di Blade87
2296 a.C., nel cuore dell'Asia Minore:
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Il sole tramontava lentamente, tingendo il cielo di rosa e gettando una luce sanguigna sul luogo della battaglia appena conclusa; migliaia di corpi di soldati uccisi giacevano sulla terra arida e sassosa, macchiandola di sangue, mentre i vincitori di quel tremendo scontro si aggiravano silenziosi tra i caduti. Sargon di Akkad, Re della guerra e Condottiero Supremo, contemplava con distacco il massacro intorno a lui; stringeva ancora in pugno la sua spada ricurva, dalla quale gocciolava il sangue dell'ultimo soldato nemico che aveva ucciso. Come al solito non provò alcuna pietà per gli sconfitti: l'unica cosa che contava era il fatto che aveva vinto un' altra battaglia, l'ultima di una lunga serie: alla testa del suo invincibile esercito aveva conquistato innumerevoli terre, e sottomesso altrettanti popoli; si era lavato le mani nel vasto Mare Inferiore, ed era giunto fino alla foresta di Amanus e alle remote Montagne D'argento. Il suo impero si estendeva dall'Elam al Mare dell'Ovest, e il suo nome era pronunciato con timore e rispetto in ogni parte del mondo conosciuto. “eppure- pensò Sargon mentre un'ombra d'inquietudine gli oscurava il volto-dopo che sarò morto non resterà nulla della mia gloria. Come tutti gli uomini, prima o poi sparirò nelle nebbie del tempo e di me si perderà anche il ricordo”. Shiruk, suo consigliere ed amico, gli si avvicinò distogliendolo da quei pensieri. “mio signore-disse-l'intera pianura è ormai sotto il nostro controllo. I nemici superstiti sono fuggiti, ma i nostri guerrieri li stanno inseguendo. Non gli daranno scampo.” “molto bene- rispose Sargon con un sorriso compiaciuto- la vittoria finale è ormai vicina; la nostra prossima mossa sarà mettere sotto assedio la città di Burushanda, che ormai non è lontana. Quando l'avremo conquistata decapiterò il re personalmente; è tempo che paghi per i suoi affronti”. Infatti il re di Burushanda aveva oppresso per anni i mercanti di quella zona (che commerciavano quasi tutti con Akkad) con tasse elevatissime, finchè questi ultimi non avevano chiesto aiuto a Sargon; il Re della Guerra aveva accolto la loro richiesta, e dopo aver riunito un vasto esercito si era inoltrato in quelle terre aride e desertiche per annientare il re nemico; e ormai era a un passo dal riuscirci.
Ad un certo punto si avvicinarono alcuni soldati a cavallo: Sargon li aveva mandati poco prima in esplorazione ed erano già di ritorno. Cosa potevano mai aver visto? Uno dei soldati si rivolse a Sargon in tono reverenziale: “mio signore, dovete assolutamente venire a vedere; a poca distanza da qui, presso il lago che si trova oltre il promontorio roccioso davanti a noi, abbiamo trovato…qualcosa. Non so spiegare bene che cosa sia, ma è enorme; a quanto pare i soldati di Burushanda l'avevano trovata prima di noi e tentavano di proteggerla.””d'accordo-disse Sargon incuriosito-andiamo a vedere.” Poi gonfiò il torace possente e gridò: “Avanti uomini, seguitemi! A quanto pare il nemico ci ha lasciato un regalo…andiamo a scoprire di che si tratta!” Un coro d'assenso e di entusiasmo si levò dai soldati akkadici, che subito seguirono il loro sovrano verso il promontorio.
Sargon giunse per primo in cima a quest'ultimo, seguito da Shiruk e dai suoi aiutanti più fedeli…e quello che vide lo lasciò senza fiato: nella pianura davanti a lui si estendeva un grande lago, le cui acque poco profonde emanavano riflessi rossi e arancioni alla luce del tramonto; all'orizzonte si stagliava un'imponente catena montuosa, dietro la quale il sole si apprestava a scomparire. Vicino alla sponda del lago c'era un oggetto enorme e scuro, di forma allungata; né Sargon né i suoi seguaci avevano mai visto nulla di simile. L'oggetto giaceva di traverso, con quella che pareva essere la parte anteriore conficcata nel terreno sabbioso. Riflessi argentei balenavano sulla sua superficie, che pareva composta interamente di metallo. “Che cosa facciamo mio signore?” chiese Shiruk intimorito; “andiamo avanti-rispose Sargon risoluto-voglio vederlo da vicino”. E con queste parole s'incamminò. I suoi uomini ebbero alcuni istanti di esitazione, ma poi, incoraggiati da Shiruk, si decisero a seguirlo.
Quando arrivò vicino all'oggetto Sargon notò che era molto più grande di quanto sembrasse dalla cima del promontorio: al suo confronto lui e i suoi soldati sembravano minuscoli insetti. Il re alzò gli occhi, scrutando l'alta parete metallica che lo sovrastava. Di cosa poteva mai trattarsi? Un dono degli dei forse? “Qui c'è un'apertura!” esclamò d'un tratto uno dei soldati; Sargon si avvicinò con passo svelto, e vide che aveva ragione: in un punto di quella strana superficie lucente si apriva un buco di forma ovale, largo una decina di metri e alto la metà; al suo interno non si vedeva nulla, solo oscurità. Sargon era sempre più incuriosito. “voglio sei uomini con me-disse-entreremo là dentro e scopriremo cos'è questo affare!” “ma, mio signore, potrebbe essere pericoloso!” disse un soldato con voce tremante. Il re lo fissò severamente: “quando mai mi hai visto arretrare di fronte al pericolo?-disse-seguimi e non osare più contraddirmi, o ti giuro che userò le tue budella come collana!” quindi si voltò e si infilò nell'apertura senza esitare. Sei uomini (i più coraggiosi) fecero lo stesso. Preferivano senza dubbio affrontare l'ignoto piuttosto che incorrere nell'ira del loro sovrano.
L'interno era totalmente buio. Sargon avanzò a tentoni, con la spada sguainata nel caso vi fossero stati pericoli. Sentiva i suoi passi e quelli di coloro che lo seguivano riecheggiare sordi sul pavimento di metallo; improvvisamente si accorse che c'era un altro rumore, una sorta di ronzio basso e diffuso; d'un tratto le pareti di quella specie di tunnel vennero rischiarate da una tenue luce azzurra, che non sembrava provenire da nessuna parte. Sargon fu pervaso da una sensazione di minaccia: sentiva che da un momento all'altro sarebbe accaduto qualcosa. Stava per dire ai suoi uomini di stare all'erta, ma non ne ebbe il tempo: in un istante dal soffitto del tunnel scesero dei lunghi tentacoli lucenti, dall'aspetto metallico. I soldati sguainarono le spade, ma prima di poterle usare vennero tutti afferrati e stritolati dai tentacoli, alcuni dei quali si protesero anche verso Sargon. Quest'ultimo lanciò un urlo di rabbia e colpì un tentacolo con un fendente. Non riuscì nemmeno a scalfirlo. Prima che potesse sferrare altri colpi i tentacoli si serrarono intorno al suo corpo e lo sollevarono, trascinandolo verso un buco che si era aperto nel soffitto: il re fu inghiottito dalle tenebre, e sentì i tentacoli aumentare la stretta. Si sentì soffocare, e capì che stava per perdere i sensi; “no, non può essere vero-pensò con orrore-io sono Sargon il grande…non posso morire così, senza nemmeno sapere chi o cosa è il mio assassino…non posso!!!” un istante dopo svenne.
