tratto dal "Poema di Gilgamesh", versione di William Riker
Prologo del Poema di Gilgamesh
Proclamerò alle genti l’alte imprese
di Gilgamesh, colui che tutto vide,
ogni cosa conobbe e investigò,
colui che tutto vide sino agli ultimi
margini della Terra, lui che ricco
di sapienza e esperienza senza pari
le cose arcane vide, le nascoste
cose scoprì, i misteri tutti aperse,
narrò ciò che fu prima del diluvio;
lui che remoti e incogniti sentieri
corse fino a sfinirsi, ogni fatica
del braccio suo scolpì poi su una stele,
a imperituro lascito per noi.
Quando i Numi il crearono, gli diero
un corpo perfettissimo: Shamash,
il sole invitto, gli diè lo splendore;
Adad, il dio dei turbini, il coraggio
gli donò poi, mentre la sua bellezza
i grandi Dei resero alfin perfetta,
sopra ogni altro mortale. Ei fu terribile
come il toro selvaggio, e insuperabile;
per due terzi fu dio ed un terzo uomo,
perché da Lugalbanda, semidio
e sovrano d’Uruk, e da Ninsun,
di celebre saggezza, egli fu figlio.
Di Uruk fece le mura tutt'intorno,
e il sacro tempio Eanna per il dio
del firmamento Anu, e per l’eccelsa
Ishtar che dell’amore è la patrona.
Miratelo ancor oggi: il muro esterno
brilla dello splendor rosso del rame,
ne’ il muro interno ha eguali sulla terra.
Tocca la soglia: è antica come il mondo.
Appressati al palagio d’Ishtar, dea
dell’amore sì come della guerra,
all’Eanna che niun uomo vivente,
nessun mortal potrà oggidì eguagliare.
Sali, o viandante, sul bastion esterno
della città di Uruk, tutto percorrilo:
osserva l’imponente terrapieno
delle sue fondamenta, il muro esamina:
fatto esso è tutto di mattoni cotti,
come i Sette Sapienti un dì decisero.
Questa di Gilgamesh fu l’opra antica;
ma nulla essa ci appare, confrontata
con la ricerca ch’egli affrontar volle
dell’immortalità, di là dai monti
dietro i quali Shamash si tuffa a sera,
e di là dall’orrende acque di morte
fino a incontrar quell’uom che dal diluvio
unico si salvò, grazie al dio Ea,
che dell’umanità è il gran protettore.
Questo io canterò, ed il canto mio
nei secoli perenne echeggerà.
La costruzione dell'arca
« Conosci la città di Shuruppak,
che sulle rive dell'Eufrate sorge?
È vecchia la cittade, chè fondata
fu quand'era ancor giovane la Terra,
quando eran verdi i monti dello Zagros
né sulla Luna macchia v'era ancora;
là dimoravan gli déi primordiali,
antichi come il Tempo: v'era Anu,
signor del firmamento, sommo padre
dei Numi tutti; e v'era il potentissimo
Enlil, suo consigliere, re dei venti,
dell'aria, delle nuvole e dei tuoni,
che il Cielo separò da questa Terra
quando da Anu e Ki fu generato;
e Ninurta poi v'era, dio guerriero,
uccisore dei mostri dell'Abisso,
colui che nei primordi un'alta diga
eresse contro l'acque della morte,
chè dagli Inferi sorger non potessero
ad allagare il mondo; e Ennugi infine,
dio dei canali e delle irrigazioni,
che dei coltivatori è gran patrono.
V'era con essi Ea, dell'acque dolci
nume sovrano, protettor dell'arti,
della scrittura, dell'astrologia,
signor della saggezza e dell'astuzia,
cui nulla è ignoto sopra e sotto il mondo.
In quei giorni era un fervere di vita
nella terra di Sumer: pullulava
il mondo di abitanti, l'uman genere
vieppiù cresceva e si moltiplicava,
e tutti all'opre loro erano intenti;
mugghiava come un gran toro selvaggio
il mondo dei viventi, ed il supremo
Enlil venne destato dal clamore.
Così, adirato per quel forte strepito
che turbava il suo sonno, egli in consesso
chiamò tutti gli déi: "Non è possibile",
incominciò, "dormire più, ché troppo
è il frastuono degli uomini; son essi
per noi ormai sol più un fastidio, e dunque
è necessario tutti sterminarli."
