbe potuto fare pesare queste vittorie e non accettare la situazione territoriale sulla base dello "uti possidetis" pretendendo, almeno per se, il ripristino dello Status quo ante.
Il problema che così si sarebbero dovuto fare due differenti accordi di pace, perché l'Austria non era certo intenzionata a ritirarsi dalla porzione balcanica conquistata...

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Più tardi Enrico Pizzo ha aggiunto:

Tempo fa il Laboratorio "Allegro Teatro Sperimentale", di cui fa parte la mia Signora, ha messo in scena a Valbona, nella chiesetta di San Rocco, la commedia del Goldoni "La locandiera".
Durante la rappresentazione ci sono stati almeno tre episodi che hanno catturato l'attenzione del mio orecchio numismatico, scatenando la mia curiosità.
Ho deciso di provare ad analizzarli, non nell'ordine con cui compaiono sul palcoscenico, partendo dal dialogo tra Dejanira ed il Marchese di Forlipopoli nella lavanderia della locanda di Mirandolina, dialogo che qui vi copio-incollo nella versione wikisource della commedia:

Dejanira. Signor Marchese, che fa qui solo? Non favorisce mai?
Marchese. Oh signora Contessa. Veniva or ora per riverirla.
Dejanira. Che cosa stava facendo?
Marchese. Vi dirò. Io sono amantissimo della pulizia. Voleva levare questa piccola macchia.
Dejanira. Con che, signore?
Marchese. Con questo spirito di melissa.
Dejanira. Oh perdoni, lo spirito di melissa non serve, anzi farebbe venire la macchia più grande.
Marchese. Dunque, come ho da fare?
Dejanira. Ho io un segreto per cavar le macchie.
Marchese. Mi farete piacere a insegnarmelo.
Dejanira. Volentieri. M’impegno con uno scudo far andar via quella macchia, che non si vedrà nemmeno dove sia stata.
Marchese. Vi vuole uno scudo?
Dejanira. Sì signore, vi pare una grande spesa?
Marchese. È meglio provare lo spirito di melissa.

Per "Scudo", nella seconda metà del '700, si intendeva una moneta d'argento molto puro di grandi dimensioni, ma un controllo sul "Mentore perfetto de Negozianti" del Metra, 1793, esclude la presenza di una moneta con questo nome.
La moneta d'argento più grande era il "Francescone", un pezzo molto puro da oltre 30 grammi, quindi inizialmente ho pensato che per "Scudo" Goldoni intendesse il " Francescone ".
Successivamente però ho letto, sempre sul Metra, che a Firenze vi era usanza di tenere i conti in "Scudi" moneta di conto del valore di 7 Lire, quindi, ipoteticamente, la somma di uno Scudo poteva essere saldata dal Marchese a Dejanira consegnado 1 mezzo Zecchino, valore 6 Lire e 2/3, e qualche spicciolo in Rame, 6 Soldi ed un pezzo da 2 Quattrini.
Sfortunatamente per Dejanira il Marchese era uno spiantato, ma non è questo l'oggetto del mio post, piuttosto la valutazione dell'importanza della somma chiesta per rimuovere la macchia.
I miei calcoli saranno necessariamente approssimativi, non dispongo di informazioni relative a prezzi e salari nella Firenze di metà '700, per cercare di dare una risposta dovrò provare a trasportare gli importi nella città di Venezia sulla quale ho un pò più di materiale.
Come ho detto prima Andrea Metra ci informa che lo Scudo era una moneta di conto del valore di 7 Lire Fiorentine.
Sempre Metra ci fa sapere che lo Zecchino Fiorentino correva per 13 Lire e 1/3 a Firenze, mentre nella città di Venezia era accettato per 21,5 Lire Veneziane di Piccoli.
7 Lire Fiorentine corrispondono quindi a 11,2875 Lire Veneziane o, usando la terminologia dell'epoca, 11 Lire, 5 Soldi e 9 Piccoli.
Andrea Zannini, nel suo " L'economia Veneta nel Seicento ", ci informa che tra il 1737 ed il 1741 lo stipendio giornaliero di un manovale nella città di di Venezia era di 1,896 Lire Veneziane, 1 Lira 17 Soldi e 11 Piccoli usando la terminologia dell'epoca.
Ne consegue che la somma chiesta da Dejanira per togliere la macchia al Marchese corrispondeva a 6 giorni di paga di un Manovale.
Prima dell'invenzione della luce elettrica erano lavorative solo le ore diurne, la durata della giornata lavorativa variava quindi a seconda della stagione, ma comunque per il Veneto si può stimare una media annua, detratte le pause, di 10 ore.
Nel 2023 il pagamento, a mezzo voucher, di 60 ore lavorative comporta la ricezione, da parte del lavoratore, di un netto pari a 540 €!!

Si, Dejanira, ci pare una gran spesa...

Veniamo ora ad un altro passo del dialogo tra Mirandolina ed il Cavaliere di Ripafratta:

« Mirandolina. Signore. (mestamente)
Cavaliere. Che c’è, Mirandolina?
Mirandolina. Perdoni. (stando indietro)
Cavaliere. Venite avanti.
Mirandolina. Ha domandato il suo conto; l’ho servita. (mestamente)
Cavaliere. Date qui.
Mirandolina. Eccolo. (si asciuga gli occhi col grembiale, nel dargli il conto)
Cavaliere. Che avete? Piangete?
Mirandolina. Niente, signore, mi è andato del fumo negli occhi.
Cavaliere. Del fumo negli occhi? Eh! basta... quanto importa il conto? (legge) Venti paoli? In quattro giorni un trattamento sì generoso: venti paoli?
Mirandolina. Quello è il suo conto.
Cavaliere. E i due piatti particolari che mi avete dato questa mattina, non ci sono nel conto?
Mirandolina. Perdoni. Quel ch’io dono, non lo metto in conto. »

Per "Paolo", nella Firenze della seconda metà del '700, si intendeva una piccola moneta d'argento, peso circa 2,5 grammi, del valore di un ventesimo di Zecchino di Firenze.
Ricordando che il mezzo Zecchino era tariffato a 6 Lire e 2/3 ricavo che quei 20 Paoli corrispondono a 13 Lire Fiorentine ed 1/3 oppure, usando la terminologia dell'epoca, 13 Lire, 6 Soldi e 2 Quattrini.
Ora, lo Zecchino Fiorentino era accettato nella città di Venezia per 21,5 Lire Veneziane di Piccoli.
Quei 20 Paoli corrispondono quindi a 21,5 Lire Veneziane o, usando la terminologia dell'epoca, 22 Lire e 10 Soldi.
Andrea Zannini, nel suo "L'economia Veneta nel Seicento", ci informa che tra il 1737 ed il 1741 lo stipendio giornaliero di un manovale nella città di di Venezia era di 1,896 Lire Veneziane, 1 Lira 17 Soldi e 11 Piccoli usando la terminologia dell'epoca.
Ne consegue che la somma chiesta da Mirandolina per 4 giorni di alloggio nella sua locanda corrispondeva a circa 11 giorni di paga di un Manovale.
Prima dell'invenzione della luce elettrica erano lavorative solo le ore diurne, la durata della giornata lavorativa variava quindi a seconda della stagione, ma comunque per il Veneto si può stimare una media annua, detratte le pause, di 10 ore.
Nel 2023 il pagamento, a mezzo voucher, di 110 ore lavorative comporta la ricezione, da parte del lavoratore, di un netto pari a 990€!!

Cavaliere di Ripafratta, la prossima volta è meglio se prenoti una camera all'Hilton... A te costa manco!!

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Gli risponde tosto Bhrghowidhon:

Dopo questi capolavori ermeneutici (dico sul serio), sparo la mia boutade. Col Senno di Poi, è possibile una lettura politico-allegorica della Locandiera: Mirandolina è la Francia, Fabrizio è il Terzo Stato, il Marchese lo Stato Pontificio (decaduto), il Conte il Senato Veneziano (di Nobiltà mercantile e recente) e il Cavaliere l'Impero. Lo Stato Pontificio e Venezia corteggiano tradizionalmente la Francia, che li inganna con false promesse; l'Impero è reduce da una recente guerra con la Francia, ma negli Anni Cinquanta Vienna ripensa tutta la propria Politica Internazionale e siarriva al Rovesciamento delle Alleanze, per cui gli Asburgo-Lorena si alleano con Versailles, che però mira con questo solo a impadronirsi dei Paesi Bassi Austriaci. E quanto a Dejanira ed Ortensia, oserei dire le Due Sicilie e Parma (in quanto sono illegittime)...
Il Cavaliere-Impero disprezza la Francia-Mirandolina e questa si vuole vendicare, recita fino a irretirlo, il Cavaliere le fa un dono prezioso, suscita la gelosia del Popolo-Fabrizio, rischia un duello col Conte-Venezia e alla fine lascia la Locanda. Tutto questo avveniva mentre Goldoni scriveva la commedia e negli anni in cui la rappresentava.

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Questa invece non è un'ucronia, ma un'importante considerazione condivisa con noi da Enrico Pizzo:

Recentemente alcuni storici si sono dedicati allo studio della Marina Veneta nel XVIII secolo smentendo molte affermazione "denigratorie" di "studiosi" del passato.
Però ho la sensazione che a volte questi storici si lascino un po trasportare dal patriottismo finendo per attribuire all'Arsenale delle innovazioni tecnologiche che, forse, sono merito di altri.
Un esempio di ciò è il "passaggio da Galeone a Vascello" che gli storici veneti più recenti vogliono che si sia realizzato col varo del "Giove Fulminante" nel 1667.
In rozza sintesi il Galeone ed il Vascello si distinguono, a parità di lunghezza, per il diverso pescaggio.
Se un Galeone di 40 metri ne pescava intorno ai 3,5, rapporto lunghezza/pescaggio al 9%, un Vascello di lunghezza identica arrivava a oltre 5, rapporto lunghezza/pescaggio al 13%.
A sostegno di questa tesi gli storici riportano come molte navi varate dalle Marine Europee nel ventennio 1650-1670 presentassero tutte un rapporto lunghezza/pescaggio tra il 9 ed il 10%, ed è solo col Giove Fulminante che si arriva al 13.
Il minore pescaggio del Galeone rispetto al Vascello lo rendeva poco stabile con vento laterale col rischio di imbarcare acqua dai portelli della batteria bassa ed affondare, Wasa docet...
Per cercare di risolvere questo problema gli architetti dell'Arsenale costruivano Galeoni praticamente privi della batteria bassa.
La mia sensazione è che anche le altre Marine avessero adottato lo stesso rimedio, infatti i Galeoni Olandesi nolleggiati dalla Dominante all'inizio della Guerra di Candia erano armati con un numero di cannoni che varia dai 28 ai 32, valore che, date le dimensioni di quelle navi, può essere spiegato solo ammettendo l'assenza della batteria bassa.
Torniamo al nostro Giove Fulminante, sappiamo che per costruirlo le maestranze dell'Arsenale usarono come modello il "Sol d'oro".
Ma il "Sol d'oro" non era un Vascello Inglese, come erroneamente riferito dal Nani Mocenigo, ma una " Sultana " Turca armata con 60 cannoni catturata nel 1665 ed immessa in servizio nell'Armata Grossa come Pubblica Nave.
Dato che il Giove Fulminante è una copia di questa nave e che questa riusciva a navigare nel Mediterraneo pur con la presenza della batteria bassa ritengo che sia agli Architetti dell'Arsenale di Istanbul, probabilmente impressionati dai Galeoni Olandesi noleggiati dalla Repubblica, che va il merito di aver portato il rapporto lunghezza/pescaggio al 13%.

Qui sopra: particolare di un quadro di autore ignoto del 1661, navi Veneziane inseguono una squadra Turca. Da notare lo sbandamento dei galeoni col vento laterale.

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In seguito Generalissimus ha avanzato un'altra proposta:

Nel periodo 1617-18 si sviluppò a Venezia, su impulso dell'ambasciatore spagnolo, il Marchese di Bedmar, la congiura che porta il suo nome.
Questa aveva lo scopo di abbattere il governo locale e imporre il dominio iberico su tutti i territori veneziani.
Il piano era ben architettato: mentre il Marchese di Bedmar si garantiva la neutralità (o addirittura l'appoggio) degli ambasciatori di Inghilterra e Francia, la sua vasta rete di spie, che era riuscita ad infiltrarsi anche nella flotta veneta, avrebbe provveduto a corrompere quanti più militari possibile e a creare panico e confusione invece di aiutare le difese quando nel Golfo di Venezia sarebbe comparsa una flotta spagnola per bombardare la città e sbarcare dei mercenari.
Si tentò per due volte di eseguire questo piano, ma i ritardi non giovarono affatto e la denuncia al governo di un nobile francese fece saltare tutto: la rete di spionaggio venne smantellata, e il Marchese di Bedmar venne rimpatriato.
Ma cosa accadrebbe se la congiura riuscisse e Venezia e i suoi possedimenti diventassero appannaggio di Filippo III di Spagna e dei suoi successori? E come avrebbero reagito l'Impero e la Porta?

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Così gli ha replicato il grande Bhrghowidhon:

La Guerra dei Trent'Anni si è di fatto aperta cinque giorni dopo (il 23. maggio 1618), ma, una volta conquistata (ciò che implicava l'impiego della Flotta Spagnola nell'Adriatico), Venezia non avrebbe avuto la benché minima possibilità di cambiare Regime: senza le Entrate dello Stato, delle quali metà era stata necessaria per coprire le sole spese (pur contabilmente contestate) della Guerra di Gradisca, non sarebbe stato attuabile alcun reclutamente straordinario (nel 1606 il Piano in tal senso di Francesco Martinengo per una Forza Permanente di 29˙000 uomini per 2˙750˙000 ducati superava addirittura il totale delle Entrate; nel 1621 per la sola Terraferma sarebbero stati necessarî 27˙500 effettivi, secondo la proposta di Cosimo del Monte), fra l'altro impedito dalla fine dell'accessibilità ai Grigioni (unica fonte rimasta) e di certo la minaccia di annessione di Candia, delle Isole Jonie e della Dalmazia alla Sublime Porta era altrettanto incombente (con gli Uscocchi che avrebbero completato l'opera).

Perciò, se il 18. maggio una vera congiura (ormai da 68 anni è dimostrato che non lo è stato, v. Giorgio Spini, «La congiura degli Spagnoli contro Venezia del 1618», in «Archivio Storico Italiano» 107 [1949], pp. 16-53; 108 [1950], pp. 159-174, sulla base di Simancas, Archivo general, Papeles de estado, Venecia (siglos XV-XVIII), legajos 1928, 1929, 1930; v. anche già Alessandrio Luzio, «La congiura spagnola contro Venezia nel 1618 secondo i documenti dell'Archivio Gonzaga», in «Miscellanea di Storia Veneta, edita per cura della R. Deputazione di Storia Patria per le Venezie», serie III, 13 [1918]) avesse consegnato la Serenissima alla Corona di Spagna, vi sarebbe rimasta fino al Testamento di Carlo II (ed entro pochi anni agli Asburgo d'Austria fino al 1866, eccettuata la breve parentesi napoleonica).

Certo il possesso di Venezia (o se non altro della Terraferma e dell'Istria) non sarebbe bastato a cambiare l'esito complessivo della Guerra dei Trent'Anni (l'effetto più vistoso sarebbe il collegamento diretto fra Trieste e il Regno delle Due Sicilie), ma sicuramente avrebbe reso meno urgente la Questione della Valtellina (con ciò permettendo a tutte le forze in campo – Imperiali, Spagnoli, Pontificî, Francesi – di non distogliere parte delle proprie Forze per occuparla in successione, quindi nel complesso con vantaggio dello Schieramento Asburgico) e di conseguenza influito sui conflitti per la Successione Mantovana, fino a un probabile successo imperiale.

Dato l'esito catastrofico della politica di Carlo Emanuele I già nella Storia vera, è possibile che lo fosse anche in questa ucronia, con ciò portando definitivamente all'incorporazione dei Dominî Sabaudi nel Ducato di Milano più o meno entro il fallimento della Congiura di Vachero. Come spesso discusso, quando la situazione storica è stata di precarissimo equilibrio basta una minima divergenza ucronica (neanche poi minima, in questo caso) per provocare conseguenze dirompenti e già l'unificazione di tutta la ‘Grande Lombardia' da Nizza a Pola sotto gli Asburgo di Spagna lo sarebbe.

La vera, grande posta in gioco era naturalmente la Francia (dopodiché l'Inghilterra, coi Paesi Bassi come implicazione) e a questo punto è tutto da rivedere l'esito della Guerra Franco-Spagnola storicamente conclusasi con la Pace dei Pirenei del 1659 (nonché, aggiungerei, la secessione del Portogallo nel 1640). Certo, se anche la Francia si conserva indipendente ma non raggiunge la potenza della fine del XVII secolo, può perfino darsi che non avvenga (o si risolva molto prima e con esito favorevole all'Austria) la Guerra di Successione Spagnola, come al solito snodo-chiave di tutta la Storia Europea.

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Basileus TFT ribatte:

Il Doge avrebbe cercato alleati per riconquistare Venezia, il vecchio nemico ottomano mi sembra quello più plausibile. Magari cedendo Creta e accettando il vassallaggio del Sultano ottengono riparazioni nell'Adriatico (Montenegro ottomano e la bassa l'entroterra dalmata) e le armate turche al loro fianco.

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E Bhrghowidhon riprende la parola:

Temo però che appunto ‘Osmān II non sia in grado di procedere ad alcunché, a tredici anni di età e insediatosi da soli tre mesi, con lo zio Muṣṭafā I ancora pronto a tornare al potere (come infatti accadrà puntualmente quattro anni dopo), sia pure per un solo anno; fino a Murād IV, comunque salito al trono solo 29 giorni dopo la morte (12. agosto 1623) del Doge eletto proprio nei giorni della Congiura (17. maggio 1618) la Sublime Porta non avrebbe avuto la possibilità di intervenire seriamente e da allora in poi per sedici anni sarebbe rimasta coinvolta nella Guerra con i Ṣafawīdi (Šāh ‘Abbās I approfittava proprio del disordine interno all'Impero Ottomano).

Il punto più difficile per la Spagna sta soprattutto nel successo della Congiura (che appunto non ha realmente avuto luogo, benché i suoi scopi fossero realissimi, proprio per il fatto che era molto difficile da realizzare); di sicuro avrebbe dovuto essere impiegata la Flotta, così da avere possibilità di riuscita. Una volta conseguitala, il possesso sarebbe rimasto saldo tanto quanto Milano.

Da lì in poi, Mantova sarebbe stata conquistata quasi sicuramente (e infeudata a Ferrante II), il Monferrato sarebbe andato certamente a Milano (come Feudo Imperiale, ma a condizione che il Dominio di Venezia tornasse nell'Impero, pur come Feudo della Corona di Spagna), mentre il possibile incameramento dei Dominî di Carlo Emanuele I è incerto se portasse a un'analoga infeudazione a Filippo III (o successivamente IV) oppure rimanesse a Ferdinando II. Nel frattempo il Domini da Mar sarebbe stato probabilmente conquistato dalla Spagna, una tappa dopo l'altra, compresa Creta.

Propongo comunque il seguente sviluppo. Il Punto di Divergenza è che la Congiuta di Bedmar fosse vera e che, grazie all'intervento della Flotta Spagnola nell'Adriatico, avesse successo. Come già discusso, la Sublime Porta non è in grado di intervenire; gradualmente tutti i Dominî Veneziani (Creta compresa) passano alla Spagna (il Dominio di Terraferma come Feudo Imperiale). Creta verrà conquistata dall'Impero Ottomano – come nella Storia vera – solo nel 1669, un anno dopo la definitiva perdita del Portogallo da parte della Spagna.

In queste condizioni, con la completa disponibilità del transito delle Armate Asburgiche dalla Lombardia Orientale e dal Veneto, la Valtellina e la Valchiavenna, la Bassa Engadina, la Val Monastero, Davos, Schanfigg, Belfort e la Partenza rimangono sotto la – ugualmente storica (Trattato di Milano, gennaio 1622) – sovranità austro-ispanica (circondate da tre lati contro l'invasiione francese del 1635). Il Monferrato è spartito fra il Ducato di Milano e i Savoia.

Dall'11. marzo 1629 Carlo Emanuele I è ufficialmente colpevole di Fellonia e le Forze congiunte Spagnole e Austriache occupano tutti i suoi Dominî non ancora in mano alla Francia. Nella Pace di Cherasco (5-7 aprile 1631) si sancisce l'ŭtĭ pŏssĭdētĭs tra la Francia e l'Impero; Vittorio Amedeo I riceve in appannaggio la Bresse, la Dombes, il Bugey e il Pays de Gex nonché la Castellata di Bellino e Pontechianale e Villa Sant'Eusebio (Casteldelfino).

Mantova viene incamerata dall'Impero nel 1630 e infeudata a Ferrante II (come nella Storia reale, ma definitivamente; il 15. agosto 1746 passa all'Imperatore).

Dopo i primi vent'anni di permanenza di Venezia nella Corona di Spagna, l'Oligarchia Genovese si rende conto di correre il rischio di essere estromessa dal predominio finanziario sui Dominî Ispano-Asburgici; il 25. marzo del 1637 la Dedizione della Repubblica, con riconoscimento dello statuto di Regno (di Corsica e Liguria), anziché a Maria Santissima è alla Monarchia Cattolica (come già proposto da Andrea Doria a Carlo V nel gennaio del 1549).

