Niente donazione di Sutri!

di Det0


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POD: Liutprando non fa a papa Gregorio II la Donazione di Sutri.

728: Il re longobardo Liutprando attacca le città di Sutri e dintorni.

729: Liutprando e le sue truppe marciano verso Roma.

730: Papa Gregorio II invoca l’aiuto di Pipino il Breve che scende in Italia.

731: Liutprando e Pipino si scontrano sul lago Trasimeno, le truppe longobarde schiacciano quelle franche in battaglia e Pipino è scacciato.

733: Le truppe longobarde entrano a Roma e catturano papa Gregorio III; questo nel 734 viene portato alla corte di Liutprando che gli toglie ogni potere politico o territoriale, in cambio proclama il cristianesimo religione ufficiale del regno.

736: In lotta con l’Impero Bizantino (debole per la crisi iconoclasta) papa Gregorio III invia i longobardi a riconquistare l’Italia meridionale; eserciti partono dai ducati di Benevento e Spoleto; il primo verso la Calabria, il secondo verso la Puglia.

739: La Calabria cade in mano ai longobardi, intanto Liutprando doma le rivolte Bizantine a Ravenna e nella Pentapoli.

741: La Puglia è conquistata dai longobardi (tranne Taranto che continua a resistere all’assedio con l’aiuto bizantino); intanto Liutprando guida un attacco all’Istria.

743: I longobardi si spingono in Sicilia, intanto Liutprando muore in battaglia presso Trieste.

744: Il successore di Liutprando, Ildebrando, continua il progetto del predecessore e termina la conquista dell’Istria.

746: Ribellioni a Genova e Venezia, Ildebrando scende in città e le doma con violenza; nello stesso anno fa partire dalle due città due diverse flotte, una parte da Genova e attacca Palermo nel 747 (aiutando a ultimare la conquista della Sicilia), poi sale verso la Sardegna; l’altra scende in Epiro e attacca i bizantini per vendicarsi delle ribellioni causate proprio da questi nelle città italiane.

749: I longobardi ultimano la conquista della Sardegna, inoltre entrano finalmente a Taranto e l’Italia è riunificata; si riportano le prime vittorie sul fronte dell’Epiro. Nello stesso anno a Ildebrando succede Astolfo.

750: Approfittando della debolezza bizantina Astolfo attacca la Corsica e sconfigge con facilità i greci; ma durante la conquista i franchi di Pipino il Breve scendono nell’isola per fermare i longobardi, occupandoli in 4 anni di battaglie.

751: Mentre Astolfo combatte in Sardegna i bizantini subiscono una gravissima sconfitta navale presso Butroto; da quella data decine di flotte partono dalla Puglia e attaccano la zona, ma la strenue resistenza bizantina evita la conquista longobarda.

754: Dopo anni di battaglia Astolfo sconfigge Pipino il Breve e lo cattura; nello stesso anno a Pavia libera il sovrano franco e sancisce l’alleanza con quest’ultimo.

755: Nuove rivolte bizantine in Italia meridionale, Romagna, Venezia e Genova; per domare queste rivolte, che continuano a scoppiare e insistere, Astolfo compie uno degli atti più cruenti della storia, l’excidium graecorum, con il quale stermina (letteralmente) i rivoltosi bizantini in Italia; Bisanzio si lamenta e chiede l’aiuto dei franchi che, alleati dei longobardi, si vedono costretti a rifiutare la richiesta.

756: I longobardi conquistano l’Epiro ma a causa dell’excidium graecorum il papa Stefano II è in cattivi rapporti con il re Astolfo, che però muore.
Nello stesso anno, mentre le tensioni tra Longobardi e Franchi e Bisanzio aumentavano, il papa incita Aquisgrana, Bisanzio e Pavia a non entrare in guerra. Inoltre incorona Rachis, fratello di Astolfo, “re d’Italia”.

757: Papa Stefano II è succeduto dal suo precedente diacono Paolo I, questo, dotato di grandi capacità diplomatiche, riesce ad evitare gli scontri tra franchi, longobardi e l’Impero Bizantino e mantenere un periodo di pace tra questi stati. Intanto Desiderio succede a Rachis e viene incoronato re nel 759 a Pavia.

761: Paolo I convince Bisanzio a ufficializzare il possesso longobardo dell’Epiro.

764: Seppur molto diplomatico Paolo I disapprova la lotta iconoclasta e chiese all’imperatore Costantino V di fermarla, ma questo rifiutò violentemente aumentando le tensioni con Roma.
Paolo I infatti cominciò ad organizzare i preparativi con longobardi e franchi, al re di questi ultimi, Pipino il Breve, avrebbe proposto il titolo di “re dei franchi di Cristo” in cambio del suo aiuto militare.

766: Pipino il Breve è incoronato da Paolo I, che un anno dopo muore.

768: Muore Pipino il Breve, gli succedono i figli Carlo e Carlomanno.

767: Approfittando della morte di Paolo I, Costantino V attacca Roma, scoppia la guerra dei Trent’anni.

772: Desiderio invoca l’aiuto dei franchi e Carlomanno scende in Italia, intanto Carlo combatte in Sassonia.

775: Costantino V muore e, senza il loro condottiero, i bizantini sono sconfitti dalle truppe franco-longobarde, nel viaggio di ritorno verso Pavia, però, Carlomanno muore.

777: Desiderio muore e gli succede il figlio Adelchi.

778: Adelchi invoca l’aiuto di Carlo Magno per i nuovi attacchi bizantini sulle coste dell’Adriatico.

780: Flotte franche e longobarde partono da Venezia e sconfiggono i bizantini in mare, intanto Carlo torna in Sassonia per domare delle rivolte.

782: Adelchi sconfigge i bizantini a Ravenna e grazie all’intervento di Carlo, nel 783, li scaccia dall’Italia.

786: I bizantini attaccano l’Epiro, territorio longobardo, e Adelchi decide di lasciarlo all’Impero Bizantino in cambio della pace ma Carlo gli fa cambiare idea e quando quest’ultimo scende nei Balcani, nel 789, i bizantini subiscono ingenti perdite.

790: Carlo sconfigge i bizantini in Epiro, intanto la Cappadocia è invasa dagli arabi.

796: Carlo Magno sottomette gli Avari, intanto Adelchi scende in Grecia e assedia Tessalonica.

798: Mentre Adelchi avanza in Grecia gli arabi fanno lo stesso in Anatolia e nell’inverno del 798 entrambi i contingenti giungono a Costantinopoli e la cingono d’assedio.

799: Carlo Magno scende a Costantinopoli e nell’inverno di quell’anno la città capitola e con essa l’Impero Bizantino.

800: Arabi, longobardi e franchi si spartiscono l’impero: i longobardi fondano il Regno di Grecia, del quale hanno solo la reggenza, e prendono pieno possesso dell’Epiro; agli Arabi va la penisola anatolica e alcune zone della Tracia; mentre i Franchi di Carlo Magno si aggiudicano il Bosforo e alcune città nei pressi di Trebisonda.