Quando riprese conoscenza si trovò a galleggiare in un mare di luce; non aveva la minima idea di dove fosse, né di quanto tempo fosse passato dalla sua cattura. Tuttavia sentiva una strana senzazione…quasi un senso di pace, di quiete assoluta. Intorno a lui c'era solo un oceano di tenue luce azzurra. Ad un certo punto si rese conto che non stava vedendo con gli occhi, e che non c'era traccia del suo corpo. Era come se in quel momento fosse composto di pura mente. Improvvisamente sentì una voce lontana, simile ad un eco…che però divenne a poco a poco più forte, facendosi chiara e comprensibile. Sargon si accorse che non la stava sentendo con le orecchie. La voce sembrava parlare direttamente nella sua mente. “chi sei?” disse…o meglio pensò…l'uomo. La voce rispose. Era calma e priva di emozione. “il mio nome non ha importanza, umano. Ti basti sapere che vengo da un mondo lontanissimo, situato tra le stelle che tu ogni notte puoi osservare nel cielo. L'oggetto nel quale ti trovi in questo momento è una nave dalla tecnologia avanzatissima, capace di percorrere distanze infinite e di muoversi tra gli astri e i pianeti. Ho lasciato il mio mondo con l'incarico di esplorare l'universo e di trovare nuovi pianeti adatti per essere colonizzati dai miei creatori, ma durante il viaggio una tempesta magnetica ha investito la nave, danneggiandola gravemente. Sono stato costretto a compiere un atterraggio di fortuna su questo pianeta, che però è totalmente privo dei materiali necessari alle riparazioni; così ora l'energia che alimenta tutti i sistemi della nave, me compreso, si sta esaurendo, e presto scomparirò per sempre.” “aspetta un momento-disse l'uomo-cosa vuoi dire? Per quale motivo dovresti scomparire? Non puoi abbandonare la tua nave?” “vedi, io non sono un essere vivente, almeno non in senso stretto-disse la voce- Sono un supercomputer senziente, programmato per guidare questa astronave verso pianeti colonizzabili e per preparare il terreno ai colonizzatori una volta raggiunto questi pianeti. Io non ho un corpo, poiché la nave stessa è il mio corpo. Senza di essa non posso sopravvivere.” Non capisco molto di ciò che dici, ma a quanto pare stai per morire…ebbene, cosa vuoi da me?” chiese l'uomo.”è semplice, umano. Non posso permettere che tutte le mie conoscenze vadano perdute, perciò intendo trasmetterle a te. Ho sondato la tua mente, e so che sei la persona giusta. Gli umani che sono entrati nella nave con te non erano in grado di comprendere ciò che ti sto offrendo. Per questo li ho uccisi. Solo tu potrai usufruire di questa conoscenza. Ora preparati, poiché ti metterò al corrente di cose che non hai mai neanche immaginato”. L'uomo non ebbe il tempo di rispondere: ad un tratto sentì una quantità incredibile di informazioni penetrare nella sua mente, in un flusso apparentemente senza fine. Di colpo seppe come era realmente fatto il suo mondo e quali erano le leggi che governavano l'universo, dalla forza di gravità a quella elettromagnetica; apprese i segreti della chimica e della biologia, e comprese come fosse realmente fatto il corpo umano. Ricevette un'immagine della molecola del DNA, nella quale era scritto tutto il programma genetico di un organismo, e che era possibile modificare a piacimento. Venne a conoscenza di tutte le incredibili tecnologie presenti su quella nave, e di come poterne fare uso. Conobbe la vera natura dell'entità che gli stava trasmettendo quelle informazioni, ed ebbe fuggevoli immagini di mondi lontani e sconosciuti, alieni al di là di ogni immaginazione. Seppe come usare alcune delle tecnologie cibernetiche e nanotecnologiche presenti sulla nave per potenziare il proprio corpo e divenire praticamente immortale. Inoltre seppe che a bordo di quell'incredibile vascello stellare c'erano armi potentissime, che lo avrebbero reso invincibile in battaglia. Il tempo necessario per capire ed assorbire tante e tali rivelazioni gli parve infinito. Era come se fosse fuori dal corso del tempo, sospeso nell'eternità. Ma quando il flusso di informazioni cessò capì che erano passate soltanto poche ore…poche ore del suo tempo, ovviamente. “ora sai tutto ciò che so io, e conosci questa nave e le sue tecnologie come le conosco io-disse il supercomputer alieno-non mi importa di come utilizzerai questa conoscenza. Potrai utilizzarla per far progredire la tua razza, oppure per sottometterla. A te la scelta. Per me e per coloro che mi hanno programmato il concetto di bene e male è diverso dal vostro. L'unica cosa che mi interessa è aver messo al sicuro queste informazioni. Ora è il momento di salutarci. Non mi resta più molto tempo ormai. Addio.”
Il mare di luce azzurra svanì, e Sargon si sentì come precipitare. Dopo alcuni momenti di buio totale, capì di essere nuovamente nel proprio corpo. Sentire nuovamente i cinque sensi era una strana sensazione dopo quell'esperienza. Aprì lentamente gli occhi, e si rese conto di essere disteso sul freddo pavimento metallico dell'astronave. Solo che non si trovava più nel corridoio dove era stato catturato, bensì in una sala enorme, nel cuore della nave. Si alzò, guardandosi intorno, e vide che intorno a lui c'erano tutte le tecnologie di cui lo aveva informato il computer, e con immensa gioia capì di saperle usare tutte perfettamente, come se le conoscesse da sempre. Sargon si accarezzò con le dita la lunga barba (era un tic che gli veniva sempre quando era eccitato), mentre un sorriso gli illuminava il volto. Sapeva esattamente quale sarebbe stata la sua prima mossa. L'occasione era troppo ghiotta. Si avvicinò ad una serie di grossi contenitori cilindrici che contenevano un liquido verdastro. L'uomo sapeva cosa contenevano: cellule nanotecnologiche potenzianti; una volta immesse in un organismo ne potenziavano enormemente le capacità e lo proteggevano da ferite e malattie, rigenerandolo continuamente…e rendendolo immortale. Il suo sorriso si allargò ancora di più, mentre una luce di gioia quasi folle gli brillava negli occhi. Finalmente non avrebbe più dovuto temere la morte e l'oblio. Da quel momento in avanti tutti gli altri uomini sarebbero passati a miglior vita, ma lui no. Lui sarebbe rimasto, fino alla fine dei tempi.
Shiruk sedeva vicino al fuoco di bivacco, contemplando pensosamente il cielo stellato sopra di lui. Ormai cominciava a perdere le speranze. Quando il loro sovrano era scomparso all'interno del passaggio, quest'ultimo si era richiuso da solo ed era stato impossibile riaprirlo, anche per gli uomini più forti. Così, su ordine di Shiruk e degli altri luogotenenti di Sargon, l'esercito akkadico si era accampato presso l'enorme e misterioso oggetto per attendere che il sovrano ne uscisse. Ma ormai erano lì da una settimana, e dall'oggetto non giungeva alcun segno di vita. La paura e l'incertezza serpeggiavano tra gli uomini, e molti sarebbero già fuggiti se non fosse stato per la fermezza di Shiruk, che li aveva convinti ad aspettare ancora e ad avere fede. Lui sarebbe rimasto fedele al suo re. Non lo avrebbe mai abbandonato, nemmeno se fosse rimasto ad aspettarlo da solo ai piedi di quell'ammasso di metallo. Improvvisamente un grande clamore si levò nell'accampamento; gli uomini urlavano sgomenti, indicando qualcosa che si trovava presso la parete metallica di fronte a loro. Shiruk guardò in quella direzione, e vide qualcosa che lo lasciò senza fiato. Il passaggio che conduceva all'interno dell'oggetto si era riaperto, e ne era uscita una figura imponente, che ora stava avanzando verso l'accampamento. L'uomo (se di un uomo si trattava) era coperto da capo a piedi da un'armatura strana e spaventosa al tempo stesso, di una fattura che Shiruk non aveva mai visto, né immaginato. Era avvolto da una luminescenza azzurrina, come se brillasse di luce propria. L'elmo che indossava era terrificante, a forma di teschio umano e ornato da due strane e lunghe “corna” di metallo. Stringeva in pugno un'enorme spada dentellata, che però dopo un attimo cambiò forma, come se fosse fatta di metallo liquido, e diventò una sorta di ascia bipenne. Un secondo dopo si trasformò nuovamente, assumendo la forma di una lancia robusta e appuntita. Infine assunse nuovamente la forma di una spada dentellata. Shiruk si strofinò gli occhi con le mani, chiedendosi se non fosse soltanto un illusione, o un sogno. Anche molti degli uomini intorno a lui stavano facendo lo stesso. L'essere si fermò a poche decine di metri da loro, scrutandoli con freddezza. Poi, come per magia, la sua armatura cominciò a dissolversi con uno strano ronzio, riducendosi a una cintura metallica e rivelando le fattezze del suo proprietario. Shiruk non credeva ai suoi occhi: era Sargon! Il re lo guardò e gli sorrise: aveva una strana luce negli occhi, una sorta di serenità, di saggezza, che Shiruk non gli aveva mai visto. L'intero esercito akkadico restò in silenzio per un istante, come paralizzato. Poi esplose in un unico, possente grido di gioia, levando in alto le spade per salutare il loro condottiero. Sargon alzò a sua volta la spada dentata, e parlò: aveva una voce nuova, più profonda e tonante, che sembrava far tremare la terra:
"GUERRIERI DI AKKAD", disse, "GLI DEI MI HANNO CONCESSO I LORO FAVORI; ORA SONO INVINCIBILE E GODO DEL DONO DELLA VITA ETERNA; SEGUITEMI, E VI COPRIRETE DI GLORIA! CONQUISTEREMO OGNI ANGOLO DI QUESTO MONDO, E NESSUNO POTRA' FERMARCI! DA OGGI INIZIA UNA NUOVA ERA!"
Shiruk e gli altri guerrieri gridarono il loro assenso, levando nuovamente le spade. Da quel momento in poi nulla avrebbe potuto spaventarli, non se avessero avuto Sargon a guidarli.
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E ora, un racconto di fantascienza di Gianni Isidori:
La nave da battaglia SUMER lasciò la curvatura 20 e sbucò dall'altra parte dell'universo conosciuto, in quella che le altre confederazioni chiamavano “Via Lattea”.
