di Demofilo
Il Movimento Sociale Italiano, fondato il 26 dicembre 1946 da Giorgio Almirante, da Pino Romualdi e da Giovanni Tonelli, ha conosciuto altalenanti stagioni politiche nella storia della Repubblica. Novità, insieme ai monarchici del PNM di Achille Lauro, nei primi anni '50, tanto da spaventare la DC in particolare durante le elezioni amministrative del 1951 e del 1952, l'MSI conobbe nel successivo decennio un vero e proprio isolamento politico, soprattutto dopo la caduta del governo guidato da Fernando Tambroni, fino al 1970. Molti storici, tra cui anche lo stesso Paolo Mieli, hanno definito gli anni dal 1970 al 1973 il cosiddetto "triennio di destra", poiché tutto il quadro politico si spostò sul versante conservatore. Abbiamo infatti la temporanea interruzione del centro-sinistra al governo, la momentanea sostituzione di Aldo Moro a Palazzo Chigi e la nascita di due esecutivi monocolori democratici cristiani guidati da Giulio Andreotti e sostenuti solo dal PLI di Giovanni Francesco Malagodi, l'elezione al Quirinale di Giovanni Leone con i voti determinanti delle destre. Per quanto concerne invece direttamente l'MSI, durante la lunga segreteria di Almirante viene varato il progetto di una "grande destra": da una parte il partito, con l'adozione della seconda denominazione "Destra Nazionale", assorbe i monarchici di Alfredo Covelli, aumenta la sua presenza in portata elettorale con i successi alle elezioni amministrative del 1970 e del 1971 e alle elezioni politiche del 1972, dall'altra inizia una strategia di reazione violenta nei confronti della sinistra, dei sindacati e dei movimenti giovanili, esplosi a partire dal 1968. Uno dei fatti più importanti furono i moti di Reggio Calabria del 1970. Ecco cosa sarebbe successo se...
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1 marzo 1969, al Palazzo del Mare di Reggio Calabria si ritrovano i deputati e senatori di tutta la regione, insieme ai sindaci e amministratori calabresi. Viene fondato con il "Comitato di agitazione per la difesa degli interessi di Reggio", e in una nota viene sottolineato come "Reggio Calabria sia la sede naturale per la nuova giunta regionale".
15 marzo 1969, manifestazione da parte del comitato studentesco di Catanzaro che chiede "maggior rispetto per la città, in vista dell'assegnazione della nomina a capoluogo di regione". Nelle stesse ore a Reggio Calabria scendono in piazza anche qui gli studenti, che però sostengono la Città dello Stretto. Questi ultimi bloccano per tre ore i treni della stazione centrale.
29 marzo 1969, infuocata riunione di segreteria della Democrazia Cristiana a Piazza del Gesù, a Roma. Il segretario dello scudo crociato Flaminio Piccoli assicura piena fiducia nell'operato del sindaco di Reggio Calabria, il democratico cristiano Pietro Battaglia. Uscendo dalla riunione Aldo Moro commenta che il partito è diviso e Piccoli "non ha la maggioranza".
17 gennaio 1970, in una riunione a Montecitorio, presenti i rappresentati delle tre province calabresi, la DC ufficializza la sua posizione a favore di Catanzaro capoluogo di regione. Forte reazione da parte della delegazione calabrese con l'uscita dal partito del sindaco Battaglia e di Francesco Gangemi, i quali annunciano che la sezione di Sbarre avrebbe pubblicamente bruciato in piazza le tessere. Nella tarda sera arriva la notizia delle dimissioni di Piccoli dalla segreteria; al suo posto, una settimana dopo ritorna Moro.
27 marzo 1970, a Quirinale, nelle mani del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat giura il nuovo esecutivo, guidato dal democratico cristiano vicentino Mariano Rumor, retto dalla dalla coalizione di centro-sinistra organico (DC, PSI, PSDI, PRI). Durante il dibattito parlamentare che avrebbe dato la fiducia al terzo governo Rumor, il Presidente del Consiglio, che ha assunto la delega agli affari regionali conferma che "la riforma per l'istituzione delle regioni non può essere posticipata vista l'importante scadenza delle consultazioni per l'elezione delle prime giunte regionali".
16 aprile 1970, il segretario del Movimento Sociale Italiano Giorgio Almirante, con un'interrogazione parlamentare al governo, chiede spiegazioni sulla scelta fatta in Calabria di assegnare alla "piccola Catanzaro il rango di capoluogo di regione". Almirante dichiara che è Reggio Calabria la vera "capitale" di una regione "che il governo e la Cassa del Mezzogiorno da troppo tempo dimentica". Il Presidente Rumor dichiara che ogni decisione è stata presa e "la posizione dei neofascisti è faziosa".
7 giugno 1970, si svolgono le prime elezioni regionali. La coalizione di centro-sinistra si impone al centro-nord, il PCI in Toscana, Emilia Romagna, Umbria e Marche, mentre al Sud trionfa l'MSI. In Calabria la fiamma raggiunge quota 33,1% con 20 seggi all'assemblea regionale. Dati simili anche per l'elezione del presidente della provincia di Reggio Calabria e per il consiglio provinciale.
1 luglio 1970, si decide la convocazione a Catanzaro del consiglio regionale per il 13 luglio.
5 luglio 1970, il sindaco Battaglia, davanti a settemila persone riunite in piazza Duomo, a Reggio Calabria, annuncia che aderirà all'MSI che "da sempre vuole Reggio capoluogo". Segue poi un lungo corteo.
6 luglio 1970, dopo un'incontro con il Presidente Saragat, Rumor conferma la scelta fatta dal governo nei confronti di Catanzaro e inviata tutti al senso di reponsabilità. Proteste a Reggio Calabria e nella provincia.
12 luglio 1970, durante la cerimonia dei premi "Villa San Giovanni", il Presidente del Senato, il democratico cristiano Amintore Fanfani, assicura che "che non saprebbe come risolvere la situazione", invita Battaglia a ritornare nella DC e dà il suo personale pieno appoggio al governo Rumor. Fanfani viene duramente contestato da alcuni manifestanti durante la conclusione della cerimonia.