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Il Mediterraneo nell'800 d.C. (cliccare per ingrandire)

Il Mediterraneo nell'800 d.C. (cliccare per ingrandire)

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E ora, seguite con me questa discussione:

Generalissimus:

Peccato finisca così, dato che io sono filobizantino, soprattutto perchè senza Impero Bizantino probabilmente la mia città non esisterebbe. Io sono di Marcianise, in provincia di Caserta.

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Paolo Maltagliati:

Beh, sicuramente è più antica di Robecco Sul Naviglio, che al più presto è nata nel XIII secolo...

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Bhrghowidhon:

Un conto è l’inizio delle attestazioni documentarie, un altro l’introduzione della pietra come materiale da costruzione, tutt’altro la nascita dell’insediamento stabile e altro ancora l’origine del toponimo; il tutto vale sia per Marcianise sia per Robecco sul Naviglio: per Marcianise l’arco temporale si estende dalle prime attestazioni (1308-1310 Marchanisio, Marcianisio) a come minimo la Protostoria osca, se il suffisso *-īsio- è il regolare corrispondente osco del latino *-ērius (entrambi dal protoitalico *-ēsio- < indoeuropeo *-ēsio- < *-ēhsio-) aggiunto a una base che non è per forza da intendere come gentilizio latino (Mārciānus), ma anche come possibile suo equivalente etnonimo sabellico *Mārkiāno-s (sempre come derivato per mezzo del suffisso appertinentivo *-āno- < indoeuropeo *-āno- < *-ahno- dalla formazione onomastica *Mārkio-s, in ultima analisi dal teonimo Mārs < indoeuropeo *Mahₐg’s-uort-s o simili). Per Robecco (ovvia base derivazionale di Robecchetto) la vulgata toponomastica è appiattita su Robecco d’Oglio che presenta una variante locale Rebècch (come Rebecco di Tavernole di Bovegno [Brescia], donde l’ipotesi etimologica (*)rebècch *“fortilizio contrapposto” < “opposto, contrario” come deverbale di rebeccà “rimbeccare”) accanto a Robècch, mentre gli altri Robecco (Robecco Pavese, Robecco Lodigiano di Turano [Lodi]) e consigliano un confronto con la sempre trascurata idronimia francese, in particolare col nome dell’affluente della Senna a Rouen, Eau de Robec (1030 Rodobek), a sua volta normalmente considerato un idronimo germanico (norreno bek “ruscello” + «rod» [sīc] “rosso”, di per sé riscontrabile solo nell’antico sassone rôd), mentre almeno alla mia ingenuità pare piuttosto un composto gallico col medesimo primo elemento – ritenuto oscuro – dello stesso astionimo Rouen < Rotomagus (celtico *magos “campo”): mi sembra evidente che Robecch = Robec < Rodobek riflettano *Roto-bikko-s “piccolezza di circondario”, con *rotā > irlandese roth = gallese rhod “ruota, cerchio, circolo, circondario, distretto” + *bikko-s > irlandese bec “piccolo”, sost. “piccola quantità, ristrettezza” (nel caso di Robecco sul Naviglio la restrizione sarebbe dovuta alla vicinanza degli altri due insediamenti di etimo celtico, Carpenzago e Casterno) e, siccome i toponimi celtici transpadani (ma altrettanto si può affermare di quelli transalpini e liguri) sono dimostrabilmente la continuazione diretta di nomi propri locali indoeuropei classici (quindi anteriori, in locō, al IV. millennio a.C.), anche per *Roto-bikko-s arriverei a ricostruire un’origine indoeuropea precalcolitica *Rothₐo-b(h)ik’nó-s.

Una volta entrati nella questione indoeuropea, mi piace caldeggiare la versione della Continuità dal Paleolitico, per cui sia *Mahg’s-uort-ik-i-ahₐn-ēhₐsio-m sia *Rotho-b(h)ik’nó-s (come del resto *Bhrs-id-io-m > Bareggio, *Londh-o-h1iah-tu-s > Lonate ecc. ecc.) erano Regni tra i circa 100.000 indoeuropei dell’Eurasia.

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Generalissimus:

Infatti nelle campagne intorno al paese spuntano manufatti e tombe osche ed etrusche oltre che romani e nel confinante comune di Orta di Atella c'è l'insediamento preistorico.

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Paolo Maltagliati:

Aspetta... la vulgata corrente che c’è da noi è che Robecco ha l’etimologia di “fortezza contrapposta” rispetto al “Castrum Externum” (Casterno) romano. Detto in altre parole, il nostro paese si è formato per via delle opere di canalizzazione (vedasi Naviglio Grande) che hanno “deviato” la popolazione dalla valle del Ticino, luogo dell’insediamento in età antica e tardo-antica, sul luogo dove sorge adesso il paese di Robecco S/N. Fenomeno che ha avuto una svolta irreversibile con l’incendio del monastero di Casterno che, a quanto sembra, era sotto la proprietà dei canonici di Sant'Ambrogio, da parte delle truppe di Federico I Barbarossa.

Ma sulla gallicità degli insediamenti, in effetti, sarei anche abbastanza pronto a scommetterci. Insomma, non dico che tutte le strade portassero a Milano anche due secoli prima di Cristo, però il fiume azzurro è pur sempre una via di comunicazione di un certo livello.

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Bhrghowidhon:

Il significato di "fortezza contrapposta" è, per quel che mi risulta, un'invenzione di Dante Olivieri basata sulla coincidenza che Robecco d'Oglio si chiami anche Rebècch, donde la costruzione di un - non altrimenti documentato, che mi consti - lombardo *rebècch confrontato con l'esistente verbo rebeccà il cui significato evidentemente è inconcilibaile così com'è, per cui si estende da "rimbeccare" a "contrario" e vi si aggiunge un castello e il gioco è fatto. È tuttavia sufficiente la costante /o/ di Ro- per scartare quest'etimologia (che, se anche fosse vera, giustificherebbe appunto Rebècch e non Robècch: l'esistenza di Rebècch esclude che il compresente Robècch possa derivare dallo stesso etimo, sennò invece che "nove" si potrebbe dire "neve" come in una sorta di apofonia indoeuropea...).

Che Casterno sia Castrum Externum è una deliziosa pseudologia umanistica, resa impossibile dall'attestazione <Casterno> del 1045 (sarebbe stato *Castresterno o meglio ancora *Castellesterno). Il trasferimento di popolazione non interferisce con l'etimo, perché il territorio è denominato persino quando è inabitabile (un caso clamoroso è la Malpensa, che pure in quanto etimo neolatino è relativamente recente, ma ovviamente preesisteva alla costruzione dell'aeroporto...).

Per le date, due secoli prima di Cristo tutte le strade portavano davvero a Milano; qui la cronologia è al più tardi quarto millennio avanti Cristo e la proposta è di retrodatare a 45.000 anni fa.