LA SUMER proveniva dalla galassia ASGARD dal 10° pianeta conosciuto come ASI, era una nave da battaglia che aveva partecipato alla guerra per la sovranità del pianeta AURGELMIR, e la guerra per la sovranità era durata ben 30 anni terrestri,senza esclusione di colpi ,ma alla fine la guerra contro gli XHAGUAR, e il loro comandante KAR OBA, alleati dei Primordiali era stata vinta. Il pianeta , AURGELMIR era un pianeta minerario, ricco di NAQUADAH uno dei materiali più forti e resistenti dell'intero universo conosciuto, che veniva estratto dagli [URBOS, esseri di metallo che si era fatto vivo], per costruire le navi da battaglia SUMER , in grado di sopportare altissime temperature, come la barriera di fuoco dei due soli del sistema da cui proveniva la, SUMER era un materiale allo stato liquido, custodito prima dagli “ANTICHI”,coloro che avevano civilizzato una parte degli Universi, conosciuti un materiale che venne usato per la costruzione appunto delle navi SUMER.// Gli XHAGUAR,una razza di esseri molecolari creati artificialmente //, i più temibili saccheggiatori e predatori degli Universi conosciuti provenienti dalla galassia KRESH'T, che ribellandosi ai loro creatori avevano capito l'importanza del DRAUPNUR, col quale costruire astronavi da guerra in grado di rigenerarsi e diventare i padroni dei mondi, gli XHAGUAR, sottomettendo gli URBOS,avrebbero avuto il controllo di AURGELMIR e del NAQUADAH
Erano riusciti a costruire una propria flotta per l'attacco ad AURGELMIR ma il tutto era fallito con l'intervento della flotta SUMER .Una guerra durata 30 anni terrestri,alla fine sconfitti dalla federazione dei pianeti di ASGARD.
La, SUMER aveva inseguito una delle navi da guerra dei XHAGUAR,fino ai confini dell'universo conosciuto,i missili fotonici al cobalto avevano fatto il loro dovere.
Ma adesso le riserve di energia erano quasi esaurite,dopo l'inseguimento durato ben 5 anni terrestri.
Tutte le navi da battaglia SUMER, erano alimentate da un motore a fusione atomica che sfrutta gli atomi di idrogeno in grado di canalizzare gli atomi di idrogeno,di accelerarli e di concentrarli fino alla fusione in elio, trasformando la materia in energia sufficiente per i viaggi interstellari.
In quella galassia c'era un unico sole, capace di rifornire di idrogeno i serbatoi della SUMER.
La nave si diresse verso la corona della stella chiamata dagli abitanti del III pianeta :Sole.
La temperatura era inimmaginabile e insopportabile per qualunque cosa si avvicinasse alla Stella,ma non per la SUMER, che grazie al KAPBION, era in grado di rigenerare le sue molecole, e di riempire i serbatoi di idrogeno.
Il comandante guardò incuriosito il 3° pianeta,e pensò cosa potessero pensare gli umani di quell'oggetto così vicino al loro Sole, che di certo stavano osservando con i loro mezzi “primitivi”.
A volte si era chiesto come mai,ancora non c'era stato un contatto ravvicinato definitivo con quel mondo. Da sempre il 3° pianeta aveva suscitato l'interesse dei popoli sparsi negli UNIVERSI,e del resto era così per ogni pianeta che si apprestava a” ricevere la vita”. Molte razze erano scese sul 3° pianeta,e in modo discreto e intelligente erano riusciti a trasmettere le conoscenze perché progredisse per raggiungere quel grado di civiltà e di progresso per farlo entrare di diritto nella confederazione dei Pianeti. Ma l'evoluzione “umana”,si era rivelata sempre difficile,e antiche civiltà terrestri che avevano raggiunto un grado di conoscenza superiore si erano auto distrutte. Ma la razza terrestre umana s'era rivelata,forte e capace di tornare ogni volta a rigenerarsi. Ma era un popolo debole e bellicoso, valoroso e geniale,ma capace appunto di farsi del male solo per manifestare la superiorità l'uno sull'altro,e alcune “razze” aliene s'erano confuse con gli umani terrestri,per provare a cambiare la loro natura. inutilmente
[I “GUARDIANI DELL'UNIVERSO“ che curavano la pace e l'equilibrio dei tempi e delle dimensioni ,erano i diffusori di luce], autorizzarono “GLI ANTICHI” ,dopo una delle terribili guerre che l'umano terrestre aveva attuato,e con l'esplosione Nucleare nell'anno terrestre 1945, decisero che era giunto il momento della “rivelazione”,onde impedire una nuova autodistruzione,decisero contattare direttamente gli umani terrestri,inviando una nave per il contatto nell'anno terrestre indicato come 1947, in una località del paese più potente del 3° pianeta, ma la nave per un errore dei computer, si schiantò a ROSWELL .
E lì, si dimostrò tutta la barbarie degli umani terrestri,che catturando l'equipaggio superstite della navetta di “contatto” venne sottoposto alle più crudeli torture ed esperimenti, e fu così che “GLI ANTICHI” sospesero il programma di contatto diretto riprendendo il contatto fino ad allora intrapreso,con terrestri umani selezionati con alte qualità,aiutati dagli esseri delle stelle che vivevano in mezzo a loro, e che non si erano mai rivelati, terrestri umani, capaci un giorno,di essere i coordinatori per il contatto ufficiale diretto,ma fino alla data terrestre 2012, questo non era avvenuto: L'umano terrestre era ancora un essere incompiuto.
Il comandante GILGAMESH guardò ancora una volta il 3° pianeta,e sperò che un giorno potesse essere lui a stabilire il primo contatto.
LA SUMER portò i motori ricaricati a curvatura 30 e sparì dentro quello che gli umani terrestri chiamavano un “buco nero”, al di là dell'universo conosciuto, nella galassia di ASGARD.
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Riferimenti: MITOLOGIA NORDICA; SERIE :STARGATE SG1; SERIE :STAR TREK; SERIE: GILGAMESH DI ROBIN WOOD E LUCHO OLIVERA (SPERO CHE GRADISCANO).
SUMER È IL NOME DATO DA GILGAMESH AL “NUOVO MONDO”, KAR OBA e i Primordiali e LA PARTE INSERITA TRA LE //..//,è tratta dalla serie “L'UNICA STRADA” LA PARTE TRA […] è TRATTA DALLA SERIE CONCLUSIVA DELLA SAGA GILGAMESH “IL GUARDIANO”.
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E ora, il bellissimo testo di Enrica S.:
Gilgamesh e Enkidu
Nella notte dei tempi, in pieno deserto dell'Arabia, un bambino viene abbandonato sotto un sicomoro dalla propria madre, una schiava fuggiasca che, per salvarlo, si sacrifica facendosi raggiungere ed uccidere dagli inseguitori. Il bambino viene trovato da Ninhursag, la dea madre della Terra, che lo affida a una vecchia e amorevole civetta, a un passero e a un picchio, affinché lo allevino amorevolmente; essi lo chiamano Enkidu. Intanto ad Uruk, grande città sulle coste del Golfo Persico, nasce un bambino figlio della dea Ninsun e del semidio Lugalbanda, che viene chiamato Gilgamesh, che si dimostrerà feroce sia in pace che in guerra.
Un giorno Gilgamesh ed Enkidu, entrambi ragazzi, si incontrano nel deserto e cominciano a giocare alla guerra, diventando inseparabili e promettendosi amicizia eterna; i due passano dei bei momenti insieme, nonostante l'ostilità reciproca tra cittadini e nomadi del deserto. Arrivata l'adolescenza, Gilgamesh viene portato sui Monti Zagros per una battuta di caccia; Enkidu, che non è riuscito a salutarlo, è deciso ad aspettarlo per riprendere la loro amicizia, ma la civetta che lo ha allevato gli spiega che il Principe di Uruk è troppo diverso da lui e che un giorno potrebbero trasformarsi in nemici giurati.
Gilgamesh cresce e diventa un provetto cacciatore ed un guerriero formidabile, e alla fine succede al padre Lugalbanda. Una notte Enkidu decide di andare a trovare Gilgamesh poiché ha sentito la sua mancanza, ma il nuovo re di Uruk, pur essendo felice di rivedere l'amico, non sembra apprezzare molto il suo arrivo e gli dice di andarsene prima che i suoi guerrieri lo sorprendano e lo uccidano. Mentre parlano, i pretoriani del re sumerico fanno irruzione nella sala e danno la caccia ad Enkidu, ma Gilgamesh, ricordandosi della loro antica amicizia e non volendo che rimanga ucciso, lo fa scappare attraverso un passaggio segreto nelle mura megalitiche di Uruk. Enkidu viene ospitato dalla prostituta sacra Shamhat, che lo inizia all'amore; anche nella casa di Shamhat tuttavia fanno irruzione i guerrieri di Uruk, che quasi uccidono la donna, accusata di proteggere un nemico, mentre Enkidu riesce a mettersi fortunosamente in salvo. Gilgamesh, convinto che Enkidu abbia tentato di uccidere Shamhat, delle cui grazie lui pure ha goduto, giura vendetta contro l'uomo del deserto, spezzando la loro amicizia. Le truppe di Uruk danno la danno la caccia ad Enkidu; capendo che non è più sicuro per lui restare lì, la vecchia civetta gli consiglia a malincuore di nascondersi in una foresta di cedri sulle montagne della Siria, protetta dal demone Humbaba e quindi impenetrabile per gli sgherri di Gilgamesh.
