Resa dei conti tra URSS e Cina

un'ucronia fantapolitica di Enrico Pellerito

Edward Nicolae Luttwak
Edward Nicolae Luttwak

Nel 1983 Edward Nicolae Luttwak (1942-) pubblicò il suo "La Grande Strategia dell'Unione Sovietica" (in Italia sarebbe stato edito nel 1984), dove esprimeva un possibile (per lui quasi certo) sviluppo geopolitico-strategico in ordine alle decisioni in materia che da lì a qualche anno sarbbero state prese al Cremlino.

L'autore riteneva che di fronte ad un Occidente sempre più moralmente (quindi anche socialmente) ed economicamente (quindi anche militarmente) in crisi, l'URSS non aveva nulla da temere e che di conseguenza stava volgendo al termine il periodo del "grande accerchiamento", voluto dagli USA per contenere il pericolo della propagazione comunista nel mondo.

Come aveva stigmatizzato in quel periodo il nostro "avvocato" Umberto Agnelli, la coalizione occidentale aveva dovuto annoverare pochi Egitto e troppe Angola, riferendosi al fatto che gli acquisti fra gli alleati filo-atlantici, come appunto l'Egitto di Mubarak, fossero stati numericamente inferiori rispetto ai territori che l'URSS era riuscita a conqusitare (specie in Africa) nella sua continua espansione, ottenuta più con gli aiuti militari (consiglieri e mezzi) che con la forza della sua vincente ideologia rispetto la contrapposta, ma da molti considerata ormai fiacca e perdente, dottrina capitalista.

L'analisi e le conclusioni di Luttwak erano certamente basate su dati di prima mano e metodologicamente gestiti su proiezioni assolutamente valide e scientificamente provate, ma la fine della guerra fredda ha, non tanto impedito che ciò che egli prospettava potesse effettivamente accadere, quanto il fatto che le sue valutazioni erano del tutto errate.

A Mosca, infatti, piani e proiezioni erano completamente differenti, nonostante nel loro carniere fossero cadute Angola, Mozambico, Zimbabwe e via dicendo.

Tanto che ci sarebbe da pensare che l'opera di Luttwak non sia stato altro che un'operazione di disinformazione della CIA per non far capire allo STAVKA e al Cremlino ciò che invece Pentagono e Casa Bianca avevano ben chiaro; un progetto tendente quasi a rassicurare i governanti sovietici e ad indurli a fare ciò che veniva enunciato nel libro.

Cosa pensava Luttwak?

Nessun leader sovietico poteva più vedere nella NATO e nelle altre alleanze di teatro concluse dagli USA un vero e concreto pericolo per la propria sicurezza.

L'industria sovietica era in grado di sfornare carri armati, mezzi blindati, artiglieria, aerei e navi da combattimento di tutti i tipi e per tutte le missioni, in copiosa quantità.

Inoltre questi mezzi erano di qualità notevole, spesso superiori agli analoghi mezzi occidentali.

Il fatto che questi stessi strumenti militari erano stati surclassati dai loro omologhi prodotti negli USA durante la guerra del Kippur (il quarto conflitto arabo-israeliano nel 1973) derivava dalla maggior e migliore preparazione dei militari israeliani rispetto quelli egiziani e siriani; i soldati del Patto di Varsavia erano molto meglio addestrati, motivati e disciplinati rispetto a quelli europei occidentali e poi, in ogni caso, il riferimento era ad un conflitto che risaliva a ben dieci anni prima.

In conclusione, la semplice esistenza della superpotenza militare sovietica aveva ormai ingenerato timore fra i popoli dell'Europa occidentale e i loro rappresentanti politici, tant'è che ormai la frase "meglio morti che rossi", aveva veramente assunto una sua dimensione non soltanto concettuale, ma realisticamente concreta.

Forse, sebbene non si palesasse questa convinzione fra le righe, nè da parte di Luttwak nè tantomeno dai supposti pensieri degli strateghi di Mosca, i giovani delle nazioni del vecchio continente legate agli USA erano di fatto inflacciditi dalla vita comoda, dalle droghe, da uno stile di vita viziato e vizioso che non avrebbe più potuto produrre alcun effettivo grattacapo a chi era responsabile della sicurezza del Patto di Varsavia(!!!).

Con un occidente ormai in piena decadenza, con gli USA, unico baluardo effettivo (ma altrettanto bacato al suo interno dallo stile di vita anzidetto) e con il tutt'altro che teorico profilarsi del collasso dell'intero mondo (insieme a tutte le sue strutture politiche, militari, economiche e sociali già corrotte) posto al di là dell'Elba e dell'Atlantico, l'URSS poteva dirsi certa che il dominio mondiale era a portata di mano.

Ma se la superpotenza bellica (convenzionale e nucleare) dell'URSS era considerata bastevole ad indurre a miti consigli un mondo lacerato da contraddizioni sociali e di costume come quello capitalista, lo stesso impatto non si era avuto nei confronti dell'altro antagonista, la Cina, che sulla compattezza della propria società comunista faceva affidamento, oltre alla quantità di forza militare producibile del proprio popolo.

Luttwak riteneva che a quel punto il nuovo impero romano, l'URSS secondo lui (salvo definire così successivamente gli USA) si sarebbe rivolto ad est, per evitare quanto occorso al suo illustre predecessore a causa dei barbari provenienti dalla stessa direzione.

Una preventiva guerra, certamente anche nucleare, contro la Cina popolare avrebbe risolto ad un tempo molti problemi: eliminato un avversario geostrategico nel "gioco" del raggiungimento della totale supremazia globale; risolto una volta per tutte la lotta ideologica che caratterizzava le due diverse interpretazioni di marxismo-leninismo che si erano andate nel tempo sviluppando, dato un terroristico monito a livello mondiale, garantito la caduta dei regimi filo-cinesi in Africa e Asia con conseguente acquisizione dei relativi territori senza colpo ferire.

Oggettivamente, a parte l'ultimo punto che sembrerebbe inconsistente, dato l'alto costo speso per il suo conseguimento, gli altri erano obbiettivi certamente importanti per la leadership di Mosca.

Penso che oggi si possa dire che l'URSS era intenzionata a perseguire i propri scopi tendenti alla supremazia assoluta sul pianeta ma considerando la guerra come ultima ratio, pur non escludendola a priori e dandole un valore, una progettualità ed una fattibilità molto più incisive rispetto a quanto si proponevano le cancellerie occidentali.

I piani che prevedevano l'invasione dell'europa occidentale e la sua eliminazione mediante attacchi nucleari sono oggi di dominio pubblico e tanto basti; anche l'eventualità di considerare più che plausibile uno scambio nucleare con gli USA faceva parte delle opzioni del Cremlino.

Altro che espansione primaria verso la Cina! questa espansione ci sarebbe stata solo in un secondo tempo, dopo aver ridotto ampie porzioni dell'Europa occidentale ad aree radiottive ed aver di fatto disinnescato la volontà degli USA, costringendoli alla difensiva.

Dopo siffatta, spero non fastidiosa, esposizione passo ad una TL su un ucronico conflitto sino-sovietico per come ipotizzato da Luttwak.

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Aprile 1984: un'ennesima crisi economica, dovuta all'indebitamento pubblico e alle speculazioni a carico delle più deboli valute occidentali, spinge i governi delle nazioni europee che fanno parte della NATO a misure sempre più drastiche in materia di contenimento dei costi, con tagli alla spesa pubblica, freno agli aumenti dei salari e, in alcuni casi come ad esempio l'Italia, ricorrendo alla svalutazione della propria moneta.

Inizia un periodo caratterizzato da scioperi di lunga durata con cortei di protesta che sfociano quasi sempre in scontri di piazza in numerose città, da Parigi ad Atene, passando per Milano.

A queste manifestazioni vanno aggiunte quelle promosse dai pacifisti che ancora lottano contro lo schieramento ormai completato dei cosiddetti euromissili.

Negli USA la crisi dell'industria automobilistica che ha colpito la Chrysler sembra invece essersi risolta, sebbene la concorrenza asiatica, giapponese ma anche sudcoreana, si fa sempre più forte; per evitare il dover far nuovamente ricorso a sovvenzioni bancarie garantite dal Congresso, vengono emanate leggi a carattere protezionistico. Questo ha l'effetto di sviluppare una guerra commerciale con le altre nazioni, producendo un'ulteriore rallentamento nella ripresa economica mondiale.

A Mosca il leader sovietico Konstantin Chernenko, Segretario generale del PCUS e Presidente del Praesidium del Soviet supremo dell'URSS da appena due mesi, ritiene, insieme ai suoi collaboratori più importanti, che la crisi economica nel mondo occidentale può essere decisiva nel processo di collasso del sistema capitalista; sebbene non si possa ignorare che le conseguenze economiche negative investiranno anche l'Est socialista, i vertici moscoviti giudicano l'indipendenza energetica dell'URSS un elemento favorevole, aggiunto al fatto che i raccolti agricoli sono prevedibilmente abbondanti e possono garantire l'autosufficienza alimentare nel prossimo futuro.

E' il momento di dimostrare al mondo che la potenza militare sovietica non ha eguali sul pianeta e che nessuno può ragionevolmente opporsi ad essa.

Maggio 1984: mentre in Europa occidentale si assiste ad una recrudescenza del terrorismo di matrice fascista, i Sovietici iniziano una serie di operazioni contro i mujaheddin in Afghanistan.

Giugno 1984: i satelliti americani seguono i preparativi delle previste manovre militari estive nell'Estremo Oriente sovietico. Parallelamente anche i Cinesi iniziano a fare altrettanto, mentre in Europa sembra che l'Armata Rossa, in base alle usuali notifiche scambiate con i comandi NATO, non intenda compiere esercitazioni di grande impegno, limitandole anche nella durata.

Luglio 1984: per il giorno 28 è prevista l'inaugurazione dei Giochi Olimpici a Los Angeles, ai quali si sa che non parteciperanno l'URSS e i paesi allineati o politicamente vicini, eccezion fatta per la Romania e la Jugoslavia. Parteciperà invece la Cina, dopo 32 anni che mancava dalle competizioni olimpiche.

Nella notte tra sabato 14 e domenica 15 luglio nella città di Blagoveschensk, al confine sino-sovietico lungo il fiume Amur, avvengono degli attentati presso alcuni edifici pubblici e militari e si contano decine di morti e di feriti; secondo quanto dichiarano i Sovietici, responsabili di queste azioni sono gruppi di terroristi provenienti dalla vicina città cinese di Heihe.

Nei successivi giorni fra Mosca e Pechino vengono scambiati violenti messaggi e pretese formali richieste di scuse; i Cinesi negano qualsiasi loro coinvolgimento negli attentati, mentre i Sovietici li accusano di aiutare i mujaheddin afgani.

All'ONU si cerca di dirimere la controversia ma le proposte di offrirsi quali mediatori da parte degli USA e di altre nazioni vengono rigettate dal rappresentante sovietico: "Che il governo di Pechino ammetta le sue colpe! Poi si potrà discutere di tutto".

Il successivo 20 luglio, alcuni chilometri a sud di Blagoveschensk e Heihe avviene uno scontro fra motovedette sovietiche e cinesi che pattugliano i confini fluviali dell'Amur; le note ufficiali della Tass parlano di due scafi cinesi danneggiati ed uno sovietico distrutto, oltre a quattro marinai sovietici uccisi e otto feriti; Mosca alza minacciosamente i toni della disputa e dichiara che sono stati i Cinesi ad aprire per primi il fuoco.

Pechino nega con veemenza che le proprie forze navali abbiano dato inizio allo scontro e rimpalla l'accusa ai Sovietici.

Lunedì 23 luglio pare che la situazione tenda a normalizzarsi; i rappresentanti cinese e sovietico alle Nazioni Unite s'incontrano e giungono all'impegno, che verrà presto ufficializzato tra i rappresentanti diplomatici nelle rispettive capitali, di nominare una commissione mista, integrata da rappresentanti dell'ONU, per accertare quanto accaduto a metà luglio a Blagoveschensk.

Sono in molti a tirare un respiro di sollievo.

Ma gli animi tornano tristi l'indomani alla notizia, non confermata diplomaticamente da Mosca e da Pechino, che durante la notte sono avvenuti degli scontri di frontiera fra opposte pattuglie nei pressi delle isole Bolshoi Ussuriisky', alla confluenza dei fiumi Amur e Ussuri, nei pressi della città sovietica di Khabarovsk.

