di Lord Wilmore
Il Sessantotto italiano degenera in una vera e propria guerra civile con scontri armati, barricate e sparatorie nelle principali città. Il Partito Comunista Italiano proclama l'insurrezione generale e insedia a Firenze un governo presieduto da un triumvirato formato da Luciano Lama, Armando Cossutta e Sergio Garavini; esso proclama la nascita della Repubblica Popolare Italiana. I Soviet del Popolo immediatamente creatisi prendono il controllo di città come Bologna, Ravenna, Napoli, L'Aquila, Bari e Reggio Calabria. Vengono invece violentemente respinti dalla Città di Roma, che proclama la rinascita dopo 119 anni della gloriosa Repubblica Romana con a capo Giulio Andreotti; questi riporta in vigore sia la bandiera che la Costituzione del 1849. Intanto il governo legittimo guidato da Aldo Moro ripara a Genova e da qui a Milano, dove invoca l'aiuto degli altri paesi NATO. A sua volta però la Repubblica Popolare Italiana chiede l'aiuto dell'URSS e l'ammissione nel Patto di Varsavia; Leonid Breznev mette in guardia Lyndon Johnson dall'attaccare il governo di Firenze, o sarà la guerra nucleare. Intanto, con l'aiuto francese e britannico i Soviet sono espulsi dal Nord d'Italia, i comunisti fuggono a sud del Po mentre un forte esodo di anticomunisti ha luogo nella direzione opposta. Alla fine la situazione si stabilizza ed il nuovo confine tra i due blocchi è fissato sul Po. A sud di esso però Piacenza scaccia i Soviet e forma un governo provvisorio, mentre la Royal Navy occupa le isole dell'Arcipelago Toscano. Aldo Moro proclama a Torino la nascita della Repubblica Federale Italiana, formata da sei stati: Serenissima Repubblica di Genova (che così finalmente risorge), Repubblica di Piemonte, Repubblica di Valle d'Aosta, Stato di Milano (la nostra Lombardia), Repubblica di Piacenza (poco più dell'omonima provincia) e Repubblica dell'Arcipelago Toscano. A Venezia invece è solennemente proclamata dopo 171 anni la rinascita della Serenissima Repubblica di Venezia, che comprende i territori dei nostri Veneto, Trentino e Friuli-Venezia Giulia sino a Trieste. La Provincia di Bolzano rifiuta di aderire e dopo un plebiscito si unisce all'Austria, ricostituendo il Grande Tirolo; esodo di italofoni verso la Repubblica Federale Italiana e verso la Repubblica di Venezia. In Sicilia, che ha anch'essa respinto gli attacchi comunisti, viene restaurato il Regno di Sicilia con capitale Palermo, la corona è offerta a Carlo Maria di Borbone-Due Sicilie (nato il 16 gennaio 1938) che accetta e prende il nome di Carlo I di Borbone-Sicilia. Anche la Sardegna proclama la sua indipendenza; nasce una repubblica con capitale Cagliari, divisa in sei Giudicati (Arborea, Campidano, Sulcis, Cagliari, Gallura, Sassari), che persegue una politica di neutralità e di forte isolazionismo.
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Repubblica Federale Italiana |
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Repubblica di Venezia |
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Repubblica Popolare Italiana |
Repubblica Romana |
Repubblica Federale Italiana, Repubblica di Venezia, Repubblica Romana e Regno di Sicilia sono immediatamente ammesse nella NATO e nella CEE (che sale così a 9 stati membri), mentre la Repubblica Popolare Italiana aderisce al Patto di Varsavia e al Comecon, e come detto la Sardegna sceglie la neutralità di tipo svizzero. Il governo di Firenze instaura la dittatura del partito unico, chiamato ora Partito Comunista d'Italia, e diventa uno dei più fedeli satelliti dell'URSS (tanto che Nixon la definirà "la sedicesima delle quindici repubbliche federali dell'URSS"). A Mosca sono concesse molte basi militari nella penisola, e nel 1970 il governo di Firenze, ora presieduto da Armando Cossutta in qualità di Presidente del Soviet Supremo d'Italia, cede formalmente le Isole Tremiti all'URSS, che le annette alla RSFSR (Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa) e vi insedia non solo un'imponente base navale, ma anche lussuosissimi resort per i caporioni sovietici che vi verranno in vacanza. Anche su Ponza è insediata una base sovietica, anche se formalmente l'isola resta sotto sovranità della Rep. Pop. It. Tito si sente minacciato dall'imponente base militare sovietica delle isole Tremiti, così come dalle navi sovietiche di stanza nei porti di Ancona e Bari, e si riavvicina all'Occidente, adottando alcune misure economiche tipiche dei paesi ad economia capitalista.
Dal canto suo la Rep. Fed. It. Si trasforma in uno dei bastioni dell'Occidente contro l'avanzata sovietica. Il governo di Torino (la capitale risorgimentale assurta di nuovo al rango che le compete) dichiara tutti i cittadini della Rep. Pop. It. automaticamente anche cittadini della Rep. Fed. It., incentivandoli a fuggire "nella terra delle libertà". Comincia un'emorragia dalla Repubblica Popolare verso la Repubblica Federale, la Repubblica di Venezia e la Repubblica Romana: in vent'anni un milione di persone abbandonerà il territorio controllato da Firenze, nonostante la ferrea sorveglianza alle frontiere da parte della neocostituita Armata Rossa d'Italia. Ne consegue che la Rep. Pop. It. si spopola e si impoverisce, mentre la Rep. Fed. It. si arricchisce e diventa in breve tempo una potenza economica, puntando sul nuovo settore dell'elettronica, dei computer e del software. La moneta della Repubblica Federale, che ha ancora il nome di Lira, vale 2000 delle vecchie lire unitarie ed è una delle monete più forti del continente europeo; Milano, Torino, Genova, Alessandria, Bergamo, Brescia, Piacenza diventano grandi metropoli pulsanti di attività industriali e soprattutto di servizi, e la Borsa di Milano conosce guadagni fortissimi. Mentre la Repubblica Popolare Italiana chiude le centrali nucleari civili e ne tiene in funzione solo due militari per cercare di dotarsi dell'arma atomica, nella Repubblica Federale Italiana funzionano a pieno regime otto centrali nucleari (6 PWR e 2 BWR) che producono l'85 % del fabbisogno energetico dello stato, svincolandolo dalla dipendenza dal petrolio. Insomma, la Rep. Fed. It. si trasforma ben presto nella terza potenza economica mondiale dopo Stati Uniti d'America e Giappone, doppiando Regno Unito, Francia, Germania Ovest, Canada ed Unione Sovietica, nonostante l'esiguità del suo territorio. Le Alpi offrono scenari da sogno per i turisti della neve provenienti da tutto il mondo, così come le coste Liguri e l'arcipelago toscano vedono un grande afflusso di amanti del mare.
Le prime elezioni politiche del 1969 nella Rep. Fed. It. vedono la Democrazia Cristiana di Aldo Moro prevalere sul Partito Socialista Unificato di Sandro Pertini, mentre fuori dal Parlamento Subalpino di Torino (unicamerale e formato da 300 deputati) restano l'estrema destra e l'estrema sinistra. Moro rivince cinque anni dopo nel 1974, mentre nel 1979 vincerà il Partito Socialista, ora guidato da Bettino Craxi, che governerà sino al 1984, anno in cui vincerà la Democrazia Cristiana, guidata da Benigno Zaccagnini. Si stabilisce così una vera Democrazia dell'Alternanza. Invece la Repubblica di Venezia è governata stabilmente dall'alleanza tra Democrazia Cristiana e Liga Veneta; nella Repubblica Romana Giulio Andreotti governa praticamente a vita, mentre in Sicilia si susseguono governi di centrodestra relativamente deboli.
Nel 1975 il governo di Torino acquista dalla Francia l'isolotto di Clipperton, nel Pacifico orientale, ritenuto da Parigi per lo più improduttivo. Ignorando le accuse di "colonialismo" da parte del governo sovietico di Firenze, la Rep. Fed. It. gli restituisce l'antico nome di Isola della Passione e, oltre ad acquisire diritti di pesca nel Pacifico, vi insedia un grande centro di studi oceanografici e soprattutto un poligono spaziale, battezzato San Giovanni dell'Ariosto, da dove la neocostituita Agenzia Spaziale Italiana, finanziata oltre che dalla Rep. Fed. It. anche dalla Rep. Di Venezia, dalla Rep. Romana e dal Regno di Sicilia, lancia in orbita i suoi satelliti. Nel 1984 la Rep. Fed. It. diventa il terzo paese del mondo dopo URSS ed USA a spedire nello spazio un proprio astronauta con un proprio vettore appositamente progettato. Ormai la Rep. Fed. It. è assurta al rango di potenza mondiale, e con Stati Uniti dì America, Canada, Giappone, Regno Unito, Francia e Germania Ovest siede a buon diritto al tavolo del G7.
Nel 1971 iniziano la loro attività terroristica le Brigate Rosse, anche note come Partito Comunista Combattente, che porta avanti una vera e propria attività di guerriglia nella Rep. Fed. It., nella Rep. Di Venezia, nella Rep. Romana e nel Regno di Sicilia. Il movimento, guidato da Renato Curcio, è finanziato sottobanco dalla Rep. Pop. It. La loro vittima più illustre è Vittorio Bachelet, assassinato a Roma il 12 febbraio 1980. Il governo di Torino risponde a sua volta finanziando sottobanco movimenti guerriglieri di destra che agiscono contro il governo filosovietico; opera sua è ad esempio la strage alla Stazione di Bologna del 2 agosto 1980.
Dopo la morte di Josip Broz detto Tito, avvenuta il 4 maggio 1980, la presenza minacciosa della Rep. Pop. It., ostilissima alla Jugoslavia "deviazionista", fa sì che quest'ultima si avvicini sempre di più all'Occidente, evitando la deriva nazionalista che nella nostra Timeline portò alla sua disintegrazione. Nel 1987 il Presidente della Federazione, il croato Stipe Mesic, introduce le prime timide aperture alla libertà di stampa e di associazione. Nel 1990 viene abbandonato il monopartitismo; i comunisti guidati dal serbo Slobodan Milosevic sono nettamente sconfitti dai centristi di Stipe Mesic, il Kosovo è elevato a settima repubblica federale e la Jugoslavia si avvicina sempre di più all'Europa. Il 1 gennaio 1999 la Jugoslavia sarà il primo paese ex comunista ad essere ammesso nell'Unione Europea.
Dal punto di vista sportivo, ognuno dei nuovi stati italiani ha una sua Nazionale di Calcio, ma sono tutte di secondo piano, tranne la Nazionale della Rep. Fed. It., che ha ereditato l'azzurro dell'antica Nazionale italiana, la quale si rivela una vera e propria superpotenza calcistica. Essa arriva:
seconda dietro al Brasile ai Mondiali in Messico del 1970, sconfitta nettamente in finale per 4-1 da Pelè e soci dopo aver battuto 4-3 la Germania Ovest in una delle più epiche partite di tutti i tempi;
terza ai Mondiali in Germania Ovest del 1974, battendo la Polonia per 3-1 nella finale di consolazione;
prima ai Mondiali in Argentina del 1978, battendo a sorpresa in finale l'Argentina per 1-0 con un gol del torinese Roberto Bettega (nel girone di qualificazione invece l'Argentina si era imposta per 3-1 sulla Rep. Fed. It.);
prima ai Mondiali in Spagna del 1982, battendo in finale la Germania Ovest per 3-1;
quarta ai Mondiali in Messico del 1986, battuta per 4-2 dalla Francia nella finale di consolazione;
prima ai Mondiali organizzati in casa sua nel 1990, battendo 2-1 in finale l'Inghilterra dopo aver sconfitto nell'ordine Austria, Stati Uniti d'America, Cecoslovacchia, Uruguay, Irlanda e Argentina (un cammino trionfale!); da notare che la Rep. Pop. It. si è rifiutata di prendere parte alle qualificazioni di quest'edizione dei Mondiali;
prima ai Mondiali del 1994 negli Stati Uniti d'America, battendo in finale il forte Brasile ai rigori per 3-2 (il rigore decisivo è messo a segno dal monzese Daniele Massaro);
quarta ai Mondiali del 1998 in Francia, sconfitta in semifinale dalla Francia ai rigori per 4-3 e nella finale di consolazione dai Paesi Bassi per 2-1;
terza ai Mondiali del 2002 in Corea e Giappone, battuta in semifinale dal Brasile per 1-0 (con gol del capocannoniere Ronaldo) e vittoriosa nella finale di consolazione sui padroni di casa della Corea del Sud per 3-2;
prima ai Mondiali del 2006 in Germania, battendo in semifinale 2-0 i padroni di casa e in finale ai rigori la Francia per 5-3, dopo che i tempi regolamentari si sono chiusi sull'1-1.
In totale: in dieci edizioni abbiamo cinque vittorie, un secondo posto, due terzi posti e due quarti posti: un record difficilmente uguagliabile!
Invidiabile anche il tabellino di marcia degli Azzurri di Torino nei Campionati Europei di Calcio, vinti nel 1972, nel 1980 (edizione casalinga, boicottata dalla Rep. Pop. It.), nel 1988 e nel 2000, oltre a un secondo posto nel 1996 dietro alla Germania e a cinque terzi posti.
