da un'idea di Paolo Maltagliati
Principato dell'isola d'Elba – Repubblica di Lucca – Repubblica di Noli – Principato delle Isole Borromee – Repubblica Esperantista dell'Isola delle Rose – Libera Repubblica di Cospaia – Serenissima Repubblica di Senarica – Regno di Tavolara – Regno di Pantelleria – Fédération des Escartons – Couto Misto – Repubblica dell'Amicizia del Moresnet Neutrale – Impero Romano di Corfù – Repubblica di Teodoro – Serenissima repubblica damarense di Granbusa – Repubblica del Fiume Indiano – Repubblica di Minerva
Questo è un piccolo gioco che consiste nell'immaginare l'esistenza in Italia, in Europa e nel resto del mondo di qualche microstato in più: quei simpatici puntini sulla mappa del mondo, del tutto irrilevanti sulla scena politica (ma non sempre), che spesso rappresentano l'eredità di situazioni politiche tramontate da secoli, oppure derivano da clausole ambigue e da interpretazioni originali dei trattati internazionali. Chiunque di voi può partecipare al gioco, considerando il fatto che i potenziali ministati italiani sono tantissimi: Guastalla, Mirandola, Finale, Correggio, Seborga, o, se si vuole andare su una stazza più massiccia, Mantova, Saluzzo, Monferrato... Anche in Europa si può pensare a libere città imperiali o a sedi anseatiche, ma anche nel resto del mondo se ne potrebbe trovare una miniera. Ecco per intanto ciò che abbiamo pensato noi.
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Principato dell'isola d'Elba
Superficie: 292 Kmq
Popolazione: 49660 ab.
Densità: 170 ab/kmq
Capitale: Portoferraio/Port du Fer
Forma di governo: monarchia costituzionale
Lingue: Italiana, Francese
Etnie: Italiana 80 %, Francese 15 %, altre 5 %
Religioni: cattolica, ebraica, altre
PIL pro capite (a parità di potere d'acquisto, 2014): 40311 €
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La storia del principato dell'Isola d'Elba ha origine dall'esilio di Napoleone Bonaparte nell'isola.
Durante il congresso di Vienna viene sancito il possesso ereditario del principato a lui ed ai suo eredi. Nel frattempo, l'ex imperatore dei francesi aveva aperto le porte del suo dominio a tutti i suoi fedelissimi desiderosi di trovarsi un riparo dalle persecuzioni borboniche. I francesi presero dimora soprattutto a Portoferraio, la capitale, ma anche a Biodola e Procchio.
I figli dell'empereur furono sempre sospetti agli austriaci ed ai granduchi di Toscana, ma nulla effettivamente fecero per riottenere, come temevano gli Asburgo, il controllo di Parigi. Pur tuttavia, l'Elba divenne il ricettacolo di molti liberali e, con l'avvio del risorgimento, di molti patrioti italiani, costretti a fuggire dallo stato pontificio e dal granducato di Toscana.
Oltre a ciò il governo dei Bonaparte fondò un'accademia delle scienze di primo livello, che attirava studenti di Fisica, Chimica Geologia e Biologia da tutta l'Europa. Il museo di scienze naturali di Portoferraio contiene molti reperti fossili donati dai più eminenti studiosi che avevano fatto dell'Elba una seconda casa, come Edward Cope durante il suo periodo di studi in Europa.
Nel 1859, con la seconda guerra d'indipendenza, Napoleone III d'Elba strinse un accordo di cooperazione economica con Francia e regno di Sardegna. Gli Austriaci minacciarono l'occupazione, ma gli inglesi si misero in mezzo e non se ne fece nulla.
Con la nascita dell'Italia unita, gli accordi di amicizia con il neonato regno vennero riconfermati; anzi, i Savoia donarono ai Bonaparte le isole dell'arcipelago toscano, fatto importante dal punto di vista simbolico, anche se le isole erano perlopiù disabitate.
Allo scoppio del primo conflitto mondiale l'isola rimase neutrale. All'avvento del regime fascista, tuttavia, l'indipendenza dell'isola venne messa in pericolo in quanto Luigi Napoleone, fedele alle tradizioni della famiglia, diede ricetto agli oppositori del regime, anche se si rifiutò di accogliere molti comunisti, da lui reputati “peggio dei fasci neri”. Mussolini minacciò ritorsioni economiche contro il piccolo principato, che nel frattempo si era anche munito di un casinò e di una pista automobilistica. Ma ancora una volta, la sua neutralità fu difesa dalla marina britannica che inviò una nota a Roma per ricordare che non avrebbe permesso la violazione della neutralità dell'isola.
Durante la seconda guerra mondiale, l'isola funse da ricetto per molti ebrei. Rimase neutrale per tutta la durata del conflitto, ma il re stesso si premurò di organizzare un collegamento aereo continuo con la Svizzera, per mettere al sicuro il maggior numero di fuggitivi possibile, anche nella non impossibile eventualità di un'occupazione nazista dell'isola. Diverse famiglie ebree decisero tuttavia di rimanere. Luigi Napoleone venne insignito dalla neonata repubblica italiana della medaglia al valor civile nel 1948, “per la sua indefessa opera a salvaguardia di numerose vite umane, che senza il suo aiuto si sarebbero perdute”. Un albero in suo onore si trova nel giardino dei giusti.
Oggi l'Elba è un florido paradiso fiscale che, oltretutto, attira un considerevole flusso turistico grazie alle sue ricchezze paesaggistiche, in particolare la riserva nazionale delle isole dell'arcipelago toscano. Ancora oggi la sua accademia di scienze è rinomata e prestigiosa, ed è una delle mete più ambite per gli studenti Erasmus italiani.
Dal 1951 ha accordi di libero transito di merci con la repubblica italiana, quella francese, Monaco e gli altri paesi italofoni, estesi dal 1993 ai paesi dell'Unione Europea. Nel 1995 ha aderito al trattato di Schengen. Dal 2002 è un paese associato all'unione monetaria europea, ed ha il diritto di coniare l'euro.
Dal 1985 è sul trono il principe Francesco Bonaparte. Dal 2007 il primo ministro è il socialista moderato Stefano Nay.
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Repubblica di Lucca
Superficie: 1105 Kmq
Popolazione: 304087 ab.
Densità: 275 ab/kmq
Capitale: Lucca
Forma di governo: repubblica presidenziale
Lingue: italiana, altre
Etnie: italiana 95 %, altre 5 %
Religioni: cattolica, altre
PIL pro capite (a parità di potere d'acquisto, 2014): 34311 €
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La millenaria storia della repubblica di Lucca non viene interrotta dal congresso di Vienna, che ripristina molte piccole repubbliche spazzate via da Napoleone (anche se non le più grandi, Genova e Venezia).
I vertici del piccolo stato si rendono perfettamente conto che devono rilanciare l'economia e dare nuovi ordinamenti allo stato, se vogliono sopravvivere al XIX secolo. Una forma modificata del codice napoleonico viene applicata nel diritto civile. Il priore è inizialmente eletto a suffragio ristretto e rimane in carica per 6 anni. Il suffragio universale maschile verrà introdotto nel 1890 e il diritto di voto esteso alle donne nel 1946.
Grazie al priorato di Sisto Tardelli, Bagni di Lucca viene trasformata in una ricercata meta termale da parte dell'alta borghesia italiana ed europea, vincendo nettamente il confronto con Montecatini e Salsomaggiore.
Con il risorgimento, si avvia il periodo più difficile per la sopravvivenza. Gli ideali di unità fanno presa in alcuni ambienti della repubblica. Ma la stragrande maggioranza degli abitanti non desidera perdere la secolare libertà in nome di un ideale stato unitario. Quando scoppia il conflitto tra Austria e Savoia, Lucca dichiara la propria neutralità, nonostante gli ottimi rapporti con gli Asburgo. Il duca di Modena, allora, decide di far muovere il suo piccolo esercito contro “gli sporchi traditori” di Lucca. Allora la repubblica chiede la protezione a Vittorio Emanuele, in cambio della garanzia dell'indipendenza dello stato. Il re accetta. In questo modo l'invasione degli estensi non solo è sventata, ma lo stesso ducato di Modena viene annesso, con plebiscito, allo stato italiano. Che propone il plebiscito anche ai lucchesi, ma non in punta delle baionette dei bersaglieri. Il plebiscito è “pulito” e i lucchesi preferiscono rimanere lucchesi, piuttosto che italiani. Non solo, accadono incidenti in Garfagnana, poiché alcuni paesi insorgono dopo l'annessione del ducato di Modena al Piemonte, e vorrebbero passare (si tratta di un ritorno, in molti casi) a Lucca. I gendarmi della repubblica si vedono costretti, a malincuore, a reprimere loro stessi la rivolta, di fronte alle minacce italiane.
Il resto dell'ottocento procede con l'arrivo della rivoluzione industriale nel territorio repubblicano, che però non impedisce l'aumento dell'emigrazione negli Stati Uniti ed in Brasile. Industrie chimiche e tessili divengono il settore trainante, assieme all'attività dell'estrazione del marmo, alla pesca e alla itticoltura.
Con l'avvento del fascismo, anche Lucca chiude le porte ai comunisti, e il priore Elia Chiappini tenta una svolta autoritaria, che, tuttavia, fallisce, con gran scorno per il duce. Lucca è però molto meno favorevole ad accogliere i partigiani comunisti e i fuggiaschi, rispetto all'Elba, per il terrore di essere invasi dall'Italia. A differenza dell'Elba, infatti, lo stato Lucchese non è separato dall'Italia da un braccio di mare. Un'azione militare sarebbe molto più facile e rapida da mettere in atto. Inoltre la repubblica non gode del prestigio internazionale della casa regnante corsa.
Anche dopo l'armistizio e la caduta del fascismo, il governo repubblicano mantiene una stretta neutralità, nonostante il fatto che la repubblica si trovasse a pochissimi chilometri dal sistema difensivo della linea Gotica, cosa che tenne sotto intensissima pressione diplomatica il governo lucchese. Tra l'agosto ed il settembre 1944 avvennero alcuni gravissimi incidenti con le forze di occupazione naziste. A sant'Anna di Stazzema, a pochi passi dal confine, i nazisti uccisero, con premeditata ferocia, più di 560 persone, il 12 agosto 1944, perlopiù vecchi, donne e bambini. Gli uomini, che si erano rifugiati sui monti, decisero di sconfinare in territorio lucchese. Il priore, venuto a conoscenza della strage, diede l'ordine di accogliere quanti più civili possibile, assicurandosi però che fossero disarmati. I nazisti, nel frattempo non si fermarono, seminando morte e distruzione in tutta la Garfagnana e nella Lunigiana. A Minucciano, enclave lucchese, già molti erano stati accolti per sfuggire alla furia delle SS. Ma le guardie della vicària dovettero porre un freno a quel flusso, dato che non ci stavano tutti nel paese. Nella notte circa un paio di centinaia di persone si accamparono presso il confine, attendendo, e sperando nell'autorizzazione del governo, che, si auguravano, doveva giungere il mattino seguente. Gli abitanti di Minucciano e gli sfollati già dentro al borgo facevano quello che potevano per aiutarli, portando coperte e vino.
Verso le due del mattino arrivarono i tedeschi, che mitragliarono l'accampamento, uccidendo anche tre guardie della vicaria. La repubblica di Lucca inviò una nota diplomatica sia al comando generale delle forze d'occupazione tedesche, sia a Berlino stessa. Il comando rispose che i tedeschi avevano semplicemente risposto al fuoco nemico, e che non avevano sconfinato in territorio lucchese. Da Berlino arrivò invece la minaccia di una dichiarazione di guerra se “nel corso delle operazioni belliche, le guardie confinarie della repubblica avessero osato ancora molestare l'esercito del Reich nell'adempimento dei suoi doveri”.
Fortunatamente in seguito non si ripeterono eventi del genere, anche se Lucca cercò di aiutare nel modo più discreto possibile gli alleati del generale Alexander. Il 21 aprile la linea gotica venne sfondata, portando lontano lo spettro della guerra.
Ancora adesso, Giuseppe Nobili, priore dal 1942 al 1948, è considerato un eroe nazionale, in grado di preservare la neutralità e l'indipendenza della repubblica in quei difficili anni, grazie alla sua straordinaria abilità diplomatica. Al congresso di pace, gli americani proposero che alla piccola repubblica venissero ceduti Stazzema, Pietrasanta, Forte dei Marmi e Seravezza. Ma il priore rifiutò, limitandosi a trattare con de Gasperi degli accordi per facilitare il collegamento tra il territorio repubblicano e le quattro enclave in territorio italiano: Gallicano, Fosciandora, Castiglione e Minucciano.
Nel dopoguerra, la repubblica fu impegnata nel rilancio della propria economia, che diventò sempre meno dipendente dall'agricoltura e sempre più dall'industria e dai servizi bancari, che, progressivamente, divennero il settore principale e trainante. Molto sviluppata è l'industria chimica; a le Focette c'è un polo di ricerca famoso a livello europeo. Particolarmente rilevante è il turismo balneare, dato che Viareggio è una meta rinomata ed esclusiva. Viareggio attira turisti anche per il suo celeberrimo carnevale, considerato la “versione europea” del carnevale di Rio. Il piccolo stato vanta la presenza di ben 2 casinò, a Viareggio e nella stessa Lucca. Sviluppato è anche, di recente, l'ecoturismo, dato che i prodotti delle colline lucchesi sono particolarmente ricercati.
Dal 1951 ha accordi di libero transito di merci con la repubblica italiana e gli altri paesi italofoni, estesi dal 1993 ai paesi dell'Unione Europea. Nel 1995 ha aderito al trattato di Schengen. Dal 2002 è un paese associato all'unione monetaria europea, ed ha il diritto di coniare l'euro.
Dal 2005 il priore è Marcello Pera, della formazione centrista dei cristiano-democratici.
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Repubblica di Noli
Superficie: 18 Kmq
Popolazione: 26021 ab.
Densità: 1446 ab/kmq
Capitale: Noli
Forma di governo: repubblica presidenziale
Lingue: italiana, altre
Etnie: italiana 87 %, francese 10 %, altre 3 %
Religioni: cattolica, altre
PIL pro capite (a parità di potere d'acquisto, 2014): 24245 €
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Questa repubblica è sopravvissuta, in realtà, per la capricciosa ostinazione francese, che voleva fare un dispetto ai Savoia, che avevano ottenuto, a detta di Talleyrand ingiustamente, di nuovo, Chambery, e che, per giunta, si erano impossessati della repubblica di Genova. Non potendo pretendere la restaurazione della repubblica ligure, si impuntarono per rompere la continuità territoriale sabauda sulla riviera. Pertanto inglesi e austriaci concedettero di ripristinare l'antica repubblica di Noli, un innocuo puntino sulla mappa, cui regalarono anche parte dell'altopiano delle Maine e la località di Varigotti.
La piccola piccola repubblica di pescatori si premurò di intrattenere rapporti più che amichevoli sia con i Francesi, sia con i Sabaudi. Inoltre, strinsero una sorta di “alleanza” con il principato di Monaco, altro piccolissimo stato sulla costa mediterranea, restaurato, come Noli, dopo essere stato condannato in un primo momento all'estinzione. Il primo passo dei governanti fu, inoltre, cercare di rendere il porto utilizzabile anche da navi di una certa stazza. I lavori, tra Noli e Varigotti, per il “porto nuovo” durarono molti anni, tra carenza di fondi, incidenti di percorso e diatribe politiche. Divenne pienamente operativo, infatti, solo nel 1856. Nel frattempo, la vita venne sconvolta anche in questo luogo dal risorgimento montante. Noli e Monaco si sentirono minacciate dall'avvicinamento Franco – Sabaudo all'indomani della guerra di Crimea, ed inviarono ambasciatori sia a Torino, sia e soprattutto a Napoleone III. Noli fu rassicurata. Non era intenzione del governo francese permettere l'annessione piemontese. Non così Monaco, che aveva il sentore di essere in grave pericolo, anche perché la situazione giuridica di Mentone e Roccabruna era ancora instabile, visto che dal 1848 i patrioti avevano innalzato la bandiera dell'indipendenza e si erano messi sotto la protezione piemontese. Al che l'ambasciatore di Noli cercò di inserire nei trattati ufficiali che aveva appena stipulato con Parigi anche il principato. Inizialmente la sua proposta non ebbe successo. Poi, qualche mese dopo (siamo nel 1858), Parigi volle stipulare con Noli un trattato di unione doganale, con il nulla osta del regno di Sardegna. Nella piccola repubblica, la cosa sembrava sospetta: con il nuovo porto in funzione, il valore commerciale di Noli era aumentato di molto e non era logico pensare che il regno sabaudo lasciasse un cuneo economico nel cuore dei suoi territori.
La risposta venne quando venne reso pubblico l'accordo di Plombières, dopo la seconda guerra d'indipendenza. Infatti, in cambio dell'aiuto contro gli austriaci Napoleone III aveva chiesto la contea di Nizza e la Savoia. Mentone e Roccabruna dovevano invece tornare a Monaco, che doveva poi girarle direttamente alla Francia in cambio di 4 milioni di franchi d'oro. Ma la clausola, per amicizia verso Noli (Napoleone III era un gran sentimentale, in fondo) e per intercessione dei Bonaparte dell'Elba, anch'essi in ottimi rapporti con i Grimaldi, venne modificata. In cambio del mantenimento della sovranità Monegasca sulle due città, i Francesi si erano accordati con il Piemonte per l'unione doganale e l'utilizzo privilegiato del porto di Noli. Il principato e la repubblica finirono sotto la diretta protezione del secondo impero, cosa che ne preservò l'indipendenza durante il processo di nascita del regno d'Italia. Ma, poiché fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio, Noli cercò comunque di coltivare buoni rapporti con Torino. Cosa che in effetti tornò utile allorquando, nel 1870, Napoleone III cadde a seguito della battaglia di Sedan. Il XIX secolo, per il resto, proseguì senza particolari intoppi, a parte alcune tensioni con il governo Crispi, durante la guerra doganale con i transalpini, e così fu anche per i primi anni del ventesimo. Durante la prima guerra mondiale Noli si schierò con l'intesa. In direzione delle trincee di Verdun, assieme ai francesi, partirono alcuni volontari, che non fecero ritorno. Con l'avvento del fascismo la situazione di Noli come cuneo francese in territorio italiano si fece poco sicura. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale a nulla valsero i tentativi diplomatici: Noli fu occupata dalle forze del duce nel 1940. Un tentativo di rivolta riconsegnò la libertà a Noli nei tumultuosi giorni dopo l'8 settembre 1943, ma durò poco, poiché le forze della repubblica di Salò e i nazisti ripresero possesso del paese, fino all'aprile 1945. Poco dopo la guerra, nel 1946, a Noli si tenne un referendum per decidere se entrare a far parte della neonata repubblica italiana o restare indipendenti. Con un ampio margine vinse la seconda opzione. Vennero comunque siglati gli accordi di libero scambio della penisola italiana del 1951. Poco dopo decise di aderire alla CEE, contrariamente alla scelta intrapresa dagli altri piccoli stati della penisola. I principali introiti economici sono derivati dall'elevato numero di esercizi commerciali dell'industria del lusso che il governo ha cercato sempre di attirare (milioni di italiani vengono ogni anno a fare spese nella free- tax area del porto, attirati dal prezzo inferiore dei prodotti). Sono sorte inoltre moltissime strutture ricettive per il turismo balneare (sempre di alto livello). Dal 2000 (addirittura prima della repubblica italiana) i nolesi hanno potuto utilizzare la moneta unica europea. Dal 2008, primo capitano della repubblica è Ambrogio Repetto, liberal – socialista.