Il 25 luglio il mondo è scosso da una nuova notizia proveniente da Oriente: un combattimento aereo è avvenuto nella stessa zona dove il 20 luglio si sono scontrate le motovedette fluviali sovietiche e cinesi; non si hanno dati certi ma Mosca accusa i Cinesi di aver violato lo spazio aereo sovietico e provocato con manovre azzardate i caccia inviati dall'aeroporto militare di Blagoveschensk per intercettare gli intrusi. Il risultato è stato che uno degli aerei cinesi è stato abbattuto dopo che non dimostrava alcuna intenzione di rientrare nello spazio aereo cinese.

Il Cremlino produce una nota ufficiale nella quale si evidenzia che le forze armate dell'Unione Sovietica non subiranno più passivamente alcuna provocazione da parte della Cina e contrasteranno con la forza qualsiasi ulteriore sconfinamento.

Da Pechino rispondono che a sconfinare sono stati due Mig sovietici che hanno proditoriamente abbattuto un ricognitore dell'Aviazione del Popolo e che si sono poi allontanati non appena la caccia cinese si è alzata in volo per intercettarli. Questi incidenti, volutamente causati dai Sovietici, sono ormai diventati intollerabili e perciò verranno prese tutte le misure atte a difendere gli inviolabili confini della Repubblica Popolare.

E poi? Che cosa accade?

Enrico Pellerito

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L'amico Lord Wilmore ha poi deciso di dedicare ad Enrico Pellerito un diverso possibile svolgimento della guerra sino-sovietica descritta nell'ucronia precedente. Attenzione, è un'opera di assoluta fantasia!

Il Grande Scontro del 1965

Tratto dal volume dello storico Enzo Bettiza (1927-2017) "Il comunismo da Budapest a Praga, 1956-1968", con Ennio Ceccarini e Arrigo Levi, prefazione di Adolfo Battaglia, Roma, Edizioni della Voce, 1969

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1  Prima della guerra

1.1  Antefatto

A partire dalla vittoria di Mao nella guerra civile cinese nel 1949, i due maggiori stati comunisti del mondo, URSS e Repubblica Popolare Cinese, diedero vita a una forte rivalità, e mantennero anche diverse contese, in particolare riguardo al controllo sulla Mongolia, il motivo principale di contenzioso tra i due paesi. Ulaan Bator era rimasta nella sfera d'influenza sovietica, ma Pechino la rivendicava fortemente, essendo già parte un tempo dell'Impero Qing, e ritenendo che da essa l'URSS potesse sferrare attacchi aerei e missilistici contro il suo territorio. Esistevano anche altre regioni contese, in particolare sul confine tra Kazakhstan e Xinjiang Uighur: la disputa sorse per la prima volta nel 1956 e si concluse con un successo sovietico che riprese il controllo dell'area contesa.

1.2  Casus Belli

Nel gennaio 1965 truppe cinesi cominciarono ad essere ammassate lungo il confine mongolo: Mao riteneva che il nuovo Presidente del Soviet Supremo Leonìd Il'ìč Brèžnev non avesse ancora consolidato il proprio potere, dopo aver estromesso il predecessore Nikita Sergeevič Chruščёv con un colpo di mano, e dunque sarebbe stato facile invadere la Mongolia ed imporre ad Ulaan Bator un governo fantoccio di Pechino. Alle prime provocazioni seguirono, l'8 aprile 1965, attacchi da entrambe le parti alla postazioni avversarie. Inizialmente le scaramucce coinvolsero la polizia di frontiera di entrambi gli stati, Cina e Mongolia, e le schermaglie tra le forze armate erano intermittenti. Dietro sollecitazione del Presidente mongolo Jamsrangiin Sambuu, nel giugno 1965 il Segretario Generale dell'ONU U Thant riuscì a convincere le parti a cessare le ostilità e ad avviare il dialogo per risolvere la questione mongola e quella di frontiera più ad occidente.

1.3  Prime azioni

Il Presidente del Partito Comunista Cinese Mao Zedong riteneva però che l'esercito sovietico non sarebbe stato in grado di difendersi di fronte ad una campagna militare di breve intensità per il conteso territorio della Mongolia, così, come era accaduto nel 1962, quando l'India venne sconfitta dalla Cina nella guerra sino-indiana. La Cina credeva che la popolazione della Mongolia fosse scontenta del ruolo dell'Unione Sovietica, ritenuta una forza di occupazione, e che fosse possibile la nascita di un movimento di resistenza con l'invio di agenti provocatori. Mediante un'operazione segreta che prese il nome di Operazione Zheng He la RPC tentò di promuovere un movimento di ribelli, ma gli infiltrati cinesi furono scoperti nel giro di breve tempo dalla popolazione locale e l'operazione risultò un completo fallimento.

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2  Resoconto dei combattimenti

2.1  Prima fase degli scontri fra truppe di terra

2.1.1  Scoppia la guerra

Il 5 agosto 1965 330.000 soldati dell'Esercito Popolare di Liberazione (Zhōnggúo Rénmín Jiěfàngjūn, le forze armate della Repubblica Popolare Cinese) varcarono la linea di confine. Le forze sovietiche, assecondando la richiesta di aiuto del Presidente mongolo Jamsrangiin Sambuu, attraversarono il confine sovietico-mongolo il 15 agosto. Inizialmente le forze cinesi ottennero successi considerevoli, conquistando importanti posizioni di montagna dopo un prolungato sbarramento di artiglieria e giungendo a minacciare Ulaan Bator. Verso la fine di agosto, comunque, i sovietici avevano contrattaccato occupando e difendendo la capitale, e bloccando molte linee di comunicazione e di approvvigionamento alle truppe cinesi.

2.1.2  L'Operazione Grande Muraglia

Il 1º settembre 1965 l'Armata Rossa (Krasnaja Armija) diede il via ad un contrattacco, denominato Operazione Grande Muraglia, con l'obiettivo di penetrare sia nel Xinjiang Uighur che in Mongolia. Il Presidente cinese Liu Shaoqi non se ne preoccupò ed affermò che "il morale sovietico non avrebbe resistito a più di due duri colpi inferti al posto e al momento giusto", nonostante il fallimento dell'Operazione Zheng He e la conquista, da parte sovietica, di fondamentali passi montagnosi di confine. La PRC attaccò con un numero di truppe elevato e con carri armati tecnicamente superiori, le forze sovietiche furono invece colte impreparate e soffrirono forti perdite. L'URSS, per attenuare l'attacco, chiamò in causa la propria aeronautica e bombardò Harbin; il giorno successivo, per rappresaglia, l'aviazione cinese colpì le forze sovietiche e le basi aeree situate presso Vladivostok. La decisione cinese di allargare il conflitto alla regione dell'Amur spinse l'esercito sovietico a ricollocare le truppe per difendere quel territorio, di conseguenza l'Operazione Grande Muraglia fallì e l'URSS non fu in grado di conquistare Harbin via terra; questo divenne uno dei momenti fondamentali del conflitto perchè l'URSS decise di alleviare la pressione delle sue truppe sulla Manciuria per scacciare le truppe cinesi dal suolo mongolo.

2.1.3  L'Armata Rossa ad Ürümqi

L'Armata Rossa attraversò il confine sino-mongolo il 6 settembre e invase la Mongolia Interna; nello stesso giorno la 15ª Divisione cinese, guidata dal Generale Luo Ruiqing, iniziò un forte contrattacco per scacciare i sovietici dal Xinjiang Uighur. Tuttavia il generale cadde in un'imboscata e fu costretto a fuggire. Un secondo tentativo, questa volta riuscito, di raggiungere il precedente confine venne effettuato più a sud; tali sviluppi portarono le forze cinesi ad invadere il Kirghizistan. Gli Stati Uniti chiesero un temporaneo cessate il fuoco per evacuare i propri cittadini residenti in Cina e in Mongolia, ma la richiesta del Presidente Lyndon Johnson venne ignorata. L'URSS contrattaccò e giunse a Ürümqi, capitale del Xinjiang, mentre le truppe cinesi tentavano di deviare l'attenzione da questa città mediante un attacco sulle postazioni militari adiacenti. Brèžnev proclamò l'indipendenza della Repubblica Popolare dell'Uighuristan, gran parte del cui territorio restava però sotto il controllo di Pechino. Intanto, anche l'India pugnalava alle spalle la Cina, rioccupando le regioni di confine dell'Aksai Chin e di Shaksgam, conquistate in precedenza dall'esercito cinese, nonostante le minacce del Pakistan di intervenire a favore della Cina. Le azioni del Pakistan erano infatti bloccate dall'alleato americano, che temeva il dilagare del conflitto asiatico. Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria e Bulgaria mandarono propri limitati contingenti in appoggio di quelli sovietici, mentre l'Albania di Enver Hoxha inviò un battaglione di volontari in supporto alla Cina, e la Romania si rifiutò di appoggiare entrambe le parti in causa. Il Maresciallo Tito dichiarò che "la guerra sino-russa era la tomba del marxismo-leninismo imperialista", ed il Movimento dei Non Allineati si schierò con decisione contro il conflitto definito "inutile".

2.1.4  Attacco ad Harbin

L'offensiva su Harbin venne portata avanti dalla 1ª Divisione cinese supportata da tre reggimenti corazzati della 2ª Brigata corazzata, che avanzarono velocemente attraversando il confine sino-mongolo e giungendo in vista della città mancese il 6 settembre. L'esercito cinese tenne i ponti sul fiume Songhua, affluente dell'Amur, e fece esplodere quelli che non fu in grado di controllare, bloccando ogni ulteriore avanzata dei sovietici su Harbin. Un'unità cinese dal canto suo riuscì a conquistare la città di Frunze, capitale del Kirghizistan; poco dopo però una controffensiva composta da una divisione corazzata e da una divisione fanteria, supportata dall'aeronautica sovietica, costrinse la 15ª divisione cinese a ripiegare sulla propria posizione iniziale, abbandonando Frunze. Il grosso del danno riguardava munizioni e veicoli per l'approvvigionamento, gli alti comandanti non ebbero notizie della conquista e riconquista di Frunze e informazioni errate portarono il comando alla decisione di ritirarsi da Harbin. Questa decisione creò molta delusione tra i sovietici, che avanzarono nuovamente e conquistarono la città dopo una dura battaglia. Intanto la Corea del Nord inviava uomini e mezzi in difesa della Cina e mobilitava uomini e mezzi al confine con la "sorellastra" del sud; di conseguenza Corea del Sud e Giappone avvisarono Pyongyang che sarebbero intervenuti nel conflitto se la loro integrità territoriale fosse stata minacciata. Chiang Kai-shek restava alla finestra a Taipei, ben sapendo che una sconfitta cinese non avrebbe significato un suo ritorno a Pechino, ma l'arrivo a Pechino di un regime collaborazionista filosovietico. Intanto Papa Paolo VI lanciava inutilmente appelli alla pace, a deporre le armi e a restituire i territori occupati.

Operazioni militari sovietiche sul fronte del Kirghizistan

Operazioni militari sovietiche sul fronte del Kirghizistan

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2.2  Seconda fase degli scontri fra truppe di terra

2.2.1  Il buco nell'acqua a Frunze

L'8 settembre 1965 una compagnia di 5 unità sovietiche venne inviata nel Kirghizistan come rinforzo per le truppe che difendevano Frunze. Il compito era semplice, tenere la città di Balykchi sul lago Ysyk-Kol ed evitare l'invasione del Kirghizistan da parte dei battaglioni di fanteria cinesi. Tuttavia sulle rive del lago la compagnia sovietica riuscì a malapena a gestire un intenso attacco di 24 ore. Un battaglione venne inviato come rinforzo ma non riuscì a raggiungere il luogo. L'aeronautica sovietica bombardò l'intera area e colpì anche un treno proveniente da Frunze con i rinforzi. Il 10 settembre Frunze ricadde in mani cinesi e gli sforzi per riprendere il punto strategico non ebbero successo.

