POD: Napoleone non fugge dall'Elba.
Conseguenze: la restaurazione è meno spiccatamente reazionaria. Meno paura di un ritorno in armi della Francia.
1815: Congresso di Vienna: Vengono ripristinati gli antichi confini. Per quanto riguarda l'Italia si sceglie di dar maggiore solidità territoriale alla repubblica di Genova, restituendole la Corsica. In cambio, la Francia mantiene il possesso sulla Savoia. Le insistenze inglesi e prussiane costringono Metternich a ridare alla repubblica di Venezia l'indipendenza, secondo i confini del 1797. L'anno successivo l'Inghilterra le restituisce il governo delle isole Ionie (Corfù, Leucade-Santa Maura, Zacinto, Itaca, Cefalonia).
In cambio della riconosciuta sovranità, lo stato veneto dovrà mantenere a Crema, Peschiera, Chioggia e Rovigno guarnigioni permanenti austriache.
Radicale ripensamento del governo della Serenissima. Nei limiti imposti dagli austriaci, la repubblica riforma la composizione del maggior consiglio, allargandolo finalmente ad una lista di personalità di tutto il territorio della repubblica e non solo della laguna. In realtà la riforma lascia ancora insoddisfatti molti repubblicani, che desidererebbero adottare il modello americano. In politica estera l'atteggiamento della rinata repubblica è (non può essere altrimenti) marcatamente filo austriaco. Per timore però che l'isolamento diplomatico la renda appetibile per nuove conquiste delle grandi potenze, nello stato veneto si cerca sempre più l'appoggio inglese, che si concretizza nell'afflusso di capitali per una prima modernizzazione delle campagne ed un abbozzo di industrializzazione.
1821: Scoppiano i primi moti in Italia. Le autorità venete riescono ad agire per la loro soppressione prima delle guarnigioni austriache. In questo modo ottengono il permesso dell'imperatore di ampliare l'esercito, per adeguarlo allo scopo di “protettori della restaurazione” nella penisola. Il papa, spaventato, è tentato di concedere maggiori autonomie a Bologna ed alle legazioni. Per rassicurarlo (anche in segno di ricompensa per il lavoro svolto dalla Serenissima) gli austriaci spostano la loro guarnigione di Chioggia a Bologna.
1822: Guerra di indipendenza greca. Il governo veneto, ottenuto peraltro di recente il permesso austriaco per la costruzione di una flotta militare, è tentato dal dare appoggio alla causa degli insorti. La cattiva accoglienza di queste idee a Londra forza la Serenissima a mantenersi neutrale. Tuttavia le Ionie diventano rifugio per molti patrioti greci. Vengono nascostamente inviati agli insorti viveri, munizioni ed addestratori militari, nella segreta e malcelata speranza che qualora gli ellenici avessero avuto la meglio, anche Venezia avrebbe potuto godere di qualche vantaggio.
1830: Nuovi moti in Emilia. Ancora una volta, i veneti accorrono per sopprimere la rivolta. Sul fronte interno i “Conservatori” vengono sconfitti nelle elezioni per il rinnovo del maggior consiglio (una novità introdotta nella riforma del 1816. Si vota a suffragio ristretto secondo una lista elettorale fissa, comprendente le grandi famiglie dello stato), anche se di misura. In virtù di questo il Doge viene spinto a cercare un accordo di intesa per il coordinamento delle operazioni di polizia con la repubblica ligure, i ducati emiliani ed il governatore austriaco di Milano. I due stati “liberali” della penisola, il regno di Sardegna e il granducato di Toscana, siglano un accordo difensivo. Ovviamente i due firmatari hanno fini molto diversi. Infatti l'idea sabauda è di creare un asse liberale contro gli stati “reazionari”. Per gli Asburgo-Lorena, invece, si tratta di una semplice offesa nell'orgoglio: non tollerano infatti che il ruolo di “tutori” dell'ordine sia dei Veneziani. Toccherebbe semmai a loro questo compito, imparentati come sono con la dinastia imperiale di Vienna. D'altro canto, proprio quest'ultima si dimostra seriamente preoccupata dal fatto che la repubblica protetta si mostri così attiva in ambito diplomatico. In particolare, offende il fatto che l'accordo difensivo sia stato domandato direttamente al governatore di Milano e non, da subito, a Sua Maestà Imperiale.
Del resto, anche l'avvicinamento di Venezia (e Genova) alla Gran Bretagna non allieta certo gli animi austriaci.
1833: Nasce la questione milanese: i liberali milanesi infatti desiderano, appunto, “liberarsi” dal gioco austriaco (in realtà non vissuto poi così male dalla popolazione). I sabaudi cominciano ad organizzare una massiccia campagna propagandistica per attirare il favore degli intellettuali lombardi. La Serenissima, dal canto suo, non sta a guardare e fa breccia presso le correnti liberali moderate. Patto dei cinque: I veneziani propongono una lega doganale con Genova, Ducati Emiliani e Toscana. I Sabaudi ed il Pontefice, cui era ugualmente esteso l'invito, rifiutano.
1834: Accordi segreti di Umago. I servizi segreti veneziani, ottengono dagli inglesi la promessa di una risistemazione dei confini italiani, per eliminare i cosiddetti “punti caldi”. I piemontesi premono allo stesso modo sui francesi per i medesimi obiettivi. Nel frattempo i Veneti, con l'aiuto inglese, riformano esercito e marina. In breve, la flotta da guerra veneta supera persino quella borbonica in termini di unità e tonnellaggio. Sono costretti però dagli inglesi a non utilizzarla ai danni dell'impero turco (a questo periodo, proprio per convincere la Serenissima a fare l'opposto, risalgono le prime ambasciate dello zar a Venezia).
1835: Accordi di Lubiana: inglesi e francesi chiedono agli austriaci di attuare una politica meno aggressiva in Italia implicitamente minacciando in caso contrario di ridiscutere i confini del ducato di Milano. L'Austria coglie il messaggio e adotta toni di più concilianti con la Serenissima. In segno di buona volontà dimezza il contingente imperiale nei territori della repubblica. Scoppiano nuovamente moti nei ducati padani e nelle legazioni pontificie, stroncati da veneziani, toscani e austriaci congiuntamente. Si comincia da parte di Torino, Firenze e Venezia, una campagna denigratoria contro il pontefice, il duca di Parma, e quello di Modena, incapaci di gestire il loro proprio territorio. I sabaudi cercano di trovare un alleato in Italia, prima presso Genova, poi presso i Borboni. In entrambi i casi si risolve in un fallimento. Boom delle aziende agricole del Piemonte orientale.
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La svolta della metà del secolo
1848: Dopo un decennio di relativa tranquillità (in cui comunque le diplomazie dei diversi stati lavorano alacremente per risolvere a proprio vantaggio la questione padana), scoppia la primavera dei popoli. Anche in Italia scoppiano tumulti costituzionalisti. I liberali veneti riescono finalmente a modificare l'ordinamento dello stato. Viene promulgata una costituzione sul modello americano, scindendo il maggior consiglio dal senato; il consiglio dei X diviene a tutti gli effetti l'esecutivo. In Piemonte viene promulgato lo Statuto Albertino. Sollevazione a Milano in chiave anti austriaca e moti in Emilia Romagna e Marche. Genova modifica il proprio ordinamento consentendo anche ai nobili corsi di prendere parte al governo della repubblica. Carlo Alberto invia truppe in territorio asburgico, ma viene sconfitto dall'esercito imperiale con reparti della Serenissima (che aveva già stanziato truppe sull'Adda in caso di guai). A questo punto, di fronte al minaccioso ultimatum imperiale Carlo Alberto è costretto a prendere la via dell'esilio. Lo statuto Albertino non viene però annullato. Genova, ducati padani, Venezia e Granducato siglano un ulteriore accordo di intesa per la formazione di una “alleanza perpetua”. L'economia veneta fa passi da gigante. La repubblica di S. Marco lancia un piano di ulteriore ampliamento della marina, sia mercantile, sia militare. Verrà presto imitata dai liguri, attirati dal commercio in America Latina. La repubblica veneta è costretta ad aprire un nuovo porto mercantile a Chioggia. La crisi si aggrava invece nello stato pontificio. Con studiata negligenza e ritardo, nella temporanea impossibilità di intervento austriaco, Toscana e Venezia aspettano che la situazione precipiti. Intervengono solo quando gli insorti hanno già ottenuto il “controllo” di molte città, tra cui Imola e Bologna. Alla fine, Veneti e Granducali si decidono ad agire. De facto si attua una prima spartizione dei territori dello stato pontificio: Le legazioni di Ferrara e Ravenna vengono annesse dalla Serenissima, mentre Forlì, Rimini, Pesaro e Urbino entrano nei domini Toscani. Bologna e Imola entrano invece nei domini del neonato granducato d'Emilia, dopo che il ducato di Parma e quello di Modena decidono a scopo di sopravvivenza di fondersi in un'unica entità politica ( viene decisa come capitale proprio a Bologna).
1850: Nasce la “quadruplice alleanza” tra Emilia, Toscana, Venezia e Genova. Viene creato un consiglio permanente per coordinare economia e politica estera (anche se a dettare l'agenda sono prevalentemente i Veneti e, in parte, i granducali).
1851: Prime esercitazioni militari congiunte. Si comincia a dibattere sulla possibilità di adottare un codice penale comune e la parificazione del valore aureo delle monete dei singoli stati (come al solito, il ducato è in posizione di forza rispetto alle altre valute).
1854: Scoppia la guerra di Crimea. L'errore politico austriaco (gli asburgici optano per la neutralità) apre all'intervento del Piemonte e della Serenissima. Gli obiettivi sono differenti. L'intento del Cavour è richiamare l'attenzione internazionale sul problema italiano e guadagnarsi, grazie alla simpatia di altre potenze, un margine di manovra tale da soppiantare una sbandierata “egemonia austriaca” sul nord Italia. La flotta congiunta veneto-genovese-granducale agisce invece per ottenere un riconoscimento a livello internazionale della quadruplice come soggetto politico autonomo sulla scena europea. Le imprese dei bersaglieri piemontesi riescono nel catturare le simpatie di Napoleone III, che si lascia convincere che la quadruplice è un fantoccio in mano asburgica. Dal canto loro, l'Inghilterra e la Prussia, cominciano a convincersi della reale possibilità di creare nel nord Italia un soggetto politico tanto forte da frenare le ambizioni mediterranee di Parigi (intaccando nel contempo il gigante Austriaco). Anche per questo, l'Inghilterra, vista la crescente influenza francese in estremo oriente, asseconda il desiderio di Venezia di vedersi garantite delle piazze commerciali nella Cina meridionale, in cui, per la verità, la Serenissima era attiva già da un decennio.
1856-1857: Si inizia, anche sulla spinta di un simile dibattito in area tedesca, a parlare di una possibile unione. L'Austria fa cattiva accoglienza a questi propositi, ingiungendo al granduca a Firenze di fare di tutto per osteggiare simile proposito in seno alla quadruplice. Chi è più favorevole a simili proposte è Genova, sulla quale incombe il timore di una possibile invasione sabauda. Il problema principale da risolvere riguarda la possibile conformazione politica di tale stato, se monarchico o repubblicano (e nel primo caso quale dinastia debba regnare), la definizione di codici civili e penali comuni, l'ordinamento interno e altri problemi simili.
1858: Accordi segreti di Plombières: il Piemonte sigla un'alleanza difensiva con la Francia in senso anti Asburgico e anti quadruplice. In cambio dell'ausilio militare i Savoia cedono Nizza a Napoleone III e, nel caso di esito favorevole del conflitto, anche la Corsica, che Parigi rivendicava, definendo la sua forzata restituzione ai genovesi al congresso di Vienna come un furto (e, segretamente, anche perché era la patria del loro eroe Napoleone).
1859: Gli Austriaci cadono stupidamente nella trappola di Cavour e dichiarano guerra al Piemonte. Frattura in seno alla quadruplice: i granducali si schierano a favore dell'intervento contro i Savoia. Non così Venezia, piuttosto piccata per il veto posto dall'imperatore a qualsiasi sviluppo dell'alleanza in senso federativo. A Magenta e Palestro, vittorie dei franco sardi. Disperando di poter tenere e difendere Milano, gli austriaci cercano di creare una stabile linea difensiva ai piedi delle montagne, tra Varese, Como e Lecco. Incontro di Sabbioneta tra i comandanti supremi delle forze della quadruplice e il comandante in capo delle forze asburgiche, assieme ad un rappresentante della corte Imperiale. Si “ordina” alla repubblica di Venezia di unirsi alla lotta contro i franco-sabaudi. Al contrario viene minacciata un'invasione del Friuli e della Dalmazia. I Veneziani rifiutano categoricamente, nonostante il tentativo del granduca Leopoldo di mediare. Paradossalmente, questo evento riavvicina quest'ultimo al doge nella rivendicazione di una definitiva federazione degli stati sovrani italiani. Dopo qualche scontro di frontiera a Muggia e l'affondamento di un mercantile ungherese in acque istriane, il conflitto si ferma. Essenzialmente perché il ministro degli esteri rimprovera a Giulay (Comandante plenipotenziario dello stato di Milano) i suoi modi perentori, accusandolo di desiderare che i veneti facciano fronte comune con i francesi, costringendo gli austriaci ad un conflitto su larga scala. Il problema però non si pone. Le forze austriache vengono incalzate presso l'Adda ma il battaglione orobico (le forze della Serenissima a guardia del settore settentrionale del confine occidentale) si rifiuta di farle riparare in terra di S. Marco, contrariamente alle speranze di Cavour. I comandanti Sabaudi, tuttavia, si attengono al piano e attraversano per primi l'Adda, schiacciando in una morsa inaspettata 2 divisioni austriache, che vengono annientate. Le vibrate proteste della quadruplice non servono. I Savoia accampano il pretesto di attaccare “non solo il rapace bicefalo, ma anche i suoi alleati che tradiscono il sacro italico ideale”. Nonostante una certa sorpresa, Venezia non è del tutto impreparata. Mandano contro i francesi i tre corpi della guardia: Il battaglione di S. Marco (artiglieria), la brigata schiavona (fanteria d'élite, reclutata in Dalmazia), gli stradiotti (cavalleria. uniti a reparti di artiglieria da campo. Nonostante l'origine greca non sia più obbligatoria, vi sono ancora molti ellenici (e albanesi). Perlopiù sono profughi provenienti dalle terre dell'impero turco. Molti, dopo il congedo, secondo un tacito accordo, si arruolano nell'esercito greco come comandanti e ufficiali di complemento. Questo a volte crea dissidi con il sultano e con gli inglesi che lo difendono). I sabaudi nel frattempo lanciano una spedizione contro la Liguria. La conquista della riviera di ponente viene completata in poco tempo, ma la resa di Genova si rivela più difficile del previsto. Anche l'attacco verso la direttrice emiliana si ferma presso Modena, nonostante i molteplici tentativi dei carbonari emiliani di sollevarsi e prendere tra due fuochi l'esercito del ducato. Deciderà tutto la doppia battaglia di Solferino e S. Martino tra franco-piemontesi e austro-veneti. Infatti l'entità della carneficina (e, forse, anche l'accanita resistenza dell'esercito veneto, che, (secondo le convinzioni, inculcate in Napoleone III da Cavour) “schiavo degli austriaci”, avrebbe dovuto abbandonare al suo destino l'armata austriaca, combattendo con scarsa determinazione contro i “veri patrioti”) Indurrà Napoleone III a ritirare il suo contingente, costringendo i piemontesi a non portare a fondo il proprio attacco. Cavour si accontenterà di annettersi la Lombardia austriaca, Crema e parte dell'Emilia fino al Taro, mentre toglierà alla Liguria, per mantenere uno sbocco sul mare, i territori di S. Remo, Oneglia e porto Maurizio. La Corsica verrà richiesta debolmente dai deputati francesi alla pace di Villafranca, ma nessuno, nemmeno i piemontesi, sarà favorevole ad un passaggio di proprietà dell'isola. L'unico modo, in realtà, per Napoleone III di accampare reali pretese su di essa sarebbe stato quello di far sbarcare un contingente a Bastia, come era stato in origine programmato dopo la battaglia di Solferino.