Guerra di Successione Spagnola: come nella Storia reale, in Europa tutti i Dominî continentali extrapeninsulari della Monarchia Cattolica passano all'Arciduca Carlo, compresi i Dominî Veneziani e Genova (la divisione era fra Penisola Iberica e Colonie Americane da un lato – 13˙400˙000 km² – e Paesi Bassi + Consejo de Italia – 300˙000 km² – dall'altro, in rapporto di 45 a uno; l'aggiunta di Venezia e Genova – 60˙000 km², un quinto della parte minore – non avrebbe alterato le proporzioni storicamente convenute). Senza partecipazione sabauda (a parte Eugenio di Savoia come Comandante Militare), a Carlo VI vanno sia la Sardegna sia la Sicilia; il Monferrato, Alessandria e la Lomellina non vengono subinfeudati ai Savoia.

Seconda Guerra di Morea (1714-1718): in questa ucronia la Guerra è fin dall'inizio Austro-Turca e la Morea rimane austroveneta nella Pace di Passarowitz (21. luglio 1718).

Guerra della Quadruplice Alleanza: la Spagna verrebbe sconfitta come nella Storia vera, a Carlo VI rimangono sia la Sardegna sia la Sicilia.

Guerra di Successione Polacca: senza Carlo Emanuele III e le Battaglie di Colorno, Parma e Guastalla, il Generale Mercy raggiunge Napoli e le Due Sicilie rimangono austriache (come anche la Sardegna, analogamente alla precedente guerra), altrettanto Novara e Tortona.

Guerra Austro-Russo-Turca: grazie all'assenza di sconfitte nella contemporeanea Guerra di Successione Polacca, l'Austria vince le Battaglie di Banja Luka (4. agosto 1737) e Grocka (21.-22. luglio 1739) e respinge l'assedio ottomano di Belgrado (luglio-settembre 1739), perciò conserva i confini del Trattato di Passarowitz.

Guerra di Successione Austriaca: senza i Savoia (né Genova) e senza i Borboni di Napoli (nonché poi di Parma), il Ducato di Milano resta integro (compresa Parma).

1768: la Corsica, se già non è austriaca (come parte dell'Eredità Spagnola), viene data in pegno all'Imperatore (che è anche Re di Sardegna)

1769: Napoglione Buonaparte nasce comunque Suddito dell'Imperatore; data l'origine della famiglia, sarà iscritto alla Nobiltà Toscana (come realmente accaduto) e frequenterà l'Accademia Militare Teresiana a Wiener Neustadt.

1772-1775: durante la Sesta (per altri Quinta) Guerra Russo-Turca (1768-1774), Maria Teresa (in vantaggio territoriale rispetto alla Storia reale grazie al mantenimento del Regno di Serbia e dell'Oltenia) e Caterina II si accordano per la creazione di un Regno di Dacia (Valacchia [senza Oltenia] e Moldavia [dal 1775 senza Bucovina]) vincolato a non essere mai unito né alla Russia né all'Austria. Data la maggiore potenza austriaca, Federico II di Prussia accetta che il fratello Enrico diventi Re di Dacia.

Ottava Guerra Austro-Turca (1788-1791) = Settima Guerra Russo-Turca (1787-1792): poiché il Regno di Serbia è rimasto un Paese della Corona Austriaca anche dopo il 1739, l'epidemia di peste non divampa in zona di guerra e il conflitto si conclude con l'annessione dell'Eyâlet di Bosnia da parte austriaca e di quello di Silistria da parte russa, mentre i Principati Danubiani di Valacchia (tranne l'Oltenia) e Moldavia (tranne la Bucovina)

Guerra della Prima Coalizione: Venezia è già austriaca; con Napoleone come Generale Austriaco, non avviene la Spedizione Francese in Egitto.

Guerra della Seconda Coalizione: Moreau vince (come da Storia nota) a Hohenlinden (3. dicembre 1800), ma a Marengo (14. giugno 1800) il Generale Buonaparte sconfigge il Generale Masséna (comunque emigrato a Tolone nel 1775). La Pace di Lunéville (9. febbraio 1801) fissa la frontiera fra Francia e Impero lungo i cosiddetti “Confini Naturali” del Reno e delle Alpi (nei Grigioni rimane il confine del 1622); le Legazioni Pontificie restano reincluse nell'Impero, le Truppe Austriache (anziché Borboniche) occupano anche Roma.

Alla morte di Enrico di Hohenzollern (3. agosto 1802), Federico Guglielmo III di Prussia ne eredita il Regno di Dacia.

Senza aprire il capitolo infinitamente discusso della Francia senza Napoleone (ci si può attenere in linea di massima all'ipotesi di una prosecuzione di forme ‘direttoriali' egemonizzate da Sieyès, Talleyrand, Barras e Fouché col sostegno militare di Bernadotte e Murat e l'ubbidienza di Moreau), in Germania non hanno luogo né l'esproprio dei Feudi Ecclesiastici né la Mediatizzazione dei Feudi Minori (Reichsdeputationshauptschluß del 25. febbraio 1803), tantomeno la fine del Sacro Romano Impero (6. agosto 1806), mentre naturalmente si verificano come nella Storia reale la compensazione degli Elettori Cisrenani (Ratisbona-Aschaffenburg, Würzburg-Salisburgo) e l'aumento del Collegio Elettorale (Assia-Kassel, Baden, Württemberg), l'elevazione dei nuovi Granducati (Assia-Darmstadt, Berg, Baden) e Regni (Baviera, Württemberg) e la fondazione del Kaisertum austriaco.

Le Guerre della Terza e Quarta Coalizione si fondono in una sola, nella quale il Generale Buonaparte sonfigge prima i Francesi con l'aiuto dei Russi, poi congiuntamente ai Prussiani. La Polonia resta spartita secondo i confini del 1795 e il Montenegro viene occupato dall'Austria. Con la Quinta Coalizione, Buonaparte tiene testa contemporaneamente alla Francia e alla Russia e, al culmine della gloria, come Principe dell'Impero sposa l'Arciduchessa Maria-Luisa (non può aver sposato in precedenza Joséphine Beauharnais e Carlo Luigi Napoleone Bonaparte non è mai nato).

La Guerra della Sesta Coalizione vede l'offensiva finale delle Potenze Europee contro la Repubblica Francese e la Restaurazione della Monarchia Borbonica; le Forze della Coalizione, guidate dallo Car' Alessandro I e dal Principe Buonaparte, entrano a Parigi il 31. marzo 1814. Il confine tra Francia e Sacro Romano Impero torna quello del 1789.

Congresso di Vienna: la Prussia conserva i confini del 1795 con l'aggiunta delle annessioni del 1815 a spese della Sassonia, punita per essersi alleata con la Francia (nella speranza di recuperare la Polonia), e del Regno di Dacia (dal 1802). In Unione Personale con l'Impero Austriaco sono i Paesi Bassi Meridionali, il Regno Lombardo-Veneto (esteso dalla Savoia alla Morea, comprese Nizza e Parma), di Corsica e Liguria, di Sardegna e delle Due Sicilie; in Unione Dinastica Modena-Reggio e la Toscana.

Indipendenza Greca: la Morea rimane austriaca.

1847: “Fusione Perfetta” fra i Regni Lombardo-Veneto (dalla Savoia alla Morea), di Corsica e Liguria, di Sardegna e delle Due Sicilie.

1848: non essendo mai nato Luigi-Napoleone, Victor Hugo è eletto Presidente della Seconda Repubblica Francese.

Guerra di Crimea: Russia e Austria sono alleate per spartirsi la Turchia Europea (Tracia e Costantinopoli alla Russia, Rumelia all'Austria), ma l'Impero Ottomano vince il conflitto grazie al sostegno franco-britannico.

1859: Guerra Austro-Francese per Nizza e la Savoia; intervento di tutto l'Impero, il conflitto si conclude in un nulla di fatto. Nella Pace di Zurigo (10. novembre) viene istituita la Confederazione Italica con il Ducato di Modena e Reggio, il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio.

17. marzo 1861: trasformazione della Confederazione Italica nel Reich d'Italia (in Unione Personale con l'Impero d'Austria e di struttura federale analoga al Secondo Reich storico) con Capitale Milano in continuità con la “Fusione Perfetta” del 1847.

Guerra Austro-Prussiana: la Prussia vince a Sadowa, prosegue contro Vienna con l'intenzione di annettere tutto l'Impero Austriaco e ottenere così l'agognata continuità territoriale con la Dacia, ma la Russia interviene in difesa dell'Austria per impedire un eccessiva concentrazione di potenza ai proprî confini (Prussia + Austria sotto gli Hohenzollern). La Francia appoggia la Prussia, la Gran Bretagna la contrasta per difendere il Regno di Hannover. Il conflitto si conclude con un nulla di fatto.

Guerra Franco-Prussiana o Seconda Guerra di Successione Spagnola: poiché la Dacia è già unita alla Prussia, Guglielmo I e Karl Anton di Hohenzollern-Sigmaringen non hanno motivi per impedire al primogenito di quest'ultimo, Leopoldo, di accettare la Candidatura a Re di Spagna; la Francia appoggia invece la Candidatura di Amedeo di Savoia (la cui Dinastia appartiene dal 1631 ai Pari di Francia). Con l'autorizzazione della Russia, l'Austria assicura alla Prussia l'appoggio di tutto l'Impero in cambio dell'accettazione della Riforma del Reich in forme analoghe a quelle storiche del 1871, ma con il ruolo di Dinastia Ereditaria riservato agli Imperatori in carica (gli Asburgo-Lorena). Vittoria del Sacro Romano Impero e Proclamazione (1. gennaio 1871) del Kaiserreich Ereditario (Asburgo-Lorenese); Spagna agli Hohenzollern, Artois, Fiandre e Hainaut (nei confini del 1659), Alsazia e Lorena (nei confini del 1738) agli Asburgo-Lorena.

1877-1878: Terza Guerra Austro-Russo-Turca, Vittoria Austro-Russa, Rumelia (con Tessalonica) all'Austria, Tracia e Costantinopoli alla Russia.

18. maggio 1881: Triplice Alleanza fra Russia, Impero e Spagna.

Non hanno luogo le Guerre Balcaniche né la Prima Guerra Mondiale.

1916: Unione Personale (21. novembre) fra Impero Austro-Italico + Paesi Bassi Meridionali e Ducato di Modena e Reggio; Unione Mitteleuropea fra Spagna, Olanda, Sacro Romano Impero e Impero Austro-Italico, Montenegro, Grecia, Danimarca, Norvegia e Svezia.

Non avvengono le Rivoluzioni Russe né l'Epidemia di Spagnola. Dal 1913 il nazionalista Adolf Hitler vive a Monaco di Baviera come artista, Ioseb Besarionis je J̌uḡašvili a Kurejka come internato.

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Tommaso Mazzoni però obietta:

In realtà il Principe Buonaparte può avere più di un figlio da Maria Luigia, e questa è una conseguenza molto probabile, visto che, non venendo separati, i due sposi continueranno ad avere una relazione fino al 1821; oltre a Napoleone II, quindi, nasceranno almeno altri 2 figli, un Maschio e una Femmina. La casa di Buonaparte, sostituirebbe quella di Montenuovo e sarebbe tuttora alla guida di Lucca. Oltretutto, anche non volendo aggiungere due figli, Napoleone II verrebbe fatto sposare alla prima occasione utile, prima del fatale 1846.

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E Bhrghowidhon replica:

È vero, questo complica ulteriormente l'ucronia (e vale anche se manteniamo per Napoleone II la data di morte del 22. luglio 1832), perché non è che i Bonaparte saranno una Monade senza né porte né finestre, d'altra parte gli altri Personaggi Storici devono rimanere appunto storici per essere utilizzabili; è un bel rompicapo...

Poi l'ucronia è interrotta a poco meno di cent'anni fa. Quel che viene dopo è tremendamente difficile da far quagliare. D'accordo che per i Paesi Americani e la Gran Bretagna (ma anche per quelli Scandinavi e i Paesi Bassi) valgono i risultati elettorali noti (però la Geopolitica all'Ordine del Giorno risulta comunque diversa); alla Francia mancano 13 Dipartimenti (una differenza già molto cospicua), per la Spagna c'è il fatto che la Dinastia è diversa e quindi anche le personalità dei singoli Monarchi lo sono; per la Russia e gli Imperi Centrali, poi, l'intera situazione politica è diversa dagli Anni Venti e Trenta (per non dire Quaranta) che conosciamo.

Possiamo applicare schemi generalissimi di Geopolitica. Per le Colonie credo che un'ipotesi verosimile – nonostante la diversità dalla Politica di Bismarck per il Congo – sia di attribuire all'unico Stato ucronico le Colonie degli Stati di cui è composto, quindi della Germania, del Belgio e dell'Italia. Il fatto che la Spagna sia nella Triplice Alleanza dovrebbe bastare a evitare la Guerra Ispano-Americana del 1898 e quindi assicurare alla Spagna il mantenimento di Cuba, Porto Rico e delle Filippine. L'assenza della Grande Guerra e delle Rivoluzioni del 1917 dovrebbe permettere all'Impero Russo la conservazione delle Zone d'Influenza nell'Impero Cinese (Xīnjiāng e Mongolia Esterna) e in Persia Settentrionale. È infine quasi fatale che, senza una guerra, si arrivi a una spartizione di fatto dell'Impero Ottomano residuo (ossia solo in Asia) come per le Concessioni in Cina, in linea di massima Anatolia alla Russia e il resto a Gran Bretagna e Francia (come da Storia vera unite – solo queste ultime due – dalla Cordiale Intesa).

L'incertezza più grande deriva dalla pressoché sicura riconciliazione britanno-americana e dalla conseguente diffusione della Geopolitica di Mackinder. Se le Potenze Anglosassoni (Greater Britain) devono a ogni costo evitare l'unione fra Imperi Centrali e Russia (che cosa mi ricorda questa situazione?) e la Francia si trova a essere, oltre che la Potenza più stimolata alla Rivincita, anche il primo obiettivo di un'eventuale recrudescenza imperialistica degli Imperi Centrali (in effetti la Francia è circondata come fra XVI e XVII secolo), allora il pericolo di una Guerra Mondiale è molto alto e forte, tanto più che senza esperienze dirette di simili catastrofi gli Stati Maggiori potevano continuare a nutrire l'illusione della Guerra-Lampo.

Per gli Imperi Centrali è di cristallina evidenza che il rapporto con la Russia va conservato a qualsiasi prezzo. Per la Russia può invece essere una forte tentazione, una volta esaurite le possibili di espansione in Cina, Persia e Turchia, cedere alle lusinghe che la Francia è razionalmente obbligata a farle prospettando una spartizione degli Imperi Centrali (senza controindicazioni per la Russia; alla simbiosi con gli Imperi Centrali subentrerebbe quella con la Francia).

Per la Greater Britain il rivale principale è piuttosto la Russia (anziché gli Imperi Centrali) e la nota idea di una Teutonic Connection sarebbe sicuramente la prospettiva ideale, se non fosse che la Francia – l'Alleato più importante per la sua stessa esistenza come ultimo argine a un'egemonia subcontinentale da parte tedesca – deve da un lato essere aiutata a resistere contro l'eventualità di un assorbimento da parte degli Imperi centrali, dall'altro non deve essere lasciata finire corpo e anima fra le braccia della Russia. Soprattutto per la Gran Bretagna, quindi, la necessaria protezione della Francia comporta l'illogica ostilità agli Imperi Centrali a favore del Rivale più pericoloso, l'Impero Russo.

Per gli Stati Uniti, al momento l'ideale potrebbe essere – come per gli Imperi Centrali – la conservazione della situazione contemporanea, tuttavia con la separazione degli Imperi Centrali dall'Impero Russo. Accettata come strategica l'Alleanza con la Gran Bretagna, la prima tappa d'obbligo diventa l'Alleanza fra Russia e Francia. Si innesca così il meccanismo che dovrebbe portare l'Alleanza Britanno-Americana (Greater Britain), attraverso la Cordiale Intesa Franco-Britannica, all'Alleanza Franco-Russa in luogo della Triplice Ispano-Mitteleuropeo-Russa.

Gli Imperi Centrali devono per forza tenere la Russia dalla propria parte, cercando di neutralizzare il corteggiamento della Russia da parte francese, ma senza cadere nella trappola di cedere alla tentazione dell'uso della forza contro la Francia (che provocherebbe la deflagrazione del conflitto, in una situazione del genere sicuramente perso); contemporaneamente deve cercare un avvicinamento alla Gran Bretagna, anzitutto attraverso gli Stati Uniti (e quindi in ogni caso evitando screzi in àmbito coloniale), ma al contempo senza aiutare soverchiamente il proprio Alleato russo in quanto principale Rivale dell'Impero Britannico e che però va anche trattenuto dal passaggio all'Alleanza con la Francia.

Tutto ciò somiglia molto sinistramente al 1914-1945 della Storia vera. A differenza di allora, le Vittime Designate – gli Imperi Centrali – non sono ancora con le spalle al muro, perché godono di qualche margine di manovra in più: hanno un'Alleanza ormai consolidata e reciprocamente vantaggiosa con la Russia (in grado di rappresentare un valido contraltare alla tentazione del Patto Franco-Russo di Spartizione dell'Europa), dispongono di una Comunità Mitteleuropea realizzata e operante nei fatti, detengono un Impero Coloniale complessivo alquanto maggiore – fra Belgio, Olanda e Spagna – di quello storico, nella stessa Europa sono assestati su confini massimamente stabili (quello con la Russia è la linea più breve fra Mar Nero e Baltico nonché Mar Bianco; la Francia è completamente circondata per Terra) e non hanno Questioni Nazionali insolubili (Ungheresi e Cecoslovacchi sono interamente compresi nell'Austria, gli Jugoslavi in massima parte, i cosiddetti “Italiani” nei Dominî Asburgici, Romeni Polacchi e Tedeschi se non altro negli Imperi Centrali; ognuna delle tre Grandi Nazioni europee – Latini Germani Slavi – è ricompresa nel Mitteleuropa a esclusione delle tre Subnazioni Iperegemoni, rispettivamente Francesi Inglesi e Russi o meglio Slavi Orientali senza i “Ruteni”).
Una possibilità di cambiare le carte in tavola sarebbe l'ingresso della Francia nel Mitteleuropa, ma questo comporterebbe il prezzo di “restituirle” i Tredici Dipartimenti se non addirittura i Confini Naturali dell'Epoca Rivoluzionaria – una prospettiva che tende ad annullare qualsiasi altro eventuale vantaggio. Una conquista militare della Francia con l'aiuto russo richiederebbe invece destabilizzanti cessioni territoriali sul Confine Orientale, anche questo un prezzo troppo alto da pagare rispetto al vantaggio che ne potrebbe derivare.

Il tempo gioca contro gli Imperi Centrali, perché la Russia avrà sempre più interesse a passare all'Alleanza con la Francia (nella prospettiva di spartire gli Imperi Centrali) se non ci sono alternative possibilità di espansione altrove; per gli Imperi Centrali, invece, passare all'Alleanza Anglo-Americana avrebbe più svantaggi (la perdita della Russia) che vantaggi (non risolverebbe la Questione Francese). Gli Anni Venti e Trenta rischiano di trascorrere nelle vane ipotesi di conflitti risolutivi con la Francia e cambi di Alleanza.

Man mano che il peso dell'Europa nel Mondo si relativizza, le proporzioni degli Imperi Centrali si rivelano ridicolmente minoritarie rispetto ai Continenti Extraeuropei e la loro posizione irrimediabilmente circondata da potenziali Nemici. Entro gli Anni Quaranta diventa evidente alle Élites mitteleuropee che l'unica possibilità di sopravvivere è di diventare un Protettorato Russo; così avverrà prima o poi, se non scoppiano Conflitti Mondiali. In tutta Europa, gli unici Stati al di fuori della Sfera d'Influenza Russa sono Francia, Portogallo, Gran Bretagna e Irlanda; nel resto del Mondo, le relativamente poche Colonie Ispano-Belgo-Italo-Germaniche rendono manifesta la prevalenza dell'Alleanza Anglo-Americana e dell'Intesa Anglo-Francese, alle quali ha ogni interesse ad associarsi il Giappone, che in Cina si trova di fronte soprattutto le Zone di Influenza Russa.

Se non è deflagrata una Guerra Mondiale, gli Anni Cinquanta e seguenti potrebbero davvero replicare lo scenario di una Guerra Fredda intervallata da periodi di Distensione.

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Tommaso torna alla carica:

A questo punto l'unica possibilità per evitare la guerra è un matrimonio Asburgo-Romanov che porti alla fusione dei due Imperi; Secondo numerosi medici, a causa dell'emofilia Alessio non sarebbe vissuto più di venti, venticinque anni, quindi è possibile che non si sposi e che il titolo di Zarina vada alla sorella Olga, la quale potrebbe essere maritata con l'erede Asburgo; Se questo avviene, Atlantide si deve rassegnare, e la Francia a quel punto entra nell'Alleanza senza nulla pretendere, visto che l'alternativa non è piacevole.