Non sono da meno le squadre di club della Rep. Fed. It., sempre ai primi posti nel calcio europeo. Il Campionato 1969-1970 vede la partecipazione di 16 squadre: Juventus, Torino, Alessandria, Pro Vercelli, Novara, Genoa, Sampdoria, Milan, Inter, Atalanta, Brescia, Mantova, Varese, Pro Patria, Piacenza e Como. Il primo titolo della Rep. Fed. It. va al Milan che supera di 8 punti la Juventus. Invece quest'anno il Campionato Veneto è vinto dall'Udinese, quello della Rep. Romana dalla Lazio, quello Siculo dal Catania e quello Sardo dal Cagliari. Nel Campionato 1970-1971 al primo turno della Coppa dei Campioni il Milan è opposto proprio alla Stella Rossa di Firenze, campione della Rep. Pop. It. I dirigenti sovietici fanno di tutto per impedire ai tifosi del Milan di raggiungere Firenze ma, nonostante i tifosi allo stadio siano tutti fiorentini e il regime abbia trasformato la partita in una battaglia ideologica contro il capitalismo torinese, il Milan si impone a Firenze per 8-0. Il regime impedisce allora alla squadra di recarsi a Milano per giocare il ritorno, il che fa sì che la Stella Rossa di Firenze si becchi un 3-0 a tavolino e una squalifica di due anni nelle competizioni europee. Al posto del match di ritorno allo stadio San Siro è giocata un'amichevole con il Peñarol, vinta 4-2 dal Milan, il cui incasso va interamente in beneficenza. Il Trofeo continentale in quest'edizione sarà poi vinto proprio dal Milan, battendo per 2-0 il Panathinaikos di Atene allo Stadio di Wembley.
Da notare che, quando nel 1989 crolla il Muro di Berlino, l'unico regime comunista a sopravvivere in Europa è proprio quello della Rep. Pop. It., che sopravvive fino ai nostri giorni come la Cuba dei fratelli Castro, benché messa in ginocchio economicamente dalla crisi del 2008 e scossa da continui moti di piazza che chiedono democrazia, regolarmente repressi dal governo di Firenze.
E poi?
Lord Wilmore
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C'è anche una versione francese del Fanta-Sessantotto, ce la propone il solito Perchè No?:
Nella serie di fumetti ucronici francesi "Jour J" c'è qualcosa di molto simile all'idea del nostro Milord: si intitola "Parigi brucia ancora". L'idea di base é sempre quella di una rivoluzione riuscita nel 1968, però stavolta le cose girano nel verso sbagliato, e la rivoluzione provoca una guerra civile. De Gaulle muore in circostanze poco chiare nel 1968, l'esercito tenta di riprendere il controllo di Parigi con la forza, ma viene respinto. Inizia allora il cosiddetto « Secondo Assedio della Comune di Parigi ».
A questo punto l'ucronia si da distopia, al posto di riuscire. Un gruppo di terroristi maoisti riesce a penetrare nella base di missili atomici dell'Albion (nel sud della Francia) e, con l'aiuto di scienziati alleati, lancia due missili contro lo Stato Maggiore dell'esercito che aveva preso posizione a Versailles, distruggendo il palazzo e la maggior parte dell'Ovest parigino. Il paese piomba allora nell'anarchia, non c'é più governo, il comune di Parigi non controlla neanche la città dove i combattimenti si svolgono tra milizie di destra e di sinistra. Il paese é messo a ferro e fuoco tra « les bleus » (Gollisti) e « les Noirs » (Anarchici e comunisti). Gli alleati euro-americani provano allora a sbarcare nel paese, ma vengono respinti a Calais dall'esercito socialista e preferiscono lasciare la Francia al suo destino. A Caen i due partiti francesi si scontrano in una terribile battaglia di carri armati che distrugge il 90 % della città. Una buona parte del paese muore di fame perché la produzione agricola é contaminata dalle radiazioni.
La storia inizia nel 1976 con lo sbarco delle truppe dell'ONU in Normandia (ancora!), al quale partecipano Americani e Sovietici insieme, d'accordo per una volta sul fatto di non lasciare che le cazzate dei Francesi provochino una guerra mondiale. Il personaggio centrale é un giornalista che visita Parigi e cerca informazioni sulla sparizione delle opere del Louvre. La capitale é divisa in campi fortificati principalmente tra la Milizia del Cristo-Re, gruppo neo-Vandeano e cattolico tradizionalista legato a Monsignor Lefevbre, che ha il suo quartier generale nella basilica del Sacro Cuore, l'altro campo é composto da anarchici punk che hanno come religione solo le loro armi e i prodotti psicotropi.
Non racconto tutta la storia, eccezione fatta per la distruzione a colpi di martello della Venere di Milo da parte dei neo-Vandeani che bruciano anche la Gioconda: un'opera pagana e un idolo satanico. Vediamo anche il massacro dei due gruppi nella Battaglia di Montmartre, che vede la collina ridotta in polvere (anche le truppe ONU prendono molti colpi e perdono un'unità intera di carri, che cade nelle catacombe della città trasformate in trappola).
Alla fine lo scandalo dopo il massacro senza motivo é tale, che l'ONU decide di sospendere il seggio francese nel Consiglio di Sicurezza e la sua sovranità, USA e URSS di comune accordo disarmano tutti i gruppi mentre Papa Paolo VI scomunica i gruppi cattolici tradizionalisti, che a questo punto lasciano le armi. A poco a poco la situazione migliora (senza entrare nel dettaglio di quali uomini politici siano mostrati e di quali colpi di Stato siano sventati), e Parigi viene ricostruita; la conclusione del racconto coincide con la riscoperta delle opere rubate al Louvre.
Il prossimo volume racconterà la vita negli USA dopo la guerra nucleare « vittoriosa » nel 1962, e la resistenza americana contro la minaccia messicana.
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A questo proposito, Dario Carcano ha scritto per noi il seguente racconto:
Il Presidente
La radio aveva ricominciato a gracchiare, le trasmissioni si erano interrotte. Tra un po’ i militari avrebbero usato anche quella frequenza per trasmettere il loro comunicato; la prima a cadere era stata la radio di Stato, ed era stato quando da lì aveva sentito il comunicato del generale Rodríguez che il Presidente aveva capito che cosa stava succedendo.
Era iniziato il colpo di stato. I suoi amici nell’esercito lo avevano avvertito dei piani del generale Rodríguez, ma purtroppo troppo tardi per bloccare il golpe; aveva a malapena fatto in tempo ad organizzare una resistenza attorno ai punti nevralgici della capitale.
“Ripulire la nostra Patria dal morbo comunista, e liberarci di un presidente incapace, corrotto, omosessuale e bolscevico”, il generale aveva usato queste parole per spiegare le ragioni del golpe. Stava mentendo, ovviamente stava mentendo; la vera ragione di quel colpo di stato era che l’esercito, e soprattutto i grandi industriali che l’avevano istigato, non gradivano le riforme messe in atto dal Presidente e dal suo governo: redistribuzione delle terre agricole, introduzione di un salario minimo con cui fosse possibile una vita dignitosa, rimozione dei privati dal sistema sanitario, democratizzazione della gestione delle fabbriche e partecipazione dei sindacati nell’amministrazione delle aziende.
Il Presidente ora si trovava nel suo studio. Stava guardando la sua pistola, che aveva estratto dal cassetto e aveva appena caricato. Dalla strada arrivava il rumore degli spari, i militari erano alle porte del palazzo presidenziale. Entrò nello studio Pablito, il segretario del Presidente. Aveva un elmetto militare in testa e un fucile mitragliatore, e disse al presidente:
“Non è troppo tardi per scappare, sul tetto l’elicottero è pronto a partire.”
“Lo so, ma non voglio scappare e permettergli di darmi anche del codardo. E poi non servirebbe a niente lo stesso, l’aviazione è con Rodríguez. Saremmo abbattuti dopo un chilometro.”
Gli spari si stavano avvicinando, e stavano rimbombando nei corridoi. I golpisti erano entrati, e presto sarebbero arrivati nel suo studio.
Si mise le mani davanti agli occhi, e in pochi secondi vide la sua intera vita passargli davanti. Si rivide molti anni prima, quando era un giovane ufficiale nazionalista, conservatore e ferocemente anticomunista; erano passati oltre trent’anni da allora, e col senno di poi non poteva essere altrimenti, essendo il Presidente cresciuto in una famiglia borghese e molto conservatrice. Poi rivide anche l’incontro che gli aveva cambiato la vita, Aurelio; fu lui a fargli cambiare prospettiva sul mondo, e fu grazie a quell’incontro che lasciò l’esercito e si dedicò alla lotta politica in difesa dei più deboli. Rivide le manifestazioni a cui aveva preso parte, gli scioperi che aveva organizzato, le campagne elettorali che aveva diretto, fino alla sua elezione a presidente. Aurelio era sempre al suo fianco, come amico, come compagno di partito e infine come ministro nel suo governo, fino al suo assassinio due anni prima. Poi i discorsi davanti al Parlamento, le riunioni di gabinetto, gli appelli dell’opposizione affinché i militari “facessero ordine nel Paese” e il generale Rodríguez, che un mese prima di quel giorno aveva rifiutato una promozione. Gli sembrò strano, e quel comportamento avrebbe dovuto metterlo in allarme sul fatto che quell’intrigante stesse tramando qualcosa.
E poi la sua memoria tornò nuovamente agli anni nell’esercito, e gli tornò alla mente una specie di conferenza che aveva tenuto quando era ufficiale, di fronte ad altri ufficiali, in cui aveva parlato per ore su come l’esercito dovesse proteggere il paese dal pericolo di una deriva comunista, sul perché il comunismo fosse dannoso e contrario a tutti i valori che l’esercito rappresentava e difendeva, e sulla necessità di un processo di riorganizzazione della società, che minimizzasse la possibilità che il morbo comunista potesse diffondersi nel Paese. Gli sembrò di risentire nelle orecchie gli applausi che aveva ricevuto quel giorno, i complimenti dei suoi superiori e le frasi di ammirazione degli spettatori più giovani.
Riaprì gli occhi, e si accorse che i militari erano appena entrati nel suo studio. Pablito era steso nel corridoio, davanti alla porta del suo studio, in mezzo a una pozza di sangue. Davanti a lui c’era il generale Rodríguez in persona, e uno degli ufficiali che erano con lui gli stava puntando una pistola. Era giovane, aveva più o meno l’età che aveva lui quando era nell’esercito, prima che incontrasse Aurelio.
E si mise a ridere. Iniziò a ridere così forte che Rodríguez, a dir poco irritato, gli chiese:
“Cos’hai da ridere?”
“Non capiresti.”
E l’ufficiale sparò.
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Sempre Dario in seguito ha aggiunto:
Introduzione ucronica a "Stato e Rivoluzione"
Per spiegare perché ancora oggi, nel 2020, sia necessario leggere "Stato e Rivoluzione", è necessario che prenda il discorso un po' alla larga.
Non so quante persone possano
dire lo stesso, ma io da bambino ho conosciuto Lenin.
Me lo ricordo ancora adesso: era un anziano con la testa calva e il pizzetto
bianco, che passava gran parte delle giornate nella piazza di Verghera, seduto
su una sedia a guardare la gente che passava, e ogni tanto a giocare a carte con
gli avventori di un bar che dava sulla piazza.
Quando lo vedevo io era già anziano, e anche malato, erano infatti i primi anni
'50. Eppure quando passavo da lì con mia madre, lei mi diceva sempre:
« Quello è Lenin: stai attento che, se non fai il bravo, ti porta in Russia! »
Quando Lenin morì nel 1953,
al suo funerale vennero comunisti da tutta la provincia, persino da Milano. Del
resto, Attilio Cerutti, questo il vero nome del Lenin di Verghera, era stato un
partigiano molto famoso in Brianza, e le azioni sue e della brigata partigiana
che aveva comandato erano state decisive nella guerra di liberazione.
Quando morì il Lenin di Verghera, l'altro Lenin, Vladimir Il'ič Ul'janov, era
già morto da sei anni, dopo aver guidato la Rivoluzione mondiale per oltre trent'anni.
Quando Lenin morì, io avevo
appena sei anni, eppure mi ricordo gli occhi lucidi delle persone che ne
parlavano quando ero bambino; persino il Lenin di Verghera non riusciva a
trattenere le lacrime quando parlava di Il'ič Ul'janov.
Perché Lenin non era solo un leader rivoluzionario ed un teorico del marxismo,
ma la personificazione della Rivoluzione stessa.
Lenin aveva sconfitto lo zar,
e modernizzato la Russia, trasformando un paese feudale e rurale in una
superpotenza economica ed industriale.
Lenin aveva cercato, inutilmente, di impedire l'ascesa di Hitler in Germania,
ordinando ai comunisti tedeschi di formare un fronte anti-fascista coi
socialdemocratici dell'SPD; un'offerta che i socialdemocratici tedeschi
avrebbero accettato troppo tardi, solo quando Hitler era già cancelliere e stava
assumendo il controllo dello Stato tedesco.
Lenin aveva sostenuto la rivoluzione in Spagna, inviando ingenti aiuti ai
comunisti spagnoli, che grazie all'aiuto sovietico riuscirono a sconfiggere i
nazionalisti di Franco.
Lenin aveva cercato di
costruire una coalizione internazionale contro la Germania nazista, tentativo
che però non era andato da nessuna parte per la doppiezza delle democrazie
occidentali, che tra Lenin e Hitler preferirono fidarsi di Hitler.
Quando poi la guerra contro Hitler scoppiò per davvero, fu Lenin a guidare
l'URSS fino alla vittoria finale contro la Germania, e poi a sostenere le
rivoluzioni comuniste che stavano iniziando nell'Europa meridionale; grazie agli
aiuti sovietici, Italia e Grecia videro la nascita di governi comunisti.
Grazie a Lenin anche l'Asia vide la propria rivoluzione proletaria: Cina, Corea,
ex Indocina francese divennero comuniste dopo che i comunisti locali, aiutati
dall'URSS, scacciarono con successo i propri dominatori capitalisti.
Se oggi l'Italia è una
repubblica socialista è esclusivamente grazie a Lenin, così come è merito di
Lenin il fatto che la Francia e il Portogallo siano gli unici baluardi
capitalisti sul continente europeo.
In uno scritto del 1946, Lenin scrisse che il razzismo e l'ineguale
distribuzione della ricchezza avrebbero portato gli Stati Uniti al collasso
entro il 2020; la recente pandemia di covid ha mostrato come Lenin avesse visto
giusto anche in questo.