1860-1865: Gli eventi della guerra “Italica” spingono Toscana, Emilia e Liguria ad approvare il progetto del Doge. Si trattava dell'organizzazione di un'unione formale in uno stato unico di Emilia, Venezia, Genova e Toscana. Dopo lunghi dibattiti viene scelta una forma di governo di tipo repubblicano, con seggi permanenti nel senato per i sovrani di Firenze e Bologna. Anche su un problema insulso come la scelta della capitale si discute a lungo. Il montante romanticismo fa della predestinata, Pavia, l'antica capitale Longobarda, il sogno di tutti gli avversari dei Savoia. Fino al momento della rivincita, la capitale viene posta a Bologna. La costituzione, e non poteva essere diversamente, è modellata sulla base Veneziana, con un maggior consiglio ed un senato su base federale (10 “signorie”: Corsica, Dalmazia, Emilia, Ionia, Istria, Liguria, Lombardia, Romagna, Toscana, Venezie), dotato di potere legislativo. L'esecutivo rimane denominato consiglio dei X. Viene adottata come bandiera una croce rossa in campo bianco con al centro uno stemma che riporta gli emblemi della Serenissima, del Granducato, dell'Emilia e di Genova. Il governo Veneziano decide di inquartare nel suo stemma il biscione visconteo, simboleggiando un'evidente pretesa sulla Lombardia.
Bandiera italiana dopo la “Guerra Italica”
1865: Spedizione dei mille: guidati da Garibaldi i carbonari e i filo sabaudi di diverse parti d'Italia riescono a sbarcare in Sicilia e battere più volte l'esercito borbonico, grazie all'aiuto di soldi provenienti da banche inglesi. La Federazione Italiana fa pressioni sull'Inghilterra perché tolga l'appoggio economico alla spedizione. In realtà i britannici corrono il rischio per togliere anche il Piemonte dall'orbita francese e contemporaneamente far tenere alta la guardia ai veneziani (l'imponente penetrazione economica e militare nello scacchiere balcanico piaceva poco agli inglesi, che stavano facendo i salti mortali per far sopravvivere il dominio del sultano). In realtà anche i borboni erano vagamente filo inglesi, ma l'idea di far divenire tutta la penisola una succursale completamente Britannica a due passi dalla Francia e dall'Austria sembrava allettante. Dopo l'occupazione della Sicilia, la federazione intima però ai piemontesi di fermare Garibaldi e i suoi volontari partiti da S. Remo. Ogni tentativo di sbarco a Reggio sarebbe equivalso ad una dichiarazione di guerra. Determinato a portare aiuti in difesa dei Borbonici, il governo di Bologna chiede al pontefice l'attraversamento delle Marche da parte di tre divisioni dirette verso il regno di Napoli. Il pontefice, definendo sacro e inviolabile da parte di qualsiasi esercito il suo territorio, rifiuta e si dichiara anche contrario all'adesione del suo stato alla federazione. A questo punto, senza frapporre indugio, la corrente liberale riesce ad imporre il proprio punto di vista: l'invio cioè di due corpi di spedizione per occupare le Marche, per creare un collegamento diretto tra il regno e la repubblica. Questi battono l'esercito pontificio a Castelfidardo, e unilateralmente annettono Marche e Umbria alla Federazione. I garibaldini nel frattempo sbarcano a Reggio. Dopo roventi scambi di accusa e qualche scontro la situazione non si esaspera, lentamente quietandosi. I sabaudi decidono di sacrificare Garibaldi e i suoi alla ragion di stato, imponendogli di tornare in Sicilia. Decisivo è l'avvicinamento della federazione alla Prussia, desiderosa di dare un motivo in più di preoccupazione alla corte di Vienna e a quella di Parigi facendosi un alleato meridionale. I francesi temono che l'aggressività prussiana miri all'Alsazia. La Federazione, aiutata dai tedeschi del nord sarebbe stata un pericolo; spingono perciò i sabaudi a ricercare un accordo di pace che ponga le basi per una stabilità più duratura possibile dello scacchiere italiano.
1866: Il trattato di Castelgandolfo sancisce una radicale modifica della carta politica. La Sicilia passa ai Savoia (che da questo momento si fregeranno del titolo di Re di Sicilia e Sardegna). Per compensare territorialmente i Borbone della perdita, almeno in parte, viene donato al regno di Napoli il patrimonio di S. Pietro. Il territorio papale viene così definitivamente smembrato. Nonostante l'indignazione della stampa e dell'opinione pubblica cattolica, la situazione non muta, anche perché approvata da Inghilterra, Austria (suo malgrado e con più di qualche remora: gli Asburgo cominciano a sentire il peso dell'isolamento diplomatico), Francia e Prussia. Da questo momento l'erede di Pietro dominerà sulla sola città di Roma.
Paradossalmente, chi trae il maggior vantaggio dall'impresa di Garibaldi è proprio la federazione. Al di là dell'occupazione dello stato pontificio, probabilmente già messa in conto, viene infatti di molto rafforzata sul piano della credibilità in ambito internazionale. Non solo, il governo inglese viene spinto da questo incidente a mutare politica mediterranea, appoggiando molto di più i Borbone e rafforzando i già stretti legami con la federazione, rivelatasi affidabile rispetto allo spregiudicato espansionismo sabaudo. Questi ultimi, dal canto loro, venuta a mancare la geniale figura del Cavour, rischiano di sprofondare nel baratro dell'isolamento internazionale. I piemontesi cercheranno di costruire un'alleanza con gli austriaci, come loro bisognosi di alleanze, ma otterranno risultati modesti. Per converso, dal punto di vista economico, gli eventi della “crisi dei mille” spingeranno gli stati della penisola verso un'intensa fase di industrializzazione. Intorno agli anni '70 e '80 dell'ottocento il Veneto, la Lombardia e la Toscana settentrionale si trovano già in condizione di sostituire i capitali stranieri con investimenti di imprenditori nazionali. La produzione si diversifica, mentre i settori tradizionalmente trainanti (su tutti il tessile) vengono impiantati in nuove zone per fungere da volano all'economia. I Savoia mettono in atto una industrializzazione forzata della Sicilia, impiantando a Palermo un polo siderurgico e cantieristico impossibile da costruire in altre regioni del regno. La “lezione” viene appresa anche dal regno di Napoli, che cerca di riguadagnare il terreno perduto creando forti poli manifatturieri con l'intervento statale nel napoletano e in Puglia.
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La lotta per le colonie
Con l'accordo di Castelgandolfo vengono involontariamente sancite le premesse per la colonizzazione italiana. Infatti la pace in Italia induce a sfogare il forte spirito di competizione imitando le grandi potenze. Inizialmente la direttrice primaria è rappresentata dall'Asia. Gli anni dal 1866 al 1870, in particolare, vedono Francia e Gran Bretagna farsi un'informale guerra per limitare le reciproche sfere di influenza, utilizzando, tra le altre armi, le ambizioni coloniali dei propri protetti, Piemontesi e Federazione, per potersi fare guerra per procura. Il primo punto viene segnato dalla Francia che, pur non potendo attaccare direttamente il Siam in virtù dell'accordo con gli inglesi che ne faceva una zona cuscinetto tra l'Indocina e la Birmania, favoriscono segretamente il tentativo sabaudo. La spedizione di La Martin, che puntava ad uno sbarco a Bangkok, fallisce miseramente. I piemontesi allora decidono di cambiare strategia: lo sbarco del generale Cairoli nelle provincie malesi meridionali con un piccolo contingente allo scopo di equipaggiare ed organizzare una sollevazione islamica nel Pattani ha successo. Viene inventato con il consenso a denti stretti degli inglesi il sultanato di Pattani, governato da un sovrano malese ma sotto protettorato del regno di Sicilia e Sardegna. Nelle operazioni per forzare un successo rapido dell'impresa, La Martin si riscatta parzialmente conquistando con immensi sforzi l'ambita isola di Pukhet, detta la “Ceylon di giunchi” (il colpo era stato orchestrato per cogliere di sorpresa sopratutto gli inglesi. Se si fossero dilungati i tempi delle operazioni i britannici sarebbero sicuramente intervenuti, rischiando un'escalation di tensione). La risposta della Federazione all'intrusione con la forza in un'area in cui gli imprenditori veneti erano già da tempo presenti non si fa attendere. Con un accordo di sfruttamento privato, alcuni imprenditori istriani impiantano alcune basi nelle isole, formalmente olandesi, di Natuna Besar. Alla compagnia si associa poco dopo lo stesso governo che favorisce la costruzione di strutture abitative e logistiche per il trasferimento di personale italiano con le rispettive famiglie. Viene in pratica fondata una piccola colonia, con il consenso del governo italiano, del governatore di Batavia e del governo di Amsterdam. Visto lo scarso interesse per quelle isole da parte degli olandesi, viene ben presto lanciata l'ardita proposta di acquistarne la proprietà da parte della Federazione. Dopo lunghe e spossanti trattative (Gli olandesi si rendono conto di aver commesso un errore di valutazione consentendo agli italiani di andare a vivere lì e, sebbene delle isole non se ne facciano nulla, si cautelano perché questo non divenga un precedente pericoloso, e che non dia adito al progressivo smembramento del proprio dominio. Di fatto agli italiani viene impedito qualsiasi altro acquisto futuro, e a Francesi e Inglesi viene fatto capire abbastanza chiaramente che si tratta di un caso unico e irripetibile, nel caso venga in mente anche a loro di usare un trucco simile) divengono il primo territorio coloniale della federazione italiana. (1870) Nonostante gli alti costi, il maggior consiglio decreta la costruzione di una base navale e l'invio di una piccola squadra navale di stanza per difendere adeguatamente quel lembo di terra pagato così caro. Gli operatori economici italiani si erano prevalentemente concentrati nella Cina costiera meridionale: A Hong Kong, seguendo gli inglesi, o a Macao, con un vivace quartiere nel mezzo del possedimento portoghese, ma in particolare nei porti poco battuti dell'isola di Hainan. Si trattava di un territorio povero, che viveva di pesca e agricoltura, ma potenzialmente ottimo collegamento tra Cina e Indocina. Il porto più ricco e grande, (sito sulla punta di una penisola sporgente dal continente e separata da Hainan da un braccio di mare di pochi chilometri), Guangzhouwan, era stato rapidamente monopolizzato dai francesi, per cui agli italiani non restò altro che stanziarsi nella cittadina di Haikow e fondare una piccola base commerciale nell'estremo sud dell'isola, a capo Bastion. Il cambiamento radicale delle fortune italiane sarà dettato dalla capacità di approfittare dei disordini interni e dei conflitti della Cina e dal fenomeno del tutto naturale dell'immigrazione in cerca di fortuna, incanalata dal governo nei luoghi in cui vi erano già nutriti gruppi di italiani. A capo Bastion si concentrò una popolazione prevalentemente di origine friulana, istriana e dalmata, con anche forti elementi croati e greci. Il governo cinese, in uno dei suoi tentativi di rivalsa contro gli odiati occidentali tentò di rifarsi dei torti subiti sui più deboli di tutti, gli italiani. L'esercito sterminò isolati italiani a Hong Kong, Shanghai e altre località, tutti coloro cioè, che non fecero in tempo a rifugiarsi in luoghi protetti da inglesi. Nel caso di Hainan il tutto risultò molto più complesso. Infatti gli Han, etnia cinese principale, stavano aumentando molto rapidamente sull'isola a partire dalla fine del XVIII secolo, mettendo in minoranza le popolazioni storiche della regione, i Min e i Liao, molto lontanamente imparentate con i Thai. Gli italiani, quasi per caso, strinsero durante la loro permanenza ottimi rapporti con i contadini dei monti e i poveri pescatori del sud-est, forse perché ricordavano loro le condizioni a cui erano abituati in Istria o nel Friuli. Al contrario, con i funzionari Han ci si limitava alla tolleranza. Fatto sta che i mercanti veneti quando potevano facevano affari con i Liao ed i Min, portando loro un po' di ricchezza. Questa preferenza giunse a far assimilare la manovra contro gli italiani da parte dell'impero di mezzo, non tanto per “liberarli dai diavoli stranieri” (che semmai erano altri, dato che agli italiani era vietato commerciare in oppio. Non certo perché non volessero farlo, ma per ordine degli inglesi), quanto, piuttosto, per impoverirli e cacciarli definitivamente dalle loro ancestrali dimore. Per questo motivo, quando gli italiani si dispersero nelle campagne per non farsi catturare, molte volte i contadini e i pescatori li accolsero benevolmente nelle loro case, condividendo il loro riso. La svolta però fu determinata da un incauto comandante del celeste impero, che per dare un esempio, dopo aver trovato una famiglia italiana (pare fossero originari di Buie, ma non si hanno dati certi), decise di radere al suolo un villaggio Liao. Questo scatenò un effetto diametralmente opposto ai suoi propositi, dato che i borghi circostanti decisero di sollevarsi. Quando a Natuna giunse la notizia delle violenze contro gli italiani, la squadra navale si diresse verso Hainan con il mesto ordine di evacuare l'isola dai superstiti. Una volta giunti presso capo Bastion, invece che resti ancora fumanti si trovarono il borgo intatto, con il triplo almeno della popolazione usuale, pronto a resistere, e l'intera isola nella confusione più totale. La Cina decise di mandare contro le quattro navi della Federazione una propria flotta, che venne completamente annientata (in modo molto fortunoso e con una mai chiarita complicità giapponese). A questo punto, dato che ormai pareva esserci guerra aperta, una delle quattro navi si distaccò ed andò ad occupare le isole appartenenti all'impero nel mar cinese meridionale. Occupazione poco più che simbolica dato che erano praticamente scogli (ancora non si sapeva che quei sassi galleggiavano letteralmente su ricchi giacimenti petroliferi sottomarini), ma che indussero i cinesi ad ammansirsi, tanto più che avevano nemici molto più potenti a cui pensare. Il trattato di Livadia del 1879, grazie al benevolo atteggiamento russo, comprese anche le clausole “italiane”: Le isole Prata, Paracelso e Spratli passavano alla federazione. In più i borghi di Yu Lin, Dongfang e Aishien avrebbero accolto ampi quartieri italiani con diritto di extraterritorialità, che veniva concessa per intero, ovviamente, anche a Capo Bastion. Il capitolo di Hainan non si conclude però qui: il colpo di grazia per i cinesi avviene nel 1884. La Francia muove guerra ai cinesi per il dominio del Tonchino e dello Yunnan e la Federazione decide, per una volta, di allearsi con i transalpini. La vittoria è totale: Il Tonchino viene annesso all'Indocina francese, il Kunming e lo Yunnan cadono sotto la sfera di influenza di Parigi, a cui viene affidata la costruzione della linea ferroviaria Hanoi-Dali. Gli italiani sparano alto, chiedendo, per arrivare al loro obiettivo, ossia il possesso completo delle tre città di cui sopra, il possesso dell'intera isola di Hainan. Tuttavia, con sorpresa degli italiani, i cinesi accettano subito, tanto alto è il grado di disfacimento a cui è giunto il governo imperiale.
Anche l'Africa diviene terreno fertile per le campagne di colonizzazione. Inizialmente questo continente viene visto come tappa per i porti asiatici, tanto più che dal 1869 viene aperto il canale di Suez, costruito anche con partecipazioni di tutti e tre gli stati della penisola. L'Italia non perde tempo e dalla fine degli anni '70, grazie ad imprese private comincia a colonizzare i porti dell'Eritrea, in particolare Assab. Fonda anche una colonia sulle isole Farasan per l'allevamento delle ostriche perlifere. La cosa preoccupa gli inglesi che vedono i porti italiani troppo vicini al loro caposaldo di Aden. Cominciano così ad interessarsi anch'essi alla Somalia, cominciando a penetrarvi. Il colpo viene però orchestrato dai francesi che occupano le due regioni costiere dell'Issa e dell'Afar, facendo del porto di Gibuti un potenziale competitore di Aden. Inoltre i francesi tessono relazioni con i potentati della zona, impero etiope compreso, ottenendo il permesso di costruire la linea ferroviaria Gibuti-Harar. Spinti lontano dai troppo potenti rivali, gli interessi italiani si spingono più a sud-est, occupando la regione di capo Hafun e sviluppando l'idea di costruire una colonia di popolamento per poi penetrare gradualmente verso sud, lungo la costa. Il progetto viene però bloccato dai Sabaudi, che partendo dall'occupazione del porto di Chisimaio nel 1881 cominciano a conquistare uno dopo l'altro tutti i porti somali, spingendosi sempre più a nord. La Migiurtinia resterà per circa una decina d'anni contesa tra Federazione e Regno di Sicilia. Un'accordo di spartizione definitivo arriverà solo nel 1903. Un'altra area contesa, anche se per poco, sarà l'isola del Madagascar. I Sabaudi cominceranno alla fine degli anni '80 ad occupare le isole Aldabra e le isole Cosmoledo. In seguito punteranno alla penetrazione nel nord del Madagascar. La Federazione occuperà l'isola Tromelina e la baia di Antongila, creando una colonia. L'intervento della Francia, già teoricamente in possesso dell'isola troncherà ogni progetto ulteriore. I francesi lasceranno ai Savoia le Comore ed alla Federazione l'isola Tromelina in cambio di un canone di affitto annuale. L'ultima area da prendere in considerazione è il nord Africa. Qui saranno i Napoletani a farla da padrone, imponendo un protettorato sul bey di Tunisi battendo sul tempo i Francesi e i loro protetti sabaudi (Tutto ciò reso possibile dall'immediato riconoscimento inglese del protettorato napoletano, comprato grazie alla mediazione interessata della federazione (al contrario della nostra timeline in cui i britannici favorirono l'assenso all'occupazione francese perché temevano il controllo da parte di un solo stato degli accessi al Mediterraneo orientale) A ciò farà seguito, come ultima impresa coloniale, la conquista della Libia. Anche in questo caso i napoletani verranno aiutati dal governo di Bologna, che per forzare una conclusione favorevole sia delle imprese dei Borbone, sia dei propri alleati balcanici, attaccherà la flotta turca nell'Egeo e occuperà Rodi ed il Dodecaneso. Pate Lamu e Mafia, infine, verranno occupate dalla Federazione alla fine del XIX secolo per poter sorvegliare da vicino l'operato dei Sabaudi di Chisimaio e per sfruttarle come crocevia commerciale. Lo status di queste isole fu a lungo in bilico, per le rivendicazioni inglesi e tedesche. Alla fine però ambedue le potenze firmarono un trattato con la Federazione che lasciò a quest'ultima il pieno possesso, indipendente sia da Zanzibar (inglese), sia dal Tanganika (colonia del II Reich), di queste isole dell'oceano Indiano.