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E Bhrghowidhon non è da meno:

Touché, questa è un'eventualità dirompente. Sarebbe veramente la soluzione di tutto e mi piacerebbe che l'ucronia passasse per questo avvenimento, solo che mi blocca la seguente difficoltà e non so come aggirarla:

1) si tratta chiaramente di un Matrimonio di suprema valenza geopolitica (che quindi sia in grado di superare l'eventuale opposizione personale dei diretti Interessati),
2) ma perché ciò sia vero bisogna attendere la mesta evidenza del destino di Aleksej Nikolaevič, quindi fra il 1924 e il 1929;
3) l'unico Erede asburgico realmente esistito che fosse più o meno della stessa generazione di Ol'ga Nikolaevna era Carlo I (nato nel 1887, otto prima di lei; il primogenito, futuro Ottone I d'Asburgo-Lorena, è nato il 20. novembre 1912),
4) ma suo padre l'Arciduca Ottone è diventato primo in Linea di Successione il 1. luglio 1900 (quattro anni prima che Aleksej nascesse, il 12. agosto 1904)
5) e Carlo ha nel frattempo sposato Zita di Borbone-Parma il 21. ottobre 1911 (il Fidanzamento ufficiale era del 13. giugno precedente, ma era praticamente deciso dal 1909;
6) l'emofilia dello Cesarevič era nota almeno dal 1907, ma fino al 5. settembre 1912 non si pensava che alterasse la Successione al Trono.

Mi chiedo quindi: siccome allorquando non c'erano motivi – o speranze! – per pensare all'Unione fra Imperi Centrali e Russia (1909-1911) non era verosimile che si potesse costringere per Ragion di Stato la minorenne Ol'ga a sposare contro la propria volontà un Principe non russo. bisogna attendere la generazione successiva, quindi Ottone I (nato appunto il 20. novembre 1912), che sarebbe salito al Trono o divenutone Erede alla morte del padre Carlo, il 1. aprile 1922, a nove anni di età; per persuadere Ol'ga a sposarlo bisognava che Alëša fosse oggimai proprio senza più speranze (presumibilmente dunque 1924-1929), ma anche che Ottone fosse un po' cresciuto (nel 1929 avrebbe avuto sedici o diciassette anni), quindi Ol'ga (che compiva gli anni il 15. novembre, cinque giorni prima di lui) avrebbe avuto il doppio della sua età (trentatré o trentaquattro anni). È fattibile? È una differenza di età (diciassette anni) maggiore di quella di undici anni fra Maria la Cattolica (18. febbraio 1516) e Filippo II (21. maggio 1527)...

È chiaro che per possibile è possibile, ma le Potenze Occidentali (che, a parte i Tredici Dipartimenti in meno della Francia, sono identiche alla nostra Storia, anche per risultati elettorali) che cosa avrebbero pensato con «metà del Mondo in mano a una donna e un bambino»? Non ci avrebbero provato? La Guerra di Successione Austriaca è scoppiata per un pregiudizio simile...

Francesco Ferdinando era del 18. dicembre 1863, Nicola II del 18. maggio 1868: se fossero stati ancora vivi nel 1929 avrebbero avuto rispettivamente 65 (66) e 60 (61) anni. È possibile se non addirittura probabile che abbia luogo la Crisi del 1929; bisogna che i due Imperatori tirino avanti fino agli Anni Quaranta, mentre i due Eredi si devono affrettare a generare una Discendenza sicura (la madre sarebbe già una primipara attempata).

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Interviene anche Federico Sangalli:

Ci tenevo a sottolineare come, secondo me, la Prima Guerra Mondiale (o qualcosa di molto simile anche se magari con nomi diversi) scoppierà ugualmente perché, anche in questa TL rimangono troppi nervi scoperti in cui le (perlopiù) stupide classi dirigenti d'inizio secolo potrebbero inciampare, facendosi che poi tutti gli altri nodi vengano al pettine: il primo conflitto mondiale fu causato principalmente da Quattro Fattori, ovvero sia la Competizione negli Armamenti e nelle Colonie (sopratutto tra Inghilterra e Germania ma anche con Giappone, Russia e Francia), le Spinte Irredentiste dell'Area Mediterranea Orientale (serbi e altri slavi, cecoslovacchi, ungheresi, italiani, greci, arabi,...), la Rivalità/Odio Viscerale tra Francia e Germania per la questione dell'Alsazia-Lorena e le Ambizioni Imperialistiche di un po' tutti gli Imperi dell'Epoca, convinti della propria invisibilità (dunque incoscienti, quelli che dicevano "La Guerra finirà entro Natale"), ma in particolare della Russia e dell'Austria che, nonostante la loro non invidiabile situazione interna, seguitavano a dar voce ai loro progetti imperiali, diciamo con poco tatto. In particolare le tentazioni panslavistiche e costantinopoliane della Russia, rinate dopo la disfatta ad Oriente del 1905, trasformarono i Balcani da un'umida e dimenticata penisola dell'Europa Sud-Orientale in una polveriera che si sarebbe portata via mezzo Mondo. Naturalmente le spinte in tal senso degli esaltati circoli militari e degli altrettanto avidi circoli finanziari contribuirono notevolmente ma i motivi furono principalmente questi. Ora, in questa TL, la costituzione dell'Iperimpero MittelEuropeo e la sua alleanza con la Russia hanno disinnescato i motivi 4 e 2 ma è pur sempre vero che il motivo 3 è accresciuto dalla paranoica Sindrome d'Accerchiamento di Parigi e dalle gravi mutilazioni territoriali ad Occidente, senza contare il fatto che il Benelux sia nei fatti un territorio imperiale così come Svizzera ed Italia. Anche il motivo 1 potrebbe essere stato potenziato, con le fobie di Londra alle stelle visto l'impero coloniale (ispano-tedesco-belga-italo-olandese) nelle mani dell'Impero e data la massiccia presenza russa negli Stretti.Questo cambia sicuramente l'intera guerra, il suo esito, dove, come e quando si combatterà ma non basta ad evitarla credo; i casus belli possono essere molteplici: un assassinio o un attentato compito da estremisti francesi, le violente tensioni seguite ad una spartizione dell'Impero Ottomano, la stessa crisi di successione con i due imperi avversari "in mano ad una donna e un bambino", le tensioni tra russi ed anglo-giapponesi in Asia, dalla Cina al Karakorum,... Voi mi direte: "Sei troppo pessimista, due concentrazioni tali di potere creeranno una situazione stile USA-URSS in nessuno dei contendenti è in grado di prevalere sull'altro, instaurando un regime da Guerra Fredda". è vero, sono d'accordo che si giungerà a questo inevitabilmente, salvo casi radicali, ma penso che vi si possa giungere soltanto dopo una guerra mondiale: semplicemente non ritengo i politicanti ( e in generale la società) di fine ottocento sufficientemente intelligenti per capire una cosa del genere senza prima passare per una carneficina generale. Insomma resto convinto che la Prima Guerra Mondiale scoppierà lo stesso, in altri modi e con altri fronti, ma scoppierà.

Ora, per evitare di passare per il solito distopista guastafeste, mi permetto di suggerire una possibile soluzione al problema del matrimonio tra Asburgo e Romanov: a seconda di come finisce la Prima Guerra Mondiale è difficile che muoiano sia Carlo I sia Francesco Ferdinando. Poniamo dunque che Francesco Ferdinando sia Imperatore dal 1916 al 1946, quando muore a 82 anni, e che gli succeda Carlo d'Asburgo (difficile che muoia di polmonite in esilio in Portogallo) almeno fino al 1972 (morte ad 84 anni), al trono gli succede quindi il figlio Ottone fino alla sua morte nel 2011. Oggi Carlo IX d'Asburgo-Lorena è Sacro Romano Imperatore. Notare un maschio. Ora i Romanov possono essere supportati quanto si vuole ma erano dei macellai nel gestire il loro paese, c'è poco da fare, quindi è probabile che scoppi una rivoluzione, magari incoraggiata dagli anglo-franco-americani. I Bolscevichi verrebbero sconfitti dall'intervento imperiale in supporto dei Bianchi, ma, come in HL, è molto probabile che essi ordinino di sterminare la Famiglia Reale per evitare che cada in mano dei monarchici, così come fecero ad Ekaterinburg all'arrivo dell'Ammiraglio Kolcak. La restaurazione vedrebbe dunque il Granduca Cirillo sul Trono e, dopo la sua morte nel 1938, l'ascesa al trono dell'unico figlio maschio Vladimir che, da sua moglie, una Principessa georgiana, ha un'unico erede, un'unica figlia femmina, Maria. Notare una femmina. La Granduchessa Maria Vladimirovna è nata il 23 dicembre 1953, il Principe Carlo d'Asburgo è venuto al Mondo l'11 gennaio 1961, appena 7 anni e due settimane circa di differenza, non perfetto certo ma direi l'occasione migliore perché avvenga tale matrimonio senza modificare radicalmente la Storia con catene di morti improvvise, guerre nucleari o improbabili unioni dinastiche. Dopo il loro matrimonio, Maria diventerebbe Zarina di Tutte le Russia il 21 aprile 1992 mentre Carlo ascenderebbe al titolo di Sacro Romano Imperatore il 4 luglio 2011 (salvo abdicazioni anticipate del padre Ottone) e, con Carlo che, come Ottone, è sempre stato un sostenitore dell'unificazione paneuropea, questo porterebbe rapidamente all'unificazione e all'integrazione dei due Imperi: il loro figlio Pietro Alessandro Karolovich d'Asburgo-Romanov erediterebbe quindi un giorno tutti i troni di questo immenso possedimento euroasiatico.

Il mio punto di vista si basa sulla credenza che una generazione di gente con la testa di Lord Kirtchener, Custer, Guglielmo II, Francesco Giuseppe, Nicola II, Vittorio Emanuele III, D'Annunzio, Clemenceau, Poincaré ed il generale Ludendorff non avevano non la convinzione ma neppure proprio la mentalità per evitare la guerra. I pacifisti erano un pugno di cattolici e socialisti che per il resto litigavano praticamente su tutto, la guerra era vista come un'allegra e necessaria scampagnata che una Nazione compiva regolarmente per tenersi in forma e rinfrancarsi lo spirito. La potenza delle due parti non influiva sul ragionamento di questi grandi uomini giacché, poiché, come abbiamo detto, in assenza di armi nucleari URSS e USA sarebbero probabilmente scesi in guerra l'una contro l'altro pur essendo da soli più forti di tutto il resto del Mondo messo assieme, e questo DOPO due immani tragedie come le due guerre mondiali ed un bilancio tanto triste (almeno 80 milioni di morti) che avrebbe dissuaso chiunque anche solo dal pensiero di iniziarne una terza, non vedo perché due assembramenti di potenza comunque inferiore non avrebbero dovuto farsi la guerra PRIMA di aver avuto modo di imparare la lezione, con in mente ancora un concetto di guerra breve ed estiva, limitata ai campi di battaglia e che costava solo poche decine di migliaia di morti a testa. L'unico modo, a mio parere, per evitare una cosa del genere è il seguente: grande avvicinamento tra Chiesa Cattolica e Impero, l'imperatore é incoronato dal Papa, il quale gioisce per la creazione di un così vasto impero cattolico di stampo romano, e cose così, naturalmente devono essere fatte concessioni al Papato, come il possesso minimo di tutta la Città di Roma, tolleranza dei Gesuiti almeno negli territori cattolici, eccetera eccetera... Dunque niente Non Expedit né Kulturkampf anzi incoraggiamento alla partecipazione cattolica alla politica in sostegno dell'Impero, i popolari diventano una base fondamentale per evitare la vittoria dei perniciosi socialisti e questo lascia molto meno spazio a categorie che con la politica avevano poco a che fare, come i ricchi industriali (che vollero poi la guerra per vendere le armi) e i circoli militari. Con delle grandi coalizioni di stampo giolittiano (cattolici-liberali eventualmente conservatori) le tensioni non diminuiscono né spariscono i progetti imperialistici ma forse si evita perlomeno di rispondere per le rime quel tanto che basta per tenere il fuoco della guerra sotto controllo. Senza troppa irritazione internazionale (una di tutte le avventure marocchine) gli inglesi sono più tranquilli e Asquith non é costretto dal Parlamento a dissotterrare l'ascia di guerra contro il nemico germanico. Senza il punto 1 il 3 si calma da sé perché la Francia da sola non va da nessuna parte. La guerra non é evitata ma solo rimandata di un bel po', con Francesco Ferdinando infatti i socialdemocratici potrebbero anche vincere le elezioni ma in materia abbiamo visto che avevano le stesse opinioni dei cattolici. Alla fine vi sarà una guerra, diciamo a cavallo tra gli Anni Trenta e i Quaranta che é un periodo in cui l'Umanità non ha fatto una bella figura in materia di accortezza politica e tolleranza, ma sarà una guerra breve, non più di due anni al massimo: la Francia asfaltata il primo, gli anglo-nipponici ridotti alla resa con il miglior prodotto della Einstein-Fermi-Szilard-Heisenberg & Co., uno a testa, nel secondo. Poi Guerra Fredda tra Impero ed USA con probabile vittoria imperiale.

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Restituiamo la parola ad Enrico Pizzo:

La Truffa dei Luigini

È il nome che viene dato in letteratura ad una speculazione finanziaria avvenuta negli anni '60 e '70 del XVII secolo.

Per raccontarvi di cosa si tratta, innanzitutto devo spiegare, o almeno provare a farlo, alcune caratteristiche della circolazione monetaria nel XVII secolo, sempre ammesso e non concesso che sia io per primo ad averle capite... 😰
Nel XXI secolo esistono tre forme di moneta:
cartacea
metallica
scritturale ( ebbene sì, maledetti modernisti. Io sono un classicista convinto e non userò mai l'orrendo termine " elettronica " )

Queste 3 specie esistevano anche nel XVII secolo, ma la " cartacea " era solo un qualcosa di sperimentale, quindi ai fini della spiegazione può essere ignorata, e la " scritturale non ha a che fare con la " Truffa ".
Resta la " metallica ".
Questa poteva essere prodotta in oro, argento, biglione o rame, ed il valore era fissato per decreto sulla base del fino.
Solo le prime 2 tipologie, oro ed argento, avevano potere liberatorio, cioè la capacità del denaro di estinguere il debito, illimitato mentre le seconde erano utilizzate solo nel piccolo commercio ed erano posti dei limiti alla loro accettazione.
Nel XXI secolo termini come " denaro ", " moneta " e " valuta " sono sinonimi, ad esempio noi Italiani teniamo la contabilità in Euro divisi in 100 centesimi ed usiamo monete metalliche, ma anche cartacee, il cui valore è espresso in Euro o nei suoi multipli o sottomultipli.
Nell'Europa del XVII secolo le cose erano differenti.
Per " valuta " si intendeva come uno Stato sceglieva di tenere la propria contabilità, ad esempio in Francia, Isole Britanniche ed Italia del Nord si usava lo schema Carolingio

1 Lira = 20 Soldi = 240 Denari

Non sempre Lire, Soldi e Denari esistevano anche come moneta metallica.
Ad esempio nell'anno 1786 una Lira Veneta di Piccoli, valuta della Repubblica di Venezia, corrispondeva alla 22esima parte di uno Zecchino, circa 0,159 g di oro, o all'ottava parte di un Ducato Effettivo " Da 8 ", circa 2,352 g di argento.
Nel Regno di Francia invece una Livre Tournois nel 1786 corrispondeva alla 24esima parte di un Luigi d'oro, circa 0,292 g di metallo giallo, o alla sesta parte di uno Scudo, circa 4,505 g di argento.

Nel XVII secolo poteva accadere che due Stati diversi avessero la stessa valuta, moneta di conto, e l'espressione fisica della stessa, corrispondenza in grammi di argento o oro fino, differiva tra stato e stato.
Come esempio posso portare la Repubblica di Venezia ed il Regno di Francia, dove in entrambi si teneva la contabilità in Lire/Livres di 20 Soldi/Sou da 12 Denari/Denier.
Non bisogna tuttavia pensare che l'uguaglianza dei nomi implicasse anche l'uguaglianza della quantità di beni e servizi che si potevano ottenere con una Unità di Conto.
Ad esempio Andrea Zannini, nel suo " L'economia Veneta nel Seicento ", scrive che nella città di Venezia, nell'anno 1711, una giornata lavorativa di un manovale era retribuita con la somma di 44 Soldi di Lira Veneta, circa 5,83 grammi di argento fino, e che quell'importo gli consentiva di acquistare circa 9,5 kg di grano.
Invece Micheline Baulant, nel suo " Salaire des ouvriers du bâtiment à Paris de 1400 à 1726 ", scrive che nella città di Parigi, nell'anno 1711, una giornata lavorativa di un manovale era retribuita con la somma di 17 Sou de Livres Tournois, circa 4,98 grammi di argento fino.
Sempre Micheline Baulant, nel suo " Le Prix de Grains à Paris de 1431 à 1788 ", scrive che nel 1711 " le froment de meilleure qualitè " si vendeva a 18,13 Livres Tournois decimalizzate " pour setier ", un setier = 156,1 litri.
Ne consegue quindi che con la sua paga di 17 Sou un manovale poteva acquistare 5,56 kg di grano.
Lo stipendio del manovale Veneziano è nominalmente superiore del 158,8 %, 44/17, sull'omologo Parigino, concretamente del 17 %, 5,83/4,98, ma materialmente del 70,86%, 9,5/5,56.

Lo " step " successivo è spiegare il meccanismo con cui uno stato stabiliva la tariffa per cui dovevano essere spese nel proprio territorio le monete realizzate in Zecche straniere.
La regola generale, pur in presenza di infiniti distinguo, stabiliva che a peso e fino simili corrispondeva tariffa simile.
Un buon esempio può essere la tariffa che nella seconda metà del XVIII secolo la Repubblica di Venezia stabiliva per gli Zecchini prodotti all'estero.
Lo Zecchino dei Duchi di Savoia era identico in peso a quello lagunare, ma realizzato con oro leggermente meno puro, 988/1000 invece di 1000/1000.
La tariffa per lo Zecchino Sabaudo era quindi quella lagunare, 22 Lire Venete di Piccoli, calata di un 4,5%, fino inferiore + costo che dovrà sostenere la Zecca Veneziana per affinare quell'oro allo standard Veneto, ovvero 21 Lire di Piccoli.
Un altro esempio può essere la tariffa che, sempre nella seconda metà del XVIII secolo, la Dominante stabiliva per i Filippi Milanesi.
Questo era una moneta d'argento leggermente meno pesante del Ducatone Veneto, -1,4%, ma realizzata con una lega d'argento migliore, 958/1000 contro 948/1000.
Il fino del Filippo era lo 0,6% inferiore rispetto a quello del Ducatone ma la Repubblica, che nella seconda metà del XVIII secolo aveva difficoltà a rifornirsi di argento grezzo, lo tariffava comunque a 11 Lire Venete di Piccoli.
Risulta evidente come nel primo caso la Repubblica cercasse di scoraggiare l'uso di Zecchini stranieri sul proprio territorio, mentre nel secondo, al contrario, incoraggiava l'ingresso sul proprio territorio di grosse monete d'argento realizzate negli stati confinanti, ma in entrambi i casi per stabilire la tariffa i Ragionati Ducali si erano basati sul confronto di peso e fino.

Può sembrare un informazione scontata ma oro, argento e rame non sono risorse rinnovabili, bensì prodotti dell'industria mineraria.
Ricordando che nel XVII secolo, ma anche prima o dopo, i metalli di cui sopra erano utilizzati per la produzione delle monete risulta evidente che quegli stati in cui erano presenti miniere da cui estrarli erano avvantaggiati dal punto di vista dell'approvvigionamento, mentre quelli che ne erano privi dovevano ricorrere ad altri fonti.
La prima, e più ovvia, era l'acquisto all'esteri del metallo necessario.
La seconda consisteva nel riciclare, fondendole, le monete straniere che entravano nel territorio dello stato a seguito dei commercianti che partecipavano a fiere o mercati.
Il commercio però, rappresentava un arma a " doppio taglio " dal punto di vista dell'approvvigionamento.
Quando, ad esempio, un Mercante Milanese si recava a fare acquisti a Padova esportava nel territorio della Repubblica del buon argento lombardo, e questo faceva piacere ai Veneti Serenissimi Zecchieri, ma quando un Mercante Padovano si recava ad acquistare merci all'ombra della Madonnina erano gli Zecchieri lombardi a strofinarsi le mani soddisfatti.
Finché i flussi commerciali si mantenevano in equilibrio, tanto argento usciva tanto argento entrava, non vi erano problemi.
Questi invece si verificavano quando il flusso diventava " a senso unico ", ad esempio un acquisto smodato all'estero di beni di lusso.
In pratica quello che avveniva nell'Impero Ottomano verso la metà del XVII secolo, durante la fase finale del Sultanato delle Valide.