13 luglio 1970, mentre a Catanzaro si riunisce regolarmente la prima seduta del consiglio regionale della Calabria, a Reggio Calabria si tiene una contro-assemblea organizzata da Battaglia. I consiglieri reggini della DC non partecipano alla prima seduta regionale e appoggiano direttamente l'operato del sindaco mentre il missino Fortunato Aloi dichiara che "tutti i consiglieri presenti a Catanzaro sono illegittimi rappresentati del popolo calabrese". L'Unione dei Commerciati Calabresi indice una manifestazione contro la decisione del governo e nella Città dello Stretto, precisamente in corso Garibaldi, compaiono le prime barricate. Vengono fatti affluire nella periferia della città molti reparti della pubblica sicurezza e dei carabinieri.
14 luglio 1970, esplode ufficialmente la protesta a Reggio Calabria. Lunghi cortei attraversano il centro storico della città fino a piazza Italia dove ascoltano Battaglia, Aloi e il segretario del sindacato neofascista Cisnal Francesco "Ciccio" Franco. Altre barricate sorgono barricate sorgono sul Corso, sul Lungomare, in via Pio XI, al rione Sbarre (dove intanto era stata bruciata la sezione della DC), in via I Agosto e al rione Santa Caterina. Il traffico è praticamente bloccato e le forze dell'ordine tentano in vano di smantellare i lunghi blocchi stradali e le barricate che arrivano fin sull'autostrada. La situazione precipita in serata con i primi scontro in via Marina tra i dimostranti, che intanto hanno occupato la stazione centrale di Reggio Calabria e i binari. La polizia riesce a fermare alcuni dimostranti, ma tutto viene annullato dal prefetto Daniele De Rossi, dopo un'ulteriore protesta in piazza Italia. Alle 21.30 i ferrovieri entrano in sciopero: Reggio Calabria è completamente isolata.
15 luglio 1970, continua la guerriglia in città. I cortei di operai, ferrovieri in sciopero, dipendenti dell'Enel e studenti percorrono le vie del centro cittadino mentre il servizio di sicurezza dei manifestanti, i "ras", controllano che non siano rimossi i blocchi dalla polizia. Vengono assaltate e date alle fiamme le sedi cittadine del PSI e del PCI mentre nel pomeriggio iniziano a bruciare alcune barricate con duri scontri tra i dimostranti e le forze dell'ordine, al lancio di candelotti lacrimogeni, alle ripetute cariche, rispondono con fitte sassaiole e qualche colpo di fucile. I reparti di polizia sono sotto il comando del questore Emilio Santillo, mentre in periferia compaiono le prime "bombe Molotov" contro le forze dell'ordine. Il bilancio della seconda giornata di scontri ha la sua prima vittima: il sindacalista della Cgil Bruno Labate, il cui corpo viene rinvenuto in via Logoteta.
16 luglio 1970, Battaglia proclama un giorno di lutto cittadino e la Curia arcivescovile solidarizza con la popolazione per la rivendicazione del capoluogo "legittimo diritto documentato dalla storia millenaria, confortato anche dal ruolo metropolitico per la Calabria di questa vetusta sede apostolica". Il ministro dell'interno, il democratico cristiano Francesco Restivo assicura che "Catanzaro è e sarà il capoluogo della Regione Calabria". Intanto viene incendiata la stazione centrale di Reggio e seguono settanta fermi, sedici arrestati, otto ricoverati e quattordici politiziotti feriti: la sera stessa tutti vengono rilasciati dopo le consuete contestazioni sotto le finestre delle prefettura. Il quotidiano di Torino La Stampa Nicola Adelfi scive che "la componente del campanile c'è ma è preminente rispetto ad altri fattori di natura economica e sociale. Al fondo della collera ci sono anzitutto una debilitante povertà ed un senso amaro di frustazione".
17 luglio 1970, siamo al quarto giorno di sciopero generale. Il giovane studente Antonio Coppola viene ricoverato in coma all'ospedale centrale di Reggio Calabria mentre nella stessa giornata viene assaltata la Camera del Lavoro con ventuno feriti tra forze dell'ordine. Naturalmente barricate e scontri nei suborghi, dopo la popolazione solidarizza con i rivoltosi e ostacola le forze dell'ordine. Queste ultime fermano circa quarantasette civili per vicinanza ad attività sovversive, ma poi vengono liberati.
18 luglio 1970, l'agenzia sovietica Tass scrive che a Reggio Calabria "i fascisti estendono le loro azioni". Ennesimo assalto alla questura nel tardo pomeriggio con i rioni di Sbarre e Santa Caterina che sono ormai in mano ai dimostranti.
20 luglio 1970, centinaia di reggini si dirigono a Villa San Giovanni e bloccano per circa tre ore i traghetti per Messina e per la Sicilia; nei giorni successivi la cittadina calabrese sarebbe stata occupata.
21 luglio 1970, cariche di tritolo contro la filiale della Fiat e contro un ispettorato di pubblica sicurezza Ps. La protesta si estende a Melito Porto Salvo e a Gambarie d'Aspromonte, dove viene occupato il ripetitore della Radio Televisione Italiana. Intanto cinquemila donne percorrono Reggio Calabria in corte e si verificano diversi incidenti a Villa San Giovanni.
22 luglio 1970, il "Treno del Sole" diretto Palermo-Torino viene fatti deragliare all'alterzza della stazione di Gioia Tauro: sei i morti e circa cinquantaquattro feriti.
29 luglio 1970, a Palazzo Chigi il Presidente Rumor tiene un vertice di governo con i partiti del centro-sinistra. Al termine un comunicato informa che "Reggio Calabria sarà il capoluogo dell'economia e dello sviluppo industriale della regione". Per tutta risposta nella città viene dichiarato, per reazione, un nuovo sciopero generale.
30 luglio 1970, seimila persone in piazza Italia, a Reggio Calabria, ascoltano i due esponenti dell'MSI Ciccio Franco e Fortunato Aloi che attaccano il governo Rumor, il centro-sinistra e dichiarano che solo "il Movimento Sociale è a fianco dei liberi cittadini di Reggio". In tarda serata arriva un messaggio di sostegno dal segretario della fiamma Almirante.