2.2.2  La battaglia di Liaoyuan

Nei giorni successivi il 9 settembre le migliori formazioni di entrambe le superpotenze furono sconfitte in battaglie impari. La 1ª Divisione corazzata, indicata come "l'orgoglio dell'esercito sovietico", lanciò un'offensiva verso Shenyang, si divise in due gruppi e venne costretta a ripiegare dalla 6ª Divisione corazzata cinese dopo aver sofferto gravi perdite, tra le quali circa 100 carri armati. In seguito a questo successo l'URSS lanciò l'Operazione Plutone che costrinse la Cina a ritirarsi ulteriormente. La 1ª Divisione corazzata, orgoglio dell'Unione Sovietica, diede il via ad un'offensiva verso il Liaoning con l'obiettivo di giungere sul Mar Giallo e minacciare la stessa Pechino, però non ce la fece e il 10 settembre venne distrutta dalla 4ª Divisione di montagna in quella che viene ricordata come la battaglia di Liaoyuan. Ben 137 carri armati sovietici furono distrutti o danneggiati, e i sovietici dovettero sgomberare quasi totalmente la Manciuria, mentre la Cina riprendeva anche quasi tutta la Mongolia Interna. Dal canto suo l'URSS riusciva a riprendere la regione dell'Amur, anche se Vladivostok restava in mani cinesi.

2.2.3  La battaglia di Changchun

Dopo che le forze cinesi aprirono una breccia nelle linee sovietiche in Manciuria l'11 settembre, la controffensiva sovietica venne bloccata e la strategia di Mosca ne venne fortemente influenzata. Nonostante alcuni risultati ottenuti dalle formazioni corazzate, l'attacco sovietico nella battaglia di Changchun venne bruscamente fermato dalle forze della PRC. Pechino sostenne che Mosca perse 120 carri armati in questa battaglia. Nessuno dei due contendenti dimostrò grandi abilità nell'utilizzo delle formazioni corazzate nelle operazioni offensive; al contrario entrambi si mostrarono efficaci con piccole forze in attività difensive.

2.2.4  La guerra in stallo

La guerra si stava dirigendo verso una situazione di stallo, con entrambe le nazioni che mantenevano in mano territori altrui. Xinjiang Uighur settentrionale e parte della Manciuria restavano occupate dall'URSS, mentre la Cina deteneva ancora Vladivostok e parte del Kazakhstan e del Kirghizistan. Non mancarono tra entrambi gli schieramenti alti ufficiali dell'esercito che, onde risolvere lo stallo, minacciarono un'escalation nucleare del conflitto (per prima fu Mosca a sollevare la questione). Tali minacce fortunatamente non furono seguite da fatti concreti, anche per le pressioni dell'opinione pubblica mondiale e dell'ONU. Intanto la guerra vedeva scontrarsi l'aeronautica militare sovietica (Voenno-vozdušnye sily SSSR) e l'aeronautica militare cinese (Zhōngguó Rénmín Jiěfàngjūn Kōngjūn) con gravissime perdite da entrambe le parti. Spesso è stato riportato che gli aerei sovietici erano superiori rispetto ai mezzi cinesi, spesso antiquati, ma questi ultimi prevalsero in un numero maggiore di combattimenti rispetto alla quantità inferiore impiegata dall'URSS, che doveva pur sempre mantenere intatto il suo dispositivo in Europa. Da segnalare il fatto che un MIG sovietico atterrò in una pista abbandonata presso Pechino e venne catturato dall'esercito cinese; il pilota raccontò che la maggior parte del suo equipaggiamento era rovinato e qualora avesse avuto qualche possibilità gli aerei cinesi lo avrebbe abbattuto. Questo aereo è oggi conservato come trofeo di guerra nel Museo dell'Aeronautica Cinese a Shanghai. Le dichiarazioni dei due paesi sulle perdite causate e subite durante la guerra furono contraddittorie, e poche fonti neutrali hanno verificato tali affermazioni. L'URSS ha sostenuto di aver abbattuto 104 mezzi cinesi e di averne persi 19, mentre la RPC ha indicato come 59 i mezzi persi e 73 gli aerei sovietici abbattuti. Secondo una fonte indipendente, riportata in una rivista subito dopo la guerra, l'URSS perse 116 aerei. La Cina cercò comunque di acquistare altri mezzi da vari paesi asiatici per affrontare la disparità di forze in campo, che era di tre ad uno.

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2.3  Considerazioni sugli armamenti in campo

2.3.1  Mezzi corazzati

La guerra del 1965 vide alcune delle più grandi battaglie combattute con i mezzi corazzati dai tempi della seconda guerra mondiale. All'inizio della guerra l'esercito sovietico era superiore nel suo complesso sia per quanto riguardava il numero di carri armato sia per un miglior equipaggiamento, tuttavia ad oriente non aveva così tante forze disponibili da subito e ci sarebbe voluto del tempo per mobilitare le riserve in un conflitto che restava convenzionale. La Cina invece mise in campo un'artiglieria più numerosa e più agguerrita. Nonostante la superiorità in termini numerici e di qualità, l'URSS venne sconfitta dalla Cina, la quale fece progressi in Mongolia Interna e riuscì ad arrestare l'offensiva verso il Mar Giallo.

2.3.2  Operazioni in mare

Le operazioni navali ebbero un ruolo marginale nel conflitto del 1965, anche perchè i cinesi avevano una marina decisamente insufficiente. Il 7 settembre una motovedetta lanciamissili cinese bombardò la stazione radio della marina sovietica situata a Južno-Sachalinsk, sull'isola di Sachalin. L'attacco è ritenuato dai cinesi un'azione rilevante, anche se i sovietici la considerano solo come una fastidiosa incursione. In seguito all'attacco a Sachalin la marina dovette rispondere ad un'interrogazione di fronte al Soviet Supremo dell'URSS, e una volta finita la guerra venne avviato un processo di modernizzazione ed espansione del corpo; altrettanto fece la RPC, potenziando notevolmente la propria marina da guerra. Secondo fonti cinesi, un sottomarino della PRC bloccò a Petropavlovsk-Kamchatsky, sulla penisola di Kamchatka, il cacciatorpediniere "Komsomolec Ukrainy" durante tutta la durata della guerra, ma fonti sovietiche hanno risposto che non era nelle loro intenzioni utilizzarlo durante il conflitto e il loro desiderio era limitare lo scontro alla terraferma.

2.3.3  Operazioni segrete

L'esercito cinese diede il via a diverse operazioni segrete per infiltrarsi e sabotare le basi sovietiche. In data 7 settembre 1965 un commando del Gruppo Servizi Speciali venne paracadutato in territorio nemico; un audace tentativo che si risolse in un "disastro assoluto". Solo 22 commando tornarono in Cina, 93 furono fatti prigionieri e 20 vennero uccisi, tra i prigionieri c'era anche uno dei comandanti dell'operazione. Le ragioni del fallimento sono attribuite a gravi inefficienze nel fornire mappe, istruzioni e un'adeguata preparazione. Nonostante il fallimento nel sabotaggio degli aerodromi, fonti cinesi affermano che le azioni dei commando abbiano influenzato alcune operazioni già pianificate dall'URSS. Quest'ultima rispose alle attività sotto copertura annunciando ricompense per chi catturava spie o paracadutisti. Nel frattempo in Cina diverse voci affermavano che l'URSS avesse, a sua volta, inviato dei commando in territorio cinese, anche se successivamente queste voci furono indicate come infondate.

"Non attaccheremo se non saremo attaccati ma, se saremo attaccati, noi certamente contrattaccheremo". Poster di propaganda del 1965

"Non attaccheremo se non saremo attaccati ma, se saremo attaccati,
noi certamente contrattaccheremo". Poster di propaganda del 1965

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3  Verso la conclusione del conflitto

3.1  La Dichiarazione di Bologna

Gli Stati Uniti e la CEE intanto portavano avanti delle forti attività diplomatiche per evitare ulteriori escalation del conflitto tra le due potenze asiatiche. Il Segretario di Stato USA Dean Rusk si offrì di ospitare i negoziati per il cessate il fuoco a Dayton, nell'Ohio, ma alla fine i due paesi comunisti decisero di accettare l'offerta del Presidente della Commissione Europea Walter Hallstein e del Vicepresidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana, il socialista Pietro Nenni, di incontrarsi per cercare una soluzione diplomatica nella città di Bologna. Il Ministro degli Esteri Sovietico Andrej Andreevič Gromyko e il suo omologo cinese Zhou Enlai firmarono la Dichiarazione di Bologna concordando di ritirarsi, non prima del 25 febbraio 1966, alle linee dell'agosto precedente. La diminuzione delle scorte di munizioni fece temere al leader sovietico Leonid Il'ič Brežnev che la guerra volgesse a favore della PRC, di conseguenza accettò velocemente il cessate il fuoco di Bologna. Nonostante le forti resistenze dei suoi leader militari la Cina si piegò alle crescenti pressioni diplomatiche, giacché un conflitto prolungato conveniva meno alla Cina che all'URSS: Mao Zedong temeva che il trascinarsi del conflitto con l'URSS potesse dare a Chiang Kai-shek l'occasione per aprire un conflitto a sud. e accettò il cessate il fuoco. Quest'ultimo venne criticato da molti cinesi i quali, fidandosi della stampa controllata, credettero che la leadership si fosse arresa agli interessi dei militari. Le proteste portarono a rivolte degli studenti, ponendo le basi della successiva Rivoluzione Culturale. In data 22 settembre comunque venne approvato all'unanimità dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU una risoluzione che chiedeva il cessate il fuoco incondizionato ad entrambe le parti. La guerra ebbe termine il giorno seguente.

3.2  Tregua tra le superpotenze

Per il suo ruolo di mediatore, a Pietro Nenni fu conferito l'Ordine di Lenin, la più alta onorificenza nazionale dell'Unione Sovietica. I rapporti ufficiali emanati dal governo cinese sostennero che i propri militari si erano comportati "meravigliosamente" durante la guerra, venne ingiustamente dichiarato che fu l'URSS a scatenarla e la Dichiarazione di Bologna venne indicata come una summa dei successi ottenuti. URSS e Cina si accusarono reciprocamente di violazioni del cessate il fuoco; in aggiunta ai colpi di artiglieria e di piccole armi da fuoco, l'URSS accusò la PRC di aver utilizzato la tregua per catturare alcune aree di frontiera. Un aereo dell'esercito sovietico venne abbattuto il 16 dicembre uccidendo un capitano e il 2 febbraio 1967 un aereo cinese venne abbattuto da caccia sovietici. Il cessate il fuoco venne, comunque, complessivamente rispettato. Complessivamente si ritiene che errori strategici commessi da ambe le parti determinarono una conclusione della guerra in una situazione di stallo. L'intelligence militare sovietica non avvertì dell'imminente invasione cinese della mongolia, e il KGB aveva sviluppato una visione esagerata della debolezza sia della Cina, sia del suo esercito: la guerra del 1965 fu per Mosca uno shock. Invece gli errori dell'esercito cinese incominciarono a partire dalla convinzione che vi fosse un generale scontento tra la popolazione della Mongolia, dando così l'opportunità alla PRC di avanzare e scatenare una rivolta contro i sovietici e ottenere una vittoria veloce e decisiva. Alcuni autori hanno sottolineato come la PRC potrebbe essere stata incoraggiata ad aprire il conflitto in seguito ad un war game condotto a tavolino nel marzo 1965, perchè l'esercitazione si era conclusa con una vittoria della Cina, qualora fosse scesa in guerra contro l'URSS. In ogni caso, in URSS la propaganda sulla guerra continuò, il conflitto non venne analizzato razionalmente, la maggior parte delle colpe furono attribuite alla leadership militare e venne data poca importanza ai fallimenti dell'intelligence; ciò persistette fino alla debacle della guerra in Afghanistan, che in fin dei conti fu decisiva per il crollo dell'URSS.