Gli Stati Uniti oggi sono un paese al collasso, sull'orlo della guerra civile e
con una delle amministrazioni più nazionaliste della Storia americana. Invece,
l'Unione Sovietica è il paese più avanzato e più industrializzato al mondo,
avanguardia della Rivoluzione mondiale.
Per questo oggi è ancora necessario leggere "Stato e Rivoluzione", il libro in cui Lenin delinea la forma politica della dittatura del proletariato, confermando ed espandendo quanto era già stato detto da Marx ed Engels, che avevano indicato la Comune di Parigi come un esempio di dittatura del proletariato; perché i principi stabiliti da Lenin in questo libro si ritrovano non solo in Italia e in Unione Sovietica, ma in tutte le nazioni comuniste che si rifanno al Leninismo: assoluta eleggibilità di tutte le cariche pubbliche; revocabilità in qualsiasi momento delle cariche pubbliche; salario operaio per tutte le cariche elettive.
Questi i principi delineati da Lenin, e che ancora oggi guidano le nazioni comuniste nel loro sviluppo.
Umberto Bossi
1° maggio 2020
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Diamo ora la parola a Generalissimus, che ha tradotto per noi queste ucronie:
E se il Maggio Francese avesse portato ad una guerra civile in Francia?
29 Maggio 1968.
Da più di un mese la Francia è piombata in una delle crisi sociali più violente
della sua storia.
Dopo la sollevazione degli studenti e la notte delle barricate, la maggior parte
delle fabbriche francesi è in sciopero.
In questo giorno del 29 Maggio ci sono centinaia di migliaia di persone, membri
del sindacato o del Partito Comunista, che sfilano per le strade di Parigi.
Al grido di "governo popolare!", il corteo passa non lontano dal palazzo
dell’Eliseo, dove risiede un governo completamente impotente.
Di fatto da qualche ora il Generale De Gaulle è scomparso, e nessuno sembra
sapere dove si trovi, nemmeno Pompidou, il suo primo ministro.
I Francesi, informati della notizia alla fine del pomeriggio, trattengono il
respiro senza sapere che in questa realtà alternativa De Gaulle non tornerà mai
al potere.
Alle 21:00 del 29 Maggio un dispaccio dell’Agence France-Presse afferma che De
Gaulle è morto assieme a sua moglie, perito nello schianto di un elicottero che
lo stava riportando indietro da Baden-Baden, dove era arrivato per consultarsi
col comandante delle forze francesi in Germania, il Generale Massu, ma quando la
notizia viene confermata lo stupore lascia il posto al panico.
Il generale è morto, e il governo non controlla più niente.
Assicurando l’interim di De Gaulle conformemente alla costituzione, il
Presidente del Senato Gaston Monnerville eredita un governo in piena
disintegrazione, incapace di applicare la minima decisione e contestato da tutte
le parti, ma oltre il Reno l’ultimo uomo ad aver parlato con De Gaulle, il
Generale Massu, fedele Gollista della prima ora, dà immediatamente ordine
all’esercito di dirigersi verso Parigi per impedire a chiunque, e soprattutto ai
Comunisti, di prendere il potere.
In questa realtà alternativa, mentre le forze politiche di sinistra appaiono
come l’unica alternativa a De Gaulle, i carri armati di Massu si mettono in
viaggio verso la capitale per impedire un cambio di regime.
Inizia la guerra civile.
Buongiorno a tutti, cari abbonati e spettatori, oggi faremo precipitare la
Francia in un’orribile guerra civile poco dopo gli eventi del Maggio 1968.
Parigi distrutta, migliaia di morti, ancora una volta gioia e buonumore, come
sapete questo canale è un’oasi di pace.
Allora, come sapete gli avvenimenti del Maggio 1968 costituiscono un movimento
di una grandezza mai uguagliata da quei 31 giorni critici: un po’ dappertutto in
Francia emersero manifestazioni, sommosse, ma anche dibattiti, creazione di
associazioni e di nuovi modi di vedere e pensare.
Sorprendendo il potere, i partiti politici e le organizzazioni sindacali, il
movimento delle università fece partire una serie di scioperi che paralizzarono
il paese per diverse settimane.
Il Maggio del 1968 si iscrive nel contesto dei “Trenta Gloriosi” e di una
mutazione molto rapida della società francese.
La libertà di parola e la contestazione dell’autorità si accompagnano a sommosse
e violenze che prendono rapidamente una svolta insurrezionale che né il governo
né l’opposizione desideravano, soprattutto il Partito Comunista, che all’epoca
non vedeva di buon occhio questi giovani.
Siamo rivoluzionari, ma non bisogna esagerare.
Durante questo mese il potere, detenuto saldamente dal Generale De Gaulle dal
1958, mostra per la prima volta segni di debolezza e di esitazione.
Secondo la confessione dello stesso generale, alla vigilia della sua partenza
per Baden-Baden lui non controllava più niente, e il POD che ho scelto, che
parte dal 29 Maggio, è importantissimo, perché è il giorno in cui De Gaulle
partì per la Germania per assicurarsi il sostegno dell’esercito, e l’indomani il
generale riprese in mano la situazione.
Al ritorno in Francia fa un discorso, ottiene il sostegno del ramo legislativo e
mette fine alla crisi politica.
Questi due giorni critici avrebbero dunque benissimo potuto svolgersi in maniera
diversa e far cadere la Francia in una crisi molto più profonda.
Quello che è certo è che questo movimento ha segnato tutta una generazione, e
questi avvenimenti vengono visti da alcuni come un progresso, da altri come
l’inizio di una decadenza, e come niente di niente da quelli che battono la
fiacca in fondo alla classe mentre racconto, ma io in ogni modo non sono qui per
giudicare il lascito di questi avvenimenti, perché in questo scenario il Maggio
del 1968 non porterà altro che una lunga e dolorosa guerra civile.
Sì, sono proprio un bastardo.
In questo scenario mi ispirerò al POD presente nel numero 8 della serie di
fumetti Jour J, che vi consiglio, dove De Gaulle muore in un incidente
d’elicottero tornando da Baden-Baden, uno scenario catastrofico dove la figura
del generale, l’unico a poter radunare la maggioranza dei Francesi, scompare
brutalmente nel momento peggiore della crisi, lasciando un gran vuoto e diversi
schieramenti determinati a prendere o mantenere il potere.
Ah, sì, per favore, come d’abitudine, anche se oggi la materia scatena ancora le
passioni, vi prego di rimanere educati e cortesi, e ricordandovi che questo
scenario rappresenta solo la mia visione e non è che un’opera di finzione,
forzerò la mano su diverse cose.
Non sono affatto politicizzato, dunque per favore evitate gli insulti o i
dibattiti sterili, ingiuriare la madre di qualcuno non è affatto fico, ma
tagliamo corto e passiamo allo scenario.
Siamo nel 30 Maggio 1968.
De Gaulle è morto.
Lo shock è immenso, la Francia intera è addolorata, o quasi, perché qualcuno
pensa già alla successione.
In effetti, secondo la costituzione della Quinta Repubblica, l’interim di De
Gaulle è assicurato dal presidente del senato, Gaston Monnerville.
Colui che si è opposto al generale fin dal referendum del 1962 si ritrova
proiettato nelle funzioni più alte in compagnia del Primo Ministro Pompidou, che
egli detesta sopra ogni cosa.
C’è un problema, però: la sinistra, sostenuta con riluttanza dal Partito
Comunista, non ha aspettato neanche un giorno per esigere la formazione, in
pieno disprezzo della costituzione, di un governo provvisorio guidato da Pierre
Mendès France.
A coronare il tutto, i carri armati delle forze francesi in Germania si sono
piazzati proprio nei dintorni di Parigi.
Il Generale Massu, che li comanda, ha ricevuto un appello dello stesso Pompidou
che gli intima di non entrare assolutamente nella città per non peggiorare una
situazione già molto tesa.
Per il momento Massu obbedisce e aspetta di vedere come si evolve la situazione.
Il governo, impotente, vede il suo sostegno precipitare ed è completamente
paralizzato dalla rivalità fra Gaston Monnerville e Georges Pompidou, che non si
mettono d’accordo su niente.
Dibattono, litigano e non si mettono d’accordo che su una cosa: bisogna blindare
Parigi, perché il giorno dopo centinaia di migliaia di persone sfileranno per le
strade.
Il 31 Maggio, due giorni dopo la morte del generale, in una capitale deserta
sfilano due cortei opposti in tutto.
Da una parte c’è una folla immensa venuta a porgere l’ultimo omaggio a De
Gaulle, e dall’altra un corteo ugualmente imponente che reclama con tutte le sue
forze l’instaurazione di un governo provvisorio, ma, mentre i due cortei sfilano
con calma, un errore, un terribile errore di percorso, fa piombare la giornata
nell’orrore.
Dopo una deviazione i due cortei si incrociano, cosa che non avrebbero mai
dovuto fare.
Le due folle si notano, si lanciano invettive, si fischiano e si insultano.
Si prova a calmare gli animi in questo giorno di commemorazione, ma non c’è
niente da fare.
“Avete provocato la morte del generale!”, dicono da una parte, “Volete
perpetrare la dittatura!”, urlano dall’altro.
I toni si alzano, e anche la violenza, ed ecco che i giovani dei due cortei si
mettono a lanciare sampietrini.
Il caos prende rapidamente piede e la strada diventa un campo di battaglia.
Il livello di violenza è tale che la polizia che tenta di interporsi viene
rapidamente presa di mira.
I giovani studenti di estrema sinistra, Maoisti, Anarchici o Comunisti radicali,
cercano il contatto.
La polizia finisce in una morsa tra i due cortei.
Incalzata e messa alle strette, sopraggiunge il dramma.
Uno sparo, poi due, poi tre e presto decine.
Malgrado gli ordini del prefetto la polizia apre il fuoco nel panico più totale.
I due cortei si disperdono urlando, le persone vengono buttate a terra e
calpestate nella ressa e la giornata termina in un atroce bagno di sangue.
Il bilancio è catastrofico, settantacinque persone sono morte e i feriti si
contano a centinaia, principalmente giovani studenti e militanti di sinistra
abbattuti dalla polizia o schiacciati dalla ressa.
La classe politica nel suo insieme condanna immediatamente le violenze, ma il
danno è fatto.
La sera stessa, nel Quartiere Latino, riprendono gli scontri con la polizia.
Malgrado i loro appelli alla calma, i gruppi politici e i sindacati non
controllano più molto i loro affiliati.
Qualche ora più tardi una bomba esplode durante un raduno in omaggio a De
Gaulle.
L’autore è un giovane Comunista filocinese che vuole vendicare i suoi compagni
morti sotto le pallottole della polizia.
Un attentato durante una commemorazione dedicata a De Gaulle è troppo,
l’esercito deve intervenire.
Malgrado le deboli proteste di Pompidou, che come ogni giorno vuole
temporeggiare e tentare di calmare gli animi, Gaston Monnerville fa votare al
parlamento la proclamazione dello stato d’assedio.
Immediatamente, secondo le disposizioni dell’articolo 36 della costituzione,
l’autorità militare si sostituisce all’autorità civile.
La libertà di domicilio, di stampa, di riunione e di spostamento viene sospesa,
e vengono autorizzate le perquisizioni militari.
La Francia piange.
La Francia ha paura, e mentre gli altri paesi osservano con un certo panico una
potenza nucleare piombare nel caos, i carri armati del Generale Massu entrano
nella capitale.
In questa realtà alternativa lo stato d’assedio è in vigore da qualche settimana
a Parigi e nelle grandi città francesi.
È entrato in vigore un coprifuoco, le manifestazioni sono vietate, compaiono dei
posti di blocco nelle strade e la stampa viene censurata dalle autorità
militari.
Degli attentati dinamitardi prendono di mira da quel momento in poi l’esercito e
la polizia, che rispondono perquisendo con violenza le associazioni locali e
politiche.
Il Generale Massu, volendo assolutamente sbarazzarsi, a suo dire, della feccia
Rossa, moltiplica i colpi di mano contro il Partito Comunista Francese, che
considera responsabile della situazione ma che rimane l’unica struttura capace
di dirigere i suoi militanti e di accordarsi col governo, perché una proporzione
non trascurabile dei membri del partito, soprattutto i giovani, militano per la
rivoluzione e non comprendono affatto perché i vertici si dimostrano così
passivi di fronte a questa campagna di repressione mirata.
A peggiorare le cose, l’esercito non è affatto addestrato al mantenimento
dell’ordine, e si moltiplicano gli errori e gli abusi nei confronti della
popolazione.
Massu pensa di poter gestire la situazione in Francia come ha fatto ad Algeri
undici anni prima.
La reputazione del generale non è delle migliori, e i primi casi di tortura non
tardano affatto ad arrivare alle orecchie del grande pubblico.
L’opinione pubblica è sempre più divisa.
Beninteso, la maggioranza è favorevole alla calma, ma il massacro di 75 studenti
nella manifestazione del 31 Maggio, così come gli abusi riportati dai giornali
clandestini che non tardano affatto ad arrivare, fanno temere l’inizio di una
dittatura militare.
Due mesi dopo l’inizio dello stato d’assedio, mentre gli scioperi in Francia
continuano ovunque, il paese fa fronte a delle penurie che aggravano la
situazione.
Davanti all’emergenza, Massu e lo stato maggiore decidono di far cessare
l’occupazione delle fabbriche e costringere al ritorno al lavoro.
Viene mandato l’esercito, ma gli operai non si lasciano affatto spaventare.
A Florange un ufficiale, ex membro dell’Organisation Armée Secrète, fa sparare
sugli scioperanti disubbidendo agli ordini dei suoi superiori.
L’avvenimento fa 18 morti, e lungi dal calmare gli animi cristallizza le
tensioni e i rancori accumulati.
In seno al Partito Comunista si consuma la scissione, e davanti a quella che
considera una dittatura, una parte dei membri decide di entrare nella lotta
attiva contro Massu e le sue truppe.