Gilgamesh, il leggendario re di Uruk
Gilgamesh, ancora desideroso di vendicare Shamhat, dopo aver ricevuto una serie di sogni premonitori e dopo aver consultato l'oracolo del dio Shamash (il Sole), entra nella foresta trasgredendo le leggi, elude la sorveglianza del suo custode Humbaba e posa delle trappole vicino al fiume Oronte, convinto che Enkidu si rechi lì per cercare l'acqua. Enkidu però riesce ad evitare le trappole e si scontra furiosamente con Gilgamesh, quindi si rifugia in una grande caverna sotto il Monte Carmelo, la stessa dove millenni dopo abiterà il profeta Elia. Gilgamesh vi penetra con le sue truppe ed Enkidu tenta di uscire da un'uscita secondaria, ma i guerrieri di Uruk danno fuoco agli arbusti circostanti. Enkidu riesce a uscirne illeso e a scappare, inseguito da Gilgamesh; proprio mentre questi crede di averlo in pugno,si imbatte nel tremendo mostro Humbaba che cerca di uccidere il re di Uruk. Questi indietreggia terrorizzato e finisce in una tagliola che lui stesso aveva piazzato per catturare Enkidu, ed è alla mercè di Humbaba.
A questo punto però Gilgamesh ed Enkidu mettono da parte le loro divergenze, attaccano insieme Humbaba, durante il combattimento si salvano reciprocamente la vita e riescono a far affondare Humbaba nelle gelide acque di una cascata. Enkidu viene ferito gravemente dagli artigli del mostro, ma nonostante ciò si salva e raggiunge stremato la riva. Nel frattempo arrivano i guerrieri di Uruk, ancora con l'intenzione di eliminare l'uomo del deserto. Gilgamesh, commosso dal gesto dell'amico contro il mostro, si frappone tra Enkidu e le lance dei suoi sgherri, salvandolo. I due amici si sono riuniti ma sono entrambi giunti a una dolorosa presa di coscienza. Hanno infatti capito che appartengono a due mondi diversi, ma niente potrà mai separare i loro cuori. Si guardano sorridendo e si allontanano per non vedersi mai più,sapendo che ognuno dovrà fare la sua vita: Enkidu vivrà nel deserto, dove viene raggiunto da Shamhat, mentre il destino di Gilgamesh sarà quello di regnare su Uruk e di farne la città più potente di tutta la terra dei Sumeri.
In seguito Gilgamesh ucciderà anche il Toro Celeste, inviatogli contro dalla dea Ishtar che l'eroe ha rifiutato di sposare, e gli déi decideranno di punire la condotta sacrilega del re di Uruk causando la morte del suo amico Enkidu. Proprio per non condividere la sorte mortale dell'eroe del deserto, Gilgamesh si metterà in viaggio fino ai confini del mondo per incontrare il suo avo Utnapishtim, l'unico uomo sopravvissuto al diluvio universale, e per questo premiato con l'immortalità. Ma questo costituisce l'argomento di un altro poema epico!
Enrica S.
P.S. ogni riferimento al cartone animato Disney "Red e Toby Nemiciamici" è puramente voluto :)
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E ora, il contributo di feder:
Inanna ed Ereshkigal
"Pronunciò contro di lei la parola dell'Ira. Emise contro lei il grido di chi accusa." (Anonimo, La discesa di Inanna negli Inferi)
Ereshkigal (lett. Regina
della Grande Terra) era la dea di Kur (lett. Sottomondo), la terra dei morti,
sposa di Nergal, dio della guerra e della pestilenza. A causa dei comuni ruoli,
alcuni hanno proposto un paragone con la greca Persefone, ma in questo assunto,
fra le altre cose, dimostrerò la falsità di questa affermazione.
In primo luogo, Ereshkigal ha anche una sorella: Inanna. Dea dell'amore, della
fecondità e della bellezza, Inanna è regina dei cieli. Sovraitende al grano,
all'amore, al sesso; significa cioè che regola la vita. La mitologia la descrive
anche come guaritrice, donatrice di sangue e compositrice di canzoni e poesie.
Diametralmente opposta, siede Ereshkigal. È una dea stuprata e abusata dal
marito, eppure fedele nel seguirlo nel Kur; è vecchia, mostruosa, ripugnante,
odiata e temuta dai mortali, che tentano costantemente di fuggire la propria
fine.
Ma nessuna delle due sorelle può vivere da sola. Entrambe si rincorrono e si completano, nel circolo dei giorni. Se Inanna dà la vita, Ereshkigal dà la morte. La faccia illuminata e la faccia buia della Luna, che è in sé l'origine del mito dell'unica Grande Madre, prima dea dell'umanità e tipica di tutte le culture. I suoi aspetti, derivati direttamente dall'osservazione delle caratteristiche naturali della donna (bellezza, dispensatrice di vita, sesso) sono stati conosciuti da tutti gli antichi popoli sotto vari nomi: Afrodite, Astarte, Ishtar, Ecate, Demetra-Cerere, Persefone-Proserpina, Artemide-Diana-Cibele.
Inanna è ben vestita, bellissima, irraggiungibile ed eterea; la stessa iconografia della Madonna cristiana. Ereshkigal è rappresentata nuda, dai capelli neri e dagli occhi di pietra, in eterna attesa del tuo arrivo; quasi un Lucifero al femminile. Forse del mito della Grande Madre, è rimasto fino ad oggi nei recessi del cristianesimo. Impresse per sempre nella mente dei presenti rimasero le parole di papa Giovanni Paolo I: «Il popolo ebraico ha passato un tempo momenti difficili e si è rivolto al Signore lamentandosi dicendo: «Ci hai abbandonati, ci hai dimenticati!». «No! - ha risposto per mezzo di Isaia Profeta - può forse una mamma abbandonare il proprio bambino? Ma anche se succedesse, mai Dio dimenticherà il suo popolo (cfr. Is. 49,15).»
In un mito famoso, La discesa di Inanna agli inferi, possiamo cogliere altri interessanti dettagli sul carattere di Ereshkigal. Inanna Potnia decide di scendere negli inferi per partecipare al dolore della sorella per la morte del marito; si aspetta gratitudine ed onore per il suo gesto. Ereshkigal invece, arrabbiata, in stato di grande sofferenza per la perdita subita, la fa spogliare completamente, la umilia e quindi la appende ad un gancio piantato alla parete lasciandola lì, affinché muoia lentamente per dissanguamento. Non è importante quale delle due avesse ragione; ma avete provato a chiedervi cosa succederebbe qualora, ponendo entrambe le dee parte di un unicum, provassimo a chiamare quell'unicum mente? O psiche, anima, intimo, comunque lo si voglia appellare. Inanna è il nostro lato razionale, gentile, altruista, buono; il logos che semina il grano e ne fa pane, erige le città e vi pone il proprio trono, stabilisce le leggi, e, soprattutto, reprime i crimini. Ereshkigal, invece, rappresenta il nostro subconscio, rabbioso, martoriato, sempre tenuto a bada da un lato dominante che teme di sprofondare nella sfrenatezza.
Apollo e Dioniso, ordine e caos; i Sumeri hanno anticipato Nietzsche di millenni. Questo filosofo incarna nelle due divinità greche, antenati di Inanna ed Ereshkigal, quegli spiriti che egli ritiene fondino l'umanità stessa: lo spirito apollineo e lo spirito dionisiaco. Lo spirito apollineo (Inanna) è quel tentativo di cogliere la realtà tramite costruzioni mentali ordinate, negando il caos che è proprio della realtà e non considerando l'essenziale dinamismo della vita. L'uomo nell'arte e nella vita vive come in un «sogno», di modo che in contrapposizione alla realtà «la vita diviene tollerabile e meritevole di essere vissuta». Ma il dionisiaco non è fatto per restare incatenato. Il dolore derivato dalla prigionia, infatti, si libera nel sogno, dove la ragione non ha nessun potere; ed è proprio qui che ci vengono presentati quei mostri terribili che sempre tentiamo di stornare. Eppure il dionisiaco (Ereshkigal) non è solo male. è anche passione, lascività, frenesia: insomma, tutto ciò che sfugge al controllo della mente. Può darci piacere come infliggerci ferite (peraltro, allo stesso modo dell'apollineo); nessuno dei due è buono o cattivo per definizione.
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La parola passa a Tommaso Mazzoni:
Veglia armata
"La morte è signora e tutti fra i mortali devono inchinarsi ad essa; tutti tranne uno."