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Generalissimus:

Per quanto mi riguarda non ci sono studi "seri" riguardo alle origini della città. Secondo l'ipotesi più antica si parla di un accampamento militare romano che si è espanso pian piano fino a diventare una città (infatti di recente sono stati trovati resti di un castrum in una cantina) e il nome della città deriverebbe da un fantomatico tempio di Marte. Le prove però parlano chiaro: la zona era abitata stabilmente dagli Osci prima ancora che dai Romani.

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Paolo Maltagliati:

A questo punto la mia domanda è: se tu in cinque minuti hai smontato una tesi che si ripete da almeno cinquant’anni se non di più, perché mai gira ancora ed è accreditata tanto da essere scritta su tutti i testi di storia locale?

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Bhrghowidhon:

La toponomastica è una disciplina al contempo diffusa e difficile: proposte toponomastiche dilettantesche si tramandano e si moltiplicano da secoli, mentre i repertorî fatti su base metodologicamente più rigorosa e fattualmente più informata sono rari e di ardua reperibilità. In Italia ne esiste uno solo (e meno male che c'è! Gloria e Lode agli Autori) per l'intero territorio dello Stato; per la Lombardia si basa pressoché interamente sul repertorio regionale di Dante Olivieri, del 1931, ripubblicato con aggiunte nel 1961 e sul quale è di fatto basato (con l'inserimento di commenti personali, non linguistici, dell'Autore) anche l'unico repertorio provinciale (Boselli) nonché il recentissimo nuovo repertorio regionale (del Centro di Studî Linguistici di Busto Arsizio). Lo stato della toponomastica lombarda è dunque quello del 1931, a sua volta riflesso della Scuola Dialettologica Italiana (e della Svizzera Italiana) del Primo Novecento, della quale era esponente principale Carlo Salvioni, fervente irredentista (benché cittadino elvetico) al punto da mandare volontarî e perdere nella Prima Guerra Mondiale due figli.

E' dunque facile capire come sia stato composto il Dizionario di Toponomastica Lombarda del 1931: oltre al fatto che i 'dialetti' lombardi vi sono considerati - secondo uno schema geografico-politico (tuttora maggioritario) e non linguistico - come varietà italoromanze (anziché romanze occidentali, ma questo in fondo è un dettaglio quasi solo terminologico rispetto agli altri problemi), l'Autore dichiara esplicitamente nell'Introduzione che, quando di un toponimo è possibile un'etimologia neolatina o latina, essa va preferita ā priōrī a qualsiasi altra ipotesi. Tale metodo è coerentemente applicato nel Dizionario e spiega anche la mancata preoccupazione, da parte non solo dell'Autore, ma di tutti i suoi Colleghi, precedenti contemporanei e successivi, di anche solo conoscere l'esistenza di repertorî lessicali, onomastici ed etimologici celtici (ne viene citato solo uno, in modo molto saltuario e per questioni marginali). Con questa impostazione, non solo le etimologie latine o neolatine possibili vengono privilegiate in modo esclusivo, ma anche estese a casi dove non sarebbero, a rigore, possibili, ma appaiono come le uniche ipotesi disponibili (non essendo neppure tentata un'indagine in campo celtologico). Da ciò consegue che l'etimologia di Rebecch - possibile, benché ipotetica - viene estesa a Robecch in mancanza di meglio; per Casterno, invece, l'attestazione dell'XI. secolo rende impossibile in ogni caso il ricorso alla ricostruzione Castrum Externum, quindi si passa al Piano B: se non c'è un'etimologia latina o neolatina, si passa a ricostruire un nome personale etrusco, nel caso *Casterna, ricavato dal gentilizio latino Castrinius sulla base dell'analogo rapporto "etrusco *Caterna : latino Catrinius" ipotizzato dal suo Collega Silvio Pieri.

Ciò avveniva entro il 1931. La ripubblicazione nel 1961, la confluenza nel repertorio provinciale di Boselli, in quello 'statale' e in quello regionale lombardo più recente hanno conferito alle opinioni di Olivieri e della sua Scuola di appartenenza un'affidabilità tale da renderli patrimonio acquisito e indiscutibile. L'Autore del repertorio provinciale era infatti poi geografo e non un linguista, quelli del repertorio regionale sono cultori di letteratura dialettale e quindi non sfiorati da alcun dubbio di fronte agli scritti di un dialettologo, mentre gli Autori del repertorio statale, in particolare l'Autrice della maggior parte del volume, inclusi i lemmi lombardi, è un'illustre dialettologa veneta e friulana, che quindi, se da un lato non poteva permettersi (per le migliaia di toponimi che doveva trattare) di rivedere le singole etimologie che trovava in opere di suoi predecessori dialettologi, dall'altro anche in caso di revisione probabilmente le avrebbe accettate lo stesso perché la Dialettologia Italiana attuale, centrata appunto sulla Scuola Padovana, ha ereditato l'impostazione della Scuola di un secolo fa, soprattutto in Toponomastica, perché di fatto nel Veneto (non a caso lo stesso Olivieri era specialista di Toponomastica Veneta) quel metodo resta il migliore, o perché davvero nella Rēgiō X. Venetia et Histria lo strato latino ha sommerso quello prelatino oppure - come inclinerei a credere - perché il venetico prelatino, la cui somiglianza al latino è oggi nozione acquisita, gli era sufficientemente simile da rendere i toponimi venetici (e soprattutto i loro esiti romanzi) indistinguibili dai corrispondenti latini. Poiché anche in altre Regioni si ha una situazione analoga, o perché davvero la Colonizzazione o almeno la Centuriazione latina c'è stata (come nel Piemonte nel Canavese e nelle pianure a Sud del Po, nella stessa Lombardia in Provincia di Cremona e nelle parti meridionali di quelle di Milano, Pavia, Lodi, Bergamo e Brescia e in quella centrale della Provincia di Mantova, in tutta l'Emilia tra il Po e le pendici degli Appennini, nelle Pianure del Friuli e della Romagna, nelle Marche, parzialmente nelle fasce più popolate della Valle dell'Arno e in Toscana Sudoccidentale, inoltre nelle aree appenniniche tra Marche Umbria Abruzzo e Lazio, in Campania e Puglia Settentrionali, ancora intorno a Brindisi e Taranto, nella Basilicata Meridionale e in Calabria Nordorientale e Centromeridionale) oppure perché - come in Veneto - le lingue prelatine erano geneticamente abbastanza vicine (certo più che le celtiche) al latino (così era nel resto dell'Umbria, Abruzzo, Molise, Basilicata e Calabria interna) e in altre la toponomastica alloglotta si riconosce distintamente (in quanto greca: Campania costiera, Salento, Calabria, Sicilia) con la sola cultura classica liceale, le regioni in cui si ammette una toponomastica non latina né greca sono rimaste solo Sardegna, Toscana e Trentino-Alto Adige (con l'aggiunta delle Valli Slave del Friuli-Venezia Giulia), mentre in Liguria, Emilia Appenninica, Piemonte e Lombardia pedemontani e montani, Valle d'Aosta, Veneto e Friuli Alpini la questione viene ignorata e gli stessi esponenti di Partiti Localisti ricorrono, in assenza di cultura glottologica, alle etimologie neolatine valorizzate dalla Romanistica delle epoche del Nazionalismo e del Fascismo, perché fanno riferimento al dialetto: la Celtomania della Lega Nord, ad esempio, è in realtà Dialettomania, semplicemente il dialetto stesso viene chiamato celtico (per metonimia dal sostrato) in opposizione al neolatino peninsulare (italoromanzo), senza tuttavia alcuna conoscenza - né preoccupazione di averla - delle lingue veramente celtiche, né di quelle tuttora esistenti e paradossalmente meno ancora di quelle stesse di sostrato, cosicché oggi l'Intelligencija Leghista sostiene etimologie latine e neolatine (chiamandole celtiche) tanto quanto i suoi avversarî Unionisti /Centralisti (che le chiamano, con altrettanta imprecisione, "italiane")...