3 agosto 1970, nasce ufficialmente il "Comitato Unitario per Reggio Capoluogo". Ne fanno parte l'MSI, del Partito Nazionale Monarchico, del Partito Liberale e furiusciti dalla DC e guidati dal sindaco Pietro Battaglia. Si tiene un comizio del "principe nero" Junio Valerio Borghese, ex-comandante della X flottiglia Mas e presidente del Fronte Nazionale, che sostiene la protesta della popolazione.
9 agosto 1970, il deputato del Partito Comunista Pietro Ingrao tenta di raggiungere la sezione locale del partito con falce e martello ma viene duramente contestato dalla folla e, a stento, riesce a evitare il linciaggio.
16 agosto 1970, con un comunicato congiunto, il Presidente Saragat e il Presidente Rumor chiedono che "la popolazione di Reggio Calabria metta giù le armi" per riportare pace e ordine nella città.
14 settembre 1970, ennesimo sciopero generale proclamato dal "Comitato Unitario".
17 settembre 1970, l'emittente clandestina "Radio Reggio Libera" diffonde il seguente proclama: "Reggini! Calabresi! Italiani! Questa è la prima trasmissione di radio Reggio Libera. La battaglia contro l'ipocrisia e lo strapotere della mafia politica e dei baroni rossi riguarda l'avvenire di tutti gli italiani. Essa cesserà solo alla vittoria con l'instaurazione di una vera democrazia. Viva Reggio capoluogo! Viva la nostra Calabria! Viva la nuova Italia!". In serata abbiamo la seconda vittima: sul ponte Calopinace viene ucciso un'autista dell'azienda municipale Autobus di Reggio Angelo Campanella. Viene arrestato Ciccio Franco, la reazione è devastante: tre armerie vengono assaltate e occupata per alcune ore la sede della questura. Negli scontri viene uccido un poliziotto, Vincenzo Curigiani. é lo stesso arcivescovo Giovanni Ferro a chiede la liberazione di Franco per "calmare gli animi". Il segretario del Cisnal esce dal carcere militare a tarda sera.
26 settembre 1970, cinque esponenti del movimento anarchico, i cosidetti "Anarcgici della Baracca", vengono uccisi mentre stavano recandosi a Roma per consegnare materiale di denuncia riguardante infiltrazione neofasciste nella rivolta di Reggio Calabria.
30 settembre 1970, dibattito alla Camera dei Deputati sui fatti di Reggio. Se da una parte governo, partiti del centro-sinistra e il PCIi attaccano l'MSI, Almirante sostiene la causa di Reggio Calabria e chiede conto a Rumor della "sistematica opera di demolizione mediatica operata dal governo contro i fatti avvenuti nella città". Viene ufficializzata la rottura tra il centro-sinistra e il PLI che con il suo segretario Giovanni Malagodi solidarizza con i rivoltosi di Reggio Calabria.
7 ottobre 1970, sul ponte Calopinace le forze dell'ordine sono assiediate e tre poliziotti vengono feriti da colpi d'arma da fuoco. Su una barricata ubicata in vico Furnari appare per la prima volta una bandiera azzurra con la scritta "Repubblica di Sbarre".
15 ottobre 1970, il ministro della difesa, il democratico cristiano Emilio Colombo mobilita l'esercito che viene inviato per tenere sotto controllo la ferrovia e le stazioni tra Salerno e Reggio Calabria. Nelle settimane successive inizia una generale smobilitazione delle forze in campo e l'ordine pubblico in parte viene ristabilito dopo settimane infuocate.
16 ottobre 1970, il consiglio comunale, dopo le dimissioni di Pietro Battaglia, elegge sindaco di Reggio Calabria Francesco "Ciccio" Franco.
12 febbraio 1971, il Presidente del Consiglio Mariano Rumor, con un discorso a reti unificate in televisione, annuncia le decisioni prese dal consiglio dei ministri per la Regione Calabria: Cantanzaro sarà il capoluogo e la sede della giunta regionale, Reggio Calabria sarà la sede del consiglio regionale. La creazione del "quinto centro siderurgico dell'Istituto per la Ricostruzione Industriale" aggiunge Rumor "assicurerà un'occupazione prevista di settemilacinquecento lavoratori".
15 marzo 1971, terminano ufficialmente le contestazioni a Reggio Calabria in seguito alla decisione da parte dei ministri Restivo e Colombo di ritirare l'esercito e di revocare i decreti che avevano limitato alcune libertà democratiche. Sarebbe stato sciolto sia il "Comitato Unitario" e tutti quei gruppi che avevano messo a ferro e fuoco la Città dello Stretto. I capi della rivolta, il sindaco Ciccio Franco, l'ex-primo cittadino Pietro Battaglia e Fortunato Aloi non vengono toccati e non vengono processati.
13 giugno 1971, tornata di elezioni amministrative: da registrare un calo per quanto riguarda i partiti di governo che però mantengono gran parte delle amministrazioni nell'Italia centro-settentrionale. Nel Mezzogiorno e in particolare in Calabria forte affermazione del Movimento Sociale Italiano con il 36,7% dei voti. Il partito della fiamma conquista importanti capoluoghi come Napoli, Bari, Campobasso, Potenza e Palermo dove costituisce giunte con il Partito Liberale e con il Partito Nazionale Monarchico. Francesco "Ciccio" Franco viene ufficialmente e democraticamente eletto primo cittadino di Reggio Calabria e nominato da Giorgio Almirante segretario regionale del partito.
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Nota: il messaggio di questa ucronia è molto semplice: far capire come è accaduta la rivolta e cosa sarebbe successo se lo Stato avesse dovuto abbassare la testa e non punire i responsabili dei disordini. Certo l'MSI, Almirante e Ciccio Franco non volevano una sollevazione di massa del Sud contro il Nord, ma era un chiaro messaggio per far capire il radicamento del partito nel Mezzogiorno. In particolare perchè la popolazione povera del sud, visto il fallimento della Cassa del Mezzogiorno, ha visto nella destra neo o post-fascista l'unica soluzione accettabile per un possibile cambiamento. In questa timeline ucronizzata il Movimento Sociale si radica soprattutto al sud e il suo elettorale è fedele alla fiamma. Può quindi prendere corpo il progetto della "grande destra" di Almirante si realizza nell'alleanza con i liberali, definitivamente usciti dal centro-sinistra, con i monarchici, con il Fronte Nazionale di Borghese e i Comitati di Resistenza Democratica di Edgardo Sogno.