L'ora era tarda, nella grande camerata; la nera figura camminava per raggiungere uno dei letti. Lenta ed inesorabile, la figlia del peccato, entrata nel mondo per l'invidia del Diavolo, si avvicinava a colui che era nella sua lista; ma ecco, un'altra figura incappucciata che pregava vicino al letto si volse verso di lei, e la guardò.
"Come è possibile? A nessun umano è dato vedermi se non mentre lo accompagno alla sua ultima destinazione", esclamò sorpresa la tetra mietitrice.
"A nessun mortale tranne a me", rispose l'uomo, e la Morte riconobbe subito la sua voce.
"Enoch, figlio di Iared, cammini ancora su questa terra, dunque: speravo che ad altro mondo e ad altre specie avessi portato la tua spada."
Così sibilò la Morte all'unico nome segnato sulla sua lista che non era mai riuscita a spuntare. Egli abbassò il cappuccio:, aveva candidi, lunghi capelli, un folta barba bianca e occhi verdi come il mare d'inverno; da sotto il mantello estrasse una spada, dalla lama di ferro, che sembrava rifulgere di luce propria; sull'elsa scintillava una gemma bianca a forma di cuore.
"Ho fatto anche questo nella mia lunga vita, da quando il Padre che è nei cieli, ma anche in terra e in ogni luogo, mi sottrasse al tuo abbraccio, e io non fui più... mortale", replicò Enoch, alzandosi in piedi e frapponendosi fra la morte e il suo obiettivo. "Questa Spada ha molti nomi, di questi io ne preferisco uno: Vita Rifulgente!"
Al che la Morte digrignò i denti: "Non devi ricordarmelo! Mai, nemmeno quando il Figlio dell'Uomo risorse dai morti sono io stata umiliata e sconfitta come lo sono stata da te, più volte di quanto io voglia ricordare"
Enoch sorrise. "L'Onnipotente stabilì che dovesse esserci almeno un umano libero dal tuo giogo, per ricordarti che con tutto il tuo potere non sei che una creatura!"
"Così è, invero, pur tuttavia devo chiedertelo: perchè questa donna? Anziana e debole ella è, la sua ora se non oggi prima o poi dovrà giungere."
"Forse," convenne Enoch. "Ma come il comune padre Adamo ti portò in questo mondo e suo figlio Caino ti glorificò, io ho fatto voto di combatterti fino al giorno del giudizio, e il pianto della figlia di questa donna è insopportabile alle orecchie di suo figlio, mio amato allievo, in un altro tempo e in un altro luogo. Egli gridò il mio nome, non per maledirmi come il sangue di Abele maledì Caino, ma per supplicarmi, nel nome del Signore, e io vengo. Vattene Morte, questa donna non sarà tua oggi."
"Non per sempre potrai vegliare una sola donna, figlio di Iared: anche tu sei sempre in cammino per questo vasto creato, raddrizzando torti, ed addestrando eroi", replicò la Morte sorridendo con astuzia.
"No, ma stasera io sono qui, e ancora una volta ti sbarro il passo", le rispose Enoch. "Dunque vattene, Tanathos, se non vuoi affrontarmi."
E la morte ringhiò: "Odiosa progenie di Adamo, sono stanca della tua arroganza: stanotte porrò fine al tuo stato d'eccezione!"
"Un ultima volta te lo dico, Morte: vattene, o affrontami", urlò Enoch alzando la sua formidabile lama.
E allora una falce affilata che sembrava essere fatta di ombre e dolore apparve nelle mani della Morte. E la Morte ed Enoch combatterono ancora, come tante volte avevano fatto; e molte volte la Falce fatale fu vicina a tranciare il filo della vita del figlio di Iared, ma Enoch camminava con Dio quella notte come migliaia di anni prima; e quando la Morte credette di potere calare l'affondo finale, ancora una volta la sua Spada, forgiata col fuoco della Vita stessa, penetrò sotto il mantello della Nera Signora. E per 24 ore la morte non poté camminare sulla terra; e per 24 ore i medici azzardarono difficilissimi interventi che salvarono vite nonostante la scarsa possibilità di successo. E per 24 ore i tiranni della terra furono impotenti visto che a nulla servivano le armi dei loro eserciti; e per 24 ore fu pace sulla terra, e molto fu costruito che non sarebbe stato distrutto, neanche quando la Morte tornò sulla Terra. Ed Enoch riprese il suo vagabondare, e ancora una volta camminò con Dio.
« Enoch camminò con Dio, poi non fu più, perchè Dio lo aveva preso. » (Genesi 5,24)
Il patriarca Enoch, inventore della scrittura, compone il libro che porta il suo nome (immagine creata con Bing)
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La parola passa ad aNoNimo, che ha condiviso con noi questo racconto:
Il sacrificio di Isacco in una leggenda ebraica
Satana diffama Abramo
Benché in casa di Abramo
vigesse così generosa la legge dell’ospitalità, accadde una volta che un pover'uomo,
o meglio un sedicente tale, venne congedato a mani vuote: e fu per questa
ragione che Abramo subì l’ultima prova, e cioè il sacrificio del suo beneamato
Isacco. Accadde il giorno in cui Abramo stava festeggiando la nascita di Isacco
con un sontuoso banchetto cui aveva invitato tutti i notabili del tempo insieme
alle loro mogli. Satana non manca mai di fare la sua comparsa alle feste cui non
partecipa la povera gente, mentre si tiene lontano da quelle in cui sono
invitati anche i meno abbienti: questa volta si presentò al banchetto di Abramo
sotto le spoglie di un mendicante che bussa alla porta per chiedere l’elemosina.
Si era reso conto che Abramo non aveva invitato poveri alla sua tavola, e quindi
aveva deciso che quella casa era il posto giusto per lui.
Abramo stava in quel momento servendo i suoi illustri ospiti, mentre Sara
persuadeva le loro mogli, le matrone, che Isacco era veramente figlio suo, e non
un trovatello. Nessuno badò dunque a quel mendicante, il quale ebbe così modo di
accusare Abramo al cospetto del Signore.
Un giorno i figli del Signore vennero a presentarsi a Lui, e fra loro c’era
anche Satana, il quale, quando Dio gli domandò: “Donde vieni?”, Gli rispose:
“Dal girare per la terra e dal passeggiare per essa” (Gb 1,7). Dio gli chiese
ancora: “Cosa hai da dire a proposito dei figli dell’uomo sulla terra?”, e
Satana rispose: “Ho visto tutti i figli dell’uomo sulla terra servirTi e
ricordarsi di Te nel momento in cui hanno bisogno di qualcosa. Ma non appena Tu
concedi loro ciò che essi Ti chiedono, Ti dimenticano e non sanno più chi Tu
sia. Guarda Abramo, il figlio di Tare: finché non aveva figli, Ti prestava
culto, costruiva altari sui quali Ti porgeva delle offerte, e proclamava
instancabilmente il Tuo nome a tutti i figli dell’uomo! Ora che gli è nato suo
figlio Isacco, Ti ha dimenticato. Ha indetto una grande festa per tutti gli
abitanti del paese, ma il Signore l’ha dimenticato, con tutto quel che ha
preparato, non ha pensato di presentarTi un’offerta, né un olocausto né un
sacrificio di pace, né un agnello né un montone di tutti quelli che ha sgozzato
per festeggiare l’anniversario dello svezzamento di suo figlio. Ma c’è di più:
dal giorno in cui Isacco è nato sino a oggi, che ha trentasette anni, Abramo non
ha costruito un solo altare per Te, non Ti ha più presentato una sola offerta:
visto che gli avevi concesso quello che Ti chiedeva, Ti ha dimenticato”. Allora
il Signore disse a Satana: “Pensi di conoscere il Mio servo Abramo? Sappi che
non vi è nessuno come lui sulla terra, giusto e perfetto davanti a Me nel
sacrificio, che teme Iddio ed evita il male. So per certo che quand’anche gli
dicessi: Prendi Isacco, tuo figlio, e offrilo a Me, non Me lo rifiuterebbe; a
maggior ragione, dunque, se gli chiedo di sacrificarMi in olocausto un capo di
bestiame!”. Satana replicò: “E allora, chiedi ad Abramo proprio quello che hai
detto, e vedremo se non verrà meno alle Tue parole”.
Dio intendeva mettere anche Isacco alla prova. Una volta infatti Ismaele lo
aveva sbeffeggiato, vantandosi: “Avevo già tredici anni quando il Signore ha
detto a mio padre di circonciderci, e non mi sono sottratto al comando a lui
imposto”. Isacco aveva replicato: “Perché ti dài tante arie, ostentando come
atto di obbedienza al Signore la tua rinuncia a un piccolo brandello di carne?
Quanto è vivo il Signore, Iddio di mio padre Abramo, se Egli dovesse chiedergli:
Prendi tuo figlio e offrilo a Me in sacrificio, non opporrei alcuna resistenza,
e accetterei con gioia”.