I metodi di colonizzazione e di governo di Sabaudi e Federazione furono caratterizzati da alcune differenze. I primi consideravano la propria espansione come un'affermazione di prestigio nell'ambito internazionale e preferirono imitare le modalità di governo coloniale dei francesi, in cui si tendeva ad imporre una politica di assimilazione forzata, con un massiccio apporto di quadri dirigenziali dalla madrepatria. In realtà le capacità organizzative di Parigi non furono mai raggiunte dal governo di Torino, che gestì il proprio dominio coloniale con una buona dose di improvvisazione. I comandanti e i governatori civili si ingegnavano di trovare le soluzioni che al momento parevano migliori per adeguarsi alle volontà teoriche del governo, con una buona dose di inventiva. Fu forse per questo che in generale si fecero ben volere dalle popolazioni soggette, e in molte aree costruirono un sistema di servizi e infrastrutture importante. Per la Federazione l'interesse a regioni estese arrivò più tardi, seguendo l'influenza del prestigio di cui godeva l'imperialismo in grande stile nei primi anni del XX secolo. In realtà ciò su cui puntavano gli ideatori delle politiche coloniali del governo di Bologna, di chiara impostazione veneziana, era conquistare il possesso di basi strategiche da cui esercitare una penetrazione economica sulle regioni circostanti. Per questo grande importanza rivestiva il finanziamento ad imprese che trasferissero personale italiano con relative famiglie al seguito, oltremare. Oltretutto questo poteva anche essere un utile modo per incanalare l'emigrazione in cerca di nuove opportunità in aree su cui si mirava ad ottenere qualche vantaggio economico (come nel caso dell'emigrazione Genovese in sud America, in particolare in Rio Grande del Sur/do Sul, Uruguay, Argentina e Paraguay. I liguri divennero praticamente i gestori del commercio e del trasporto fluviale di quelle zone, e la federazione ottenne una serie di trattati favorevoli in ambito economico con quegli stati. Interessante notare che le comunità italiane favorirono anche la creazione di iniziative di cooperazione tra quegli stessi stati che non di rado erano funestati da guerre per il controllo di alcune regioni o da conflitti civili). Anche in questo caso grandi furono gli sforzi per creare una serie di strutture come strade, porti, ferrovie e ponti per favorire lo sviluppo delle “piccole Italie” sparse per l'oltremare. Con le popolazioni autoctone si cercava perlopiù l'accordo e, per limitare al massimo i costi di gestione o l'invio di guarnigioni militari imponenti, sovente non si influiva più di tanto sulle strutture gerarchiche e sociali. Questo generava solitamente un rapporto proficuo e pacifico con gli indigeni; questo è in particolare vero per l'Hainan, in cui l'esperienza di appoggio reciproco tra Italiani, Min e Liao, maturata nei conflitti con la Cina, aveva generato una certa solidarietà, di cui verrà data prova durante la seconda guerra mondiale e l'invasione giapponese.
Come già accennato, il conflitto più evidente tra i due opposti colonialismi si ebbe in Africa Orientale. L'influenza sabauda nell'Ogaden si era fatta sempre più importante fino a riuscire a irretire l'impero etiope, imponendogli una sorta di protettorato, con il trattato d Harar. Non era però intenzione del negus divenire un fantoccio nelle mani del re di Sicilia per cui, una volta resosi conto del “tradimento”, si arrivò allo scontro. I Savoia nell'Ogaden si erano guadagnati molti amici, oppositori dell'imperatore d'Etiopia, promuovendo un certo sentimento filoislamico . Ma per la federazione non era certo un'alternativa desiderabile rimanere schiacciata dai domini piemontesi per cui prese le difese dell'impero e riuscì ad armarlo con successo, visto che nel 1896 una colonna Sabauda che si inoltrava nell'interno roccioso fu annientata a Neghelli, decretando lo scioglimento del trattato di Harar e la fine dell'espansionismo Sabaudo nel corno d'Africa.
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Verso la prima guerra mondiale
I tre stati della penisola si allinearono gradualmente verso schieramenti differenti. La federazione, tradizionalmente filoinglese, dopo che i britannici mutarono progressivamente i propri rapporti con la Francia dopo l'incidente di Fachoda nel 1898, fino ad entrare nella “Intesa cordiale” di quest'ultima con l'impero russo, si allinea su posizioni vicine al Reich tedesco, in virtù dell'ostilità nei confronti di Parigi, che, nonostante un breve periodo di distensione negli anni ottanta e novanta, poi muta nuovamente politica, tanto che sembra cogliere ogni occasione possibile per “sguinzagliare il proprio mastino piemontese contro l'innocente Federazione degli Italiani” (da un articolo de“Il Caffè”, il principale giornale di Venezia, del luglio 1904). Parimenti anche Napoli, soprattutto con il governo del “cancelliere di ferro” Crispi, che, seguace in gioventù di Garibaldi, tanto da combattere al suo fianco, scappò pochissimo tempo dopo dalla Sicilia “occupata” per rifugiarsi nel regno Borbonico. Ascendendo rapidamente i vertici della carriera civile, venne infine nominato nel 1889 dal sovrano Francesco III alla più alta carica del senato napoletano. In politica estera si caratterizzò in particolare per il suo antisabaudismo. Leggendari erano i suoi discorsi sullo “scherzetto”, come chiamava la conquista della Sicilia per mano piemontese, che, a suo modo di vedere, era stato reso possibile dalla volontà di fare del regno borbonico “una nuova Polonia da spartire” da parte di Parigi e Londra. L'efficienza prussiana divenne mito e modello per lui. Per renderlo possibile anche nel regno, inaugurerà una stagione di spinto protezionismo, con altissimi dazi doganali, e farà in modo di creare, con la pesante mano statale, alcuni poli siderurgici nel Barese, nel Foggiano e nel Napoletano. Si prodigherà inoltre per ammodernare il comparto agrario, ancora estremamente arcaico, improduttivo e generatore di disuguaglianze sociali che spesso sfociavano in tumulti. I risultati saranno alterni (infatti non si giungerà ad una razionale, completa, ripartizione dei latifondi), ma certo anch'essi generarono una spinta per un primo sviluppo e svecchiamento del settore. La comune ostilità nei confronti dei Savoia porterà infine Federazione e Regno di Napoli alla firma di un accordo di alleanza difensiva nel 1908. Esso vedrà una sua prima applicazione nel 1912, quando la flotta della F. I. forzerà i Dardanelli ed occuperà il Dodecaneso per imporre ai Turchi la conclusione del conflitto per la Libia. La federazione, inoltre, varerà politche di amicizia con i governi di Grecia e Montenegro (nonostante il revanscismo di quest'ultimo sull'Albania veneta, ossia la regione costiera da Cattaro a Dulcigno)e, da ultimo, anche con l'Albania, stato “inventato” proprio nel 1912 con il consenso internazionale per impedire alla Serbia lo sbocco al mare.
Allo scoppio delle ostilità gli stati italiani optarono inizialmente per una cauta neutralità, nonostante le pressioni degli imperi centrali. Il conflitto fu portato nella penisola dai Sabaudi, che cercarono maldestramente di far sposare a Francia e Inghilterra le proprie ambizioni. La marina del regno di Sicilia e Sardegna, partendo da Palermo attuerà a sorpresa uno sbarco a Reggio Calabria, sconfiggendo la flotta Borbonica nello stretto. Subito dopo, per costringere la Federazione a non intervenire, si schiererà ufficialmente a fianco dell'intesa, tramite un accordo segreto con il governo francese, che sperava che, a questo punto, il governo di Bologna si gettasse tra le braccia degli imperi centrali, cosa che avrebbe sì aperto un nuovo fronte, ma con ogni probabilità alleggerito la pressione tedesca su Parigi e indebolito gli austriaci sul fronte galiziano. Ma la federazione, forte dell'amicizia storica con gli inglesi, evita di cadere nella tentazione e dirama una nota ai governi belligeranti per sottolineare la propria intenzione di mantenere con loro pacifiche relazioni e ricordando come il suo unico nemico fosse l'aggressore sabaudo. In seguito il 20 agosto, giorno in cui il comunicato venne diramato, diverrà festa nazionale. La risposta più celere fu quella del governo di Londra: Lloyd George si dichiarerà ufficialmente estraneo al conflitto italiano. Se Parigi fosse intervenuta sarebbe divenuta una sostenitrice di uno stato che aveva aggredito una nazione neutrale (l'intervento inglese nella guerra, va ricordato, era stato giustificato dal medesimo motivo: i tedeschi avevano occupato il neutrale Belgio). Ciò sarebbe stato inaccettabile, pertanto avrebbe ritirato i suoi uomini abbandonando i francesi al loro destino. Clemenceau “il tigre”, suo malgrado,non potendo fare a meno dell'aiuto inglese (quello inglese comunque era un semplice bluff), sarà costretto a lasciare solo il Piemonte. Venendo al conflitto, la reazione della federazione fu rapida, ma non evitò la creazione di un fronte sull'Adda. Anche in Calabria, dopo un'iniziale marcia trionfale, le azioni Sabaude erano giunte ad un punto di stallo nei pressi di Cosenza. I generali Piemontesi si ostineranno per tutto il primo anno di guerra in tremende carneficine per sbloccare il fronte senza alcun esito, se non quello di conquistare il caposaldo di Fontanelle nel gennaio 1915, che per un paio di mesi aveva fatto presagire l'imminente conquista di Bergamo. Tutto si era però capovolto a fine marzo, quando uno sfondamento della federazione sul fronte appenninico all'altezza del monte Pelpi aveva costretto ad abbandonare l'impresa. Verso l'estate il governo di Bologna opta per un giro di vite sui generali, portando al comando supremo il vecchio ed esperto generale Frugoni. Convinto che la chiave fosse il controllo delle montagne, corre il rischio di sfidare sul loro terreno i temutissimi cacciatori delle alpi. Seguono le battaglie della Valtellina. Dopo sette mesi di aspri combattimenti i federati conquistano Edolo, il quartier generale del settore nord del fronte. Prima lentamente, poi con maggiore rapidità, dall'estate del 1916, i cacciatori continueranno ad arretrare. Non verranno mai propriamente sconfitti, ma il loro numero era tale da non potersi permettere offensive. In novembre il battaglione orobico conquista Sondrio. Ancora peggio va alla flotta sabauda, che era stata sorpresa dalle forze congiunte borbonico-federali alle bocche di Bonifacio ed era stata praticamente annientata. Le pochi navi scampate si ritireranno a Trapani. La corazzata San Marco distruggerà il porto militare di San Remo già nel 1915. Per la fine di quell'anno le navi San Marco, Leone alato, Andrea Doria, Quattro Mori, Maestrale e Bartolomeo Colleoni permetteranno lo sbarco di un contingente armato presso Catanzaro, alle spalle dei sabaudi. In una feroce battaglia nella Sila, l'esercito piemontese d'invasione viene praticamente annientato nel gennaio 1916. visto il successo dell'operazione, si tenta un altro sbarco, a est di Palermo. Una volta abbattute le artiglierie presso il porto della capitale isolana la resistenza è minima e le truppe borboniche prendono possesso nel giro di pochi mesi dell'intera isola. L'unica città che resiste è Trapani, in cui le unità scampate alla disfatta delle bocche di Bonifacio si erano rifugiate. Due navi danneggiate vengono fatte parzialmente affondare alla bocca del porto per rendere difficile ogni penetrazione dal mare. Nel gennaio 1917 finalmente gli orobici sfondano in val Chiavenna. Il 23 prendono Menaggio; una settimana dopo raggiungono Lecco. A questo punto anche il fronte sul basso Adda si spezza. I sabaudi abbandonano Milano praticamente senza combattere verso il 15 marzo, per riorganizzare una linea di difesa sul Ticino. Ma nonostante gli sforzi, il morale dell'esercito aggressore è a terra e la ritirata non si ferma più. Il re Vittorio Emanuele II propone la cessione di San Remo e Imperia e l'arretramento del confine al Trebbia e al Ticino, ma la federazione rifiuta. A questo punto il sovrano abdica in favore del figlio, Umberto I, per fuggire in esilio a Oporto. Il nuovo sovrano firma la resa senza condizioni quando il III° reggimento “Cadore” è a Chivasso, alle porte di Torino. Il regno di Sicilia e Sardegna cessa per sempre di esistere. Il Piemonte e la Sardegna passano alla federazione italica, che, ormai, verrà semplicemente nominata Italia. I mitici cacciatori delle Alpi, il battaglione orobico e quello carnico verranno fusi insieme per creare il corpo detto degli “alpini”. La Sicilia, invece, ritorna sotto il controllo borbonico. Il regno di Napoli torna ad essere regno di Sicilia, o, semplicemente, Sicilia. Per quanto riguarda le colonie, in cambio di un risarcimento in denaro i Borboni rinunceranno alla spartizione. La federazione si offrirà anche, per conto dei Borboni, sempre a titolo di risarcimento, di ottenere l'assenso dagli inglesi dell'assetto territoriale delineato. Il pontefice Benedetto XV dopo aver tentato inutilmente di fermare il conflitto europeo, aveva tuonato anche contro quella che egli denominava, “nient'altro che una inutile, sanguinosa guerra civile tra italiani!” ma a nulla era valso. A Versailles, alla conferenza di pace del 1920 che darà un nuovo ordine al mondo, verranno invitate anche i due stati principali italiani. La guerra mondiale aveva mutato per sempre la carta politica d'Europa, con la sconfitta degli imperi tedesco, austriaco e ottomano e quello russo abbattuto dalla rivoluzione. La Francia protesta per l'annessione di Comore e isole Malgasce (isole Bea, Aldabra e Cosmoledo) alla federazione: esse infatti erano state date al re di Savoia in concessione personale da parte della repubblica francese, per cui alla Francia sarebbero dovute tornare. Alla fine, con la mediazione inglese e americana, Parigi si accontenta della cessione dei diritti sulle isole in cambio del pagamento di un riscatto in denaro. I problemi non finiscono qui: il presidente Wilson, vista l'implosione ed il rischio di smembramento dell'impero asburgico propone che le provincie italofone degli austriaci finiscano sotto l'Italia. I cattolici ed il papa, per protesta per la mirata volontà di distruzione dell'unica monarchia esplicitamente cattolica del continente, spingono per un rifiuto, ma, ancora una volta, l'ala liberale ha la meglio e Aquileia, Monfalcone, Trieste e l'enclave di Pordenone vengono subito cedute all'Italia. Qualche mese dopo, con gli accordi di Bressanone, il governo Bolognese si accorda con la neonata repubblica di Vienna per una linea di confine settentrionale il più possibile condivisa. Finiscono all'Italia, Rovereto, Trento, val di Sole, val di Non e val di Fiemme, con tutte le loro deviazioni laterali; il confine in val d'Adige è fissato all'altezza di Mezzocorona (esclusa). Con la neonata Jugoslavia gli accordi sono molto più burrascosi: da subito, infatti, il governo di Belgrado rivendica a sé la maggior parte dell'Istria interna e tutta la Dalmazia e l'Albania veneta, tranne Cattaro e Zara, quasi completamente italiane (anche se sarebbe più corretto dire venete). La discordia per di più è esacerbata dal fatto che la repubblica di Ragusa, con alle spalle la federazione, rivendichi il proprio rifiuto ad entrare nel regno serbo croato sloveno. La popolazione del porto franco dell'Adriatico è, infatti, quantomeno variegata: 30% croati, 21% italiani, 19% serbo montenegrini, 12% albanesi, 8% greci, 6% tedeschi, 3% turchi ed un 1% di varie altre minoranze, tra cui, in particolare, molti armeni. Alla fine, la repubblica di S. Biagio opterà con un plebiscito per l'indipendenza e il governo italiano, con la minaccia di un intervento armato, costringerà Belgrado a dirsi contenta di essere riuscita quantomeno ad annettersi il Montenegro.