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4  Dopo il conflitto

4.1  Perdite e conseguenze

Come c'era da aspettarsi, le dichiarazioni di URSS e Cina sulle perdite sono molto divergenti, sia per quanto riguarda le perdite subite che per quelle arrecate. Secondo la Library of Congress Country Studies diretta dal Federal Research Division degli Stati Uniti "la guerra fu militarmente inconcludente; entrambi i contendenti fecero prigionieri e conquistarono territori. Le perdite furono relativamente pesanti sul fronte cinese: 100 aeromobili, 200 carri armati e 88.000 soldati. L'esercito cinese era stato in grado di resistere alle pressioni sovietiche, ma una prosecuzione dei combattimenti avrebbe portato solo a perdite maggiori e alla definitiva sconfitta per la Cina." A guerra conclusa, molti sovietici considerarono positiva la prova dei loro militari: il 6 settembre in URSS si celebrava il Giorno della Difesa per ricordare la vittoriosa difesa della città di Frunze dall'esercito cinese. Entrambi i paesi persero la metà dei loro armamenti, ma in Cina crebbe il mito del "Grande Timoniere" Mao Zedong che aveva impedito il disastro politico e militare della sua nazione. Molti cinesi, indottrinati nella certezza delle loro abilità militari, rifiutarono la possibilità che le forze armate del loro paese fossero sconfitte dall'odiata URSS e furono invece pronti ad incolpare il loro fallimento, nato dagli obiettivi militari, all'incapacità di Liu Shaoqi e del suo governo, che furono costretti a dimettersi; Liu Saoqi venne sostituito da Dong Biwu. Il "New York Times" scrisse che, "gravemente colpita dall'accanita resistenza delle forze armate cinesi, l'URSS avrebbe potuto continuare a combattere solo alleandosi con gli USA per distruggere definitivamente Pechino e voltando le spalle all'ONU".

4.2  Opinioni sulla guerra

David Van Praagh nel suo libro intitolato "The greater game" scrisse che, in fin dei conti, "la Cina vinse la guerra, non essendo riuscita a strappare la Mongolia all'URSS, ma impedendo a quest'ultima di invaderla e di abbattere il suo governo. Inoltre la Cina ottenne 18.400 km² di territorio sovietico mentre l'URSS prese solo 5.400 km² di territorio cinese". Dennis Kux invece ha fornito un sommario diverso della guerra nel suo "China and USSR strange dictatorships": "Nonostante entrambe le parti abbiano subito grosse perdite di uomini e materiali e nessuna abbia ottenuto una vittoria militare decisiva, l'URSS ottenne i migliori risultati dalla guerra: Mosca raggiunse il suo obiettivo di contrastare il tentativo cinese di conquistare la Mongolia con la forza, mentre la PRC  non ha ottenuto nulla da un conflitto che essa stessa ha provocato." Nel suo libro "War in the modern world since 1815", il noto storico di guerra Jeremy Black affermò che l'URSS "perse pesantemente" la guerra del 1965 e la decisione affrettata della PRC di procedere ai negoziati evitò gravi e ulteriori danni all'Armata Rossa. La BBC poi fece notare che la guerra determinò dei cambiamenti nella politica sovietica: "Con la sconfitta del 1965, la considerazione che l'Armata Rossa fosse invincibile si tramutò in un'opposizione crescente. Entrambe le parti dichiararono vittoria, ma la Cina aveva più da celebrare." Uk Heo e Shale Asher Horowitz scrissero nel loro libro "Conflict in Asia: Korea, China-USSR, and Vietnam": "L'URSS apparve ancora, almeno logisticamente, in una posizione superiore, ma nessuna delle parti era in grado di mobilitare abbastanza forze per ottenere una vittoria decisiva." Il giornale americano Newsweek sottolineò la capacità dei militari sovietici di tenere lontane la maggior parte delle forze cinesi: "Già dalla fine della prima settimana di conflitto, infatti, era chiaro che i mongoli con l'aiuto dei sovietici avrebbero difeso di più e meglio la loro terra". Nell'ottobre del 1965, infine, la rivista "TIME" riportò le valutazioni di un funzionario occidentale sulle conseguenze della guerra: "Adesso è evidente a tutti che la Cina emergerà come una potenza asiatica com'è nel suo diritto." Il prestigio ottenuto dai Cinesi convincerà Nixon a riconoscere la PRC attraverso la famosa "diplomazia del ping pong".

4.3  Considerazioni conclusive

Si ritiene che la guerra URSS-PRC abbia provocato un fatale rallentamento del programma spaziale sovietico, facendo perdere a Mosca la corsa per giungere per prima sulla Luna, a favore della NASA americana. Notevole l'impatto di quel conflitto sulla cultura di massa: la Guerra del 1965 appare in corso durante il film "L'uomo venuto dal Kremlino" con Anthony Quinn e Sir Lawrence Olivier, nel quale si immagina l'elezione di un Papa russo che riuscirà a porre fine al conflitto. Anche i romanzi "Uragano rosso" (1986) di Tom Clancy e "Classe Nimitz" (1997) di Patrick Robinson sono ambientati durante la Guerra Sino-Russa. Dopo la guerra del 1965 la corsa agli armamenti tra i due paesi divenne ancora più folle e, unitamente alla sconfitta americana nella Guerra del Vietnam, convinse la leadership del PCUS che la vittoria sovietica e il crollo dell'occidente fossero prossimi, iniziando una serie di battaglie su più fronti che finì per portare l'URSS all'indebolimento e alla catastrofe. Ma per questo bisognerà aspettare ancora un quarto di secolo.

Lord Wilmore

Vignetta di Edmund Valtman sulla Guerra del 1965

Vignetta di Edmund Valtman sulla Guerra del 1965 (da questo sito)

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William Riker in proposito domanda:

Secondo te, Enrico, si sarebbe arrivati a uno stallo come ha pensato il nostro Milord, risolto dalla mediazione del marxista Pietro Nenni, o uno dei due contendenti avrebbe prevalso sull'altro? Brežnev avrebbe conquistato la Manciuria, avrebbe costretto Mao a fuggire ad Hainan e avrebbe imposto a Pechino un regime fantoccio guidato da Lin Biao? O il Grande Timoniere avrebbe conquistato Kirghizistan, Tagikistan, Mongolia e Tannu Tuva, provocando il crollo accelerato dell'URSS in concomitanza con la Primavera di Praga?

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E l'interpellato gli risponde:

Nessuna delle due potenze mi sembra avere il vantaggio decisivo; l'URSS non ha i numeri per occupare pezzi di Cina, la Cina non ha i mezzi per invadere l'URSS. Questi erano i limiti effettivi dei contendenti, anche se entrambi di notevole capacità.

Nel 1965 l'URSS manteneva un apparato militare ai confini con la RPC del tutto analogo a quello che avrebbe avuto 4 anni dopo al momento degli scontri sull'Ussuri: capace di difendere il territorio, non certo di raggiungere Pechino e di far diventare la Cina un proprio vassallo.

Fra l'altro, quando la pressione cinese sembrò mettere in crisi le posizioni, non rinforzabili dall'Europa orientale o dall'URSS stessa senza il rischio di indebolirsi all'Occidente, i Sovietici sembra abbiano utilizzato una nucleare tattica, ma questo aspetto non è mai stato accertato.

Personalmente credo che le registrazioni dei sismografi di paesi lontani ma neutrali, quindi non sottoposti a pressioni da Mosca e da Washington, qualcosa potrebbero fornirla, per quanto "piccolo" potesse essere l'ordigno.

Solo a partire dal 1969 le forze armate sovietiche in Asia centrale e in Estremo oriente sarebbero aumentate di modo da essere consistenti subito senza attendere la mobilitazione delle riserve locali.

Riguardo la RPC, molto personale, molti armamenti, discreti anche se tecnologicamente inferiori, il tutto capace di creare difficoltà, ma non certo di penetrare in profondità e a distanza dentro il territorio sovietico.

A nessuno sarebbe convenuto scatenare un conflitto nucleare nel 1965, così come farlo degenerare nel 1969; troppo poco avrebbe potuto fare Pechino, mentre Mosca avrebbe rischiato un depauperamento del proprio arsenale, rendendolo troppo inferiore a quello americano.

Difatti, cessati gli scontri, i Sovietici chiesero agli Americani di valutare un piano comune per "difendere entrambe le nazioni da un'eventuale terza potenza che non desse sufficienti garanzie di stabilità". Ovviamente si riferivano alla RPC, ma nel frattempo era iniziata la politica di Kissinger per normalizzare i rapporti tra Pechino e Washington.

Digressione, se l'ucronia non è stata già fatta: ma se il nazismo non avesse preso il potere, quale ruolo politico avrebbe assunto Kissinger in una Germania alternativa?

Alla fine, un cessate il fuoco così come prospettato, anche se su una base di uti possidetis che dava sempre fastidio, può rappresentare una soluzione abbastanza verosimile.

Quanto invece supposto da Luttwak, avrebbe comportato una necessaria azione preventiva sovietica in chiave nucleare contro la corrispondente struttura cinese e poi una grande campagna per eliminare il governo e le forze armate cinesi. Meno male che non si è mai visto come sarebbe potuta andare.

Proprio un giornalista che scriveva su una rivista di analisi strategiche mi raccontò che la storia dell'ordigno tattico nucleare sovietico, poteva non essere affatto balzana (oggi la si definirebbe complottista o bufala). Da parte mia sono piuttosto scettico sull'accadimento in questione.

Vero è che una reazione dello stesso tipo da parte della Cina nel 1969 sarebbe stata davvero rischiosa per Mao.

Bombardare Vladivostok (sul Pacifico, innervosendo oltremodo USA e Giappone), ma anche qualsiasi altro centro dell'Estremo Oriente o dell'Asia centrale sovietici, come anche solo provare a ricambiare sul settore di confine sovietico per colpire esclusivamente truppe nemiche, avrebbe comportato un'inevitabile escalation e la potenza sovietica in questo campo era notevole, pur dovendosi erodere l'arsenale nucleare di Mosca.

Ma la stessa dirigenza sovietica cosa avrebbe fatto? Utilizzare una settantina di ordigni per distruggere tutto l'apparato governativo e militare cinese con una certa dose di sicurezza, infischiandosene della quantità allucinante di vittime?

Credo che, comunque, il cinismo dei leader e dei vertici militari in genere, pronti perfino a sacrificare i propri uomini pur di ottenere una vittoria, a volte sia stemperato da una riflessione a tavolino che consente di far sorgere scrupoli sufficienti a non far precipitare tutto nell'abisso e, per fortuna, c'è sempre la paura della ritorsione a frenare.

Cosa che avrà fatto meditare Hitler, accompagnata dalla sua personale negativa esperienza durante il primo conflitto mondiale, convincendolo a non usare i gas nervini sui campi di battaglia.

Pensate ad un'operazione Barbarossa dove da subito questi terribili agenti vengono utilizzati e contro i quali non vi era, all'epoca, alcuna difesa.

Di quanto avrebbe accelerato l'avanzata tedesca e dove sarebbe giunta prima dell'autunno del 1941?

Usarla contro coloro che erano considerati subumani non creava certo problemi a Hitler, ma restava il timore che negli USA avessero sintetizzato quegli stessi gas e allora si preferì usarli solo contro i prigionieri dei lager.

Sebbene siano stati previsti piani militari sviluppati negli anni, dove l'uso indiscriminato degli ordigni nucleari avrebbero spazzato via l'Europa occidentale, quella orientale, il Nord America e l'Eurasia, dobbiamo sperare che il buon senso collegiale prevalga sempre.

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C'è anche quest'altra idea di MattoMatteo:

A seguito della "Guerra civile Cinese" (1927-50), la nazione si spacca in due:

- Repubblica Popolare Cinese, capitale Pechino; comunista e supportata dall'URSS, a nord del Fiume Giallo; in seguito, grazie anche al supporto russo, (ri)annetterà la Mongolia e la Corea del Nord.

- Impero Cinese, capitale Nanchino; capitalista e supportato dagli Usa, a Sud del Fiume Giallo: comprende Taiwan, Hong Kong e Macao; queste ultime due torneranno a far parte dell'Impero Cinese prima che nella nostra HL; farà da supporto alle truppe americane nella guerra del Vietnam e potrebbe ricevere questo territorio, e altri della vecchia "Indocina Francese", come "regalo" dagli americani.

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Ma Perchè No? gli domanda:

Chi sarebbe sul trono celeste e perché? Non credo che né Puyi né suo fratello Pujie sarebbero restaurati, non perché gli Americani non vorrebbero, ma perché la Cina nazionalista non sopporterebbe il ritorno dell'odiata dinastia straniera dei Qing, e per quanto io ne sappia non ci sono più pretendenti Ming. E i discendenti di Yuan Shi-Kai? Nessuna legittimità, era imperatore della Cina come Bokassa I é stato imperatore del Centrafrica, e solo per un tempo brevissimo. Chang Kai-Shek potrebbe proclamarsi imperatore: una scelta più logica, anche se inverosimile. Fatto aneddotico: un Chang Kai-Shek imperatore ci darebbe oggi un imperatore di Cina per metà occidentale, perchè il figlio di Chang Kai-Shek si era sposato con una Russa perchè all'epoca studiava a Mosca e hanno avuto dei figli!