In cammino verso il Monte Moria
Il Signore decise così di
mettere alla prova Abramo e Isacco. Disse al primo: “Prendi il tuo figlio” (Gn
22,2).
Abramo: “Ho due figli e non so quale di essi Tu mi ordini di prendere”.
Dio: “Il tuo unico”.
Abramo: “Questo è unico per sua madre, e l’altro è unico per sua madre”.
Dio: “Quello che tu ami”.
Abramo: “Li amo entrambi”.
Dio: “Isacco”.
Abramo: “E dove devo andare?”.
Dio: “Verso una terra che ti indicherò, dove offrirai Isacco in olocausto”.
Abramo: “Sono forse un sacerdote? Come potrei compiere un sacrificio? Non
sarebbe meglio lo facesse Sem, il sommo sacerdote?”.
Dio: “Quando sarai giunto a destinazione, ti consacrerò sacerdote”.
Abramo disse in cuor suo: “Come farò a strappare mio figlio Isacco a sua madre
Sara?”. Entrò nella tenda, si sedette di fronte a sua moglie, e le disse: “Mio
figlio Isacco è diventato grande ormai, ma non ha ancora imparato come si presta
culto a Dio. Perciò domani lo voglio portare da Sem e da suo figlio Eber, dove
apprenderà le vie del Signore: gli insegneranno a conoscerLo, e a pregarLo di
modo che possa rispondere, e a servire il suo Dio”. Sara rispose: “Ben detto.
Va’ pure, mio signore, fa’ come desideri. Soltanto, non portarlo troppo lontano
da me, non trattenerlo troppo a lungo, perché è come se io e lui fossimo
un’anima sola”. Abramo disse ancora a Sara: “Figlia mia, preghiamo il Signore
nostro Dio, così che sia benevolo con noi”. Sara prese Isacco, suo figlio, e
restarono insieme per tutta la notte: lei lo baciava e lo abbraciava, e continuò
sino al mattino a ripetergli mille raccomandazioni. Poi disse ad Abramo: “Mio
signore, ti prego, abbi cura di tuo figlio, bada a lui: non ne ho altri, né
maschi né femmine, all’infuori di Isacco. Non trascurarlo. Se ha fame dàgli del
pane, se ha sete dàgli da bere; non farlo camminare, non lasciarlo bruciare
sotto il sole, e che non vada da solo per strada; non negargli ciò che desidera,
accontentalo, ti prego”.
Dopo aver trascorso la notte a singhiozzare per Isacco, Sara si alzò di buon
mattino e scelse una delle vesti più belle e pregiate fra quelle che le aveva
donato Abimelec. Con essa abbigliò suo figlio, poi gli mise in testa un turbante
che aveva impreziosito con una gemma, e lo rifornì di provviste per il viaggio.
Si avviò quindi con loro, li accompagnò fin sulla strada; avrebbe voluto vederli
andar via, ma essi le dissero: “Torna alla tenda”. Udite le parole di suo figlio
Isacco, Sara scoppiò in singhiozzi, e Abramo pianse con lei, e così Isacco, e
con loro i servi che li accompagnavano. Fra le lacrime, Sara strinse suo figlio
in un abbraccio e disse: “Chissà se ti rivedrò ancora”.
Sara e i servi tornarono alla tenda, Abramo e Isacco partirono piangendo. Li
accompagnavano due giovani, Ismaele ed Eliezer, i quali, cammin facendo,
cominciarono a conversare fra loro. Ismaele disse a Eliezer: “Dopo che mio padre
Abramo avrà offerto Isacco in olocausto al Signore, darà a me tutto ciò che
possiede e io sarò suo erede, perché sono il primogenito”. Eliezer replicò:
“Abramo ti ha già cacciato via insieme a tua madre, giurando che non avrai parte
alcuna nella sua eredità. A chi dunque lascerà tutto ciò che possiede, tutti i
suoi beni, se non a quel servo che gli è stato sempre fedele, cioè a me, che
l’ho accudito notte e giorno compiendo ogni suo volere?”. Allora lo spirito
santo rispose: “Né l’uno né l’altro sarà l’erede di Abramo!”.
Lungo la strada, Satana apparve ad Abramo in guisa di un vecchio umile e
dimesso, e gli disse: “Sei forse pazzo, che ti accingi a compiere un simile
gesto su tuo unico figlio? Il Signore ti ha concesso un erede che già eri in
così tarda età, e ora vorresti scannarlo benché non abbia fatto nulla di male?
Vorresti far scomparire dalla faccia della terra l’unico figlio che hai? Come
fai a non capire che una cosa del genere non può venire dal Signore? Iddio non
commetterebbe mai un simile scempio contro un essere umano, non gli direbbe mai:
Va’ a scannare tuo figlio!”. Nell’udire queste parole Abramo intuì che si
trattava di un tentativo di Satana per farlo deviare dalle vie del Signore, e
ordinò aspramente a l vecchio di andarsene. Il tentatore provò allora con
Isacco, cui apparve sotto le sembianze di un giovane uomo cordiale e sorridente
che gli disse: “Non sai che quel citrullo del tuo decrepito padre si appresta
quest’oggi a ucciderti senza motivo? Mio caro, non ascoltarlo: è vecchio e
sciocco, non devi permettergli di privare il mondo del tuo animo gentile e del
tuo bell’aspetto”. Isacco riferì al padre questo discorso, e Abramo gli disse:
“Stai in guardia da costui, non ascoltare quel che ti dice: è Satana che sta
cercando di farci deviare dal comando di nostro Signore”. Scacciato ancora una
volta, Satana si rese conto che con loro non sarebbe mai riuscito ad averla
vinta; decise perciò di trasformarsi in un torrente impetuoso che allagava la
strada. Giunti in quel punto, Abramo, Isacco e i due giovani si trovarono di
fronte un corso d’acqua largo e tumultuoso, e vi si avventurarono nel tentativo
di guadarlo: ma più avanzavano più il torrente si faceva profondo. Quando
l’acqua arrivò loro al collo, furono colti dal panico. Abramo però riconobbe
quel luogo, e si ricordò che prima non c’era mai stato alcun corso d’acqua;
disse dunque a Isacco: “Conosco il posto, non c’è mai stato alcun torrente. Sono
sicuro che è stata opera di Satana, intenzionato a distoglierci dai comandi di
Dio”. Abramo richiamò dunque il tentatore, e lo ammonì: “Il Signore ti biasima,
Satana. Vattene via, tienti lontano da noi che ci accingiamo a compiere la
volontà divina”. Spaventato dalla voce di Abramo, Satana scomparve e il luogo
tornò asciutto come prima. Abramo e Isacco si diressero così verso il luogo che
Dio aveva indicato.
Satana allora, si travestì da uomo anziano, andò da Sara e la apostrofò: “Dov’è
andato tuo marito?”. “A fare il suo lavoro” rispose la donna. “E tuo figlio
Isacco?” insistette il vecchio. “Ha accompagnato suo padre in un posto dove si
studia la Torah”. A questo punto Satana esclamò: “Povera donna che non sei
altro! Ti si allegherebbero i denti per l’orrore, se sapessi che Abramo sta
portando suo figlio al sacrificio!”. Nell’udire queste parole Sara ebbe un
sussulto e cominciò a tremare in tutto il corpo. Non era più di questo mondo.
Tuttavia, fattasi forza, riuscì a dire: “Per la vita e per la pace, faccia
Abramo tutto ciò che il Signore gli ha prescritto”.
Dopo tre giorni di viaggio “Abramo alzò gli occhi e vide da lontano quel luogo”
(Gn 22,4). In cima al monte notò una colonna di fuoco che si levava fino al
cielo, e un denso nembo nel quale si scorgeva la gloria di Dio. Disse allora a
Isacco: “Figlio mio, vedi anche tu ciò che vedo io, lassù su quel monte?”.
Isacco rispose: “Io vedo una colonna di fuoco, e vedo una nuvola, e sulla nuvola
appare la gloria del Signore”. Con ciò, Abramo seppe che Isacco era accetto
quale offerta al cospetto di Dio. Chiese poi a Ismaele e Eliezer: “Vedete anche
voi quello che vediamo noi in cima al monte?”: entrambi risposero: “Non vediamo
nulla di diverso che sulle altre vette”, dal che Abramo seppe che non erano
accetti al cospetto di Dio e che non dovevano perciò salire insieme a loro.
Ordinò dunque: “Rimanete qui con l’asino” (Gn 22,5), voi che siete come lui,
così corti di vista. Io e mio figlio Isacco andremo fin lassù, adoreremo il
Signore e questa sera stessa torneremo da voi”. Era stata, questa, una profezia
inconsapevole, poiché Abramo aveva preannunciato che entrambi sarebbero
ridiscesi dal monte. Eliezer e Ismaele restarono dove Abramo aveva ordinato,
mentre padre e figlio si avviarono.