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Principato delle Isole Borromee
(scritta per celebrare la Festa di Utopiaucronia il 28 giugno 2020)
Superficie: 0,18 Kmq
Popolazione: 199 ab.
Densità: 1100 ab/kmq
Capitale: Isola Madre
Forma di governo: monarchia costituzionale
Lingue: Italiana
Etnie: Italiana 90 %, altre 10 %
Religioni: cattolica, altre
PIL pro capite (a parità di potere d'acquisto, 2014): 68971 €
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Il Principato delle Isole Borromee comprende in tutto cinque isole poste al centro del Lago Maggiore, nel braccio di lago chiamato golfo Borromeo: l'Isola Madre (7,8 ha), dove ha sede la capitale, l'Isola Bella (6,4 ha), rinomata meta turistica, l'Isola dei Pescatori (3,4 ha), l'Isolino di San Giovanni (0,4 ha), davanti a Verbania, e lo Scoglio della Malghera (0,02 ha). Questo microstato è quanto oggi resta di un territorio ben più vasto passato alla storia con il nome di "Stato Borromeo".
Le prime notizie relative alla famiglia Borromeo risalgono alla fine del XIII secolo. Originari dei dintorni di Roma, si trasferirono a San Miniato al Tedesco (nell'attuale provincia di Pisa), dove presero il nome di "Buoni Romei", come erano chiamati tutti coloro che provenivano dalla Città Eterna, in seguito contratto in "Buonromei". La fortuna economica arrise subito loro grazie a un'accorta politica matrimoniale: Filippo Buonromei sposò infatti Talda, sorella di Beatrice di Tenda, moglie di Facino Cane e, in seguito, di Filippo Maria Visconti. Duca di Milano. In tal modo si conquistarono l'appoggio della potente famiglia viscontea.
A causa delle lotte tra Firenze e i presidi ghibellini in Toscana, intorno al 1370 i Buonromei si trasferirono a Milano e a Padova, dove divennero grandi banchieri, e il loro nome fu ulteriormente trasformato in Borromei o Borromeo. A Padova si celebrarono le nozze tra Margherita Borromeo e Giacomo Vitaliani, ricco esponente dell'onomima famiglia locale che asseriva di discendere da santa Giustina di Padova, la santa martirizzata sotto Diocleziano nel 303 d.C. Purtroppo Giacomo sperperò l'ingente patrimonio di famiglia; alla sua morte prematura nel 1396, il figlio Vitaliano Vitaliani venne adottato dallo zio materno, Giovanni Borromeo, che non aveva figli, e ne assunse il cognome, diventando Vitaliano Borromeo. Egli fu il capostipite dell'omonima famiglia milanese, ed oggi è noto con il nome di Vitaliano I, anche se egli non possedeva la signoria di alcun territorio (ai nobili piace retrodatare il più possibile il loro sangue blu). Vitaliano I continuò i commerci dello zio aprendo due nuove filiali della banca a Burgos e a Barcellona, e seppe conquistarsi la fiducia di Filippo Maria Visconti; nel 1416 acquistò la cittadinanza milanese, nel 1418 venne nominato tesoriere del ducato di Milano e nel 1446 gli venne conferito il titolo di Conte di Arona, Si guadagnò poi anche il favore di Francesco Sforza, che gli donò altri feudi tra cui quello di Angera nel 1449. A questa data risale anche l'acquisto da parte dei Borromeo del castello noto come Rocca di Angera, risalente ai tempi dei Longobardi, anche se le mura che oggi vediamo risalgono al XIII secolo.
Per i Borromeo iniziò così l'espansione nei territori del Verbano, che li portò a ritagliarsi un vero e proprio stato nello stato, il cosiddetto "Stato Borromeo", vasto più di mille chilometri quadrati, con capoluogo Arona. Era ripartito in dieci podesterie: Mergozzo, Omegna, Vogogna, Val Vigezzo, Cannobio, Intra, Laveno, Lesa, Angera e Arona. Il podestà di Arona era il delegato comitale anche per le funzioni giurisdizionali, dato che le proprietà dei Borromeo non dipendevano dalla giustizia ordinaria di Milano. Il territorio era scarsamente popolato, ma permetteva da parte del signore il controllo della navigazione lacustre e l'introito daziario che veniva incamerato ad Arona. Collocato al limite nordoccidentale del ducato di Milano e confinante con la Svizzera, conquistò un determinante ruolo strategico per il gran numero di siti fortificati, la disponibilità di un esercito locale, il sostegno dell'aristocrazia del posto. Vitaliano I morì l'11 ottobre 1449 e gli succedette il figlio Filippo. Il 26 aprile 1494 si verificò in Valle Vigezzo il famoso Miracolo del Sangue nel villaggio di Re, dove oggi sorge un grande santuario, e di esso fu testimone anche il Conte Giberto I, pronipote di Vitaliano I, che fece della Madonna di Re la patrona della casata.
Anche nel Cinquecento, sotto la dominazione francese prima e spagnola poi, la famiglia mantenne sempre posizioni di potere: da banchieri i Borromeo si trasformarono in latifondisti, e molti esponenti della casata intrapresero con successo la carriera militare. Tra questi ci fu Giovanni I il Giusto, che nel 1487 a Crevoladossola sbaragliò gli Svizzeri, i quali avevano invaso l'Ossola cercando di annetterla alla Confederazione. Nel 1501 suo figlio Lancillotto acquistò le isole Borromee, uno dei momenti più importanti della storia della famiglia. Il 2 ottobre 1538 sull'Isola Bella dal Conte Giberto II e da sua moglie Margherita de' Medici, sorella di Papa Pio IV, nacque Carlo Borromeo, Arcivescovo di Milano dal 1564 al 1584, uno dei massimi esponenti della Controriforma, che applicò con zelo nella propria Diocesi. Morto il 4 novembre 1584 di ritorno da una visita pastorale proprio alle Isole Borromee, fu canonizzato da Papa Pio V il 1 novembre 1610 ed oggi è compatrono di Milano. Ad Arona è stato innalzato un monumento in suo onore, una statua con le sue fattezze alta 23 metri, detta popolarmente "il Sancarlone". Dopo di lui fu arcivescovo di Milano anche suo cugino Federigo Borromeo (1564-1631), che trovò un eccezionale PR in Alessandro Manzoni, visto il ritratto encomiastico che ne fece nei "Promessi Sposi". Federigo fu effettivamente un grande pastore per la sua diocesi, affrontò con grande forza la peste portata dai Lanzichenecchi e fu un amante della cultura e dell'arte, fondando la Biblioteca e l'Accademia Ambrosiana a Milano.
Nella prima metà del XVII secolo la famiglia e il vasto patrimonio dei Borromeo si divise in due rami: quello primogenito dei conti di Arona con Carlo III, e quello cadetto dei marchesi di Angera con Giulio Cesare III. Nel 1638 con la scomparsa prematura in guerra, durante l'assedio di Vercelli, del conte Giulio Cesare, e poi nel 1652 con il matrimonio tra Renato II, primogenito del conte Carlo III, e Giulia Arese, figlia del Conte Bartolomeo III Arese, iniziò l'ascesa del ramo dei conti di Arona. Vitaliano VI (1620-1690) nella seconda metà del Seicento portò a compimento il sontuoso progetto iniziato dal padre Carlo III della villa sull'Isola Bella, una tra le residenze barocche più sfarzose d'Italia. Quando nel 1690 mori l'ultimo marchese di Angera, Paolo Emilio, tutto il patrimonio dei Borromeo tornò nelle mani del conte Carlo IV (1657-1734). Il periodo a cavallo tra Sei e Settecento fu quello di massimo splendore per la famiglia Borromeo, e coincise con lo sfarzo dell'epoca barocca. A partire dalla metà del XVIII secolo tuttavia i Borromeo videro passare sotto il dominio sabaudo parte dei loro feudi e proprietà sulla sponda occidentale del Verbano, compresa Arona, ma riuscirono a tenere le Isole Borromee, grazie al conte Carlo IV, che seppe gestire il passaggio dalla dominazione spagnola a quella asburgica sullo Stato di Milano e seppe farsi benvolere anche dai nuovi padroni, mentre problematici restavano i rapporti con i Savoia, da sempre desiderosi di mettere le mani sulla Lombardia. Fratello minore del conte Carlo IV era il cardinale Giberto IV (1671-1740), vescovo di Novara.
A Carlo IV subentrò il figlio Giovanni
Benedetto (1684-1777) e a questi il figlio Renato III (1710-1778) e poi il
nipote Giberto V (1751-1837); Vitaliano VII (1720-1793), fratello di Renato
III, fu Cardinale e Nunzio Apostolico a Vienna. A Giberto V toccò affrontare la
tempesta rivoluzionaria prima e napoleonica poi. Siccome egli aveva parteggiato
per Napoleone, al momento della Restaurazione dopo il Congresso di Vienna quasi
tutti i beni della famiglia furono assegnati al ramo cadetto dei Borromeo detti
di San Maurilio (poiché
la loro residenza era nell'omonima via nel centro di Milano), discesi da
Francesco (1713-1775), fratello minore di Renato III: i loro esponenti Giovanni
(1743-1820) e suo nipote Carlo (1787-1866) si erano infatti rifugiati a Vienna
per sottrarsi alla dominazione napoleonica. Tuttavia a Giberto V venne
riconosciuto perlomeno il titolo di Principe delle Isole Borromee, che al
Congresso era considerato puramente formale, ma che egli riuscì a trasformare in
un vero e proprio titolo monarchico. In tal modo i "perdenti" divennero
"vittoriosi". Il Principe assunse la nuova numerazione di Giberto I, a rimarcare
il fatto che una nuova era era cominciata, si stabilì nel suo sontuoso palazzo
sull'Isola Bella, cui apportò migliorie sul piano artistico, e che gestì come
una vera capitale del proprio piccolissimo dominio (la sua superficie è pari al
40 % dell'attuale Città del Vaticano).
A Giberto I succedette il figlio Vitaliano (1791-1874), che avrebbe dovuto essere VIII ed invece si chiamò Vitaliano I, il quale si vide riconoscere formalmente l'indipendenza dal Re di Sardegna Carlo Alberto di Savoia-Carignano, suo amico. Nel 1848 anche Vitaliano I introdusse una Costituzione Liberale nel proprio microscopico dominio, sul modello dello Statuto Albertino, e questo gli valse la simpatia di Camillo Benso di Cavour, mentre il ramo dei Borromeo di San Maurilio restava legato a filo doppio alla Corona d'Austria. Nel 1859 Vitaliano I concesse ai patrioti piemontesi di far tappa sulle sue isole prima di invadere il milanese nell'ambito della Seconda Guerra d'Indipendenza, e quando la Lombardia fu annessa al Regno di Sardegna, il minuscolo Principato restò indipendente, anche perchè il Principe, dotato di grande fiuto per gli affari, aveva fatto installare sulle sue isole, in particolare sull'Isola dei Pescatori, alcune banche che godevano di assoluta segretezza e di tassazione privilegiata. Una mossa, questa, che garantì al Principato delle Isole Borromee di arrivare illeso fino agli anni Duemila.
A Vitaliano I successero i figli Giberto II (1815-1885), Guido I (1818-1890), Emanuele I (1821-1896), tutti senza figli, ed infine Emilio I (1829-1909), mentre un quinto fratello, Edoardo (1822-1891), fu Cardinale di Santa Romana Chiesa ed Arciprete della Basilica di San Pietro in Vaticano. La Belle Époque vide le Isole Borromee trasformarsi in una delle mete turistiche preferite delle teste coronate e dei portafogli più gonfi d'Europa, soprattutto per iniziativa di Guido I che fece costruire il leggendario Grand Hotel des Iles Borromées sull'Isola Bella, famoso per il magnifico giardino botanico che lo circonda, che presenta fioriture multicolori per tutto l'anno, a rotazione tra le varie specie floreali (rose, orchidee, bulbose, magnolie, frutteti, azalee, gardenie, glicini...) Al successo del Principato come meta turistica contribuì soprattutto la costruzione del leggendario Orient Express, che congiungeva Parigi a Costantinopoli: attraverso la Galleria del Sempione, aperta il 24 febbraio 1905, esso passava per Stresa, dove c'era un'apposita stazione ferroviaria nonché l'imbarcadero per il Principato dei Borromeo. Nel 1875 anche la celebre Rocca di Angera ritornò proprietà dei Principi Borromeo, anche se continuò a far parte dello Stato Italiano, e il turismo artistico patrocinato dai Borromeo conobbe un ulteriore impulso.
A Emilio I succedette il figlio Giberto III (1859-1941), cui toccò affrontare la crisi della Prima Guerra Mondiale, che aveva interrotto l'Orient Express e il flusso turistico di gran lusso; il Principato sopravvisse grazie alle sue banche. La boccata d'ossigeno arrivò nel 1919 con la ripresa del turismo. Di idee liberali come i suoi antenati, Giberto III cercò una convivenza pacifica con il regime di Benito Mussolini, per il quale provava una cordiale antipatia, ma si rifiutò di rappresentare fasci littori ed altro ciarpame ideologico nelle proprie isole. Dopo la promulgazione delle infami leggi razziali (18 settembre 1938) Giberto III diede rifugio sulle isole a molti Ebrei in fuga dall'Italia, che vennero dichiarati cittadini del Principato e poi portati in barca verso la salvezza in Svizzera. Alla morte di Giberto III il 20 febbraio 1941 gli successe il figlio Vitaliano II (1892-1982), che continuò la politica del padre durante l'occupazione nazifascita del Nord Italia dopo l'8 settembre 1943: egli mise in piedi un efficiente servizio di informazioni per scoprire il destino dei militari italiani prigionieri o deportati in Germania, mantenne contatti segreti con gli Alleati e con i Partigiani e pagò sostanziose bustarelle agli occupanti tedeschi perchè chiudessero un occhio di fronte alla fuga di Ebrei e perseguitati politici attraverso il Lago Maggiore; per questo nel 1949 egli fu creato Cavaliere di Gran Croce della neonata Repubblica Italiana dal Presidente Luigi Einaudi.
Il Principato di Vitaliano II si distinse per la vivace attività culturale dedicata alla promozione dell'immenso patrimonio artistico e storico ereditato dall'illustre passato della sua famiglia, in particolare aprendo agli studiosi di tutto il mondo la sua immensa Biblioteca. Le emissioni filateliche del Principato consentirono notevoli introiti. Inoltre negli anni cinquanta e sessanta le Isole divennero meta delle vacanze di molti politici e attori di tutto il mondo, sottoposti a una caccia spietata da parte dei paparazzi. Tra gli altri si ricorda il passaggio per le Isole di Winston Churchill, Charlie Chaplin, Jacqueline Kennedy, Anthony Quinn, Silvana Mangano, lo Shah di Persia Mohammad Reza Pahlavi, Pier Paolo Pasolini e di molti campioni del calcio internazionale. Vitaliano II morì ad 89 anni il 29 marzo 1982 e gli succedette il figlio Giberto IV (1932-2015). Sotto il suo principato alle isole venne assegnato il TLD .ib che venne venduto a prezzi concorrenziali a moltissimi sviluppatori di siti internet nel mondo. Il 4 novembre 1984 si svolse la storica Visita Pastorale di Papa Giovanni Paolo II sulle Isole. Dal 1988 la Rocca di Angera ospita il Museo della Bambola e del Giocattolo, unico nel suo genere. Dal 1994 poi il Principato delle Isole Borromee gode dello status di Osservatore Permanente presso le Nazioni Unite. Nel 2002 il Principato delle Isole Borromee adottò l'euro al posto dell'antico scudo (dal 1865 equiparato alla Lira e aderente all'Unione Monetaria Latina) grazie a un apposito negoziato con l'Unione Europea, e poté battere un numero limitato di monete con lo stemma borromaico, che andarono a ruba tra i collezionisti.
Per gli amanti del gossip bisogna aggiungere che Carlo Ferdinando, fratello minore di Giberto IV nato il 9 dicembre 1935, ebbe tre figli dalla prima moglie, la tedesca Marion Sybille Gabrielle Zota, nata il 30 giugno 1945. La primogenita Isabella, nata il 3 febbraio 1975, il 24 settembre 2005 ha sposato Ugo Maria Brachetti Peretti, proprietario della API, da cui ha avuto i tre figli Angela, Ludovico e Federico. La secondogenita Lavinia Borromeo, nata il 10 marzo 1977, che il 4 settembre 2004 sposò John Elkann, non una goccia di sangue blu nelle vene, ma designato dal nonno Giovanni Agnelli suo erede alla guida del Gruppo Fiat (la nuova nobiltà del denaro, dunque), Da lui il 27 agosto 2006 ha avuto il figlio Leone Mosé, l'11 novembre 2007 il secondogenito Oceano Noah e il 23 gennaio 2012 la terzogenita Vita Talita. La terzogenita Matilde, nata l'8 agosto 1983, l'11 giugno 2011 ha sposato il nobile bavarese Antonius Hugon Egon, Principe di Fürstenberg, nato il 14 giugno 1985, da cui ha avuto i figli Karl Egon e Alexander. In seguito Carlo Ferdinando divorziò e sposò in seconde nozze Paola Marzotto (appartenente a una grande famiglia di industriali), mata il 25 maggio 1955, dalla quale ha avuto altri due figli. Carlo Ludovico, nato l'11 marzo 1983, il 30 giugno 2012 ha sposato la famosa attrice statunitense Anne Hathaway, resa famosa da "Il diavolo veste Prada", da cui ha avuto i figli Christopher e Alma. La quintogenita Beatrice Borromeo, nata il 18 agosto 1985, tra l'altro ebbe una carriera da modella; il 1 agosto 2015 sull'Isolino di San Giovanni ha sposato Pierre Casiraghi, figlio di Carolina di Monaco e di Stefano Casiraghi, dal quale ha avuto i figli Stefano, nato il 28 febbraio 2017, e Francesco, nato il 21 maggio 2018. In tal modo le famiglie regnanti dei due Principati di Monaco e delle Isole Borromee si sono imparentate tra di loro.