Il nome della parte Sud sarebbe quello della Repubblica di Cina fondata in Cina e sempre esistente sotto la forma di Taiwan: Zhonghuà Minguo o Republic of China (ROC). Eccezione fatta di altri eventi imprevisti, la sua storia rimarrebbe la stessa con un regime autoritario e militarista diretto da Jiang Jieshi e dopo di lui suo figlio fino alla democratizzazione all'inizio degli anni '90 (dopo di che la lista dei presidenti sarebbe diversa visto che non ci sarebbero ragioni per vedere solo Taiwanesi monopolizzare l'esecutivo). In questa mappa Nanjing sarebbe comunque nella parte "nordista", la capitale della ROC potrebbe allora diventare Guangzhou (Canton). L'insediamento di basi americane é da prevedere, soprattutto durante la guerra del Vietnam (Jiang Jieshi si era mostrato entusiasta di aiutare gli USA nella nostra HL... e farsi pagare per questo).

Solo una domanda, cosa diventa la ribellione pro-Kuomintang musulmana nell'attuale Xinjiang, il conflitto civile post-1949 più importante della RPC? Per i vicini delle Cine, forse il Tibet non viene annesso, probabilmente non ci sarebbe una guerra di Corea: il primo Kim aveva lanciato l'aggressione solo dopo la vittoria di Mao per mostrare anche lui quanto era indispensabile per Mosca e conservare una sorta di libertà di azione prima del risveglio del Grande Fratello cinese, ma infatti dipende da come le forze americane sarebbero state stanziate.

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Ed Enrico Pellerito aggiunge:

Considerando che rispetto al mondo anglosassone siamo arrivati in ritardo nel proporre ucronie di respiro globale, non c'è da meravigliarsi se qualcuno ha già pensato a certe ipotesi e difatti quella di due Cine continentali, una comunista e una filo-Usa è già stata fatta da ucronisti americani, ma credo che per la prima volta la Cina capitalista sia stata configurata come "impero"; fino ad ora è sempre stata vista come una repubblica nazionalista guidata da Chiang Kai-shek (e poi dai suoi eredi) che per motivi vari non elimina i comunisti dalla Manciuria e le due nazioni proseguono ad esistere, a malapena "tollerandosi" a vicenda.

Sul fatto che Mao riesca a conquistare Pechino, però, ho dei dubbi, ma solo dal punto di vista militare. Se Pechino viene presa dal leader comunista è probabile che prosegua poi l'avanzata per cercare di vincere definitivamente il Kuomintang. Per meglio dire: concordo con la divisione Sud capitalista e Nord comunista, ma quando avvenne l'avanzata dell'esercito maoista che portò alla conquista di Pechino, a quel punto l'esercito nazionalista era profondamente minato al suo interno da gravi problemi di corruzione degli ufficiali (a tutti i livelli), dalle diserzioni di singoli militari ormai stanchi dopo parecchi anni di servizio e da un cambiamento ideologico che stava sempre più facendo proseliti a favore del comunismo, tanto che ci furono interi reparti che, una volta eliminati coloro che si opponevano, passarono armi e bagagli, come si suole dire, dalla parte dell'Esercito Popolare.

Per questo una volta raggiunta Pechino e aver compreso di poter sconfiggere in modo, se non facile, abbastanza agevole l'esercito nazionalista, Mao e compagni (è il caso di dire) si lanciarono alla conquista dell'intero paese e neanche tre mesi dopo avrebbe conquistato pure Nanchino.

Come PoD si dovrebbe ipotizzare una tenuta interna dei nazionalisti senza, però, rischiare la sconfitta di Mao. Nel 1945, alla fine del conflitto, Mao si trovava in una situazione per nulla gradevole; stanziato con il grosso delle forze nella provincia dello Shaanxi (cui l'unico vantaggio strategico era la vicinanza alla Mongolia controllata da Mosca), da dove aveva, comunque, dato parecchio filo da torcere ai Giapponesi, avrebbe ora rischiato il prosieguo della guerra civile contro un Kuomintang non più impegnato anche contro l'esercito invasore nipponico e notevolmente appoggiato dagli Usa. Né Mao nutriva molte speranze di un appoggio da parte sovietica, dato che Stalin ufficialmente riconosceva come Cina quella di Chiang Kai-shek.

Presto, però, le cose cambiarono e l'Urss iniziò ad appoggiare i comunisti cinesi, fornendo loro consiglieri e materiale bellico, specie quello catturato ai Giapponesi in Manciuria e proprio in questa zona, utilizzando le rotabili sotto loro controllo, i Sovietici fecero trasferire le truppe maoiste. Così, quando Chiang fece aviotrasportare le proprie truppe nelle zone urbane mancesi, subito dopo il rientro dell'Armata rossa in Siberia, le campagne erano già in mano ai comunisti e decise di eliminarli.

Ci stava quasi riuscendo e Lin Biao era stato costretto a fuggire ma intervennero gli Usa; il segretario di Stato Marshall, già generale, cercò di far giungere le due parti ad un accordo e quando fu evidente che questo tentativo era fallito, l'Esercito Popolare di Liberazione aveva avuto tutto il tempo per riorganizzarsi e riuscì a conquistare la Manciuria. Rispetto alla nostra realtà, Chiang preferisce rafforzare il proprio dispositivo difensivo ai confini settentrionali e non si avventura oltre, lasciando in essere una Cina comunista, impegnandosi in un'opera di riforme sociali e di lotta alla corruzione, contrastando i guerriglieri marxisti nel resto del paese rimasto sotto controllo del Kuomintang e che sarebbe ben più ampio rispetto alla mappa postata, che comunque vuole solo indicare l'area meridionale della Cina.

Ad ogni modo, una Cina comunista confinata nel Settentrione sarebbe ben poco indipendente, essendo legata all'Urss ne più ne meno delle altre nazioni europee e della Repubblica Popolare mongola e non credo proprio che Mao su questo fosse proprio d'accordo. C'è poi da chiedersi cosa avrebbe significato, nel panorama economico globale, una Cina capitalista in essere già dal secondo dopoguerra.

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Perchè No? tuttavia osserva:

Dopotutto questa Cina nazionalista non può essere troppo vasta, le truppe nazionaliste perdono questa guerra civile visto che non riescono a impedire la creazione della Cina Popolare. La loro zona dovrebbe essere solo uno perimetro più piccolo della zona nordista con una sicurezza garantita dagli USA, dunque non può essere troppo estesa. Veramente la zona tra Yunnan e Guangzhou con Taiwan inclusa mi sembra più verosimile.

E poi, Chang Kai Chek che lotta contro la corruzione? Ma era lui stesso la corruzione personificata. Preferirei un altro leader per la Cina nazionalista, più efficace, meno corrotto e più apprezzato degli USA (per non parlare di Sông Meiling, la famosa "madama" Chang).

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Ma Enrico Pellerito gli obietta:

Va bene, però è necessario che qualcuno (gli Usa o l'Urss) frenino Mao, perché una Cina Nazionalista più piccola di quella Popolare lo spingerebbe a completare la conquista del restante territorio, come di fatto avvenuto in Hl dopo la conquista di Pechino. Riguardo la lotta alla corruzione, ancora oggi l'amministrazione continentale cinese è impegnata su questo fronte; siamo in presenza di un reato endemico che si verifica tra la più vasta popolazione di una singola nazione e non è certo una cosa facile da estirpare.

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Perchè No? non si dà per vinto:

Lo credi? Chissà se Stalin non preferirebbe una Cina divisa, forse più facile da controllare e che avrebbe molto più bisogno del sostegno del Grande Fratello. A maggior ragione se senza guerra di Corea gli USA si impegnano maggiormente in Cina meridionale e si costruisce un'altra DMZ. Vedo bene MacArthur nominato in Cina dopo il Giappone, che promette un buco rotondo al posto della Città Proibita quadrata!

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Ed Enrico non è da meno:

Se la Cina comunista fosse stata solo una porzione dell'intero paese, è certo che sarebbe stata soggetta all'Urss; però, come ho già scritto sopra, Mao non sarebbe stato contento. Mi limito a vedere come sono andati i fatti: Stalin pensava, forse, di riuscire a controllare Mao e lo aiutò nella conquista di tutto il paese.

Il quadro che garantisce la situazione delineata dovrebbe prevedere una prima operazione comunista che riesce a conquistare la Manciuria così come in Hl, quindi un'avanzata verso sud che giunga a conquistare Pechino (anche questo come in Hl), poi qualcosa di divergente: Stalin comprende che Mao potrebbe diventare ingovernabile e riottoso una volta conquistata tutta la Cina; nel contempo lo stato maggiore del Kuomintang, insieme a consiglieri Usa, riesce a riorganizzare l'esercito nazionalista e a contenere i comunisti. Nessuna delle due armate, però, è in grado di prevalere sull'altra, anche per la stanchezza di tutti questi anni di guerra e si giunge ad un cessate il fuoco, non dichiarato ma di fatto.

L'interesse convergente tra Mosca e Washington ritiene lo status quo abbastanza soddisfacente e ci si limita a minacce, come quella di MacArthur, ma oltre non si va.

Per questo credo che sia meglio non ingrandire troppo la Repubblica Popolare a scapito di quella nazionalista. Poi c'è il problema delle zone occidentali, lontane dai centri principali e, ancora nel 1948, in preda all'anarchia,
Le ingloba la Rpc? In questo caso, avremo la rivolta dello Xinjiang, giustamente ricordata, mentre il problema tibetano si ricrea tale e quale. Se invece il controllo della zona occidentale lo riprende il Kuomintang avremo due Cine, grosso modo quelle ipotizzate da alcuni ucronisti americani, come il professore Arthur Waldron.

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La palla passa ad Alessio Mammarella:

Ecco a voi la mappa che è stata proposta su Reddit:

L'utente che l'ha proposta ha suggerito come titolo "una Cina un po' come la Russia" (estesa cioè dall'Europa all'Estremo Oriente). Vorrei quindi porre sul tavolo una serie di domande.
La prima, ovvia: come potrebbe essersi originata una realtà statuale del genere? Sarebbe esistente da molti secoli (forse dal tempo dell'ascesa dei mongoli... Temujin generale cinese?) oppure sarebbe sorta solo di recente (tanti popoli e leader politici stregati dal carisma di Mao?)
Nel riquadro interno viene mostrata l'estensione dell'etnia/cultura Han (in pratica su tutto il territorio salvo le zone disabitate) ma credo che si tratti di una precisazione che limita le possibilità di immaginare questa entità statuale alternativa. Uno paese del genere sarebbe secondo me multietnico e multiculturale ma... potrebbe addirittura essere un paese etnicamente/culturalmente mongolo o turco?
Noterete che i nomi degli stati circostanti non sono precisamente corrispondenti a quelli reali. Entro i confini di questo grande stato eurasiatico resterebbero alcune parti di stati come il Pakistan, l'Afghanistan e la Russia stessa. E' quindi plausibile che i "resti" di alcuni paesi abbiano un nome diverso da quelli dello stato intero del quale oggi fanno parte.
Credo però che da parte dell'autore ci sia stata più approssimazione che una lucida riflessione: non riesco a spiegare altrimenti l'esistenza del Kurdistan lì dove oggi si trova l'Ucraina (possibile che i curdi siano migrati per non essere sottomessi... ma è plausibile che siano migrati loro mentre gli armeni no, i georgiani no, ecc...?).
Altro svarione l'indicazione Emirati Arabi Uniti sull'Iran che non è arabo, ma in questo secondo caso c'è una possibile scusante: l'Arabia è coperta dal riquadro interno, quindi è possibile che l'autore sia stato costretto a collocare la scritta leggermente fuori fuoco. Anche perché l'altro posto dove avrebbe potuto inserirla ha scelto di indicare "Assiria". Un nome suggestivo, che ci legittima a pensare a una divergenza in epoca molto antica oppure alla scelta di uno stato moderno, evidentemente molto laico, di preferire per quel paese un nome antico e prearabo.
Da approfondire chiaramente anche la Corea unificata, l'Indocina unificata (certamente comprende la Thailandia, ma potrebbe comprendere anche parte dell'attuale Myanmar, visto che al posto del Myanmar è indicato "federazione Shan" e potrebbe trattarsi anche di un paese più piccolo, comprendente solo il nord del Myanmar attuale) e il Borneo (probabilmente il solo Borneo settentrionale... allora è possibile che l'intera Penisola di Malacca faccia parte dell'Indocina).
In definitiva io propendo per la tesi della superficialità dell'autore, non di meno i fantasiosi stati indicati possono essere secondo me degli spunti per eventuali ucronie specifiche.
A proposito di superficialità, l'autore si è dimenticato anche del Mar Caspio, entità di solito troppo grande per essere dimenticata in una cartina politica. Anche in questo caso però potremmo trarne uno spunto autonomo ed interessante: e se il Caspio fosse scomparso? Quale impatto avrebbe sul mondo la sparizione di un bacino d'acqua così esteso?
Infine, per gli amanti delle teorie geopolitiche: un paese di questa estensione, che sia Cina o altro, sembra incarnare perfettamente il concetto di Heartland: sarebbe egemone a livello mondiale?