Domanda finale: la rivolta di Reggio Calabria poteva sfociare in una vera e propria sollevazione del Mezzogiorno Nero contro Roma e l'Italia Unita? A voi la risposta... Se volete fornirmi suggerimenti o commenti, scrivetemi a questo indirizzo.
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E ora, un'idea di Simone di Cremona:
Anche un semplice film del 1968 può far venire alla mente un'ucronia. In questo caso il film è "Banditi a Milano", di Carlo Lizzani. Ho visto la Milano fine anni '60,oltre 10 anni prima della mia nascita. MI DISPIACE scrivere certe cose, ma la Milano del '67-'68 era molto meglio tenuta,molto più PULITA (nei muri e nei marciapiedi) e forse anche molto più CIVILE della Milano odierna. Ho visto nel film una Milano molto più degna del nome di metropoli rispetto a quella odierna, e mi spiace scrivere queste cose, perché a rigor di logica a distanza di 42 anni una città dovrebbe cambiare in meglio... vi confesso che non mi sarebbe dispiaciuto vivere nella Milano anni '60, e provavo rimpianto di non aver vissuto quei tempi, guardando il film (e questi sentimenti non mi sembrano molto positivi per uno che ha 30 anni, segno del fatto che stiamo attraversando tempi incerti). Così ho pensato a questa ucronia.
NON TUTTI sanno che il giorno di piazza Fontana, cioé venerdì 12 dicembre 1969, su Milano e su buona parte della Lombardia cadeva una fastidiosa pioggia invernale. Sappiamo però che la bomba nella sala principale della Banca Nazionale dell'Agricoltura è esplosa qualche minuto dopo le ore 16,30 e a quell'ora la banca avrebbe già dovuto essere chiusa da un pezzo. Ma, a causa della ressa di agricoltori che quel venerdì era presente in banca, gli uffici sono rimasti aperti più del dovuto. Come poi è finita lo sappiamo tutti, e non voglio annoiare nessuno con una storia che anche i sassi conoscono e con tutte le conseguenze della strage, da tutti considerata l'inizio della strategia della tensione e degli anni di piombo.
Attenzione, però. Con un semplice POD meteorologico, la storia avrebbe potuto prendere una piega diversa...
POD: il 12 dicembre 1969 una conformazione barica lievemente diversa sul Nord Italia convoglia aria più fredda dalla porta del Rodano, che forma un minimo depressionario sul mar Ligure, il quale colpisce Piemonte e Lombardia non già con la pioggia, ma con la neve. D'altronde la neve nella prima metà di dicembre a Milano, benché non succeda tutti gli anni, é comunque nella normalità delle cose. Già verso le nove del mattino fiocca abbondantemente sul capoluogo lombardo, e già alle 12.30 vi sono forti disagi al traffico, mentre la neve non accenna a diminuire.
Alle 14,30 la circolazione stradale é assai critica e la neve non dà cenni di rallentamento. Poiché il meteo é inclemente, moltissimi agricoltori decidono quel giorno di non recarsi a Milano alla Banca dell'Agricoltura, e così l'istituto già alle 15,30 é chiuso per mancanza di clienti. Alle 16,30 gli ultimissimi impiegati di banca lasciano l'edificio ormai vuoto.
Pochi minuti dopo, l'esplosione. Ovviamente esploderanno le due bombe di Roma (ricordiamo, ci furono due attentati simultanei anche a Roma). Però un conto sono le bombe di Roma che hanno fatto una dozzina di feriti e nessuna vittima, un conto sono i 16 morti di Milano che in questo caso, con la banca deserta, non ci sono. L'emozione nel paese é enorme, come pure lo sdegno, però non vi sono le 16 vittime a fare la differenza e a mettere in moto tutto il meccanismo perverso.
Come si sarebbe potuta evolvere la situazione?
Qualcuno dirà che gli anni di piombo, e tutto il resto, ci sarebbero stati lo stesso: un po' come dire che non é stata Sarajevo la causa principale della Grande Guerra, ma solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Che comunque ci sarebbero stati anni di piombo pur senza piazza Fontana, esaminando il periodo 1968-69 può anche essere vero. Anzi,sicuramente qualche cosa ci sarebbe stato, perché credo che piazza Fontana stia agli anni di piombo come Sarajevo alla prima guerra mondiale: cioé non come causa primaria,ma come goccia che ha fatto traboccare un vaso di veleni.
La cosa su cui però invito tutti a esprimere il loro parere é: COME sarebbero stati gli anni '70 senza la strage di Milano? È da piazza Fontana, ricordiamolo, che nascono il caso Pinelli, il caso Calabresi, il caso Valpreda, che avrebbero avvelenato il paese sino al 1972-73 ed oltre. Calabresi é all' unanimità definito "la prima vittima" degli Anni di Piombo. Forse, come sosteneva sopra Demofilo, la "molla" che avrebbe messo in moto tutto sarebbe partita con i moti di Reggio Calabria nel 1970, moti strumentalizzati da Ciccio Franco dell'MSI, oppure con la strage di piazza della Loggia del 1974, con un periodo 1969-74 sulla falsariga del 1968-69, cioè costellato di occupazioni, scioperi, disordini, opposti estremismi, con il rischio magari davvero di colpi di Stato? Oppure non ci sarebbero stati anni di piombo, secondo voi? Sarebbe bello aprire una discussione su questo.
Se volete dirmi la vostra, scrivetemi a questo indirizzo.
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Così gli risponde Enrico:
Indubbiamente la sequenza storica della cosiddetta "strategia della tensione" era stata in qualche modo impostata da chi tesseva all'epoca le fila di un programma che vedeva l'utilizzo degli attentati dinamitardi strumentale al raggiungimento di determinati obiettivi.
Dopo quelle bombe ve ne sarebbero state altre, ma non tutte volute da quegli stessi ambienti che avevano predisposte quelle del 1969; ad esempio, la strage di Piazza della Loggia è molto probabilmente da ascriversi ad ambienti dell'estrema destra che volevano colpire i carabinieri che quel giorno erano in servizio durante la manifestazione e che, di norma, sostavano proprio dove esplose l'ordigno.