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Diamo adesso la parola ad Alessio Mammarella, che torna al nocciolo del discorso:

Secondo la mia personalissima interpretazione (è un po' drastica, ne sono consapevole) il cosiddetto "Patrimonio di San Pietro" era una tangente. Una tangente pagata alla chiesa romana da Carlo Magno in cambio della "legittimazione divina" a governare i territori che erano stati dell'Impero Romano. Il Papa che accettò questo scambio commise un triplice illecito:

1) investiva un sovrano terreno di un "mandato divino" non su richiesta del Signore ma per calcolo politico (una sorta di bestemmia);
2) investiva un sovrano barbarico dell'eredità politica dell'Impero Romano, senza aver alcun potere per farlo (la chiesa non era una istituzione imperiale);
3) scambiava questa duplice investitura per terre e ricchezze in palese contraddizione con la povertà evangelica (e ponendo le premesse per secoli di corruzione, intrighi e crimini di ogni tipo).

Credo quindi che la fine dello Stato Pontificio sia stata giusta e anzi ritengo che sarebbe dovuta avvenire molto prima (così come anche la fine del Sacro Romano Impero, i cui attributi di "sacro" e "romano" erano totalmente abusivi, sarebbe dovuta avvenire molto prima).

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Federico Sangalli non può esimersi dal dire la sua:

Secondo alcuni, lo Stato Pontificio non era una monarchia assoluta, bensì addirittura una corona di diritto divino. Ebbene, devo spezzare una lancia in favore dell’idea del mandato divino.

Era lo Stato Pontificio una “monarchia” (vedasi dopo) di diritto divino? Sì, senza dubbio, come lo è ancora oggi tecnicamente Città del Vaticano. Il Papa è sovrano assoluto del suo stato e lo è sulla base di un’investitura religiosa, questo mi pare palese e innegabile. Dopodiché sono contrario all’uso del termine monarchia: è vero, etimologicamente potrebbe essere accettato (il Papa è una carica monocratica ergo il potere è “retto da uno solo”), ma se così fosse ogni sistema dalle repubbliche presidenziali alle dittature dovrebbero ricadere in questa categoria. È ovvio che il significato di monarchia si è legato a un istituto politico dove una famiglia regna su un territorio tramite la successione in linea di sangue. Al contrario il Papa è eletto. È vero che sono esistite (rare) monarchie elettive (in passato la Polonia-Lituania, oggi la Cambogia) ma A) i candidati eleggibili dovevano comunque far parte delle “famiglie reali”, e B) gli elettori comprendevano i nobili/notabili del paese. All’opposto può essere eletto Papa virtualmente qualunque religioso cattolico (e ufficiosamente anche un laico se viene ordinato prima di accettare l’investitura papale) e gli elettori sono una particolare categoria di sacerdoti (i Cardinali). Per queste ragioni lo Stato Pontificio prima e Città del Vaticano poi possono classificate come teocrazie, alla pari del Tibet del Dalai Lama.

Vale comunque la pena segnalare che stiamo semplicemente discutendo di categorie e che non figura da nessuna parte il peccato di “sbagliare in buona fede a classificare storicamente uno stato”.

Non condivido l’interpretazione di Alessio per una serie di ragioni:

- il Papa governava già i territori in questione tant’è che fu la loro invasione da parte dei Longobardi a causare l’intervento di Carlo Magno. Tutti gli sforzi per imbastire il falso storico della Donazione di Costantino dimostrano come le rivendicazioni di legittimità del Papato precedessero l’intervento franco.
- l’investitura fu corrisposta dopo la sconfitta dei Longobardi e dopo l’intervento di Carlo Magno a favore di Papa Leone quando i suoi nemici tentarono di processarlo. Può non piacere (a me le monarchie non piacciono per definizione) ma una ricompensa è cosa diversa da una tangente.
- le fonti storiche sembrano suggerire che l’idea di rispolverare l’impero sia stata di Leone piuttosto che del prode ma analfabeta Carlo. Cade così l’idea che il titolo imperiale sia stato richiesto da Carlo come contropartita per la nascita dello Stato Pontificio.
- i Re Franchi già governavano per diritto divino dai tempi di Childerico, quando il Papa lo aveva unto e consacrato sovrano dopo la sua conversione, scena che diede vita al rituale poi centrale nel Medioevo. Allora il Papa non ottenne alcuna contropartita mentre nel caso di Carlo si trattò di una conferma di diritti già in suo possesso, eventualmente estesi a terre che però lui aveva già conquistato.

Dopodiché concordo sul cattivo gusto del “romano” ma il rivendicare glorie passate per legittimarsi è un passatempo vecchio come il mondo, da Alessandro Magno “Re dei Re” alla Repubblica del Ghana, così battezzata in onore di un antico regno africano che mai regnò sopra l’odierno Ghana.

Differisco anche sul tema dell’opportunità dello Stato Pontificio: anche se la povertà evangelica e l’apoliticità sono virtù da perseguire, il mio favore per esse non mi impedisce di vedere come il possedere un proprio stato abbia permesso al Papato di mantenere e difendere la propria autonomia sul lungo periodo, nonostante sia stato più volte in rischio di perderla. La parabola dei Califfi nel mondo musulmano sta lì a dimostrarlo: privati del proprio territorio, si ridussero a fare i cappellani del signore della guerra che di volta in volta controllava Baghdad finché Tamerlano non ha giustiziato l’ultimo e posto fine all’istituzione.

Naturalmente sono ben contento che quando i tempi e la società sono stati maturi (come dice Barbero, ricordiamo che nel Medioevo le strutture sociali imperniate sul Cristianesimo erano davvero sentite) lo Stato Pontificio sia tramontato e che tale soppressione abbia comunque trovato, con Città del Vaticano, un modo per lasciare al Papa la sua autonomia.

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Passiamo la palla a Perchè No?:

Questa discussione può condurre ad un'altra ucronia: l'abolizione anticipata dello Stato Pontificio. Il periodo che viene immediatamente in mente sarebbe la Rivoluzione Francese e il Primo Impero, quando lo Stato Pontificio ha di fatto smesso di esistere brevemente nel 1798 e poi più a lungo nel 1809. Senza immaginare la sopravvivenza dell'impero napoleonico (Napoleone pensava vagamente di insediare definitivamente il papa in Francia), si potrebbe ipotizzare l'assenza di restaurazione (o parziale) nel 1815?
Avete delle idee per altri periodi?