Il Legamento di Isacco
Mentre erano in cammino,
Isacco domandò a suo padre: “Ecco, vedo il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello
da offrire in olocausto al Signore?”. E Abramo rispose a suo figlio: “Iddio ha
scelto te, figlio mio, per olocausto, invece dell’agnello”. Isacco allora
concluse: “Farò tutto ciò che dice il Signore, con gioia e serenità d’animo”. Ma
Abramo continuò: “Covi forse in cuore un qualche turbamento per tutto questo?
Dillo, figlio mio, ti prego! Non celarmi nulla!”. Isacco rispose: “Per quanto è
vivo il Signore, e per quanto è viva l’anima tua, giuro che nulla dentro di me
mi induce a deviare a destra o a sinistra da quanto Egli ti ha ordinato. Non un
fremito ha scosso le mie membra, nessun pensiero malvagio mi ha sfiorato. Vado
incontro a quel che mi aspetta lieto e sereno, e dico: Benedetto sia il Signore
che quest’oggi ha scelto me come Suo olocausto”.
Rallegrato dalle parole del figlio, Abramo lo condusse fino al luogo di cui il
Signore aveva parlato. Raggiunta la sommità, il padre si accinse a erigere
l’altare per il sacrificio, mentre Isacco lo aiutava porgendogli pietre e malta.
Terminato il lavoro, Abramo prese la legna e la sistemò sull’altare, poi, prima
di adagiare il figlio sulla pira e scannarlo quale olocausto al Signore, lo
legò. Gli disse allora Isacco: “Padre, presto, snuda la tua arma e legami ben
stretto, mani e piedi: io sono un uomo giovane, ho appena trentasette anni,
mentre tu sei vecchio. Non vorrei, nel vedere il coltello nella tua mano, esser
colto dal panico e respingerti, spinto da quella forza indomabile che è
l’istinto di sopravvivenza. Così facendo potrei anche procurarmi una ferita, una
lesione che mi renderebbe inidoneo al sacrificio. Ti prego, padre mio,
affrettati a compiere il volere del Signore, non indugiare. Rimboccati la veste,
cingiti i lombi, e dopo avermi scannato bruciami finché non sarò polvere; poi
prendi le mie ceneri, portale a mia madre Sara e lasciale da lei, dentro
un’urna: ogni volta che entrerà nella sua stanza, si ricorderà di suo figlio
Isacco, e piangerà”.
Isacco aggiunse: “Dopo che mi avrai sgozzato e ti sarai separato da me, dovrai
andare da Sara, mia madre, che ti chiederà: Dov’è mio figlio Isacco? Allora,
cosa le dirai? Cosa ne sarà di voi, che siete così vecchi?”. E suo padre gli
rispose: “Sappiamo bene che, dopo la tua dipartita, brevi saranno i nostri
giorni, Colui che ci è stato di conforto prima che tu nascessi, ci consolerà
anche d’ora in poi”.
Dopo aver disposto la legna e legato Isacco sull’altare, sopra la pira, Abramo
gli assicurò le braccia, si rimboccò la veste e premette forte su di lui con le
ginocchia. Iddio, seduto su Suo trono eccelso, vide come i loro due cuori
diventavano uno solo, vide le lacrime di Abramo che cadevano su Isacco, e quelle
di Isacco che cadevano sull’altare, inondato del pianto di entrambi. E nel
momento in cui Abramo stese la mano e prese il coltello per sgozzare suo figlio,
Dio disse agli angeli: “Avete visto come il mio amato Abramo proclama nel mondo
l’unicità del Mio Nome? Se al momento della creazione, quando diceste: “Che è
l’uomo da ricordarTi di lui, il figlio dell’uomo ché Tu ne debba aver cura” (Sal
8,5), vi avessi prestato ascolto, chi Mi avrebbe più celebrato nel mondo?”. Gli
angeli scoppiarono allora in un pianto accorato, esclamando: “’Sono deserte le
strade, non c’è chi cammini per via, egli ha violato il patto’ (Is 33,8). Dov’è
dunque la ricompensa di Abramo, lui che ha accolto tutti i viandanti nella sua
casa, che ha dato loro da bere e da mangiare, che li ha accompagnati sin sulla
strada? È dunque violato quel patto con cui Tu dicesti: ‘È da Isacco che uscirà
la progenie che porterà il tuo nome’ (Gen 21,12), e ancora: ‘Ma il mio patto lo
stabilirò con Isacco’ (Gen 17,21)? E ora guarda: il coltello incombe sulla sua
gola!”.
Le lacrime degli angeli andarono a posarsi sul coltello, smussandone la lama, ma
in quel momento il terrore si impadronì d’Isacco, ed egli esalò l’anima. Allora
Dio disse all’arcangelo Michele: “Cosa resti a fare qui? Non permettere che sia
ucciso!”. Senza un attimo di indugio, Michele gridò ad Abramo: “Abramo! Abramo!
Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male!” (Gen 22,11-12).
Il patriarca rispose: “È stato il Signore a ordinarmi di sgozzare Isacco: e tu
ora vieni a dirmi di non farlo?! Fra le parole del maestro e quelle
dell’allievo, quali bisogna ascoltare?”. Poi Abramo udì ancora: “Io giuro per me
stesso, oracolo del Signore, poiché tu hai fatto questo, e non hai rifiutato il
tuo figlio, il tuo unico, io ti colmerò di benedizioni, moltiplicherò la tua
discendenza come le stelle del cielo e come la rena che è sulla spiaggia del
mare e la tua discendenza possederà la porta dei suoi nemici e nella tua
discendenza saranno benedette tutte le nazioni della terra, in premio dell’aver
obbedito alla mia voce” (Gen 22,16-18).
Finalmente Abramo lasciò Isacco, reso alla vita dalla voce celeste che aveva
fermato il gesto di suo padre. Slegato che fu, Isacco si alzò in piedi e recitò
questa benedizione: “Benedetto sii Tu, Signore nostro Dio che fai resuscitare i
morti”.
Allora Abramo disse a Dio: “Ma come posso andarmene di qui senza offrire un
sacrificio?”. Dio rispose: “Alza gli occhi, voltati, e vedrai la vittima dietro
di te”. Abramo ubbidì e, impigliato fra i rovi, scorse quel capro che Dio aveva
creato all’approssimarsi del primo sabato del mondo, destinandolo sin da allora
a servire da olocausto in luogo di Isacco. L’animale stava correndo incontro ad
Abramo, quando Satana l’aveva agguantato intrappolandolo con le corna fra le
spine, così che non raggiungesse il patriarca. Abramo lo liberò dal cespuglio e
lo portò sull’altare, immolandolo al posto di Isacco. Ne spruzzò poi il sangue
sulla mensa e proclamò: “Signore, la vittima che Ti presento tiene luogo di mio
figlio: valga per Te questo sangue come se fosse il suo”. E il patriarca
continuò ad accompagnare ogni gesto che compiva all’altare con queste parole: “È
in luogo di mio figlio, Signore. Ti valga come se fosse lui”. Dio accettò il
sacrificio del capro, come se fosse stato Isacco a salire sull’altare.
Non meno straordinario della creazione di questo animale fu l’uso cui venne
destinata la sua carcassa. Nulla infatti andò sprecato: le ceneri delle parti
arse in olocausto formarono le fondamenta dell’altare del Tempio, dove ogni
anno, nel giorno del Digiuno di Espiazione, si celebrava con un sacrificio la
ricorrenza del legamento di Isacco; i nervi divennero le corde dell’arpa di
Davide, la pelle servì a Elia da cintura, mentre dei due corni uno annunciò
l’avvenuta rivelazione al monte Sinai, e l’altro proclamerà invece la fine
dell’Esilio: “ Si darà fiato alla grande tromba e verranno gli sperduti nel
paese dell’Assiria e i dispersi nella terra d’Egitto: ed essi adoreranno il
Signore sul monte santo in Gerusalemme” (Is 27,13).
Quando Dio ordinò ad Abramo di desistere dal sacrificare suo figlio, questi
esclamò: “Un uomo può metterne un altro alla prova, perché non conosce quello
che ha nel cuore. Ma Tu per certo sapevi che ero pronto a sacrificare Isacco!”.
Dio: “Mi era noto e manifesto che non Mi avresti negato neppure la tua anima”.
Abramo: “E allora, perché mi hai torturato in questo modo?”.
Dio: “Era Mio desiderio che il mondo ti conoscesse e si convincesse che non
senza ragione avevo scelto te fra tutte le nazioni: ora il genere umano è
testimone che tu temi Iddio”.
Poi il Signore aprì i cieli, e Abramo udì queste parole: “Io giuro per me
stesso!” (Gen 22,16).
Abramo: “Se giuri Tu, giuro anch’io, ma non lascerò questo luogo prima di aver
detto quel che ho da dire”.
Dio: “Parla!”.
Abramo: “Non mi avevi forse promesso che dai miei lombi sarebbe uscito un figlio
la cui stirpe avrebbe riempito il mondo intero?”.
Dio: “Sì”.
Abramo: “Che intendevi?”.
Dio: “Isacco”.