Tecnicamente l'Impero Ottomano nella prima metà del XVII secolo non può essere definito uno " stato europeo ".
Si trattava infatti di un impero transcontinentale, ma poiché ho necessità di semplificare la narrazione, e ricordando che sia la sua capitale, Kostantiniyye, sia il suo principale " competitor ", il SRI, si trovavano in Europa lo definirò europeo.
Rispetto agli stati europei suoi contemporanei l'Impero Ottomano era caratterizzato dalla particolarità della sua circolazione monetaria.
Sebbene esistesse una moneta nazionale, l'Aspro, questa non solo coesisteva con le monete locali dei popoli conquistati dagli Ottomani ma, addirittura, la produzione delle Zecche Imperiali era gravemente al di sotto del bisogno.
Non sono in grado di spiegare questa incapacità di produrre il necessario da parte delle officine imperiali, posso solo dire che tutti gli autori che ho consultato insistono molto sul passivo commerciale di Kostantiniyye nei confronti della Persia.
A quanto sembra gli Ottomani avevano ereditato dell'Impero Romano la cattiva abitudine di spendere all'estero, in questo caso in Persia, cifre enormi nell'acquisto di beni di lusso.
Il problema della scarsità di moneta metallica circolante era affrontato dal Divano Imperiale incoraggiando l'uso di monete europee, per le quali veniva fissato un valore in Aspri.
Questo portava al paradosso che, nel corso del Seicento, la circolazione monetaria interna all’Impero era costituita prevalentemente da Gulden olandesi, Ongari ungheresi, Zecchini Veneziani, Talleri imperiali e Pezzi da otto spagnoli.
Gli Ottomani, infine, avevano la bizzarra abitudine di aprezzare una moneta più per l'eleganza del conio che non per il suo contenuto di fino.
Tutto era pronto perché si scatenasse la " tempesta perfetta "...

Insomma, verso la metà del XVII secolo il circolante nell'Impero Ottomano era costituito praticamente solo da monete cristiane e la più diffusa, almeno tra quelle d'argento, era il Pezzo da 8 Spagnolo.
Si trattava di un nummo pesante 8/67 di Marco Castellano, circa 27,47 grammi moderni, alla " ley " di " 11 dineros y 4 granos ", circa 930/1000 moderni.
Oltre agli Spagnoli anche Genovesi, Veneziani e Francesi impiegavano il Pezzo da 8 per il commercio in Oriente, ma per gli ultimi a partire dal 1653, verosimilmente a causa della guerra in corso tra Madrid e Parigi, divenne impossibile procurarsene, rendendo indispensabile la ricerca di un sostituto che venne individuato nell'Écu, moneta di ottimo argento, fino di 958/1000, qualche autore scrive 967/1000 ma non è il millesimo che fa la differenza, tariffata a 3 Livres Tournois e pesante 1/9 di Marco di Parigi, circa 27,19 grammi moderni, e nei suoi sottomultipli da 1/2, Mezzi, 1/4, Quarti, e 1/12, Dodicesimi o Luigini.
Il peso dell'Écu era l'1% in meno rispetto al Pezzo da 8 ma il suo fino maggiore faceva si che il contenuto di argento fosse un 1,8% maggiore.
Concretamente però le 2 monete in Oriente venivano considerate " alla pari " ed a Smirne un debito di un Pezzo da 8 era considerato estinto consegnando 12 Luigini di giusto peso.
Quello che ne a Parigi ne a Madrid potevano immaginare era che le donne Turche, incantate dalla " vaghezza " dei Luigini, iniziarono a richiederli onde forarli per poi impiegarli come orecchini o ornamento dei loro hijab, dei loro abaya, dei loro niqab...

A causa forse della guerra in corso tra Madrid e Parigi, a partire dal 1653 divenne impossibile per i mercanti Francesi procurarsi dei Pezzi da 8, indispensabili per il commercio in Oriente, tanto che questo era stato sostituito con l'Écu, e con i suoi spezzati da 1/2, Mezzi, 1/4, Quarti, e 1/12, Dodicesimi o Luigini.
Scrivevo anche che le donne Turche, sedotte dalla " vaghezza " dei Luigini, iniziarono a richiederli onde forarli per poi impiegarli come orecchini o ornamento dei loro hijab, dei loro abaya, dei loro niqab.
Questo ebbe delle conseguenze, la continua richiesta di Luigini da impiegare a scopo decorativo fece innalzare il valore nominale della monetina che da 1/12 di Pezzo da 8 passò presto ad 1/8 di Pezzo da 8!!
Il brutale innalzamento del loro valore nominale trasformò i Luigini da moneta a pura merce, rendendo economicamente conveniente esportali in Oriente onde scambiarli con Pezzi da 8, operazione che garantiva un guadagno di 1/3.
Il problema era che la Zecca Reale non garantiva una produzione adeguata a quelle che erano le necessità degli speculatori, tuttavia questi trovarono il modo di aggirare il problema acquistando i Luigini da privati che o godevano del privilegio di battere moneta o se lo erano procurato in virtù del loro " status " di sudditi imperiali.
Ovviamente la prima persona a cui gli speculatori si rivolsero fu Lei, la Paris Hilton del '600, la Kim Kardashian in versione Rococò, Anne-Marie-Louise d’Orléans, duchesse de Montpensier, la Grand Mademoiselle titolare " ab antiquo " di un antichissimo privilegio di Zecca in quel di Dombes.
Tuttavia l'opificio Trévoltiens non era sufficiente a soddisfare l'ingordigia degli speculatori, il problema principale era che la Grand Mademoiselle in quanto suddita, e cugina, di Louis - " l'état c'est moi " - Dieudonné, Quatorzième du Nom, era obbligata a rispettare le Sue Reali Disposizioni in materia monetaria, tra cui quella relativa al fino delle monete.
Ma tale obbligo non sussisteva, invece, per coloro che, oltre ad essere titolari del Diritto di Zecca, non erano sudditi del Re di Francia, come ad esempio i Feudatari Imperiali Genovesi, e che quindi oltre a realizzare monete con impronte di fantasia avevano la possibilità di realizzarle ad un fino ribassato.

Ma in che modo l'alterazione del fino aumentava il guadagno degli speculatori che producevano Luigini da smerciare in Oriente?
Faccio un esempio.
Inanzitutto devo premettere che i produttori di monetine destinare al mercato orientali nelle loro Zecche non partivano mai da argento in lingotti, per la lavorazione venivano usati i Pezzi da 8, o Piastre, spagnoli di cui il mercato sovrabbondava.
Ricorderete che nella mia 891esima scrivevo che il Pezzo da 8 pesava 12 volte un Luigino, uno speculatore dalla fusione di 40 Pezzi da 8 ricavava pasta metallica sufficiente alla produzione di 480 monetine.
Trasferite in Oriente le scambiava con altri Pezzi da 8, al cambio di 8 Luigini per Piastra, per un totale di 60.
Recuperava così il suo investimento iniziale di 40 Piastre, ottenendo un guadagno di 20.
Detratte le spese per l'affitto dei locali della Zecca, il salario degli operai, il costo del trasporto delle monetine in Oriente, dazi doganali e provvigioni agli agenti ne restavano, netti, almeno 12, si tratta di un mio calcolo approssimativo!!, ovvero un utile del 30%.
Nel caso che lo speculatore avesse aggiunto ai 40 Pezzi da 8 del rame puro per un peso equivalente a quello di 20 Piastre avrebbe prodotto della pasta metallica sufficiente alla produzione di 720 Luigini che, una volta trasferiti in Oriente, avrebbe scambiato con 90 Pezzi da 8, con un guadagno di 50!!
Anche in questo caso doveva detrarre le spese di cui sopra che importavano, si tratta sempre di miei calcoli approssimativi, almeno 20 Piastre, realizzando un utile del 75%!! 😱
L'utile degli speculatori si sarebbe ulteriormente innalzato qualora fossero state prodotte monete a fino ancora più basso.
Ad esempio nel caso di una fusione preparata con 40 Piastre e rame per un peso equivalente a quello di 40 Piastre lo speculatore avrebbe ottenuto una pasta metallica sufficiente alla produzione di 960 monetine...
Non sono in grado di indicare chi fu il primo ad alterare il fino dei Luigini destinati all'Oriente.
In una " Grida " Genovese del 29 Settembre 1667 si può leggere che i primi sarebbero stati alcuni Francesi, che avrebbero ricevuto licenza nel 1663 di stampare i Luigini alla " bontà di once 8 ", circa 667/1000 moderni, da Guglielmo III D'Orange-Nassau, che però all'epoca aveva 13 anni...
Purtroppo nonostante tutti i miei sforzi non sono riuscito a recuperare nessun testo che parli della monetazione nel Principato di Orange, quindi non posso ne smentire ne confermare.
Sicuramente produssero Luigini adulterati i:

Centurioni-Scotti

Contratto del 31 Agosto 1668 col quale Giovanni Massaure prende in locazione la Zecca di Campi dietro pagamento di un canone annuo di 1.200 Pezzi da 8 per la produzione di Luigini alla " bontà di once 6 ", 500/1000 moderni.

Cybo-Malaspina

Contratto del 1661 col quale Giovanni Margariti prende in locazione la Zecca di Masss per produrvi Luigini alla " bontà di once 10 ", circa 833/1000 moderni.

Doria

Particolarmente attiva nella produzione di Luigini contraffatti era la Principessa Violante Lomellini-Doria che, il 27 Marzo 1664, affittava per 4 anni, dietro pagamento di un canone di 4.000 Pezzi da 8 da corrispondersi in 4 comode rate annuali, la propria Zecca di Loano al Nizzardo Onorato Bleuet affinché vi producesse

" Luigini , purchè non avessero bontà minore di carati 8 argento fino, per ogni libbra "

Non si tratta dell'unica locazione messa in opera da Donna Violante!!
Già nel Settembre 1665, tacitati gli scrupoli di coscienza grazie all'intervento del Padre Confessore Pier Domenico Pier Dominici della Congregazione di San Filippo Neri, la Principessa affitava, dietro pagamento di un canone di 4.500 Pezzi da 8 da corrispondersi in 3 comode rare annuali, la propria Zecca di Torriglia a Francesco Moretti, affinché vi producesse Luigini che imitassero l'aspetto di quelli Anna Maria Luisa d'Orléans, Duchessa di Montpensier.
Successivamente Donna Violante apriva ulteriori opifici destinati alla produzione dei Luigini a:

Laccio, Conduttore Paris Tasca, canone annuo 1.500 Pezzi da 8
Montebruno, Conduttore Paolo Valderone, canone annuo 1.500 Pezzi da 8
Carrega, Conduttore Giovanni Piangivini, canone annuo 1.750 Pezzi da 8
Grondona, Conduttore Giacomo Ginocchio, canone annuo 2.250 Pezzi da 8

Il contenuto in argento fu largamente disatteso, nei documenti dei Conduttori sono registrate monetine alla " bontà di once 5 ", circa 417/1000 moderni.

Esiste una stima del numero di Luigini adulterati prodotto? E quale fu il " granello di sabbia " che fece inceppare il " meccanismo " della Truffa?
Prima di provare a rispondere vorrei descrivere un ulteriore aspetto della speculazione che in precedenza non avevo affrontato.
Ricorderete che nella mia 891esima " Informazione " scrivevo che il Luigino pesava 1/12 di Pezzo da 8, quindi circa 2,27 grammi moderni, ma non sempre le monetine destinate all'Oriente raggiungevano questo peso.
Nei cataloghi infatti sono registrati pezzi di peso corretto, ma anche Luigini " scarsi " da 1,9 , 1,7 , 1,5 e, persino, 1,1 grammi moderni!!
Questo ci dice che non solo gli speculatori alteravano il fino dei pezzi ma baravano anche sul peso producendo per ogni Pezzo da 8 da loro disfatto 14, 16, 18 od addirittura 24 monetine che a Smirne sarebbero state scambiate con Piastre nuove al cambio di 8 Luigini per Piastra...
Detto questo passo a rispondere alla prima domanda, quanti Luigini sono stati prodotti?
Non sono in grado di rispondere, posso solo riportare 2 dati.
Il primo è una lettera del Commissario Pietro Battista Arduini diretta al Principe Andrea III Doria.
Nella missiva il Commissario informa il Principe che dal 16 Febbraio 1665 al 2 Aprile 1669 la Zecca di Loano aveva trasformato in Luigini tra 750.000 ed 800.000 Pezzi da 8!! 😱
Il secondo è un estratto dal Mantellier, in cui riferisce che Anne-Marie-Louise d’Orléans, duchesse de Montpensier, nei 15 anni in cui il suo l'opificio Trévoltiens aveva prodotto Luigini ha raggranellato la bella somma di 1.5 milioni di Livres Tournois, cifra con la quale a Parigi ti compravi una collana di diamanti da Böhmer & Bassenge...
Per quanto riguarda la seconda domanda, " quale fu il granello di sabbia che inceppò il meccanismo della Truffa? " devo dire che fu l'avidità di alcuni speculatori Italiani.
Costoro, tesi a massimizzare i profitti, iniziarono a produrre Luigini con impronte di fantasia...
Dovete sapere che nell'Ancien Régime era lo stemma al diritto dell'Ente di Emissione, Re Principe Duchessa etc etc, che certificava peso e bontà del metallo.
Nella seconda metà del XVII secolo il commercio avveniva in 2 modi, chi voleva acquistare consegnava metallo monetato in cambio di merci di cui necessitava, invece chi voleva vendere chiedeva metallo monetato in cambio di merci che erano nella sua disponibilità.
Se per un Europeo non c'erano problemi a recarsi a Smirne ad acquistare merci pagando con monetine ormai quasi di rame puro che venivano accettate dai Turchi come fossero d'argento, c'erano invece problemi per un Europeo, quasi sempre Inglese, che si recava a Smirne a consegnare le proprie merci per le quali non intendeva ricevere in cambio monetine ormai quasi di rame puro...
Finché i Luigini che circolavano in Oriente riportavano ben chiaro al diritto lo stemma di colui che li aveva fatti emettere, era sempre possibile per un commerciante conoscere il loro contenuto di argento e stabilire quindi quanti ne voleva ricevere in cambio della merce che aveva consegnato, per un mercante non ha importanza che il cliente paghi con moneta grossa o piccola, basta che paghi...
Ma nel momento in cui iniziarono a diffondersi quelli con impronte di fantasia questa operazione diventava difficile se non impossibile.
La Legge di Gresham è implacabile, esattamente come i Luigini avevano fatto sparire dalla Turchia Talleri Imperiali e Piastre Spagnole, i Luigini " di fantasia " fecero sparire quelli " buoni ".
Il dramma stava per consumarsi...

Ma in che modo i commercianti della metà del XVII secolo si informavano sul corso delle monete e come avveniva il commercio in Oriente nel momento in cui i Luigini erano diventati la sola specie metallica circolante.
Partiamo dalla prima.
La creazione di una moneta, o le modifiche apportate ad un conio già esistente, non erano atti segreti bensì pubblici.
Al riguardo veniva pubblicata, dall'autorità che materialmente ordinava la produzione, una, perdonate la scelta " Manzoniana " del termine 😁 , " Grida " dove erano descritte le caratteristiche ponderali ed estetiche del pezzo.
Copie della " Grida " venivano inviate presso le capitali dei potentati vicini, per i Feudi Imperiali Liguri questo significava Torino, Milano, Genova, Firenze, Massa e Lucca, e nelle principali fiere commerciali.
I mercanti durante le fiere, o in occasione di viaggi nelle Capitali, si procuravano copie delle " Grida ", che a loro volta poi diffondevano tra i loro colleghi, in modo da restare aggiornati sul corso dei cambi.
Per quanto riguarda il secondo punto, modalità del commercio a Smirne, o in altri porti orientali, bisogna distinguere tra acquisto di merci o vendita delle stesse.
Nel primo caso, acquisto di merci Turche da parte di mercanti Europei, la transazione era perfezionata con la consegna di moneta metallica.
Questa poteva anche essere rappresentata dai Luigini adulterati, i Turchi li accettavano per buoni ed ad un cambio estremamente favorevole.
Diverso era il caso di un mercante Europeo che esportava le sue merci in oriente, merci per le quali voleva essere pagato in moneta metallica.
Per spiegare questo secondo caso farò un esempio di fantasia, avvertendo che i numeri sono puramente indicativi, scelti solo per ottenere come risultati dei numeri interi.

Un mercante Inglese, Toni Vianeo del fu Menego, deve trasportare delle merci a Smirne dove saranno consegnate nel Caravanserraglio di Bepi Boscolo del fu Marco.
Toni, per recuperare l'investimento iniziale, pagare il trasporto fino a Smirne, i dazi doganali le provvigioni agli agenti e vedersi riconosciuto un onesto guadagno, deve ricavare da questa transazione almeno 2.680 Pezzi da 8 Spagnoli.
Il problema è che Bepi Boscolo del fu Marco in cassa non dispone di Pezzi da 8, ma solo di Luigini di Donna Violante Lomellini-Doria, e chiede a Toni se è disponibile ad accettarli in pagamento, e se sì a che tasso.
Toni, che prima di partire per Smirne si è procurato tutte le ultime " Grida " in materia monetaria, sa che 12 Luigini di Donna Violante pesano quanto un Pezzo da 8, ma sa altresì che mentre il Pezzo da 8 originale ha un fino di 11 once e rotti i Luigini di Donna Violante solo di 8 once.
Ma Toni sa anche che in Europa i Luigini di Donna Violante non possono circolare, l'unica cosa che potrà fare sarà consegnarli alla Pubblica Zecca che glieli cambierà, dietro pagamento di una provvigione, in moneta buona e propone quindi a Bepi:

" zentottantanove Tumini par diexe Piastre "

cioè:

" 189 Luigini ogni 10 Pezzi da 8 "

Resta il problema di come contare 50.652 Luigini, ma Toni non è tipo da scoraggiarsi!!
Infatti, ricordando che 67 Piastre devono pesare esattamente 8 Marchi di Castiglia dice a Bepi che il pagamento sarà perfezionato col saggio alla bilancia, cioè il Turco dovrà consegnare tanti Luigini quanti ne bastano per raggiungere il peso di 504 Marchi di Castiglia.
Bepi non è particolarmente felice di quest'ultima richiesta, sua intenzione era pagare con Luigini " tosati " in modo da barare sul peso ma ha urgente bisogno delle merci di Toni quindi accetta.

Ovviamente il meccanismo che ho descritto è possibile soltanto se Bepi presenta monetine che mostrano, ben chiara e riconoscibile, un impronta uguale a quella che Toni trova descritta nelle sue " Grida ", nel momento in cui Toni si vedrà consegnare Luigini con impronte di fantasia la procedura di prima diventa impossibile ed il commercio si blocca.
E questo è quanto effettivamente accaduto nel 1666 ad alcuni commercianti Inglesi, che se ne lagnarono con il loro Governo, dando il via ad una frenetica serie di accuse e contro-accuse.
Londra, infatti, protestò presso la Sublime Porta per quanto accaduto ai propri sudditi.
Il Divano Imperiale girò le accuse al Re di Francia, accusandolo di essere un falsario.
Louis - " l'état c'est moi " - Dieudonné, Quatorzième du Nom, protestò per quanto accadeva col l'esimio collega Leopold Ignaz Joseph Balthasar Franz Felician von Habsburg, Kaiser des Heiligen Römischen Reiches sowie König in Germanien, Ungarn, Böhmen, Kroatien und Slawonien.
Leopold, che un pò di responsabilità in questa storia l'aveva, non volendo fare la figura di quello che non fa un kaiser presentò una protesta ufficiale presso il Governo della Superba.
Ultima ad essere chiamata in causa, Genova rispose con una " Grida " che rendeva illegale la produzione, detenzione e lo spaccio di Luigini pur specificando che gli attori principali erano sudditi imperiali, quindi fuori dalla giurisdizione della Repubblica.
Ad onor del vero ho l'impressione che ne la Superba ne il Sacro Romano Impero combattessero con decisione contro il malcostume ed intanto, mentre in Europa si discuteva, dai torchi Liguri uscivano ulteriori ondate di monetine di fino sempre peggiore, alcuni autori scrivono " Rame argentato "...
Il Divano Imperiale tentò inizialmente di stabilizzare la circolazione monetaria accettando i Luigini adulterati in pagamento delle tasse, ma ben presto iniziarono a rifiutarli in pagamento anche Arabi e Slavi, costringendo la Sublime Porta ad inizio 1669 a decretare la Pena di Morte per coloro che li respingevano.
Cominciarono giorni da incubo, nelle relazioni dei Consoli Europei sono descritte scene di follia.
A fine di marzo 1669 scrivevano che

" i dintorni di Smirne erano tutti mezzi sollevati, ed in Burscia si era venuto sino al sangue, essendo stato ucciso un ciorbagi e quello che scodeva i carracci del Gran Visir. Il Cadì, ferito in un braccio e tutto ciò perché si rifiutarono di accettare in pagamento i luigini "

Le rivolte erano esplose anche a Costantinopoli perché

" nel Mar Nero per li grani non volevano timini, e quelli che vendevano la robba del Cairo li rifiutavano, sicchè la minuta gente non haveva con che sussistere, non trovandosi allora mai moneta altro che luigini e per la scarsezza di grani la città pativa la fame "

Oppure che

" con i luigini non si trovava il pane et il popolo non haveva altra moneta. Non si sentiva che lamenti de poveri che morivano di fame con la moneta in mano. Lontano da Costantinopoli non volevano sentirli nominare e quasi si rifiutavano in elemosina "

Epilogo:

Il viaggiatore che nella tarda Primavera del 1669 si fosse trovato a transitare per Smirne avrebbe assistito ad uno spettacolo incredibile, decine di navi alla fonda nel porto i cui marinai gettavano in mare le pietre di zavorra.
Ma non di una nuova follia degli Infedeli si trattava, bensì della semplice necessità di far posto nei legni ad una nuova tipologia di merce in esportazione, migliaia di libbre di Luigini adulterati.
Era accaduto che nel mese di Maggio la Sublime Porta aveva messo al bando qualsivoglia tipo di Luigino, ed agli speculatori non era rimasta altra scelta che rispedire a Livorno le monetine.
Una volta giunti nel porto Toscano i " Tumini " venivano sbarcati per essere fusi per affinare l'argento separandolo dal rame.
Per ben 4 anni le navi Europee ripartirono da Smirne cariche di milioni di monetine che a Livorno venivano trasformati in lingotti che gli ex speculatori rivendevano alla Zecca Marciana.
Nonostante l'argento prodotto a Livorno fosse giudicato " di pessima qualità " l'Antica Rivale era così incredibilmente affamata che non v'era partita di lingotti che i Provveditori Veneti rifiutassero.
Per la legge della domanda e dell'offerta se ne deduce che di luigini adulterati in giro ne siano rimasti pochi, quindi se qualcuno ne possedesse uno oggi esso sarebbe alquanto prezioso nel mercato numismatico: valgono tra i 900 ed i 1000 €, cifra importante per un pezzettino di rame con una spruzzata d'argento!