Giberto IV si spense a 82 anni per un malore improvviso il 16 febbraio 2015, e nel titolo di Principe gli succedette il figlio Vitaliano III, nato il 22 giugno 1960. Egli tra l'atro ha dovuto affrontare la sfida dell'epidemia di Covid-19. « Il Coronavirus – ha dichiarato il principe Vitaliano III Borromeo in un'intervista – è decisamente meno pericoloso della Peste manzoniana. Nonostante questo, però, non si possono negare i danni che l’epidemia di Covid e la chiusura degli aeroporti ha arrecato a questo territorio, che basa la maggior parte della propria ricchezza proprio sul turismo straniero. » Ancora una volta a salvare il Principato sono state le operazioni bancarie, ora svoltesi online. Il 12 gennaio 1988 Vitaliano III ha sposato la principessa Elena di Jugoslavia, nata il 12 marzo 1963 e figlia di Alessandro Karagjorgjević, membro della ex casa regnante di Jugoslavia, e di Maria Pia di Savoia, a sua volta figlia dell'ultimo Re d'Italia Umberto II. La coppia ha avuto quattro figli: l'Erede al Trono Giberto, nato il 18 giugno 1990; Demetrio, nato il 12 marzo 1993; Maria, nata il 30 novembre 1995; e Paolo, nato il 1º agosto 1997. A sua volta il Principe Giberto il 23 giugno 2018 ha sposato l'attrice scozzese Rose Eleanor Arbuthnot-Leslie, nata il 9 febbraio 1987, famosa per la sua interpretazione di Ygritte nella serie cult "Il Trono di Spade", ma anche appartenente ad una famiglia di antichissima nobiltà, e discendente addirittura di Re Carlo II d'Inghilterra. Dal matrimonio il 10 gennaio 2020 è nato l'erede al Trono (non di Spade, delle Isole Borromee!) Vitaliano. Alla ricostruzione delle lunghe e complesse vicende dei vari rami della famiglia Borromeo ha dato un contributo eccezionale la dottoressa Annalisa Albuzzi, famosa storica di corte dei Principi Giberto IV e Vitaliano III, ordinaria di Storia della Chiesa presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano nonché amica di Utopiaucronia, cui va il nostro più sincero grazie.
Cronotassi dei Principi delle Isole Borromee: Giberto I (1815-1837), Vitaliano I (1837-1874), Giberto II (1874-1885), Guido I (1885-1890), Emanuele I (1890-1896), Emilio I (1896-1909), Giberto III (1909-1941), Vitaliano II (1941-1982), Giberto IV (1982-2015), Vitaliano III (2015-in carica).
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Repubblica Esperantista dell'Isola delle Rose
Superficie: 0,0004 Kmq
Popolazione: 6185 ab. (75 residenti)
Capitale: Isola delle Rose
Forma di governo: E-Democracy
Lingue: esperanto
Religione: cattolica
PIL pro capite (a parità di potere d'acquisto, 2014): 72841 €
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Il 1 maggio 1968 l'ingegnere bolognese Giorgio Rosa dichiarò l'indipendenza della Repubblica Esperantista dell'Isola delle Rose (in esperanto "Esperanta Respubliko de la Insulo de la Rozoj"), situata su una piattaforma artificiale di 400 metri quadrati nel mare Adriatico, dodici chilometri al largo delle coste della provincia di Forlì e 500 metri al di fuori delle acque territoriali italiane. Subito essa si diede una lingua ufficiale (l'esperanto), un governo, una moneta e un'emissione postale. A questo punto però l'ingegner Rosa venne avvisato dai suoi consiglieri che il governo Italiano avrebbe cercato di sloggiarlo e di distruggere la piattaforma, e quindi chiese preventivamente aiuto alla Jugoslavia. Il Maresciallo Tito si convinse che, in fondo, fare un dispetto all'Italia poteva essere conveniente, oltre che divertente, quindi mandò le sue corvette a prevenire l'assedio della guardia di Finanza. Lo scontro venne portato davanti all'arbitrato dell'ONU, e alla fine venne stabilito che l'Italia non poteva agire al di fuori della propria giurisdizione; La Jugoslavia, il Moresnet Neutrale, il Regno di Tavolara ed altre nazioni più o meno "micro" riconobbero la Repubblica delle Rose.
L'isola fu il primo stato ad usare ufficialmente l'Esperanto, e questo lo rilanciò come lingua, offrendogli una sede ufficiale per gli studi e lo sviluppo del vocabolario. Ben presto l'esperanto cominciò ad essere insegnato nelle scuole di tutti i paesi europei, fino a fargli raggiungere la diffusione attuale (oggi l'esperanto è una delle lingue ufficiali dell'Unione Europea). Nel 1970 fu installata una stazione Radio sull'Isola, Radio Rosa Libera, che trasmetteva e trasmette tuttora in italiano e in esperanto.
L'Isola adottò ben presto il sistema bancario a modello svizzero. Inoltre nel 1972 si scoprì una ricca riserva petrolifera sotto il fondale nei pressi dell'Isola, che così poté rendersi economicamente indipendente, specie durante le crisi petrolifere. Importante fonti di reddito erano anche la numismatica e la filatelia.
Nel 1973, per fermare una banda di contrabbandieri che usava l'Isola come rifugio, l'Italia accettò di riconoscere la piccola Repubblica; le Guardie di Sicurezza di quest'ultima catturarono i contrabbandieri e li consegnarono alle autorità. Con il Trattato di Ravenna del 2 marzo 1974, l'Italia riconobbe ufficialmente la Sovranità dell'Isola delle Rose, che ormai aveva oltre cinquemila cittadini sparsi in tutto il mondo. Nel 1978 la Repubblica delle Rose entrò ufficialmente a far parte dell'ONU. Nel 1980 Rosa fu eletto presidente onorario a vita della Repubblica delle Rose, alla quale nel 1990 fu assegnato il TLD .rr. Gli anni novanta videro la costruzione sull'Isola dell'albergo-Casinò delle Rose Rosse, mentre diverse società off-shore facevano dell'Isola delle Rose il proprio paradiso fiscale. Per questo nel 2009 la Repubblica delle Rose era fra i paradisi fiscali messi sotto accusa dall'Europa. Solo nel 2011 venne firmata la Convenzione Italo-Rosiana, sulla trasparenza delle operazioni finanziarie ospitate sull'isola artificiale. E non è tutto: qui vennero installati i server di Wikileaks, a cui il governo concesse asilo. Durante la crisi dei migranti l'Isola delle Rose restò sostanzialmente neutrale. Furono numerosi gli scandali per siti di Hacking a cui il governo affittò (consapevolmente o meno) numerosi server: pare che qui gli Anonymous e molti altri gruppi si siano federati per la prima volta nella "Lega degli Hacker" che oggi è una vera e propria Nazione Virtuale, il che estese la potenza della Repubblica delle Rose e la sua importanza.
Oggi la Repubblica delle Rose è l'unica forma di E-Democracy riconosciuta. La popolazione vota online: il sito è protetto non si sa bene da chi, ma pare che il governo così connivente con gli Hacker sia stato "ringraziato" con una vera e propria convenzione che fornisce alla Repubblica una protezione da qualsiasi attacco informatico, della stessa categoria che potrebbe hackerare i server della CIA. L'Isola riconosce tutte le altre micronazioni e nel 2014 ha avanzato la proposta di federarle fra di loro, propugnando l'ideologia della "Federazione Fungo" secondo cui tutte le microrepubbliche del mondo dovrebbero federarsi in una sola repubblica simile a quella delle Rose, così che la Repubblica sia equamente distribuita in tutto il globo (come funghi, appunto le piccole enclavi), abbia più cittadini che chilometri di estensione e chiunque voglia raggiungerla possa farlo: è il cosiddetto "Quinto Mondo". L'Isola delle Rose sostiene l'idea di Cittadino Universale e Governo Mondiale, ma come immensa Confederazione Cantonale Globale dove tutto è suddiviso a livello locale e il governo centrale non fa altro che garantire uguali diritti per tutti. Nel 2016, infine, Papa Francesco è stato il primo Pontefice a dire messa nella cappella dell'Albergo delle Rose Rosse.
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Libera Repubblica di Cospaia
Superficie: 3,3 Kmq
Popolazione: 976 ab.
Densità: 2957 ab./kmq
Capitale: Cospaia
Forma di governo: repubblica oligarchica
Lingue: italiano
Religione: cattolica
PIL pro capite (a parità di potere d'acquisto, 2014): 31829 €
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L'indipendenza della Repubblica di Cospaia trae origine da un equivoco: il 6 febbraio 1441 papa Eugenio IV (1431-1447), in lotta contro il Concilio di Basilea, cedette il territorio di Sansepolcro alla Repubblica di Firenze. Il nuovo confine doveva essere segnato per un breve tratto da un fiume chiamato "Rio della Gorgaccia" dagli abitanti del posto, ma a circa 500 metri a sud di esso scorre un corso d'acqua chiamato "Rio Riascone". Per errore, i delegati della Repubblica di Firenze considerarono come nuovo confine il "Rio" che si trova più a nord, mentre i delegati dello Stato della Chiesa considerarono invece il "Rio" più a sud. Si creò così una sorta di "terra di nessuno", i cui abitanti si accorsero ben presto di non dover pagare le tasse ad alcuno dei due stati. Fondarono perciò una minuscola repubblica (a quei tempi una forma di governo estremamente rara), che anziché essere riassorbita dagli stati confinanti fu riconosciuta indipendente nel 1484. I cospaiesi inizialmente preferirono basare la loro indipendenza sulla libertà totale degli abitanti, tutti detentori della sovranità, non affidata a nessun organo rappresentativo, eccezion fatta per il Consiglio degli Anziani, che si riuniva nella Chiesa dell'Annunziata, sede dell'omonima Confraternita, fondata nel 1613. Sull'architrave del portone di tale chiesa, così come sulla sua campana, si può leggere l'unica norma scritta della repubblica, "Perpetua et Firma Libertas". La Repubblica insomma non aveva né Costituzione né Presidente né Cancelliere; gli Anziani detenevano il potere esecutivo prendendo le decisioni a maggioranza. Decisivo per lo sviluppo del piccolo stato fu il fatto che le merci che transitavano sul suo territorio non erano soggette ad alcun dazio.
Di questo seppero approfittare i suoi 250 abitanti, intraprendendo quella che sarebbe diventata la principale attività della Repubblica, tramandata fino a diventare una tradizione agricola plurisecolare che resiste a tutt'oggi: la coltivazione del tabacco. Si dice che i semi della nuova pianta venuta dalle Americhe furono regalati nel 1574 da Monsignor Nicolò Tornabuoni (1540-1598), Nunzio del Papa Gregorio XIII (1572-1585) e ambasciatore di Toscana presso la Corte di Francia, allo zio Alfonso Tornabuoni (1500-1557), Vescovo di Sansepolcro, il quale li seminò nel suo giardino così da utilizzare a scopo medico le foglie di quella che proprio dal suo nome sarebbe diventata per i cospaiesi l’"erba tornabuona". Ben presto il tabacco si espanse in tutta la valle, e nel 1600 si svilupparono nel territorio di Cospaia le prime coltivazioni intensive di Nicotiana tabacum. Tuttora alcune varietà di tabacco vengono definite "cospaiesi"! In un regime a tassazione zero, gli abitanti del minuscolo stato incuneato tra Stato Pontificio e Granducato di Toscana poterono esportare le preziose foglie in entrambi i paesi, rendendo lo stato particolarmente florido.
Attirato dalla ricchezza delle coltivazioni di tabacco, Napoleone pose fine alla libertà della Repubblica il 23 ottobre 1807, annettendola all'Impero Francese. I Cospaiesi non gradirono, e molti di loro si diedero alla macchia ed iniziarono una dura guerriglia contro gli occupanti. Come ritorsione, il generale francese André Masséna (1758-1817), duca di Rivoli e principe di Essling, cannoneggiò l'abitato di Cospaia distruggendo molte case, che però erano vuote perché gli abitanti si erano rifugiate nei boschi vicini. La guerriglia fu guidata dalla famiglia Valenti, la più in vista di Cospaia; quando, il 10 marzo 1814, gli austriaci liberarono l'Italia centrale dall'occupazione francese, i Valenti rientrarono trionfalmente a Cospaia e restaurarono l'indipendenza della Libera Repubblica. Da allora ad oggi i membri della famiglia Valenti occuparono la carica di Supremi Magistrati, carica creata per l'occasione, e la Libera Repubblica, fin qui dalle venature quasi anarchiche, si trasformò in una Repubblica Oligarchica, ben diversa dalle repubbliche parlamentari cui oggi siamo abituati, anche se il motto dello stato rimase sempre lo stesso. Le riunioni del Consiglio degli Anziani si tennero da allora fino al presente in casa della famiglia Valenti. Come prima dell'occupazione napoleonica, Cospaia non aveva esercito né carcere, ma venne elaborata una prima bozza di Costituzione.
Durante l'ottocento, molti briganti e contrabbandieri approfittarono della franchigia offerta dalla Repubblica di Cospaia; i suoi privilegi attiravano persone di tutti i generi, per motivi economici o per sfuggire alla giustizia dei due grandi Stati confinanti. Lo Stato della Chiesa mirava a mettere le mani sulle fiorenti coltivazioni di tabacco e a porre fine alle attività di brigantaggio, e il 26 giugno 1826 Papa Papa Leone XII (1823-1829) propose ai cospaiesi un lauto risarcimento in monete d'argento (i popolari "papetti", in quanto raffiguravano l'effigie del Papa) e l'autorizzazione a continuare la coltivazione del tabacco, in cambio di un atto di sottomissione da parte della Libera Repubblica, ma i quattordici rappresentanti dello stato rifiutarono sdegnati; in seguito venne respinta anche un'altra sostanziosa offerta proposta da Papa Gregorio XVI (1831-1846). L'11 e 12 marzo 1860, quando si tenne il Plebiscito per l'annessione del Granducato di Toscana al Regno di Sardegna, il Consiglio degli Anziani e il Supremo Magistrato decisero all'unanimità di mantenere l'indipendenza del loro minuscolo stato. Tale indipendenza venne ribadita il 2 ottobre 1870, quando in seguito a un nuovo Plebiscito anche quanto restava dello Stato Pontificio venne annesso al nuovo Regno d'Italia.
I cospaiesi si mantennero rigorosamente neutrali durante tutti i conflitti che sconvolsero la Penisola nel corso del XX secolo. Cospaia restò anche immune dall'infezione fascista, in quanto ufficialmente nella Libera Repubblica non esistevano e non esistono partiti politici. Dopo la promulgazione delle famigerate leggi razziali e durante l'occupazione nazista dell'Italia, Cospaia divenne terra di rifugio per molti ebrei. Per questo, l'Obersturmbannführer (Tenente Colonnello) delle SS nonché governatore militare della città di Roma Herbert Kappler (1907-1978) ordinò l'occupazione della Repubblica, ma per la seconda volta la maggior parte degli abitanti e dei rifugiati ebrei si salvarono dandosi alla macchia. Dopo l'arrivo dei militari statunitensi la Libera Repubblica di Cospaia venne restaurata il 6 giugno 1944, ed ancora oggi il 6 giugno è Festa Nazionale. Nel dopoguerra la Repubblica si segnalò per essere l'unico angolo d'Italia a mantenere legalmente aperta una casa chiusa, avviando così una forma di "turismo" di grande successo. Ma la svolta avvenne nel 1992 con la liberalizzazione delle droghe leggere nel territorio della Repubblica. Questo rese il microscopico stato (appena due chilometri di lunghezza per circa 500 m di larghezza) una delle aree più frequentate d'Italia. Nel 2002 Cospaia rifiutò di aderire all'Euro mantenendo una propria valuta, lo Scudo di Cospaia. I rapporti con l'Unione Europea sono regolati da Trattati Bilaterali, e il fatto di essere a tutti gli effetti un porto franco ne fa uno degli stati più ricchi del pianeta. 59 stati del mondo, compreso il Vaticano (ma non Russia, Cina e Stati Uniti), hanno relazioni diplomatiche stabili con la Libera Repubblica, che non ha mai aderito all'ONU. I rapporti con gli Stati Uniti d'America si sono complicati il 27 luglio 2013, quando Cospaia offrì asilo ad Edward Snowden, noto per aver rivelato dettagli di diversi programmi segretissimi di sorveglianza di massa del governo statunitense. Per questo il Segretario di Stato Usa John Kerry ha definito Cospaia "il bad boy delle nazioni".
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Serenissima Repubblica di Senarica
Superficie: 0,041 Kmq
Popolazione: 97 ab.
Densità: 2366 ab./kmq
Capitale: Senarica
Forma di governo: repubblica basata sulla democrazia diretta
Lingue: ufficiale l'italiano, comune un dialetto veneto
Religione: cattolica
PIL pro capite (a parità di potere d'acquisto, 2010): 7851 €
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Senarica sorge su di uno sperone roccioso a picco sulle gole del fiume Vomano. Il primo insediamento umano nel suo territorio risale addirittura al Neolitico, anche se le prime testimonianze storiche risalgono al periodo romano. Dominata dai Longobardi e poi dagli Angioini, nel 1343 le truppe milanesi di Ambrogio Visconti tentarono di conquistarla, ma gli abitanti opposero una fiera resistenza, fino a che i nemici dovettero ritirarsi. Come conseguenza la regina di Napoli Giovanna I d'Angiò l'11 giugno 1357 conferì l'autonomia a quella che era ed è tuttora la repubblica più piccola del mondo. La bandiera del nuovo microstato raffigura uno scudo nero in campo giallo, dove campeggia un leone d'argento che artiglia una serpe, evidente riferimento alla sconfitta del biscione visconteo. In virtù del trattato di alleanza che la legava alla Repubblica di Venezia, e dalla quale era trattata come "Serenissima sorella", Senarica si impegnava, in caso di guerra, ad inviarle due soldati. La storia della Repubblica è stata messa per iscritto per la prima volta dallo scrittore Guglielmo Magnifico.
La Repubblica di Senarica poté sopravvivere fino al presente grazie all'inedita alleanza con la Serenissima repubblica di Venezia, storica nemica dei Milanesi. Oggi quasi tutte le case del pittoresco borgo conservano grandi stipiti di portali in arenaria grigia, con la scritta "CASA FRANCA", a perenne ricordo del privilegio dell'esenzione tributaria. I senarichesi sono molto fieri della loro autonomia, e tuttora hanno l'appellativo di "baroni". Essi eleggono per acclamazione un Doge, in carica per 4 anni, che presiede l'Assemblea del Popolo, organo deliberativo cui partecipano tutti i cittadini di Senarica sopra i 21 anni, votando per alzata di mano; l'assemblea nomina anche un Cancelliere, titolare del potere esecutivo. Fino al 1797, per statuto il Doge doveva essere un galantuomo analfabeta. Il primo Doge fu Jacinto I Cicintò, eletto nel 1358. Il re di Napoli Ferdinando IV non credeva all'esistenza della singolare repubblica e inviò a Senarica alcuni funzionari per accertamenti. Spinto dal primo ministro Bernardo Tanucci, tentò di cancellarne l'autonomia, ma incontrò la fiera resistenza del Doge Bernardino I Cicintò. Nel 1808 il nuovo re di Napoli Gioacchino Murat, cognato dell'imperatore dei francesi Napoleone, cancellò ogni sua libertà ed annesse la Repubblica, ma alla caduta del parvenu francese il Congresso di Vienna ristabilì la sua autonomia sotto il governo del Doge Sigismondo II de Nordangelis, pronipote di Bernardino I Cicintò. Quando il Mezzogiorno entrò a far parte del Regno d'Italia, il Presidente del Consiglio Camillo Benso, Conte di Cavour, riconobbe ufficialmente l'indipendenza di Senarica sotto il Doge Romano I de Nordangelis. I Dogi storicamente prestano giuramento e vengono sepolti nella chiesa dei santi Proto e Giacinto, famosa per le sue pregevoli statue lignee. Nel 1887 lo scrittore teatino Giuseppe Mezzanotte compose la "Tragedia di Senarica", pubblicata a Napoli.