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Gli risponde Paolo Maltagliati:

Sul momento mi è venuto da riflettere sul fatto che il momento migliore per una cosa del genere è approfittare dei periodi di mancanza di un egemone nelle steppe. Ma abbastanza incidentalmente tali periodi coincidono quasi sempre alle fasi di frammentazione massima della Cina stessa (periodo dei tre regni, periodo dei 5 regni barbari, periodo del nord e del sud, periodo dei 10 regni e delle cinque dinastie...). c'è da dire che la Cina ebbe una fortuna abbastanza sfacciata ad esser stata conquistata totalmente solo due volte da regni delle steppe o comunque barbari. Poteva andare molto peggio (e poteva perdersi per sempre l'idea di impero unitario, come invece accadde in Europa). Nel nostro immaginario collettivo la Cina è rimasta Cina senza soluzione di continuità, eppure ha subito periodi di frammentazione, periodi di anarchia, molteplici regni concomitanti (anche con lingue dominanti iniziali molto diverse dal cinese). Il fattore unificante è stato ideologico e culturale prima che etnolinguistico(ossia il senso in cui si è evoluto il concetto di stato nazione nel mondo occidentale). Secondo un parametro 'cinese', l'impero bizantino, quello di Carlo Magno e quello asburgico sarebbero tutti e comunque 'Roma'. E il fatto che un francese, un greco, tedesco e un italiano - fosse andata la storia europea in senso leggermente differente - si potessero ipoteticamente parlando identificare tutti e tre come 'romani'(pur parlando lingue differenti) non scandalizzerebbe un cinese più di tanto

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E Iacopo Maffi aggiunge:

Si potrebbe ottenere qualcosa di simile a questa mappa evitando le guerre civili mongole, specialmente le rivalità tra Kublai e Kaidu e tra Hulegu e Berke. Il modo più semplice sarebbe una successione jochide alla Casa di Ogodai, seguita dalla prevedibile sinizzazione dell'ecumene post-mongolo. In questo modo lo stesso significato della parola "han" cambierebbe (come cambiò più volte nella storia della Cina moderna).

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Lord Wilmore è di diverso avviso:

Io propongo un successo di Tamerlano che conquista la Cina. Alla sua morte l'Impero gli sopravvive ma si sinizza, i Turchi adottano la lingua cinese e si crea un sincretismo tra l'Islam e il Confucianesimo. I Cinesi conservano il grosso della loro religione tradizionale sotto un Islam di facciata, fino a che Mao Zedong non fonda la Repubblica Popolare estesa dal Mar Egeo al Mar Giallo...

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Riprende la parola Alessio:

Anch’io ho pensato che un paese così esteso avrebbe potuto formarsi solo grazie ai mongoli, quindi direi che possiamo, salvo altri contributi illuminanti, circoscrivere il periodo della sua formazione tra XIII e il XIV secolo.
Per quanto riguarda l’aspetto confessionale, forse nella TL che stiamo immaginando non è sorta la religione Sikh (sincretismo tra Islam e religioni indiane) ma è sorta appunto una religione sincretica tra Islam e confucianesimo oppure tra Islam e taoismo oppure tra Islam e Buddhismo. Proprio l’esistenza di tali religioni, e l’influenza inevitabilmente esercitata sui paesi circostanti, potrebbe spiegare perché nel Vicino Oriente, al posto dell’Iraq, si vede un paese chiamato Assiria (nome arcaizzante e laico invece di arabo e islamico).

Aggiungo qualche altra domanda.
Il grande paese che stiamo esaminando avrebbe compreso l’Anatolia, cuore dell’impero Ottomano storico. In questa TL l’Impero Bizantino sarebbe riuscito a sopravvivere? Come sarebbe cambiata la storia del Mediterraneo Orientale e dei Balcani?
La Russia sembra toccata solo in parte, ma sarebbe riuscita a estendersi fino al Pacifico con una entità così potente già formata ai propri confini meridionali?
Il colonialismo europeo in Asia meridionale avrebbe avuto lo stesso successo che in HL oppure dovremmo pensare a una sorta di “Dottrina Monroe” in salsa asiatica?

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Paolo Maltagliati obietta:

Il nodo di Gordio è il tempo. I Song vanno distrutti PRIMA della divisione dei Mongoli. Quindi o anticipare di una generazione l'espansione mongola (e in quel caso la religione sarebbe il nestorianesimo naiman, sincretico col buddismo dei Khitan) e avere come protagonisti appunto i Kara Khitan, o evitare che le liti di famiglia tra gli eredi di Temujin spacchino l'impero prima che esso sconfigga i Song meridionali. La sinizzazione però in quel caso potrebbe essere molto diversa o addirittura a rischio, Temujin la Cina la voleva radere al suolo. L'ipotesi Tamerlano è affascinante, ma il problema è che è tardi. Troppo inserito in un contesto turchizzato e islamizzato, l'avrebbe potuta anche conquistare la Cina, ma tenerla sarebbe stato improponibile. Senza tenere conto della sua scarsa capacità organizzativa in confronto a Gengis, o, più che lui, Ogodai, Berke, Hulagu... erano superiori a Tamerlano in quanto a lungimiranza amministrativa.

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Alessio ritorna alla carica

Per quanto riguarda la Russia, non riesco proprio a considerare realistica una conservazione del paese come in HL. A parte quindi gli arrotondamenti di confine a favore della super-Cina (io però la avrei chiamata Rep. Popolare "Asiatica") che riguardano soprattutto la Manciuria esterna e i territori, come la Buriazia, abitati da popolazioni mongole,ho pensato a una divisione del paese, approfittando del fatto che l'autore aveva scritto "White Russia" e non "Belarus" e che aveva inserito la scritta "Federazione Russa" al centro del paese, in corrispondenza della Siberia Occidentale. Da una parte c'è quindi la Russia Bianca (bianca politicamente, perché ufficialmente si chiama ancora Impero Russo, ma bianca anche a livello etnico in quanto comprende solo la Russia Europea - neppure intera... il confine arriva ben prima degli Urali) e c'è la Federazione Russa, un paese che in sostanza è un pacifico e scarsamente popolato fornitore di materie prime della superpotenza cinese. L'estremo oriente russo, invece, è sotto controllo giapponese: bisogna considerare che in questo scenario i nipponici hanno dovuto girare alla larga dalla Cina e anche dalla Corea, che è strettamente legata alla Cina.

La cosa più difficile, per quanto riguarda la parte nord, era quella scritta "Kurdistan" in corrispondenza dell'Ucraina. Mi immagino allora una repubblica "dei curdi e dei cosacchi". Più piccola rispetto all'Ucraina attuale, questa nazione potrebbe essere il frutto dell'immigrazione di mercenari e contadini collocati su quelle terre dagli zar nel corso delle guerre contro i cinesi. Il nome "curdi" dovrebbe essere stato scelto più che altro come termine ombrello per indicare una vasta panoplia di popolazioni diverse, provenienti dal Caucaso e dalla regione immediatamente a sud.

Secondo me nei Balcani non c'è più l'Impero Bizantino, ma una Bulgaria "imperiale" che ha finito per conquistare Costantinopoli e che comprende Serbia, Kosovo, Macedonia nonché regioni della Romania (Valacchia, Dobrugia) e della Grecia (Macedonia, Tracia, Tessaglia). Questa Bulgaria può comportare altri aspetti interessanti per i Balcani (una "Grande Moldavia" al posto della Romania; la Grecia che potrebbe essere non indipendente ma bensì legata come nel Medioevo a qualche potenza occidentale). A sud ho pensato a una Assiria laica e ad un grande stato panarabo che comprende la parte centromeridionale dell'Iran. Quello a cui ho pensato è che, nel corso delle varie guerre dei secoli passati, la popolazione iraniana potrebbe essersi trovata divisa e, così come quella settentrionale si è sinizzata, integrandosi nel nuovo stato panasiatico, quella meridionale potrebbe essersi arabizzata. Gli "Emirati Arabi" sono in pratica il Consiglio di Cooperazione del Golfo allargato alla parte meridionale dell'Iran. Spostandoci più a est, in questo scenario non esiste il Pakistan, diviso tra un Belucistan indipendente (al quale ho annesso anche la parte iraniana) la super-Cina e l'India. Non abbiamo ancora stabilito se l'India in questa TL sia stata colonizzata dai britannici almeno in parte, oppure se la federazione contemporanea sia il risultato di un processo autonomo di aggregazione tra gli stati locali. Il nome Belucistan dell'est, palesemente ispirato a quello del "Pakistan dell'est", secondo me non ha senso, per cui sorvoliamo. Per l'Indocina vale lo stesso discorso dell'India. Qui bisogna capire come sia finita tra i due più potenti popoli della regione, i thailandesi ed i vietnamiti. Prima di formare la federazione se ne saranno certamente dati di santa ragione, visto che parliamo di popoli fortemente nazionalisti. Gli Emirati Uniti del Borneo sono una federazione di petromonarchi probabilmente guidati dal Sultano del Brunei.

La Repubblica di Cina, che inizialmente ci è apparsa incompatibile con una genesi antica dello stato super-cinese, in realtà potrebbe essere semplicemente un paese filo-giapponese: probabilmente, a Taiwan si è raccolta una fazione politico-religiosa nostalgica della cultura cinese antica, quella precedente le invasioni dei mongoli e la diffusione dell'islam. Che ve ne pare?

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E Paolo annuisce:

Riuscire a rendere sensata una cosa che più passa il tempo più mi convinco sia stata pensata come una distopia volutamente esagerata è un'impresa degna di tutto il mio rispetto. Credo sia difficile fare molto di più, con le condizioni date.

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E ora, la parola a Tommaso Mazzoni:

Un'ucronia anche per Hong Kong

1994
PoD: Tao Ma-zong, che nella nostra timeline probabilmente è un anonimo burocrate del Partito comunista di provincia, in questa timeline è un geniale dissidente che organizza la più spettacolare evasione di massa di dissidenti; in trentamila varcano il confine con Hong Kong.

1995
Tao Ma-zong scatena una campagna mediatica anti-Cina popolare; con grande lucidità trasforma un tentativo dei servizi Cinesi di eliminarlo in uno spettacolare dissing di Pechino; Si scatenano massicce manifestazioni pubbliche e la popolarità del ritorno sotto Pechino crolla ai minimi storici. A Londra e a Washington l'opinione pubblica simpatizza col Movimento Indipendentista di Hong Kong.

1996
Viene costruito un centro di Dissalazione dell'acqua di mare e una centrale elettrica per alimentare la città, che toglie una pericolosa dipendenza dalla Cina Popolare

1997
Un referendum si pronuncia per l'Indipendenza. Pechino non lo riconosce, ma Tao Ma-zong diventa Presidente.

1998
Pechino inizia a fare pressioni per indurre Hong Kong a capitolare, ma non ha fatto i conti con Tao Ma-zong che è otto mosse avanti a loro e contatta in segreto svariati dirigenti del partito, sui quali possiede scottanti informazioni. L'invasione paventata non avviene.