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Veniamo alla proposta di Mario Rossi:

In questo sito l'amico Giovanni Maistrello ha realizzato la bandiera sottostante per la comunità veneta nel Sud del Brasile. Essa mi ha fatto venire un'idea: quali modifiche ucroniche occorre apportare alla HL per arrivare ad un Brasile colonizzato dai veneziani?

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E ora, cambiamo discorso. Enrico Pizzo, il cui amore per la Serenissima non conosce davvero limiti, ha concepito quest'altra idea:

Consapevole di non poter conservare la fortezza di Zemonico con le forze a sua disposizione Halil Bey, Sangiacco di Likka, aveva inviato il figlio Durak, con 50 uomini di scorta, a Sarajevo a chiedere l'aiuto di Gabela Ibrahim, Paşa dell'Eyaleti Bosna.
Purtroppo per lui Durak, una volta uscito da Zemonico, commisse il gravissimo errore di scambiare la Cavalleria Veneta del Colonnello Longavalle per un reparto Ottomano in soccorso.
Nessuno è in grado di dire perché ma Durak, una volta compreso l'errore scelse comunque di affrontare i Veneti, nonostante la schiacciante superiorità numerica di quest'ultimi, la sua testa verrà poi staccata dal corpo e consegnata al Provveditore Generale in Dalmazia Leonardo Foscolo.
Privo di aiuti Halil Bey rimase intrappolato a Zemonico finendo per essere travolto dalla fanteria Morlacca.
Ipotizziamo che Durak, una volta riconosciuti gli uomini di Longavalle, decida di evitare di impegnarsi portando a termine la sua missione.
Verosimilmente gli uomini del Paşa non arriverebbero in tempo per salvare Halil Bey, ma comunque costringerebbero Foscolo ad abbandonare subito la posizione.
Come potrebbe cambiare la Storia?

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A replicargli è il solito Bhrghowidhon:

Il massimo di divergenza che realisticamente (si fa per dire...) mi spingerei a vedere è che l'Acquisto Vecchio sia posticipato al 1701, allorché però – qui sta il punto cruciale – l'Acquisto Novo, fra la Linea Nani e la Linea Grimani, andrebbe all'Austria (che a quel punto confinava direttamente, era in piena avanzata e avrebbe preceduto i Veneziani in quota), come pure poi l'Acquisto Novissimo (che però potrebbe poi tornare alla Sublime Porta, come la Serbia e l'Oltenia).

Basterebbe comunque questo ad alterare la Storia dell'Ottocento: gran parte della Dalmazia sarebbe già ungherese (quindi croata) – anche l'ex-Repubblica di Regusa, al più tardi dopo la Fase Napoleonica, vi verrebbe annessa – e quindi i conflitti di Nazionalità si polarizzerebbero fra (Serbo-)Croati e Magiari, mentre le città della Dalmazia rimarrebbero venetofone e forse, come già si pensava, ancora aggregate al Regno di Venezia (senza controindicazioni) fin dalla costituzione del Lombardo-Veneto (non mi sbilancerei invece sull'Istria costiera).

La conservazione dello Stato da Mar (nei limiti del geopoliticamente possibile, quindi senza Isole Ionie) al Regno di Venezia avrebbe da un lato evitato gran parte dei sentimenti antiasburgici da parte dei Dalmati, dall'altro forse legato un po' di più il Regno stesso all'Austria, di fronte alla prospettiva di un destino ‘genovese' nel caso di Annessione Sabauda o a quella di un'espansione ‘jugoslava' in Dalmazia (pressoché impossibile nel contesto della Monarchia Austriaca) se ci fosse stato un conflitto con l'Intesa seguìto da Vittoria Serba (aggiungere città venete in Dalmazia alla Jugoslavia avrebbe ridimensionato il ruolo degli sconfitti Croati, oltre a costituire già di per sé un gradito ampliamento del Litorale Adriatico). Certo questo non avrebbe impedito le Guerre Austro-Sarde né il loro esito (in tutti i sensi, essendo comunque inverosimile che le città dalmate seguissero il Veneto nella cessione alla Francia, in assenza di una sconfitta militare austriaca da parte italiana), ma avrebbe garantito la sopravvivena di un più consistente Partito Austriacante fra gli Italiani.

Una spartizione anticipata della Dalmazia potrebbe rendere il Triregno di Croazia-Slavonia-Dalmazia troppo grande e compatto per essere interamente sacrificato al Compromesso del 1867 e quindi già da allora l'Impero d'Austria potrebbe diventare una Triplice Monarchia, con ciò capovolgendo i rapporti di forza in area slavo-meridionale durante la Prima Guerra Mondiale (è chiaro che nel 1908 la Bosnia sarebbe annessa al Triregno); magari addirittura si scongiurerebbe l'Attentato di Sarajevo e la Prima Guerra Mondiale potrebbe risparmiare la Triplice Monarchia, nel caso che fosse il Secondo Reich ad attaccare la Russia o la Francia (Francesco Ferdinando avrebbe evitato la guerra alla Serbia; al massimo avrebbe approfittato della crisi interna dell'Albania per includerla in una Federazione con l'Austria).

Questo apre il grande capitolo dell'ucronica Neutralità Austriaca nella Prima Guerra Mondiale. L'Intesa non avrebbe avuto particolare interesse a far entrare in guerra la Serbia (a meno che fosse legata alla Russia da un'Alleanza Difensiva; storicamente non lo era) né l'Italia (tantomeno la Romania o la Grecia). Ammesso il crollo dell'Impero Russo e la sconfitta della Germania, durante la Guerra Russo-Polacca Francesco Ferdinando potrebbe favorire Candidati del Ramo Asburgo-Teschen in Polonia (con Piłsudski in tal caso impegnato a includervi anche la Lituania, comprensiva di Bielorussia) e Ucraina, rispettivamente l'Arciduca Carlo Stefano e il figlio minore di questi, l'“Arciduca Rosso” Guglielmo Francesco (quindi in sostanza contro i Bol'ševiki). L'eventualità più dirompente sarebbe la ricostituzione di una Confederazione Germanica a Presidenza Austriaca, anche se poi naturalmente bisogna sempre tener conto della Crisi del 1929 e delle sue conseguenze sociali nonché politiche.

Se escludiamo che si arrivi all'Austrofascismo nelle sue forme storiche (in quanto il Capo dello Stato rimane l'Imperatore, prima o poi Carlo I dopodiché Ottone I), non si avrà neppure il Nazismo e a maggior ragione nemmeno il Fascismo in Italia (non c'è stata la Prima Guerra Mondiale); temo che invece la Guerra Civile in Spagna avrebbe comunque luogo e che vincerebbe il Generalissimo Franco. Ad ogni modo, senza Hitler mi pare improbabile che Stalin attacchi la Polonia (al massimo le Repubbliche Baltiche, ma già prima avrebbe verosimilmente tentato l'annessione della Bielorussia e dell'Ucraina, difese però da un Esercito Austriaco ancora intatto). Nel 1961 ha avuto luogo l'offerta della Corona di Spagna a Ottone d'Asburgo da parte del Generalísimo; ritengo concepibile che in questo caso – se avviene ugualmente (ed è possibile, perché sarebbe comunque la migliore fra le alternative disponibili a parte la Restaurazione Borbonica) – verrebbe accettata dall'Imperatore, che allora unirebbe l'Ĭntĕrmărĭŭm, la Germania e la Spagna. Umberto II sarebbe ancora nella Triplice?

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Enrico Pizzo a questo punto torna alla carica:

Resto senza parole ogni volta!! Rilancio allora con un'altra proposta.
Nel XVIII secolo non esisteva un collegamento diretto tra l'Austria e la Lombardia austriaca.
I due territori erano separati dalla Confederazione Svizzera e dalla Repubblica di Venezia.
Un esercito austriaco che, per qualche motivo, dovesse recarsi in Lombardia doveva necessariamente attraversare il territorio di queste ultime, con continue tensioni.
Alla fine questa mancanza di collegamento tra Austria e Lombardia austriaca sarà fatale per la Serenissima, sconfitti a Lodi agli austriaci non restò altra scelta che attraversare l'Adda costringendo Napoleone ad inseguirli.
Controllando con Google Maps ho trovato una strada che consente di recarsi dal Trentino in Lombardia, evitando l'attraversamento della pianura veronese.
Discendere la Val d'Adige fino a Mezzocorona e li imboccare la Val di Non.
Risalire la Val di Non e poi prendere la Val di Sole
Discendere la Val di Sole, varcare il Passo del Tonale e imboccare l'Alta Val Camonica.
Discendere la Val Camonica fino a Forno Allione e li imboccare la Val Paisco.
Risalire la Val Paisco fino al Passo del Vivione e li prendere la Val di Sclave.
Discendere la Val di Sclave fino a Dezzo e li risalire il Passo della Presolana.
Dal Passo della Presolana discendere la Val Seriana fino a Ponte Nossa, passando per Clusone.
Da Ponte di Nossa risalire la Val di Riso fino al Colle di Zambla poi prendere la Val Serina.
Discendere la Val Serina fino a Bracca, quindi risalire la Val Brembana fino a San Giovanni Bianco.
A San Giovanni Bianco imboccare la Val Taleggio
Risalire la Val Taleggio fino ad Avolasio, quindi valicare il Culmine di San Pietro discendere la Valsassina ed arrivare a Lecco.
Il POD è questo: al termine della Seconda Guerra di Morea si raggiunge un accordo tra la Serenissima e l'Arciducato d'Austria sui rispettivi confini.
Venezia cederebbe all'Austria i Reggimenti Bresciani di Ponte di Legno, Edolo e Cemmo e i Reggimenti Bergamaschi di Vilminore, Ardesio, Clusone, Serina, Zogno, Taleggio, Piazza Averara e Valtorta.
In cambio l'Austria cederebbe a Venezia le enclave austriache nella Patria del Friuli ed i territori sulla destra dell'Isonzo compresi tra Tolmino e Gradisca.
Cosa ne pensate?

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Stavolta gli ha risposto Never75:

Beh, direi che è a dir poco geniale!
Francamente non ci avevo mai pensato, ma potrebbe risolvere parecchi problemi alla Serenissima.
In questo caso resterebbe sostanzialmente estranea alla discesa napoleonica. Al limite, similmente a Danimarca e Svizzera, rimarrebbe formalmente alleata di Napoleone ma, nella pratica, si manterrebbe neutrale, come da sua abitudine.
Questo la salverebbe anche dall'annessione a Vienna da parte dell'Austria. Tutt'al più si vedrebbe costretta a cedere qualche isola greca al Regno Unito o all'Austria...

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Diamo ora la parola a Toxon:

Se nell'Ottocento Venezia sopravvive e ha ancora un po' di possedimenti greci (Isole Ionie, Candia, Morea, ecc…) forse il nazionalismo greco sarebbe più forte che nella nostra Timeline. Una Repubblica di Venezia ancora vitale infatti vedrebbe la nascita di una forte borghesia greca, che inevitabilmente sarebbe conquistata dal nuovo nazionalismo. Inoltre, se la Repubblica, durante il periodo napoleonico, resiste nei territori greci, questi avrebbero tutte le ragioni per chiedere un peso politico molto maggiore all'interno dello stato. Venezia, stretta tra nazionalisti italiani e nazionalisti greci, riuscirà a mantenere "un piede in due scarpe" e a completare due processi di unificazione mantenendo le strutture del suo stato intatte? Secondo me no; a Venezia potrebbe invece avvenire una specie di "Ausgleich" tra le due metà della Serenissima: da Perasto in su ci sarebbe la "Repubblica Italiana di Venezia", impegnata a contendere ad Asburgo e Savoia il controllo della penisola; dalle Ionie in giù invece ci sarebbe una "Repubblica Greca di Venezia", impegnata a completare l'unità nazionale combattendo contro il moribondo Impero Ottomano. Tra l'altro queste metà avrebbero buon gioco a contenere e/o assimilare le "nazionalità soggette" (Croati e forse Sloveni per la parte italiana, Turchi e forse Albanesi per la parte turca, dipende da come e quanto si espanderà lo stato); ciò però comporterebbe la fine della tolleranza veneziana, e quindi la perdita definitiva di una parte dello "spirito" della vecchia Serenissima. La "Repubblica Italo-Greca di Venezia" riuscirà a sopravvivere o farà la stessa fine dell'Impero Austro-Ungarico?

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Anche Renato Balduzzi vuole dire la sua in proposito:

La Serenissima scelse sempre di restare neutrale nello scontro tra Napoleone ed i suoi nemici, ed è finita come sappiamo. Se si fosse invece alleata all'Austria in funzione anti-francese, magari dopo il Congresso di Vienna sarebbe stata restaurata nei suoi territori precedenti con in più qualche arrotondamento in Lombardia che la farebbero combaciare con il Lombardo-Veneto.

Se la Serenissima rimanesse alleata dell'Austria, in modo da permetterle di controllare i ducati emiliani e la Toscana, inevitabilmente si scontrerebbe con il regno di Sardegna.

A questo punto tento due divergenze: la prima è che la Serenissima rimanga amica dell'Austria. Questo porta a una guerra contro i Savoia e infine alla sua annessione. Tuttavia, permane un fermento indipendentista analogo a quello catalano che cercherà la secessione dell'antica Repubblica durante la Grande Guerra e infine dopo la Liberazione, quando potrebbe aver luogo un referendum per chiedere ai cittadini lombardo-veneti l'opinione sull'indipendenza.

Tra l'altro, se la Serenissima venisse annessa direttamente nei primi anni dell'unità d'italia forse non ci sarebbe la questione dell'Istria e della Dalmazia, e probabilmente solo Trieste rimarrebbe sotto l'Austria. La I guerra mondiale potrebbe concentrarsi piuttosto su Trento, con la conquista dell'intero Tirolo. Una linea di espansione potrebbe aspirare alla conquista di Lugano e Bellinzona, trascinando la Svizzera in guerra a fianco degli imperi centrali. Oggi potrebbero non esistere in Svizzera cantoni la cui lingua ufficiale è l'italiano.

Intanto le gatte da pelare della politica interna svizzera sarebbero soprattutto di matrice etnonazionalistica: sloveni, croati, istrorumeni, dalmati, montenegrini avrebbero spinto per avere una maggiore autonomia. Qui, se il Gran Consiglio si fa furbo, una riforma in senso federale, con particolare autonomia amministrativa per le regioni di lingua non romanza risolverebbe in gran parte i problemi.

Un'altra prospettiva è il "tradimento" della Serenissima nei confronti dell'Austria, per allinearsi alla Gran Bretagna e alla Francia. Data l'aria che tirava in quel periodo, un'alleanza con l'Austria sarebbe stata per Venezia un suicidio: prima o dopo i Savoia l'avrebbero conquistata con l'appoggio dei potenti alleati occidentali. In caso contrario Venezia, essendo un alleato, è inattaccabile. Possiamo essere certi che un qualsiasi referendum per l'annessione al regno d'italia avrebbe dato esito negativo (al di là del fatto che si trattava di uno stato centralista, potevano i Serenissimi accettare spontaneamente il dominio di un re?). Durante la I guerra mondiale l'Italia avrebbe potuto dichiarare guerra all' "irredenta" Repubblica e irrompere al di là del Ticino e del Po. Questo, chiaramente, se Venezia non scende prima in guerra contro l'Austria per la conquista di Trieste e della Slovenia, in modo da unire i suoi possedimenti territoriali, oppure non si allea preventivamente con l'Italia nel timore di una guerra di aggressione, guadagnandoci magari qualche arrotondamento in Trentino.

Nella Seconda Guerra Mondiale sicuramente Mussolini tenterebbe di metterci piede, e ci riuscirebbe con successo grazie all'aiuto della Germania nazista. Anzi, forse la Germania cercherebbe di riprendersi il suo porto mediterraneo, Trieste. Il Doge e il Gran Consiglio, si rifugerebbero in Gran Bretagna insieme a De Gaulle e da lì guiderebbero la resistenza.

Alla fine del conflitto la Serenissima tornerebbe ai suoi confini naturali (tranne forse alcune zone della Jugoslavia) ed entrerebbe nella NATO. Negli anni '60 il processo di industrializzazione sarebbe più lento a causa della scarsità di manodopera di provenienza meridionale, che piuttosto che scavalcare la frontiera privilegerebbe Torino. Negli anni '70, la Serenissima entrerebbe nell'UE e infine, nel 2002, adotterebbe l'Euro.

Secondo me, in ogni caso, per sopravvivere la Repubblica di Venezia deve strutturarsi su base federale, in modo da tenere a bada le sue eterogenee componenti etniche.

Pax tibi, Marce, evangelista meus

La parola ora va a Paolo Maltagliati:

Cosa sarebbe accaduto secondo voi se i veneziani fossero riusciti a tagliare l'istmo di Suez, realizzando il "canale de Sancto Marcho"? Ecco la mia versione.

Antefatto: tra Egitto, Turchi e Turcomanni

La vittoria della linea dura

1432: Il sultano Barsbay alza le tariffe ai mercanti veneziani per rimpinguare rapidamente il tesoro egiziano dopo la grave carestia del 1430. I Veneziani, dopo aver appena perso a danno dei turchi ottomani il controllo di Tessalonica e con la ripresa della guerra in Lombardia, preferiscono rassegnarsi e non tentare di mercanteggiare.

Nel frattempo, Barsbay rafforza il monopolio egiziano sui traffici provenienti dall'India dei mercanti Yemeniti e Omani che fanno ingresso nel mar Rosso. fa di Jeddah il porto principale dei traffici a lungo raggio.

1453: con il sultano Jaqmaq i rapporti con Venezia si fanno più stabili, ma, per converso, il problema turco si fa molto grave. I veneziani tentano sporadicamente e senza molta convinzione alleanze strategiche con potentati musulmani allo scopo di arginare l'avanzata ottomana.

1453: Dopo il brevissimo intermezzo di due mesi del figlio di Jaqmaq, Uthma, Una rivolta dei mamelucchi circassi offre il sultanato a Inal. Quest'ultimo si mostra piuttosto ostile ai veneziani, perlopiù per mantenere buoni rapporti con gli ottomani. Il suo regno è però famoso per l'assenza di ordine. Il Julban, la guardia mamelucca del Cairo (teoricamente) alle dirette dipendenze del sultano faceva il bello ed il cattivo tempo in città, arrivando a taglieggiare arbitrariamente i mercanti e minacciando lo stesso Inal ogni qualvolta egli cercava di riportarli all'ordine (in una di queste sommosse, il sultano rischiò di essere ucciso; scampo solamente rifugiandosi e nascondendosi nell'harem)

POD: uno di questi episodi di violenza coinvolge anche dei mercanti veneziani. Passa la linea di provare a chiedere compensazione al sultano minacciando ritorsioni. La linea dura passa sulla base dell'idea che è stata la linea morbido-attendista a portare alla perdita di Costantinopoli.

Inal si rifiuta di pagare un solo centesimo, al che una squadra veneziana viene inviata a effettuare Raid contro i porti egiziani (su tutti Damietta e Rosetta) agli ordini del giovane, ma abile capitano della muda di Beirut, Piero Mocenigo.

Il sultano sulle prime sarebbe propenso a chiedere sostegno al sovrano ottomano Maometto II, ma torna sui suoi passi per timore che i turchi possano mettere stabilmente piede in Egitto come dominatori. Decide allora di proporre come contropartita l'extraterritorialità di un quarto della città di Alessandria (allora diversi quartieri dell'antica capitale ellenistica erano abbandonati o di fatto baraccopoli). I falchi in senato vorrebbero chiedere qualcosa di più proficuo che dei quartieri degradati di una città di rilevanza commerciale relativa. Viene chiesta come alternativa un quinto di Damietta. Inal rigetta la proposta decisamente e, quasi per scherno, propone invece la totalità del suolo della città di Tinnis, convinto che i veneziani non avrebbero mai accettato di comprare una città abbandonata da due secoli, per quanto strategicamente ben posizionata.