Nel dialetto dei senarichesi si riscontrano singolari assonanze con la parlata veneta. Tra le altre parole comuni ai due linguaggi vi sono "fondaco", cioè magazzino di merci, "arca" per indicare la cassapanca, e "scurppelle", un piatto tipico locale. Tali lemmi sono un evidente retaggio dell'alleanza con Venezia. Lo stile di vita restò quello tradizionale fino a tempi molto recenti. Al Protettorato da parte della Repubblica di Venezia subentrò prima quello da parte dell'Impero d'Austria, poi dal 1866 quello da parte del Regno d'Italia, e dal 1946 quello da parte della Repubblica Italiana, che tuttora si occupa della difesa, delle forniture commerciali e delle relazioni estere della Repubblica più piccola del mondo. In questo modo si spiega, in nome dell'antico Trattato di Vassallaggio, l'invio di due soldati senarichesi a combattere nella Prima Guerra Mondiale come ausiliari del Regio Esercito Italiano. Durante il Ventennio il Doge fu costretto ad aderire al Partito Nazionale Fascista, ma subito dopo l'8 settembre 1943 tale scelta forzata fu rapidamente sconfessata. La Serenissima mantenne una politica di stretta neutralità, rifiutando di aderire alla NATO, ma nel 1945 fu tra gli stati fondatori dell'ONU, e beneficiò del Piano Marshall. Dopo la fondazione della CEE stabilì con essa un Trattato di Associazione, tuttora in vigore, e nel 2002 adottò l'Euro come valuta, ottenendo di poter coniare monete proprie con lo stemma del leone. Dal 1963 il diritto di voto per alzata di mano nell'Assemblea del Popolo fu esteso anche alle donne. Grazie alla politica di esenzione fiscale, negli anni '90 Senarica divenne sede di innumerevoli società offshore, che ne decretarono la fortuna economica. Anche il TLD .se (alla Svezia fu assegnato il TLD .sw) andò a ruba presso molte società di sicurezza nazionale, come l'americana NSA. La più piccola Repubblica del mondo è anche un rinomato centro turistico, avendo aderito alle istituzioni del Parco Nazionale del Gran Sasso, ed essendo facilmente raggiungibile dalla strada maestra del Parco. Oggi il territorio della Serenissima è inglobato all'interno del territorio del Comune di Crognaleto, in provincia di Teramo. Nel 2006 è stata rigettata dall'Assemblea del Popolo la proposta di liberalizzare le droghe leggere nella Repubblica. Nel 2014 Doge è Giuseppe III D'Alonzo, Cancelliere è Maria Scipioni, prima donna a ricoprire tale carica nella storia della Repubblica.
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Regno di Tavolara
Superficie: 5,9 Kmq
Popolazione: 115 ab.
Densità: 19,5 ab./kmq
Capitale: Bertoleoni
Forma di governo: monarchia costituzionale
Lingua: gallurese
Religione: cattolica
PIL pro capite (a parità di potere d'acquisto, 2010): 99872 €
Tavolara è un'isola al largo della costa della Gallura, di forma grossomodo rettangolare, lunga circa 6 km e larga 1 km. Dal punto di vista geologico è un massiccio calcareo che raggiunge una quota massima di 565 metri s.l.m. e alle estremità presenta due capi più facilmente accessibili: capo Spalmatore di Terra, sul lato ovest, rivolto verso la Sardegna, e la Punta Timone, sul lato est, rivolta verso il mar Tirreno. Nei pressi del primo sorge Bertoleoni, la capitale del Regno, con il porto che collega l'isola con Loiri Porto San Paolo, nel territorio del comune di Olbia. Punta Timone invece ospita un faro di segnalazione marittima ed una base militare NATO, gestita dalla Marina Militare Italiana, con tre antenne, alte più di duecento metri, destinate alle telecomunicazioni terrestri a lungo raggio e bassissima frequenza. L'isola è attraversata da una strada a picco sul mare, realizzata per i turisti e per i collegamenti con la base NATO. Ancor oggi le acque e le grotte dell'isola sono abitate dalla foca monaca (Monachus monachus), della quale Tavolara è diventata un santuario; sull'isola si sono diffuse molte leggende romantiche legate a questo pinnipede. Inoltre endemico dell'isola è il Prolagus corsicanus, un mammifero lagomorfo che si credeva estinto fino al suo ritrovamento sull'isola di Tavolara, e che è stato preservato grazie ad apposite politiche ambientali messe in atto dal Regno.
La presenza dell'uomo sull'isola è attestata fin dal Neolitico, dato che numerosi reperti sono stati rinvenuti presso la Grotta del Papa; a quel tempo Tavolara era collegata alla terraferma e all'isola di Molara, ma se ne separò in seguito all'innalzamento del livello del mare. Hermaea è il nome che le davano gli antichi. Durante il Medioevo l'isola non fu abitata stabilmente ma utilizzata come difesa militare, visti i numerosi forti tuttora presenti. Poco dopo l'anno 1000 sull'isola si insediò una colonia di pirati, e ancora nel Settecento il naturalista gesuita Francesco Cetti (1726-1778), che studiò nei dettagli la flora e la fauna dell'isola, scrisse che spesso sull'isola si rifugiavano i corsari. Alla fine del Settecento a Tavolara giunse una sessantina di coloni genovesi inviati dai Savoia, i nuovi padroni della Sardegna; ad essi si aggiunsero dei pescatori ponzesi in cerca di aragoste. Ai primi dell'Ottocento il pastore genovese Giuseppe Celestino Bertoleoni (1778-1849) arrivò in prossimità dell'arcipelago della Maddalena a bordo di una piccola nave da diporto proveniente da Genova, in cerca di una terra in cui abitare; si stabilì dapprima sull'isola di Spargi, poi si spostò più a sud sulla piccola isola di Mortorio; infine, alla ricerca di un'isola più generosa e ospitale, navigando ancora verso sud, raggiunse nel 1806 la splendida Tavolara, dove ancora resisteva una piccola colonia di pescatori. Qui si stabilì con la famiglia dedicandosi all'allevamento delle capre selvatiche, assai numerose sull'isola e caratterizzate da una particolare colorazione dorata della dentatura. Ben presto gli abitanti di Tavolara lo nominarono Borgomastro della loro comunità.
Nel 1836 il re di Sardegna Carlo Alberto di Savoia (1798-1849), di passaggio per quei luoghi per una battuta di caccia, notò l'isoletta, chiese informazioni ai suoi marinai e decise di approdarvi. Si presentò ai residenti come il re di Sardegna, ma a questo punto Giuseppe Bertoleoni, circondato dalle sue capre dai denti dorati, ebbe la bella idea di presentarsi non come il Borgomastro, ma come "il re di Tavolara". Sfacciataggine o no, Carlo Alberto lo trattò davvero come un suo pari, soggiornò nell'isola per una settimana, e, congedandosi, gli regalò un orologio d'oro e una pergamena reale, con la quale Giuseppe e i suoi eredi venivano infeudati di Tavolara. Orologio e pergamena sono tuttora conservati nel Palazzo Reale. Fu così che i Bertoleoni, grazie alla sfrontatezza del loro capostipite, furono assunti alla dignità regale. Sua moglie Laura Ornano ebbe il titolo di Regina, e i suoi figli quello di "Principi e Principesse del Mare", che da allora è appartenuto a consorti e figli dei membri della famiglia Bertoleoni. Il nome della famiglia fu dato all'unico insediamento dell'isola, da allora gelosa della sua indipendenza, anche se, secondo la pergamena reale, il Regno di Sardegna si preoccupava di curare la difesa dell'isola contro invasori e pirati.
Nel 1845 Giuseppe I Bertoleoni, sessantasettenne, lasciò il trono al figlio Paolo I (1815-1886), che aveva sposato una donna sarda, Pasqua Favale; da lei ebbe il figlio Carlo I (1845-1928), che gli succedette alla sua morte nel 1886. Nel frattempo, il protettorato del Regno di Tavolara era passato al neocostituito Regno d'Italia. L'isola fu visitata nel 1896 da inviati della regina Vittoria del Regno Unito, a bordo nella nave "Vulcan", che riconobbero l'indipendenza del minuscolo regno. Per la prima volta Tavolara stabiliva relazioni diplomatiche dirette con un altro stato, senza passare attraverso l'intermediazione dei Savoia. Ancora oggi, in una sala di Buckingham Palace a Londra, è conservata la foto della famiglia reale di Tavolara, all’interno della collezione di ritratti delle dinastie regnanti di tutta la terra. Vi si vedono Re Carlo I con la consorte, la Regina Maddalena Favale, e le tre figlie, con la dicitura: « La famiglia reale di Tavolara, nel golfo di Terranova Pausania, il più piccolo regno del mondo ». Seguirono i riconoscimenti da parte di Francia, Spagna, Portogallo, Austria-Ungheria, Prussia e Russia. L'isola si mantenne neutrale durante la Prima Guerra Mondiale, e continuò a vivere di pesca e di allevamento caprino, ma Carlo I cominciò a sfruttare le bellezze turistiche dell'isola, avendo intuito che esse avrebbero potuto fare la fortuna del suo dominio. Nel 1925 fu aperto sull'isola un grande albergo a cinque stelle, dotato persino di casinò, e i turisti poterono godere di un sistema economico a tassazione zero.
Nel 1927 Re Carlo I abdicò a 82 anni, ma suo figlio Paolo, il successore designato, dovette recarsi in un sanatorio in Liguria per sottoporsi a cure mediche, ed allora la popolazione di Tavolara chiese a Mariangela (1841-1934), sorella maggiore di Carlo I, di assumere la corona in sua assenza. Mariangela accettò, nonostante avesse già 86 anni. Con lei, il Regno di Tavolara aderì alla Società delle Nazioni. Quando morì, il 6 aprile 1934, di anni ne aveva ben 93, decana dei sovrani d'Europa. Siccome il nipote Paolo era deceduto nel frattempo, Benito Mussolini fece circolare un falso documento nel quale si affermava che Mariangela avrebbe lasciato in eredità Tavolara al Regno d'Italia, ma Paolo (1897-1962), secondogenito di Carlo I e Maddalena Favale, che non si era mai mosso dall'isola, fece valere i suoi diritti, e la popolazione dell'isola lo acclamò sovrano con il nome di Paolo II; in tal modo il colpo di mano fascista fallì. Fin qui i sovrani avevano parteggiato più o meno apertamente per Mussolini, ma da qui in poi divennero suoi oppositori. Il nuovo Re, che nel 1930 aveva sposato Italia Murru, decise una svolta democratica: nominò suo cugino, il Principe del Mare Ernesto Carlo Geremia, Primo Ministro e Luogotenente Generale del Regno, e lo fece coadiuvare dall'assemblea di tutti i cittadini maschi dell'isola. Dopo l'alleanza tra Mussolini e Hitler, molti ebrei transitarono da Tavolara prima di mettersi in salvo in Corsica.
Dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, i travolgenti successi iniziali colti da Hitler convinsero Mussolini a scendere in guerra al suo fianco per spartirsi la torta. A questo puntò però il Primo Ministro Francese Paul Reynaud (1878-1966) chiese la mediazione di Paolo II Bertoleoni per convincere il Duce a restare neutrale. Ernesto Carlo Geremia fu allora inviato a Roma a portare a Mussolini la proposta alleata di cedere Malta all'Italia in cambio della sua non belligeranza. Lo stesso Ernesto Carlo Geremia portò a Londra la risposta del Duce: l'Italia avrebbe potuto prendere in considerazione la proposta, se però gli Alleati fossero stati disposti a cedere anche la Corsica, il Somaliland britannico e Gibuti, oltre a mano libera in una futura eventuale spartizione della Jugoslavia. Winston Churchill si disse fieramente contrario, ma il Primo Ministro Britannico Arthur Neville Chamberlain (1869-1940) ritenne Malta e il Somaliland sacrificabili pur di non aprire un altro fronte nel Mediterraneo, e Reynaud pensò che, se fosse scesa in guerra, la Corsica l'Italia se la sarebbe presa comunque, oltre a Nizza e alla Savoia. L'accordo fu così stretto, Mussolini incamerò due punti chiave strategicamente fondamentali come Malta e Gibuti, e il 10 giugno 1940 fece sapere a Hitler che l'Italia sarebbe stata pronta a scendere in guerra solo nel 1942. In effetti l'ambizioso capo del Fascismo pensava di rimangiarsi la parola data e scendere comunque in guerra in un secondo tempo, ma la sconfitta della Germania nella Battaglia d'Inghilterra gli fece cambiare idea. L'Italia si mantenne così neutrale per quasi tutta la durata del conflitto, traendo vantaggi dal fatto di commerciare con tutti i belligeranti. Hitler invase comunque l'URSS, convinto che Londra e Roma sarebbero scesi in guerra al suo fianco contro il comune nemico comunista, ma con sua grande sorpresa Regno Unito ed URSS si coalizzarono contro di lui, e il Duce fece buoni affari con i sovietici (dopotutto era nato socialista). La Jugoslavia venne invasa dai nazisti dopo che un colpo di stato patrocinato da inglesi ed italiani depose il Principe Paolo, favorevole all'ingresso in guerra accanto a Hitler, ma Mussolini resistette alla tentazione di partecipare alla divisione della torta, limitandosi a fortificare il confine del Brennero e del Carso. Un piano nazista di invasione dell'Italia non fu mai messo in atto per mancanza di uomini, assorbiti dal fronte russo, nonostante non si fosse mai aperto un fronte africano.
Negli ultimi mesi di guerra Mussolini dichiarò guerra alla Germania per poter partecipare a congresso di pace, ed invase la Dalmazia, sottraendola così al Maresciallo Tito che stava riconquistando la Jugoslavia. In tal modo il Fascismo sopravvisse alla Seconda Guerra Mondiale, abolì le leggi razziali e partecipò alla fondazione dell'ONU nel 1945 e della NATO nel 1949: ora l'URSS era divenuta un nemico acerrimo, e il Regno di Tavolara si riavvicinò al Regno d'Italia. Anche Paolo II Bertoleoni aderì con il suo microscopico regno sia all'ONU che alla NATO. Albania, Dodecaneso, Libia ed Africa Orientale Italiana furono elevati a Regni in unione personale all'Italia nella persona del Re. Vittorio Emanuele III morì il 28 dicembre 1947 e gli succedette il figlio Umberto II, Re Paolo II partecipò ai funerali. Negli anni cinquanta la Libia e l'Albania si mantennero fedeli all'Italia, mentre nell'A.O.I. si svilupparono movimenti guerriglieri che lottavano per l'indipendenza, ma vennero repressi dai fascisti nel sangue. A causa del contenzioso sulla Dalmazia occupata dagli italiani, Tito restò fedele alleato di Stalin e aderì al Patto di Varsavia.
Nel 1960, l'anno delle Olimpiadi di Roma, venne installata a Tavolara la grande base NATO tuttora esistente. Dopo la morte di Paolo II il 2 dicembre 1962 gli succedette il figlio maggiore Carlo II (1931-1993), mentre la Regina Vedova Italia Murru si ritirò in esilio a Porto San Paolo, in Sardegna, dove si spense nel 2003, alla bella età di 95 anni. La cugina del nuovo sovrano, Maria Molinas Bertoleoni (1869-1974), figlia della Regina Mariangela e di Bachisio Molinas, rivendicò senza successo il trono di Tavolara. Re Carlo II istituì inoltre nelle acque dell'isola una grande area marina protetta, che fece di lui il beniamino degli ambientalisti. Benito Mussolini si spense il 28 aprile 1965 a 81 anni, e dopo una dura guerra tra gerarchi la spuntò il fiorentino Alessandro Pavolini, classe 1903, già Segretario del Partito Nazionale Fascista e Ministro della Cultura di Mussolini (per sua iniziativa gli scienziati Enrico Fermi ed Ettore Majorana avevano dotato l'Italia della bomba atomica). Intransigente e senza scrupoli, Pavolini represse con la violenza ogni movimento che chiedeva la decolonizzazione ed ogni richiesta di apertura al multipartitismo. Questo fino alla cosiddetta Rivoluzione dei Tulipani del 2 giugno 1971 quando, sull'onda delle contestazioni del Sessantotto, il regime fascista si sfasciò e il Socialista Sandro Pertini, che aveva passato quindici anni nelle carceri fasciste, divenne nuovo Presidente del Consiglio. L'arrogante Pavolini aveva respinto ogni interferenza negli affari interni dell'Italia, rifiutandosi di leggere i messaggi dell'Ambasciatore Americano che lo mettevano in guardia sull'imminente colpo di stato; l'ex Duce finì i suoi giorni in prigione a Ponza, nello stesso luogo (ironia della sorte) dove aveva confinato molti dei suoi oppositori. Umberto II abdicò a favore di suo figlio Vittorio Emanuele IV, scontando così i peccati della sua dinastia, e furono indette libere elezioni, vinte dal cartello delle Sinistre guidato da Pertini. La pena di morte venne definitivamente abolita (fu abolita contestualmente anche a Tavolara, benché non vi sia mai avvenuta alcuna esecuzione capitale), e fu adottata una Costituzione di forte impronta sociale, tuttora in vigore. Valle d'Aosta, Trentino-Alto Adige, Friuli, Venezia Giulia, Dalmazia, Sicilia, Sardegna, Corsica e Malta divennero regioni a statuto speciale, e le minoranze linguistiche vennero adeguatamente tutelate. Le colonie furono abbandonate; l'Albania e la Libia divennero indipendenti, il Dodecaneso con un referendum si unì alla Grecia, mentre Etiopia, Eritrea e Somalia si trasformarono in dittature marxiste dilaniate dalla guerriglia scatenata da gruppi armati filoamericani. La Dalmazia rifiutò di passare sotto il regime di Tito e restò unita all'Italia, salvandosi così anche dalle tragiche convulsioni balcaniche degli anni Novanta.
Carlo II Bertoleoni morì il 6 maggio 1993, a 62 anni. Come tutti i suoi antenati è sepolto nella Chiesa di Bertoleoni, dove riposa anche lo storico Girolamo Sotgiu (1915-1996), celebre antifascista per anni rifugiato proprio a Tavolara. Essendo Carlo II celibe e senza figli, il trono di Tavolara passò a suo fratello Antonio I (1933-), tuttora in vita. Questi ha sposato Maria Pompea Romano (1932 -2010) che gli ha dato tre figli, i Principi del Mare Giuseppe, Loredana e Paola. Dal 1991 il Regno ospita il rinomato festival cinematografico "Una notte a Tavolara". L'assegnazione al Regno del TLD .tv (a Tuvalu toccò .tu) non fece che accrescere le sue fortune, visto che esso andò a ruba tra le reti televisive di tutto il mondo. Tavolara è inoltre sede di società offshore, e molte navi battono oggi la sua bandiera bianca con lo scudo rosso e la stella gialla a sei punte. Nel 2002 il Regno aderì all'Euro, con il diritto di coniare monete con il proprio stemma. Nel 2013 Re Antonio I, al compimento degli 80 anni, decise di seguire l'esempio di Papa Benedetto XVI e di abdicare a favore del figlio Giuseppe II, nato nel 1965 e tuttora in carica.