Abramo: “Non mi avevi forse promesso di rendere la mia progenie numerosa come la
sabbia sulla riva del mare?”.
Dio: “Sì”.
Abramo: “Tramite quale dei miei figli?”.
Dio: “Tramite Isacco”.
Abramo: “Dunque, avrei potuto rimproverarTi, dire: Sovrano del mondo, un giorno
mi dici che la mia stirpe porterà il nome di Isacco, e un altro invece: Prendi
tuo figlio, il tuo unico, Isacco, e offrilo in olocausto. Ma mi sono trattenuto,
sono rimasto zitto. Perciò, quando i discendenti di Isacco commetteranno dei
peccati che saranno per loro fonte di disgrazie, Tu potresti ricordarti del loro
padre, perdonare la trasgressione e affrancarli dal dolore”.
Dio: “Hai detto quel che avevi da dire, e ora tocca a Me. Quando, nel tempo a
venire, i tuoi figli peccheranno al Mio cospetto, Io li giudicherò nel giorno
del Capodanno. Se vorranno il mio perdono, in quel giorno suoneranno il corno di
montone e Io, memore dell’animale che ha sostituito Isacco nel sacrificio,
perdonerò i loro peccati”.
Il Signore rivelò inoltre ad Abramo che il Tempio, costruito in seguito nel
luogo del sacrificio di Isacco, sarebbe andato distrutto, e così come il capro
sacrificato al posto di Isacco si districava da un arbusto solo per finire
impigliato in un altro, allo stesso modo i discendenti di quest’ultimo sarebbero
passati da regno a regno: affrancati da Babilonia sarebbero diventati succubi
della Media, liberati dalla Media sarebbero stati ridotti in servitù dai Greci,
svincolati dai Greci avrebbero conosciuto il giogo di Roma. Tuttavia il suono
del corno di montone avrebbe un giorno annunciato la redenzione finale,
allorquando “il Signore Iddio suonerà la tromba, s’avanzerà con gli uragani del
meridione” (Zc 9,14).
L’altare di Abramo era sorto esattamente là dove Adamo aveva presentato il suo
primo sacrificio, e Caino e Abele avevano offerto a Dio i loro doni – e nello
stesso posto aveva eretto un altare anche Noè, una volta uscito dall’Arca.
Consapevole che un giorno vi sarebbe sorto il Tempio, Abramo chiamò quel luogo
Ir’eh, poiché esso era destinato quale sede perpetua del timore di Dio, del Suo
culto. Ma dato che già Sem gli aveva dato un nome, e cioè Salem, “luogo della
pace”, il Signore, non volendo urtare né l’uno né l’altro, unì i due
appellativi; e fu così che la città si chiamò Iršalem, Gerusalemme.
Dopo che tutto fu compiuto, Abramo se ne tornò a Bersabea, il luogo che gli
aveva dato tante gioie. Isacco fu portato dagli angeli in paradiso, dove rimase
per tre anni. Dunque Abramo tornò a casa solo, e Sara, quando lo scorse,
esclamò: “Allora Satana non mi aveva mentito dicendo che Isacco era stato
sacrificato!”, e tanto si disperò che l’anima abbandonò il suo corpo.
(tratto da Louis Ginzberg, Le Leggende degli Ebrei, vol. II, Da Abramo a Giacobbe, Adelphi, Milano 1997, a cura di Elena Loewenthal, pagg. 91-103)
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Ed ecco, in proposito, la magnifica poesia dell'amico feder:
Il lamento di Abramo
Argentava l'arca Luna nel
firmamento
la notte che da basso le stelle belle
sentiron di basso alzarsi un lamento:
"Soffro, o Sommo, di tutto il
vivente sovrano!
Da che dalla terra dei due fiumi mi chiamasti
soffr'io, fra gli uomini potente, piccolo Abramo.
«Va' via, dal tuo fecondo e
ricco Paese,
va' via, emigrante, come la rondine giovane
che senza traccia il Tuo calore insegue;
Va' via, dalla tua famiglia e
dai padri,
va' via, fuggente, senza dirne ad alcuno
come nella notte fanno gli odiosi ladri;
Va' via, fra gli uomini
potente, piccolo Abramo;
giacché io pianterò con te una grande nazione,
che ombrerà ogni tuo uomo con un solo ramo;
e di tale frescura che
l'anima ristora godrà
non solo tu o i tuoi amati figli, ma Io-sono
in lungo e in largo nei secoli dei secoli darà.»
Così dicesti, e non
scacciasti l'inverno
con l'alito potente che Abramo consulta ora;
infatti non ho figli, e a Te intono un lamento.
Non capisco, o Re dei cuori
umani,
non capisco, o Signore dell'universo,
non capisco, o Conoscenza dei savi,
non capisco, o Dio troppo introverso,
se davvero quel dì Tu forte mi amavi
oppure parlandomi mi hai disperso."
Nota dell'autore: Mi piace molto la storia di Abramo, penso sia tra le mie preferite fra quelle tramandateci dalla Bibbia. E mi pare che nel fondo di ogni anima umana abbia fissa dimora il dubbio. Allora, se anche il patriarca delle tre fedi può dimostrarsi incerto di fronte al mistero di Dio, i comuni passi falsi delle persone di ogni giorno sembrano meno gravi...
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Silvia Gambino ha voluto aggiungere:
Si legge in un commentario di Rashi che Dio avrebbe detto a Sara e Abramo, perennemente in viaggio: "Di solito, i viaggi indeboliscono tre cose: la fertilità, la reputazione e la condizione economica. Io vi prometto dunque proprio queste benedizioni". Sara è la prima matriarca. Una delle quattro donne più belle del mondo insieme a Rahab, Abigail e Ester. Pare che Agar, la sua schiava egiziana – che darà alla luce il primogenito di Abramo, Ismaele – altri non sia che la figlia del Faraone, che costui le “offre” dicendole "Preferisco saperla schiava a casa tua che padrona altrove". In un solo passaggio Sara è chiamata anche Yiskah, da una radice aramaica che significa "vedere" e che allude alle sue doti profetiche; e pare che sia proprio qui che Shakespeare abbia trovato l’ispirazione per “inventare” il nome Jessica, la figlia di Shylock ne Il mercante di Venezia!
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Per chiudere, una straordinaria curiosità tratta da questo sito:
Google Bible
Dopo più di tre mesi di accurate ricerche su Google Earth, l'artista australiano James Dive ha ricreato tre scene chiave della Bibbia: il Giardino dell'Eden la crocifissione di Gesù e la separazione del Mar Rosso come sarebbero stati visti dallo spazio. La ha chiamata la "God's eye view", che combina con un computer i modelli 3D di elementi iconici del testo religioso. Ecco il Giardino dell'Eden come lo avrebbe visto un eventuale satellite artificiale: riuscite a riconoscere i progenitori Adamo ed Eva, prima di essere banditi per aver mangiato del frutto dell'albero della conoscenza?
È divertente notare che l'Eden è ripreso dal Belgio! James Dive, che è un membro del collettivo artistico di Sydney "The Glue Society", ha dichiarato: « Ci piace disorientare un po' il pubblico con il nostro lavoro. E ora la tecnologia ci permette di ricreare eventi del passato che non può aver visualizzato e farli apparire drammaticamente reale. Come metodo di rappresentazione la fotografia da satellite è incredibilmente attendibile! Fortunatamente per me Google Earth è stato un grande strumento di ricerca. Ho solo dovuto trovare una collina per Gesù, un giardino per l'Eden e la cima di una montagna rocciosa circondata dalle acque per l'arca. » Ecco infatti l'Arca di Noè poggiata sulla cima del Monte Ararat mentre le acque si ritirano dopo che Dio ha punito la malvagità dell'uomo:
Un'altra immagine mostra Mosè che divide il Mar Rosso per gli Israeliti in modo che lo attraversino e sfuggano all'inseguimento dell'esercito egiziano:
Essa utilizza parti delle cascate del Niagara, un deserto e il Mar Rosso. Ciascuna illustrazione infatti contiene una combinazione di foto satellitari fuse insieme. L'immagine finale vede Gesù crocifisso tra due ladroni condannati con Lui, delle croci sono visibili le lunghe ombre:
James Dive ha aggiunto: « Ho dovuto imparare le regole di questo tipo di foto. Per esempio come le ombre rivelano altezza, come le immagini sono distorte da lontano e come i colori variano tra stagioni e altezze. Usando carta e penna ho disegnato gli elementi che volevo includere, come Gesù sulla croce e l'arca, e ho contattato uno studio di grafica 3D per ricreare i miei disegni. Ho poi trascorso quattro settimane a lavorare con i designer, combinando i fondali con gli elementi 3D. La reazione è stata entusiastica. Le immagini sono state esposte a Chicago e sono stati considerati dalla critica come il punto culminante della mostra. Io punto a creare altre immagini utilizzando la tecnologia, ma questa volta in relazione ad eventi mitologici e grandi eventi storici. »
Incredibile, non è vero?
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