Questo per punire, a detta di una certa tesi, proprio l'Arma dei carabinieri, rea, secondo i terroristi fascisti, di averli abbandonati dopo un certo periodo di mutua attività proprio nel periodo 1968-1969.
Fatalità volle che piovesse (ecco qui un altro POD meteorologico) così che i carabinieri si spostarono onde permettere alle persone che partecipavano alla manifestazione di ripararsi.
Fra l'altro, una persona presente sentì dire, a due ragazzi che si allontanavano dalla Piazza, delle frasi riguardo al fatto che la situazione era cambiata ma che ormai non si poteva fare più nulla per evitare quanto doveva accadere.
Con questo, vorrei dire che qualsiasi fosse stato l'inizio della "strategia della tensione", nonostante le derive e le attività parallele che potevano verificarsi (e si sarebbero verificate) il progetto di quanto stabilito da certi ambienti occulti sarebbe stato perseguito lo stesso; quindi gli anni di piombo ci sarebbero sempre stati a mio giudizio, in quanto le "motivazioni" che li scatenarono e tutte le conseguenze, compreso l'antagonista terrorismo di sinistra, erano piuttosto "sentite" da quegli ambienti.
Se poi vogliamo considerare un diverso esito della strage di Piazza della Loggia, dovuto al POD suddetto, essendo vittime stavolta i carabinieri, questo avrebbe certamente scatenato le ire di tutta l'Arma, compreso anche di coloro, se ancora in servizio, che erano stati vicini agli ambienti terroristici di destra.
Probabilmente le conseguenze per l'estremismo di matrice fascista sarebbero state piuttosto pesanti.
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Aggiungiamo la proposta di Ainelif:
« Italiani, l'auspicata svolta politica, il lungamente atteso colpo di Stato ha avuto luogo. La formula politica che per un venticinquennio ci ha governato, e ha portato l'Italia sull'orlo dello sfacelo economico e morale, ha cessato di esistere. Le forze armate, le forze dell'ordine, gli uomini più competenti e rappresentativi della nazione sono con noi. Mentre possiamo assicurarvi che gli avversari più pericolosi, quelli che per intendersi volevano asservire la patria allo straniero sono stati resi inoffensivi. Nel riconsegnare nelle vostre mani il glorioso tricolore vi invitiamo a gridare il nostro prorompente inno d'amore: Italia, Italia, viva l'Italia! »
Queste le parole pronunciate dal principe Julio Valerio Borghese in diretta televisiva a reti unificate poco dopo l'alba dell'8 dicembre 1970 dopo il successo del suo golpe militare la notte precedente. Gli uomini civili e militari al soldo dell'ex comandante della X Mas hanno occupato i centri nevralgici del potere a Roma. Il tenente dei paracadutisti, Sandro Saccucci, riceve il compito di arrestare e deportare gli uomini politici; il generale Casero e il colonnello Lo Vecchio, occupano il Ministero della Difesa; Licio Gelli "rapisce" il Presidente della Repubblica Saragat e lo consegna al "Fronte Nazionale"; il maggiore Berti posiziona i suoi uomini nella sede della Rai e in altre città italiane. L'Esercito Italiano, ormai comandato da elementi fedeli al Principe Borghese, domina la situazione. Il Presidente del Consiglio Mariano Rumor è costretto a dimettersi ed è arrestato. Finisce il regime democratico: è instaurata una dittatura militare, abolita la Costituzione del 1948 e sostituita con la "Carta della Patria", un documento che sancisce tutte le nuove leggi e i provvedimenti del nuovo regime del Principe (il soprannome del tiranno). L'Italia rimane nominalmente una repubblica, di fatto ora oligarchica e militarista, sostenuta ampiamente dalle frange dell'estrema destra, dall'MSI, da alcuni politici democristiani ferocemente anticomunisti, in parte dalla Chiesa e dal Presidente USA Richard Nixon, che concorda con la casta militare di Borghese l'assetto del nuovo Stato. I partiti politici ovviamente sono tutti sciolti e banditi, tranne appunto quelli fedeli al regime di Borghese che confluiscono nel Fronte Nazionale, partito unico di governo, che ha pure legami e patti con Cosa Nostra entro i circoli del potere. Borghese diviene Capo di Stato Militare della Repubblica Italiana. Inutile dire che sciopero, sindacati, libertà di stampa e di parola siano ormai vietati. Molti politici e cittadini comuni lasciano il paese. Quale evoluzione storico-geo-politica possiamo attenderci?
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Gli risponde Tommaso Mazzoni:
Si costituiscono immediatamente i G.A.L., Gruppi Armati di Liberazione, ed inizia una guerra civile che durerà fino alla morte di Borghese nel 1974, ed oltre; Il successore di Borghese, Casero, nel 1979 tenterà di restaurare la Monarchia, ma Re Umberto II, con tutti i suoi difetti, la corona come figurante di Borghese non la accetterà mai, ed anzi prenderà contatti con i movimenti di resistenza. Con la complicità di Umberto i G.A.L. organizzano l'Insurrezione Nazionale del 4 Novembre 1980 (nuova festa nazionale). L'8 Febbraio 1981 un nuovo referendum istituzionale ristabilisce il Regno d'Italia; la nuova assemblea costituente licenzia nel giugno 1982 una nuova costituzione, che prende il meglio della costituzione del 1948 e risolve il problema endemico della debolezza dell'esecutivo istituendo un premierato all'Inglese. Prima di morire Umberto II disereda Vittorio Emanuele e il figlio Emanuele Filiberto, e nomina erede Amedeo d'Aosta, che gli succederà l'anno dopo ed è ancora sul trono.
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A quest'ultimo replica Enrico Pellerito:
Una buona continuazione, ma personalmente non credo che l'amministrazione Nixon avrebbe visto con favore una restaurazione monarchica; passi per un golpe di destra, ma un monarca non avrebbe rappresentato il coagulo per la Nazione. E poi, non dimentichiamolo, i fascisti non amavano i Savoia, tant'è che coloro che potevano esercitare il voto al referendum scelsero la Repubblica. Insomma, a me una restaurazione monarchica sembra una grossa forzatura in questa ucronia, anche se probabilmente sono prevenuto, perché al di là del governo che rappresentano e che non gradisco, non provo alcuna simpatia umana per gente che si è comportata da fellone.