Approvaron gli dei, tranne il sapiente
Ea che restò in silenzio: neppur lui
può opporsi a suo fratello impunemente
nel concistoro sommo dei Celesti.
"Giuriamo tutti di non rivelare
nulla agli uomini di ciò che accadrà",
proclamò Enlil, e giuraron tutti:
pur Ea costretto fu a giurar con gli altri,
ma ei mi aveva caro, e non volea
ch'io perissi nell'acque del diluvio;
ed ideò così uno stratagemma.
Ei venne nella notte alla mia casa,
si fermò nel cortile, e innanzi al muro
d'incannicciato dietro al qual dormivo
si pose in piedi ed iniziò a parlare:
"O casa di mattoni di Ut-napishtim,
o parete di canne, udite, udite:
han giurato gli déi, fu posto termine
alla vita dell'uomo sulla Terra!
Di Ubara-Tutu il figlio, se salvarsi
vuole dall'acque ultrici, tosto abbatta
la casa sua, una nave costruisca!
Lasci gli averi suoi, scelga la vita!
Sol chi disprezza i beni suoi mondani
sopravviver potrà al gran cataclisma!
Abbatta i muri tuoi il tuo padrone,
venda quello che ha, con i proventi
edifichi un battello, e siano queste
le sue misure: lungo quanto largo,
largo quanto alto, e sia di centoventi
cubiti ogni suo lato. Sopra d'esso
sia fatto un tetto che sia resistente
come la volta del profondo Abisso,
perchè regga ai rovesci del diluvio.
In nove ponti venga suddiviso,
ed Ut-Napishtim poi conduca in esso
il seme d'ogni viva creatura,
tre paia d'ogni specie di animali,
maschio e femmina, assieme alle sementi
d'ogni albero ed arbusto che coltiva.
L'ultimo ponte colmo di foraggio
sia per le specie erbivore, che latte
forniran per sfamare le carnivore,
finché non sia finita la bufera."
Io mi destai, e udii queste parole,
che mi sconvolser tutto, come l'uomo
cui viene comandato di scolpire
una montagna, a trarne effigie umana
il cui capo lambiscano le nuvole.
Ma mi feci coraggio e ad Ea risposi:
"Quanto tu hai comandato, io lo farò;
ma che dirò alla gente, alla città
ed agli anziani, s'essi mi vedranno
vendere tutto e erigere quest'arca?"
Allora il nume aprì la bocca e disse
al servo suo, a me: "O casa, o casa,
che il tuo padron risponda a quei curiosi:
« Ho ricevuto tristi vaticinii:
Enlil con me è infuriato, e più non oso
camminare nell'urbe ch'egli abita,
a Shuruppak d'antiche fondamenta:
discenderò perciò con una nave
il corso dell'Eufrate, fino al golfo,
per dimorar con Ea, ch'è il mio signore.
Ma su di voi il dio dell'atmosfera
piover farà ogni bene in abbondanza,
pesci rari e elusiva selvaggina,
ricca stagion di messi avrete voi;
la sera, il cavalier della tempesta
vi porterà torrenti di buon grano,
mentre sarà errabonda la mia vita
lungi dalla mia patria, fino a quando
Ea non mi donerà la pace alfine. »"
Tacque, e sparve il signor della saggezza,
come dispare a mane un lieve sogno
che ci ha invaso la mente a mezzanotte.
Subito balzai su, e compresi il tutto,
come il mio protettor parlato avesse
alla casa, così da non infrangere
il giuramento fatto agli déi tutti,
di tacer del diluvio ad ogni uomo.
Così, tutti destai nella mia casa;
in sul primo albeggiare, la famiglia
si riunì attorno a me, i bimbi portarono
secchi di pece, e gli uomini gli attrezzi;
una fossa scavammo, e dentro d'essa
cominciò a sorger la maestosa chiglia,
che dopo quattro giorni già svettava;
il quinto giorno, sollevai le coste
ed il sesto ed il settimo il fasciame.
Infine eressi il tetto; era spiovente
per fare defluir l'acque assassine,
e sotto d'esso apriasi una finestra.
Di un acro era la vasta superficie
occupata dall'arca; dentro d'essa
fabbricai i nove ponti, separati
da paratie; dov'era necessario
dei cunei infissi, e infin non mi restò
che impedire l'ingresso all'acque salse.
Recaron olio i portatori miei,
pece versai nella fornace ardente
assieme all'olio e al bruno asfalto; il tutto
mi servì per tappare ogni fessura,
finché fu impermeabile lo scafo.