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Federico riprende:

Beh, ovviamente c'è anche la Cattività Avignonese e più in generale il periodo degli scismi. Si può anche immaginare una vittoria longobarda su Carlo Magno e che lo Stato Pontificio non nasca del tutto.

Ma voglio proporre anche un altro filone ucronico: alla morte di Pio IX nel 1878 ci furono discussioni tra i Cardinali se tenere o meno il successivo Conclave in Italia, giudicata governata da uno stato illegittimo e nemico della Chiesa a seguito dell'annessione dello Stato Pontificio. Se la proposta fosse andata in porto si sarebbe trattato del primo conclave non in Italia dai tempi della Cattività Avignonese (per la precisione, dal conclave del 1370). La sede alternativa proposta era Malta, ma alla fine la cosa non ebbe seguito per una serie di ovvie ragioni (tenere il conclave fuori dall'Italia ma poi risiedere comunque a Roma pareva una contraddizione; nonostante tutto la Chiesa voleva un accordo, come poi avvenne, con le autorità italiane; sarebbe stato umiliante abbandonare una nazione cattolica come l'Italia per rifugiarsi a Malta, cattolica sì ma possedimento della protestante Gran Bretagna; il campanilismo italiano avrebbe potuto innescare reazioni inconsulte negli anticlericali italiani; si sarebbe posto il problema di dove tenere il conclave successivo se alla morte del nuovo pontefice la Questione Romana non fosse stata ancora risolta, come in effetti avvenne).

A questo punto, voglio farvi una proposta indecente. Fra tutte le tribù indiane, quella dei Coeur d’Alène si distinse per la sua devozione alla Chiesa. Nel 1871, venuti a sapere che il Governo italiano aveva occupato Roma, sottraendola al Papa, vollero inviare a Pio IX l’assicurazione del loro filiale affetto, e offrirono i loro soldati per difendere il Santo Padre (che rispose ringraziandoli con calore). Ovviamente questi avrebbero potuto far ben poco per salvare lo Stato della Chiesa dall'avanzata dei bersaglieri. Immaginiamo però che, alla morte del Mastai Ferretti, i Cardinali si ricordino della lettera e, commossi, decidano di tenere il conclave tra i suddetti nativi, ritenendo che "l'ultima delle tribù è superiore al primo degli imperi se il suo cuore è puro e la sua fede è con Cristo". L'impresario navale Joseph LaBarge, amico personale di Padre De Smet, potrebbe offrire le proprie navi per consentire ai cardinali di radunarsi nella riserva dei Coeur d’Alène, nell'Idaho settentrionale. Il conclave potrebbe tenersi proprio nella cittadina che i nativi intitolarono al padre gesuita, De Smet. I capi locali sarebbero ben felici di accogliere i membri del conclave, non solo per ragioni religiose ma anche per mettere pressione al governo statunitense che, dopo aver firmato un accordo sui diritti e i confini della riserva nel 1873, non lo aveva ancora ratificato.

Conseguenze:

Tra il 1878 e il 1928 il Papa risiede formalmente all'estero. Passerà gran parte del suo tempo a Roma, nei suoi appartamenti in San Pietro, anche perchè l'Idaho settentrionale non è esattamente un posto ospitale durante l'inverno, ma trascorrerà sempre almeno una parte dei mesi estivi tra i Coeur d’Alène, che si guadagneranno il titolo di "prediletti della Chiesa". Con la firma dei Patti Lateranensi e la nascita di Città del Vaticano il Papa tornerà stabilmente a Roma. Ancora oggi però il Pontefice affiancherà alle sue Guardie Svizzere una guardia scelta di nativi devoti alla Chiesa.

I Coeur d’Alène ne beneficieranno: i numerosi fondi della Chiesa verranno investiti nella regione per creare un ambiente più attrezzato a ospitare un Pontefice in esilio, con un conseguente sviluppo sociale e demografico. La presenza del Papa farà anche da deterrente alle angherie del governo federale, che anzi dovrà ratificare il trattato con i nativi e in seguito sottoscriverne un altro in cui accorda praticamente un'autonomia pressoché totale alla riserva. Col tempo la Riserva Coeur d’Alène diventerà come un microstato, a stragrande maggioranza cattolica e prevalentemente nativo pur con una forte componente mista. I pellegrinaggi e il turismo religioso e naturalistico sostituiranno i casinò e il gioco d'azzardo. A De Smet sorgerà una cattedrale con speciale diritto di extra-territorialità per il Pontefice. In questa TL Wovoka si converte al cattolicesimo e diventa il primo Cardinale nativo, convertendo anche gli altri popoli indigeni al magistero della Chiesa.

Si creerà una narrativa incentrata sul rapporto speciale tra nativi e Chiesa cattolica. Con la supervisione diretta del Papa e la nascita di un sistema di istruzione tra i Coeur d’Alène, gli abusi commessi in certe strutture educative riguardanti gli indigeni (come quelli che recentemente hanno destato scandalo in Canada, seppur con molte inesattezze storiche) non verranno commessi e anzi il Papa diventerà il protettore dei nativi nelle Americhe. Si sottolineerà il maggior peso dei Conquistadores e dei coloni inglesi nei massacri dei nativi e invece il ruolo dei religiosi cattolici, fin da Bartolomeo de Las Casas, nel proteggere i diritti dei locali. Il film Mission, nel 1986, diventerà il manifesto di questa nuova visione storica e renderà la Chiesa Cattolica più apprezzata negli ambienti extra-europei.