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E Paolo Maltagliati aggiunge:
Mah, se volete il mio parere, ecco i pro e i contro all'idea di Ainelif:
1) L'Italia era GIÀ un protettorato USA (contro)
2) Gli USA non amavano il fatto che in Italia ci fosse un PCI che arrivava al 30
% (pro)
3) Gli USA non amavano la DC latu senso. Anche perché temevano che avesse un altro padrone oltre che Washington,
ovvero il Vaticano (pro)
4) La politica energetica italiana era un tantino ambigua (pro)
5) Tedeschi e francesi l'avrebbero presa molto male, soprattutto i francesi (contro)
6) Il casino in Italia avrebbe potuto far agitare la Jugoslavia (contro)
7) I fascisti erano nazionalisti e troppo imprevedibili per i gusti degli USA. Andava bene finché facevano piazza pulita dei commies, ma poi? (contro)
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Passiamo all'idea di Generalissimus:
Cosa bisogna immaginare per avere una Spagna falangista ancor oggi?
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Gli replica Pavel Tonkov:
Per far sopravvivere il Franchismo dopo il 1975 si può partire dal presupposto che il 20 dicembre 1973 fallisce l'attentato da parte dell'ETA contro Luis Carrero Blanco, quindi il regime attua un giro di vite contro l'opposizione; grazie ad una soffiata sei servizi segreti spagnoli e greci il 25 aprile 1974 in Portogallo fallisce la Rivoluzione dei Garofani ed in luglio il regime dei colonnelli greci, aiutato anche da truppe spagnole e portoghesi ma anche da volontari cileni, sudafricani e rhodesiani, invade Cipro cacciando via i Turchi. Quindi l'Operazione Cóndor non coinvolge solamente le dittature sudamericane, ma comprende anche Spagna, Portogallo, Grecia, Rhodesia e Sudafrica, e queste sostengono il regime di Caetano nella repressione della guerriglia indipendentista in Angola e Mozambico.
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Riprende la parola Generalissimus:
E oggi il Caudillo sarebbe Antonio Tejero.
Nel caso contrario, invece, cosa sarebbe successo se a vincere la Guerra Civile Spagnola fosse stata un'altra delle fazioni coinvolte?
Vince la Confederazione spagnola delle Destre Autonome.
La Spagna diventa una repubblica conservatrice presidenziale in stile gollista, neutrale durante la Seconda Guerra Mondiale e fortemente anticomunista durante la Guerra Fredda.
Vincono i Carlisti.
La Spagna diventa una monarchia costituzionale fortemente conservatrice (ma comunque meno di Franco) con a capo i Borbone-Parma, tutto il Fronte Popolare (non solo il Partito Comunista) viene sciolto.
Praticamente si otterrebbe una specie di Spagna Franchista meno violenta e, come già detto, meno conservatrice, ma non è detto che riesca a resistere alle sfide del mondo moderno, perché non abbastanza dittatoriale da crollare come il Franchismo ma nemmeno abbastanza democratica da perdurare.
Vincono gli Alfonsisti.
La Spagna diventa una monarchia costituzionale, rimane neutrale durante la Seconda Guerra Mondiale, durante la Guerra Fredda sarà Atlantista e probabilmente restia ad unirsi alla UE.
Vince il Fronte Popolare.
Il Fronte era composto da molti partiti, ma la maggioranza di questi era Comunista e Socialista, e i Comunisti erano più "organizzati", sia come tattica, sia nel creare uno stato, i socialisti al massimo avrebbero instaurato una democrazia molto a favore del welfare.
Si forma una Repubblica Popolare Spagnola, filorussa, e i patti di Molotov valgono anche per la Spagna.
La Spagna subirà ovviamente l'attacco di Hitler e Mussolini, ma come all'epoca di Napoleone, sarà rifornita dall'Inghilterra via Portogallo, e ci sarà un'enorme resistenza, probabilmente la Spagna diventerà un'ulcera anche per Hitler.
Durante la Seconda Guerra Mondiale le due potenze, URSS e USA, non erano ancora rivali, quindi è possibile che non venga "esportata la democrazia", anche perché bisognerebbe reprimere il governo di resistenza nazionale tutto comunista.
Sono probabili anche, prima e dopo la guerra, massacri degli Stalinisti nei confronti delle fazioni più moderate o più di sinistra, interrotti dall'invasione tedesca.
La Spagna fornirà aiuti alla resistenza Francese e da lì partirà una colonna di liberazione parallela a Tito, mentre il Nord viene liberato dagli USA e Inghilterra.
Nella Guerra Fredda il paese sarà sostanzialmente filo-sovietico, ma essendo molto lontano dall'URSS è probabile che segua l'esempio di Tito, soprattutto se si libera della corrente stalinista.
Alla caduta del muro la situazione può evolversi in tre modi:
-Alla romena: il governo è stato troppo Stalinista, viene cacciato, e viene instaurata una monarchia costituzionale.
-Alla polacca: il Partito Comunista si ricicla in Socialista Democratico, avvia riforme liberiste, indice libere elezioni e va in coalizione con i Socialisti.
-Alla jugoslava: le tensioni si fanno troppo pesanti, i Baschi si ribellano seguiti dai Catalani e oggi la Spagna non esiste più come stato unitario, frammentata tra Andalusia, Aragona, Asturie, Paesi catalani, Paesi Baschi, Canarie, Cantabria, Castiglia, Galizia, Leon, Estremadura e Murcia.
Vince la Confederazione Nazionale del Lavoro.
Difficile che questo movimento sindacalista vinca da solo, magari si allea con i Socialisti, nel caso in Spagna ci sarebbero molte riforme in campo agrario e lavorativo.
Vince l'Unione Generale dei Lavoratori.
Fortemente anti-stalinista, improbabile che sopravviva alla Seconda Guerra Mondiale senza supporti USA-URSS, probabili crollo e liberazione del paese da parte americana, restaurazione della monarchia.
Nel caso miracoloso che sopravviva sarà un bastione anti-URSS e anti-USA, vicino forse a Tito e alla Cina.
Possibilissime nel futuro riforme Gorbaceviane.