Bandiera italiana dopo la pace di Chivasso
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I sommovimenti politici dopo la guerra nelle due Italie
Dopo la grande guerra si ha un periodo di intense lotte sociali che portano ad una rapida ascesa del fronte, appunto, socialista. La matrice rivoluzionaria viene gradualmente messa a tacere con metodi non propriamente ortodossi. Tuttavia l'assassinio di un esponente di spicco del partito, Giacomo Matteotti, in occasione delle celebrazioni del 1924 per lo spostamento della capitale federale a Pavia, nel 1150° della deposizione dell'ultimo re longobardo Desiderio, porta ad una profonda revisione degli equilibri politici ed avvia un stagione di concessioni e aperture riformiste. Vengono reputati responsabili alcuni elementi di spicco del partito conservatore, che durante il conflitto aveva tenuto saldamente le redini del governo. Per la prima volta il disomogeneo gruppo di ispirazione cattolica si presenta compattamente unito contro i soprusi, accusando i conservatori di voler instaurare una dittatura oligarchica. I liberali, grazie al loro nuovo acquisto originario del parlamento torinese, Giovanni Giolitti, si staccano dall'alleanza con i conservatori e si legano al “partito” dei cattolici per la prima volta. A sorpresa, quest'ultimo lancia una proposta audace: il suffragio universale. Subito scoppia un acceso dibattito in seno al mondo politico. Alle porte vi è infatti una radicale riforma costituzionale. La mozione passa di un soffio, mettendo in minoranza il governo. E' crisi profonda ed il consiglio dei X rassegna in blocco le dimissioni. I cattolici e i liberali, cavalcando l'onda e con l'appoggio esterno dei socialisti, soffiano sul fuoco ed ottengono dal Presidente l'indizione della prima consultazione veramente popolare della federazione, fino a quel momento governata da soggetti eletti da un suffragio ristretto su base censitaria. I cattolici, guidati da un altro giovane acquisto, Luigi Sturzo, emigrato dal regno di Sicilia, stravincono, mentre i loro alleati liberali ottengono un calo di consensi, ma minore rispetto a quanto alcuni temevano dopo il loro trasferimento sulla sponda cattolica. Il nuovo governo mostra una doppia faccia: aperto alla consultazione con i socialisti, alla prima, storica apparizione nel maggior consiglio; durissimo nel reprimere i moti rivoluzionari e gli attentati ai grandi gruppi industriali, le cui pressioni sul governo sono più forti che mai. Con il suffragio universale giunge anche la riorganizzazione del territorio federale, con le nuove “regioni”: Piemonte (capitale Torino), Liguria (capitale Genova), Lombardia (capitale Milano, confine ovest al Sesia. a cui vengono aggiunti i distretti di Crema, Bergamo, Brescia e Mantova. La più vasta e popolosa. Della serie: salviamo le apparenze di somiglianza con la nostra TL...), Emilia (Parma), Venezie (Venezia), Romagna (Ravenna), Friuli (Udine), Istria (Pola), Dalmazia (Zara), Toscana (Firenze), Marca e Piceno (Ancona), Umbria e Sabinia (Perugia) Corsica (Ajaccio), Sardegna (Cagliari), Albania Veneta (Cattaro), Ionia (Corfù), Dodecaneso (Rodi).
In linea di massima le condizioni lavorative migliorano, con orari e salari più adeguati. La federazione scopre le potenzialità ancora inespresse di un mercato interno importante ed è in questo periodo che cominciano a svilupparsi ditte produttrici di nuovi beni di consumo di massa, pur non riuscendo queste ultime a scalzare il primato dei settori tradizionalmente trainanti del tessile, della chimica, della cantieristica e della produzione di macchine utensili per il mercato estero. I grandi passi sulla strada del benessere generalizzato vengono interrotti in maniera drastica dalla grande crisi del
'29. Come altre grandi potenze industriali, l'Italia risente pesantemente dell'onda recessiva. Dal
'28 al '32 il governo di matrice progressista cerca di amplificare e consolidare un sistema di ammortizzatori sociali. Inizialmente le soluzioni escogitate non seguono una programmazione di lunga durata, sono rimedi empirici e, come tali, hanno un successo limitato e temporaneo. Con estrema titubanza, lo stato cede infine alle istanze keynesiane di un intervento importante nel settore privato; innanzitutto creando la CRI (cooperativa ricostruzione industriale) e portando una netta razionalizzazione nel multiforme mondo del credito, cresciuto spesso all'ombra di norme poco chiare e di applicazione scarsa. Infine si cerca di occupare la manodopera sottoccupata o disoccupata in grossi interventi infrastrutturali sul territorio. La ripresa non sarà facile, anche perché in concomitanza con una progressiva svalutazione della moneta. Il problema principale sarà la nuova ondata di barriere protezionistiche nei mercati internazionali, particolarmente penalizzante del sistema industriale italiano, con un netto orientamento all'esportazione.
Ben altri effetti avrà la crisi economica nel regno di Sicilia. Qui la forte vocazione agraria di molte zone ancora sottosviluppate determinerà rivolte violente per chiedere lo smembramento del latifondo e meno tasse sui beni di prima necessità. Nel 1922, a Napoli, il giovane generale Graziani sparerà sulla folla radunatasi per protestare contro la tassa sul macinato. La situazione si fece presto tragica. Le istituzioni parlamentari nel regno erano invenzione recente, con i partiti di massa ancora fuori dai giochi ed un suffragio censitario molto ristretto rispetto alle iniziali istanze dei riformisti. Era perlopiù dominato da un conglomerato piuttosto estemporaneo di grandi latifondisti conservatori. Ma il calo di popolarità di questi ultimi permise l'emergere di un governo frutto dell'alleanza di due grandi lobby di liberali industriali, chiamate comunemente “piemontesi” e “pugliesi”. I primi erano espressione della grande industria siciliana, nata con la pesante mano statale nel periodo di occupazione sabauda. I secondi erano nati grazie al boom economico della regione adriatica di fine ottocento, negli anni del cancelliere Crispi.
Per fornirmi suggerimenti e consigli, scrivetemi a questo indirizzo.
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Questo è l'efficace commento in proposito di Bhrghowidhon:
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[...] contenta di essere riuscita quantomeno ad annettersi il Montenegro».
Terminata la lunga narrazione di storia filosofica del secolo futuro, il Principe di Metternich-Winneburg mostrò ai ventun altri Convenuti tre carte d'Europa, una con i confini del 1789,
una con la situazione a metà dell'anno 1800
e un'altra in cui tutti i territorî già controllati dall'Usurpatore erano di un unico colore; quindi aggiunse:
« Alle SS.VV. riuscirà pertanto evidente che se l'Europa tornasse senz'altro ai confini anteriori ai Fatti di Parigi del 1789, le Forze scatenate dall'Anticristo porteranno a tutto ciò - nuove guerre, nuove devastazioni, nuove sciagure per l'Umanità; e abbiamo riflettuto soltanto su quell'Espressione Geografica, la quale pur non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad imprimerle: né lo sforzo compiuto dalle Monarchie Cristiane quindici anni orsono è stato sufficiente a impedire l'ascesa del Tiranno. Noi qui riuniti, in questi otto mesi, abbiamo considerato tutte le possibilità di assicurare al Mondo un futuro di pace e di serena operosità, nel rispetto dell'Ordine creato dall'Onnipotente per il Bene Supremo delle sue Creature; ora è giunto il momento di riconoscere che ben maggiore vigilanza dev'essere condotta, onde garantire che il severo insegnamento impartitoci dalla Provvidenza in questi cinque lustri porti il frutto per cui è stato concepito. [...]
Di solare evidenza si rende perciò la necessità che l'Ordine squassato dalla Rivoluzione sia restaurato in tutto nei Paesi e negli Stati qui sì autorevolmente rappresentati, epperò dovunque altrove la Tutela del Diritto sia assunta direttamente da Chi è in condizione d'esercitarla; onde converremo che tutti gli altri Stati sieno ricondotti sotto la Sovrana Protezione di Coloro che la Provvidenza ha costituito a tal uopo, e segnatamente la Provincia Veneta, i Ducati di Parma, Piacenza e Guastalla, di Modena e Reggio, di Lucca, il Granducato di Toscana e il Regno della Serenissima Madre del Signore in Genova all'Imperatore d'Austria e Re di Boemia, Polonia, Ungheria, Illiria, Lombardia, ora ancor nuovamente Re di Germania, dove in fraterna concordia col Re di Prussia veglierà sulla Pace e la Giustizia dei Popoli nel cui seno anche la misera persona che si sta rivolgendo alle SS.VV. ha iniziato la propria esistenza terrena...
»
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Paolo gli risponde:
Questo per dirmi dell'improbabilità del POD, giusto?
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Ma Bhrghowidhon si affretta a puntualizzare:
No no, neanche per sogno! Il Punto di Divergenza è probabile eccome; era invece per sottolineare la disastrosità del medesimo per l'Austria, donde la proposta di un omologo Punto di Divergenza massimamente favorevole (tutto qui).
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Degna di nota è l'idea di Alberto Costantini:
« Marzo 1848. S.M.I.R.A., preso atto della volontà dei popoli del Regno Lombardo-Veneto di aderire ad una Confederazione di Stati Italiani, ha concesso alle Congregazioni Centrali di Milano e Venezia di avviare trattative a questo fine; Sua Maestà si dichiara altresì disponibile ad interpellare i suoi fedeli Popoli in merito alla forma di Governo, fermo restando che in nessun caso la sovranità potrà essere ceduta a qualsivoglia Sovrano, Italiano o Straniero. »
Cattaneo e Manin, superando l'opposizione filo-sabauda, accettano immediatamente. L'Austria consente ai soldati di lingua italiana di mettersi agli ordini dei Governi provvisori che, arruolando volontari, richiamando i militari in permesso e in congedo, e assumendo ufficiali svizzeri, creano un esercito Lombardo-veneto di 80mila uomini. Carlo Alberto protesta; Ferdinando II abbozza; Pio IX lancia la proposta di un'Assemblea di rappresentanti nominati dai Principi Italiani per redigere uno Statuto. 1849 nasce la Confederazione Italiana, con capitale Roma, un esercito comune, un mercato comune e una politica estera concordata. La sovranità è affidata al papa. Il Regno Unito e l'Austria si affrettano a riconoscere la nuova entità, per sbarrare eventuali iniziative francesi.
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Diamo ora la parola ad Alessio Mammarella:
Se non ricordo male, nel 1847 Regno di Sardegna, Granducato di Toscana e Stato della Chiesa avevano firmato un accordo preliminare per la formazione di una Confederazione. I fatti del 1848-49 avevano scombussolato tutto, ma se ipotizziamo che Vittorio Emanuele II scelga di revocare lo Statuto Albertino e di darsi un Primo ministro gradito all'Austria, potremmo anche pensare che quel progetto venga ripreso, individuandolo come utile per soddisfare i liberali ed isolare politicamente i democratici. Se Torino avesse seguito quel tipo di politica, non ci sarebbe stato l'intervento in Crimea e l'avvicinamento politico a Napoleone III avrebbe potuto essere solo sulla base della protezione di Roma: magari i bersaglieri sarebbero entrati a Roma non per annetterla, ma proprio per proteggere il potere temporale.
Ora, questo ci condurrebbe a un 1859 diverso, in cui non c'è una guerra franco-asburgica, ma i democratici italiani che avrebbero fatto? OK, Garibaldi effettuò la Spedizione dei Mille, nel 1860, perché era abbondantemente sponsorizzato godeva del supporto logistico dello stato sabaudo e della complice benevolenza britannica (difficile chiedere di più). In "questo" 1860 non ci sarebbe stata una delle tre condizioni, ma le altre due magari ci sarebbero state ugualmente. Anzi, a maggior ragione i britannici, privi di uno stato liberale nella penisola al quale appoggiarsi, avrebbero concentrato tutte le loro attenzioni sul sostegno al movimento democratico. Il Regno delle Due Sicilie, inoltre, era viziato da infedeltà ad alti livelli delle istituzioni e delle forze armate. Sarebbe ingeneroso verso il talento di Garibaldi sostenere che chiunque al posto suo ce l'avrebbe fatta, ma diciamo che forse si sarebbe potuto vedere a Napoli anche un colpo di Stato, oppure una congiura contro il giovane sovrano Francesco II all'interno della stessa famiglia reale. Insomma, tutto ciò per dire che forse la Spedizione dei Mille potremmo considerarla ugualmente.
L'esito, se vogliamo restare ancorati all'idea di una Italia divisa, dovrebbe essere uno stato repubblicano e sostanzialmente all'avanguardia. Se invece volessimo ipotizzare che qualcuno sarebbe andato a sventare le velleità garibaldine allora non potremmo che pensare alla Confederazione, e dunque a una entrata del Regno delle Due Sicilie nella medesima e un intervento delle truppe piemontesi di stanza a Roma (piemontesi e napoletani che sconfiggono insieme Garibaldi nella battaglia del Volturno?).
Siccome io non voglio stravolgere l'ucronia preferirei l'ipotesi della Repubblica... che paradossalmente potrebbe trovarsi ad avere come unica potenza benevola la Gran Bretagna vittoriana!
La guerra austro-prussiana ci sarebbe stata? Penso di si, le vicende italiane erano ininfluenti rispetto a quella, ma la Confederazione, comprendendo lo Stato della Chiesa, avrebbe mantenuto probabilmente la neutralità. Diciamo che potremmo arrivare senza particolari annotazioni fino alla I Guerra Mondiale, anche questa indipendente dalle vicende italiane (non ci vedo alcun collegamento con la guerra di Libia: se è vero che quella accese anche le guerre balcaniche, la questione bosniaca era sorta precedentemente).
Nella Grande Guerra, ancora una volta la Santa Sede sarebbe stata decisiva nel determinare la neutralità. La Repubblica (italiana? napoletana? duosiciliana?) invece avrebbe probabilmente scelto di stare con l'Intesa, sin dall'inizio, per ragioni ideologiche. Priva di un confine diretto con gli Imperi Centrali, avrebbe combattuto soprattutto in Adriatico e sul fronte balcanico. Dopo la guerra sarebbe stato nell'ordine delle cose un protettorato sull'Albania, mantenendo comunque un buon rapporto con le nazioni balcaniche che avevano combattuto con l'Intesa (Grecia, Serbia-Iugoslavia).
Nella Confederazione, a condurre al potere Mussolini sarebbe stato non il mito della vittoria mutilata, ma quello della "mancata occasione": la guerra al fianco dell'Intesa avrebbe consentito di inglobare la Confederazione alla Lombardia e al Veneto (che invece, in questo scenario, potrebbero essere rimaste parte dell'Austria... Trieste e Gorizia forse sarebbero passate alla Iugoslavia, in mancanza di rivendicazioni da altre parti). L'azione di Mussolini dunque non sarebbe stata contro le potenze straniere ostili, bensì verso la chiesa e in generale le forze conservatrici da sempre troppo legate all'Austria per poter pensare di combatterci contro. Il Fascismo dunque avrebbe preteso l'abolizione del potere temporale e il passaggio della presidenza della confederazione dal Pontefice al Re di Sardegna.
N.B. Da questo punto in poi sono proprio partito per la tangente...