Ancora una volta, i falchi rumoreggiano, ragionando sulla possibilità di rinnovare le ritorsioni navali contro Damietta, ma le colombe fanno presente che, tirando troppo la corda, si sarebbe gettato il sultano egiziano nelle braccia del turco e la Serenissima dubitava di essere in grado di fronteggiare gli ottomani, fidandosi poco delle trattative del papa Niccolò V sulla creazione di una pace generale in Italia per promuovere una lega crociata contro di loro.

Sorprendentemente, la proposta dell'acquisto di Tinnis (o Tenesso, come verrà chiamata dai Veneziani), va in porto.

Gli esordi dell'Egitto Veneto

1453 - 1456: Lavori veneziani per la ricostruzione del porto di Tinnis. il Doge, nella speranza di tenerlo lontano dai guai, cerca di far commutare l'esilio del figlio Jacopo a la Canea, trasferendolo in Egitto come supervisore della repubblica dei lavori di ristrutturazione. Il senato accetta. Per la sorpresa di tutti, il Foscari Junior compie un buon lavoro, anche se il lievitare delle spese offre il destro per muovere nuove accuse di corruzione alla famiglia dogale. Piero Mocenigo porrà la sua residenza a Tenesso. Ca' Mocenigo è ancora oggi una perla dell'architettura veneto-egiziana. Sorprendentemente, ripopolare la città si rivela il minore dei problemi. Attirati dalla prospettiva di un impiego per i lavori di ricostruzione del porto, molti braccianti si trasferiscono in città; subito dopo arriva un consistente numero di mercanti (egiziani, la grande mercatura internazionale arriverà in un secondo momento), attirati dalle condizioni di vita meno 'movimentate' del dominio veneziano (i taglieggiamenti arbitrari dei mamelucchi erano diventati insostenibili e la posizione di sudditanza nei loro confronti da parte del sovrano non aiutava a migliorare la situazione).

Nel 1455 - 1456, i Beduini del Delta resero di fatto impossibile il raggiungimento regolare della mercanzia dal Cairo ai porti del Mediterraneo e molti commercianti della capitale ne soffrirono enormemente, accelerando così il processo migratorio.

Iniziarono anche i taglieggiamenti sui mercanti veneziani, che iniziarono a riflettere sull'opportunità di dotarsi di scorte armate. Nel caos di quel periodo, a molti Cairoti sembrò che la Tenesso veneziana potesse essere un porto sicuro in ogni senso. I veneziani iniziarono anche a riflettere sull'opportunità di offrire servigi di scorta armata a pagamento per gli imprenditori locali. E' in quel frangente che alcuni mercanti della Serenissima costruirono un 'fondaco non autorizzato' presso il porto di Kolzum, sul Mar Rosso (Colzo, come era chiamato in Italia).

Ondate migratorie negli anni successivi al completamento del porto che contribuirono al popolamento della città furono i copti della regione (se gli egiziani di fede musulmana erano taglieggiati, figurarsi i cristiani), oltre, infine, ad una folta comunità greca ('alterum Byzantium', come era soprannominata) ed ebraica.

Il relativo successo dell'operazione egiziana ebbe come conseguenza quella di rafforzare l'ala 'foscariana' in consiglio. Certo, il giudizio sul suo dogado restò controverso e i grandi sforzi economici che portarono lo stato in più di un'occasione sull'orlo della bancarotta non furono dimenticati, ma si comprese anche che una politica troppo attendista non era necessariamente migliore di quella eccessivamente aggressiva del vecchio Foscari. Venne dunque eletto doge il cinquantenne (relativamente giovane, per la carica) Piero Mocenigo. Nel mentre, Tenesso venne elevata a bailato e il primo a rivestire tale carica fu Nicolò Tron (la cui vita avventurosa divenne oggetto di numerose rappresentazioni, le cui più recenti, rielaborate in chiave steampunk, sono i due film TRON e TRON - Legacy)

Il 1460-61 fu un biennio di svolta. La grande peste al Cairo indusse il bailo di Tenesso a violare l'accordo con il sultano Inal e procedere alla fortificazione della città, ufficialmente allo scopo di impedire agli infetti in fuga di entrare e contagiarne gli abitanti. Il sultano ovviamente si oppose, ma egli stesso cadde vittima della malattia, innescando così la feroce lotta per la successione.

Nel mentre, Giacomo il Bastardo di Cipro aveva chiesto aiuto proprio al sultano per deporre la sorellastra Carlotta e impadronirsi della corona dell'isola. Altrettanto naturalmente, allora, Carlotta decise di chiedere il sostegno veneziano. Trinceratasi nel castello di Kyrenia, la regina fu 'tratta in salvo' dalla flotta veneziana. Giacomo venne catturato e incarcerato. Il prezzo da pagare per il regno insulare fu però caro: Carlotta dovette promettere ai veneziani numerosi agevolazioni fiscali e il controllo sui commerci in regime di semi-monopolio, oltre che l'extraterritorialità di diverse piazzeforti. In altre parole, Cipro divenne, perlomeno informalmente, un quasi-feudo della Serenissima.

A seguito di questa umiliazione, il sultano cercò, entro i limiti imposti dalla situazione, di attuare delle ritorsioni contro i veneziani, incluso il mandare una armata a Tenesso per minacciare direttamente la colonia della Serenissima. L'esercito, tuttavia, si sciolse come neve al sole alla notizia della abdicazione di Inal e della pressoché contemporanea ribellione di Kushkadan.

La prima guerra veneto - ottomana

Nel frattempo la situazione nei Balcani stava divenendo precaria per i possedimenti veneziani. Già nel 1458 il ducato di Nasso, formalmente sottomesso a Venezia, doveva pagare tributi al sultano ottomano. Nel 1460 venne meno anche il 'cuscinetto' rappresentato dal despotato di Morea e dal regno di Bosnia, esponendo i possedimenti veneziani al confine diretto con l'impero turco.

Sembrò chiaro a tutti, in particolare al doge, che il momento dello scontro con i nuovi padroni di Costantinopoli era imminente. Ciò nonostante, il Mocenigo si rifiutò di aderire alla coalizione crociata promossa dal pontefice Pio II, credendo, forse non del tutto a torto, che alle prime difficoltà Venezia sarebbe rimasta da sola a fronteggiare l'onda d'urto della potenza ottomana.

Resta il fatto che iniziò a prendere misure nell'ipotesi di affrontare un conflitto difensivo.

La militarizzazione delle piazzeforti nell'Egeo, tuttavia, portò però per converso, tanti mercanti tradizionalmente attivi nella Romània a preferire operazioni commerciali in Egitto. Tenesso, suo malgrado, iniziò a popolarsi di mercanti veneziani residenti e entro la prima metà degli anni sessanta del quattrocento esisteva un servizio di posta e trasporto merci semi-regolare tra Tenesso stessa e Colzo, cosa di cui grandemente si giovò Colzo stessa come terminale finale privilegiato del commercio tra Egitto e India.

Gli effetti deleteri sul traffico mercantile al Cairo e a Damietta erano ancora di là da venire e da notarsi, ma i veneziani non mancarono di prospettare (lo si evince da alcune missive tra il Bailo e il Doge) l'acquisto o addirittura una progressiva appropriazione de facto, di Colzo e di tutte le stazioni di posta intermedie presso le coste dei laghi amari.

D'altra parte, Tron suggerì anche di formalizzare l'erogazione di un censo ricognitivo del sultano e trovare in qualche modo un rimedio a possibili danni all'economia egiziana per ridurre al minimo il rischio di premature ritorsioni violente (pur lasciando intendere che alla lunga ciò sarebbe inevitabilmente accaduto).

Nel 1463, Maometto II ritenne giunto il momento adatto per dichiarare guerra alla Serenissima. Una frettolosa alleanza con Mattia Corvino Hunyadi, re di Ungheria venne stipulata, ma, pur sperando vivamente nella forza della famosa armata nera magiara, che si lanciò alla conquista delle piazzeforti ottomane in Serbia e Bosnia, il Mocenigo confidò soprattutto nella sua opera di potenziamento della flotta e di rafforzamento di guarnigioni e fortificazioni in Grecia. Gli introiti derivanti dal commercio con l'Egitto ebbero una parte decisamente rilevante nel sostenere questo sforzo militare. Per consolidare le proprie posizioni, i veneziani lanciarono rapidamente un attacco a Corinto, che conquistarono, per poi fortificare l'Istmo (ricostruendo il famoso 'muro delle sei miglia', in greco Hexamilion, e dotandolo di artiglieria in grado di sostenere assedi).

La parte difficile per la Serenissima arrivò dopo, ovverosia quando Maometto II lanciò i suoi generali al contrattacco generale. Il peso delle forze di Omur Bey e Murad Pasha costrinse i veneziani sulla difensiva, la resistenza sull'hexamilion fu intensa, ma alla lunga insostenibile e spinse i veneziani a concentrare le proprie forze settentrionali ad Argo e Nauplia. Decisivo fu l'apporto della marina da guerra, riunita in due grosse squadre di galee, comandate rispettivamente da Jacopo Loredan e dal doge stesso. Mantenendo vive le comunicazioni e - soprattutto - i rifornimenti le guarnigioni della Serenissima in Morea poterono mantenere le proprie posizioni. In particolare, la conquista di Patrasso e la presa di Atene furono un duro colpo di immagine per le forze del sultano (per quanto la seconda non poté essere tenuta a lungo), mentre le forze ungheresi avanzavano in Serbia. Quando il Mocenigo, in un eccesso di baldanza, riuscì a forzare i Dardanelli e arrivare nel mar di Marmara, Maometto II perse notevolmente la pazienza e prese egli stesso le redini del comando.

L'intuizione di Maometto che il cuore delle difese veneziane fosse l'isola di Eubea, o Negroponte, pesantemente munita, rifornita e fortificata negli anni precedenti, era corretta. La sua decisione di tentare il tutto per tutto con la sua conquista, aveva un suo senso. I primi due tentativi di sbarco fallirono, ma al terzo tentativo la flotta ottomana riuscì a cogliere di sorpresa quella veneziana e porre d'assedio Negroponte. La città resistette e nel 1468, dopo cinque furiosi anni, gli ottomani stipularono una tregua ventennale con Venezia, con correzioni territoriali minime. La guerra aveva prosciugato ancora una volta le casse dello stato, però e stava diventando chiaro sempre di più che i possedimenti in Grecia rischiavano di diventare più fonte di spesa che di guadagno, nel prossimo futuro.

Effetto collaterale dello scontro fu l'inizio di proficui rapporti commerciali dei veneziani con i karamanidi e, soprattutto, con Uzun Hasan, capo della confederazione turcomanna dei Montoni Bianchi, in ottica antiottomana. In particolare i Veneziani strinsero accordi per il libero passaggio di uomini e merci attraverso il territorio dei Ramadanidi di Adana con il loro sovrano Dundar Bey. In particolare, visto il successo di Tinnis, i veneziani ottennero i diritti di proprietà e autogoverno parziale della città di Lajazzo, un tempo principale porto Mediterraneo della via della seta e ora in stato di deplorevole degrado rispetto ai suoi giorni di massima gloria. Lajazzo per i veneziani serviva come centrale spionistica e mercantile dell'Anatolia, oltre che portofranco in cui poter ospitare convegni diplomatici in qualità di area-cuscinetto tra Egitto, Ottomani e Montoni bianchi. L'indiscusso re senza corona di Lajazzo nella seconda metà del quattrocento fu Caterino Zen, peraltro in stretta confidenza con lo stesso Uzun Hasan.

Quando nel 1473 le forze di Maometto II e quelle dei Montoni Bianchi si scontrarono a Otlukbeli, per quella che doveva essere la resa dei conti tra turchi per il dominio del Levante, le armi fornite dallo Zen e dalla Serenissima si rivelarono decisive. Gli ottomani furono padroni del campo e Uzun Hasan dovette temporaneamente ritirarsi, ma quest'ultimo si rese conto che la superiorità di Maometto II si sarebbe tramutata in annientamento totale della sua armata, senza il contributo veneziano.

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Così commenta feder:

Come spiegare le ragioni della decadenza della Serenissima? Perché non unificò l'Italia, pur essendo, a buon diritto, lo Stato più forte a seguito della mirabile parabola viscontea?

Da dove partire? Be', forse, dal momento che l'argomento è Venezia, sarà bene far parlare un doge. Il dux Veneticorum in questione è uno dei miei preferiti, nonché uno dei più famosi in assoluto: Tommaso Mocenigo, che ebbe a reggere la millenaria repubblica in un momento di grande incertezza sullo scacchiere politico italiano (cui, volenti o nolenti, Venezia apparteneva), cioè il clima di incontrastabile anarchia che scoppiò in seguito alla crisi dell'egemonia di Milano. Il suo approccio riguardo alla minaccia milanese ci dice molto di quale fosse l'opinione comune all'interno del ceto dominante della Serenissima, fornendoci peraltro di riflesso alcuni incontestabili indizi su quanto forte fosse il clima di arrendevolezza nei confronti dei Visconti all'epoca (la percezione comune, traditaci dalla lettura, fa intendere come per un po' tutti, nella prima metà del secolo, la fatalista conclusione fosse che prima o poi si sarebbe sopraggiunti alla sottomissione nei confronti del ducato, ricco oltre immaginazione. Così poi non fu, per ragioni che ora non abbiamo tempo di spiegare). Se i milanesi avessero conquistato Firenze, insomma, il doge non avrebbe mosso un dito per salvarla: ciò avrebbe significato soltanto più facoltosi cittadini dell'antica repubblica che avrebbero preso la decisione di riparare in laguna, facendo la fortuna della Serenissima. Il partito dei "falchi", come li ha correttamente definiti Paolo, era insomma allora in piena minoranza; rispetto all'elezione del militarista Foscari come suo successore, il Mocenigo avvertì che la sua salita al potere avrebbe significato che "chiunque possedesse 10.000 ducati si sarebbe trovato alla fine con 1.000, chiunque possedesse dieci case si sarebbe trovato infine con una, e chiunque possedesse dieci vestiti si sarebbe trovato insomma in difficoltà col trovarne una".

Questa è una maniera tremendamente italiana di intendere la cosa pubblica, se ci fate caso. Perché far la guerra, quando io in primis ho da perderci? E critiche di tal genere seguirono, difatti, all'operato dello stesso Foscari, che pur essendo il maggior artefice delle conquiste di Venezia sulla terraferma, si trovò aspramente osteggiato e criticato al momento del ritorno in patria. è vero, il doge aveva riportato in laguna conquiste, oro e territori; ma per quanto i cronisti ci lasciano intendere, i suoi contemporanei concordavano tutti nel dire che non ne era valsa la pena. Sulla poca intraprendenza della classe dirigente veneta, tutta volta al mare e poco alla terra c'è dunque poco da aggiungere, se non una considerazione: si può ben dire, a voler fare una disamina adeguata della storia di Venezia, che il suo declino fu causato dalla conquista di terre italiane nel XV secolo, che assorbì le proprie risorse, non si dimostrò tanto benefico quanto sembrava, creò al dogado innumerevoli potenti nemici e, soprattutto, allontanò l'attenzione di chi gestiva la cosa pubblica da ciò che per la Serenissima era realmente vitale, e cioè il controllo delle rotte mediterranee orientali. Paolo ha trovato un modo intelligente di mettere una pezza sopra alla questione, senza costringere lo Stato veneto, da Maclodio in avanti fattivamente spaccato a metà (una porzione proiettata verso l'espansione e il mantenimento dei propri territori in Italia, l'altra ancora profondamente sposa del Mare, e intrigata da quest'ultimo poiché era pur vero che solo da Oriente proveniva l'ossigeno che teneva la Serenissima in vita) a operare una decisione formale in uno dei due sensi: applicare il metodo ucronico "conservativo", per cercare di mantenere Venezia forte e vitale senza impattare troppo sulla Storia con la costruzione del suddetto canale. Tale idea è a dir poco esplosiva: premesso che perché la Serenissima possa mantenere tale geniale sistema di commercio con l'India (e in prospettiva, l'Indonesia, l'Indocina, il Giappone e la Cina) sia imperativo che il Turco non metta le mani sull'Egitto, tale trovata farebbe la fortuna della Serenissima almeno per altri tre o quattro secoli, fino a che, cioè, la Gran Bretagna mette anch'essa gli occhi sul ricco subcontinente. La principale causa del declino economico italiano, cioè la perdita di centralità nel sistema del commercio internazionale (a dire il vero non così evidente almeno fino a metà del '500, quando la necessità di contante per le guerre imperiali e spagnole di Carlo V e del suo caro figliolo Filippo avrebbe letteralmente dissanguato il meridione e la Lombardia) è così aggirata in toto. Conquistare altri territori italiani, a meno che non inserito in un contesto superpotenziale come da me ipotizzato (asse franco-polacco-veneto rompe le corna agli Asburgo) non avrebbe risolto questo problema: al di fuori di retoriche nazionaliste di sorta, le quali non appartengono al nostro gruppo, non è che la penisola goda di un terreno particolarmente fertile o ricco di risorse. Certo, ci sarebbe sempre l'esclusione dai mercati americani, quindi il predominio spagnolo nel '500/'600 è assicurato; ma Venezia potrebbe intervenire in tal senso nel contesto di una serie di guerre condotte in alleanza con la Francia, quando, con il rischio continuo di vedersi Milano occupata (chissà, il Savoia potrebbe intervenire? allora Venezia resta neutrale) il re di Spagna è costretto a ingoiare amaro, cedendo una varia collezione di fondaci, isolette e città alla Serenissima perché questa possa entrare anche nello schiacchiere atlantico-americano, pure se non ricoprendo un ruolo di protagonista, quantomeno di spalla per Francia/Regno Unito (e poi dai, Paolo, tu mi fai le reference con Niccolò Tron e Tron: Legacy, la cui colonna sonora è stata composta dal mio gruppo preferito, e poi vuoi negarmi il Venezuela veneto? Vedi che non lo accetto!)

In merito alla questione della terraferma, effettivamente se Venezia gode di un collegamento radicato e potente con l'India (e incontrastato per almeno un cinquantennio) già nella seconda metà del '400, è un po' assurdo pensare che la classe dirigente veneta, ebbra di denaro fino allo svenimento, non avrebbe tentato un'ulteriore penetrazione in direzione lombarda. Per me la presa di Milano è non solo possibile, ma anche credibile, poiché, come già ho avuto modo di sottolineare, la Serenissima era già troppo potente per evitare di scatenare le ira degli altri giganti (e non) che le passeggiavano intorno: una città in più o in meno avrebbe solo fatto la differenza nel concordare la distanza dal presente della data d'attacco. Certo, tutto cambia nel momento in cui le guerre d'Italia scoppiano (ma sarebbero davvero scoppiate in una situazione in cui Venezia ha tutto il modo e il tempo di assimilare Milano? diciamo di sì, per amore del metodo conservativo), poiché la Lombardia rappresentava una pedina (e una fonte d'introiti) fondamentale per tutti gli attori in gioco: Francia, Impero, Spagna, staterelli italiani che, pur non potendosela mangiare, temevano che se la mangiasse qualcun altro. In effetti, paradossalmente proprio il troppo sopravanzo della diplomazia italiana su quelle delle altre realtà dell'era moderna rappresentò, a conti fatti, uno svantaggio: noi poverelli (per usare un eufemismo manzoniano) abbiamo avuto la bella pensata di inventarci prima dell'Europa il concetto di "equilibrio di potere" (il balance of power tanto caro a Londra tra '700 e '800, per intenderci) così come stabilito in quel di Lodi nel 1454, condannandoci ad uno stato di perenne divisione e guerriglia interna. Divisione, peraltro, che agli italiani di quel tempo, pur consapevolmente uniti da un retaggio culturale fondato sul prestigio letterario di Dante, Petrarca e Boccaccio redatti in quegli anni da Bembo il Grande, andava benissimo: non ricordo più quale capitano di ventura disse che in caso la Serenissima (da cui era impiegato) avesse vinto la guerra contro il Papa, sarebbe passato dalla parte di quest'ultimo per proseguire il conflitto, poiché, in caso quest'ultimo si fosse esaurito, non avrebbe più trovato lavoro.

Che dire quindi per rendere le somme dello splendido lavoro (e quando mai ne fa uno brutto?) di Paolo? Secondo me sottovaluti troppo le potenzialità della Serenissima. Mi chiedi quante Agnadello avrebbe potuto sopportare; mah, ad occhio, almeno una decina. E poi conta che, se Venezia regge botta, entro un centinaio di anni scoppia la pace, per fare il verso al grande Giuseppe Zamberletti, padre nobile della protezione civile italiana. E quella che il re di Spagna intende stendere sull'Italia è una copertona: una pesante, che induce ad un sonno dal quale gli staterelli della penisola non avranno a che svegliarsi per un po'. Perché non esagerare nel mentre, allora? C'è una quantità incredibile di scenari dove Venezia sarebbe potuta intervenire a cavallo tra il XV e il XVI secolo, nella sola Italia (non considero dunque la possibilità di venire in aiuto all'Ungheria a Mohàcs o tentare il salvataggio di Bisanzio, tutte operazioni dall'esito per nulla scontato): entrare nella guerra del sale, nel conflitto per Napoli, decapitare (o supportare?) Ludovico il Moro per conto del nipote Gian Galeazzo, salvaguardare Mantova, Bologna o l'arcivescovo di Trento dalle mire delle potenze circostanti, senza contare la possibilità di trarre un immenso guadagno (magari in alleanza coi Medici, cui andrebbe Urbino) dal naufragio della nave borgiana, nella forma delle Marche e della Romagna. Ma come hai detto tu stesso: per il momento si tratta di una (formidabile, lo ripeto) traccia, che non hai ancora sviluppato. Mi aspetto dunque che la continui, perché sono molto interessato; e spero davvero che questo papiro, a testimonianza diretta del mio coinvolgimento, non abbia stufato.