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Regno di Pantelleria
Superficie: 83,2 Kmq
Popolazione: 11746 ab.
Densità: 210 ab./kmq
Capitale: Pantelleria (città)
Forma di governo: Monarchia Costituzionale
Lingue: Italiana, Spagnola, Araba
Etnie: Italiana 95 %, Araba 3 %, altre 2 %
Religioni: cattolica, islamica, altre
PIL pro capite (a parità di potere d'acquisto, 2014): 84311 €
L'isola di Pantelleria fu storicamente abitata durante il Neolitico da una popolazione che lavorava l'ossidiana e che costruì i Sesi, strutture analoghe ai Nuraghi sardi, utilizzati a scopo funebre. Fu poi conquistata dai Fenici che diedero un forte impulso alla civilizzazione e all'economia: a loro si attribuisce la fondazione delle prime città stabili. Durante la prima Guerra Punica da Pantelleria salparono numerose navi cartaginesi in direzione della Sicilia, per difenderla dall'alleanza tra Siracusae Roma. Dopo le Guerre Puniche venne annessa alla provincia romana di Sicilia, e i Romani diedero ulteriore impulso alla civilizzazione dell'isola, tanto che sono state ritrovate le teste di tre imperatori in marmo, ancora oggi conservate nel Castello della città. Dopo la caduta dell'Impero Romano l'isola passò per breve tempo sotto il controllo dei Vandali, e successivamente passò sotto il dominio arabo. Agli arabi si deve l'introduzione delle strutture tipiche delle case (i Dammusi), e il nome di numerose contrade. Gli arabi dominarono a lungo Pantelleria, ma durante il loro dominio la popolazione calò di numero, e le cronache del tempo ne parlano quasi come di un'isola deserta.
Fu a lungo anche un covo di pirati arabi. L'attività piratesca diede all'isola una certa floridezza e aumentò il numero di porti. Quando i Normanni conquistarono la Sicilia, anche Pantelleria venne inclusa nel loro Regno e venne ripopolata. La popolazione questa volta si diffuse anche nell'entroterra, per evitare le scorrerie dei pirati sulle coste. Pantelleria seguì il destino della Sicilia, passando quindi ai Francesi e successivamente agli Aragonesi e agli Spagnoli di Carlo V. Dopo che questi ebbe diviso l'impero, Pantelleria passò sotto il controllo degli Asburgo di Spagna. Pantelleria sotto il dominio spagnolo fu utilizzata come colonia penale, con i galeotti costretti a costruire le chilometriche cinte murarie fra le varie contrade tutt'oggi presenti. Durante l'acquazzone napoleonico, insieme alla Sicilia, restò dominio dei borbonici, protetta dalla marina inglese, e la corona inglese mise gli occhi sull'isola, sperando di farne una seconda Malta, ma non se ne fece nulla.
Durante il Risorgimento l'isola ritornò ad essere luogo di detenzione per i patrioti del Regno delle Due Sicilie, condannati ai lavori forzati. Quando Garibaldi sbarcò a Marsala, si dice che, se la Sicilia fu presa da 1000 uomini, Pantelleria fu liberata da soli due garibaldini, che sbarcarono e presero possesso dell'isola, ma i pro-borbonici vi iniziarono un'attività clandestina di resistenza. Mutati i capi ma non le condizioni, anche i Savoia come i Borbone usarono l'isola come prigione, soprattutto per i cosiddetti "Briganti" pro-borbonici, e senza volerlo crearono sull'isola una metastasi di lealisti al vecchio regime, che si riunivano nella Grotta dei Briganti, con le armi secondo alcuni fornite dall'Inghilterra. Gli storici concordano che nulla sarebbe successo se i Savoia non avessero iniziato lo scontro con la Chiesa Cattolica mediante la breccia di Porta Pia e riempito l'isola di "briganti" pro-borbonici. Si racconta che un sacerdote fu tentato di rivelare alla polizia l'esistenza della Grotta, ma visti i contenziosi tra la Chiesa e lo stato sabaudo, egli mantenne il segreto, e la notte del 4 agosto 1877 (ancora oggi festeggiata) tutti i pro-borbonici presero le armi, assaltarono le prigioni, sfondarono l'armeria tramortendo i guardiani, presero le armi e le distribuirono fra i prigionieri, e dopo aver trasformato le prigioni in roccaforti, iniziarono la lunga rivolta. L'isola fu assediata dalla flotta italiana, mentre l'ex Re di Napoli incitava i rivoltosi a proseguire nella loro "lotta per la libertà", e nell'opinione pubblica si diffondeva la convinzione che molte atrocità erano state commesse per reprimere il "brigantaggio", in alcune cancellerie europee si cominciò a parteggiare per i deposti Borboni, e l'Inghilterra rispolverò i piani della "Seconda Malta".
Quando, il 25 marzo 1876, Agostino Depretis e la sua "Sinistra" subentrarono alla "Destra Storica", il nuovo governo italiano decise di chiudere la questione Pantelleria in modo molto pragmatico. Pur rappresentando i garibaldini e gli anticlericali più oltranzisti, Depretis comprese che la repressione violenta dei filoborbonici avrebbe causato più danni all'Italia di una battaglia perduta, e così, con la mediazione della Spagna, il governo italiano decise di concedere Pantelleria all'ex sovrano delle Due Sicilie Francesco II di Borbone. Questi si insediò nell'isola come nuovo sovrano e concesse una Costituzione simile a quella concessa da suo padre nel 1848. La nobiltà borbonica emigrò in massa verso l'isola, portando con loro i propri patrimoni e i loro titoli. Purtroppo Pantelleria era un'isola arretrata, con un organo politico conservatore, una nobiltà parassitaria, una popolazione incolta di pescatori e agricoltori, ma Francesco II non aveva più l'intero Mezzogiorno da rimodernare. Il Re iniziò a diminuire le spese regie e ad utilizzare i fondi per rimodernare l'isola, con l'aiuto degli Inglesi, detentori del Protettorato sull'isola. Londra fornì i finanziamenti economici e dei tecnici per costruire infrastrutture, scuole, ospedali, persino un laboratorio ed un museo, oltre ad un'armeria e un porto moderni. L'isola diventò una base inglese, e la borghesia inglese vi investì molto, cosicché l'isola avviò un processo di profondo rinnovamento, il tasso di alfabetizzazione si alzò, così come il tenore di vita. I commerci vennero aperti a tutte le nazioni, facendone un'isola franca, caso unico in Europa, chiusa nei suoi confini doganali del tempo. Anche gli Italiani cominciarono ad investirvi. Con Giolitti si videro le prime aperture sotto forma di accordi fra Italia e Pantelleria, dopo decenni di reciproca ostilità, nonostante le manifestazioni rabbiose de i nazionalisti irredentisti, fino al l'abolizione delle dogane fra i due paesi. Il contatto con l'Europa rappresentò una scossa per la cultura pantesca, che conobbe nuove idee ben diverse dal tradizionale conservatorismo locale. La base elettorale fu ampliata, e il nuovo parlamento spinse per una serie di riforme sociali. In questo contesto nacque il Partito Socialista di Pantelleria.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale il Re Ferdinando III di Borbone e l'alta società erano favorevoli alla Triplice Alleanza, ma decisero di mantenersi neutrali, certi che, in caso di guerra, l'Italia avrebbe immediatamente invaso l'isola. Alla fine della Guerra Pantelleria non fu esente dalla crisi, vennero a mancare i finanziamenti dalla corona inglese e da molti mercati europei, e per un paese che si reggeva solo su turismo e commercio una crisi economica poteva risultare esiziale. Fu così che i socialisti vinsero le elezioni promettendo di tassare i benestanti a favore del popolo. Intanto in Italia il Fascismo andò al potere, e Pantelleria era irredenta per eccellenza, un bersaglio facile per la propaganda fascista; in funzione antifascista, i socialisti restarono al governo per tutti gli anni venti e trenta, mentre il Fascismo veniva dichiarato fuorilegge sull'isola. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale Pantelleria fu protetta dall'alleata Inghilterra e, come Malta, resistette a ogni tentativo di invasione nazifascista, fungendo da porto per le navi alleate, e poi da base per lo sbarco in Sicilia. Dopo la Guerra, il Regno di Francesco IV di Borbone aderì alla NATO, e il Partito Democratico Cristiano subentrò a quello Socialista nel governo dell'isola, cavalcando il "terrore rosso". Per Pantelleria iniziò un'epoca di boom, favorita dal Piano Marshall. L'Isola diventò una meta di vacanze famosa in tutto il mondo e un Paradiso Fiscale, sede di banche, alberghi a cinque stelle, ristoranti, catene di balneazione, agriturismi e aziende per le immersioni subacquee. Sull'isola si riversarono fiumi di soldi da tutta Europa, facendone un altro Principato di Monaco.
Negli anni sessanta il movimento studentesco arrivò anche qui: dopo una grande protesta in piazza Francesco II gli studenti "capelloni", impregnati di marxismo e pacifismo, fondarono una vera e propria "Repubblica Socialista Hippie dell'Umanità", a metà fra concerto hippie americano e centro sociale. I "capelloni" rimasero là a fumare e ascoltare canzoni, credendo che la "rivoluzione" ( il movimento studentesco) avrebbe sovvertito il vecchio mondo. Questo fu un caso unico su tutto il pianeta, dovuto al fatto che l'Università di Pantelleria fu una vera e propria fucina di ideali. Il movimento studentesco però si esaurì con un nulla di fatto, anche se quella pantesca fu la contestazione di maggiore durata di tutto il movimento studentesco, durata complessivamente un anno intero! Negli anni novanta, dopo il crollo dell'URSS, paradossalmente a Pantelleria tornò al potere la sinistra, che combatté le infiltrazioni mafiose sull'isola: anche il Giudice Giovanni Falcone si trasferì a lavorare a Pantelleria. Si arrivò così a celebrare un "maxiprocesso" che aiutò molto anche la giustizia italiana, scoprendo profonde connessioni con la mafia siciliana. Pantelleria venne visitata da Papa Giovanni Paolo II e aderì anche all'Euro, estendendo i patti con l'Italia a tutta l'Europa. Pantelleria fu anche uno dei primi stati d'Europa a legalizzare i matrimoni omosessuali. Oggi Pantelleria è, come il Lussemburgo, uno dei paesi più ricchi, alfabetizzati e aperti dell'Europa; è celebre anche per essere la meta delle vacanze di Giorgio Armani, che possiede lì numerose ville e viene ogni estate con la sua grande nave a fare il bagno e a farsi fotografare, invitando con sé anche molti altri vip. Egli è noto come il "Secondo Re" in quanto ha grandi interessi nell'economia del Regno stesso, organizzando eventi di moda in tutta l'Isola.
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Fédération des Escartons
Superficie: 1811,22 Kmq
Popolazione: 82482 ab.
Densità: 45,5 ab./kmq
Capitale: Briançon
Forma di governo: repubblica federale
Lingua: occitano, usati l'italiano e il francese
Religione: cattolica, valdese
PIL pro capite (a parità di potere d'acquisto, 2010): 46573 €
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La Federazione degli Escartons è l'unico stato del mondo di lingua ufficiale occitana, ed è incuneata tra la Sesta Repubblica Francese ed il Regno d'Italia. È formata da cinque Escartons o Cantoni (ancor oggi in francese "écarter" significa "dividere"): il Cantone di Briançon, da Argentière a Saint-Gervais-les-Bains; il Cantone di Château-Queyras, da Guillestre al Colle delle Traversette; il Cantone di Oulx, da Cesana al torrente Gelassa, compresa Bardonecchia; il Cantone di Pragelato, da Sestriere ai bordi di Perosa Argentina; ed il Cantone di Casteldelfino, fino a Sampeyre. Comprende 22 comuni: Les Arnauds, Bardonnèche (Bardonecchia), Beaulard, Bousson, Champlas du Col, Chaumont (Chiomonte), Désertes (Desertes), Exilles, Fenils, Mélézet (Melezet), Millaures, Mollières, Oulx, Rochemolles, Rollières, Salbertrand, Le Sauze d'Oulx (Sauze d’Oulx), Le Sauze de Cézanne (Sauze di Cesana), Savoulx, Cézanne (Cesana Torinese), Solomiac e Les Thures (Thures). , qui usato nel senso di "ripartire in quarti le imposte")
Nel 1244 il conte di Albon, Ghigo VII, concesse agli abitanti di Briançon e della regione circostante la Carta delle Libertà, che fu confermata il 29 maggio 1343, a Beauvoir-en-Royans, da parte del Delfino Umberto II il Vecchio, il quale la firmò insieme a 18 rappresentanti delle valli alpine. La Carta, con i diritti da essa stabiliti, venne successivamente confermata con lettere patenti da tutti i re di Francia, a partire da Carlo V fino a Luigi XVI. Lo stato comprendeva cinque valli diverse: Briançonnais, Oulx, Casteldelfino, Val Chisone, Queyras; pur non essendo molto vasto, il suo territorio contava già allora più di quarantamila abitanti. Ogni anno i capi dei vari comuni che comprendevano la nazione si riunivano in consiglio per eleggere un Console, che guidava la comunità per tutti i dodici mesi seguenti. Caso unico nell'Europa dell'epoca, negli Escartons l'alfabetizzazione era tale che 9 abitanti su 10 sapevano leggere e scrivere e far di conto: gli antropologi moderni parlano in proposito di "paradosso alpino". Nella Grande Charte incredibilmente la professione più diffusa era quella dell'insegnante a domicilio, su tre livelli: quello base, dove si imparava a leggere e scrivere; quello intermedio, dove si imparava la matematica, e quello alto, dove si imparava filosofia, arte, lingue, eccetera. Anche lo stereotipo della comunità alpina come una realtà chiusa e impermeabile non regge di fronte all'esempio degli Escartons: le donne godevano fin da allora di notevole libertà d'azione e, quando i Valdesi che abitavano entro i suoi confini aderirono alla Riforma Protestante, il Console e i Borgomastri dei Comuni fecero inserire nella Carta il principio della libertà di religione. Gli Escartons divennero così per tutta l'Europa un modello di coesistenza pacifica tra cattolici e riformati.
Nel 1713 il Trattato di Utrecht confermò l'indipendenza degli Escartons, deludendo le speranze di Vittorio Amedeo II di Savoia (che aveva appena ottenuto il titolo regale), il quale mirava ad incamerare Oulx e Bardonecchia. Nel 1798 però la Francia rivoluzionaria invase il territorio dei Cinque Cantoni e cancellò la Carta delle Libertà, alla faccia degli ideali della Rivoluzione. I Cantoni entrarono a far parte dell'Impero Napoleonico fino alla caduta di Napoleone; il Congresso di Vienna ristabilì la piena indipendenza della Federazione, che da allora assunse il nome di Federazione degli Escartons: per quanto possa sembrare strano, il termine "federazione" non era mai stato usato nei precedenti 450 anni di vita dello stato. Al 1821 risale la fondazione dell'Università di Briançon, che si inserì nella grande tradizione culturale di questa nazione. La Federazione si mantenne neutrale nei confronti degli eventi della vicina Francia, e non partecipò mai alle travagliate vicende del Risorgimento italiano. L'ascesa al potere di Napoleone il Piccolo rappresentò un momento molto difficile per la Federazione, dato che il nuovo Imperatore dei Francesi tentò in ogni modo, per 18 anni, di annettere gli Escartons. Riuscì, dopo la Seconda Guerra d'Indipendenza Italiana, a incamerare la Savoia, ma non Nizza, poiché aveva concluso frettolosamente la pace con l'Impero d'Austria, prima della conquista del Veneto, che invece era prevista dagli accordi segreti di Plombières. Così come l'annessione di Nizza e del Belgio, così anche quella dei Cinque Cantoni restò però per Napoleone III niente più di un miraggio.
All'inizio del ventesimo secolo, la Federazione era uno degli stati più prosperi d'Europa, grazie all'industria degli orologi e delle macchine da scrivere, e grazie al nascente turismo, che portava valuta pregiata nelle casse dei Cantoni. Briançon rimase neutrale nel corso della Prima Guerra Mondiale, e introdusse il suffragio universale maschile e femminile nel 1919. Mentre in Europa le democrazie declinavano e i partiti fascisti e nazisti prendevano il potere in tutto il Vecchio Continente, gli Escartons rimasero uno dei pochi stati europei governati da una democrazia. Il 10 giugno 1940, al momento della "pugnalata alle spalle" alla Francia, Benito Mussolini ordinò l'invasione armata degli Escartons, che erano sempre stati uno dei suoi obiettivi primari. Il piccolo esercito difensivo di Briançon tuttavia tenne testa validamente all'invasione, e cadde solo in seguito all'arrivo di rinforzi nazisti dalla Francia. Nella "Provincia di Brianzone", come i Cantoni furono chiamati dal governo fascista durante l'occupazione, si sviluppò tuttavia un accanito movimento di Resistenza, al quale i nazifascisti reagirono con sanguinose rappresaglie. Il 26 aprile 1945 finalmente gli invasori vennero scacciati, e la Federazione tornò indipendente, con alcuni arrotondamenti territoriali a suo favore, ceduti sia dall'Italia che dalla ex Francia di Vichy. I Savoia in Italia mantennero la corona d'Italia, grazie all'erede al trono Umberto che non aveva voluto lasciare Roma insieme al padre, alla madre e a Badoglio nel caos dell'8 settembre. Catturato dai nazisti e deportato in Germania, lo sfortunato Umberto morì in prigionia (si salvò invece sua sorella Mafalda, rifugiatasi in Turchia dalla Bulgaria), e i Partiti Antifascisti riuniti nel CLN costrinsero il vecchio Vittorio Emanuele ad abdicare a favore del nipote minorenne Vittorio Emanuele IV, sotto la tutela di un consiglio di reggenza formato da sua madre Maria José di Sassonia-Coburgo-Gotha, dal Ministro della Real Casa Falcone Lucifero, marchese di Aprigliano, e dal Presidente del Consiglio dei Ministri Alcide de Gasperi. Ciò garantì alla monarchia la vittoria nel referendum istituzionale del 2 giugno 1946.