Per quanto riguarda i Socialisti, Mitterrand, che finora è stato favorevole ad
un ritorno alla calma, dichiara che non sarà più d’accordo con un governo che
massacra il proprio popolo, chiede la rimozione immediata di Massu e la
formazione di un governo d’unione nazionale.
Monnerville e Pompidou, completamente superati dagli eventi e isolati
politicamente, anche tra i Gollisti, convocano tutti i protagonisti della
società civile per una consultazione nazionale per tentare di calmare le cose,
ma è troppo tardi, e la guerra civile entra nella sua fase più mortale.
Alla fine del 1968 l’esercito subisce delle diserzioni sempre più numerose per
via della repressione brutale che gli viene ordinato di far subire ai propri
cittadini.
Uomini, a volte intere compagnie, scompaiono assieme alle loro armi o rifiutano
di obbedire agli ordini, i giornali clandestini prosperano, si formano dei
gruppi d’azione costituiti da vecchi soldati e giovani militari, mentre gli
attentati contro le forze dell’ordine si diffondono nelle grandi città.
A livello internazionale l’Unione Sovietica si astiene dal finanziare i tumulti
in Francia, non avendoci nulla da guadagnare, e rassicura di aver dato la
consegna al Partito Comunista Francese di cooperare ad ogni costo col governo.
I paesi europei limitrofi hanno ammassato i loro eserciti alla frontiera
francese, ma non osano affatto intervenire senza l’accordo del governo, tanto
più che la Francia possiede l’arma atomica.
È comunque chiaro a tutto il mondo che la repressione violenta del Generale
Massu è la maniera peggiore di gestire la crisi.
Ovunque si chiede un cambio di governo, ma Massu, che nei fatti ha le redini del
potere, convince l’esecutivo a lasciargli gestire la situazione.
Nel 1969 il conflitto prende una svolta più caotica.
Mentre gli attentati dell’estrema sinistra sono quotidiani e fanno la loro parte
di vittime civili e militari, la repressione si accentua col formarsi e armarsi
di differenti gruppi.
Le linee si fanno più chiare: milizie Comuniste, Golliste, di estrema destra,
partigiane di Massu e miriadi di piccoli gruppi Anarchici, Maoisti o
semplicemente criminali, e in mezzo la maggioranza silenziosa, presa tra due
fuochi, che subisce in alternativa la repressione di Massu e gli attentati
quotidiani.
I morti si contano a migliaia, le perquisizioni sono continue, le strade
setacciate dai carri armati e dai paracadutisti.
Lo stato maggiore guida una caccia alle streghe che ad ogni attentato e ad ogni
colpo di mano dei militari disertori, dei Comunisti e dei Gollisti si ritorce
contro di loro e indurisce ulteriormente la repressione.
Tutto il mondo è stupefatto di vedere la velocità con la quale è degenerata la
situazione, al punto che in tutti gli schieramenti le opinioni si sono
radicalizzate.
A Giugno il Generale Massu, col pretesto della vicina sconfitta della Francia ad
opera del nemico interno, proclama nella completa illegalità la sospensione
della costituzione, così da dare all’esercito tutti i mezzi necessari per il
compimento del suo dovere.
Così facendo mette di fatto in piedi una dittatura militare.
Monnerville e Pompidou, da tempo presi in ostaggio dai militari, alla fine si
dissociano da Massu per unirsi ai leader dell’opposizione politica che si sono
rifugiati nei territori d’oltremare.
Alla fine dell’anno quello che all’inizio era uno scontro tra Gollisti e
Comunisti si trasforma in una lotta contro la dittatura militare istituita da
Massu, al quale una parte dell’esercito resta fedele.
Nel 1970 il paese è in rovina.
Penurie, mancanza d’acqua e carestie sono continue in una nazione che in
precedenza faceva parte delle più ricche del mondo.
Città come Parigi e Lione sono per metà distrutte e sono teatro di scontri
quotidiani tra favorevoli e contrari a Massu.
La Francia è ormai uno stato fallito dove diversi gruppi di sinistra e destra
affrontano i soldati rimasti fedeli allo stato maggiore.
Mentre in Spagna, in Belgio o ancora in Italia milioni di rifugiati francesi
affluiscono per sfuggire ai combattimenti, l’opposizione anti-Massu si riunisce
nel Fronte Unito di Liberazione.
In tutto il mondo la presa del potere ad opera del generale viene condannata, ma
la Francia dispone ancora di un seggio al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, si
oppone ad ogni intervento sul suo suolo e minaccia col fuoco nucleare ogni
potenza che vuole immischiarsi nel conflitto.
Nel Settembre 1970 arriva il punto culminante della guerra civile: alle 6:00 del
mattino, a sud di Parigi, un gruppo di ex militari recupera e poi fa esplodere
una bomba atomica AN-22 proprio nelle vicinanze di un’armata favorevole a Massu
che si apprestava ad assaltare la capitale in rivolta.
Decine di migliaia di soldati e civili sono vittime del fuoco nucleare, e tutta
Parigi è scossa dalla potenza dell’esplosione.
Questo è troppo per le grandi potenze, che davanti alla carneficina e al
pericolo imminente devono risolversi a intervenire.
All’inizio del 1971 la NATO sbarca senza il mandato delle Nazioni Unite sul
suolo francese e con la benedizione delle potenze Comuniste per mettere fine al
conflitto, ma soprattutto per mettere in sicurezza le armi atomiche.
La guerra civile arriva nella sua ultima fase.
All’inizio del 1972 in Francia è tornata una parvenza di calma.
L’annientamento delle forze favorevoli a Massu e l’intervento delle truppe della
NATO hanno permesso di ridurre il livello di violenza.
Gli attentati e gli scontri diventano sporadici, mentre le truppe estremiste di
tutti gli schieramenti depongono le armi o si fanno annientare dalle truppe del
Fronte Unito di Liberazione, ormai maggioritarie.
Il paese è in rovina, molte città sono distrutte, il patrimonio storico
saccheggiato, e i morti si contano a decine di migliaia.
Il Generale Massu e il suo stato maggiore hanno finito per deporre le armi dopo
l’esplosione della bomba e l’annientamento delle loro forze.
La loro resistenza, che avevano paragonato alla liberazione ad opera della 2e
Division Blindée del Generale Leclerc de Hauteclocque, e la loro ostinazione a
distruggere ogni opposizione al regime, hanno provocato una guerra civile che ha
completamente devastato il paese.
In seguito a questa resa il Fronte Unito di Liberazione va a formare un governo
d’unità nazionale.
Alla sua testa c’è un certo Jacques Chirac, un politico di destra sostenuto
dagli Statunitensi, che temono che un Socialista instaurerebbe un regime
Comunista in Francia.
In un paese devastato, Chirac ha il compito di organizzare nuove elezioni e di
ricostruire la patria.
Egli, in uno sforzo di riconciliazione nazionale, nomina un certo François
Mitterrand, di sinistra, primo ministro.
In questa realtà il generale e il suo stato maggiore sono quasi tutti condannati
alla pena di morte, perché le conseguenze della guerra civile sono drammatiche.
La Francia è completamente regredita, distrutta ancora una volta in meno di 30
anni, 5 milioni di Francesi sono fuggiti all’estero dai combattimenti e 15
milioni di rifugiati interni intasano accampamenti di fortuna nei pressi delle
città devastate.
Politicamente ed economicamente il paese viene sostenuto dalla NATO, che gli ha
tolto ogni sovranità e controlla le armi nucleari.
Anche a livello internazionale le conseguenze sono molto grandi.
Con tutta l’attenzione diretta sulla Francia, l’Unione Sovietica è riuscita a
reprimere la Primavera di Praga senza che nessuno battesse ciglio, mentre col
crollo del paese i progetti di fondare una comunità europea sono completamente
scomparsi.
In questa realtà, inoltre, la politica francese non incarna più l’alternativa
agli Stati Uniti o all’Unione Sovietica, e resta per diversi decenni soggiogata
agli USA e alla NATO.
Per la Francia e l’Europa di questa realtà alternativa il futuro appare molto
cupo.
.
E se la Francia fosse diventata comunista?
Oggi vi parlerò di un punto
di non ritorno molto importante eppure dimenticato, un momento, un periodo nel
1947, proprio dopo la Seconda Guerra Mondiale dove dei giganteschi scioperi
avrebbero potuto benissimo far diventare Comunista la Francia, cosa che avrebbe
potuto cambiare completamente il corso della storia.
Per comprendere come avrebbe potuto svolgersi un simile scenario, un po’ di
contesto: allora, al giorno d’oggi non ce ricordiamo più, ma il periodo
postbellico in Francia, e più in generale in Europa, fu durissimo.
Mia nonna se lo ricorda bene, andava ancora a scuola a quell’epoca, e mi ha
descritto il cibo disgustoso che doveva mangiare alla mensa, una fetta di carne
scaduta talmente misera che veniva messa nel piatto, quando c’era, che preferiva
infilarsela nella tasca piuttosto che mangiarsela.
A causa delle penurie e dell’aumento dei prezzi, del mercato nero, delle
interruzioni di acqua ed elettricità e delle distruzioni della guerra, la
maggioranza della popolazione francese andava a letto sentendosi male, quando
non dormiva semplicemente all’aperto.
Le rivolte causate dalla fame erano comuni, e tra le classi popolari il
malcontento era enorme.
Entra dunque nella storia il nostro protagonista principale, il Partito
Comunista Francese, il PCF, che nel 1947 è il primo partito politico francese in
termini di iscritti e voti, e che gode di un’enorme popolarità.
Sì, bisogna dire che quasi un terzo dell’elettorato vota Comunista, e all’inizio
della Guerra Fredda, beh, questo fa paura, soprattutto considerato che i
Comunisti non nascondono affatto i loro legami molto stretti con l’Unione
Sovietica, all’epoca guidata da Stalin, che si è appena mangiato mezza Europa
per colazione.
Tutto questo fa paura soprattutto agli Americani, che non si privano affatto del
piacere di influenzare la politica francese dell’epoca per bloccare l’ascesa del
Comunismo con tutti i mezzi possibili.
Washington fa dunque pressioni sul governo francese perché agisca, cosa che ci
porterà allo scoppio di questa crisi.
Nel Maggio del 1947 i ministri Comunisti nominati dal PCF vengono esclusi dal
governo, e passano così all’opposizione.
Qualche mese più tardi scoppiano degli scioperi in tutto il paese, e anche nelle
colonie.
Lo sciopero inizia alla Renault, poi si estende al sud tra i portuali di
Marsiglia, poi ai giacimenti minerari del nord, poi tra i panettieri e i
ferrovieri prima di coinvolgere tutto il paese.
Presto l’intero territorio è paralizzato dai gruppi mobili degli scioperanti,
che assaltano gli uffici postali, bloccano il traffico ferroviario o fanno
deragliare dei treni, obbligando i lavoratori salariati a incrociare le braccia,
e addirittura catturano e feriscono i poliziotti e i soldati inviati a
ristabilire l’ordine.
Di fatto la grandezza dello sciopero sorprende anche il Partito Comunista
Francese, all’epoca guidato da Maurice Thorez, che tenta al contempo di dirigere
il movimento.
Il governo Tripartista, composto da un’alleanza di Socialisti e di centristi,
tenta di reprimere il movimento, ma alcune compagnie antisommossa si rifiutano
di marciare contro i manifestanti e devono essere sciolte.
In alcune zone del territorio viene inviato l’esercito, ma questo si rifiuta di
sparare sulla folla o fraternizza con essa.
Le prefetture vengono occupate, in breve è il caos, e in quel momento, con un
po’ di volontà politica, la Francia avrebbe potuto benissimo conoscere
tutt’altro destino, solo che mancò la volontà politica.
Stalin, allora alla guida dell’URSS, non vedeva affatto di buon occhio questi
movimenti sociali, e informa, o per meglio dire urla contro Maurice Thorez,
facendogli capire che se il PCF tenterà di prendere il potere non avrà alcun
sostegno del grande fratello sovietico.
Stalin di fatto non ha alcun interesse nel disordine generalizzato, non vuole
affatto contrariare gli Americani e ha bisogno che l’opposizione Comunista in
Europa sia unita e scagli tutte le sue forze contro il Piano Marshall, il
programma economico di aiuti all’Europa in seguito alla Seconda Guerra Mondiale.
Una volta tornato in Francia, dunque, Maurice Thorez decide di calmare le cose,
e gli scioperi finiscono per sgonfiarsi.
In seguito ci saranno altri scioperi e sommovimenti sociali, ma non arriveranno
mai al livello di confusione abissale di quell’anno 1947, ma adesso immaginiamo.
Immaginiamo un po’.
Immaginiamo che questi scioperi immensi risultino in un cambio di regime.
Immaginiamo che l’anno 1947 sia l’anno dove la Francia diventa Comunista: quale
sarà l’impatto sulla Guerra Fredda? Quale sarà l’impatto sulla Francia? Ecco a
voi uno scenario tra gli altri, un’interpretazione personale di questa ucronia.
Parigi, Dicembre 1947.
La capitale vede la manifestazione più grande della sua storia.
Una folla gigantesca, composta da operai, ferrovieri e artigiani provenienti da
tutta la Francia, sfila in diversi cortei verso l’Eliseo e l’Assemblea
Nazionale.
A contenere questa massa c’è qualche migliaio di poliziotti antisommossa
demotivati e dei riservisti senza esperienza che tentano di fare bella figura.
La verità è che solo il servizio di sicurezza del Partito Comunista Francese è
riuscito finora a impedire ai manifestanti di prendere l’Eliseo.
In questa realtà alternativa il paese è in uno stato d’assedio, e il governo
della Quarta Repubblica, presieduto da Robert Schuman, non è riuscito a fare
niente per impedire una paralisi totale.
Umiliato e ferito personalmente dalle rimostranze di Stalin, Maurice Thorez, il
capo del Partito Comunista Francese, in questa realtà alternativa vede questo
sciopero come un’opportunità storica per prendere il potere, e decide di
coglierla.