È solo un fotomontaggio, ma vi immaginate se fosse possibile?

È solo un fotomontaggio, ma vi immaginate se fosse possibile?

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Enrico Pizzo ha altro da dirci:

Il vicentino Arnaldo Fusinato (1817-1888) è universalmente noto come autore della poesia "L'ultima ora di Venezia", meno nota è un'altra sua composizione intitolata "Giaello l'omicida", ispirata ai fatti del Giudizio Statario di Este del 1850 di cui riporto alcuni versi:

« "Stringete, stringete le vostre catene:
Mi serrino i polsi, mi solchin le vene;
M'uccida la fame, mi strazi la verga,
Distillino sangue le ignude mie terga.
Più muto del marmo che chiude l'avello,
O giudici, il labbro sarà di Giaello!"
E questa gittava superba disfida
Ai giudici in volto Giael l'omicida,
Satellite iniquo d'iniqua masnada,
Di sangue macchiava la nostra contrada;
Sul labbro di tutti temuto, siccome
L'artiglio d'un orso, correva il suo nome.
Congiunta in arcana terribile lega
Fra l'ombre viveva la sozza congrega:
Al villico inerme predavano il pane,
Stendean sulle chiese le mani profane;
Nei poveri ostelli, nell'auree magioni
Slanciavansi l'ugne dei cento ladroni.
E invan dell'umana giustizia la spada
Vegliava sui passi dell'empia masnada:
Un solo fra mille con libera voce
Gridava assassino Giaello il feroce;
E il giorno che venne segnavasi a dito
A un ramo sospeso quell'unico ardito... »

Nell'opera del Fusinato i "briganti" massacrati ad Este sono solo dei sanguinari, non scelgono i loro bersagli attaccando indiscriminatamente poveri e ricchi.
Al di là del valore poetico la poesia del Fusinato è interessante per conoscere il punto di vista della borghesia di allora.
Nessun cenno alle condizioni di vita nelle campagne o alla miseria delle plebi rurali, i "briganti" non sono "poveri che rubano" ma soltanto feroci assassini...

Ho un'altra "chicca poetica" per voi. Il Veneziano Pietro Buratti è universalmente noto per i suoi versi, riportati su ogni confezione destinata alla vendita, dedicati al " Baicolo ":

« No gh'è a sto mondo, no, più bel biscoto,
più fin, più dolse, più łisiero e san
par mogiar ne ła cìcara o nel goto
del baìcoło nostro venessian. »

Meno nota è una sua composizione del 1819 intitolata "Elefanteide" ed ispirata ad un curioso fatto di cronaca accaduto nel Carnevale di quell'anno.
In Riva degli Schiavoni era stato allestito un "casotto" di legno dove veniva mostrato un esemplare di elefante indiano.
Il pachiderma, innervosito dalla confusione, dal rumore dei fuochi d'artificio, e dalle salve di artiglieria sparate in onore dell'Imperatore Ferdinando che proprio in quei giorni avrebbe dovuto visitare la città, si mostrava irrequieto al punto che le autorità cittadine ne imposero l'allontanamento.
Il tentativo di farli salire su di una barca fu vano, ricondotto nel casotto il pachiderma durante la notte ruppe le catene che lo trattenevano e si diede a fuggire per calli e campielli, inseguito, a prudente distanza, dai soldati austriaci e suscitando più ilarità che paura nella popolazione Veneziana.
La gita del pachiderma terminò nella chiesa di San Antonin.
Entrato nel luogo di culto l'animale sfondo col suo peso il pavimento della chiesa restando intrappolato con una zampona...
Di questa immobilità approfittarono i soldati austriaci che, fatto arrivare un pezzo di artiglieria da 50 libbre, abbatterono la bestia... (non credo che nel XIX secolo fossero molto attenti ai diritti degli animali, purtroppo)

« Sudito de nissun
varda che caso
l'elefante in casotto
ha storto il naso. »

« O montagna de carne! o bestia rara
Finchè la mosca al naso no te salta!
L'antichità mai de stramboti avara
Gà ben rason se tanto la te esalta,
Se in Plinio, pien de buzzere s'impara
Che in pudicizia a un cavalier de Malta
Ti tol la man, che luna e sol ti adori,
E ti te scondi el zorno che ti sbori. »

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C'è pure il contributo di Specialistatelevisivo, che ha voluto proporci questa sua versione dell'ucronia sulla Repubblica di Venezia:

Fino al 1797 avviene tutto come nella reale storyline ma, dopo il trattato di Campoformio, la diplomazia veneziana riesce ad ottenere che le Isole Ionie restino sotto il controllo del Doge. Per tre anni restano neutrali. Nel 1800, gli inglesi occupano Malta, e allora il doge dell'epoca affida le isole sotto la protezione inglese, e arruola tra gli abitanti dell'isola un gruppo di volontari a sostegno degli inglesi. Da qui al 1814 tutto avviene come nella reale storyline, solo che al Congresso di Vienna, sotto la pressione inglese, viene restaurata la Serenissima. Ma, a causa della pressione austriaca, assume dei confini molto più limitati: infatti perde i territori lombardi, che confluiranno nel Regno Lombardo, mentre l'area di Gorizia e Trieste resterà austriaca. Per tutta la prima metà dell'Ottocento, la Serenissima sarà un paese sicuramente in politica interna più democratico delle vicine monarchie assolute, ma in politica estera resterà neutrale, e si preoccuperà più di mantenere i propri confini che di allagarli. Durante i vari moti italiani e la prima e la seconda guerra d'indipendenza resterà neutrale. Ma negli stessi anni il maggior consiglio e il senato saranno infiammati da uno scontro tra due partiti: uno conservatore, che propugnava per una neutralità sul modello svizzero, appoggiato specialmente dalla vecchia aristocrazia, e uno liberale, appoggiato dalla borghesia e dai tanti esuli provenienti dalle altre aree d'Italia, che invece propugnava l'appoggio al Piemonte e quindi la guerra contro l'Austria. Prevale il partito conservatore. Non ci sarà nessuna terza guerra d'indipendenza, infatti le attenzioni del nuovo governo italiano sono concentrate solo sul Lazio, che resta in mano al Papa. E qui cambia la situazione: lo Stato Pontificio non è protetto solo da Napoleone III, ma anche dalla Serenissima. Infatti il doge dell'epoca dichiara che in caso di invasione italiana del Lazio, la Repubblica di Venezia avrebbe rotto la sua neutralità per entrare in guerra contro il neonato regno italiano. La motivazione principale era una: a Venezia si temeva all'invasione del Lazio sarebbe seguita quella della stessa Repubblica. Quindi lo Stato Pontificio continua ad esistere ancora oggi. Dal 1860 in poi sale al potere il partito liberale, e avviene una riforma dell'intera struttura della Serenissima, il Maggior Consiglio diventa un vero e proprio parlamento, eletto dal popolo a suffragio universale maschile; il Senato resta ed è composto dagli esponenti della vecchia aristocrazia, e ha la funzione di controllare l'operato del Maggior Consiglio; il Minor Consiglio, il Collegio, il Consiglio dei Dieci e i Quaranta vengono fusi in una nuova istituzione: il Consiglio esecutivo, che ha la funzione di potere esecutivo, ed è simile al Direttorio francese e al Consiglio Federale svizzero; il Doge è eletto a vita come sempre, ma assume solo la funzione di capo dello stato. Contemporaneamente, gli aristocratici, vedendosi ridotti i loro privilegi, decidono di avviare delle nuove industrie e delle banche, così si avvia una vera e propria rivoluzione industriale, e nasceranno nella Serenissima grandi poli industriali e bancari. Alcune banche veneziane finanzieranno anche la costruzione del canale di Suez, avvenuta nel 1867, e in cambio la Serenissima otterrà una percentuale del possesso del Canale. La Repubblica non seguirà una vera e propria campagna colonialista, ma si accontenterà del controllo di alcune città, infatti controllerà la città di Asmara. A livello amministrativo il territorio della Serenissima, con la nuova amministrazione, verrà diviso in provincie di due categorie: le province di Terra e quelle di Mare. Le province di terra sarebbero quelle nel territorio del Veneto e del Friuli, e sono dipendenti dal governo centrale. Mentre le province di Mare sarebbero l'Istria, la Dalmazia e le isole Ionie, e sono autonome. Asmara sarà una dipendenza territoriale. La lingua ufficiale sarà il Veneto, che però nelle province verrà affiancato dalle varie lingue locali. Infatti, a livello linguistico, sopratutto nelle province di Mare, ci sarà un attaccamento alla lingua locale, che si rifletterà anche in letteratura, e che porterà alla sopravvivenza di lingue estinte nella storyline reale, come l'istrorumeno e il dalmatico. In Veneto la lingua della cultura resta l'Italiano, ma nascerà una nuova letteratura in lingua Veneta e in lingua Furlan.

Con il suffragio universale maschile sorgono i primi partiti di massa, come il partito socialista e il partito cattolico, ma solo quest'ultimo riuscirà ad arrivare al governo e a conciliare gli interessi dell'aristocrazia capitalista con quella degli operai.

Durante la Prima Guerra Mondiale la Serenissima resta neutrale, ma i poli industriali Veneti riforniranno l'esercito italiano di armi, munizioni e viveri. Infatti, mentre la guerra distrusse interi Paesi, per la Repubblica di San Marco essa fu una grande fortuna: una grandissima quantità di merci fu venduta non solo all'esercito italiano, ma anche a quello inglese, e le banche veneziane concessero a questi eserciti grandi finanziamenti, naturalmente il tutto di nascosto dall'Austria.

Dopo la guerra, l'Italia ottiene il Trentino Alto Adige, mentre Venezia, pur essendo rimasta neutrale, grazie ai suoi finanziamenti, ottiene Trieste, Gorizia e tutta la Venezia Giulia, e, mentre Trieste sarà una provincia di Terra, le altre saranno province di Mare a causa della forte presenza slava. Intanto in Italia sorge il fascismo, e Mussolini rivendica sin da subito l'annessione all'Italia della Serenissima e dello Stato Pontificio. Mussolini in Italia sale al potere come nella reale storyline, ma è costretto a rinunciare ad annettere sia lo Stato Pontificio, con cui nel 1929 farà un concordato basato sulla reciproca riconoscenza (lo Stato Pontificio non aveva ancora riconosciuto ufficialmente il Regno d'Italia, mentre l'Italia ancora rivendicava Roma come propria capitale), allo scopo di poter essere popolare presso l'elettorato cattolico. Negli anni 30 non ci saranno grossi cambiamenti a Venezia, infatti si creerà un piccolo movimento fascista che però non avrà alcun seguito, a causa dell'attaccamento dei Veneziani alle istituzioni democratiche, e neanche il partito comunista ebbe grande seguito, grazie alla capacità che ebbero i cattolici di mediare tra gli operai e i capitalisti. (Si ricorda che nella reale storyline i partiti cattolici, soprattutto la Democrazia Cristiana, ebbero grande seguito in Veneto, e durante la Resistenza si formarono forti formazioni partigiane cattoliche).

Tra il 1935 e il 1939 Hitler e Mussolini si comportano come nella reale storyline. Scoppia la seconda guerra mondiale, e fino al 10 maggio 1940 avviene tutto come nella reale storyline. Infatti in questa data Mussolini entra ufficialmente in guerra, ma dichiara guerra anche alla Serenissima, e tenta di invaderla. Mussolini voleva invadere la Serenissima sia perché faceva parte del suo progetto irredentista sin dai primi anni del fascismo l'annessione di tutte le terre irredente, e sia perché le ricchezze della Repubblica avrebbero potuto sostentare la guerra. Ma l'invasione della Serenissima sarà per l'esercito italiano un vero e proprio fallimento: i Veneziani resisteranno fino all'ultimo, l'esercito veneziano dimostra maggiori abilità militari, mentre nelle poche aree occupate già si iniziano a formare delle brigate partigiane. Solo con l'aiuto dei tedeschi, gli italiani riusciranno a conquistare la repubblica. Il Doge, i politici, e alcuni tra gli esponenti dei grandi gruppi bancari ed industriali si rifugia a Londra, dove si forma un "Governo di Venezia Libera", che coordinerà le azioni dei partigiani (più o meno come fece De Gaulle con i francesi), e apparterrà quindi al gruppo degli Alleati. Quindi mentre nel resto d'Italia il movimento di Resistenza avrà maggior seguito solo dal 1943 in poi, in Veneto già si formano fortissimi gruppi partigiani di Resistenza, dei quali la maggior parte è di ideologia cattolica, ma vi sono anche gruppi liberali e comunisti. In Istria e in Dalmazia, al contrario della reale storyline, ci sarà una forte solidarietà tra i partigiani veneti e quelli slavi, avendo come obiettivo in comune la liberazione dai nazi-fascisti. Nel 1943 in Italia Mussolini cade, c'è l'armistizio, il duce viene liberato e crea la Repubblica di Salò, intanto, pur essendoci un forte controllo tedesco, molte zone del Veneto sono ormai controllate dai partigiani. A livello internazionale, i Veneziani, come gli Inglesi e De Gaulle nella reale storyline, hanno un atteggiamento duro nei confronti dell'Italia, infatti la Serenissima inizia a discutere con le altre nazioni di un possibile allargamento dei suoi territori verso occidente, tratta per una possibile annessione dopo la guerra della Lombardia e del Trentino Alto Adige. De Gaulle, come nella reale storyline, inizia a considerare l'idea di una possibile annessione dopo la guerra della Valle D'Aosta e di una parte del Piemonte. Invece gli Americani dimostrano verso gli italiani un atteggiamento più tollerante, grazie alla presenza di italo-americani nella società statunitense. Intanto tra gli Alleati che liberano l'Italia ci sono anche delle truppe Veneziane. Nel 1944, alcuni giorni dopo il D-Day, le truppe Veneziane vengono accolte trionfalmente in tutto il Veneto e anche in Dalmazia e Istria, mentre le Isole Ionie erano già state liberate l'anno precedente grande ad uno sbarco partito dalla Puglia. Finisce la guerra, il Trentino Alto Adige, viene annesso alla Serenissima, ma la Lombardia resta all'Italia, ma ottiene anche la Cirenaica, oltre ad una percentuale di possesso del petrolio libico. Il Trentino diventa una provincia di terra, mentre l'Alto Adige, a causa della forte minoranza germanofona, diventa una provincia autonoma. Infatti ora le "provincie di Mare" cambiano denominazione in "provincie Autonome", e ottengono molta più autonomia, e diventano quasi degli stati federati. Quindi in Alto Adige la questione sudtirolese è molto più limitata, le lingue ufficiali della provincia diventano 4: il tedesco, il veneto, il ladino e l'italiano, e nelle scuole c'è la possibilità di scegliere la lingua di insegnamento.

La ricostruzione avviene nel giro di pochi anni: già nel 1950 l'economia Veneziana è stata rilanciata. In Libia il petrolio è gestito da una società anglo-franco-veneziana, i Veneziani hanno il controllo anche della Cireanaica fino al 1951, anno in cui la Libia ottiene l'indipendenza, ma viene governata da un Re fantoccio messo al trono dagli Alleati per mantenere il controllo del petrolio.

A questo punto apro una parentesi radio-televisiva: nel 1922 nacque Radio Venezia, che trasmetteva prevalentemente in Veneto, ma con alcune trasmissioni dedicate alle minoranze linguistiche, nel 1932 ad ogni provincia di Mare è concessa la trasmissione di una propria stazione radiofonica. Nel 1950 iniziano le prime trasmissioni televisive, nasce la RTV, Radio Televisione Veneziana. Nel 1955 ad ogni provincia Autonoma viene concessa la trasmissione anche di un proprio canale televisivo. L'Alto Adige quindi creerà una rete televisiva composta da notiziari locali e da programmi di attualità locale, oltre alla trasmissione di molti programmi televisivi tedeschi, austriaci e svizzeri. Le TV dell'Istria e della Dalmazia, che trasmettono prevalentemente in Croato, in Istrorumeno e in Dalmatico, verranno seguite molto soprattutto in Jugoslavia, dove rappresenteranno gli unici media non condizionati dalla censura comunista.

Tornando alla politica internazionale, Venezia aderisce alla Nato, nel 1960 aderisce all'AELS (Associazione Europea di Libero Scambio), ma ne esce nel 1972 per aderire alla CEE l'anno successivo.

Tra gli anni 50 e gli anni 60 vengono promulgate nuove leggi che migliorano ancora di più le condizioni dei lavoratori, le donne ebbero diritto di voto già dal 1932, e sono state parificate agli uomini con il nuovo Codice sulla Famiglia del 1955. Ma restano aperte le questioni dell'aborto e del divorzio, i cattolici ne sono contrari, mentre i socialisti e i liberali ne sono favorevoli. Avviene un referendum sull'introduzione del divorzio nel 1965, il cui esito è positivo e un altro sulla legalizzazione dell'aborto l'anno successivo, ma dall'esito negativo, ma verrà legalizzato dieci anni dopo grazie all'esito positivo di un altro referendum sullo stesso tema.
Tra gli anni 70 e gli anni 80 giungono a Venezia molti immigrati italiani.

Negli anni '80 sorgono le prime radio e TV private, e in Dalmazia molti esiliati trasmetteranno programmi per gli Jugoslavi.

Ma negli anni '90 scoppierà il caos: la Jugoslavia si disgrega, scoppiano le stesse guerre della reale storyline, e un'infinità di profughi giunge in Istria e Dalmazia (ricordo ai lettori che la Serenissima possiede solo l'area meridionale della Dalmazia, che nella realtà si trova tra la Croazia e la Bosnia). In Bosnia i musulmani vedono come unica salvezza un'annessione alla Serenissima, che però non accadrà, visto che la guerra finisce con gli stessi trattati della reale storyline.

Nel 2000 c'è un referendum sulla sostituzione della Lira Veneziana con l'Euro, ma l'esito è negativo, e Venezia mantiene ancora oggi la sua moneta.

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Questo è il commento in proposito di Bhrghowidhon:

In questa ucronia i colloqui di Plombières dalle 11:00 alle 15:00 e dalle 16:00 alle 20:00 del 21.luglio 1858 fra Napoleone III. e Camillo Benso Conte di Cavour perverrebbero a risultati per definizione diversi da quelli storici (in particolare nel punto: Regno di Sardegna fino all'Isonzo). Tenuto conto da un lato che il Memoriale anonimo (del 18. gennaio) in mano a Cavour chiedeva per i Savoia addirittura l'Istria e la Dalmazia fino a Cattaro e dall'altro che, dopo l'Armistizio di Villafranca dell'11.-12. luglio 1859, Torino ha reagito alla rinuncia al Veneto (da parte di Napoleone) annettendo tutte le Legazioni in Emilia e Romagna nonché la Toscana, bisognerebbe postulare che a Plombières o in località omologa altrettanto venisse promesso a Vittorio Emanuele II. e di conseguenza per Girolamno Bonaparte si ritagliasse un Regno più spostato a Meridione, coinvolgendo quindi sùbito il Regno delle Due Sicilie (ma per mezzo di quali forze? Garibaldi non avrebbe potuto combattere contemporaneamente sulle Prealpi e in Sicilia - d'altra parte la sua assenza sarebbe stata decisiva - e Lord Palmerston non sarebbe arrivato addirittura a favorire i progetti dell'Imperatore dei Francesi...)