Altro olio messo fu tra le provviste.
Per la mia gente macellai giovenchi,
ogni dì uccisi pecore ed agnelli;
ai carpentieri diedi vin da bere
come se fosse l'acqua d'un ruscello,
scorreva il mosto a fiumi, insieme all'olio,
e vino rosso e birra e vino bianco.
Ecco, il settimo giorno era completa
la nave mia; facemmo festa allora
come si fa per l'anno nuovo, il capo
mi unsi d'olio, e sacrifici feci
ad Ea che fu con me sì generoso.
Chiesero molti quale scopo avesse
il mio lavoro, ma io la risposta
diedi che il dio m'aveva suggerita.
Intanto caricavo ogni mio avere
dentro il ventre dell'arca: la famiglia,
i parenti, le bestie dei miei campi,
gli animali da soma, tutti quelli
ch'avean partecipato a eriger l'arca
ed in me avean creduto; al barcaiolo
Puzur-Amurri io affidai il timone.
Un ignoto autore compone il Poema di Gilgamesh (immagine creata con Bing)
Il Diluvio Universale
Sorse l'ottavo giorno; io guardai fuori,
ed ecco, eran terribili le nubi,
oscuro il cielo, là dove brillato
avea Shamash fino alla sera prima.
Compresi, era il segnale della fine.
Subito entrai, chè il tempo era compiuto,
calafatai l'intero boccaporto
sigillando la nave, e infine attesi
l'ultima sera dell'umanità.
Ecco, al tramonto venne all'orizzonte
una nube nerissima, da dentro
tuonava orribilmente, giacché in essa
viaggiava Adad, signor della tempesta.
Davanti a lui venivano Shullat
e Anish, nunzi divini della pioggia.
Sorsero poi i signori dell'Abisso:
Nergal divelse le possenti dighe
dell'acque sotterranee, mentre il dio
della guerra, Ninurta, abbatté gli argini;
allora i sette giudici degli Inferi,
gli Anunnakku, innalzaron le lor torce,
e illuminaron d'una fiamma livida
cielo e terra per l'ultimo giudizio.
Disperato sgomento si levò
fino al ciel, quando il dio della tempesta
del dì la luce trasformò in gran tenebra,
ed infranse la Terra come un coccio.
Per un intero giorno la bufera
imperversò, infuriando si abbatteva
sugli uomini qual impeto di guerra;
nessun veder poteva il suo fratello,
né dal ciel si potean vedere gli uomini.
Anche gli dei terrorizzò il diluvio:
fuggiron tutti nel sommo del cielo,
il firmamento di Anu, e tremebondi
contro le mura del palagio eterno
si rannicchiaron come can bastardi.
La regina del Cielo, Ishtar la bella,
Ishtar di dolce voce, disperata
gridò come una donna nel travaglio:
"Ohimè, son polve ormai gli antichi giorni,
poiché ordinammo il male: finì un'era
per colpa dell'ostinazion d'un solo!
Oh, perchè il dio dell'aria ordinò questo
nel concilio dei numi? E perchè mai
io l'approvai? Io comandato ho guerre
per distruggere gli uomini, ma forse
non son essi i miei figli, dal momento
ch'io li ho generati? Or nell'oceano
galleggiano come di pesci uova!"
Così piangean tutti gli déi del cielo,
e piangendo copriansi tutti gli occhi.
Ma tardi oramai era per noi tutti:
per sei giorni e sei notti tutti i venti
soffiaron con violenza, la bufera
e la piena la terra sopraffecero,
infuriando terribili sul mondo
come fanno gli eserciti in battaglia.
Tutti i monti coprirono quell'acque,
e il mare pullulava di cadaveri
d'uomini e d'animali; ma su di esso
galleggiavamo noi, chiusi nell'arca,
tremebondi perchè potevan l'acque
putride irromper nella nostra nave,
ponendo fine ad ogni nostra speme.
Quando giunse del settimo dì l'alba,
la tempesta del sud diminuì,
il mar si fece calmo, infin la piena
s'acquietò, zittiron anche i tuoni.
Ecco, aprii la finestra, sporsi il capo
a mirare la faccia della terra:
cadde del sol la luce sul mio viso,
e tosto m'investì un grave silenzio,
del mar la superficie si estendeva
piatta sì come un tetto, tutti gli uomini
erano diventati argilla e fango!!