2002
Tao Ma-zong, che si è alleato con l'America di Bush, rivince le elezioni. Bush firma un trattato in cui estende ad Hong Kong la protezione garantita a Taiwan.

2007
Tao Ma-zong non si ripresenta alle elezioni e diventa uno scrittore; Nei suoi libri parla delle centinaia di volte in cui ha evitato attentati finanziati da Pechino, e come, in caso di sua morte prematura i suoi archivi segreti diventeranno pubblici. Bao Tong è il nuovo Presidente della Repubblica di Hong Kong.

2012
Bao Tong confermato presidente; la Repubblica di Hong Kong apre una linea diplomatica con Pechino.
L'Economia cinese e quella di Hong Kong iniziano ad influenzarsi a vicenda con mutui benefici.

2019
Leung Kwok-hung diventa Presidente della Repubblica di Hong Kong.

2020
Proprio durante la pandemia di Covid-19 avviene finalmente la firma del trattato di Macao; Pechino riconosce l'Indipendenza di Hong Kong.

2021
Modifica della costituzine Cinese che finalmente riconosce l'indipendenza di Taiwan.

Che ne dite?

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Aggiungiamo la trovata di Federico Sangalli:

Con una mossa che ha stupito il Mondo il Presidente USA Richard Milhous Nixon si è recato a Mosca per un tour ufficiale di una settimana in Unione Sovietica, dal 21 al 28 febbraio 1972. Il viaggio è stato accuratamente preparato dal Segretario di Stato Heinz "Henry" Alfred Kissinger durante una serie di incontri segreti di alto livello nel Luglio e nell'Ottobre del 1971. Il Segretario si tratterà ulteriormente per firmare il 26 maggio 1972 l'Accordo Anti-Missile SALT I che dovrebbe, nelle parole di Mister Kissinger, "preservare il Mondo dalla proliferazione nucleare imponendo il controllo dei grandi alle nazioni emergenti", un chiaro messaggio alla Cina comunista, secondo molti analisti, e un tentativo di guadagnare il supporto sovietico per isolare i vietnamiti. Il Presidente Nixon, salendo i gradini dell'Air Force One, ha dichiarato che questa è stata "la settimana che ha cambiato il Mondo". Forse il Mondo no, ma la politica estera americana sicuramente.

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Diamo la parola a Generalissimus, che ha tradotto per noi queste ucronie:

E se la Crisi Sino-Sovietica non fosse mai avvenuta?

Come disse una volta un saggio, rompere è la cosa più difficile da fare.
Chiunque abbia avuto a che fare con una relazione fallita può testimoniare lo stress e l’angoscia che una separazione può causare a chiunque sia coinvolto, e questo si applica agli individui come alle nazioni.
Infatti la rottura tra quelli che un tempo erano alleati può avere conseguenze che riecheggeranno attraverso i decenni, il che fa chiedere a questo ucronista: e se una di queste famigerate spaccature non fosse mai avvenuta? Salve a tutti, sono Matt Mitrovich, lo storico alternativo.
In questo video daremo uno sguardo ad una TL dove l’Unione Sovietica e la Repubblica Popolare Cinese sono rimaste alleate, ma prima il contesto storico: per alcune persone la Guerra Fredda fu una lotta globale tra due diversi campi ideologici, quello capitalista guidato dagli Stati Uniti d’America e quello Comunista guidato dall’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
Come accade di solito, le cose erano in realtà più complicate di quanto ricordino i posteri.
Entrambi gli schieramenti avevano le proprie divisioni, alcune più consequenziali di altre, ma quella di gran lunga più significativa in termini di come si svolse la Guerra Fredda fu la relazione tra l’Unione Sovietica e la Repubblica Popolare Cinese.
In seguito alla fine della Seconda Guerra Mondiale nel 1945, e alla vittoria dei Comunisti nella Guerra Civile Cinese nel 1949, l’Unione Sovietica e la Cina divennero formalmente alleate nel 1950, con la firma del Trattato Sino-Sovietico di Amicizia, Alleanza e Mutua Assistenza, e anche se in questa alleanza la Cina era il socio di minoranza non era uno stato cliente sovietico come gran parte dell’Europa orientale.
Poteva ignorare Mosca e perfino praticare la propria forma di Comunismo, il Maoismo, dal nome del fondatore e dittatore della Repubblica Popolare Cinese, Mao Zedong.
Ciononostante, le relazioni tra le due nazioni rimasero cordiali, dato che l’Unione Sovietica otteneva l’accesso esclusivo ai mercati cinesi e la Cina riceveva a sua volta vari tipi di aiuti dai Sovietici.
Mao riconobbe anche il premier dell’Unione Sovietica, Iosif Stalin, come leader del mondo Comunista, ma le cose iniziarono ad andare a rotoli in seguito alla morte di Stalin nel 1953.
A Mao non piacque la denuncia di Stalin ad opera del suo successore, Nikita Chruščëv, e il suo rifiuto di confrontarsi più direttamente con gli Stati Uniti, specialmente durante la Crisi dei Missili di Cuba del 1962, pensando che entrambi fossero un tradimento del movimento Comunista.
Da parte loro i Sovietici non approvavano i programmi cinesi come il Grande Balzo in Avanti dal 1958 al 1962, che fu un programma economico per trasformare l’economia agricola della Cina in una industrializzata, ma condusse invece ad una delle carestie più grandi del mondo, per la quale Mao incolpò le politiche sovietiche nei confronti della Cina.
Inoltre Chruščëv era preoccupato che la politica estera antagonista e il programma nucleare della Cina gli avrebbero reso più difficile raggiungere un qualsiasi tipo di intesa con gli Stati Uniti, che temevano così tanto che la Cina ottenesse la bomba che i presidenti Kennedy e Johnson considerarono entrambi dei modi per sabotarla.
Incapaci di risolvere queste e altre dispute, i Sovietici e i Cinesi ruppero le relazioni reciproche nel 1961, e il mondo Comunista si spaccò.
Mao arrivò a purgare la Cina da chiunque fosse perfino remotamente filosovietico durante la Rivoluzione Culturale dal 1966 al 1976.
Nel 1969 la situazione deteriorò in una vera e propria guerra combattuta sul confine Sino-Sovietico lungo il fiume Amur.
Devo sottolineare quanto fu grave questa cosa? Sarebbe l’equivalente, diciamo, di una rottura delle relazioni degli Stati Uniti con l’Inghilterra e la Francia durante la Guerra Fredda seguita da una guerra combattuta sul fiume San Lorenzo.
Nel frattempo gli Stati Uniti, dopo aver passato buona parte degli anni ’60 a pensare che la disputa era tutto un trucco elaborato per ingannarli, in seguito si avvantaggiarono della situazione migliorando le relazioni con la Cina.
Questo alla fine portò il presidente americano Richard Nixon a visitare la Cina nel 1972, cosa che a sua volta aprì la Cina al resto del mondo capitalista.
Ciò, assieme ad altre riforme di cui parlerò in seguito, aiutò la Cina a diventare una vera e propria grande potenza, mentre l’Unione Sovietica stagnò e alla fine crollò.
Ma se questa frattura non fosse avvenuta? E se la Cina e l’Unione Sovietica rimanessero alleate? Ora, come creare una TL simile è una domanda difficile, ma ci sono un paio di opzioni.
Il professore e autore Robert Farley, che ha pubblicato diversi articoli sul National Interest che ho trovato estremamente utili per questo video, dà la colpa di questa spaccatura a Mao, e suggerisce che se fosse morto nel 1949, poco dopo la proclamazione della repubblica popolare, avrebbero preso il potere altri leader Comunisti cinesi come, e mi scuso se macellerò i loro nomi, Liu Shaoqi o Zhou Enlai.
Diversamente da Mao, essi non riusciranno a creare un culto della personalità o ad impedire le lotte intestine tra le varie fazioni della Repubblica Popolare Cinese, perciò questa Cina alternativa potrebbe sentire il bisogno di stare vicino all’Unione Sovietica.
Inoltre niente Mao probabilmente vorrà dire niente Grande Balzo in Avanti o Rivoluzione Culturale, e perciò, prima di tutto, ci risparmieremo parecchia sofferenza umana.
In alternativa, possiamo far sì che sia qualcun altro diverso da Chruščëv a guidare i Sovietici dopo Stalin, qualcuno che abbia l’approvazione di Mao e sfidi più direttamente gli Stati Uniti, anche se dobbiamo stare attenti, altrimenti trasformeremmo questo video in un e se la Crisi dei Missili di Cuba fosse degenerata.
Ma diciamo che a capo della Repubblica Popolare Cinese c’è qualcuno diverso da Mao durante la Guerra Fredda: cosa accade poi? Beh, prima di tutto, migliori relazioni tra Unione Sovietica e Cina vorranno dire previsioni economiche più favorevoli per i Sovietici, dato che la Cina continuerebbe ad essere un importante partner economico.
Di fatto questo potrebbe essere d’aiuto durante il calo del prezzo del petrolio degli anni ’80 che seguì alle crisi petrolifere degli anni ’70.
Vedete, durante quella crisi l’Unione Sovietica divenne un’importante produttrice di petrolio, ma a causa delle economie in stallo in tutto il mondo e delle misure per il risparmio energetico intraprese, la richiesta di petrolio calò, il che danneggiò l'economia sovietica e forse contribuì al collasso finale dell’Unione Sovietica.
In questa TL alternativa, però, la continuazione del commercio con la Cina farà sì che i Sovietici avranno un importante cliente per il loro petrolio, e questo potrebbe aiutare la loro economia a resistere alle difficoltà degli anni ’80.
E non c’è bisogno di dire che il Conflitto di Frontiera Sino-Sovietico del 1969 probabilmente non avverrà.
Di fatto un blocco Comunista più unificato potrebbe impedire altre spaccature, come la Crisi Albano-Sovietica, o potrebbe condurre ad un sostegno più organizzato dei gruppi Marxisti anticolonialisti nel sud del mondo, oppure potrebbe evitare i conflitti tra la Cina e le nazioni Comuniste del Sudest Asiatico.
Per esempio, il sostegno cinese al Vietnam del Nord probabilmente continuerà.
Nella nostra TL la Cina ritirò il suo sostegno dopo che il Vietnam del Nord si rifiutò di prendere le parti della Cina nella Crisi Sino-Sovietica, perciò questa iniziò a fornire aiuti ai Khmer Rossi in Cambogia.
In questa TL alternativa, però, il Vietnam del Nord ha il sostegno dell’intero mondo Comunista durante la Guerra del Vietnam, mentre in Cambogia i Khmer Rossi non arriveranno mai al potere, dato che ricevettero tutti i loro aiuti dalla Cina, impedendo forse così il genocidio che avvenne in quel luogo.
Ciononostante, questo potrebbe anche significare che l’intervento statunitense in Vietnam del Sud potrebbe durare più a lungo ed essere molto più sanguinoso.
A proposito degli Stati Uniti, presumibilmente in questa TL saranno più anticomunisti nel caso dovessero affrontare un blocco Comunista davvero unificato piuttosto che quello che avevano nella loro mente, perciò non vedrete Nixon andare in Cina e, se Alba Rossa verrà comunque girato nel 1984, probabilmente compariranno più attori asiatici come parte degli invasori Comunisti dell’America.
Ovviamente questo significa che la Cina rimarrà isolata dal mondo capitalista più a lungo, il che vuol dire che i successi economici cinesi della nostra TL potrebbero essere ritardati, ma dovrei far notare che le sue relazioni con gli Stati Uniti furono solo una parte del motivo della crescita dell’economia cinese alla fine del 20° secolo.
Anche le riforme agricole e l’incoraggiamento agli investimenti stranieri nelle Zone Economiche Speciali della Cina, create per la prima volta nel 1979, aiutarono, e ciò potrebbe ancora accadere in questa TL alternativa.
Nella nostra TL il premier sovietico Michail Gorbačëv provò ad imitare queste riforme per tutti gli anni ’80, magari se le relazioni tra i Sovietici e i Cinesi fossero più cordiali, cosa che a sua volta potrebbe stimolare l’economia sovietica come ho menzionato in precedenza, l’Unione Sovietica potrebbe avere più successo nell’adottare queste riforme e prevenire la sua caduta.
Questo a sua volta potrebbe impedire le rivoluzioni anticomuniste del 1989, il che vuol dire che gran parte dell’Europa orientale potrebbe essere ancora Comunista e sotto il controllo dell’Unione Sovietica.
Di fatto, con un blocco Comunista più unito e di successo, gli Stati Uniti potrebbero sentire il bisogno di creare un deterrente più efficace nel Pacifico, perciò, in questa TL alternativa, la Southeast Asia Treaty Organization, o SEATO, potrebbe essere presa più sul serio.
Nella nostra TL questa alleanza militare tra nazioni del Pacifico e dell’Asia sudorientale venne formata nel 1954 per combattere l’espansione Comunista nella regione.
Fu però piuttosto inefficace, non venne affatto presa sul serio dagli Stati Uniti e non possedeva molta della struttura che aveva la sua controparte, la NATO.
Venne dissolta nel 1977 dopo che diversi stati l’avevano già abbandonata, ma in questa TL alternativa gli Stati Uniti potrebbero fare più sforzi per trasformare la Southeast Asia Treaty Organization in una vera alleanza militare.
O… Potrebbero semplicemente lasciare che il Giappone si doti dell’atomica! Come ha delineato Robert Farley, nonostante sia stato l’unica vittima di un attacco atomico, il Giappone considerò di costruire le proprie armi nucleari negli anni ’60, ma nella nostra TL gli Stati Uniti fecero pressioni sul Giappone perché ci rinunciasse.
In una TL dove la Crisi Sino-Sovietica non è avvenuta, però, gli Stati Uniti potrebbero vedere un Giappone dotato di armi atomiche come un efficace deterrente contro una Cina con armi nucleari.
Questo a sua volta potrebbe voler dire un Giappone più militarista, cosa che porterebbe a tensioni ancora maggiori in Asia orientale, anche tra gli alleati degli Stati Uniti.
La paura di un Giappone che potrebbe diventare di nuovo militarista potrebbe portare la Corea del Sud e Taiwan a sviluppare le proprie armi nucleari.
Inoltre, qualsiasi riserva che potrebbe avere la Cina riguardo al rimanere alleata con l’Unione Sovietica potrebbe evaporare di fronte a questa nuova proliferazione in Asia orientale.
Uhm… È la seconda volta in questo video che si palesa un punto di infiammabilità nucleare.
La Crisi Sino-Sovietica in realtà ha aiutato ad impedire la Terza Guerra Mondiale? Immagino che sia un bene! Come ho detto prima, è difficile rompere, ma guardando alla Crisi Sino-Sovietica sembra che sia stata certamente un bene per la Cina e forse per il mondo in generale.
Un blocco Comunista unito avrebbe beneficiato in gran parte solo l’Unione Sovietica, portato ad una diffusione delle armi nucleari e ad un aumento del rischio di una guerra atomica.