Vittorio Emanuele III, Re di Sardegna, asseconda Mussolini e si proclama "Re d'Italia". La Confederazione viene ristrutturata come stato unitario e contemporaneamente come stato autoritario fascista. Nel frattempo a Napoli diventa Presidente l'intellettuale Gabriele D'Annunzio, già eroe di guerra. Pur essendo a sua volta un nazionalista, D'Annunzio non intacca minimamente le istituzioni democratiche. Ambedue i leader parlano di unificare l'Italia, solo che uno lo fa nel nome del fascismo, l'altro nel nome della democrazia. Dopo la morte di D'Annunzio, i suoi successori accantonano la questione unitaria dando la priorità a riforme sociali, a causa della crisi economica internazionale.
Altri leader politici seguono l'esempio di Mussolini, compresa l'Austria e compresa la Germania, dove si afferma Hitler. Quest'ultimo, che è nato e cresciuto in Austria, tenta subito di annettere quest'ultima alla Germania. Mussolini si oppone, ma le truppe tedesche, nonostante soffrano ancora delle limitazioni dovute ai trattati prebellici, si dimostrano più forti rispetto a quelle del Regno d'Italia. Umiliato dalla sconfitta, Mussolini si proclama comunque vincitore annettendo, in luogo della tanto desiderate Lombardia e Veneto, i piccoli ducati di Parma e Modena, peraltro già da tempo sotto l'influenza fascista.
Dopo la sconfitta patita da Hitler, comunque, Mussolini svolta nettamente a favore di Francia e Gran Bretagna, prima guardate con diffidenza in quanto nazioni "plutocratiche" e punta a fermare Hitler. Nel 1938, dopo un crescendo di provocazioni, Francia, Gran Bretagna ed Italia dichiarano guerra alla Germania. I tedeschi, tuttavia, sono molto più pronti a un conflitto: dopo una rapidissima vittoria contro la Francia, che taglia fuori le truppe britanniche dal continente, i tedeschi attaccano il Regno d'Italia. Una serie incredibile di errori e defezioni negli alti comandi vanifica qualsiasi tentativo di resistenza del Regio Esercito. Le truppe tedesche puntano su Roma, e vengono respinte, solo momentaneamente, dalle truppe della Repubblica Italiana. Successivamente queste devono ripiegare, tuttavia l'ingresso nel paese di numerose truppe alleate (britanniche, greche, polacche, truppe coloniali francesi), la natura difficile del territorio e soprattutto le ambizioni di Hitler verso ben altre imprese consentono di mantenere un fronte stabile tra le valli dei fiumi Sangro e Garigliano.
Successivamente Hitler inizia una serie di aggressioni a est, sottomettendo la Polonia la Iugoslavia e la Grecia. Altre nazioni come Ungheria, Romania e Bulgaria scelgono di collaborare con i nazisti invece che combatterli. Tutte queste manovre sono preparatorie rispetto all'attacco all'URSS. Il volgere al peggio di tale campagna e l'intervento degli USA volgono il conflitto a sfavore della Germania, che infine viene sopraffatta. Sul fronte italiano, i tedeschi perdono progressivamente terreno fino alla liberazione finale di Milano e di Venezia.
Il Regno d'Italia riceve Lombardia e Veneto dal trattato di pace, come premio per la partecipazione al conflitto contro Hitler, anche se un referendum costituzionale sancisce l'eliminazione della dinastia Savoia, compromessa con il fascismo. Lo Stato prende il nome di Repubblica Federale Italiana e ripristina, con inevitabili correzioni dovute alla nuova realtà sociale ed economica, l'autonomia degli stati preesistenti alla fondazione della Confederazione Italiana.
A sud di Roma resta la Repubblica Italiana. Anche qui si tiene un referendum per stabilire se chiamare la Repubblica "Democratica" in modo da distinguerla meglio rispetto a quella "federale". L'opzione tuttavia viene respinta, considerando anche che, con quella denominazione, il paese potrebbe essere erroneamente scambiato per una "democrazia popolare".
Negli anni successivi tutti e due gli stati italiani aderiscono alla NATO e partecipano al processo di integrazione europea. A più riprese le due repubbliche italiane tengono colloqui pensando a una riunificazione: '70 (Andreotti-Moro), '80 (Craxi-De Mita), '90 (Berlusconi-D'Alema). Dopo il fallimento dell'ultima serie di colloqui, l'adozione dell'euro ha fatto insorgere l'esigenza di una maggiore convergenza economica, la Commissione UE ha più volte dichiarato che non accetterebbe una unificazione se non dopo una perfetta armonizzazione macroeconomica. L'attuale Primo ministro della Repubblica Italiana, Giuseppe Conte, ha comunque dichiarato che « il sogno di Garibaldi, fondatore della nostra patria ma prima di tutto italiano, non può essere compresso per un tempo indefinito dal tecnicismo arido dei parametri finanziari. » A queste affermazioni tuttavia, il Premier della Repubblica Federale Italiana, Matteo Salvini, ha risposto con una certa freddezza.
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Diamo spazio alla pensata di Alessio Benassi:
Con l'ingresso del Regno di Sardegna nel conflitto, il peso diplomatico della vittoria sul Cernaia, il Conte Camillo Benso di Cavour propone uno scambio alle potenze. I Duchi di Modena e Reggio della Casa di Asburgo Este lasceranno il loro territorio italiano in cambio della sovranità sulla Valacchia e sulla Moldavia, mentre il Duca di Parma e Piacenza della Casa di Borbone Parma cederà il territorio italiano eccezion fatta per il Ducato di Lucca e Massa. I territori ceduti andranno annessi al Regno di Sardegna come "compensazione per lo sforzo bellico intrapreso", la proposta di Cavour viene ben accolta dai governi di Francia, Prussia, Impero Ottomano e dell'Austria (lieta degli interessi sulla regione danubiana) unici contrari gli inglesi.
Nella conferenza di pace di Parigi del 1856, il protocollo di Cavour viene vagliato e approvato, un intera giornata viene dedicata alla cosiddetta "situazione italiana". Nel giro di un mese il Duca di Modena lascia il suo territorio e si dirige a Vienna, diretto successivamente a Bucarest. Idem il Duca di Parma che lasciata la città si dirige a Lucca, mentre funzionari sabaudi raggiungono le città di Parma, Modena, Reggio e Piacenza per predisporre l'annessione al Piemonte. Il successo diplomatico di Cavour si arricchisce con una politica di sviluppo economico negli ex ducati, atta a svilupparne l'economia, dalla produzione cerealicola alle opere di canalizzazione e costruzione di strade ferrate. Inoltre il "Tessitore" avvicina la politica piemontese alla cancelleria di Parigi, incontrando Napoleone III e di lì a breve ottenere i cosiddetti "Accordi di Plombiéres".
La politica bonapartista francese vede negli accordi segreti con il Piemonte un riassetto degli stati italiani, infatti in caso di guerra da parte dell'Austria, Parigi avrebbe fornito aiuto al Piemonte, e in caso di successo Torino avrebbe ottenuto il Lombardo Veneto, il Granducato di Toscana tolto agli Asburgo Lorena sarebbe andato a Gerolamo Bonaparte con l'aggiunta delle Romagne e dell'Umbria infine le due Sicilie alla dinastia Murat.
Allo scoppio della seconda guerra d'indipendenza nel 1859, voluta e innescata da Cavour, le forze austriache attaccano il Piemonte nella Lomellina e nel vercellese, ma l'allagamento voluto delle risaie rallenta l'invasione mentre le forze Sarde di La Marmora attendono i francesi. Contemporaneamente in Emilia le forze sabaude lì dislocate, comandate da Cialdini si organizzano per resistere ad eventuali attacchi sul Po.
Con l'arrivo dei francesi e di Napoleone III in persona, sfruttando le ferrovie piemontesi le forze alleate e quelle austriache ben presto si trovano sulla linea del Ticino prima e del Naviglio poi, ne consegue la battaglia di Magenta che impegna uno sforzo umano enorme. Contemporaneamente le forze sabaude e francesi di Cialdini attraversano il confine sud, marciando in direzione di Crema, Cremona, Pavia e Mantova. Con la sconfitta austriaca a Magenta e lo sgombero di Milano, dove entreranno Napoleone III e Vittorio Emanuele II trionfalmente, gli austriaci si dirigono verso il Mincio dove trovano Mantova già in mano a Cialdini e ai francesi che si attestano a fermare la ritirata. Von Benedect è preso tra due fuochi e cade prigioniero nei pressi di Brescia, inoltre Garibaldi con i suoi cacciatori delle Alpi libera Como e la fascia prealpina.
Quando l'Imperatore Francesco Giuseppe raggiunge Vicenza con i rinforzi, non può fare altro che constatare la caduta di Verona, Legnago e Padova nelle mani dei franco - piemontesi, ma l'Imperatore da ordine di attaccare assumendo il comando delle operazioni, nei pressi di Custoza le forze alleate affrontato gli austriaci, dopo più di dieci ore di combattimenti gli austriaci sono sconfitti.
Il giorno successivo a Vicenza, Francesco Giuseppe accetta le condizioni di Napoleone III, la cessione del Lombardo Veneto ma il permesso di conservare il Trentino. La scelta francese era dovuta all'alto numero di morti, alla minima ricompensa della Savoia e Nizza e soprattutto ai moti scoppiati a Lucca, Massa, Firenze e Bologna, sostenuti da Cavour, portano all'annessione della Toscana e della Romagna al Regno di Sardegna insieme ovviamente al Lombardo Veneto.
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E ora, la parola ad Enrico Pizzo:
L'Austria-Venezia-Ungheria
Nel Luglio 1866, dopo
aver oltrepassato il Po, i soldati del Generale Cialdini procedettero in un
tempo relativamente breve ad occupare il Veneto.
Questo risultato era stato reso possibile dalla decisione Austriaca di ritirare
dal fronte sud gli uomini li disponibili per spostarli a nord in funzione
anti-Prussiana, avviando contemporaneamente trattative con Napoleone III
affinché convincesse il Regno d'Italia ad uscire dal conflitto.
Riflettere su queste cose mi ha suggerito un POD in 3 punti che, in deroga a
quanto faccio di solito, proverò a descrivere più dettagliatamente.
Supponiamo che il 4 Luglio, immediatamente dopo la sconfitta di Sadowa,
l'Imperatore Francesco Giuseppe:
1 - ordini si il ritiro
di una parte delle truppe dislocate in Veneto, ma questo dovrà effettuarsi
contestualmente al taglio degli argini dei fiumi Adige, Frassine, Tartaro e
Brenta in modo da allagare le valli, lasciando quindi all'acqua il compito di
fermare Cialdini
2 - contemporaneamente avvii dei contatti diplomatici con Napoleone III affinché
convinca il Regno d'Italia ad uscire dal conflitto offrendo in cambio la
cessione della riva Dx dell'Adige
3 - informi la Cancellerie di tutta Europa che, pur mantenendo per se il titolo
di Imperatore d'Austria, abdica da Re del Lombardo-Veneto in favore del nipote
Carlo Ludovico, rendendo così il Lombardo-Veneto realmente indipendente, seppur
nell'orbita Austriaca
Come potrebbe cambiare la Storia?
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Gli risponde per primo Bhrghowidhon:
L'offerta sarebbe stata comunque respinta da Vittorio Emanuele; l'Indipendenza era una parola vuota (infatti il Veneto nel 1866 è diventato ancor meno indipendente), ciò che tutti volevano – ognuno per sé – era l'annessione e basta. Per cambiare la Storia nel 1866 devono essere sconfitti i Savoia e tutto il Regno d'Italia e, siccome di fatto lo sono già stati, devono essere sconfitti anche i Prussiani.
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Alessio Mammarella obietta:
A proposito, forse se nel 1866 non ci fosse stata l'annessione del Veneto, trovo difficile che l'Italia sarebbe mai stata triplicista. Un conto era chiudere un occhio su Trento e Trieste perché lo schiaffo di Tunisi faceva più male (che poi, su questa storia dello schiaffo di Tunisi sono sempre stato perplesso, la Tunisia interessava all'Italia come colonia, un pezzo di patria è un'altra cosa), un conto è Venezia ancora irredenta. Però con l'Italia nell'Intesa, forse la Grande Guerra sarebbe potuta scoppiare al tempo della seconda crisi marocchina (1911)?
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Interviene William Riker:
Esiste una possibilità che non abbiamo mai esplorato. Giolitti propone alla Duplice Monarchia di cederle le colonie africane di Eritrea e Somalia e le rivendicazioni sull'Abissinia, in cambio del Veneto. Cecco Beppe si era sempre rifiutato di mollare volontariamente parti del suo territorio, ma a Schönbrunn o a Badl Isch qualcuno potrebbe fargli notare l'importanza di una colonia in Africa, e lo scambio si potrebbe fare. Così Roma si libera della palla al piede africana (le colonie per noi furono sempre foriere di bilanci in rosso) e completa il Risorgimento, in attesa dell'occasione buona per Trento e Trieste. Vienna dal canto suo aveva provato più volte, inutilmente, a portare avanti una sua politica coloniale, e questa offerta sa di "Adesso o mai più". Come se la caveranno gli austroungarici a Dogali e ad Adua? La Libia sarà annessa prima, per compensare la perdita del Corno, o rinunceremo alle avventure coloniali almeno fino all'avvento di Benito o di qualche altro governo autoritario ed imperialista?
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Ma Bhrghowidhon scuote la testa:
Il Veneto era prezioso per l'Austria tanto quanto per l'Italia, neanche una virgola di meno; in generale, nessuna Potenza europea scambierebbe un pezzo di territorio metropolitano per una Colonia (l'unico caso credo che sia Helgoland, ma è particolarissimo). In pratica, Vienna avrebbe ceduto il Veneto solo in cambio di... Costantinopoli. Già Salonicco non sarebbe sufficiente. Non lo dico io, è quello che pensavano loro.
Comunque, per tornare all'ucronia iniziale, ammettiamo che fra Guerra e Diplomazia il conflitto del 1866 si risolva senza cessione del Veneto alla Francia (neanche nella Storia reale l'Austria è stata sconfitta e invasa dall'Italia, per cui è più ucronica la Storia che l'Ucronia): nel 1896 Re di Venezia sarebbe Francesco Ferdinando (Pretendente anche di Modena) e potrebbe non visitare mai Sarajevo né altri luoghi ‘pericolosi'. Alla morte di Francesco Giuseppe, l'Unità Imperial-Regia sarebbe ristabilita.
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Tommaso Mazzoni aggiunge:
Eventualmente poi su richiesta della moglie Francesco Ferdinando potrebbe stabilire che l'erede del Veneto sia suo figlio Massimiliano. Non credo che il Parlamento Veneto avrebbe difficoltà a farlo e un padre deve pur lasciare qualcosa ad uno dei suoi figli. E mentre trovare nella Dieta Austroungarica appoggio per un cambio di successione sarebbe difficile, in Veneto dopo 50 anni penso che ci sarebbe un partito indipendentista abbastanza forte da favorire una simile decisione.
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Riprende la parola Bhrghowidhon:
Questo rischierebbe di costargli la Successione in Austria-Ungheria. È più verosimile che, come nella Storia reale, tutto venga ereditato comunque da Carlo I. e che poi questi, come ha fatto davvero, lasci quasi immediatamente in eredità separata la rivendicazione di Modena e Reggio al secondogenito Roberto d'Austria-Este, secondo l'antica clausola che non potessero mai essere uniti all'Austria.
E se anche lo facesse dopo la morte di Francesco Giuseppe, se non era Sovrano Assoluto, glielo impedirebbe il fatto che la Successione era ormai regolata da quando Francesco Giuseppe era in vita: avrebbe dovuto togliere Carlo dalla Successione del solo Veneto, mettendo così le premesse per una Guerra di Successione fra i due Stati (Austria-Ungheria e Veneto).
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Tommaso però non si arrende:
Infatti dal solo Veneto, e Carlo non avrebbe alcun motivo valido per fare la Guerra al Veneto visto che la Successione al trono veneto dipende dal Re, dal Parlamento e dalla Costituzione del Veneto e non dalla Real-Imperial casa. Ai primi del '900, anzi forse a metà (quando muore Francesco Ferdinando)non si possono più fare le guerre per dispute dinastiche. Ma poi Carlo? Quello che voleva fare la pace? Non c'è lo vedo assolutamente a dire " invadiamo il veneto per togliere il trono a mio cugino" Se Francesco Ferdinando succede poi del Veneto fa quello che vuole, se riesce a farlo andar bene ai veneti, che dopo quasi un secolo probabilmente sarebbero contenti di conservare un sovrano nazionale. E quindi secondo me è molto probabile che succeda. Magari però in tempi recenti l'Unione si ripete, mi pare che i discendenti di Francesco Ferdinando passino alla linea femminile ad un certo punto. Oltretutto, bisogna anche vedere quando muore Carlo. Se muore nel '22 come in HL allora l'erede è Ottone che sarebbe allevato dallo Zio, il quale si premurerebbe di fargli accettare la successione.