Il comitato generale lo segue, il contesto è perfetto, e aspettare ancora
potrebbe essere pericoloso, perché il Piano Marshall rischia di far finire
definitivamente la Francia nella sfera americana.
Nel disprezzo delle consegne ricevute da Mosca, il capo del Partito Comunista
Francese fa piombare la Francia nel caos incoraggiando lo sciopero e la rivolta.
Il Partito Comunista Francese deve prendere il potere, o diventerà poco a poco
sempre meno potente.
In questo giorno di collera gli scioperanti e i militanti Comunisti hanno in
mano la maggior parte del paese, controllano gli assi viari, le radio, le
prefetture e i sistemi di rifornimento delle città.
La maggior parte delle compagnie antisommossa, dei soldati e dei Gendarmi che
vengono inviati contro di loro o si sono ritirati davanti al numero dei
manifestanti o hanno fraternizzato con loro.
I più fanatici non fanno che causare decine di morti inutili, che non fanno
altro che far scendere in strada tutti gli altri.
I riservisti mobilitati per mantenere l’ordine rimangono nelle caserme senza
sapere cosa fare.
Di fronte a questo enorme movimento sociale anche la Sezione Francese
dell'Internazionale Operaia, il partito Socialista, e il resto della sinistra,
non hanno altra scelta che sostenere controvoglia queste manifestazioni per
paura di essere lasciati indietro da questo movimento di portata storica.
In un discorso abbondantemente riportato dai giornali della propaganda del
Partito Comunista Francese, Maurice Thorez dichiara: “È il momento di imporre un
governo democratico dove la classe operaia e il suo partito eserciteranno alla
fine il ruolo dirigente”.
All’Eliseo regna una febbrilità immensa.
Il Ministro dell’Interno Jules Moch mette in guardia il Presidente Schuman: se
vuole ristabilire la calma dovrà sparare sugli scioperanti e prendersi il
rischio che la Francia piombi nella guerra civile.
Schuman non vuole affatto prendersi la responsabilità di un massacro, e decide
di negoziare.
Qualche giorno dopo questa dimostrazione di forza Comunista, si aprono a Parigi
delle trattative segrete.
Ancora oggi non si sa nulla di quello che si è detto durante questi incontri,
quale sia stato l’argomento e quali minacce sono state proferite, ma dopo
qualche giorno il Presidente Robert Schuman annuncia le sue dimissioni, mentre
Maurice Thorez si pone come uomo della provvidenza, pronto a farsi eleggere
presidente del consiglio per far cessare questa crisi.
Con un voto storico all’Assemblea Nazionale viene eletto presidente del
consiglio da una maggioranza di deputati Comunisti e Socialisti.
L’assemblea vota di nuovo per dargli l’autorizzazione per governare tramite
decreti, intanto che verrà impostata una nuova costituzione.
Le forze politiche di destra, scosse da questo colpo di stato, rifiutano di
partecipare al dibattito e al voto, e tentano di organizzare la reazione.
Nel 1948 il panico è totale nel mondo occidentale.
La Francia, una delle principali potenze europee, ha subito un colpo di stato
Comunista.
Il governo Maurice Thorez propone e poi instaura una Quinta Repubblica dopo un
referendum che alcuni osservatori definiscono truccato.
La nuova costituzione crea una camera legislativa unica.
Questa nuova costituzione permette al partito che ha la maggioranza
nell’Assemblea Nazionale di nominare il presidente per sette anni, che a sua
volta nominerà un governo.
Anche se la democrazia non viene affatto abolita, questo sistema avvantaggia
fortemente il Partito Comunista Francese, il più grande partito francese, che
dispone degli elettori più motivati, e così, in una Francia ancora in piena
tempesta, Maurice Thorez accede all’incarico di presidente della repubblica, il
primo della quinta, e integra diversi ministri Socialisti nel suo governo per
assicurarsi il loro sostegno politico, ma la risposta non si fa affatto
attendere, e il 15 Gennaio, nella confusione totale, lo stato maggiore francese
decide di lanciare un contro-golpe e di prendere il potere per evitare che la
Francia non diventi Comunista.
Nella notte viene dato alle unità più fedeli dell’Armée de Terre l’ordine di
scendere in strada e prendere il controllo degli edifici pubblici, di centinaia
di radio e di rendere sicure i commissariati di polizia, ma, preparato
frettolosamente ed eseguito da soldati confusi, il contro-golpe si arena,
scoppiano combattimenti a Parigi tra varie unità dell’esercito e i golpisti non
riescono a prendere il controllo dei media.
Alle 5:00 del mattino la radio fa un appello alla popolazione perché scenda in
strada per fermare questa controrivoluzione.
Nelle ore che seguono migliaia di persone circondano i militari golpisti, li
disarmano e gli impediscono di spostarsi.
L’operazione si blocca, e una volta sorto il sole la Francia e il mondo
constatano la sua sconfitta.
Immediatamente, i Francesi che speravano ancora che la situazione sarebbe
tornata alla normalità prendono atto del cambio di regime, fanno le valigie e
fuggono, terrorizzati dalla presa di potere dei Comunisti.
Centinaia di migliaia di persone oltrepassano le frontiere, e i paesi vicini
devono far fronte ad un afflusso considerevole di rifugiati.
Tra i candidati alla partenza c’è un certo Charles De Gaulle, che parte verso
Algeri con la sua famiglia.
Fervente anticomunista, non può affatto accettare che il suo paese finisca nello
schieramento dei Rossi proprio dopo essersi liberato dalle grinfie del Fascismo,
e dovrà di nuovo resistere.
L’Europa trattiene il respiro, mentre Washington ha un sussulto.
La CIA non resta affatto inattiva, la Francia è un alleato importante, lasciare
che quel paese e soprattutto il suo impero diventino Comunisti senza fare niente
potrebbe essere l’inizio di un effetto valanga, tanto più che i Comunisti
italiani, ispirati dall’esempio francese, sono in agitazione.
L’indomani, la notte del 16 Gennaio 1948, viene lanciata l’Operazione Faro di
Libertà.
L’esercito inglese e l’esercito americano mandano le loro truppe contro le
colonie francesi in Medio Oriente.
La Martinica, Guadalupe e la Guyana vengono conquistate dopo qualche
combattimento.
Le truppe francesi in Africa e Indocina, fortemente ostili ai Comunisti,
secedono dalla madrepatria e si radunano dietro il Generale De Gaulle, che
prende di fatto la testa di un governo repubblicano in esilio.
Dopo solo qualche settimana la Francia Comunista perde il suo impero, una parte
del suo esercito e della sua flotta, così come diverse centinaia di migliaia di
persone che si riversano nelle colonie, ma i peggiori incubi di Washington si
realizzano quando nel Febbraio 1948 scoppiano scioperi immensi in Italia, solo
che stavolta questi avvenimenti non colgono nessuno di sorpresa.
La Francia potrà essere perduta, ma gli Americani non abbandoneranno affatto
l’Italia così facilmente.
Il governo di Roma, sostenuto militarmente dagli Stati Uniti, decide di
organizzare una repressione brutale che fa diverse migliaia di morti in qualche
mese.
I Comunisti italiani prendono le armi, il paese piomba in una vera e propria
guerra civile.
Siamo nel 1949, nell’ambasciata sovietica all’Hôtel d’Estrées a Parigi.
Sono passati due anni dalla presa del potere di Maurice Thorez.
In questa realtà alternativa gli Americani sono ormai impegnati in Indocina a
rinforzo delle forze lealiste francesi del Generale De Gaulle, che non hanno
niente e devono fare appello all’alleato americano per impedire la diffusione
del Comunismo nel Sudest Asiatico.
In Europa l’Italia è precipitata in una sanguinosa guerra civile alimentata da
una parte dalle consegne di armi francesi a favore dei Comunisti e dall’altra
dal sostegno finanziario e militare al governo italiano proveniente dalla NATO,
l’alleanza dell’Atlantico settentrionale, che viene creata con due notevoli
assenze, la Francia Comunista e l’Italia in piena guerra civile.
In questa guerra per procura si affrontano Comunisti e capitalisti, nessuno dei
due campi vuole intervenire direttamente per paura di scatenare una
conflagrazione generale e dunque una Terza Guerra Mondiale.
L’esercito francese resta potente, un’invasione del paese da parte di Inglesi e
Americani rischierebbe di essere molto costosa, inoltre il governo De Gaulle in
esilio nelle colonie ha fatto sapere che rifiuterà qualsiasi intervento
straniero sul suolo francese, e resta fedele alla sua dottrina di indipendenza.
Per il generale questo affare è un problema dei Francesi, e dunque deve essere
risolto tra Francesi, ma dietro le quinte le cose sono agitate.
Negli anni seguenti al colpo di stato la Francia ha dovuto subire un’ondata di
attentati, così come una guerriglia a bassa intensità su tutto il suo territorio
organizzata da vari gruppuscoli e dalla CIA.
La repressione sta quasi per sfociare in una crisi, il governo Thorez ha già
arrestato migliaia di persone e ha fatto numerosi prigionieri politici.
Vengono condotte delle purghe nell’amministrazione e nell’esercito, l’economia è
in rovina e il governo ha difficoltà a varare delle riforme.
L’incontro che avviene nel gran salone dell’Hôtel d’Estrées è una doccia fredda
per le speranze del nuovo governo.
L’ambasciatore sovietico ha appena avvisato Jacques Duclos, il primo ministro di
Maurice Thorez, che Stalin non ha affatto cambiato idea.
L’Unione Sovietica non vuole affatto rischiare la guerra con gli Stati Uniti, e
non vuole affatto sostenere il regime Comunista francese.
All’apprendere la notizia, Maurice Thorez crolla.
Lui che pensava di poter contare sulla solidarietà di quell’uomo che ammirava
tanto deve far fronte alla dura realtà: la Francia Comunista è sola, e deve
trovarsi un suo modello da seguire.
Le riforme varate sono numerose: rafforzamento dei sindacati, uguaglianza totale
tra uomini e donne, aumento della produttività sul modello Stacanovista,
implementazione di quote di produzione, nazionalizzazione integrale delle grandi
industrie, riorganizzazione dell’esercito, decentralizzazione generale, Thorez
gestisce tutto nei dettagli, ma nemmeno implementerà pedissequamente il modello
sovietico in Francia, perché i Francesi restano legati alla democrazia e alla
proprietà privata, e inoltre deve far seguire al paese un proprio modello di
Comunismo, una via differente simile a quella della Jugoslavia, e questo modello
verrà messo rapidamente alla prova, perché nel resto d’Europa il Piano Marshall
è stato implementato a gran velocità.
Nel 1950 la Germania Ovest, finora divisa in diverse zone d’occupazione, viene
riunificata, o perlomeno le zone americane e inglesi, perché la Francia, senza
sorpresa, si rifiuta di far unire la sua zona al nemico capitalista.
Di conseguenza la zona d’occupazione francese diventa indipendente col nome di
Repubblica Socialista del Reno, uno stato Comunista sotto influenza francese che
diventa il terzo stato tedesco dopo la Germania Ovest capitalista e la Germania
Est Comunista.
I Rossi avanzano ovunque, e adesso a Washington devono fare delle scelte.
Quando la Corea del Nord attacca il suo vicino del sud nel Giugno 1950 per la
sorpresa di tutti, gli Stati Uniti non riescono a far votare a favore di un
intervento dell’ONU, perché la Francia Comunista, che ha un seggio al Consiglio
di Sicurezza, pone il suo veto.
L’America è già impegnata militarmente in Indocina a sostegno dei Francesi
anticomunisti, e se il Presidente Truman decidesse di dividere ulteriormente le
sue forze intervenendo in Corea i Rossi potrebbero approfittare dell’occasione
per estendere la loro influenza in Europa.
Gli Americani adesso devono abbandonare la Corea, che viene unificata alla fine
del 1950 sotto il dominio del grande leader Kim Il-sung.
Ancora peggio, l’anno seguente, nel 1951, la Grecia cade a sua volta.
La guerriglia Comunista, che lottava contro il governo dal 1946, ha finito per
vincere e proclamare la Repubblica Sociale di Grecia.
L’effetto valanga è iniziato, il passaggio al Comunismo di una grande potenza
come la Francia ha fatto da catalizzatore.
La strategia del contenimento è un fallimento totale per gli Stati Uniti e
l’Inghilterra, che iniziano poco a poco a perdere le speranze nella sfida contro
i Rossi, e i diversi governi prendono delle misure anticomuniste sempre più
dure.
Siamo nel Settembre del 1953 nella città di Costantina, nell’Algeria francese.
Il Generale De Gaulle riceve la peggiore notizia dell’anno: l’Indocina è caduta,
il contingente francese è stato annientato e quello che rimane delle truppe
americane si ritira dalla regione.
I Rossi vincono un’altra battaglia.
Anche se il generale è ancora molto attaccato alla sua politica di indipendenza
della Francia rispetto ai Comunisti e agli Americani, sa che non ha più i mezzi
per portarla avanti.
Di fatto la situazione è pessima per tutti i Francesi delle colonie in lotta
contro i Rossi.
Ogni settimana migliaia di Europei sbarcano ad Algeri e ad Orano, ingrossando la
folla di esiliati che fuggono dal regime Comunista della madrepatria.
In lontananza il generale sente un’esplosione.
Gli indipendentisti sostenuti dai Rossi si fanno sempre più audaci.
Nel 1953 l’Africa Francofona è diventata una sorta di secondo stato francese
sottomesso ad una dittatura militare, che De Gaulle ha ritenuto un bene imporre
per tenere a bada le azioni di guerriglia sempre più violente.
I combattenti autoctoni, inquadrati dai Comunisti e inviati dal territorio
metropolitano, fanno passare un inferno ai Gollisti rifugiati nelle colonie.
Ancora peggio, i soldati di recente hanno catturato dei volontari
anticolonialisti italiani inviati dal nuovo regime Comunista che ha preso il
controllo di Roma al termine di una guerra civile che è durata cinque anni.