Nel 1951, in seguito a una consistente immigrazione italofona dal 1880 al 1950, l'italiano venne riconosciuto lingua co-ufficiale in due dei cinque cantoni, con cartelli bilingui (ad es. Bardonescha / Bardonecchia) e l'insegnamento della nostra lingua nelle scuole, anche come corrispettivo della maggiore tutela accordata dall'Italia alle minoranze occitane rispetto all'indifferenza in questo senso da parte dei francesi. La Federazione degli Escartons si mantenne neutrale nel corso della Guerra Fredda, rifiutando di aderire alla NATO, ma fu tra i paesi fondatori prima dell'ONU e poi della Comunità Economica Europea. Il 4 maggio 1992 fu visitata da Papa Giovanni Paolo II, che incontrò anche i rappresentanti della Comunità Valdese. Il 1 gennaio 2002 aderì all'euro. Briançon è oggi una rinomata stazione sciistica, e più volte il Giro d'Italia e il Tour de France hanno fatto tappa nei Cinque Cantoni. Dal 10 al 26 febbraio 2006, Briançon ha ospitato i XX Giochi Olimpici Invernali e, dal 10 al 19 marzo successivi, i IX Giochi Paralimpici invernali. Nel 2014 Console per il suo quinto mandato è Jean-Yves Dusserre, dell'Unione Federale Nazionale, di centro-destra. Ben nota è la sua amicizia con il Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d'Italia, Mario Draghi.
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Couto Misto
Superficie: 27 Kmq
Popolazione: 2184 ab.
Densità: 81 ab./Kmq
Capitale: Santiago de Rùbias
Forma di governo: Repubblica parlamentare
Lingue: Galiziano, Portoghese, Spagnolo
Religione: cattolica
PIL pro capite (a parità di potere d'acquisto, 2014) 20125 €
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L'origine dello statuto particolare dei borghi si Rùbias, Santiago e Meaus si perde nelle nebbie del tempo. E' probabile che si debba, come per Andorra, ad un conflitto giurisdizionale tra due autorità locali, in questo caso le famiglie dei Braganza ed i Monte-Rei che condussero ad un compromesso e ad un controllo “misto”, come indica il nome stesso dello stato, degli abitati.
Molto più chiaro come il conflitto giurisdizionale sia stato ereditato dagli stati di Portogallo e Spagna e che le località abbiano continuato ad approfittarne per condurre de facto un'esistenza come stato sovrano.
La resa dei conti e la prossima fine dell'indipendenza giuridica arrivò nel 1864, quando a Lisbona i delegati decisero di definire con precisione i rispettivi confini. Per un caso del tutto fortuito, Delfim Modesto Brandao, “giudice civile” (o, come viene chiamata più semplicemente dagli abitanti la massima carica dello stato, “Juiz”) di Couto Misto, venne informato e, per propria spontanea volontà si recò a Lisbona a perorare la causa dell'autonomia del piccolo stato. Grazie al suo carisma e alla sua straordinaria eloquenza, convinse i rappresentanti di Spagna e Portogallo a mantenere l'integrità territoriale e l'indipendenza del microstato, solleticando la loro venalità paventando l'utilità di una pur piccola “free-tax area” tra i due stati iberici.
Il 29 settembre 1864, quando Delfim Modesto Brandao fece ritorno con il trattato formale di indipendenza firmato, la gente lo accolse con una festa degna di un re. Una statua al centro della piazza di Santiago de Rùbias onora la sua memoria, ed il 29 settembre è considerato festa nazionale.
I giudici successivi si impegnarono a tramutare in fatti le parole del Brandao: il microstato divenne un centro di traffici esenti da tassazione tra Spagna e Portogallo. Spesso, le transazioni che vi si svolgevano non potevano certo considerarsi del tutto legali, ma ciò fece la fortuna economica di Couto. Nel corso del XX secolo, incoraggiate dalle norme sul segreto bancario (è considerato, secondo alcuni studi, lo stato europeo con più banche per abitante), nacquero molte società offshore.
Oltre ai servizi economico-finanziari, l'economia del Couto spinse molto sul turismo di lusso, con la costruzione di diversi alberghi pentastellati, case da gioco e, dalla seconda metà del novecento, locali per la cosiddetta “movida notturna”. Ma, come a Monaco c'è il museo oceanografico, così anche l'arte ha avuto la sua parte di investimenti anche a Couto Misto. Questo per merito di un “Italiano”. Infatti in coincidenza dell'indipendenza dello stato, moriva in una casetta di Meaus Giovanni Battista Belzoni, avventuriero padovano, che aveva, con una certa qual fierezza, rifiutato di riconoscere lo stato italiano nato dalla mano sabauda come la sua patria. I suoi ultimi anni di vita aveva deciso di trascorrerli nella quiete del borgo, quasi dimenticato da tutti. Ma quando, molti anni più tardi, gli abitanti di Meaus vollero tributargli un piccolo omaggio, ponendo una targa sul muro della sua casa, per via di lavori di ristrutturazione scoprirono, per caso, uno scantinato. E, meraviglia delle meraviglie, vi erano innumerevoli opere e reperti raccolti, scoperti o trafugati dall'avventuriero nei suoi infiniti viaggi per l'Africa. Ogni tanto il governo Egiziano, del Mali, del Benin o della Nigeria provano a inoltrare veementi note sulla restituzione di tali manufatti, ma Couto Misto non se ne dà per inteso.
Tornando alla storia, i momenti più bui questo piccolo stato li affrontò durante gli anni '30. Sia in Spagna, sia in Portogallo con la nascita dell'Estado Novo, i singulti libertari prima e la guerra civile poi, condussero alla fame e alla violenza. Molti cercarono rifugio nel piccolo stato, che aumentò a dismisura la propria popolazione. Ma, macchia imperitura, per cui, nel 1999 Couto Misto ha chiesto ufficialmente scusa, durante una visita del juiz a Madrid, molti repubblicani e oppositori al regime franchista vennero eliminati e fatti sparire nel nulla dalla gendarmeria del microstato, per timore di rappresaglie se non, addirittura, un'occupazione in armi da parte di Franco e Salazar.
Attualmente il Juiz è José Manuel Baltar Blanco, del partito conservatore.
Lo stato ha aderito all'Unione Europea solo nel 1986, assieme alla Spagna, sebbene avesse accordi bilaterali già dai primi anni '70. Ha deciso di aderire all'unione monetaria e dal 2002 ha adottato l'Euro come propria moneta (prima veniva utilizzato unilateralmente lo scudo portoghese).
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Repubblica dell'Amicizia del Moresnet Neutrale
Superficie: 9,5 Kmq
Popolazione: 9432 ab.
Densità: 992 ab./Kmq
Capitale: Neu-Moresnet
Lingue: Tedesco, Francese. Ufficiale l'Esperanto
Religione: in prevalenza cattolica
PIL pro capite (a parità di potere d'acquisto, 2014): 45127 €
Il Moresnet Neutrale è uno stato, inizialmente di 3 chilometri quadrati e di 3000 abitanti, la cui nascita si deve al Congresso di Vienna del 1815, il quale stabilì che l'area compresa tra la cittadina olandese di Moresnet e quella prussiana di Neu-Moresnet, essendo contesa tra i due stati, dovesse essere gestita in condominio dalle due potenze. I cittadini dello stato erano esenti dal servizio militare in Olanda e Prussia, non pagavano tasse ed il costo della vita era minore rispetto a quello dei due stati confinanti, facendo di Moresnet una sorta di paradiso nel quale cercavano rifugio sia olandesi che prussiani. Nel 1885 la miniera sulla quale si basava l'intera economia dello stato divenne totalmente improduttiva per via dello sfruttamento eccessivo. Per questo si aprirono un casinò e varie distillerie di gin, controllate a vista dalle potenze succedute a Paesi Bassi e Prussia nel condominio della zona, ovvero Belgio e Germania. Ci furono anche proposte riguardanti l'adozione dell'Esperanto come lingua ufficiale. Nel 1915 i tedeschi invasero il territorio belga e Moresnet.
Alla fine del conflitto, durante il trattato di Versailles, i grandi decisero che era arrivato il momento di sbarazzarsi di questo piccolo stato. Ma agli inglesi l'idea dell'abolizione di uno stato aggredito, che pur in forma particolare, si poteva considerare sovrano, non andava giù. Per loro era una questione di principio che andava ad “inquinare” le motivazioni ideali per cui avevano combattuto (con una gran bella dose di ipocrisia).
Alla fine non se ne fece nulla e Moresnet continuò ad essere un “condominio sovrano” al pari di Andorra.
A Moresnet viene annesso il territorio tedesco di Neu Moresnet, elevato a capitale, aumentando del doppio sia il territorio che la popolazione. Lo stato si libera dal condominio eleggendo un suo Presidente ed un Parlamento, e dopo poco adotta la sua versione del Franco, proclamando l'esperanto terza lingua ufficiale a pari merito con francese e tedesco, ed adottando anche il nome proposto dagli esperantisti, cosicché la nazione diventa Moresnet-Amikejo. Con la Seconda Guerra Mondiale, i cittadini prenderanno le armi contro i nazisti, venendo ricompensati con il territorio di Hergenrath a guerra conclusa. La nazione, ora di 9,5 chilometri quadrati e con una popolazione di 9000 cittadini, è membro fondatore dell'Europa Unita, e l'Esperanto viene adottato come lingua franca ufficiale dei paesi membri.
Oltre alle solite attività terziarie tipiche di tutti i microstati (attività bancaria e casinò), Moresnet si contraddistingue per l'altissimo numero di strutture legate all'unione Europea. Anzi, in virtù dei crescenti attriti intorno a Bruxelles tra Fiandre e Vallonia, la UE pensava di “delocalizzare” sempre più uffici proprio nel piccolo Moresnet.
Ah, ça va sans dire, fu uno dei primi stati ad aderire all'Euro.
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Impero Romano di Corfù
Superficie: 613,6 Kmq
Popolazione: 102071 ab.
Densità: 166 ab./Kmq
Capitale: Corfù
Lingue: Greco
Religione: cristiana ortodossa
PIL pro capite (a parità di potere d'acquisto, 2014): 23631 €
L'isola di Corfù (Κέρκυρα) è la più settentrionale di quelle che costituiscono l'Eptaneso (in italiano anche Isole Ionie; le altre, da nord a sud, sono Paxos, Leucade o Santa Maura, Itaca, Cefalonia, Zacinto e Cerigo). L'isola è lunga 61,5 km e larga massimo 28,2 km. Alcuni la identificano con Scheria, la mitologica isola dei Feaci citata nell'Odissea di Omero. La sua capitale fu fondata col nome di Corcira nel 733 a.C. come colonia di Corinto , e passò molte volte da una dominazione all'altra a causa della posizione molto favorevole nel Mediterraneo. Occupata da Roma nel 299 a.C., divenne bizantina dopo la spartizione dell'Impero Romano e dall'VIII secolo costituì un distretto del tema di Cefalonia. Nell'876 la città divenne sede di un vescovato, dipendente dal patriarcato di Costantinopoli. Il conquistatore normanno Roberto il Guiscardo se ne impadronì una prima volta nel 1081, ma l'intervento della flotta veneziana, chiamata dall'imperatore Alessio I Comneno, riportò l'isola sotto il dominio bizantino. La flotta Normanna riconquistò Corfù nel 1147, sia pure per breve tempo, finché nel 1197 non cadde in mano ai Genovesi, guidati dall'Ammiraglio Leone Vetrano, il quale ne fece una Signoria personale. Nel 1204, con la spartizione dell'impero bizantino seguita alla Quarta Crociata, Corfù fu assegnata a Venezia, che però riuscì ad impossessarsene solo nel 1206 spodestando Leone Vetrano. Si trattò però di una breve parentesi, perché nel 1214 se ne impadronì Niceforo Ducas, primo despota d'Epiro, il quale costruì sulla costa occidentale il castello di Sant'Angelo a protezione delle incursioni dei genovesi e si preoccupò di risollevare le condizioni della popolazione indigena e del clero ortodosso. Nel 1259, però, dando in sposa la figlia Elena a Manfredi, figlio di Federico II di Svevia, il despota Michele II Ducas gli diede in dote Corfù e alcune fortezze sulla costa albanese. Quando nel 1266 re Manfredi venne sconfitto e ucciso a Benevento da Carlo d'Angiò, il despota Michele II cercò di recuperare Corfù, ma i suoi tentativi fallirono e alla fine re Carlo d'Angiò riuscì a prendere possesso dell'isola.
I governatori angioni commisero però un errore: tentarono di convincere la popolazione a convertirsi alla Chiesa di Roma. Ciò creò malcontento tra i Corfioti, e di questa situazione trassero profitto i Veneziani, che nel 1386 assediarono Corfù con un imponente esercito, ottenendo la resa del presidio napoletano. Nel 1402 il re di Napoli Ladislao II cedette definitivamente tutti i suoi diritti a Venezia per 30.000 ducati d'oro. Il 29 maggio 1453, dopo una lunga agonia, la città di Costantinopoli cadde definitivamente in mani ottomane, ma l'imperatore Costantino XI Paleologo si salvò dalla distruzione della Seconda Roma rifugiandosi a Mistra, città sorta sul sito dell'antica Sparta e capitale del Despotato di Morea, che in tal modo si trasformò nell'Impero di Morea. Nel 1460 però Maometto II Fatih, conquistatore di Costantinopoli, attaccò anche Mistra per mettere fine all'ultimo baluardo bizantino. Il Doge veneziano Francesco Foscari offrì allora a Costantino la signoria di Corfù, per compensarlo della perdita del suo dominio. I Veneziani avevano provocato la rovina della Seconda Roma nel 1204, ma ora i tempi erano cambiati, e i Turchi per Venezia erano nemici mortali. Ebbe così origine l'Impero di Corfù, ultimo rimasuglio dell'Impero Romano, la cui esistenza fu protetta dalla Serenissima per i successivi tre secoli.
Gli Imperatori Romani (titolo che i sovrani di Corfù continuarono a portare fino al presente) intrapresero una radicale trasformazione della società corfiota attraverso la concessione di feudi ad esponenti della nobiltà bizantina fuggiti da Costantinopoli e da Mistra; il territorio fu inquadrato in quattro tetrarchie (Agirù, Oros, di Mezzo e Alefchimo). La presenza di un estremo ridotto bizantino portò poi all'immigrazione nell'isola di molti Greci, per lo più una borghesia molto attiva che fece la fortuna economica dell'isola. Il 7 ottobre 1571 la piccola flotta corfiota partecipò alla Lega Santa, la coalizione navale comandata da Don Giovanni d'Austria e composta da Spagna, Stato Pontificio, Repubbliche di Genova e di Venezia, Ducato di Savoia e Granducato di Toscana, che affrontò la poderosa flotta ottomana comandata da Müezzinzade Alì Pascià nella Battaglia di Lepanto; la vittoria della flotta cristiana fermò per sempre l'avanzata turca verso occidente. Nel 1715, dopo la perdita del Peloponneso da parte della Serenissima, le basi navali sull'isola di Corfù assunsero un'importanza fondamentale per i commerci veneziani con l'oriente; il Provveditore Generale da Mar, un senatore nominato dalla Repubblica che aveva il comando supremo della flotta in tempo di pace, si trasferì sull'isola di Cefalonia. Nel 1716 la flotta turca arrivò ad assediare la stessa Corfù; 8.000 soldati tra veneziani e corfioti, comandati dal Basileus dei Romani Giovanni XII Dousmanis tennero testa agli incessanti attacchi di forze molto superiori per circa un mese, fino a che esse non furono costrette a ritirarsi alla notizia delle sconfitte subite ad opera degli eserciti asburgici guidati da Eugenio di Savoia.
Nel XVIII secolo attraverso il commercio marittimo a Corfù ebbe origine una ricca classe mercantile che ebbe un ruolo significativo nel commercio interno all'Impero Ottomano. Intanto gli ideali dell'Iluminismo prima e del nazionalismo romantico poi cominciarono a penetrare a Corfù tramite la diaspora dei mercanti; nel 1787 l'Imperatore Manuele V Dousmanis concesse la prima Costituzione dell'Impero. Proprio a Corfù operò Rigas Feraios, il primo rivoluzionario a immaginare uno Stato greco indipendente. Dopo le vittorie di Napoleone in Italia settentrionale, il Trattato di Campoformio assegnò l'Eptaneso alla Francia, ma il basileus Manuele V rifiutò sdegnato di sottomettersi ai francesi e respinse un tentativo di invasione, mentre le altre sei Isole Ionie diedero vita alla Repubblica delle Sei Isole Unite, sotto protettorato russo-ottomano ma a guida veneto-greca. Il Congresso di Vienna del 1815 confermò l'indipendenza sia dell'Impero Romano di Corfù che della Repubblica delle altre sei Isole Ionie, anche se il protettorato su entrambe passò dalla Repubblica di Venezia al Regno Unito. Intanto la Grecia si rivoltava contro il dominio ottomano e, dopo la Battaglia di Navarino del 20 ottobre 1827, conquistava l'indipendenza. Giovanni Capodistria, discendente di coloni veneti alla corte dell'imperatore di Corfù Costantino XV Dousmanis, fu uno dei protagonisti della guerra d'indipendenza e propose di incoronare Costantino imperatore di tutta la Grecia, ma egli fu assassinato e le potenze straniere che avevano spinto per l'indipendenza della Grecia, e cioè Regno Unito, Francia e Russia, imposero invece come sovrano il bavarese Ottone di Wittelsbach, impopolare per il suo autoritarismo. Le Isole Ionie aderirono alla Grecia nel 1854, ma Corfù, gelosa della sua indipendenza, rifiutò di fare altrettanto, protetta dalla flotta britannica che aveva a Corfù un'importantissima base navale. Nel 1862 Ottone di Wittelsbach fu deposto, ma anche stavolta la proposta di assegnare la corona all'Imperatore dei Romei non ebbe seguito, e nuovo re degli Elleni divenne il Principe Wilhelm di Danimarca, che prese il nome di Giorgio I di Grecia.
Durante la prima guerra mondiale, Corfù restò ufficialmente neutrale, ma accolse una parte dell'esercito serbo in ritirata che venne trasportato sull'isola dalla Flotta Alleata. La mattina del 27 agosto 1923 a Zepi, lungo la strada tra Giannina e Kakavia, nei pressi del confine tra Grecia e Albania, venne trucidata una delegazione militare italiana guidata dal generale Enrico Tellini, che aveva il compito di delimitare i confini greco-albanesi. Il Presidente del Consiglio Italiano Benito Mussolini rispose bombardando ed occupando l'isola di Cefalonia. La crisi tra Italia e Grecia non sfociò in guerra aperta perché Londra incaricò il Primo Ministro dell'Impero di Corfù Ioannis Mavrogian di mediare tra le due nazioni; l'Italia sgomberò Cefalonia il 27 settembre, dopo che la Grecia ebbe accettato di versare 50 milioni come indennizzo.