Vince la Federazione Anarchica dei Lavoratori.
Posto che è estremamente difficile che gli Anarchici vincano (ma non solo in Spagna durante la Guerra Civile), se fanno alleanze con gli Anarco-comunisti, con l'Unione Generale dei Lavoratori e con la Confederazione Nazionale del Lavoro possono sfiancare con la resistenza sia i Monarchico-conservatori, sia i Comunisti Stalinisti, dando vita dopo ad una serie di comunità riunite in una specie di confederazione spagnola di staterelli, comunità che sono a loro volta delle federazioni di repubbliche socialiste simil-comuniste su base fortemente sindacale e anarchica.
Se però il paese diventasse davvero anarchico, finirebbe per sgretolarsi in confederazioni autonome, una galassia vera e propria, per poi crollare nella criminalità e vere e proprie guerre fra "bande".
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Chiudiamo per ora con questa osservazione del grande Enrico Pellerito:
Vorrei condividere con voi qualcosa che mi sta molto a cuore. La sera del 10 maggio 2016 su RAI 1 è stato trasmesso "Felicia Impastato", uno sceneggiato che raccontare la vita di Felicia Bartolotta, vedova Impastato e madre di Peppino e di Giovanni Impastato, il primo assassinato dalla mafia e il secondo impegnato a proseguire in quella lotta contro la criminalità che il fratello aveva principiato a fare e che era diventata la sua ragione di vita.
Sono rimasto piacevolmente sorpreso che gli avvenimenti siano stati narrati in modo molto aderente alla realtà; mi riferisco agli aspetti relativi all'ambiente famigliare dove vivevano gli Impastato. Purtroppo, come già avvenuto nel film "I cento passi" e come avviene quando ci si "ispira liberamente", gli sceneggiatori fanno leva su momenti creati in maniera fittizia per meglio compendiare l'esposizione della storia e far risaltare sentimenti e sensazioni, così come enfatizzare una certa propaganda, strumentale ma necessaria e condivisibile, nella lotta civile contro il fenomeno mafioso.
Ad esempio, non ho mai visto Gaetano Badalamenti vestito in modo così sciatto, o seduto in un bar o affacciato al balcone della sua casa; semmai ebbi occasione di vederlo seduto, una sera, davanti all'ingresso della suddetta casa dopo che era rientrato dal confino (estate 1973 se non ricordo male). Questo fu un gesto sì davvero plateale, perché trattandosi di un immobile prospiciente il corso principale del paese, era chiaro che voleva che tutti lo vedessero ritornato libero.
Anche il comportamento che mostra Felicia, all'inizio dello sceneggiato, tendenzialmente timorosa nel chiedere al figlio Giovanni di tenere basso il volume della radio dalla quale esce la voce forte e determinata di Peppino, è aderente alla realtà, ma, in effetti, le cose andarono ancora più diversamente. Felicia, quando il figlio iniziò la sua attività, cercò di dissuaderlo, arrivando pure a criticarlo aspramente. Vero è che, comunque, cercava di proteggerlo dalla rabbia del padre, ma ad accudire Peppino quando veniva buttato fuori di casa era una zia di questo, che lo accoglieva nella propria abitazione. Comprensibile, comunque, l'atteggiamento di una madre che cercava di proteggere i propri figli. Dichiarare che Peppino avesse un comportamento "folle" era anche una maniera per ottenere comprensione, sperando che non vi sarebbero state reazioni nocive per lui. Quando però Peppino venne ucciso avvenne un radicale cambiamento nella madre e gli effetti furono deflagranti.
Ma parlare di Felicia come prima donna a ribellarsi alla mafia non è proprio corretto. Ci fu un episodio simile, con i dovuti distinguo perché Peppino venne assassinato in quanto attivista politico e civile, non certo perché mafioso, come accadde a Salvatore Lupo Leale, figlio di Serafina Battaglia, la prima donna che testimoniò in un'aula di tribunale contro Cosa Nostra.
Questa donna accusò i mandanti dell'omicidio del marito e del figlio facendo nomi e cognomi, riportando fatti, specificando e dettagliando quanto era a sua conoscenza (e non era affatto poco). La Battaglia, in un primo tempo, spinse il figlio a vendicare la morte del padre e dopo la soppressione del giovane decise di vendicarsi attraverso la "Legge".
Senza dubbio ci si trova di fronte a situazioni diverse e a soggetti diversi, anche se ambedue donne che vivevano in nuclei famigliari fortemente impregnati dalla mafia. Eppure, a dimostrazione di come le cose cambino, il caso di Serafina Battaglia perse importanza perché sepolto dall'indifferenza e dalla superficialità con la quale la società italiana degli anni '60 si confrontava con la criminalità meridionale, relegandola ad un problema territoriale (direi quasi folcloristico) che non poteva interessare il resto del Paese.
Se poi ci si riferisce alla società siciliana di quegli anni, la convinta rassegnazione che nulla mai sarebbe potuto cambiare contribuì a far cadere nell'oblio quei fatti, considerandoli nella loro marginalità che non poteva incidere nella vita dei comuni cittadini. Credo, invece, che la memoria storica resti elemento fondamentale, anche per evidenziare le differenze che si sono poi concretizzate nel comune sentire riguardo certi fenomeni.
Mi permetto, quindi, di consigliarvi questo articolo per consentire a chi non ne ha avuto mai notizia, di conoscere questi fatti.
Ma se il caso di Serafina Battaglia avesse risonanza nazionale, e nel roccioso muro dell'omertà mafiosa si aprissero delle crepe già negli anni sessanta?
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A questo punto, Enrica S. rincara la dose:
Cosa sarebbe accaduto se Peppino fosse sfuggito alla morte in qualche modo da decidere, e oggi continuasse la sua lotta contro la mafia, incarnata da Matteo Messina Denaro?
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Le risponde Pavel Tonkov:
Se Peppino Impastato fosse scampato all'attentato e di conseguenza continuato la sua lotta contro la mafia probabilmente Riina e Provenzano sarebbero stati catturati molto prima evitando così la morte di Falcone e Borsellino ma anche di altri magistrati e gli attentati del 1992-1993. Tra l'altro la Rai ha trasmesso anche uno sceneggiato su Boris Giuliano.