In Europa occidentale i regimi Comunisti francese, greco e adesso italiano, che
non possono contare sul sostegno aperto di Stalin, hanno deciso di formare
l’Internazionale Sindacalista, un’alleanza di circostanza e di mutua difesa
destinata principalmente a dissuadere gli Stati Uniti, ma anche l’Unione
Sovietica, da ogni idea d’attacco, ma la Francia sprofonda giorno dopo giorno
nella dittatura.
Maurice Thorez gode ormai di un culto della personalità simile a quello di
Stalin, numerose manifestazioni vengono represse e diversi oppositori vengono
imprigionati.
La propaganda ufficiale gira a pieno regime, e fa passare il Generale De Gaulle
per un fantoccio degli Americani.
Alcuni giornali vengono proibiti, e tutte le persone sospettate di Gollismo
vengono strettamente sorvegliate o incarcerate.
La deriva Stalinista del governo Thorez viene subita anche dagli stessi
Comunisti.
Trockisti, Maoisti, Socialisti, tutti vengono messi ai margini del PCF per
privilegiare la linea politica ufficiale.
All’interno il malcontento aumenta, e la salute in peggioramento del Compagno
Thorez spinge i suoi oppositori a passare all’azione.
Siamo a Dakar, l’8 Maggio del 1956.
Tony Carbone ha il viso madido di sudore.
Questo malvivente vicino alla Mafia Corsa è arrivato da lontano per compiere una
missione, una missione della massima importanza che gli ha affidato un agente
operativo della CIA.
Se lui avrà successo il governo americano chiuderà un occhio sul traffico di
cocaina organizzato dal porto di Marsiglia verso gli Stati Uniti.
Se si rifiuterà, lui e i suoi amichetti verranno abbattuti fino all’ultimo.
Non c’è scelta, deve obbedire.
Il bersaglio si avvicina in una vettura facendo ampi saluti con la mano ad una
folla di Senegalesi trattenuta a malapena da dei soldati.
All’ultimo momento Tony si avvicina, estrae un’arma e spara tre colpi nel petto
del Generale De Gaulle, che muore sul colpo.
Il vecchio e le sue volontà d’indipendenza sono diventati troppo ingombranti per
il governo americano, che teme che la sua mancanza di mezzi e il suo rifiuto di
farsi mettere sotto tutela statunitense farà soccombere l’Africa al Comunismo.
Il Presidente Eisenhower ha ordinato ai suoi servizi di assassinare De Gaulle, e
di mettere le colonie francesi sotto protettorato americano.
All’indomani dell’assassinio truppe della NATO penetrano in Algeria.
L’impero coloniale francese non esiste più.
Una settimana più tardi, sul continente, un colpo di mano organizzato dal numero
tre del governo Comunista, Auguste Lecœur, costringe un Maurice Thorez sfiancato
dalla malattia a dimettersi dall’incarico del presidente.
Il grosso del lavoro è fatto, e lo Stalinismo adottato da Thorez viene spazzato
via in favore di una versione del Comunismo più fedele alla linea Trockista, che
si suppone essere più democratica e decentralizzata.
Si respira una nuova aria, mentre negli Stati uniti si alzano numerose voci per
far cessare la lotta internazionale contro il Comunismo, che costa troppo e non
funziona affatto.
Gli Americani che desiderano vedere il loro paese concentrarsi solo su suoi
interessi più immediati sono ogni giorno più numerosi.
All’inizio del 1967 la Francia è molto diversa rispetto alla realtà.
Grazie ad un programma comune con l’Italia, il paese si è dotato della bomba
atomica e persegue una politica militare di indipendenza.
Certo, la fuga di una buona parte delle élite economiche ha frenato di molto lo
sviluppo, ma l’economia inizia a riprendersi.
La repressione degli anni Thorez si è fortemente attenuata.
All’Assemblea Nazionale ormai si contrappongono tutta una miriade di correnti
politiche tenutarie di un Comunismo più o meno radicale.
Come a riflettere la divisione dei loro rappresentanti, i Francesi hanno optato
tramite referendum per porre fine alla Quinta Repubblica e proclamare la Comune
di Francia, un nuovo tipo di governo Comunista che permette l’organizzazione di
un sistema fortemente decentralizzato, che autorizza le regioni e i comuni a
definire loro stessi le politiche che gli convengono.
La Francia è dunque diventata una federazione di Comuni incentrate attorno a
branche sindacali locali, e gestite su scala nazionale da un Comitato Centrale.
In Europa, l’Austria si è unita all’Internazionale Sindacalista al fianco della
Francia, dell’Italia e della Grecia.
I paesi vicini del Benelux, o ancora della Germania Ovest, sono rimasti privi di
un mercato comune europeo, perciò la loro economia rimane in piedi solo grazie
ai sussidi americani, e fanno fatica a resistere agli assalti ideologici dei due
mastodonti industriali che sono la Francia e l’Italia.
Il modello Comunista dell’Europa occidentale è molto differente da quello
dell’URSS, è adatto alla mentalità locale più indipendente e desiderosa di
dibattiti.
I concetti di libera impresa e di proprietà privata non sono stati affatto
soppressi, il che ha permesso la nascita di un’economia originale, sostenuta da
un regime semi-democratico dove i dibattiti e l’opposizione sono autorizzati
fino a quando rimangono entro certi confini ideologici.
Proponendosi come difenditrici delle genti oppresse e promotrici della
decolonizzazione e dell’autodeterminazione dei popoli, le idee proposte dai
paesi dell’alleanza sindacalista danno fastidio al potere sovietico e stimolano
la gioventù in Europa orientale.
Malgrado numerose cooperazioni in campo scientifico e industriale, non tarda
affatto a crearsi una rivalità fra i due blocchi Comunisti europei.
È con questa rivalità, che aumenterà sempre più, che le elezioni presidenziali
americane del 1968 vedranno Richard Nixon arrivare al potere, ma con un
programma molto diverso rispetto a quello della realtà.
Nixon ha beneficiato dell’aiuto di un Partito Repubblicano che ha adottato una
linea fermamente isolazionista.
Gli Americani non credono più alla strategia del contenimento del Comunismo, e
non vogliono più rischiare di portare il loro paese alla guerra per salvare un
continente conquistato dai Rossi.
Nixon prende dunque la decisione di ritirare tutte le sue truppe dall’Europa
continentale, e di limitare la strategia del contenimento del Comunismo al
giardino di casa, ovvero il continente americano, il Giappone, l’Inghilterra e
una parte del Pacifico.
I dettami di questa strategia professano che gli Stati Uniti sono abbastanza
potenti per poter essere autosufficienti e proteggere qualche paese di loro
scelta, ma non abbastanza da imporre il capitalismo al mondo intero, anche se
per capirlo ci sono voluti più di 20 anni ad accumulare sconfitte e ritirate.
La Guerra Fredda è finita, il nuovo ordine mondiale è ormai Comunista, con
differenti sfumature di questa ideologia a seconda dei luoghi.
Nel 1972 il mondo ha preso atto della ritirata americana.
Dopo una guerra aperta di qualche settimana, la Cina ha invaso e poi annesso
l’isola di Taiwan.
Il Benelux si è unito all’Internazionale Sindacalista.
Dopo una crisi che ha quasi condotto ad un confronto nucleare tra l’Europa
occidentale e l’Unione Sovietica, viene finalmente trovato un accordo riguardo
alla spartizione della Germania: il paese verrà unificato.
Germania Est, Germania Ovest e Repubblica Socialista del Reno si riuniranno per
diventare la Repubblica Sociale Tedesca, un paese Comunista neutrale che agirà
da zona cuscinetto tra i due blocchi Comunisti europei, tra i quali la rivalità
aumenta ogni settimana che passa.
Il lavoro ideologico del Partito Socialista Unificato di Germania operato in
Germania Ovest dal 1946 verrà ripagato.
Il paese cade come un frutto maturo.
Solo la Svizzera resiste, isola capitalista nel bel mezzo dell’Europa, ma ha
subito una leggera depressione.
In effetti il sistema bancario svizzero è molto pratico, perché i governi
Comunisti hanno bisogno di qualche valuta straniera di tanto in tanto.
I paesi scandinavi e l’Inghilterra, isolati in Europa, sono diventati dei paesi
chiusi in loro stessi dove le libertà politiche vengono limitate per evitare
l’ascesa del Comunismo e la caduta degli ultimi bastioni capitalisti in Europa.
L’ombrello nucleare americano, la rivalità fra i vari blocchi Comunisti e un
autoritarismo sempre più forte dissuadono all’istante ogni idea di aggressione o
conquista politica, e lo faranno per molto tempo.
Ormai esistono tre blocchi Rossi: il blocco sovietico, il blocco dell’Europa
occidentale e il blocco cinese.
In Africa, la partenza delle truppe americane dalle colonie francesi scatena una
serie di rivolte che costringono le autorità lealiste a concedere l’indipendenza
alla maggior parte dell’impero.
Molti di questi nuovi paesi francofoni dispongono di una minoranza bianca molto
più importante che nella realtà per via dell’immigrazione europea maggiore che
hanno visto le colonie in seguito al colpo di stato Comunista.
Solo l’Algeria, popolata al 40% da persone di origine europea, resta francese, o
per meglio dire diventa uno stato a parte, né francese né algerino, una
repubblica indipendente, una democrazia imperfetta che ormai non ha più niente a
che vedere con la Francia, preda di sporadici movimenti indipendentisti
brutalmente repressi e rifugio di una popolazione europea alla ricerca di
vendetta.
Siamo da qualche parte a Parigi all’inizio degli anni ’80.
Col cappello calato sul volto, le mani nelle tasche di un grosso cappotto, un
eminente antropologo passeggia per le vie della capitale.
Un antropologo il cui nome potrebbe dirvi qualcosa, perché si tratta di Jacques
Chirac.
In un’altra realtà sarebbe potuto essere destinato ad una carriera politica, a
laurearsi all’École Nationale d’Administration o a diventare presidente, chissà,
ma in questo mondo dove la Francia è diventata Comunista il giovane non ha mai
abbandonato le sue idee di sinistra.
Lui che era stato per breve tempo membro del Partito Comunista Francese durante
i suoi studi, non ha mai scoperto la sua sensibilità Gollista.
Nel 1950 di questa realtà i suoi parenti sono fuggiti in Algeria per unirsi al
Generale De Gaulle, cosa che si è rifiutato di fare.
Liberato dalla pressione familiare, ha completato il suo servizio militare in
una caserma del continente, in seguito si è gettato in quella che era la sua
passione fin dall’infanzia: l’antropologia, lo studio dei popoli, del mondo e
dell’essere umano.
Diventato uno dei più grandi esperti nel suo campo, è riuscito a vedere il suo
paese barcamenarsi tra i grandi scossoni della storia.
Ha visto le privazioni del dopoguerra, il terrore politico degli anni Thorez, la
scissione dell’Algeria e la fuga di milioni di Francesi, tra i quali molti dei
suoi parenti, gli attentati nelle vie di Parigi, il panico quando si credeva che
una guerra contro l’URSS fosse vicina, e infine, in questo decennio 1980, un
certo ritorno alla calma.
Chirac decide di girovagare in riva alla Senna, gettando un occhio distratto al
paesaggio.
Negli anni ’50 numerose abitazioni antiche sono state abbattute per essere
sostituite da grandi palazzi in stile sovietico, eredità degli anni Thorez.
Negli anni ’60 e ’70, un periodo di sperimentazione architettonica guidato
dall’architetto Jean-Louis Chanéac, e incoraggiato dal nuovo governo, sono stati
costruiti degli edifici straordinari dall’architettura più originale e colorata.
Per le strade non ci sono negozi alla moda come se ne possono vedere a New York
o a Londra, ma immense cooperative popolari che forniscono alla popolazione un
assortimento di beni di prima necessità o che distribuiscono a volte dei buoni
benzina in caso di penurie occasionali.
All’epoca dei suoi viaggi di lavoro negli Stati Uniti, Chirac è rimasto
impressionato dalla varietà dei beni disponibili nei negozi, una varietà
inesistente in Francia, anche se la situazione è molto migliore che in Unione
Sovietica.
Grazie all’alleanza dei paesi Comunisti dell’Europa occidentale e ad un concetto
di libera impresa molto meno limitato che negli altri paesi Comunisti, la
Francia è riuscita a stabilire un modello di governo persistente.
Anche se non c’è affatto abbondanza, le persone hanno tutte una casa, il
riscaldamento e cibo.
L’avvenire appare pieno di promesse, è l’ora dei grandi progetti, di un’Europa
Comunista delle nazioni che unisca le sue forze per organizzare dei programmi
nucleari, spaziali e militari comuni.
I Comunisti non hanno più bisogno di dimostrare la superiorità del loro sistema,
e i capitalisti americani seguono una politica isolazionista.
La corsa allo spazio non è mai iniziata, e le grandi potenze non hanno iniziato
che molto di recente ad esplorare questo dominio.
Arrivato alla fine della sua passeggiata, Chirac decide di comprare L'Humanité,
il giornale che vendeva un tempo nei suoi anni giovanili.
Certo, l’informazione è controllata dal governo, ma Chirac vuole semplicemente
fare un po’ qualcosa d’altro che camminare.
Malgrado l’ambiente tranquillo, le prime pagine del quotidiano annunciano un
mondo in crisi.
In Spagna il potere di Franco, l’ultimo leader Fascista d’Europa, è in procinto
di vacillare, vittima di immense manifestazioni studentesche.
Gli studenti sono in agitazione anche in Europa orientale, influenzata dalle
idee politiche provenienti dall’ovest del continente.
Gli scritti dell’autore russo Solženicyn che denunciano il sistema dei gulag
sovietici sono stati diffusi ovunque dalla propaganda francese col fine di
destabilizzare un’URSS in piena tempesta, un’URSS sull’orlo dell’esplosione che
è diventata incapace di contenere l’esasperazione della sua gioventù e che
sembra completamente indifesa di fronte alla concorrenza ideologica del
Comunismo dell’Europa occidentale.