All'opposto la presenza del Papa su suolo americano rinforzerebbe il virulento sentimento anti-cattolico statunitense, sia quello su base razziale sia quello ispirato dalla massoneria. Basti pensare che in questo scenario il Papa verrebbe eletto in un paese che rifiutava di avere relazioni diplomatiche con la Santa Sede: tra il 1797 e il 1867 Washington aveva mantenuto i canali aperti ma si era sempre rifiutata di nominare un ambasciatore vero e proprio, limitandosi a un "rappresentante". Nel 1867 poi il Congresso aveva proibito formalmente ogni rapporto col Vaticano sotto l'accusa che il Papa e i cattolici avevano preso parte all'assassinio di Lincoln (sì, lo so, suona ridicolo e lo è ancor di più se si pensa che la "pistola fumante" della congiura era che una delle cospiratrici era cattolica). Nella nostra storia questa legge sarebbe rimasta in vigore fino al 1983(!), interrotta solo brevemente da visite di "inviati personali del Presidente" (dunque non diplomatici nel senso stretto del termine) e solo a partire dal 1933. Con Wovoka cattolico, il massacro di Wounded Knee avverrà ai danni di poveri pellegrini cattolici invece che del movimento della Danza dello Spirito. Il Papa interverrà anche per condannare le persecuzioni contro gli italiani e gli irlandesi, in primis il linciaggio di New Orleans nel 1891. Solo negli Anni Venti, con la firma dei Patti Lateranensi e la concessione della cittadinanza ai nativi, il governo federale firmerà un concordato con la Chiesa, dopo anni di intermediazioni affidate ai capi nativi della riserva e all'ufficio per gli affari indiani. In questa TL è probabile che il Partito Democratico rimanga più vicino alle posizioni dei cattolici che in HL rappresentò, rimanendo quindi per lo meno neutrale sull'aborto (che forse potrebbe rimanere com'era prima di Roe vs Wade, cioè non vietato di per sé ma in carico agli stati) e probabilmente anche più vicino alle sue origini pro-sindacati e pro-aree rurali (le posizioni rappresentante dall'ultimo leader di questa corrente, il Governatore della Pennsylvania Bob Casey, prima di perdere la sua lotta per il controllo del partito a favore di Bill Clinton). Il Partito Repubblicano al contrario si identificherà più rapidamente con le posizioni del movimento evangelico. Oggi l'anti-cattolicesimo sarebbe ancora una forza potente, alimentata da teorie cospirazioniste che vedono nel Papa il grande burattinaio di una sostituzione etnica degli americani anglosassoni protestanti (prima con gli italiani e gli irlandesi, poi con gli ispanici), e ogni eventuale Presidente cattolico e ogni Papa in visita dovrà guardarsi le spalle da eventuali esaltati evangelico-calvinisti.

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Basileus TFT invece propone:

Ho un'alternativa. L'alleanza bizantino-pontificia di Manuele Commento preoccupa i Normanni più di quanto fece in realtà.
Stretti su due fronti, i Normanni scendono a patti con il nemico peggiore, ossia Manuele, concedendogli il controllo diretto della Puglia e la sudditanza formale (e solo formale) del regno di Sicilia, oltre che la possibilità di mandare prelati nominati da Costantinopoli.
In cambio, Manuele abbandona il Papa e supporta le pretese normanne contro di lui.
Privato dei suoi alleati, il minuscolo esercito pontificio viene massacrato e i Normanni occupa Roma, nominando Papa Anacleto dopo un conclave di vescovi filonormanni.
I nuovi pontefici curano gli interessi dei padroni, perciò la quarta crociata viene diretta contro Tunisi, che è riconquistata e nel giro di un centinaio di anni I Normanni diventano anche re di Italia senza però controllarne il nord.

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E ora, la parola al grande Bhrghowidhon:

È un onore intervenire dopo il più caro amico, Basileus, e a (pur modesto) supporto di un altro grande amico, Federico. Inevitabilmente anche stavolta una polemica scorre neanche troppo sotto traccia, ma non sono certo responsabile di averla iniziata e anzi spero di gettare acqua sul fuoco.

Anzitutto sulla Monarchia di Diritto Divino. Non si sono finora registrati equivoci, ma non vorrei che ne sorgessero. Monarchia di Diritto Divino significa che il Sovrano trae la propria legittimità da un’Investitura voluta, in ultima analisi, da (un) Dio. Metto fra parentesi l’articolo intedeterminativo perché la nozione è largamente precristiana e preisraelitica e riguarda il fondamento giuridico sacro della Regalità (in avestico xʷărᵊnăh ‘gloria’, dall’indoeuropeo *sh₂u̯ĕl-nŏ-s, diversamente da quanto si trova scritto in giro); il celebre passo paolino (Rm XIII 1) è semplicemente la conferma che il Cristianesimo – almeno da Saulo di Tarso in poi, ma con ogni verosimiglianza fin dalle origini – non rappresentava in ciò una rivoluzione rispetto alla comune opinione pressoché ecumenica dell’epoca e di quelle precedenti). Lo Stato Pontificio era quindi una Monarchia di Diritto Divino come le altre del suo genere. Non bisogna confondere questa nozione, del caso dello Stato della Chiesa, con quella di Diritto Divino Positivo, che è invece l’origine – in pratica – scritturale dei Dogmi o di punti fermi della Dottrina Cattolica come per esempio il Primato del Vescovo di Roma o l’Indissolubilità del Sacramento e del Vincolo del Matrimonio: un Ateo o un Musulmano o qualsiasi non Cattolico possono tranquillamente accettare questa nozione nei termini appunto del fondamento giuridico su un testo concreto, nel caso specifico il Nuovo o il Vecchio Testamento, mentre di fronte a quella di Monarchia di Diritto Divino non devono porsi come di fronte a un’idiosincrasia del Cattolicesimo, bensì a una tradizione letteralmente ancestrale comune a larga parte dell’Umanità e di persistenza variamente prolungata a seconda dei luoghi e dei popoli.

Veniamo all’origine dello Stato Pontificio, di fatto e per come veniva intesa dai diretti Interessati. I fatti sono stranoti: col trasferimento delle Capitali (degli Augusti) a Nicomedia (poi a Bisanzio) e Milano (poi a Ravenna), Roma rimane comunque nell’Impero Romano, chiamato Rēs Pūblĭcă (senza aggettivi etnici di specificazione) e così pure con la Riunificazione fra Impero d’Oriente e d’Occidente avvenuta di nome nel 476 e di fatto con la Guerra Greco-Gotica del 535-553; Roma è Sede di un Duca, fino al 772 nominato dall’Imperatore, da allora (dapprima anche, poi solo) dal Papa (dal 772 al 795 coesistono due Duchi di Roma, Teodoro di nomina imperiale e Leonino di nomina pontificia), dal momento che l’organizzazione effettiva della comunità politica viene esercitata dal Vescovo dell’Urbe (tale comunità si chiamava Rēs Pūblĭcă Rōmānă, nome originario dello Stato Pontificio e significativamente ripreso dalla Repubblica Romana sia giacobina sia mazziniana).

Il primo riconoscimento internazionale di questa situazione avviene nel 728 con la Donazione di Sutri da parte del Re Liutprando (Sovrano di un altro Stato, che cedeva proprie conquiste agli Apostoli Pietro e Paolo, ossia all’Amministratore del loro Patrimonio, il Papa). L’origine dello Stato Pontificio è quindi la secessione, prima di fatto poi di diritto (quest‘ultimo a sua volta solo gradualmente riconosciuto), del Ducato di Roma (che nel frattempo coincideva con la Rēs Pūblĭcă Rōmānă) dall’Impero Romano Bizantino (Rēs Pūblĭcă per antonomasia).