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Ma Enrico non è d'accordo:
Mi spiace contraddire Pavel Tonkov e Franco Maria, ma temo che Peppino Impastato sarebbe stato eliminato solo poco tempo dopo rispetto quanto avvenuto nella realtà. Erano gli anni durante i quali la mafia si stava spaccando, da una parte coloro che erano legati ad un comportamento definibile soft, dall'altra la componente che sarebbe stata definita i "corleonesi", comprendente non solo Liggio (peraltro in galera), Riina, Provenzano e Bagarella, ma anche molte altre cosche e molti affiliati a cosche dove a comandare c'erano, invece, elementi vicini a Badalamenti, Bontade e Inzerillo.
Questi ultimi erano piuttosto restii a commettere omicidi ad ogni piè sospinto e preferivano evitare di eliminare in maniera ostentata coloro che, fossero membri della Magistratura, delle Forze dell'Ordine, giornalisti, esponenti politici o sindacalisti, lottavano contro il sistema mafioso.
Una frase che si sentiva spesso in quegli anni da chi fosse o si sospettasse mafioso (o comunque vicino a quell'ambiente), era che non bisognava dare importanza alla m**da, perché toccandola avrebbe fatto ancora più puzza; similitudine per significare che un omicidio eclatante avrebbe comportato conseguenze ancora più dannose rispetto a quanto veniva fatto con un'inchiesta, sia essa giudiziaria, parlamentare, oppure giornalistica. Ciò valeva anche per dichiarazioni e denunce, perché tutto avrebbe finito per restare lettera morta grazie ad una lenta, ma efficace, azione da parte di chi, nelle istituzioni e nella società civile, lavorava per la mafia.
Attenzione: con ciò non intendo dire che Badalamenti non sia colpevole dell'omicidio di Peppino Impastato; vi è stato un giudizio e una sentenza, però anche fra gli inquirenti qualche dubbio, non sulla natura dell'omicidio ma sugli effettivi mandanti e autori c'è stata.
Ma di questo ne tratterò successivamente, se qualcuno di voi ritiene interessante l'aspetto in questione.
Adesso mi preme sottolineare che a partire dagli anni 70 la pressione da parte dell'ala cosiddetta "corleonese", nel voler risolvere certi problemi con l'eliminazione di chi i problemi li creava, stava diventando sempre più forte.
Si verificarono vari fatti luttuosi, come il rapimento a Palermo del giornalista Mauro De Mauro (1970), sempre del suddetto giornale, e una serie di omicidi di sicura origine mafiosa fra i quali cito:
il procuratore capo della Repubblica di Palermo Pietro Scaglione e l'agente a sua tutela, Antonino Lo Russo (Palermo, 1971);
il sindacalista Calogero Morreale (Roccamena/PA, 1975);
il sindacalista Giuseppe Muscarella (Mezzojuso/PA, 1976);
il colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo e il suo amico Filippo Costa (Corleone/PA, 1977).
Tanto per avere il quadro della situazione. Durante quegli anni la mafia faceva affari e si arricchiva sempre di più, ma non per questo le voci di denuncia si placarono, e Peppino era una di queste (all'epoca, purtroppo, ancora poche).
Poi venne il fatto di Peppino e a seguire una sempre maggiore sequela di omicidi: il cronista del "Giornale di Sicilia" Mario Francese, il segretario provinciale della DC palermitana Michele Reina, il commissario della Squadra Mobile palermitana Giorgio Boris Giuliano, il giudice dell'Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo Cesare Terranova, la strage che vide vittime a San Gregorio di Catania i Carabinieri Giovanni Bellissima, Salvatore Bologna e Domenico Marrara (tutto nel 1979); a gennaio dell'anno successivo venne ucciso il presidente della Regione Pier Santi Mattarella, a maggio il comandante dei Carabinieri di Monreale, capitano Emanuele Basile, a luglio il procuratore capo della Repubblica di Palermo Gaetano Costa.
Tranne quest'ultimo, eseguito dagli Inzerillo per dimostrare ai "corleonesi" che anche loro non temevano eventuali reazioni da parte dello Stato, tutti gli altri omicidi erano stati decisi su input dell'ala più sanguinaria e feroce di cosa nostra.
Era ormai un periodo prodromico a quella che è stata definita la seconda guerra di mafia e che avrebbe visto una catena di omicidi e di "lupare bianche" insanguinare la Sicilia fino alla prima metà degli anni 80. Durante ma sopratutto dopo quel periodo, una volta che Riina e Provenzano avevano completato la loro ascesa ai vertici di cosa nostra, ripresero gli omicidi nei confronti di magistrati, carabinieri, poliziotti ed esponenti della società che lottavano contro questa mostruosa piovra.
Molto difficilmente una persona come Peppino Impastato, per la sua indole, folle e incosciente se si vuole ma certo molto determinata, sarebbe sopravvissuto in un tale contesto. Pensate a Pippo Fava, ucciso a Catania nel 1984, che attaccava la mafia con altrettanto forte intellettuale azione.
Peppino avrebbe potuto proseguire la sua attività solo sotto scorta; oggi avrebbe fatto sentire la sua voce come esponente politico dell'estrema sinistra, attuando una lotta alla mafia basata, come sempre, sulla denuncia e sulla ridicolizzazione dei sedicenti "uomini d'onore".
Vorrei tanto essere smentito ma i fatti, purtroppo, parlano chiaro. Se la memoria non m'inganna, la sola mafia siciliana ha fatto più morti di quanti ne abbia fatto la violenza terrorista nei cosiddetti anni di piombo. Ad ogni modo, se Peppino Impastato fosse in qualche modo scampato, oggi vivrebbe una vita sotto scorta senza per questo venire meno il suo impegno, ma non è che la sua voce, come quella di tanti altri, avrebbe anticipato la cattura di Riina e Provenzano ed evitato le stragi del 1992-1993.
Tanto per farvi meglio comprendere, la figura di Peppino va ricondotta, come importanza e peso nella lotta contro la mafia, a quella di Pippo Fava; Falcone e Borsellino erano obbiettivi molto più importanti nella strategia mafiosa e solo un diverso comportamento del potere politico avrebbe potuto impedire omicidi e stragi.
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