Passando ad altro, il Ministro delle Infrastrutture François Mitterrand ha
annunciato la costruzione di un immenso monumento dedicato alla Comune e al
progresso, che dovrebbe celebrare la lotta del proletariato contro il
capitalismo.
Anche se nel profondo è Comunista, Chirac non può trattenersi dal criticare
questo progetto così costoso e inutile.
Le élite Comuniste parigine, i loro grandi progetti e i loro grandi discorsi
sono molto scollegati dalle preoccupazioni delle provincie, come ha potuto
constatare Chirac durante i suoi soggiorni in campagna.
Ha avvertito un solco scavarsi tra le provincie rimaste nell’animo a maggioranza
Stalinista, legate a Maurice Thorez e ai valori tradizionali, e tra i centri
urbani, più liberali nelle idee politiche ma anche nei costumi.
La Francia delle Comuni si è di fatto divisa sempre più.
In diversi luoghi la destra ha riguadagnato terreno poco a poco, e ha abusato
del sistema per instaurare in certe città un sistema capitalista o libertario.
Altre Comuni sono piombate in piena deriva settaria, altre ancora sono bloccate
in un sistema a tutti gli effetti dittatoriale.
Culmine del delirio, certe Comuni guidate da giovani ideologi sono arrivate
addirittura a qualificare il pudore e la morale un’aberrazione capitalista,
dando luogo a orge pubbliche che al Comitato Centrale non piacciono affatto.
Questa decentralizzazione estrema non ha portato a nulla di buono, è difficile
tenere il paese unito allentando troppo le briglie, perciò è da diversi mesi che
il Comitato Centrale sta lanciando l’idea di un ritorno all’ordine, e forse ad
un governo più autoritario, a rischio di scatenare una guerra civile.
La fine del giornale non è che una successione di articoli di propaganda e di
locandine in stile neo-Comunardo che dovrebbero promuovere lo sport e lo spirito
di solidarietà, seguiti da un cruciverba.
Una volta terminata la sua lettura, Jacques Chirac posa il suo giornale, guarda
di sfuggita la fila interminabile di automobili standardizzate Renault, che è
diventata l’unica marca di auto autorizzata alla vendita in Francia, e si
accende una sigaretta, lasciando vagare la mente al ritmo della musica che un
artista di strada si è messo a suonare.
Chissà chi sarebbe potuto essere in un’altra vita, in un’altra versione del
mondo.
È così assorbito dalle sue riflessioni che quasi non sente le sirene che da
lontano hanno incominciato a rovinare l’atmosfera.
.
Restituiamo la parola al solito Dario Carcano:
I ponti sullo stretto di Messina
Il primo ponte sullo stretto di Messina fu realizzato in epoca romana: secondo quanto narrato da Plinio il Vecchio e Strabone, nel 251 a.C. il console Lucio Cecilio Metello fece costruire sullo stretto un ponte di barche per trasportare sull'altra riva 140 elefanti da guerra catturati a Palermo, dopo la vittoriosa battaglia contro i cartaginesi.
Bisogna però fare un balzo di quasi due millenni perché si inizi a parlare di un ponte permanente sullo stretto: nel 1840 il re delle Due Sicilie, Ferdinando II, commissionò uno studio per valutare la fattibilità di un simile progetto; il ponte fu giudicato fattibile, e venne steso un progetto, ma i costi spinsero il sovrano a rinunciare all'effettiva costruzione del ponte.
Questi studi però furono
ripresi nel 1866, dopo l'unità d'Italia, dal ministro Stefano Jacini, che
commissionò un progetto ad Alfredo Cottrau, uno dei massimi esperti nella
progettazione di strutture metalliche; Cottrau stese un nuovo progetto, che
ottenne il via libera nel 1869; nello stesso anno fu posata la prima pietra del
ponte, e partirono i lavori per la costruzione.
Gli studi avevano mostrato che la costruzione del ponte era possibile, non che
sarebbe stata semplice: il cantiere fu da subito piagato da numerosi problemi,
innanzitutto le numerose morti per embolia gassosa degli operai impegnati negli
scavi sottomarini, necessari per costruire le fondazioni del ponte, cui si
aggiunsero ritardi di vario genere e costi lievitati nel corso dei lavori. Il
ponte fu completato nel 1876, dopo quasi diciotto anni di costruzione e 107
operai morti nella realizzazione della struttura.
Nonostante la pessima reputazione che fin da subito si creò intorno al ponte,
questo divenne fin da subito un fiore all'occhiello dell'ingegneria italiana,
una dimostrazione dell'efficienza del governo unitario.
Ma, come ben sapete, il 28
dicembre 1908 Messina fu colpita da uno dei terremoti più devastanti della
storia del XX secolo; il ponte non fece eccezione, e nonostante fosse
sopravvissuto al terremoto, le analisi strutturali evidenziarono come la
struttura fosse pericolante, e non più adatta a sostenere il traffico
ferroviario, pur essendo ancora adatto al traffico pedonale; così, per tre mesi
il ponte Cottrau fu attraversato a piedi dai soccorritori diretti a Messina.
Terminate le operazioni di primo soccorso, nel maggio 1909 il ponte fu demolito
in maniera controllata.
Immediatamente partirono i progetti per costruire il nuovo ponte, e la scelta
cadde sulla proposta di Antonino Calabretta, ingegnere del genio navale; ma i
lavori subirono molti ritardi. In primis la necessità di ripulire il terreno
dalle macerie del ponte Cottrau, e la demolizione delle fondazioni del vecchio
ponte, non più utilizzabili per i danni del sisma, fecero sì che i lavori di
costruzione partirono solo nel 1913. Due anni dopo l'Italia entrò nella prima
guerra mondiale, e lo sforzo bellico assorbì gran parte del bilancio statale,
facendo passare in secondo piano tutto il resto, tra cui il ponte.
Negli anni del conflitto il cantiere fu completamente fermo, e i lavori
ripresero solo nel 1919, alla fine delle ostilità. Nel 1922 i lavori andavano
ancora a rilento, quando nell'ottobre di quell'anno Mussolini prese il potere.
Fin da subito Mussolini, per
mostrare al mondo intero il valore della nuova Italia fascista da lui creata,
impose una decisa accelerazione sui lavori del ponte: per fare prima furono
rimossi molti controlli di sicurezza, e anche le condizioni lavorative
peggiorarono. Si lavorava ventiquattr'ore al giorno, e gli operai erano
costretti a massacranti turni straordinari in aggiunta a quelli regolari; in
più. per poter millantare che nel cantiere nessun operaio moriva o restava
ferito, gli operai che necessitavano cure mediche non potevano essere
ospedalizzati a Messina, e venivano spediti a Catania; nemmeno i funerali si
tenevano a Messina, infatti tutti gli operai morti nella costruzione del ponte
Calabretta sono tuttora sepolti a Catania.
Tutto questo fece moltiplicare le morti e la letalità degli incidenti; tuttora
non esistono stime precise sul numero di operai morti, perché il regime fascista
si adoperò per far sparire i dati, e attribuire le morti ad altre cause slegate
dal lavoro nel cantiere - così, sul certificato di morte dell'operaio morto con
le ossa fracassate per essere caduto da un'impalcatura di venti metri, si
scriveva che la causa del decesso era una sepsi dell'apparato digerente, e che
il decesso era avvenuto a Catania e non a Messina - ma nonostante questo, gli
storici sono riusciti a stimare che nella costruzione del ponte Calabretta siano
morti tra i 400 e i 500 operai come minimo.
Il ponte Calabretta fu inaugurato nel gennaio 1925, e come il ponte Cottrau
divenne da subito un fiore all'occhiello dell'ingegneria italiana.
Il ponte Calabretta ebbe però vita più breve del ponte Cottrau: il 17 agosto 1943, quando le avanguardie alleate di Patton e Montgomery erano ormai ad un tiro di schioppo da Messina e si apprestavano ad occupare la città, le truppe tedesche in ritirata dalla Sicilia, ultimate le operazioni di evacuazione della città, minarono il ponte e lo fecero saltare, distruggendolo. 116.861 militari italiani della VI armata del generale Alfredo Guzzoni restarono indietro, senza poter essere evacuati a loro volta a causa della demolizione del ponte operata dai tedeschi; saranno presi prigionieri dagli anglo-americani.
Nel comando anglo-americano
ci furono proposte di ricostruire il ponte per aumentare la capacità logistica
degli alleati, ma la resa dell'Italia e lo spostamento della linea del fronte in
Campania fecero cadere nel vuoto queste proposte.
Solo con la fine della guerra si ricominciò a parlare concretamente di
ricostruire il ponte, e nel 1949 il governo guidato da De Gasperi creò un tavolo
di lavoro per valutare i progetti del ponte; fu scelto il progetto di Riccardo
Morandi, ingegnere esperto nell'uso del calcestruzzo armato, che scelse proprio
questo materiale per costruire il ponte. Un materiale praticamente eterno, con
cui si sarebbe costruito un ponte che sarebbe durato secoli.
I lavori partirono nel 1952, e vennero ultimati nel 1961, senza operai morti
nella costruzione. Il ponte fu inaugurato dal presidente Giovanni Gronchi, che
lo attraversò a bordo dell'auto presidenziale, e venne considerato un nuovo
fiore all'occhiello dell'ingegneria italiana, e un monumento alla resilienza
dell'Italia, capace di rialzarsi dalle proprie tragedie e tornare sulla ribalta
più forte di prima. Il ponte diventerà anche un simbolo degli anni del boom e
del miracolo economico italiano.
Però c'era un però; nel
calcestruzzo armato l'armatura è fatta d'acciaio, e l'acciaio col tempo tende ad
arrugginire, specialmente in un'area ad alta salsedine come lo stretto di
Messina. E l'acciaio, arrugginendo, tende ad aumentare di volume, frantumando il
calcestruzzo che si trova attorno ad esso. Tutto questo negli anni '50 era
ancora poco noto, e sarebbe stato studiato in maniera approfondita solo nei
decenni successivi, ma nei fatti il ponte, lungi dall'essere eterno, col passare
dei decenni divenne sempre più debole.
Già negli anni '90 veniva riportata la caduta di calcinacci, e negli anni 2000
le immagini dei piloni del ponte crepate dall'invecchiamento del materiale
facevano il giro del web; tuttavia, non si discusse mai di interventi
straordinari sul ponte, o di una demolizione controllata per costruirne uno
nuovo, complice anche la privatizzazione della società Autostrade. Gli unici
interventi furono superficiali, mai rivolti al consolidamento della struttura
del ponte.
Il 14 agosto 2018 il ponte Morandi crollò sotto il proprio peso, portando con sé 86 automobilisti che lo stavano attraversando.
.
Questo è il commento in merito di Alessio Mammarella:
Secondo me i tuoi ponti sullo stretto di Messina sono una metafora dell'Italia, delle sue ambizioni, dei suoi risultati e dei suoi fallimenti. Fallimenti che derivano certo da condizioni ambientali particolarmente difficili: in altre parti del mondo, con minori problemi di sismicità e di correnti marine, costruire un ponte del genere (o di tipo diverso, o un tunnel) sarebbe stato possibile. In generale, l'Italia è bellissima per il suo paesaggio ma è anche fortemente svantaggiata per lo sviluppo di una moderna economia industrializzata. Altrove ci sono immense pianure solcate da fiumi navigabili, condizioni ideali per i trasporti, mentre da noi la morfologia del territorio rende sempre più difficile e costoso costruire le infrastrutture. E ciò nonostante gli abitanti di questa penisola non si vogliono rassegnare e provano a colmare le lacune della geografia attraverso l'ingegneria (o perlomeno, immaginano di farlo...)
.
Perchè No? ha poi avuto un'altra delle sue genialissime idee:
Ucronia musicale
In realtà la mia non è esattamente un'ucronia musicale, ma una serie di ucronie illustrate con gli eventuali inni di ogni versione di una Francia ucronica:
1)
Regno di Francia (monarchia parlamentare, nato nel 1790 con la
proclamazione di Luigi-Augusto I, ex-Luigi XVI, come re dei Francesi. Re
attuale: Francesco III).
Inno :
Grand Dieu Sauve le Roi (sì, la versione originale francese dell'inno
britannico della nostra TL!)
2)
Impero francese (monarchia parlamentare, nato nel 1804 con
l'incoronazione imperiale di Napoleone I. Imperatore attuale: Napoleone VII)
Inno : Le
Chant du Départ (talvolte chiamata la sorella della Marsigliese)
3)
Regno dei Francesi (monarchia parlamentare, nato nel 1830 con la salita
al trono di Luigi-Filippo I di Orléans. Re attuale: Giovanni IV)
Inno :
Vive Henry IV! (invece queste sono
le parole,
perché sono belle).
NB : non l'ho proposta per un Ancien Régime eterno perché non esisteva in questa
forma prima della restaurazione e corrisponde meglio allo spirito della
monarchia di Luglio)
4)
Unione delle Comuni Popolari di Francia (Repubblica confederale, nata nel
1870 dopo la proclamazione della Comune di Parigi, diretta da un Comité Exécutif
di Salut Public).
Inno :
L'Internationale (ovviamente)
5)
Regno di Francia (monarchia autoritaria, Seconda Restaurazione, nata nel
1873 con la salita al trono di re Enrico V. Re attuale: Luigi XX)
Inno :
Grand Dieu Sauve le Roi (inutile cercare altro)
6)
Stato di Francia (Stato autoritario di stampo fascista, nato nel 1940 con
l'attribuzione dei pieni poteri al maresciallo Pétain, diretto oggi dal
presidente a vita Jean-Marie Le Pen).
Inno :
Maréchal, nous voilà! (un vero incubo!)
7)
Repubblica Democratica di Francia (Repubblica comunista, nata nel 1945
con la liberazione di Parigi dai Sovietici, diretta oggi dal segretario del PCF
Fabien Roussel).