Mussolini, diventato dittatore, occupò una seconda volta Cefalonia e le altre isole greche durante la Seconda Guerra Mondiale, ponendo momentaneamente fine a quasi 2000 anni di successori legittimi di Ottaviano Augusto. Nell'aprile 1941 assediò ed occupò anche Corfù, ma l'imperatore Manuele VI Theotokis e il Primo Ministro Spiridon Kollas fuggirono in Egitto su navi britanniche. L'occupazione durò fino all'8 settembre 1943, giorno della resa dell'Italia, ed allora Corfù divenne teatro di un'aspra battaglia tra il 18º Reggimento fanteria della Divisione Acqui, comandata dal colonnello Luigi Lusignani, e le truppe tedesche della Wehrmacht. Dopo 12 giorni di attacchi delle preponderanti forze aeree e terrestri tedesche, le truppe italiane furono sopraffatte e gli ufficiali italiani, fra cui il tenente Natale Pugliese e lo stesso comandante dell'isola Luigi Lusignani, furono fucilati, e i loro corpi gettati in mare dalla fortezza di Corfù. I prigionieri italiani sopravvissuti morirono durante il naufragio della motonave che doveva deportarli in Germania, bombardata dagli Alleati. Dei 10.000 prigionieri italiani presenti sull'isola, solo 2.000 si salvarono. Nel 1944 Corfù fu liberata dagli Inglesi e il Basileus dei Romei Manuele VI ritornò sul trono: l'ultimo rimasuglio sopravvissuto dell'Impero Romano tornava così libero.
Minacciata di invasione dai Colonnelli che avevano preso il potere ad Atene, Corfù si salvò grazie alla sua difesa da parte della marina inglese ed italiana. L'Impero ha aderito alla CEE nel 1982 e ha adottato l'Euro nel 2002; esso è riuscito a salvarsi dalla terribile crisi economica che ha travolto la Repubblica di Grecia. Oggi Corfù è meta di turisti grazie al clima mite e alla bellezza del mare, ma anche ai riti legati alla monarchia bizantina, che si ripetono incessanti fin dai tempi di Giustiniano. Oggi Basileus dei Romei è Costantino XVIII Theotokis, e Primo Ministro è Ioannis Trepeklis. Il titolo di Costantino XVIII è lo stesso usato dai suoi predecessori che nel Medioevo regnavano da Costantinopoli: "Вασιλεύς Βασιλέων Βασιλεύων Βασιλευόντων" (Re dei Re, Regnante dei Regnanti).
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Repubblica di Teodoro
Superficie: 2686 kmq
Popolazione: 541326 ab.
Densità: 201 ab./kmq
Capitale: Mangup/Teodoro
Forma di governo: repubblica presidenziale
Lingue: Russo, Gotico crimeano, Greco pontico settentrionale, sabirro, tataro yaliboyu, armeno, altre
Etnie: greca 29 %, tatara 20 %, russa 20 %, sabirra 13 %, gotica crimeana 10 % armena 4 %, altre 4 %
Religioni: chiese cristiane ortodosse 75 %, musulmana sunnita 25 %
PIL pro capite (a parità di potere d'acquisto, 2014) 18321 €
Non fosse stato per una serie di miracolosi accidenti, il nome di Teodoro sarebbe noto solo a pochi bizantinisti. Si tratta infatti di uno stato che prende le sue mosse e origini a partire dalla nascita, nel corso del XIII secolo, dei cosiddetti “stati bizantini dell'esilio”, dopo la conquista crociata di Costantinopoli, nel 1204. Le sue prime attestazioni certe, però, non vanno più indietro della metà del '300. Prima, molto probabilmente, il territorio governato poi dai “principi di Teodoro”, doveva la sua obbedienza all'imperatore di Trebisonda, che vi inviava dei funzionari. Con l'indebolimento dell'impero trapezuntino, i signori, greci e non, della zona, presero a far da sé, facendo ottimi affari sia con i tatari di Crimea, a nord, sia con le colonie genovesi e veneziane che sorgevano sulle coste della penisola che si affaccia sul mar Nero.
La vita autonoma di questo territorio sembrò volgere alla conclusione dopo la caduta di Costantinopoli prima e di Trebisonda poi, sotto lo scettro di Mehemet II Fatih, sultano degli ottomani. Presumibilmente, fosse vissuto più a lungo, avrebbe fatto scempio di ogni residuo di territorio in mani cristiane in tutta la sua sfera di influenza, compresi i territori greci e italici sulle coste crimeote. Morì però nel 1474 (Nella nostra TL morì nel 1481), mentre ancora infuriava la guerra con i veneziani. Bayezid II si dimostrò di indole poco accomodante, ma forse mancava del talento paterno per guerre e trattati di pace, così, la pace del 1479 che stipulò con la Serenissima fu gravosa, sì, per gli abitanti della laguna, ma non così tanto, come avevano temuto. Furono costretti a cedere l'isola di Lemno, le Sporadi Boreali e, soprattutto, Negroponte, ma non dovettero pagare che pochi indennizzi di guerra e poterono, soprattutto, continuare i propri traffici a tariffe agevolate (anche se erano lontani i tempi in cui tenevano in mano l'economia dell'impero bizantino e per questo viaggiavano praticamente gratis). Fortuna che non arrise allo stesso tempo alle colonie genovesi. Bayezid, in tutt'altre faccende affaccendato, non si curò troppo di quegli innocui e lontani puntini insignificanti. Non temeva i genovesi e, ora che il Mar Nero era divenuto un Mare Clausum, sarebbero probabilmente morte da sole per inedia. In effetti, nel giro di breve tempo, le colonie divennero, a conti fatti, improduttive per il governo genovese, che le vendette in piena proprietà al banco di San Giorgio. Il quale finì per concederle per una somma non certamente esaltante ai principi di Teodoro nel 1549, mentre in Italia le guerre imperversavano, così come altre priorità affaristiche.
Ma questo non volle necessariamente significare che i genovesi se ne andarono tutti d'un colpo. Certo, il grande mercato mediterraneo era precluso ed era praticamente finito, ma gli affari di “cabotaggio” potevano ancora essere svolti egregiamente. Oltre tutto, poi, intere famiglie si erano insediate lì da generazioni ed i nuovi signori con cui si trovavano ad avere a che fare non erano né tirannici né, a tutti gli effetti, veri e propri signori. Le clausole per la gestione del potere includevano una forma quasi totale di autogoverno, limitata da un governatore di nomina principesca e da un censo ricognitivo.
Ma chi erano i principi di Teodoro, e su cosa regnavano? Il nome del loro piccolo territorio a sud della penisola di Crimea e tributario del Khanato tataro poteva variare a seconda della popolazione a cui si chiedeva. I greci di Trebisonda, a loro tempo, lo avevano chiamato Perateia, “oltremare”, ma dalla seconda metà del '400 era in uso un più prosaico Parathalassia “riva del mare”, termine che comprendeva anche le ex-colonie genovesi. Gli italici, invece, la chiamavano Gotia, in virtù del fatto che, assurdo ma vero, il territorio era ancora abitato da popolazioni di origine gotica e la cui lingua, pur molto corrotta dai secoli, si poteva comunque ancora definire germanica. Il quadro etnico era completato dai tatari (e ad arricchire ulteriormente il tutto c'era il fatto che c'erano diverse varianti del tataro di Crimea, tali per cui chi abitava da generazioni all'interno dei confini del territorio del principato di Teodoro, poi detti Yaliboyu, aveva una lingua diversa da chi abitava nel resto della penisola. E, a volte, anche una religione diversa, dato che c'erano diversi clan cristiani) ovviamente, ma anche da altre popolazioni, perlopiù caucasiche come armeni, georgiani e alani.
Un allucinante melting pot che, per le sue ridotte dimensioni e la sua tranquillità venne sempre ritenuto sempre un obiettivo “poco prioritario” e alla fine mai conquistato. Né dagli ottomani né dal khanato, che nonostante tutto, non disprezzava affatto fare affari con questi pacifici nani, che pure erano ottimi mercanti e spesso facilitavano il compito di procurarsi degli ambasciatori presso i moscoviti o i polacchi.
L'aria, paradossalmente, iniziò ad essere veramente brutta per il piccolo principato, solo quando i russi iniziarono ad interessarsi alle coste del Mar Nero, sottraendo pezzo dopo pezzo tutti i territori al khanato di Crimea. Gli Zar erano poco tolleranti nei confronti dell'autonomia dei poteri, e come ne fecero le spese i cosacchi, alla fine, ne fece le spese anche il piccolo principato di Teodoro. La sottomissione all'alta autorità di Mosca fu, nel corso del XVIII secolo un processo lento, ma costante, che peraltro causò diversi attriti con la comunità locale tatara, schierata decisamente contro i moscoviti. La data di inizio di questo processo può essere indicata come il 1696 e quella di fine il 1784. Ebbe del miracoloso che durante tutto il secolo i principi siano riusciti, con manovre diplomatiche degne delle migliori fortune letterarie, per la loro avventurosità, a mantenere l'indipendenza, ma oltre non riuscirono ad arrivare. L'anno prima era stato soppresso il Khanato di Crimea, togliendo ogni apparente schermo all'influenza di Mosca sulla zona. l'ultimo principe, Davide VII, senza eredi, si rassegnò, in cambio di assicurazioni personali, ad abdicare in favore dello Zar. L'immigrazione ucraina venne molto malvista, e nel complesso, non fu portata avanti con decisione nel piccolo principato, come invece nel resto della Crimea, per quanto l'impero concepisse l'idea di fare della penisola una specie di roccaforte fortificata per le proprie basi navali.
In particolare, la guerra del 1854 fu particolarmente sofferta dalla popolazione, che tollerava male sia le privazioni dovute a guerra e malattie, sia un comportamento che eufemisticamente si potrebbe definire poco rispettoso, da parte dell'esercito imperiale.
Il territorio di Teodoro condivise con il resto della Crimea e dell'Ucraina ampie parti della propria storia. Una possibile svolta si ebbe quando le potenze vincitrici della guerra mondiale vollero farne una base di rifornimento per le armate bianche per arginare la rivoluzione bolscevica e, nel caso, farne un protettorato della società delle nazioni con mandato da affidare all'Italia. Non tanto per ragioni storiche e/o culturali, quanto, piuttosto, per ripagare l'Italia che si riteneva defraudata dei propri obiettivi minimi dalle disposizioni di Versailles. Il tutto, comunque, si concluse in un nulla di fatto. Ben peggiori avrebbero invece potuto essere le condizioni del territorio durante e dopo la seconda guerra mondiale. Hitler, ritenendo la popolazione gotica come “germanica”, pensò bene darle un diverso trattamento rispetto a quello solitamente riservato agli ucraini ed ai russi. Ma, sebbene i teodoriti non amassero gran ché gli slavi, iniziarono ad odiare ancor di più i nazisti quando scoprirono che voleva colonizzare la Gotia con popolazioni provenienti dalla Svevia e dalla Baviera. A questo punto, la popolazione del territorio prese le armi contro la wermacht contribuendo anch'essa alla lotta partigiana.
Stalin, comunque, non riservò certo un trattamento d'onore alle etnie che popolavano il territorio di Teodoro, ma, quanto meno, lo sforzo evitò loro le deportazioni e le uccisioni en masse che dovettero subire, giusto a titolo esemplificativo, i sassoni del Volga, i tatari di Crimea o gli ingusci.
Il territorio dell'ex-principato venne a questo punto diviso, su un principio piuttosto empirico di considerare le etnie (che nel territorio, notare, vivevano spesso fianco a fianco) in quattro oblast autonomi all'interno della repubblica autonoma di Crimea, a sua volta parte, fino al 1956 della R.S.S. Di Russia, poi dell'Ucraina.
Tali oblast erano:
l'oblast autonomo dei greci di Crimea
l'oblast autonomo degli Yaliboyu
l'oblast autonomo dei goti
l'oblast autonomo dei sabirri
Quest'ultimo, peraltro, decurtato di molte regioni storiche come Soldaia e Caffa. Chi erano i sabirri? Forse lo immaginerete già: i discendenti degli italici che abitavano le colonie genovesi. O meglio, quelli che non si erano, a seconda dell'epoca, grecizzati, tatarizzati o slavizzati. Comunque non erano affatto pochi, nonostante le traversie della storia ne avessero ridotto il numero. Era diventata una lingua creola mutualmente inintelligibile con qualsiasi dialetto galloromanzo, anche per via delle alterazioni del vocabolario.
A fianco a loro, un'altra corposa minoranza, come gli armeni di Crimea, era rimasta senza stato, ma non era nello spirito dei legislatori fare qualcosa di perfetto.
E arriviamo al 1991. Con la fine dell'URSS, le repubbliche sovietiche acquistarono tutte l'indipendenza, mentre le repubbliche autonome all'interno di queste ultime, pur in certi casi desiderando emanciparsi, furono meno fortunate. Chi andò più vicino fu il Tatarstan, che si garantì una certa dose di autonomia all'interno della Russia attraverso accordi bilaterali. Senza dubbio più triste fu l'epilogo per i ceceni, che vennero repressi nel sangue, ed il cui movimento indipendentista si è poi legato con la galassia dell'estremismo islamico di matrice quaedista. E i nostri “oblast autonomi”? Il primo passo fu la mozione, approvata dalla duma ucraina, dei quattro distretti di riunirsi per formare la repubblica autonoma di Teodoro. Ma questa non fu che la prima mossa. Subito dopo, autorevoli esponenti del multiforme e multietnico panorama di Teodoro, partì alla carica con discorsi sull'indipendenza. La fortuna fu che l'interesse dell'opinione pubblica occidentale fu subito su di loro. D'altra parte si trattava di “figlioli sperduti”, propagandisticamente parlando, di greci, italiani e tedeschi. Certo, l'affermazione non era corretta, ma faceva presa. Ci furono scontri, anche violenti, con la popolazione slava e rivolte di piazza represse in modo violento. Ma alla fine, nel 1993, dopo un cessate il fuoco proclamato da organizzazioni indipendentistiche che si erano volte al terrorismo, si tenne, in un clima, nonostante tutto, nient'altro che semplice, un referendum per l'indipendenza, sorvegliato da inviati dell'ONU, che fissarono il margine di vittoria su un altissimo 58 %. I sì vinsero di stretta misura, con il 61 %.
Da lì in poi, la neonata e piccola repubblica di Teodoro cercò di costruirsi un margine di azione a livello internazionale, cercando di avvicinarsi all'Europa senza tagliare i ponti con la Russia, specie durante l'era Putin. Puntò abbastanza rapidamente, come molti omologhi piccoli stati, sulle società offshore e, soprattutto, sul turismo dei ricchi nuovi borghesi della Russia, senza dimenticare però il tentativo di dotarsi di un apparato industriale degno di questo nome. Non senza un certo successo, dato che condivide con le repubbliche baltiche elevati ritmi di crescita dell'ISU e del PIL, almeno fino all'odierna crisi.
Dal punto di vista sportivo (altra caratteristica che condivide, stranamente, con le baltiche) la disciplina più seguita è il basket, in cui raggiunge risultati molto alti anche a livello internazionale (il massimo risultato è un quarto posto agli europei del 2011).
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Serenissima repubblica damarense di Granbusa
(scritta per celebrare la Festa di Utopiaucronia il 28 giugno 2019)
Forma di governo: Repubblica "bipresidenziale" (due provveditori generali) monocamerale (consiglio)
Superficie: 37,6 kmq
Popolazione: 24.457 abitanti (al 2016)
Capitale: Granbusa/Grabusa/Gramvousa (7.642 abitanti al 2016)
Lingue: ufficiali inglese, greco (demotiki), albanese di Granbusa, Arumeno (detto valacco di Granbusa). Parlati italiano, turco, greco politiki, serbo montenegrino
Etnie: greca, albanese, turca, italoromanza, arumena, serbomontenegrina
Religioni: maggioritaria la chiesa cristiana ortodossa greca (anche se rispondente direttamente al Patriarcato ecumenico costantinopolitano e non ad Atene), minoranze cristiane di rito slavo-ortodosso e cattolica, musulmana sunnita
PPC: 16.875 $ al 2016
tld: .gb (peraltro usato non ufficialmente e a pagamento da molti server inglesi); .eu
Targa: GB
La storia di un piccolo isolotto poco al largo di Capo Corico, nella parte occidentale di Creta, sarebbe potuta essere un anonimo e placido scorrere del tempo, se non fosse stato per la protervia veneziana. La repubblica di San Marco, infatti, costruì su quest'isola una poderosa fortezza a picco sul mare e, anche quando l'isola di Creta cadde in mano ottomana a seguito della guerra di Candia, nel trattato di pace con il sultano, il forte, assieme alle isole di Suda e Spinalonga, rimase sotto il controllo veneziano per altri vent'anni. Se l'occasione della vendetta per la Serenissima arrivò in generale con la guerra di Morea, per gli isolotti cretesi il conflitto non portò bene: il teatro primario delle operazioni del conflitto turco-veneziano era il Peloponneso e, visti i rovesci subiti nella penisola, gli ottomani decisero di vendicarsi prendendo perlomeno il controllo dei tre forti. Purtroppo per loro, la fortezza era collocata in una posizione impervia, stagliandosi 137 metri a picco sul mare; motivo per il quale essi avrebbero dovuto sprecare un numero sproporzionatamente alto per la conquista (peraltro sempre vivendo nel fondato timore che la flotta veneta avrebbe tentato di riprendersi Creta, per cui perdere un numero ingente di soldati in quell'occasione era poco consigliabile). Tentarono così l'arma della corruzione: facendo presente al capitano del forte, Luca dalla Rocca, che non avrebbe ricevuto nel breve termine sussidi per resistere, gli proposero di tradire Venezia e cedere la fortezza in cambio di un ingente quantitativo di denaro.
alla Rocca, nella leggenda pare avesse
risposto così, al messo del sultano:
« Non sono un Bragadin, tengo alla mia pelle. Non sono un Morosin, non voglio
sopportare un assedio di vent'anni e poi esser diffamato. Non sono tante cose.
Nemmeno un venduto. »
Fu così che iniziò la resistenza a oltranza. Essa spinse un ringalluzzito Domenico Mocenigo a portare aiuti a Dalla Rocca e tentare di prendere La Canea. Il sogno di riconquistare l'isola persa venti anni prima sembrava potersi realizzare, ma la Serenissima non aveva più soldi a sufficienza per organizzare sbarchi in grande stile, e, in fondo, sperava di ottenere l'isola barattandola con la Morea al tavolo delle trattative. Tavolo che però distrusse queste speranze: gli austriaci imposero il principio a loro largamente favorevole dell'uti possidetis, cosa che permise agli ottomani di salvare il proprio possesso su Creta prima del crollo delle proprie forze.
Ciò nonostante, il possesso veneto su pezzetti dell'isola venne rafforzato: le vennero infatti cedute le tre penisole a ovest di Corico con Cisamo, Capo Spada e la penisola di Suda (Akrotiri), pur senza La Canea.
Capitano generale dei nuovi possedimenti divenne lo stesso Dalla Rocca il quale, per motivi certo scaramantici e contro ogni logica, rifiutò di fare di Cisamo il capoluogo amministrativo per rimanere nella rocca di Granbusa. In questi pur limitati territori l'amministrazione veneziana ebbe maggior successo che nel Peloponneso, in cui fu scarsamente apprezzata dalla popolazione locale. Innanzitutto perché i capitani generali furono sempre molto lassisti nei confronti dell'introduzione del clero cattolico, poi perché, da regioni quasi spopolate, l'impegno logistico ne fece dei porti ben frequentati, rivitalizzandone l'economia e la demografia. Più controversa per i locali, ma dall'impatto in realtà molto relativo (in quanto messa in atto in aree pressoché disabitate) fu la costruzione di colonie di popolamento/fortezza marittima, come stava avvenendo in pari tempo a Corone. Esse furono insediate nell'isola di Agria Granbusa e soprattutto presso il promontorio di Tigani. Vista la refrattarietà a collaborare dei cretesi, vennero utilizzati come manodopera genti provenienti dall'Albania Veneta, dalle zone intorno a Nauplia e i fuggitivi da Valona (che avevano aiutato l'assedio e la conquista veneziana e che non volevano rimanere nei propri insediamenti a guerra finita per timore di ritorsioni).