La Promessa Carisiaca o di Quierzy del 14. aprile 754 (una delle classiche date chieste all’Esame di Storia Medioevale; la disputa sulla falsità riguarda il documento scritto, mentre il fatto non è contestato) è un accordo diplomatico paragonabile a quello di Plombières e gli attori sono il Re dei Franchi e un Rappresentante del Duca di fatto seceduto dall’Impero Bizantino e che rivendica territorî già bizantini militarmente conquistati da Astolfo (accade che tale Rappresentante del Duca sia il suo Vescovo [che, al tempo stesso, di fronte al Re Longobardo era contemporaneamente rappresentante dell’Imperatore!] e questo fornisce una cornice di considerevole spessore culturale alla vicenda, ma non ne altera la sostanza); l’effettiva Donazione è invece del 756 e corrisponde, per rimanere nel paragone, alla Pace di Zurigo, perché Pipino, sconfitto Astolfo, gli impone di restituire i soli territorî bizantini da lui (Astolfo) conquistati – non quelli conquistati dai suoi predecessori – e manda l’Abate Fulrado a prendere in consegna ciascuna città per portarne infine le Chiavi a Roma.

La Donazione di Pipino è dunque una cessione territoriale da parte di un Regno (quello dei Franchi) di ingradimenti territoriali avvenuti a spese di un altro Regno (quello dei Longobardi) che a sua volte le aveva militarmente conquistate allo Stato (l’Impero Romano) di cui il Beneficiario ultimo (il Ducato Romano) era nominalmente parte. In sintesi, è una restituzione a Roma di territorî dell’Impero Romano grazie a una conquista militare operata da un altro Re, che con ciò ricambia un’investitura, conferma un’alleanza &c.; si tratta comunque delle Legazioni e nello specifico solo di una parte di queste; le altre verranno aggiunte da Desiderio (Re dei Longobardi!) e da Carlomagno (in quanto Re sia dei Franchi sia dei Longobardi).

L’incoronazione imperiale di Carlomagno è un’iniziativa soprattutto pontificia che riguarda un problema di successione all’interno dell’Impero Romano; il primo Re dei Franchi (Orientali) che si è chiamato Romano (Rōmānōrŭm Ĭmpĕrātŏr Ăugŭstŭs) è stato Ottone II., nel 982, in vista – come quasi tutto ciò che ha fatto – della successione del figlio Ottone III., di fatto Erede sia dei Re dei Franchi (Orientali) sia di una Principessa Porfirogenita, e che ha posto la propria residenza a Roma (per cui il titolo non era affatto abusivo; anche considerarlo di cattivo gusto è del tutto soggettivo, come a me sembra... francamente razzista chiamare Barbari i Franchi e i Longobardi dell’800). Il richiamo universalistico attraverso il nome Romano richiama a sua volta la questione di Monarchia, che, ricordo, non significa solo o tanto Governo di una sola Persona, quanto Stato Unico Mondiale (l’omonimo trattato di Dante ha esattamente questo significato, spesso purtroppo frainteso o trascurato).

Nel IX. secolo si pone la questione se queste Donazioni siano Feudi e la stessa domanda coinvolge, per la prima volta, anche Roma stessa. Come tutti sanno, è rimasta controversa fino alla Pace di Venezia del 24. luglio-1. agosto 1177 (da allora in poi il Ducato Romano è divenuto incontestabilmente uno Stato Sovrano; questo è l’inizio di diritto dello Stato Pontificio come tale). Invece la Sovranità suprema sulle Legazioni rimarrà contesa fra Papato e Regno Longobardo fino al 24. giugno 1800. Solo il Congresso di Vienna sancirà definitivamente che l’intero Stato Pontificio fosse Sovrano nei (già allora ormai millenarî) confini in cui lo conosciamo.

L’attributo di Sacro ha invece una storia poco nota, da cui emerge che chi lo considera abusivo si colloca per definizione dalla parte pontificia (eh sì...). Attestato per la prima volta nel 1157, nel corso del processo di Santificazione di Carlomagno (1165), era inteso a sottolineare la parità di livello dell’Impero rispetto al Papato (ossia che l’Imperatore non era sottomesso al Papa) e il primo impiego ufficiale deve attendere gli ultimi anni di regno dello stesso Federico I. Barbarossa (1184); diventa ufficiale, in latino (Săcrŭm Rōmānŭm Ĭmpĕrĭŭm), solo nel 1254 – paradossalmente all’inizio del Grande Interregno (poi con Arrigo VII. e Ludovico il Bavaro) – e in tedesco un secolo dopo, con Carlo IV. di Lussemburgo. Come l’Impero Bizantino e poi l’Impero Ottomano non potevano accettare che ci fosse un altro Impero Romano, così il Papato non poteva accettare che ci fosse un altro Stato Sovrano al suo livello (“Sacro”), dunque chi considera abusivo il nome Sacro Romano Impero è papista per quanto riguarda Sacro e bizantino per quanto riguarda Romano, ma, siccome dal punto di vista di Bisanzio lo stesso Stato Pontificio era abusivo, dal punto di vista giuridico considerare abusivo sia Sacro sia Romano è contraddittorio. (Evidentemente questa parte è indirizzata ad Alessio, che in effetti, più che drastico, è stato fuorviato da un’interpretazione anacronistica.)

Dal XV. secolo si aggiunge, nell’ufficialità, la specificazione Nātĭōnĭs Gĕrmānĭcăe (poco dopo con la precisazione ĕt Ītălĭcăe), in tedesco Teutscher (und Welscher) Nation, che – si badi – significa ‘della Nazione Tedesco-Gallesca’ (il singolare, sia in latino sia in tedesco, è inequivocabile). Per capire che cosa si intenda bisogna metterlo a confronto col nome del suo Teilreich (metà Impero), il Regno Longobardo della Nazione Gallesca (Langobardisches Reich Welscher Nation), ossia l’Italia Imperiale: come all’interno della Nazione Gallesca (Welsche Nation), che è quella romanza occidentale (oggi – in Europa – Portogallo, Spagna, Francia, Vallonia, Svizzera romanza, Norditalia), il Regno Longobardo è solo uno dei varî Regni di cui è composta la Nazione, così all’interno della Nazione Germanica (che nel Medioevo andava dalle Isole Britanniche alla Russia comprese) il Regno dei Franchi Orientali o dei Teutoni è solo uno dei varî Regi di cui è composta la Nazione e, siccome il Regno Longobardo ha come Sovrano la persona giuridica del Regno di Germania o dei Teutoni, il Sacro Romano Impero è della Nazione Tedesco-Gallesca.

Anche quest’aggiunta si richiama all’interpretazione di Alessio, per mostrare che:

1) ovviamente è naturale che un ucronista possa desiderare la fine anticipata di uno Stato e la consideri giusta e altrettanto atteso è che un ucronista informato della Storia sappia che, nel caso dello Sacro Romano Impero della Nazione Tedesco-Gallesca (che dunque a questo punto siamo in grado di comprendere e tradurre in linguaggio moderno come ‘Stato Sovrano Nazionale Italo-Tedesco con Roma come Capitale simbolica’; se siamo storici, cerchiamo di esserlo fino in fondo), ciò deriva o da un rigetto della nozione di Nazione (che però non credo sia il caso di Alessio) oppure da una precisa tassonomia delle Nazioni che rifiuta di riconoscerne una Tedesco-Gallesca (riconosciuta invece nel Medioevo e nell’Età Moderna) per dividerla invece in due o più, secondo una visione del Mondo consolidatasi nell’Otto-Novecento. Non c’è niente di male a essere figli del proprio tempo (o dell’Età dei Nazionalismi), non c’è niente di male a prenderne coscienza e non c’è niente di male a farlo rilevare.