Inno : Le
Chant des partisans (non veramente di ispirazione comunista, ma in questa TL
potrebbe diventarlo)
8)
Repubblica Francese d'Algeria (Repubblica sotto regime di Apartheid, nata
nel 1962 dopo il colpo di Stato di Algeri e la separazione dalla Francia).
Inno :
L'Algérienne (questa é ridicola ma esiste davvero)
Era un piccolo divertissement. Qualcuno si offre volontario per una versione italiana?
.
Ad offrirsi volontario è Lord Wilmore:
1)
Impero Romano (mai caduto fino al presente grazie alla costruzione della
Grande Muraglia Romana. Capitale: il Senato ha sede a Roma, l'imperatore a
Strasburgo. Attuale imperatore: Carlo IX d'Asburgo. Primo Ministro: Ursula Von
der Leyen)
Inno: Inno
alla Gioia (musica di Ludwig Van Beethoven, parole in latino)
2)
Regno d'Italia (sorto nel 552 in seguito alla vittoria di Tagina del Re
Goto Totila contro le truppe bizantine del generale Narsete, mantenutosi
indipendente per 1500 anni. Capitale: Gualdo Tadino. Attuale sovrano: Totila X.
Primo Ministro: Matteo Renzi)
Inno: Dio
Salvi il Re (versione italiana dell'inno inglese)
3)
Regno d'Italia (sorto nel 1405 con la conquista del titolo di Re d'Italia
e di Grande Elettore del Sacro Romano Impero da parte di Gian Galeazzo Visconti,
esteso alle Alpi, alla Pianura Padana, all'Emilia, alla Toscana, alle Marche,
all'Umbria, alla Sardegna e alla Corsica. Capitale: Milano. Attuale sovrano:
Filippo Maria VI. Primo Ministro: Attilio Fontana)
Inno: O
mia bèla Madunina (parole e musica di Giovanni D'Anzi)
4)
Regno d'Italia (sorto nel 1805 in seguito alle guerre napoleoniche, il
suo capo di stato è di diritto l'Imperatore dei Francesi. Capitale: Milano.
Attuale Sovrano: l'Imperatore dei Francesi Napoleone VII. Vicerè: Giuseppe Sala)
Inno:
Marcia Napoleonica (con parole in italiano aggiunte da Alessandro Manzoni)
5)
Confederazione Italiana (stato federale nato nel 1849 in seguito alla
Prima Guerra d'Indipendenza, una confederazione di stati sovrani con presidenza
a rotazione. Capitale: Roma. Attuale Capo di Stato di turno: Carlo Saverio di
Borbone-Parma. Presidente del Consiglio dei Ministri di turno: il Primo Ministro
del Regno delle Due Sicilie Vincenzo de Luca)
Inno: Si
scopron le tombe (l'Inno di Garibaldi, parole di Luigi Mercantini, musica di
Alessio Olivieri)
6)
Repubblica Romana (sorta in seguito ai moti del 1849. I francesi non la
difendono e neppure gli austriaci, impegnati come sono su altri fronti. Un
Congresso delle Grandi potenze decide che soltanto Roma e Viterbo come province
rimangano indipendenti. Anche se al papa Pio IX da parte dei consoli della
Repubblica vengono garantite tutte le libertà di esercitare il proprio
ministero, egli non si fida e temporaneamente sposta la sede a Bologna. Solo
successivamente, in seguito ai Patti Lateranensi, riprenderà il possesso della
Città Eterna grazie alla creazione dello Stato Vaticano del 1929. Capitale:
Roma. Attuale Presidente della Repubblica: Emma Bonino. Primo Ministro: Virginia
Raggi)
Inno: Inno
a Roma (parole di Fausto Salvatori, musica di Giacomo Puccini)
7)
Regno d'Italia (monarchia parlamentare, nata il 17 marzo 1861 e
sopravvissuta al Referendum del 1946. Capitale: Roma. Re attuale: Vittorio
Emanuele IV di Savoia-Carignano. Presidente del Consiglio dei Ministri: Giuseppe
Conte)
Inno:
Marcia Reale (non ci crederete mai, ma non mi dispiaceva)
8)
Repubblica Sociale Italiana (stato autoritario, nato nel settembre 1943
con Benito Mussolini come capo di stato. Capitale: Roma. Attuale capo di stato:
Matteo Salvini. Primo Ministro: Giorgia Meloni)
Inno:
Giovinezza, Giovinezza (sigh!)
9)
Repubblica Popolare Italiana (regime comunista monopartitico sorto nel
1945 in seguito all'occupazione dell'Italia del Nord da parte delle truppe
sovietiche. Capitale: Firenze. Attuale Presidente del Soviet Supremo: Maura
Cossutta)
Inno:
Bandiera Rossa (doppio sigh!)
10)
Stato Italiano (Regime autoritario sorto nel 1970 in seguito al golpe
militare che con l'appoggio degli USA abbatté il governo a guida PCI dopo la
vittoria elettorale di quest'ultimo. Capitale: Roma. Capo di Stato Attuale e
Presidente del Consiglio dei Ministri: Ammiraglio Giampaolo di Paola)
Inno: La
Leggenda del Piave (questa invece mi è sempre piaciuta!)
11)
Repubblica Federale di Padania (stato dominato dalla coalizione del Polo
delle Libertà e della Lega Nord, nato nel 1997. Capitale: Pontida. Attuale capo
di stato: Renzo Bossi)
Inno: Va,
Pensiero, sull'Ali Dorate (il video è da vedere!!)
12)
Stato Pontificio (l'antico Patrimonium Petri ha perso le Legazioni e la
Romagna ma ha assorbito la Sicilia di Qua dal Faro, la Sicilia di Là dal Faro,
la Sardegna e l'Isola di Malta. Capitale: Roma. Attuale Capo di Stato: Papa
Francesco, al secolo Jorge Mario Bergoglio. Primo Ministro: Paola Binetti)
Inno:
Marcia Pontificale (musica di Charles Gounod)
13)
Regno delle Due Sicilie (sopravvissuto al Risorgimento nei confini del
1859. Capitale: Napoli. Attuale Re: Pietro I di Borbone-Due Sicilie. Primo
Ministro: Leoluca Orlando)
Inno: Inno
al Re (musica di Giovanni Paisiello)
14)
Regno Federale di Sicilia (sorta in seguito alle conseguenze della
spedizione dei Mille, nella quale il 17 maggio 1860 Giuseppe Garibaldi si
autonominò "dittatore di Sicilia". Successivamente Garibaldi contribuì a
liberare gran parte del Sud Italia, ma dopo il mancato accordo con Vittorio
Emanuele II a Teano, Garibaldi ritornò nell'isola, deluso e amareggiato, e negò
a Vittorio Emanuele la sua annessione, a costo di combattere una nuova guerra
contro di lui. Le Grandi Potenze intervennero e accettarono che la parte
continentale del Regno delle Due Sicilie fosse ceduta a Vittorio Emanuele II che
di lì a poco si proclamerà re d'Italia, mentre la Sicilia venne riassegnata ai
Borboni, a patto di avere una costituzione liberale e di accettare libere
elezioni. Garibaldi con un i suoi volontari sarebbe rimasto nell'Isola quale
garante, con poteri di controllo superiori a quelli del sovrano stesso.
Successivamente, con la morte di Francesco II di Borbone, il trono passò al
fratellastro Alfonso che confermò la Costituzione e, viste le diversità
dell'Isola, attuò le prime timide leggi di stampo federale. La sua casata
governa ancora oggi, anche se nel frattempo la monarchia ha progressivamente
ristretto i propri poteri fino ad averne soltanto di simbolici. Il primo inno
adottato, in ricordo della venuta dell'Eroe dei due Mondi a cui dovette peraltro
la propria autonomia, fu l'Inno di Garibaldi, mantenuto anche dopo la sua morte.
Solo in tempi recenti fu sostituito con un inno composto appositamente. Attuale
Primo Ministro: Sebastiano Musumeci)
Inno:
Madreterra (del compositore Vincenzo Spampinato)
15)
Repùbrica de Sardigna (nata in seguito alla disgregazione dell'Italia
punita dagli Alleati alla fine della WW1 per essersi schierata con gli Imperi
Centrali cambiando fronte dopo aver firmato il Trattato di Londra: alla fine la
Germania aveva convinto Vienna ad accettare le richieste italiane di Trento e
Trieste. Sorta inizialmente come protettorato dei Britannici che non potevano
permettere un ponte diretto dalla Francia all'Algeria, cosa compensata con la
Libia e la Val d'Aosta, otterrà completa indipendenza negli anni '60. Capitale:
Casteddu. Capo di Stato eletto a suffragio universale: Màssimu Tzedda,
ex-sindaco della capitale Casteddu, in questa TL Solinas non ha la campagna
elettorale curata da Salvini e quindi alle presidenziali è arrivato secondo.
Presidente del Consiglio: Manuelli Cani, segretario del Partidu Democràticu
anche in HL)
Inno: naturalmente
Procurad'e Moderare
(scritto da Frantziscu Innàtziu Manno durante i Vespri Sardi di fine Settecento)
16)
Libera Repubblica dell'Ossola (sorta come altre repubbliche partigiane,
fu l'unica ad avere una vita successiva alla Liberazione. Nacque quasi in
contemporanea ad altre repubbliche in seguito all'armistizio il 10 settembre
1944. Seppe resistere ai successivi assalti di repubblichini e nazisti anche
grazie alla solidarietà della vicina Svizzera. Anche in seguito alla Liberazione
dell'Italia preferì non aderirvi, avendo nel frattempo elaborato una
Costituzione e un'amministrazione del tutto indipendente. Attuale Presidente:
Arturo Lincio)
Inno:
Fischia il vento (famoso inno dei partigiani)
Che ne pensate?
.
Anche Dario Carcano ha voluto partecipare al gioco:
1)
Impero dei Franchi (formalmente: Impero Romano. L’Impero di Carlo Magno
che rimane unito e arriva ai giorni nostri. Nel 2020 include gran parte
dell’Europa continentale dalla Spagna fino al Volga, ha per capitale Aachen/Aquisgrana.
Imperatore dei Romani: Carlo IX d’Asburgo-Lorena. Cancelliere: Enrico Letta)
Inno nazionale: Custodiat Deus Imperium (Dio protegga l’Impero, sulle note del
Kaiserhymne di Haydn)
2)
Sacro Romano Impero (restaurato dopo il Congresso di Vienna, è governato
dagli Hohenzollern dopo la vittoria prussiana nella guerra civile del 1866.
Imperatore dei Romani: Guglielmo IV di Hohenzollern. Cancelliere: Hannelore
Kraft)
Inno nazionale:
Kaiserhymne (assieme a
Heil dir
im Siegerkranz)
3)
Confederazione Germanica (il Parlamento di Francoforte nel 1849 offre la
corona di Imperatore dei Tedeschi al Re di Prussia Federico Guglielmo IV, che
accetta; dopo una guerra contro l’Austria la Confederazione diventa uno stato
unitario. Imperatore dei Tedeschi: Guglielmo IV di Hohenzollern. Ministro
Presidente: Angela Merkel)
Inno nazionale:
Heil dir
im Siegerkranz)
4)
Repubblica Tedesca dei Consigli (sorta nel 1919 dopo la rivoluzione di
novembre e la fuga del Kaiser Guglielmo II dalla Germania. Inizialmente è uno
stato monopartitico sul modello sovietico, ma poi progressivamente si
democratizza, in particolare dopo l’avvento di Stalin da cui la Germania prende
le distanze. Presidente dello Stato: Gregor Gysi. Presidente del Consiglio dei
Ministri: Katja Kipping)
Inno nazionale:
Die
Internationale
5)
Grande Reich Tedesco (la Germania nazista, che ha vinto la Seconda Guerra
Mondiale perché Roosevelt viene assassinato il 15 febbraio 1933 e i suoi
successori isolazionisti non intervengono nella Seconda Guerra Mondiale. Leader:
Jörg Haider come Reichspräsident e Capo della Cancelleria dell'NSDAP)
Inno nazionale:
Das Lied
der Deutschen assieme all’Horst-Wessel-Lied
.
Pietro Bosi non è da meno:
1) Regno
di Spagna (a seguito della vittoria carlista nel 1840, Carlo Maria
Isidoro di Borbone diventa Re di Spagna con il nome di Carlo V e revoca la
costituzione, si instaura una monarchia autocratica, fino alla Rivoluzione
Spagnola del 1885 quando Carlo VII verrà esiliato. Motto: Dio, Patria e Re.
Primo Ministro: Pablo Casado Blanco)
Inno: Marcha
Real e
Marcha de Oriamendi
2)
Repubblica Spagnola (nata in seguito alla vittoria dei Repubblicani nella
Guerra Civile Spagnola. Neutrale durante la Seconda Guerra Mondiale, si dissociò
dall'URSS in seguito alla denuncia dei crimini di Stalin e nel 1957 aderì alla
CEE come stato fondatore. Attuale Presidente: Pedro Sánchez Pérez-Castejón.
Primo Ministro: Pablo Iglesias Turrión)
Inno:
Himno de Riego (musica di José Melchor Gomis)
.
L'ultimo contributo per ora è quello di Never75:
Volevo concludere questa Ucronia musicale con un auspicabile inno di una Federazione europea. Badate bene: non la semplice Unione europea attuale, ma un mega-stato che comprenda idealmente tutta l'Europa storica, estesa dalla Russia al Portogallo. Come inno mi piacerebbe fosse "Finlandia" di Sibelius. I motivi sono molti. Oltre che essere un bellissimo inno, il suo compositore è un europeo di confine e per di più appartiene a uno Stato minore rispetto a quelli che vengono sempre menzionati. Infine non è attualmente l'inno nazionale di nessuna nazione contemporanea (la stessa Finlandia ne ha un altro).
.
Per farci sapere che ne pensate, scriveteci a questo indirizzo.