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E neanche Bhrghowidhon:
Il Capo dell'Arcicasa aveva facoltà di disporre delle Successioni. Dato che i figli di Francesco Ferdinando sono nati quando Francesco Giuseppe era in vita, la Successione sarebbe stata ratificata da tutti gli Organi competenti entro il 1916 (e anche prima). A quel punto il Successore sarebbe stato Carlo e ogni cambiamento sarebbe stato come una Secessione. Se invece così non fosse stato (ossia Carlo non fosse stato nominato Successore), Francesco Ferdinando non sarebbe stato Erede al Trono Austro-Ungarico.
Il Tuo ragionamento si basa sull'unico presupposto che «un padre deve lasciare qualcosa ad uno dei suoi figli»; argomento di buon senso, ma non più di questo. Nell'ucronia che stiamo discutendo, l'alternativa sarebbe: o accettare la Successione di Carlo o rinunciare all'Austria-Ungheria. Ovviamente, dato che non cambi mai idea, sosterrai che è impossibile la prima alternativa, mentre la seconda è necessaria. Il tutto per salvare una considerazione di elementare buon senso.
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Come al solito, Tommaso non si intestardisce:
Francesco Ferdinando avrebbe un po' di tempo per far digerire ai notabili Austro Ungarici la cosa. Che a ripensarci non capisco perché dovrebbero fare storie, il Veneto sarebbe rimasto indipendente e sovrano anche in unione personale con l'Austria -Ungheri, al massimo il Veneto sarebbe diventato il terzo regno di una triplice Monarchia e questo in realtà potenzialmente è un problema sia per l''Austria che per l'Ungheria. Quindi cos'ha da guadagnare l'Austria-Ungheria dal mantenimento dell'Unione personale con il Veneto? Trattasi di una domanda reale magari sono io che non vedo i vantaggi per Vienna e Budapest, vantaggi non ottenibili anche con trattati bilaterali e alleanze. Del resto Venezia non potrebbe prescindere dell'amicizia con Vienna, quindi, che gliene cale a Vienna ( e a Budapest) se sul trono di Venezia siede Massimiliano I o Carlo II? Comunque sempre fidati alleati economici e militari devono essere. Domanda autentica eh. Se si parlasse di riannessione all'Austria, capirei, ma a quel punto col cavolo che il Senato Veneto approverebbe. Davvero all' Austria-Ungheria interesserebbe diventare Austria-Ungheria-Veneto? Altra domanda reale.
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Bhrghowidhon invece replica pacatamente:
Sì, per due ragioni.
La prima è che il Lombardo-Veneto era per l'Austria-Ungheria ciò che l'Alsazia-Lorena era per la Francia: una parte irrinunciabile del territorio dello Stato (anche l'epoca della perdita era quasi la stessa in entrambi i casi). Già prima del 1866 l'Unione era come quella fra Austria e Ungheria; a maggior ragione lo sarebbe stata dopo. Una volta riottenuta (con Francesco Ferdinando), farla di nuovo passare a Unione solo Dinastica (senza più prospettive di riunificazione) sarebbe stata una ulteriore umiliazione (altro che Olmütz!), tanto più dopo una solenne ratifica da parte dei Parlamenti interessati. Questo per quanto riguarda l'Opinione Pubblica (di tutta la Monarchia).
C'è poi una seconda e più sottile ragione. Il Progetto Trialista di Francesco Ferdinando era notoriamente bloccato dall'Ungheria; l'Unificazione – trialista fin dall'origine – col Lombardo-Veneto (sia pure ridotto a meno del Veneto storico, ma pur sempre Lombardo-Veneto di nome) avrebbe non solo introdotto il Trialismo all'istante e senza possibilità di obiezioni, ma addirittura – grazie al fatto che lo stesso Lombardo-Veneto era una Duplice Monarchia – costituito un precedente inaggirabile per riformare dall'interno in senso federalistico sia la Cisleithania (Boemia e Galizia-Lodomiria in rapporto all'Austria come il Veneto in rapporto alla Lombardia) sia la Transleithania (altrettanto per Transilvania e Croazia-Slavonia rispetto all'Ungheria) senza toccare formalmente il Compromesso del 1867. Nessuno più di Francesco Ferdinando avrebbe tratto beneficio complessivo da tale Unione.
Con ciò passiamo al punto successivo. Che la Grande Guerra scoppiasse in occasione della Seconda Crisi Marocchina non vedo come potesse essere determinato da una precoce adesione italiana all'Intesa: la Germania è già rimasta di fatto sconfitta e, se l'Intesa fosse stata ancora più forte, il cambiamento più verosimile è che la sconfitta tedesca sarebbe stata pure anticipata.
La Seconda Crisi Marocchina era però solo un esempio. Per non alterare troppo il quadro, poniamo che le vicende della Bosnia siano tali e quali (altrimenti verremmo accusati di manipolare la Storia per favorire l'Austria). In questa ucronia, diventa meno probabile che Francesco Ferdinando venga assassinato a Sarajevo (o comunque da “Serbi”); per quanto divenga relativamente più probabile che lo sia a Venezia, non lo possiamo dare per certo, dunque come minimo dobbiamo sdoppiare la successione degli eventi.
Nel caso – finora preso in considerazione – che Francesco Ferdinando non premuoia a Francesco Giuseppe o comunque non cada vittima di un assassinio politico, è possibile che la Guerra Mondiale non scoppi proprio. Il conflitto può esplodere solo se il ruolo della Serbia è giocato dall'Italia; però in questo caso la catena delle alleanze produce un risultato diverso. Come visto, Erede di Francesco Ferdinando è Carlo, che, per come lo conosciamo, con ogni evidenza non cercherà la guerra con l'Italia.
A questo punto, il dilemma sarà: guerra o no? La risposta è abbastanza sicura: sì solo se sarà l'Italia ad attaccare. Quindi, probabilmente, no (col che si ritorna a uno scenario simile a quello con Francesco Ferdinando vivo); resta solo l'eventualità che sì, nel quale caso l'appoggio dell'Intesa non scatterà, sia perché la Guerra Italo-Venetoaustrotedesca non sarà di difesa da un attacco della Triplice Alleanza sia perché la Francia non rischierebbe né sguarnire il confine col Reich né di attaccare per prima uno Stato (la Germania) con cui non è in guerra.
L'esito dell'eventuale guerra è dunque scontato: vittoria della Triplice Alleanza e riannessione, come minimo, dell'intero Lombardo-Veneto (ma, molto più probabilmente, spartizione dell'intera Italia – come l'Austria-Ungheria è stata spartita nel 1919 – attraverso l'annessione diretta della Toscana all'Austria, la restaurazione di Parma e di Modena – quest'ultima con Roberto d'Asburgo-Este – nonché dello Stato Pontificio e, date le condizioni dell'epoca, l'espansione della Lombardia a Piemonte e Liguria di allora). La resa di Vittorio Emanuele III. senza condizioni gli avrebbe forse lasciato la Sardegna; a Napoli, nel caso meno favorevole agli Imperi Centrali sarebbero stati restaurati i Borboni.
Tutto questo rende ben poco verosimile che la guerra scoppi; perciò possiamo ritornare allo scenario “irenistico”, con o senza morte prematura e violenta di Francesco Ferdinando. Né questi né Carlo avrebbero cercato la guerra, tantomeno il giovanissimo Ottone. Soprattutto – ciò che è fondamentale – nessuno dei tre, se non attaccato direttamente (e non si vede da chi, se non dalla Serbia o dalla Russia), si sarebbe lasciato trascinare in un conflitto europeo da eventuali intemperanze geostrategiche del Kaiser Guglielmo (fosse anche al prezzo di far fallire l'Unione Mitteleuropea, che in qualsiasi altro caso sarebbe stata la prima tappa successiva di qualsiasi sviluppo ucronico).
Esaminiamo allora lo scenario in cui è la Serbia ad attaccare (Nicola II. non lo avrebbe fatto per primo). Senza un attacco esplicito, come visto, né Francesco Ferdinando – se vivo – né Carlo avrebbero fatto (o lasciato fare) come Francesco Giuseppe. La Bulgaria non aveva alcuna intenzione di ricominciare una nuova guerra; la Sublime Porta aveva ottime ragioni per evitarla a propria volta. Anche in questo scenario, dunque, la prospettiva può solo essere che la Serbia, garantitasi dalla Bulgaria, attacchi per prima – senza dunque poter costringere la Russia a soccorrerla – e però di conseguenza si ritrovi contro la Quadruplice Alleanza (Romania compresa): assolutamente inverosimile, dato l'esito garantito.
Per tutto ciò, un conflitto europeo con coinvolgimento dell'Austria-Ungheria non scoppierebbe per decenni. Rimane soltanto un'eventualità: che il Reich finisca per provocare una guerra con l'Intesa (Russia compresa) per ragioni coloniali (uno scenario simile a quello evocato da Alessio, ma più tardi). In tal caso, se intervenissero gli Stati Uniti (come probabile) alla fine lo perderebbe e si potrebbe arrivare al Nazismo come nella Storia reale, però già con la differenza che non avverrebbe alcun Anschluß e, si noti bene, con Carlo od Ottone o comunque un Asburgo come Re di Polonia e pure come Re d'Ucraina (dato che è chiarissimo che perfino l'Intesa, senza un conflitto con l'Austria-Ungheria, preferirebbe un Asburgo in Ucraina alla [ri]annessione di quest'ultima all'Unione Sovietica).
Che cosa sarebbe accaduto all'Italia? Nel caso di attacco da parte tedesca a una Potenza dell'Intesa, tutte le altre (aderenti a quest'ultima) sarebbero entrate in guerra. La vicenda di Mussolini sarebbe stata molto simile, solo senza guerra di trincea. Certamente le delusioni coloniali sarebbero state altrettanto brucianti (tanto più in assenza di soddisfazioni irredentistiche); in complesso, è più verosimile che si arrivasse ugualmente al Fascismo anziché no.
Vediamo allora il 1939 ucronico. È chiaro che l'Austria-Ungheria non può in alcun modo essere paragonata al ruolo geopolitico della Cecoslovacchia o della Polonia nei confronti del Terzo Reich nella Storia reale: a Hitler sarebbe bastato che Carlo (se ucronicamente ancora vivo) od Ottone tenessero una condotta di tipo ‘bulgaro'. Di conseguenza, Mussolini avrebbe puntato all'Albania e poi alla Grecia, come nella Storia vera. Per farlo, si sarebbe dovuto assicurare il non intervento austro-ungarico: lo scenario migliore per questo è che Carlo od Ottone entrino nell'Asse (il che, contrariamente a molto ucronie discusse, è tutto sommato verosimile; all'epoca sarebbe stato per amor di pace e – perché no – per antibolscevismo, data anche la Guerra Civile in Spagna). Il Patto Ribbentrop-Molotov avrebbe riguardato i soli Paesi Baltici, compresa la Finlandia, ma non la Romania, ancora alleata di Vienna e quindi già nell'Asse. Con Danzica all'Austria-Ungheria-Polonia, l'omologo di Monaco sarebbe stata appunto la spartizione tedesco-sovietica del Baltico, seguìta dalla Guerra Russo-Finlandese, ma (ancora) senza Seconda Guerra Mondiale.
Il momento cruciale arriva nel 1941. Mussolini non ha ancora attaccato la Grecia (che ha la garanzia britannica, di cui il Duce è costretto a tener conto); la Serbia aderisce all'Asse, dopodiché il Colpo di Stato del 27. marzo capovolge la situazione. Hitler sta preparando l'Operazione Barbarossa, ma gli Inglesi non sono a Creta. Il Führer (che ha annesso la Lituania e in più almeno anche parte della Lettonia, se non altro la Curlandia) può contare sull'Italia-Albania-Etiopia, la Monarchia Austro-Ungaro-Polacco-Ucraino-Veneta, la Romania e la Finlandia che resiste, nonché sull'appoggio svedese e (assai limitato) spagnolo e, piuttosto che niente, sulla neutralità della Bulgaria e della Turchia. In Francia, tutto dipende da chi – senza Seconda Guerra Mondiale – avrebbe vinto le prime Elezioni Legislative dopo il 1936 (presumibilmente nel 1940): tenuto conto di tutto, mi pare più probabile una conferma del Fronte Popolare. Nel Regno Unito, ugualmente plausibile mi sembra una permanenza di Chamberlain fino a poco prima della morte (9. novembre 1940), dopodiché è praticamente scontato un Gabinetto Halifax di Coalizione con i Laburisti di Attlee. Ovviamente, Rommel non è in Africa.
Dato l'intero quadro, ritengo che lo scenario più probabile sia l'inizio dell'Operazione Barbarossa nei tempi storicamente avvenuti, ma a partire da una fronte assai più avanzata, dalla Curlandia al Don. Questo cambia notevolmente il quadro storico ed è possibile che la Wehrmacht raggiunga, al più tardi nel 1942, la Linea Archángel'sk-Ástrachan'. Oltre gli Urali non riuscirebbe mai a sfondare; inoltre, non c'è Guerra del Pacifico e l'Impero del Sol Levante è totalmente impegnato nella Guerra Sino-Giapponese. Roosevelt sosterrà Stalin, ma non fino al punto di rovesciare le sorti del conflitto, che si congelerà sugli Urali e prima o poi porterà alla divisione fra Russia Europea (al Reich, compresa la Transcaucasia e a parte un'ampia espansione dell'Ucraina asburgica) e Asiatica (Unione Sovietica, comunque pur sempre lo Stato più esteso del Mondo).
Solo allora, nella generale ubriacatura per il successo della “Crociata Antibolscevica”, Mussolini – che non ha avuto alcun guadagno territoriale (se non c'è stata guerra contro la Serbia) – porrà la questione della “Giustizia Coloniale” e della Grecia. È chiaro che l'Asse (che non si estende nemmeno al Giappone) si spaccherà su questo.
In ogni caso la crisi divamperà nel 1975, quando, alla morte del Generalísimo (e col Führer Göring ormai ottantaduenne), l'Imperatore e Re Ottone – che in questa linea temporale avrebbe con ogni verosimiglianza accettato l'offerta della Corona di Spagna – si troverà di fronte, nel giorno del proprio sessantatreesino compleanno, Juan Carlos sostenuto da Roma (ormai forse con Duce Galeazzo Ciano). Se nessuna delle Potenze dell'(ex-)Asse (o almeno di quelle coinvolte) avesse ancora l'Arma Atomica, una Seconda Guerra di Successione Spagnola sarebbe probabilmente inevitabile.
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Alessio gli domanda:
Dubbio personale: nel XX secolo sarebbe ancora possibile una guerra di successione come all'epoca delle monarchie assolute? Ho qualche dubbio in proposito...
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Ed ecco la replica di Bhrghowidhon:
La premessa, naturalmente, è che anche le Guerre di Successione dell'Epoca dell'Assolutismo erano conflitti di carattere imperialistico; la Successione, più che un pretesto (come le Questioni Nazionali nell'Otto- e Novecento), era la causa prossima, paragonabile al responso delle urne nelle Elezioni Politiche. In questa prospettiva, il conflitto ucronico cui ho accennato si potrebbe anche chiamare “Seconda Guerra Civile Spagnola”; però la causa ne sarebbe effettivamente una Successione (quale Dinastia per la Spagna dopo la Restaurazione della Monarchia: nel momento in cui la Monarchia viene restaurata – e storicamente lo è stata – allora anche una Successione al Trono può diventare motivo di guerra).
Riprendo la situazione ucronica accennata la scorsa notte: la Prima Guerra Mondiale è stata limitata alla Germania contro le Potenze dell'Intesa (per cause coloniali), è finita con la sconfitta tedesca e ha portato alla fine al Nazismo e, in Italia, al Fascismo, fino all'Unione con l'Albania; la Polonia e l'Ucraina sono in Unione con l'Austria-Ungheria, come già da più di mezzo secolo il Veneto (senza Verona e il Polesine); la Seconda Guerra Mondiale è stata a sua volta limitata alla “Crociata Antibolscevica” dell'Asse Roma-Berlino-Vienna (con l'aggiunta della Finlandia e della Romania), che ha portato i confini del Terzo Reich agli Urali e a Sud del Caucaso e quelli della Monarchia Asburgica alla Volga. Berlino e Vienna hanno invece negato ogni collaborazione ai progetti mussoliniani di attacco alla Grecia, per cui l'Italia, trovandosi isolata, non ha potuto dar séguito ai proprî disegni imperialistici e colonialistici. Questa seconda “Vittoria Mutilata” ha portato all'uscita di Roma dall'Asse e al suo riavvicinamento alle Potenze Occidentali, che a propria volta ha rafforzato la posizione di Galeazzo Ciano, il quale infine diventa Duce del Fascismo alla morte del suocero. Ovviamente né Mussolini né Ciano si possono permettere di attaccare per primi, ma gli obiettivi sono tornati quelli risorgimentali e Venezia ne sta al centro, come prefigurato dal Comandante (semplicemente una trentina d'anni più tardi rispetto alla Prima Guerra Mondiale storica).