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La palla ritorna ad Enrico Pizzo:

Di seguito un mio tentativo di ricostruzione del corso del Medoacus Minor a valle di Padova.
Devo premettere, però, che l'aver individuato un corso non significa che il fiume abbia sempre seguito quella direttrice di deflusso.
I fiumi veneti sono caratterizzati dalla frivola abitudine di mutare percorso, una conseguenza della scarsa pendenza della pianura padano-veneta che porta all'accumulo di sabbia nel letto del fiume, fenomeno che porta in pochi secoli all'interramento del letto fluviale, all'incirca ogni 1500 anni.
Tanto per fare un confronto l'Adige di Solesino si è attivato intorno all'800 A.C. e si è esaurito intorno al 600 D.C. 1400 anni di attività...
Per quanto riguarda il ragionamento che mi ha portato alla ricostruzione del corso del Medoacus Minor, devo partire inanzitutto da quelli che sono i, pochi, punti fermi a mia disposizione.
Plinio parla chiaramente di " duo medoaci " e la " tabula peutingeriana indica la stazione di posta di " mino meduaco " in corrispondenza dell'odierna Lova, dove scorre adesso il tratto finale del Cornio.
Il Gloria descrive in questo modo il percorso del Minor " attraverso Camino, Saonara, Legnaro del Vescovo, Arzarello, Arzergrande, Vallonga, Rosara non lungi da Corte, fino alla laguna ".
Il Gloria non sbaglia, non completamente almeno, perchè il percorso da lui indicato corrisponde al dosso 10, che è stato una delle direttrici di deflusso del brenta in epoca protostorica.
Nel il libro " Luoghi e itinerari della Riviera del Brenta e del Miranese ", ho trovato il contributo di Antonio Draghi relativo a Villa Sagredo a Sarmazza di Vigonovo in cui, tra le altre cose, parla della peschiera, " derivata dal Cornio, l'antico Medoacus Minor ".
Io ho pensato " un'ipotesi, non più dimostrabile di altre " poi, non so nemmeno dire perchè, sono andato con Google Maps a visualizzare la Brentasecca a Saonara, uno dei pochi punti in cui ero sicuro del passaggio del Minor in epoca storica...
E qui salta fuori la sorpresa!!
Brentasecca non è solo un nome di località, ma anche il nome di una via, dall'andamento sinuoso.
Il prolungamento di via Brentasecca è via Costantina, alla cui altezza il tracciato stradale inizia ad essere affiancato dal Cornio.
Successivamente il Cornio affianca via Celeseo e poi via Cornio, fino alla Cunetta, dove il fiume piega bruscamente seguendo il percorso di questa.
La deviazione non è significativa, perchè la Cunetta è stata scavata recentemente, ho provato a guardare in SX idrografica di questa e mi sono imbattuto in via Celestia, che poi prosegue come via Cornio.
Via Cornio poi prosegue come via Sopracornio, sempre affiancata dal canale, fino a Campagna Lupia, località Lazzareto.
Proseguendo il Cornio non è più affincato da strade, ma passando dalla visualizzazione " mappe " a quella " satellite " si vede il Cornio proseguire fino a Lova, dove sottopassa la Brenta Novissima, e l'attuale sede della SS309, tramite una botte, per poi terminare il suo percorso in laguna.
A monte di Saonara il percorso diventa illeggibile, dato che attraversa aree che oggi sono fortemente urbanizzate, ma è " indovinabile " grazie al fatto che le località di Noventa, Camin e Saonara sono collegate tra di loro dal dosso 10, mentre il percorso che vi ho descritto in precedenza corrisponde ad una variante del dosso 11.
Il mio entusiasmo, però, a questo punto si è un pò smorzato.
Il Minor, secondo gli storici, è rimasto attivo fino al 1100, circa, ricevendo l'acqua del Brenta, ma quest'ultimo, dopo il 600, si è spostato più a nord, all'incirca dove c'è la sede attuale, da dove arrivava quindi l'acqua?
Mentre ero li che mi arrovellavo mi è tornato in mente un particolare.
Il Brenta, fino al 1143, non percorreva l'attuale alveo, ma giunto a Dolo, deviava verso Sambruson e Lugo.
Dopo il 1143 i padovani hanno tagliato l'argine, in Sx idrografica, più o meno all'altezza di Dolo, creando il percorso dell'attuale Naviglio fino a Fusina.
Tra le motivazioni di questo intervento c'era la volontà da parte dei padovani di poter avere una via navigabile più diretta verso Venezia.
Ripensando a questo particolare mi è venuta in mente una cosa, il fiume Bacchiglione, che a partire dal 600 ha sostituito il Brenta nell'attraversamento del centro di Padova esce da questa tramite il canale di Roncaiette.
Il collegamento tra Padova ed il Brenta, il canale Piovego, risale al 1209, cosa volevano navigare i Padovani se non c'era ancora il canale?
Altro pensiero.
Il Brenta fino al 600, percorreva come ho detto il centro di Padova, per poi dirigersi verso Dolo tramite un percorso che parzialmente si sovrappone a quello del Piovego, ho sempre pensato che i Padovani nel 1209 non abbiano scavato ex-novo il Piovego, ma abbiano riattivato e rettificato un tracciato presistente.
A questo punto nulla mi proibiva di pensare che forse il Bacchiglione, fino al 1140, non usciva da Padova solo tramite il canale di Roncaiette, ma che forse una parte delle acque continuava a usare il vecchio alveo, un collegamento tra Padova e il Brenta, magari morente, c'era già e questo spiega l'intervento sugli argini del 1143.
Ciliegina sulla torta!!
Il buon vecchio Bellamio conferma le mie parole!!
Riporta testualmente che nel 1142 i Padovani deviarono " le acque del Minor nel Maior " per avere una migliore navigazione!!
Ho riscoperto la citazione del Bellamio solo pochi minuti fa.
A questo punto il quadro è perfettamente chiaro.
Il Bacchiglione dopo il 600 ha preso il posto del Brenta, continuando però a utilizzarne in parte le direttrici di deflusso. Quella in direzione di Dolo era utile ai Padovani, perchè li metteva in collegamento con la laguna, ma nel tratto tra Noventa e Stra doveva essere scarsissima d'acque a causa della " presa " del Minor.
Ecco quindi l'intervento padovano con la chiusura di questa, in modo da cercare di riattivare il tratto Noventa-Stra.
Riattivazione che sarà possibile solo nel 1209, tramite un esteso lavoro idraulico.
Ritengo di poter dire, con una certa sicurezza, che il fiume Cornio rappresenta l'ultima direttrice di deflusso meridionale del Brenta, tra quelle originatesi in modo naturale ed in tempo storici.

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Dice la sua anche Enrica S.:

Come arrivare a questo stato indipendente ancor oggi, membro del Commonwealth e con a capo la Regina d'Inghilterra?

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La palla passa a feder:

Tempo fa in Internet ho letto uno storico affermare, a fronte di dati autentici e verificati, che il tasso di criminalità negli ultimi anni della Serenissima fosse bassissimo, addirittura inferiore a quello che oggi. Molti di noi, in risposta a quest'affermazione, avevano manifestato qualche dubbio, sostenendo come numeri così quantitativamente esigui potessero trovare una giustificazione più ragionevole in una pletora di spiegazioni alternative, dall'inefficienza del sistema giudiziario di uno Stato settecentesco, all'estrema condizione di povertà in cui doveva versare buona fetta della popolazione, tale da scoraggiare il ricorso alle autorità.

Io ero tra quelli. Così, per informarmi più a fondo ho deciso di operare un raffronto con una città di simile stazza e costituzione sociale. Una settimana fa mi sono iscritto come libero socio all'Archivio di Stato di Milano, onde consultare il suo vasto repertorio. Con l'aiuto di un archivista, ho selezionato il pezzo più utile alla ricerca: si tratta di una collezione di registri conosciuti come magni libri bannitorum (grandi libri dei banditi), detenuti presso il governatore degli statuti. Nella sala di studio, ho consultato il volume più recente, pezzo 37, che conteneva la sequela di tutti i criminali e le relative condanne dal 1696 al 1724; di seguito, illustro le conclusioni della mia piccola ricerca.

In primo luogo bisogna chiarire che non si tratta di una sovrapposizione perfetta, considerate le quattro generazioni di distanza tra un registro e l'altro. Poi, se pure le dimensioni delle due città supergiù si equivalgono (entrambe contavano un quantitavo di abitanti tra i 125 e 150 mila), bisogna riconoscere che la situazione economica di Veneto e Lombardia era diametralmente opposta. In quel momento storico, la città della laguna era al culmine di un lungo periodo di sonnolento declino, avendo perso più di quarantamila abitanti (al tempo, un numero enorme) nel corso del secolo precedente. La città della pianura, invece, pur avendo sofferto gli ultimi secoli di dominio spagnolo (si calcola una perdita di circa venticinquimila abitanti dall'epoca dell'apogeo), a partire dal cambio di dominazione aveva, tra l'importazione della seta, la compilazione del catasto e l'espansione del ducato, cominciato a scrollarsi le coperte di dosso, innescando quell'esplosivo processo che l'avrebbe portata, ancora tre secoli dopo, ad essere la locomotiva dell'Italia unita. La Venezia del XVII secolo, insomma, non era certo dinamica, anzi; i patrizi che potevano se ne distanziavano, preferendo disporre la costruzione di magnifiche ville sulla Terraferma. Tutto il contrario stava avvenendo allora a Milano: con la rivitalizzazione dei commerci, la città aveva iniziato a rivestire quel ruolo nevralgico nella regione che le si confa tanto, attirando con una certa gravità immigrati dalla campagna.

Tutto questo preambolo storico è necessario per introdurre al meglio il punto della discussione. Nel tomo che ho consultato, lo stacco fra dominazione spagnola e austriaca non è di visibilità immediata, ma diviene evidente man mano che proseguono gli anni. Prendiamo ad esempio gli anni 1712 e 1723, di cui ho allegato materiale fotografico: pur nell'arzigogolata calligrafia dei pretori milanesi passati, diviene facile notare una discrepanza tra le due amministrazioni. Sotto gli spagnoli, i nomi si affastellano in un coacervo di accuse poco chiare e processi celebrati perlopiù in contumacia, dove è conseguentemente ragionevole supporre che magra parta delle pene comminate fosse effettivamente eseguita. Sotto gli austriaci, leggiamo con ordine una serie di descrizioni delle fattispecie, con pene, se non fondate in diritto (d'altronde siamo ancora prima della riforma codicistica di Napoleone, difficile pretendere di più), quantomeno eziologicamente giustificate. Qui compaiono anche le prime menzioni di strutture carcerarie organizzate, querele e querelanti. Anche le pene cambiano: se con gli spagnoli assistiamo alla proliferazione di confische, esili e condanne capitali, con gli austriaci la detenzione cresce di popolarità. I sottoposti dell'imperatore non abbandono la pena di morte, anche se alla pena della testa sembrano preferire la forca (forse in un primitivo tentativo di educare le masse?)

Ecco la trascrizione di una lettera che ho ritrovato nell'archivio, redatta dal vicecomiziale giudiziario (da quanto ho capito, una sorta di PM dell'epoca) che testimonia quanto dico. Tra due parentesi, ho inserito i punti dove non ho saputo comprendere la scrittura dell'autore; il senso generale, comunque, è chiaro. Qui a fianco, l'originale della lettera (cliccare per ingrandire).

1722 die (...) Augusti. Presentata (...) Epistola Jenovis sequentis (...). Publicata die 16 eiusdem.
M. Ulivi Sig.ri, Sig.ri (altro nome)

Devo partecipare alle (...) loro. M. Ulivi, qualmente nel giorno tredici del corrente mese ho condannato in pena delle (forche?) Domenico Panietto del gm. Matteo del luogho del Bosco Piene di Valvanaglia, ed indi capizalmente bandito da questo Dominio, cosi che possi essere impunemente ofeso da chisesia e ciò a' causa del crudel homicidio da' esso Panietto commesso nelle persone di (...): Batta Panietto detto il Cincola di detto luogho del Bosco con coltello prohibito, (...) del medesimo commesso in pregiudizio di Daniele Manzione nella somma di lire 325,5. Fuga dalle carceri pretorie di Gavirate contrasto precedente e cooperante alla fuga dalle med. di Luiggi e Giuseppe Fratelli Liprandi ladri famosi, con ferire mortalmente il custode d'esse carceri, furto da detto Domenico commesso in pregiudizio dello custode delle armi e sue robbe per il valore di lire 600, come risulta dai processi; e però (=perciò) si compiaceranno le signorie loro (di) registrare detto Panietto nell'Albo de' Condannati e Banditi del loro (...) con (...) riverenza mi dico
Pal'offo d'Arcisaze (?) Vicecomiziale
il 16 Agosto 1722

delle signorie loro M. Ulivi
Sottoscriz. (...)
Cesare Picinello (titolo) delle Terre
Vicecomiziali

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Restituiamo nuovamente la parola ad Enrico Pizzo:

Grazie alla trascrizione realizzata da feder ho appreso che Domenico Panietto del fu Matteo, originario di Bosco di Pieve di Valtravaglia, si è reso responsabile di un bel po' di azioni criminose, con le quali si è procurato 925,5 Lire Milanesi. La possibilità di collocare temporalmente gli eventi con una certa precisione ha acceso in me il desiderio di quantificare materialmente l'entità di tale somma. Per la bisogna ho tirato fuori la mia copia .pdf de la "Statistica Medica di Milano " del Ferrario (scaricata da Google Libri) e lì, a pag 228, ho potuto leggere che il prezzo medio di vendita, espresso in Lire per Moggio, era di:

14,65 Lire - Frumento
7,8 Lire - Segale
6,45 Lire - Mais

e che, pag. 254, nel 1720 il vino si vendeva a:

9,1 Lire per Brenta da 96 Boccali

e l'olio a:

1,05 Lire per Libbra da 28 once.

Poiché secondo il Piva il Moggio Milanese corrisponde a 146,24 Litri moderni, la Brenta a 75,55 e la Libbra a 0,763 Kg mentre i pesi ettolitrici, medi, dei cereali sono:

76 Kg - Frumento
70 Kg - Segale
66 Kg - Mais

Ricavo che con quelle 925,5 Lire Milanesi il nostro Panietto poteva acquistare:

7020 Kg di Frumento
o 12146 Kg di Segale
o 13850 Kg di Mais
o 7680 Litri di vino
o 670 Kg d'olio d'oliva

Quantità notevoli. Però rileggendo il post l'ho trovato incompleto, perché Kg e Litri da soli non danno veramente l'idea dell'entità della somma predata dal Panietto con le sue ruberie.
Per cercare di " attualizzarla " ho pensato che potevo cercare di calcolare quanto denaro sarebbe necessario nel 2023 per acquistare le stesse quantità.
Secondo il sito ismeamercati. it il giorno 11/04/2023 il Frumento Tenero Nazionale si vendeva a 271€ la tonnellata mentre il Mais Nazionale a 281€ la tonnellata.
Invece sul sito mark.agrarheute.com leggo che dal 03/04/2023 al 10/04/2023 il prezzo della Segale sul mercato Tedesco era di 198,08€ la tonnellata.
Per il prezzo del vino ho utilizzato quello del Rosso Veneto sfuso nel supermercato dove faccio la spesa a Monselice, non posso fare nomi posso solo dire che è quello accanto al McDonald 😁, 2,18€ al litro, mentre per l'olio d'oliva ho usato quello del multicultuvar in lattina da 5 litri che producono nell'oleificio dove mi rifornisco, 78€ per lattina.
Anche in questo caso non posso dare nomi, posso solo dire che si tratta di quello a fianco di Villa Contarini a Valnogaredo.
Usando questi prezzi, e ricordando che la densità dell'olio d'oliva è di circa 920 Kg/Mc, ricavo che il 13/04/2023, per acquistare le quantità di prodotti di cui sopra, Domenico Panietto avrebbe bisogno di:

Frumento - circa 1900€
Segale - circa 2400€
Mais - circa 3890€
Vino - circa 16740€
Olio d'oliva - circa 11400€

Per olio e vino cifre importanti!!

Sono convinto tuttavia che il semplice calcolo dei quantitativi di merce che il Panietto poteva acquistare con le 925,5 Lire Milanesi frutto delle sue rapine non sia sufficiente per apprezzare veramente l'importanza della cifra.
Molto più utile sarebbe capire quanti giorni doveva lavorare una persona per poterle guadagnare onestamente.
Si, ma come fare?
Non dispongo di dati sulle retribuzioni nel Milanese negli anni '20 del XVIII secolo...
Forse un metodo potrebbe essere convertire quelle Lire Milanesi in valuta di uno Stato limitrofo, di cui possiedo qualche dato in più, e provare a fare il calcolo.
Secondo il Zannini tra il 1710 ed il 1714 nella città di Venezia un manovale era retribuito con 44,11 Soldi decimalizzati di Lira Veneziana.
Secondo il Papadopoli tra il 1708 ed il 1750 lo Zecchino era tariffato 14 Lire a Milano e 17 a Venezia.
Quelle 925,5 Lire Milanesi corrispondono quindi a circa 1123,8 Lire Venete o 22476 Soldi.
Per guadagnare una somma del genere un manovale doveva lavorare nella città di Venezia per almeno 510 giorni!!

Ok, dopo questa vagonata di calcoli, voglio cambiare argomento di discussione:

Il veronese Angelo Faccioli propose, nel 1931, l'adozione del Veneto come Lingua Universale sostenendo, non del tutto a torto, che il Veneto è la lingua "più simile al Latino, più semplice di questo e sorella di ogni Lingua nel Mondo".
Vent'anni dopo Faccioli perfezionava e motivava la sua proposta, in una sua pubblicazione del 1950 spiegava che il Veneto si compone di soli 22 Foni:

a - be - ce ( c dolce ) - che ( c dura ) - de - e - fe - ge ( g dolce ) - ghe ( g dura ) - i - le - me - ne - gne - o - pe - re - se - te - u - ve - ze

tutti rappresentabili graficamente utilizzando solo le lettere dell'alfabeto Italiano, nessuna necessità di usare i segni grafici k - j - w - x - y!

Non esistono i foni:

gl - sostituito da l
sc - sostituito da s

In Veneto inoltre non esistono consonanti doppie né suoni aspirati, né Passato e Trapassato Remoto sostituiti da Passato e Trapassato Prossimo.
Queste ed altre considerazioni portavano Faccioli a ritenere che la Lingua Universale doveva essere il Veneto...

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Glui risponde il linguista Bhrghowidhon:

 Per curiosità, le lingue con meno fonemi sono il pirahã (Amazonas [Brasile]) e il rotokas centrale (Bougainville [Papua - Nuova Guinea]), con undici fonemi (nel secondo caso molto diffusi presso tutte le lingue: /a/, /e/, /i/, /o/, /u/, /b/, /d/, /g/, /p/, /t/, /k/).

La semplicità fonologica conta tuttavia ben poco (anzi, rischia di creare molti omofoni, che per la lingua è un guaio, come in cinese); più impressionante è la semplicità morfologica, che nel Mondo è una caratteristica delle lingue isolanti (che non distinguono, per esempio, il nome dal verbo), come il cinese (in Europa, la più semplice è l'inglese, che tuttavia conserva ancora delle opposizioni morfologiche). La difficoltà del cinese è soprattutto grafica, ma se scritto in alfabeto (da decenni ormai anche latino) è una delle lingue più facili (la difficoltà è appunto nell'abbondanza di omofoni, perfino con lo stesso tono, che fonologicamente comincia a essere una difficoltà).

Il livello più impegnativo di una lingua è però il lessico e in questo caso tutte le lingue sono ugualmente difficili.

Il vantaggio di una morfologia ricca (non dico complicata, ma ricca) è che con la combinazione di poche e semplici regole si riescono a produrre molte parole diverse fra loro quel poco che basta per distinguerle, senza sovraccaricare la memoria (mentre le lingue con poca morfologia sovraccaricano il lessico oppure fanno parole lunghissime).

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Infine, la palla ancora ad Enrico:

Mi sono reso conto di non avere mai descritto quello che per me era il vero motivo della debolezza politica della Repubblica, cerco di rimediare ora.
Lo scrivente è convinto che la Serenissima implose perché le Élite delle città della Terraferma videro nella sua scomparsa l'occasione per acquistare finalmente quel potere politico che gli era negato.
Proviamo ad analizzare tre persone immaginarie, che chiamerò A, B e C.
A è un Patrizio della Repubblica il cui nome è regolarmente inserito nel Libro d'Oro ed economicamente decaduto, B un Cittadino Originario il cui nome è regolarmente inserito nel Libro d'Argento di professione accattone, C un Nobile Padovano oscenamente ricco.
Tutti e 3 desiderano impegnarsi in Politica, ma qual'è il massimo teorico a cui possono aspirare?
A, per quanto Barnabotto, in virtù del suo Status di Patrizio ha diritto a sedere nel Maggior Consiglio e il suo massimo teorico è l'elezione a Doge.
B, per quanto accattone, in virtù del suo Status di Cittadino Originario ha la possibilità di lavorare nella Burocrazia e il suo massimo teorico è la carica di Cancellier Grando.
C, in virtù del suo Status di Nobile Padovano oscenamente ricco, si vede interdetto l'accesso a TUTTE le cariche non solo Politiche, ma persino Amministrative nella Dominante, ed il massimo a cui tu poteva aspirare era di diventare Vicario di qualche Vicariato.
Questi erano delle divisioni amministrative della Repubblica che comprendevano i territori di scarsa importanza, ad esempio le zone interne dei Colli Euganei.
Quindi il culmine della carriera politica di C sarebbe stato qualche mese come Vicario a Teolo.
Questo per me era il vero punto debole della Repubblica.
Nel momento in cui è apparso all'orizzonte un uomo che sembrava essere in grado di cambiare l'ordine delle cose le Élite delle città della Terraferma hanno abbandonato all'istante la fedeltà alla Repubblica.
Questo pericolo era stato denunciato da Scipione Maffei nel 1736 nel suo "Consiglio Politico", naturalmente censurato e pubblicato nel 1798...
Maffei sosteneva che solo il coinvolgimento delle Élite delle città della Terraferma nella gestione del Potere avrebbe garantito il futuro della Repubblica.
Ma, come accaduto altre volte, "nemo propheta in patria".

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