Ecco, io m'inchinai e piansi amaro,
scorreano sul mio viso calde lacrime,
chè ovunque v'era sol deserto d'acque.
Invan cercai la terra, fino a quando
a quattordici leghe di distanza
m'apparve un alto monte, e lì la nave
con gran fracasso alfine si arenò.
Era il monte Nisir. Restò incagliata
lassù la nave per sei giorni, e intanto
andavan defluendo l'acque tutte.
All'albeggiare del settimo giorno
una colomba liberai, ma essa
non trovò luogo ove posare il piede,
che l'acque ancor gravavano il pianeta,
così fece ritorno. Feci uscire
una rondine allora, e volò via,
ma ritornò anche lei. Un corvo infine
io liberai, ma questi trovò enormi
cumuli di cadaveri ammonticchiati,
vi si posò, mangiò e non tornò più.
Compresi allor che il tutto era finito:
la nave scoperchiai, volaron tutti
gli uccelli fuor dall'arca, apersi poi
la porta sigillata, e gli animali
si sparsero nel mondo in ogni dove.
Sacrificali offerte feci subito,
sulla cima del monte libagione
versai sopra la cima del gran monte:
sette e sette marmitte io innalzai
sui trespoli, ammassai e cedro e mirto,
e ricco grasso offrii agli déi celesti.
Subito il dolce olezzo essi fiutarono,
fiutarono il profumo, e come mosche
accorsero sul grande sacrificio.
Venne anche Ishtar, e al cielo sollevò
la collana celeste con le pietre
che Anu un dì forgiato avea per lei:
"O numi qui presenti, o sommi divi,
io dico a voi che per il lapislazzuli
intorno al collo mio, ricorderò
questi giorni così come rammento
le pietre tutte intorno alla mia gola;
questi dì mai dimenticherò.
Che tutti gli immortali si riuniscano
intorno al sacrificio, fuorchè Enlil:
lui non si accosterà a codesta offerta,
perchè senza riflettere il diluvio
volle portar sul mondo, ed il mio popolo
ha votato ad orribil distruzione!"
Quando Enlil giunse e vide la mia nave,
si gonfiò d'ira contro gli dei tutti,
contro la diva schiera s'adirò:
"Come sfuggì alla distruzione alcuno
di quei mortali?" urlò fuori di sé.
Allor Ninurta, il sire della guerra
e dell'abisso, aprì la bocca e disse:
"Chi fra i superni è in grado, o dio superbo,
di fra progetti senza Ea? Lui solo
tutto conosce. E tu speravi forse
d'ingannar quei ch'è dio della saggezza?"
Ea stesso aprì la bocca e gli parlò:
"O sommo tra gli déi, Enlil eroe,
come hai potuto tanto stoltamente
far scendere il diluvio? Al peccatore
imponi il suo peccato d'espiare,
al trasgressor la trasgressione sua,
puniscilo se evade, ma non troppo,
altrimenti perisce. E senza l'uomo
chi sacrifici ai numi innalzerà?
Oh, se un leone avesse dilaniato
l'umanità, ma non il gran diluvio!
Oh, se un gran lupo avesse divorato
l'umanità, ma non il gran diluvio!
Oh, se la carestia avesse stroncato
l'umanità, ma non il gran diluvio!
Oh, se la peste avesse sterminato
l'umanità, ma non il gran diluvio!
Adesso il caos non vincerebbe il mondo!
Non io all'uomo rivelai il segreto
che a giurare, fratel, mi costringesti:
il saggio in sogno infatti fu informato.
Or si consiglin tutti gli immortali
su quale essere debba il suo destino."
Enlil si placò allora: alla grand'arca
venne, prese per mano me e mia moglie,
inginocchiar ci fece, uno a sinistra
e l'altra a destra, mentre stava in piedi
il sommo dio tra noi. Per benedirci
il capo ci toccò, e ci disse: "Un tempo
Ut-napishtim fu un uomo, ma or non più:
d'ora innanzi sia lui che la consorte
vivranno presso il margine del mondo,
alla bocca dei fiumi, né la morte
potere avrà giammai sopra di loro."
Fu così che ci presero gli dei
e ci posero qui, a viver per sempre,
lontano dai mortali, in capo al mondo,
alla bocca dei fiumi, né la morte
avrà giammai potere su di noi. »
Crossover mesopotamico: Gilgamesh ed Enkidu incontrano il Patriarca Noè (immagine creata con openart.ai)
.
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