È Storia reale, a quanto pare, che nel 1961 il Generalísimo Franco abbia reiteratamente proposto a Ottone d'Asburgo-Lorena di subentrargli al momento della Restaurazione della Monarchia (come in realtà è poi avvenuto con Juan Carlos). Nella nostra Storia, Ottone ha sempre rifiutato, a motivo della lunga ssenza degli Asburgo dalla Spagna; in questa ucronia, invece, la questione assumerebbe un carattere squisitamente geopolitico e sarebbe perciò determinata dalla Ragion di Stato, che farebbe della Successione Spagnola una sorta di assicurazione contro l'Italia (ormai di nuovo il principale Nemico di Vienna), in quanto stringerebbe quest'ultima su due lati (per quanto uno di questi solo marittimo). Dunque trovo quanto mai probabile che Ottone accetti e dunque appunto il 20. novembre 1975 diventi anche Re Cattolico. Tutto ciò, d'altronde, non ha minimamente eliminato la figura di Juan Carlos di Borbone, residente a Roma: l'Italia si troverebbe ad avere nella propria Capitale il principale Pretendente (qui alternativo) al Trono di Spagna nel momento in cui sta venendo chiusa nella morsa asburgica su due lati.
In questa situazione, l'ovvia domanda è se scoppi una guerra o no. È una domanda più che lecita. In ogni caso, se dovesse scoppiare si presterebbe a essere chiamata “Guerra di Succesione”, forse ancor meglio che “Guerra Civile” nel caso che i Sostenitori di Juan Carlos fossero più forti all'Estero che all'interno della Spagna. Una guerra verso la metà degli Anni Settanta avrebbe un parallelo storico effettivo nella Guerra di Cipro dell'estate del 1974.
La deflagrazione del conflitto dipende certo anche dall'eventualità che le Potenze interessate detengano o meno armi atomiche; questo comporta una ripresa dell'ucronia del Comandante sull'Italia Potenza Nucleare, che, oltre ad avviare nel 1962 il proprio progetto di missili a testata nucleare, ovviamente non firmerebbe alcun Trattato di Non Proliferazione il 2. maggio 1975. Meno probabile è che anche l'Austria abbia l'Atomica; d‘altra parte, l'Asse Berlino-Vienna sarebbe ancora in vigore ed è molto probabile che il Reich ne abbia, per quell'epoca, una dotazione sufficiente a garantire la deterrenza anche in difesa dell'Alleato.
La strategia di Ciano sarebbe allora di provocare una sollevazione in Spagna (presumibilmente a Madrid) contro Ottone (difeso sia dai Franchisti – per disposizione testamentaria del Generalísimo – sia dagli Autonomisti Catalani) e a favore di Juan Carlos: ciò costringerebbe Vienna a intervenire e sarebbe facilissimo un passo falso tale da presentarla nel ruolo di Aggressore contro l'Italia, il che farebbe scattare l'Intervento dell'Intesa (al prezzo però di quello del Terzo Reich in “solidarietà nibelungica”). Questa costellazione scongiurerebbe il rischio di una Terza Guerra Mondiale – a causa dell'Equilibrio del Terrore – e quindi potrebbe contenere il conflitto entro dimensioni favorevoli all'Italia: (Seconda) Guerra Civile in Spagna e confronto indiretto fra Italia e Monarchia Asburgica, senza che quest'ultima possa rovesciare nella partita tutto il proprio potenziale bellico (che soverchierebbe l'Italia).
È il periodo che corrisponde agli Anni di Piombo noti e quindi anche in Veneto e in Lombardia agirebbero gruppi di “Indipendentisti” o, meglio, Secessionisti (rispettivamente antiaustriaci e antiitaliani): nel Veneto sarebbe ovvio il richiamo alla Repubblica di San Marco del 1848-1849, invece in Lombardia, essendo improponibile il simbolo della Lega, si può pensare a qualcosa di denominabile più o meno come “Brigate Barbarossa”.
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A questo punto nella discussione si inserisce Perchè No?:
:Se la guerra di
successione comporta un cambiamento epocale del modello di società, può darsi.
Esempio: il Giappone.
Anno 20XX: scoppia una guerra civile in Giappone attorno alla scelta del nuovo
Tennô.
Da una parte c'è l'erede ufficialmente intronizzato a forza dal PLD, il principe
Hisahito di Akishino. E sostenuto dall'estrema destra che vorrebbe conservarlo
come simbolo del Giappone eterno (o almeno del LORO Giappone) e di una
restaurazione imperiale in senso militarista. É stato imposto all'ex imperatore
Naruhito contro la sua volontà. Hanno il sostegno della JSDF.
Dall'altra i ribelli sostengono i diritti di Aiko, principessa Toshi, di salire
sul Trono del Crisantemo come prima donna imperatore dal XVIII secolo. Aiko è
sostenuta dalla società civile e da tutta l'opposizione politica. Prima di
morire in circostanze misteriose, suo padre le aveva fatto portare le insegne
imperiali (direttamente ricevute dalla dea Amaterasu) rendendola legittima. I
suoi oppositori però gridano alla violazione delle tradizioni (risalenti al XIX
secolo) della casata imperiale. La principessa è fuggita a Okinawa, è passata
dalla parte ribelle e de facto indipendente dalla metropoli, l'ex giornalista
Itô Shiori è stata nominata premier dall'imperatrice. Nelle grandi città come
Tokyo e Osaka la guerra di successione ha provocato una rottura nella società
tra il vecchio ordine patriarcale giapponese e una gioventù disperata di non
essere ascoltata dai numerosissimi anziani, molti ribelli sono delle donne.
Gli USA preferiscono rimanere neutrali, la loro opinione pubblica essendo molto
divisa, e trattiene le truppe nelle sue basi. La Cina e la Russia però non hanno
nascosto il loro sostegno al governo di Tokyo mentre la Corea del Sud e l'Europa
appoggiano il governo di Naha (Okinawa).
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Alessio invece riprende il filo del suo discorso:
Sì, ora è chiaro, grazie, Bhrghowidhon. Sul momento avevo pensato solo che i due pretendenti al trono sarebbero stati dei principi stranieri (tutti e due nati all'estero e con origini familiari cosmopolite, solo in parte spagnole) e che quindi una contesa tra i due sarebbe apparsa anacronistica. In effetti la questione geopolitica c'è, ma non saprei chi mai si sarebbe potuto rivolgere Juan Carlos (in Spagna, intendo) nel caso il regime si fosse pronunciato per Ottone: forse contro Ottone ci sarebbero state semplicemente le forze di sinistra, che avrebbero voluto ripristinare la democrazia mantenendo la forma repubblicana e non diventare invece una parte dell'impero austriaco. La Spagna sarebbe potuta diventare "l'Afghanistan dell''Austria" e forse alla fine Juan Carlos sarebbe stato ripescato come soluzione di compromesso: monarca (e per questo gradito come garanzia di tradizione per i conservatori e la chiesa) ma "più spagnolo" del suo rivale e quindi garante di una politica indipendente...e comunque scelto anche con l'assenso dei democratici e non invece dall'esclusiva valutazione discrezionale del tiranno Franco. Plausibile, secondo voi?
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La palla torna a Bhrghowidhon:
Anzitutto grazie a Perchè No? per l'illuminante esempio, che meriterebbe un'ucronia tutta per sé.
Quella poi descritta da Alessio sarebbe di sicuro una situazione più ‘naturale'. La complicazione in questa ucronia (che è strana, perché fa coesistere – spero senza forzature – due Imperi anteriori alla Belle Époque, le due Potenze totalitarie dell'Asse in Europa, gli Imperi Coloniali europei e l'Unione Sovietica in Asia) è che chi può ricoprire un ruolo omologo a quello degli Stati Uniti in ʾAfḡānistān è l'Italia Fascista e ciò fa incrociare due volte le ragioni della Politica e quelle della Geopolitica. Le presento da tre punti di vista: italiano, spagnolo e ‘occidentale'.
Dal punto di vista dell'Italia Fascista, l'evidente e inaggirabile imperativo geopolitico è di non avere l'Austria – Potenza nemica per antonomasia – anche a Occidente. Per questo motivo, la Successione di Ottone in Spagna va impedita. Le alternative sono:
- un'‘occidentalizzazione' della Spagna (se in forme repubblicane, allora perfino di più di quanto avvenuto nella Storia reale), senz'altro una prospettiva accettabile sul piano diplomatico, ma di fatto un allontanamento dall'Italia rispetto al periodo franchista;
- oppure un'accresciuta influenza da parte dell'Italia attraverso un Re (Giovanni III. – per i Carlisti IV. – nonché unico Conte di Barcellona) che, in questa ucronia (nella quale la Seconda Guerra Mondiale si ‘limita' alla “Crociata Antibolscevica”), sarebbe rimasto residente a Roma anche dopo il 1942 e fino al 1946;
- o addirittura col figlio di questi, Juan Carlos, nato e cresciuto per i primi anni a Roma (in questa ucronia pure egli fino al 1946; dal 1948 comunque trasferito[si] in Spagna) e perciò presumibilmente meno “liberale” del padre.
È evidente che, per il Fascismo, un Pretendente nato e cresciuto nell'Urbe rappresenterebbe l'opzione di gran lunga preferibile e, siccome è improbabile che altri la perseguano, lo farebbe il Regime stesso.
Dal punto di vista spagnolo, è ovvio che i Repubblicani preferirebbero la Repubblica, mentre i Monarchici sarebbero divisi fra i varî Pretendenti (non solo quelli menzionati, ma anche gli altri Carlisti) e tutto ciò, frammentando il panorama delle posizioni, riduce la consistenza numerica di ciascuna. Compatti sarebbero gli Autonomisti catalani, che tradizionalmente – se monarchici –– sostengono con decisione gli Asburgo, e, come visto, i Franchisti, che seguirebbero pressoché tutti le indicazioni del Generalísimo. Ma come risultano, sul piano politico, i tre Pretendenti di cui stiamo discutendo?
Ottone sarebbe l'unico Monarca già in carica (da quanto dipende dalla data di morte di Francesco Ferdinando e di Carlo I. in questa ucronia; se tenessimo quella storica di quest'ultimo, nel 1975 Ottone potrebbe regnare perfino da cinquantadue anni!): l'Austria-Ungheria-Polonia-Rutenia-Venezia sarebbe una Monarchia costituzionale e parlamentare multipartitica e plurinazionale a maggioranza cattolica, alleata militarmente col Terzo Reich, ma senza restrizioni razziali o religiose (so che sembra non credibile, ma questo è il risultato necessario dell'ucronia che stiamo esaminando).
Giovanni III. avrebbe fama di liberale (ragion per cui non è stato designato da Franco) e si pensava che avrebbe favorito una Monarchia costituzionale e una Democrazia parlamentare; Juan Carlos, fra tutti, potrebbe sembrare – in questa ucronia – il più vicino all'Italia Fascista (suo Paese natale, dove avrebbe trascorso i primi otto anni di vita) e al Franchismo (in cui è vissuto – a differenza del padre – per ventisette anni), anche se nella Storia vera sappiamo invece che se ne è allontanato da sùbito e definitivamente (ma in questo momento a noi interessa più come poteva apparire che quel che avrebbe fatto).
Dal punto di vista della Francia del Fronte Popolare, l'unica forma istituzionale positiva per la Spagna era la Repubblica, ma nel 1975 (se ammettiamo che anche nell'ucronica prosecuzione della Terza Repubblica sarebbe rimasta in vigore la Legge Elettorale del 21. luglio 1927, con Sistema Uninominale Maggioritario a Doppio Turno come nella Quinta Repubblica) l'Assemblea Nazionale sarebbe stata, sia pure di poco, a maggioranza di Destra (forse le Elezioni Legislative si sarebbero tenute nel 1972 anziché nel 1973, ma il Congresso di Épinay si era già svolto e quindi il Partito Radicale già diviso) e il dibattito politico dominato dal Programme commun di Fabre, Marchais e Mitterrand, che avrebbe suscitato timori anticomunisti in relazione alla prospettiva di una Spagna di nuovo repubblicana.
Nel Regno Unito (dove dal 1974 Laburisti e Conservatori erano quasi in parità, rispettivamente con 301 e 297 Seggi), Giovanni III. rappresenterebbe forse la soluzione preferibile per la maggioranza degli ambienti istituzionali, che decidono la Politica Estera. Constatiamo dunque che l'Intesa è divisa fra tre opzioni (Repubblica – con qualche incertezza – per la Francia, Giovanni III. per il Regno Unito, Juan Carlos per l'Italia), nelle quali si mescolano considerazioni politiche e geopolitiche insieme.
Va da sé che la Germania Nazista appoggerebbe l'Alleato austriaco e che l'Unione Sovietica favorirebbe la Repubblica; negli Stati Uniti (in questa ucronia pressoché privi di influenza in Europa), allora in pieno Scandalo Watergate e con Congresso a Maggioranza Democratica, ci si può immaginare una generale preferenza per la Repubblica, ma il Dipartimento di Stato sarebbe comunque... repubblicano e forse più vicino, sul piano tattico, alle posizioni istituzionali britanniche.
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Aggiungiamo qui la proposta di Simone Schneider: Nessuna Unità d'Italia!
1848-1914
Nel 1848 scoppiano i moti liberali in varie nazioni come nella nostra TL, ma a prescindere che falliscano
o trovino un momentaneo successo, i regnanti locali vengono reinseriti sul trono dei rispettivi regni e si ha la restaurazione. I moti vengono sedati. La seconda guerra di indipendenza avviene come nella nostra Tl, l'Austria è costretta a cedere la Lombardia ma non il Veneto e la Francia con i plebisciti annette Nizza e
Savoia. La spedizione di Garibaldi non ha successo, i Garibaldini sono annientati militarmente e le trame Piemontesi vengono a galla, facendo precipitare la reputazione della casa Savoia, con conseguente allontanamento diplomatico della Francia. I moti nei ducati di Parma e Piacenza, Modena e Reggio, ottengono l'effetto sperato ma non in Toscana anche grazie all'appoggio di contingenti austriaci, legati dinasticamente ai reali locali. Sia la Francia che l'Austria non vedono di buon occhio la formazione di una nazione unitaria. Entrambe si fanno tutori dell'indipendenza del granducato di Toscana, dello Stato Pontificio e del Regno delle due Sicilie. La terza guerra di indipendenza avviene comunque portando alla formazione del secondo
Reich tedesco e all'annessione del Veneto da parte italiana.
1914
La prima guerra mondiale scoppia come nella nostra Tl. Il regno di Italia entra in guerra un anno dopo, ma potendo contare su di un minor numero di effetti, anche se alcuni volontari degli altri stati del centro sud della penisola vengono arruolati, viene travolto. Le truppe austriache arrivano fino alla capitale Torino e aprono un secondo fronte francese. Malgrado tutto, la grande guerra finisce come nella nostra Tl. Gli imperi centrali vengono sconfitti e al tavolo dei trattati di pace, il regno d'Italia, uscito comunque sconfitto dal conflitto con una pace separata con Austriaci e tedeschi vede riconosciuto il diritto su Trento, Trieste, e l'Istria italiana. Questo provoca un grande malcontento. L'Italia col patto di Londra avrebbe avuto diritto anche al Tirolo, alla spartizione delle colonie tedesche, alla Dalmazia e a Valona. Le nazioni vincitrici però non sono disposte a consentire ad una nazione sconfitta ripetutamente sul campo, più di quello che è giusto concedere. Gli altri stati italiani resisi fin dall'inizio del conflitto neutrali non avranno nel corso dei decenni successivi le crisi che invece interessano le altre nazioni.