Linguisticamente si trattava principalmente di Arumeni (chiamati allora semplicemente Valacchi d'Albania) e Arvaniti (Albanesi di Grecia).
Nel 1715 gli ottomani ripresero le ostilità con la Serenissima con l'intenzione di riprendersi ciò che le era stato tolto un quindicennio prima. Il risultato fu devastante per il dominio veneziano nel Peloponneso. La disponibilità di forze era troppo sfavorevole alla repubblica, ed a ciò si aggiunse una condotta militare molto indecisa da parte del capitano generale Dolfin. Ben diverso fu l'atteggiamento di Carlo Pisani, provveditore generale di Granbusa, che difese strenuamente la fortezza di Tigani dall'assedio navale tanto da riuscire in un fortunato contrattacco che giunse sino alla riconquista di Cisamo. Fu poi incapace di tenerla per il limitato numero di forze, ma qui, al contrario che in Morea, la popolazione greca si sollevò contro i turchi che, del resto, disponevano sull'isola di un numero piuttosto limitato di uomini, affidando la conquista dei presidi veneziani alla sola flotta. La sua capacità di resistere, con alterne vicende, sino all'accordo con Carlo VI d'Asburgo da parte della Repubblica, gli permise di arrivare alla pace di Passarowitz con le principali fortezze della penisola di Corico intatte, per quanto avesse dovuto abbandonare capo Spada e la penisola di Suda di fronte a La Canea.
Le sue capacità non valsero però a riguadagnare, al tavolo delle trattative, quanto perso dalla Serenissima (che sperava di far leva sulle disastrose sconfitte ottomane contro gli austriaci), né in Morea, né a Creta, dove perse Akrotiri, Suda e Spinalonga, anche se riottenne Capo Spada e tutta la costa del golfo di Cisamo.
Dopo questo conflitto, la posizione dominante nel maggior consiglio fu quella di mantenere la neutralità armata perpetua, rifiutando qualsiasi offerta di alleanze volte a risollevare le sorti militari di Venezia. Non tutti erano naturalmente d'accordo con tale linea di condotta e, spesso, i più focosi dei comandanti venivano inviati a Creta per smussare le loro velleità lontano dalla terraferma.
Ciò nonostante, la decadenza della Serenissima faceva il paio con quella dell'impero ottomano, per cui non vi saranno più scontri tra i due stati.
Da questo momento in avanti la Creta veneta diventerà più che altro 'luogo di villeggiatura', delle famiglie più eminenti del dogado, cosa che comunque ne avvantaggerà in una certa qual misura il popolamento, l'economia e lo sviluppo edilizio.
Tutto cambia all'improvviso nel 1797. E' in questa data che la storia di Granbusa prende una piega inaspettata. La caduta di Venezia e del suo stato di terraferma sotto il controllo austriaco con il trattato di Campoformio induce ad un esodo di numerosi esponenti delle famiglie senatorie del dogado. Naturalmente, come da trattato, il residuo stato da mar veneziano sarebbe dovuto cadere in mani francesi. La breve occupazione delle guarnigioni napoleoniche fu tanto meno gradita quando, in un velleitario tentativo di ottenerne i favori, il primo console decise di vendere quel territorio ai turchi. Il 'cambio di bandiera' fu però bruscamente interrotto quando la flotta russa dell'ammiraglio Usakov, prima di dirigersi verso Corfù, occupò senza incontrare resistenza il territorio. I Turchi si erano già affrettati a piantare la propria bandiera a Capo Spada, ma, per via della strenua resistenza delle popolazioni locali, così non erano riusciti a fare a Cisamo.
Per quasi quindici anni, fino al 1815, vi fu, sotto sostanziale tutela russa e, in seguito,anche inglese, una repubblica, parallelamente a quella delle sei isole ionie (sette in HL, ma qui Cerigo è sotto amministrazione cretese). Al congresso di Vienna, la repubblica venne sottoposta al controllo di Londra. Nonostante Maitland volesse unificare sotto un unico governo Granbusa e Corfù, il progetto fallì, anche se ancor oggi non se ne conosce precisamente il motivo. Venne redatta una costituzione in cinque lingue (Inglese, Greco, Italiano, Albanese cretese, Valacco cretese).
Internazionalmente complessa divenne la vicenda di questo protettorato a partire dagli anni venti del XIX secolo. Le insurrezioni greche, in particolare a Creta, contro il dominio ottomano portarono numerosi 'profughi politici' a insediarvisi. L'amministrazione britannica fu spesso indecisa sulla linea d'azione da tenere nei confronti di tali guerriglieri e insorgenti che trovavano, nemmeno troppo nascostamente, asilo nelle sue terre. Pur tuttavia, mantenne un atteggiamento assolutamente poco repressivo, poiché vedeva con assoluto favore la costituzione di uno stato nazionale greco. L'isola non venne comunque annessa dal neocostituito regno greco di Ottone di Baviera nel 1832. Il 1864 ci fu un'ulteriore svolta che alterò il destino di Granbusa. Gli inglesi infatti, mentre concedevano il passaggio delle isole ionie sotto il loro controllo alla sovranità greca, preferirono non fare altrettanto per quanto riguardava i territori cretesi. Essi infatti ritenevano assolutamente pericoloso, per la situazione estremamente tesa sull'isola, creare un ulteriore confine terrestre tra regno di Grecia e Impero ottomano. Oltre al fatto che, sebbene gli inglesi avessero fatto di Atene uno stato da loro strettamente tutelato, ancora non erano pienamente convinti dell'inesorabilità del dissolvimento e della spartizione del sultanato turco (prova ne fu la guerra di Crimea).
Motivo lo stato di cose non subì sostanziali scossoni (per quanto momenti di crisi diplomatiche per via di insorgenti ivi rifugiatisi non mancassero di certo) fino al 1897, in cui, ancora una volta, il principe Giorgio di Grecia, alto commissario di un neocostituito stato autonomo cretese, sperò che il promontorio sotto controllo del Regno Unito gli venisse ceduto. Le sue pretese vennero però frustrate ancora una volta. Il paradosso è che, in questo lasso di tempo, la penisola non era divenuta culturalmente omogenea, anzi. Complici le politiche di insediamento messe in atto dalla Serenissima, la popolazione greca era nettamente maggioritaria solo nella città di Cisamo, mentre negli altri insediamenti insulari e peninsulari, la lingua dominante era l'albanese di Creta e, in seconda battuta l'italiano (in realtà la lingua veneta, ma non aveva alcuno status ufficiale).
Si arrivò dunque al 1908 con la crisi 'Venizelos', in cui un governo rivoluzionario cretese approvava la cosiddetta Enosis (unione) con la Grecia attraverso la stipula di un referendum. L'Inghilterra si trovò in una intricata empasse politica nel momento in cui alcuni deputati dell'assemblea cretese spinsero perché anche nel territorio di Granbusa venisse indetta la consultazione popolare. Naturalmente il governo britannico non solo rifiutò, ma nemmeno riconobbe ufficialmente l'esito referendario nel resto dell'isola. Nel 1913, tuttavia, a seguito delle guerre balcaniche e della cessione formale di Creta al regno di Grecia, Londra cedette e diede via libera al voto sul destino del suo protettorato. L'esito sorprese gli stessi inglesi, visto che, nonostante a Cisamo avessero vinto nettamente i favorevoli all'Enosis, nella restante parte della penisola vennero invece sconfitto. Merito questo probabilmente anche dell'immigrazione di numerosi musulmani cretesi che temevano il clima repressivo nei loro confronti da parte dei nuovi padroni.
Da allora, nonostante a livello di discussioni da salotto o di programmi partitici continuasse ad essere presente, il tema della riunione con la Grecia non venne più ripresentato sino al 1974, quando, a seguito della crisi dei colonnelli e l'invasione turca di Cipro del nord, gli inglesi decisero, piuttosto sorprendentemente di concedere l'indipendenza di Granbusa nell'ambito del Commonwealth delle nazioni. Recenti documenti desecretati dagli archivi confermano l'ipotesi che sia stata una sorta di 'reazione' al veto di Kissinger all'intervento militare inglese a Cipro.
Fatto sta che, in quel clima, alcuni ultranazionalisti riproposero brevemente il problema dell'Enosis di Granbusa, ma vennero brutalmente tacitati dal frenetico susseguirsi degli eventi svoltisi a Cipro.
Man mano, lo staterello è divenuto ricco e prospero grazie al turismo, alle lassiste norme sul segreto bancario e sulla costruzione di una cospicua industria del divertimento per ricchi. Pur tuttavia ha mantenuto la sua forte impronta multietnica e multiculturale che l'ha sempre contraddistinta. Nel 2004 è entrata a far parte della UE e dal 2008 adotta l'Euro.
Il patrono è, manco a dirlo, San Marco.
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Repubblica del Fiume Indiano
Superficie: 731 kmq
Popolazione: 9065 ab.
Densità: 12,4 ab./kmq
Capitale: Pittsburg
Forma di governo: repubblica presidenziale
Lingue: inglese
Etnie: 23 % Franco-Canadesi, 21 % Irlandesi, 16 % Afroamericani, 10 % Italiani, 9 % Tedeschi, 5 % Scozzesi, 4 % Polacchi, 3 % Nativi Americani, 2 % Asiatici, 2 % Svedesi, 5 % Altri
Religione: cristiana protestante
PIL pro capite (a parità di potere d'acquisto, 2014) 18321 €
La Repubblica del Fiume Indiano è una piccolissima repubblica costituzionale posta lungo il tratto del confine che divide la Repubblica Democratica del Québec dallo stato USA del New Hampshire. Prende il nome dall'Indian Stream, un piccolo corso d'acqua sulle cui rive sorge la capitale, Pittsburg, chiamata così in onore di William Pitt il Vecchio (1708- 1778), Primo Conte di Chatham e Primo Ministro del Regno Unito; tale città non va ovviamente confusa con Pittsburgh in Pennsylvania, la ventesima città degli Stati Uniti per popolazione.
L'area fu venduta ai primi coloni europei da Metacomet (1639- 1676), capo indiano dei Nativi Wampanoag che era chiamato dai bianchi "Re Filippo", e nel 1670 aveva guidato con successo molte incursioni contro gli insediamenti inglesi della Nuova Inghilterra. Dopo la Guerra d'Indipendenza Americana, il Trattato di Versailles del 3 settembre 1783 fissò il confine tra il Canada, rimasto unito alla corona britannica, e i neonati Stati Uniti d'America, ma le clausole del trattato lasciarono diverse ambiguità. Ad esempio, vi erano almeno tre possibili interpretazioni della locuzione "l'ansa nordoccidentale del fiume Connecticut". Di conseguenza, l'area intorno ai tre affluenti che alimentavano il ramo superiore del fiume Connecticut, compresi i quattro Connecticut Lakes fino al Fiume Hall, finì per non rientrare né sotto la giurisdizione degli Stati Uniti né di quella del Canada. Fu così che gli abitanti di quell'area si accorsero di non dover pagare le tasse a nessuno, e decisero di fondare una nazione indipendente. Subito dopo la dichiarazione d'indipendenza, entrambe le nazioni vicine corsero ai ripari ed inviarono nell'area esattori delle tasse. Si può immaginare con quale gioia i coloni accolsero quella doppia imposizione fiscale: essi furono ancor più decisi nel riaffermare il proprio autogoverno. Nel frattempo però Washington e Londra, per anni e anni ai ferri corti, non riuscivano ad accordarsi su quale fosse "l'ansa nordoccidentale del fiume Connecticut". Gli Stati Uniti provarono la carta della diplomazia, ma nel 1835 una votazione del Congresso della Repubblica del Fiume Indiano decise a larghissima maggioranza di mantenere l'indipendenza e quindi l'esenzione da ogni tassa, e venne scritta la versione definitiva della sua Costituzione.
D'altro canto, anche i tentativi del Regno Unito di acquisire l'area andarono a vuoto dopo che un gruppo di "Streamer" (come erano chiamati gli abitati della microrepubblica) fecero irruzione in una vicina cittadina canadese per liberare un connazionale che era stato arrestato e sbattuto in prigione da un ranger britannico a causa di un debito non pagato, e si sfiorò la guerra tra il Canada e la Repubblica. Alla fine la ragione prevalse, e la Gran Bretagna rinunciò ad ogni rivendicazione sul Fiume Indiano nel gennaio 1836. Nel 1840 furono censiti 315 abitanti della Repubblica, che era organizzata proprio come uno Stato degli USA, con un Congresso eletto a suffragio universale maschile e un Presidente eletto ogni cinque anni e rinnovabile in carica una sola volta; in quell'anno Presidente era Luther Parker. La Mappa del New Hampshire realizzata da Lewis Robinson nel 1845 è la prima ad indicare chiaramente i confini e il territorio della minirepubblica.
La Repubblica del Fiume Indiano si mantenne neutrale durante la Guerra di Secessione Americana; del resto, nella sua Costituzione non era neppure mai entrato il concetto di schiavitù. Nel 1878 fu concesso il voto alle donne (nella maggior parte degli USA questo era ancora un miraggio). L'industrializzazione crescente di Stati Uniti e Canada influenzò anche la Repubblica, nella quale vennero impiantate numerose industrie tessili, azionate dai corsi d'acqua che attraversavano il suo territorio, e poi dalla forza del vapore. Neppure la Prima Guerra Mondiale interessò il piccolo stato nordamericano, ma la Grande Depressione seguita al crollo di Wall Street nel 24-29 ottobre 1929 la colpì molto duramente. La ripresa fu lenta e favorita dalla grande rete stradale che la congiunse all'americana Boston e alla canadese Québec. Nel 1962 il colosso dell'informatica Digital Equipment Corporation si stabilì a Pittsburg per sfruttarne il regime fiscale favorevole, e ciò fece la fortuna della Repubblica, che da allora venne chiamata "la Silicon Valley dell'Est". Dopo il referendum del 30 ottobre del 1995 con il quale la ex provincia canadese del Québec optò per l'indipendenza con una maggioranza di appena 45.000 voti (il 50,4 % dei voti totali), il governo di Pittsburg fu la prima nazione a riconoscere l'indipendenza del nuovo stato francofono, e i suoi rapporti commerciali con la confinante Repubblica Democratica del Québec accrebbero ancor più la ricchezza della micronazione sorta sulle rive del Fiume Indiano. Attuale Presidente è Brendon K. McKeage, mentre Merrill M. Dalton è Capo del Congresso.
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Repubblica di Minerva
Superficie: 0,66 kmq
Popolazione: 142 ab.
Densità: 215 ab./kmq
Capitale: Minerva City
Forma di governo: repubblica
Lingue: inglese
Etnie: americani 75 %, russi 25 %
PIL pro capite (a parità di potere d'acquisto, 2014) 37568 $
Minerva è una delle repubbliche più piccole del mondo, edificata su due atolli che sormontano altrettanti vulcani spenti sommersi, a sud delle isole Figi e a circa 435 km dalle isole Tongatapu. Il Reef settentrionale ha un diametro di circa 5,6 km, quello meridionale ha un diametro di circa 4,8 km (3,0 km). Intorno alle scogliere vi sono due piccoli isolotti di sabbia, su cui sono stati piantati molti alberi. Il clima è sostanzialmente subtropicale, l'umidità media giornaliera supera l'80 %. Il nome di Minerva era quello di una baleniera naufragata sugli atolli nel 1829.
Nel 1971 il milionario e attivista politico di Las Vegas Michael Oliver (1930-) acquistò in Australia delle chiatte cariche di sabbia e le portò sull'atollo di Minerva, fino ad allora mai rivendicato da alcuna potenza. La sabbia serviva per portare il livello del suolo al di sopra del pelo dell'acqua e consentire la costruzione di edifici. Il 19 gennaio 1972 Michael Oliver issò la sua bandiera sull'atollo maggiore e proclamò la Repubblica di Minerva,varando una propria valuta, il dollaro di Minerva. Nel febbraio del 1972 Morris C. Davis venne eletto presidente della Repubblica. Tale dichiarazione di indipendenza venne accolta con estrema diffidenza dagli altri paesi del Pacifico, i quali temevano che ogni isolotto e ogni banco di sabbia diventasse sede di un microstato proclamato da utopisti e da contestatori sociali, quando non da bucanieri. Il 24 febbraio 1972 si riunì così una conferenza degli stati confinanti (Australia, Nuova Zelanda, Tonga, Figi, Nauru, Samoa Occidentali, Isole Cook) durante la quale il governo di Tonga decise di reclamare Minerva per sé. Tuttavia Michael Oliver chiese l'aiuto dell'Unione Sovietica, e questa, non parendole vero di poter disporre di una base navale nel Pacifico centrale, intervenne con due motonavi, presidiando Minerva. Tonga, che già si preparava ad inviare i suoi soldati sugli atolli, protestò violentemente, ed anche gli altri paesi del Pacifico mugugnarono, ma non poterono nulla contro la potenza della flotta sovietica. Il 1 ottobre 1972 l'Australia e la Nuova Zelanda furono costrette a riconoscere l'indipendenza di Minerva. Altri in seguito tentarono di proclamare dei propri piccoli stati "autogestiti" sul modello di Minerva, ma furono rapidamente sloggiati dalle truppe degli stati; tra questi i più celebri sono il Regno di EnenKio, che reclamò l'atollo statunitense di Wake, e il "Progetto Atlantide", un movimento di natura libertarista ispiratosi ad Oliver che voleva creare un'isola artificiale e raccolse 400.000 dollari prima di finire in bancarotta nel 1994.
Minerva restò un protettorato sovietico fino al 1991, anno della caduta del comunismo, quando Oliver, timoroso di un attacco da parte dei tongani, ottenne l'amicizia e il protettorato della Repubblica Popolare Cinese, anch'essa interessata a una base nel Pacifico. Lo stato di Minerva è sede di società offshore e vi si sono stabiliti molti delusi dalla civiltà occidentale, animati da ideali libertari e in cerca di una vita libera da ogni convenzione. Oggi Minerva emette francobolli molto ricercati dai collezionisti ed ha relazioni diplomatiche con 51 stati del mondo, ma non con gli Stati Uniti, e l'unico paese dell'Unione Europea che la riconosce è la Romania. Invia anche una rappresentativa di atleti alle Olimpiadi e ai Campionati Mondiali di Atletica. Il più piccolo stato del Pacifico ha un proprio TLD (.mi), è un "paradiso informatico" per il web-hosting sicuro, ed ha ospitato anche Napster in uno dei periodi più discussi della sua storia.
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