2) Come visto prima, chi storicamente si è più adoperato per la fine dello Stato Pontificio è stato proprio l’Impero (a conferma, la seconda soppressione del Papato, ricordata da Perchè No?, è stata operata da Napoleone in quanto Successore di Carlomagno!) e le guerre condotte dallo Stato Pontificio sono state nella maggioranza dei casi contro l’Impero.

Così siamo arrivati al filone ucronico de «l’abolizione anticipata dello Stato Pontificio». Evidentemente, dal punto di vista del Sacro Romano Impero le occasioni e i momenti sono stati numerosi (più che per chiunque altro):

- gli Ottoni a Roma;
- tutta la Lotta per le Investiture, quasi con ogni Imperatore, a prescindere dalla Dinastia (e con Enrico IV. si salderebbe alla perfezione – non esagero – con l’interessantissima ucronia normanna di Basileus TFT, di cui non sto a precisare le conseguenze in epoca sveva);
- gli Svevi (in particolare Federico I. e Federico II.);
- pressoché realizzata con Ludovico il Bavaro;
- il 1527 e le tante proposte di soppressione del Papato venute dai Consiglieri di Carlo V.;
- molto vicina nel 1799-1800 (fra le due napoleoniche!), a opera dell’Austria (che nell’occasione ha riannesso le Legazioni all’Impero e mirava a quella della Romagna direttamente all’Austria);
- in teoria il Congresso di Vienna (ne avevamo a lungo discusso altrove).

Come penso che sia ormai chiaro anche ad Alessio, chi – diversamente da lui – ritiene il Sacro Romano Impero (e poi gli Asburgo) l’anticipazione dell’Unione Europea si fonda sulla continuità dell’Impero con i Longobardi oltre che con i Franchi (Carlomagno era e agiva... realmente come Re di entrambi), dunque sull’opportunità che Roma – e in ogni caso le parti centro-settentrionali della Penisola Appenninica – facesse parte da più tempo possibile della compagine politica europea centro-occidentale, il cui auspicato destino sarebbe stato la riunificazione (a livello dinastico realmente avvenuta!) con l’omologa orientale (il che avrebbe riportato Roma al punto di “partenza” di tutta questa nostra discussione, la sua condizione dopo Diocleziano e prima di Teodosio, replicatasi per una sola volta nel quindicennio 553-568).

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Alessio ribatte:

La mia opposizione al concetto di "diritto divino" va più alla radice: in base al quale potere un vescovo, quantunque successore spirituale dell'apostolo Pietro, poteva "ungere" un sovrano, come accadeva con i re dei franchi? Gli unici re che venivano unti, nella storia biblica, erano quelli della dinastia davidica: si può pensare a un parallelismo tra i sovrani franchi e quelli ebraici (all'origine poi di leggende come quelle che associano le varie tribù germaniche alle "tribù perdute" di Israele?) tuttavia l'ultimo esponente della dinastia davidica è Gesù: "Cristo" significa "unto". Ci sembra corretto che un qualsiasi re dei franchi fosse "cristo"? Nessun sovrano umano poteva considerarsi successore di Gesù... e quindi ogni episodio di consacrazione/unzione di sovrani dovremmo considerarlo blasfemo. Oltretutto, Gesù nel Vangelo pronuncia la famosa frase "il mio regno non è di questo mondo": non era Re d'Israele in senso politico e militare, ma in senso spirituale.

Per quanto riguarda Roma, l'Imperatore era, esattamente come negli stati moderni, il vertice dello Stato, non il suo "proprietario" come nella concezione medievale che è durata poi fino alla Rivoluzione Francese. Non c'è infatti nessun Imperatore Romano che sia diventato tale, per esempio, per aver sposato la figlia del suo predecessore, cosa che invece presso i germani era cosa comune (Alboino sposa Rosamunda dopo averne assassinato il padre, molto tipico). Pertanto, il fatto che un certo cavaliere/capotribù germanico abbia sposato la figlia di un Imperatore romano d'oriente/bizantino non ha alcun rilievo (analogamente non ha rilievo la pretesa dei sovrani russi sull'Impero d'Oriente, ispirata ugualmente al matrimonio tra uno zar e una principessa bizantina). Il titolo imperiale è sempre stato una carica politica: non si può ereditare, non si può vendere o comprare.

Insomma secondo me (ciò che ho scritto resta ovviamente il mio parere personale, non intendo affermarlo come tesi corretta) alcuni Papi hanno legittimato poteri politici che non avevano alcun diritto di legittimare e concesso attributi di sacralità che non avevano alcun potere di attribuire, e tutto ciò solo per ottenere la protezione militare dei potenti del momento e il diritto a riscuotere tributi e a esercitare liberamente la propria attività.

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La palla torna a Bhrghowidhon:

La successione storica è stata:

- formazione delle Religioni (fino alla Protostoria);
- sviluppo dell’Istituzione Regia;
- elaborazione di un quadro concettuale religioso per la Regalità;
- sua implementazione nell’Ebraismo;
- evoluzione del ruolo dell’Imperatore a Roma (acclamato, ma speso anche in successione dinastica);
- passaggio della Regalità germanica tardoantica dalla Democrazia militare al Protofeudalesimo (dove è cruciale la distinzione fra Allodio – che non è proprietà del Re, a parte ovviamente il suo personale Allodio – e Feudo, l’unica proprietà non personale su cui il Re ha sovranità);
- sovrapposizione della Regalità germanica alla Sovranità romana nei Regni Romano-Germanici;
- sovrapposizione della Ritualità Ebraico-Cristiana all’Istituzione Monarchica.

Quest’ultimo passaggio avviene dovunque, nel Cristianesimo. Nei Regni Romano-Germanici inizia a essere documentato presso i Visigoti nel VII. secolo (forse Sisenando nel 631, di sicuro Wamba nel 672 dall’Arcivescovo Quirico di Toledo e Flavio Paolo nel 673); a Bisanzio è discusso per il XII. secolo (Manuele I. Comneno nel 1143, Alessio III. Angelo nel 1195), sicuro per il XIII. (Teodoro I. Láskaris a Nicea nel 1208, Teodoro II. Laskaris nel 1254) e da qui fino agli Carí (”Zar”) russi.

La Regalità germanica è rimasta elettiva molto più a lungo che altrove; stranoto è il caso del Sacro Romano Impero, dove fra gli Svevi e la Bolla d’Oro l’Elettorato Attivo è andato restringendosi dall’Assemblea del Popolo in Armi ai Grandi Elettori e quello Passivo si è invece esteso dai Carolingi a tutti i Discendenti, anche in Linea Femminile, da precedenti Sovrani.

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Se volete fornirci suggerimenti o commenti, scriveteci a questo indirizzo.


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