1918-1939
La crisi economica e la cosiddetta vittoria mutilata fanno sorgere in nord Italia il fenomeno del fascismo. Nel 1922 si assiste alla marcia su Torino e Milano e poco dopo il re Vittorio Emanuele concede a Mussolini la formazione del nuovo governo. Mussolini è un espatriato dello stato pontificio, costretto alla fuga a causa delle sue idee socialiste in gioventù. La sua politica interna prosegue come nella nostra TL, mentre in politica estera il duce auspica la formazione di un'unica nazione italiana e la costruzione di un grande impero sulla falsariga di quello romano. Nella mente del Duce, l'Italia deve puntare a riottenere Nizza, Savoia e Corsica, conquistare l'intera penisola e sostituirsi alla Francia in Nord Africa. La colonia di Libia in questo periodo viene rafforzata e Mussolini getta gli occhi sulla nazione africana dell'Etiopia, anche per cancellare lo smacco di qualche decade prima. Nello stato pontificio la politica dei
Papi non pone le basi per uno sviluppo della società, mentre negli altri due stati, grazie alla politica lungimirante dei Borboni e dei Lorena, si assiste ad uno sviluppo sociale ed economico, sebbene nel sud tale processo sia carico di contraddizioni. A causa della politica sempre più aggressiva dell'Italia fascista, le nazioni di Toscana e Napoli stipulano accordi con Francia e Inghilterra, in modo che esse si facciano garanti della loro indipendenza. Con una politica fatta di finanziamenti occulti, vengono fondate varie cellule fasciste nei regni della penisola, in particolar modo nello stato pontificio dove il malcontento per la mancanza di riforme politiche si fa sempre più sentire. Scoppiano varie insurrezioni e rivolte capeggiate dai fascisti che sono represse nel sangue dalle ruppe pontificie. Mussolini di fronte ad una simile situazione trova un facile espediente e finanziando da lontano vari gerarchi locali fa in modo di far scoppiare una rivolta sempre più ampia che porti Roma ad insorgere. Di fronte alla totale mancanza di intervento delle nazioni europee, nel breve volgere di poche settimane i fascisti prendono il potere proclamando la repubblica romana. Si svolgono di li a poco i plebisciti per l'unione dei territori pontifici all'Italia. Molti parlano di brogli quando vince il si, ma nessuna nazione è disposta a scendere in guerra per il
Papato, a cui il Duce concede grazie ai Patti Lateranensi il potere sulla città leonina. Tale accordo porta le nazioni di Toscana e di Napoli ad attuare una politica di riarmo e di maggior avvicinamento alle altre nazioni che si oppongono alla dilagante marea fascista.
1939-1942
Allo scoppio della seconda guerra mondiale l'Italia invade le nazioni di Toscana e Napoli annettendole e poi nel proseguo della guerra anche l'Albania. All'armistizio della Francia, l'Italia ottiene la Corsica, Nizza e Savoia. In Grecia però l'espansionismo italiano si arena e solo grazie all'appoggio tedesco si ha la sottomissione del popolo greco.
1943-1945
Nelle nazioni italiane sotto il giogo fascista si formano delle bande combattenti antipiemontesi. La guerriglia partigiana in Toscana e nel sud Italia si fa sempre più violenta. Gli alleati sbarcano in Sicilia e liberano la nazione duosiciliana, restaurando la monarchia borbonica, che da quel momento sarà filo atlantica e che nel dopoguerra si aprirà in maniera più massiccia ad una serie di riforme. Anche la Toscana viene liberata e le due nazioni divenute nel frattempo cobelligeranti vedranno riconosciuti una serie di privilegi alla fine della guerra.
1946
All'armistizio l‘Italia esce sconfitta dalla guerra. Il sud grazie al fatto di aver donato porti e basi aeree agli alleati usufruirà del paino Marshall. La Toscana avrà lo stesso trattamento con l'annessione delle
province di Massa e Carrara, tramite un referendum. L'Italia perde l'Istria e i territori strappati alla Francia, nonché tutte le sue colonie. Lo stato pontifico viene smembrato e tramite un referendum si chiede alle
singole province che scelta vogliono fare. Il papato rimarrà limitato alla sola
Città del Vaticano, la Romagna verrà annessa alla repubblica del Nord Italia, mentre Lazio, Marche e Umbria andranno a formare la repubblica Centro-Italiana.
Nel sud e nel centro si instaurano dei regimi filo-atlantici, mentre nel nord si instaura un regime filo-comunista.
Che ne dite?
.
Restituiamo ora la parola al nostro Bhrghowidhon:
Questa che scrivo è una delle più stupide idiozie che abbia mai inviato, ma per farci quattro risate la mando lo stesso. Le ucronie contenute in questa pagina mi hanno risvegliato un pensiero analogico sui ruoli geopolitici in Cisalpina (contata senza le parti spettanti al Regno di Germania vero e proprio, Trento-Bolzano e Gorizia-Trieste, per capirci) e in Europa (senza Russia e Gran Bretagna) soprattutto nella Prima Età Moderna:
Piemonte = Francia
Liguria = Genova
(Savona = Portogallo)
Lombardia = Germania
Venezia = Polonia-Lituania
Baliaggi Svizzeri = Ducati Danesi
Valtellina e Valchiavenna = Feudi Svedesi nell'Impero
Feudi Imperiali Minori = Svizzera
Parma = Savoia
Modena = Lombardia
Stato Pontificio = Impero Ottomano.
Il Piemonte/Francia si espande verso Est a spese della Lombardia/Germania, che però recupera le Valli Grigionesi/Feudi Svedesi e si espande a Est nel Veneto/Polonia nonché, per Unione Personale, con Modena/Lombardia. Il Piemonte/Francia annette però permanentemente Genova/Spagna (che ha conservato Savona/Portogallo), mentre la Lombardia/Impero non riesce a riconquistare i territorî perduti a favore del Papato/Turchia. Alla fine il Piemonte/Francia, pur sconfitto dalla Lombardia/Germania, grazie a una Potenza Esterna (Francia/Angloamericani) vince due volte la Germania (dopo aver perso la guerra precedente).
La ‘profezia' inscritta nell'analogia sarebbe che, senza Russia, l'Europa si sarebbe divisa in tre Blocchi (Borboni a Ovest, Asburgo a Est, Ottomani a Sud-Est) e alla fine la Francia con l'aiuto dell'Inghilterra o delle sue ex-Colonie avrebbe unificato il Continente (con un nuovo Napoleone nelle due Guerre Mondiali).
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Tommaso Mazzoni gli replica:
Il cantante Sting una volta ha descritto l'Italia come un continente formato stato; se l'Europa è un subcontinente dell'Eurasia, allora la Cisalpina è un subcontinente dell'Italia.
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E Bhrghowidhon precisa:
Qui però l'Eurasia (l'unità sovraordinata all'Europa) è rappresentata dall'Impero Asburgico (allo stesso modo in cui l'Impero Britannico è rappresentato dalla Francia – intesa come Potenza che influisce sulla Cisalpina).
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Chiudiamo per ora con il ragionamento di Alessio Mammarella:
Volevo condividere con voi una riflessione sulla distribuzione della popolazione italiana sul territorio, le peculiarità che questa distribuzione comporta dal punto di vista della vita quotidiana ed economica, e infine il tentativo di rispondere alla domanda: Sarebbe vantaggioso cambiare qualcosa in questo ambito? E come, eventualmente?
Cominciamo dal dire che
l'Italia come tutti abbiamo appreso dalle lezioni scolastiche di geografia (a
proposito: che bella materia, e che peccato che sia alquanto trascurata!) è un
paese dove prevalgono le città medie e piccole. A fronte di alcune aree del
paese con una densità di popolazione veramente alta (ad esempio le regione
intorno a Milano e a Napoli) vi sono numerose aree contraddistinte dalla
presenza di comuni spesso troppo piccoli per assicurare ai cittadini i servizi
di base. La nascita delle Unioni di Comuni, Comunità Montane e altre simili
forme consortili è tutta dovuta al fatto che molti comuni sono troppo piccoli
"eppur ci sono" (e non potrebbe certo pensare di cancellarli, con un napoleonico
tratto di penna, lasciando abbandonati i cittadini che vi abitano). I piccoli
comuni sono i portabandiera dell'Italian way of life, quella combinazione di
socialità (l'intero paese come "vicinato"), tradizione (enogastronomica,
artigianale, antropologica) che rendono quello italiano un bel vivere,
appagante, sostenibile, attraente per stranieri che arrivano come turisti o
addirittura come nuovi residenti.
Che cosa c'è, però, dietro la cartolina? Come ho già anticipato, un grande
problema è quello dei servizi pubblici. Se è complicato per i piccoli comuni
fornire servizi elementari come l'anagrafe, l'urbanistica o la polizia
municipale, le criticità crescono quando parliamo di servizi più complessi, come
la scuola o la sanità. In molte regioni, negli ultimi anni, si sono moltiplicati
gli episodi di piccole scuole chiuse per scarsità di studenti (oppure tenute
aperte dopo un forte contenzioso politico, ma comunque non in condizioni ideali)
e lo stesso vale per i piccoli ospedali, e perfino per i medici di famiglia.
L'utilizzo spinto dell'informatica, come per l'e-government e l'e-learning, ma
informatizzare totalmente la vita a un certo punto diventa complicato,
soprattutto pensando che la popolazione rurale è in media più anziana e meno
istruita rispetto alla media generale. Non sarebbe neanche così "verde" (e molti
di coloro che scelgono la vita rurale lo fanno proprio per una maggiore
sostenibilità ambientale) perché ovviamente l'uso massiccio dell'informatica
richiede estendere le reti di comunicazione fino al più piccolo dei paesi,
portando cavi e antenne anche in aree di importanza naturalistica.
Proprio quello
ambientale è un risvolto importante da considerare. Tanti piccoli paesi
significano (elenco indicativo e probabilmente non esaustivo):
- strade per collegarli; di solito si tratta di strade più difficili da
manutenere rispetto a quelle urbane perché per esempio attraversano zone
soggette a frane, e più pericolose (per il tracciato in sé, tipicamente
tortuoso, ma anche per il pericolo di investire un animale);
- cittadini che preferibilmente usano l'auto perché è più difficile, rispetto ad
un'area urbanizzata, pianificare un efficace trasporto pubblico (e si può fare
solo con gli autobus, mentre le città di una certa dimensione sono collegate
alla rete ferroviaria, possono avere tram e metropolitane..) e quindi la
flessibilità dell'auto è considerata insuperabile;
- reti dell'acqua, dell'elettricità, delle comunicazioni che devono essere
capillari; al tempo stesso le infrastrutture dotate di impatto
ambientale/paesaggistico (es. centrali elettriche, gli impianti per i rifiuti)
sono sempre difficili da collocare perché c'è sempre qualcuno che abita nelle
vicinanze e che può avere un danno reale/potenziale dall'infrastruttura;
- difficoltà di convivenza tra umani e natura; su questo punto mi concedo
qualche riga in più.
Sappiamo che in Italia ci sono numerosi problemi di tipo ambientale. Il dissesto
idrogeologico, per esempio, è strettamente collegato all'abitare in zone che
sarebbe stato invece meglio lasciare alla natura. Poi, si potrebbe anche
allargare il discorso che forse, per il suolo e le risorse idriche dell'Italia,
gli italiani sono troppi (in contrasto con chi, guardando prevalentemente alla
materia pensionistica-finanziaria ritiene che gli italiani sono troppo pochi e
che ce ne vorrebbero di più). Questo però è un punto che probabilmente ci
farebbe partire per la tangente, quindi mi fermo e continuo a parlare del
rapporto popolazione-ambiente.
Un altro problema di tipo ambientale ben noto a chi, come me, vive in una
regione piena di parchi, è che spesso i piccoli paesi inglobati all'interno dei
parchi naturali vedono una difficile convivenza tra umani e animali. In TV si
vedono spesso le immagini "buffe" degli orsi che se ne vanno a spasso per i
paesini alla ricerca di cibo. Per chi ci vive non è così buffo, così come non lo
è trovarsi a tu per tu con dei cinghiali quando si va per esempio a gettare la
spazzatura. Chiaramente per gli animali è lo stesso, per quanto si cerchi di
tutelarli, è inevitabile che gli animali siano danneggiati dalla presenza degli
umani e dalle loro attività quotidiane.
Infine, l'enorme problema degli incendi boschivi. L'Italia avrebbe un grande
beneficio se aumentasse il suo patrimonio boschivo. Gli alberi assorbono CO2,
contribuiscono a mitigare le temperature e a mantenere il suolo saldo. Il
popolamento delle aree montane di per sé non sarebbe un problema per i boschi,
ma purtroppo esiste un drammatico circolo vizioso: tanti incendi, persone che
lavorano stagionalmente per collaborare alla lotta contro gli incendi, tante
imprese che intervengono a fornire nuove piante per i rimboschimenti. Non voglio
accusare nessuno, però sono convinto che qualche mela marcia che "crea il
problema per offrire la soluzione" ci sia.
Insomma, a questo punto
del discorso avrete capito quale convinzione ho maturato al momento: se la
popolazione delle aree più rurali e montane abbandonasse i piccoli paesi in cui
vive per concentrarsi in un'area urbana (non necessariamente una metropoli,
anche una città di media grandezza non troppo distante dal paesino di partenza)
forse ci sarebbero vantaggi diretti per la popolazione stessa (servizi pubblici
funzionanti, spostamenti più agevoli, magari anche più opportunità
sociali/occupazionali) ma ci sarebbero soprattutto vantaggi per l'ambiente (meno
dissesto idrogeologico, meno incendi, meno inquinamento nelle aree protette).
A questo punto, io penso che si aprono due possibili sviluppi per questo
discorso. Uno riguarda la vita urbana e le sue di criticità (perché non è mia
intenzione svalutare la vita rurale rispetto a quella cittadina, entrambe
presentano vantaggi e svantaggi). L'altro riguarda il come fare, se si volesse
concretamente attuare una riorganizzazione dell'insediamento della popolazione
sul territorio.
Partiamo dai problemi della vita in città. Premesso che la città maggiore che mi
trovo a vivere nella mia quotidianità è una piccola conurbazione di circa
200-250mila abitanti sparsi su più comuni limitrofi, i problemi della vita
urbana riguardano certamente il traffico, il disagio sociale e la criminalità.
Ecco, il traffico sembra rappresentare il perfetto contraltare dei problemi di
mobilità che abbiamo citato per le aree rurali. C'è però una grande differenza:
mentre nelle aree rurali i problemi che ci sono sono dati da vincoli fisici (es
la posizione di un paese su una collina isolata) i problemi di mobilità presenti
nelle città sono problemi di tipo organizzativo, che possono essere affrontati e
corretti attraverso politiche di gestione migliori. Il paese sulla collina
quello è, o fai una strada per raggiungerlo, anche se stretta, ripida e tortuosa
oppure lo tagli fuori dalla realtà. Il nuovo quartiere di una città lo
costruisci a seguito di una pianificazione urbanistica (e si presume che i
criteri di pianificazione urbanistica, oggi come oggi, siano piuttosto
funzionali).
Il disagio sociale e la criminalità sono certamente una cosa che spaventa quando
si pensa a persone che si spostano dalla campagna alla città. Sappiamo infatti
che la fase storica di crescita delle periferie urbane italiane si è verificata
in corrispondenza dell'industrializzazione massiccia degli anni '50 e '60. In
quegli anni sono nati i famigerati "quartieri dormitorio" e i giganteschi
condomini diventati poi tristemente famosi come esempi di degrado urbano. Io
credo che qualcuno di voi, quando ho scritto, poco sopra, che forse occorrerebbe
uno spostamento di popolazione dalle aree rurali a quelle urbane, abbia già
avuto il flash mentale delle tristemente famose vele di Scampia ed abbia provato
un brivido. Ovviamente no, non mi sogno neppure di pensare che dovrebbero essere
costruiti quartieri di quel tipo, anche perché nessuno lascerebbe una sua
casetta indipendente per andare a vivere in un palazzone popolare.
Quello che mi è venuto in mente è che potrebbero essere costruiti nuovi
quartieri, nelle periferie delle città medio-grandi, che hanno esattamente la
medesima impostazione abitativa dei piccoli paesi: niente palazzi, ma case
indipendenti o poco più (bifamiliari, quadrifamiliari ecc...). Case ad alta
prestazione energetica, naturalmente, e spazi verdi in abbondanza. Ciò in modo
da permettere a chi abita nei piccolissimi paesi di trasferirsi a ridosso di una
grande città cogliendone i vantaggi (trasporti pubblici, scuole, ospedali...) ma
al tempo stesso mantenendo lo stile di vita tipico di un paesino. Sarebbe
possibile una tale quadratura del cerchio? Potrebbe avere successo questo
elemento di Transizione Ecologica (ritengo infatti che lo sia) senza necessità
di pesanti incentivi economici?
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