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E se l'invasione sovietica dell'Afghanistan non fosse mai avvenuta?

Il rimpianto è ironico! I Sovietici rimpiansero di essere entrati in Afghanistan dopo una guerra di dieci anni, alcuni Americani rimpiangono di aver finanziato i ribelli dopo che l'Afghanistan è caduto preda di una guerra civile, e gli Americani stanno certamente rimpiangendo di essere entrati in Afghanistan.
La guerra dei Sovietici in Afghanistan fu una calamità che scatenò molte azioni deplorevoli e preparò la strada alla situazione nella quale siamo ora, ma iniziò con un'unica azione, perciò voglio immaginare un mondo dove quell'unico errore fatto quaranta anni fa non è mai avvenuto.
Il tempismo è tutto, a volte pochi anni possono fare la differenza, immaginiamo che nel 1978 i Comunisti non rovescino il governo afghano, magari la Rivoluzione di Saur semplicemente fallisce, magari la rivoluzione Comunista c'è comunque ma qualche anno dopo, diciamo nel 1982-1983.
Basta questo ritardo a salvare l'Afghanistan da quattro decenni di guerra, ma perché? Leonid Brežnev.
L'invasione fu in realtà la decisione di un uomo incapace e morente, l'ultimo grave errore di una lunga serie che aveva praticamente paralizzato l'Unione Sovietica.
Alla fine del suo regno l'economia sovietica stava stagnando, il partito era corrotto e mandò giovani uomini a morire in un paese del quale avevano pessime informazioni.
Brežnev morì solo due anni dopo aver dato quell'ordine, perciò diciamo che l'Afghanistan si ribelli nel 1985, Brežnev sarebbe morto, e dopo due successori con una pessima salute adesso in carica ci sarebbe Michail Gorbačëv.
A metà degli anni '80 i problemi presenti da due decenni sono ora abbastanza grossi da mettere fuori questione una guerra all'estero.
Il non invadere l'Afghanistan non salva l'Unione Sovietica, alcuni pensano che l'Afghanistan creò una spaccatura tra le forze armate e il governo, perciò se la guerra non avviene forse l'URSS può impedire le ribellioni, ma dubito che Gorbačëv invierà le truppe in Lituania o in Europa orientale una volta che inizieranno le richieste di lasciare l'Unione Sovietica.
La Guerra Fredda finisce e l'Afghanistan, senza l'invasione, rimane una povera nazione in difficoltà che cerca di modernizzarsi proprio come i suoi vicini.
Comunista o no, avrà comunque dei presidenti che non sono davvero dei presidenti, forse saranno corrotti, ma è davvero tutto qui, sarà semplicemente una nazione dell'Asia centrale, ed è un destino piuttosto buono, perché almeno sarà pacifico.
In questa TL alternativa senza invasione i gruppi di fondamentalisti Islamici esistono comunque, attacchi su scala più piccola ed elementi più estremisti si diffondono lo stesso grazie alle scuole e alle moschee finanziate dai Wahhabiti.
Ma allora senza Afghanistan qualcosa come l'11 Settembre si sarebbe potuto verificare lo stesso? Questo è improbabile, ma c'è sempre la possibilità che anche senza l'esperienza di una jihad lunga dieci anni Bin Laden venga comunque esiliato dall'Arabia Saudita nel 1992 e che il suo gruppo cresca in un altro paese.
Per amore della teoria diciamo che Al-Qaida come la conosciamo oggi nasca comunque dopo la Prima Guerra del Golfo.
L'America verrebbe comunque vista come il nemico per molte ragioni: sostiene Israele, ha truppe in Arabia Saudita, sostiene la Dinastia Saudita ecc.
Senza un Afghanistan controllato dai Talebani, quale sarà la nazione dove aprirà bottega? In un mondo alternativo simile ci sono pochi candidati possibili, il primo dei quali è il Sudan.
Nella nostra TL il Sudan fu la prima casa del gruppo tra il '92 e il '96, e da qui condusse attacchi contro gli Stati Uniti.
Fino agli attentati alle ambasciate statunitensi del 1998 metà delle sue operazioni avveniva ancora in quel paese, perciò è plausibile, ma proprio come nella nostra TL non riuscirebbe a mantenere lì a lungo una presenza sicura e stabile.
Dopo le condanne internazionali e alcuni attacchi aerei il Sudan cacciò fuori a calci Bin Laden, e i leader che lo invitarono in origine nel paese persero il potere.
Il candidato successivo è la Somalia: è una terra senza legge e ancora oggi Al-Shabaab, che si è allineata con Al-Qaida nel 2011, controlla piccole parti del paese, ma anche così non è l'ideale.
La Somalia, anche se è preda dell'anarchia, è comunque in uno stato di guerra, una guerra che una piccola cellula terroristica dovrebbe combattere contro le milizie native.
Posso elencare molti paesi afflitti dai problemi, ma il risultato sarebbe sempre lo stesso: se Al-Qaida nascesse comunque, anche senza i finanziamenti degli anni '80, e mettesse base in qualsiasi altra nazione del mondo, dopo l'11 Settembre quella nazione disconoscerebbe Bin Laden e tenterebbe perlomeno di consegnarlo agli Stati Uniti, ma poiché i Talebani diedero rifugio ad Al-Qaida e si rifiutarono di consegnarlo, questo giustificò la risposta più estrema degli Stati Uniti.
Questo non era più semplicemente un conflitto per abbattere un piccolo gruppo che aveva commesso un crimine orrendo, la risposta adesso richiedeva un'invasione e il rovesciamento di un'intera nazione.
Se i Talebani non avessero controllato il paese e l'11 Settembre fosse avvenuto comunque ci sarebbe stata una risposta militare coordinata fra governo locale e forze speciali, con un'azione su piccola scala per abbattere i terroristi.
Sì, invece di questo abbiamo avuto un'escalation, e la caccia ad Al-Qaida si è interconnessa con la ricostruzione di un paese già devastato da decenni.
Oggi l'11 Settembre può essere ancora visto come un attacco orrendo, ma senza l'Afghanistan sarebbe una cicatrice che sta guarendo lentamente.
Quelli che l'hanno commesso sarebbero stati già portati davanti alla giustizia e la Guerra al Terrore sarebbe stata semplicemente una caccia all'uomo invece che un compito impossibile da portare a termine lungo due decenni, ma come ho già detto il rimpianto è ironico.

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Riguardo alla prima di queste ucronie, Federico Sangalli commenta:

C'è una serie di imprecisioni, soprattutto nella descrizione delle spinte decisionali cinesi. Il principale problema dell’autore è ritenere che di fatto l’intera vicenda sia stata dettata dall’opinione personale di Mao, che implicitamente viene descritta come un capolavoro di incoerenza.

Dalla sua narrazione degli eventi infatti apprendiamo che Pechino diventa alleata di Mosca con grandi autonomie (dovute a ragioni economiche) ma nonostante questo Mao mette in crisi il rapporto tra le due superpotenze perché A) non gradiva la destalinizzazione, e B) voleva dare addosso agli Stati Uniti mentre Chruscev era troppo tenero. A questo punto però la Storia diventa contraddittoria: i due paesi rompono, il tenero Chruscev porta il mondo sull’orlo della guerra atomica in un braccio di ferro con Washington mentre è proprio la Cina, in barba a ogni ideologia, a riconciliarsi con gli USA. Sembra un comportamento privo di logica.

La situazione post-bellica cinese trovò un paese distrutto ma allo stesso tempo per la prima volta unificato sotto un unico potere politico dal 1912. Maggiore preoccupazione della dirigenza cinese era porre al sicuro il territorio nazionale evitando intromissioni straniere che potessero far ripiombare la Cina nel Secolo delle Umiliazioni. La conclusione dell’alleanza sino-sovietica serviva tale scopo: innanzitutto l’URSS era l’unica potenza con proprie forze militari su territorio cinese e, sebbene Mosca non potesse pretendere di imporre il proprio volere ai cinesi, l’intesa servì a offrire a Stalin le rassicurazioni necessarie che la Cina non sarebbe divenuta base per attacchi contro l’Unione Sovietica. Il dittatore georgiano non aveva alcuna simpatia né per Mao né per il comunismo cinese ma lui e il Grande Timoniere condividevano l’obiettivo di escludere le potenze occidentali dalla Cina. Come parte dell’accordo, non solo i sovietici si ritirarono ma riconsegnarono anche pezzi di territorio cinese che fino a quel momento avevano goduto di una indipendenza de facto grazie alla protezione moscovita, come lo Uyguristan. Il patto di difesa reciproco servì anche a mettere Pechino al sicuro sotto l’ombrello atomico sovietico, in un frangente in cui Mosca era l’unica altra detentrice dell’arma assieme agli Stati Uniti. Quanto questo fatto sia stato fondamentale è dimostrato dal fatto che poco tempo dopo Truman avrebbe evitato di atomizzare la Cina durante la Guerra di Corea proprio per evitare una guerra con Mosca. Guerra che peraltro impedì a Mao di lanciare l’invasione di Taiwan che stava programmando (e che poi avrebbe provato a riproporre durante le crisi di Formosa), a dimostrazione di quanto la riunificazione del territorio cinese pre-1912 fosse centrale per Pechino (anche la presa del Tibet ha seguito lo stesso assunto). La morte di Stalin nel 1953 impattò il rapporto con Pechino ma non nel modo in cui immagina il commentatore: il vuoto di potere aprì una fase di leadership collegiale che sarebbe durata fino al 1957 e che vide a Mosca prevalere un atteggiamento poi distensivo verso il blocco occidentale in attesa di stabilire una nuova linea post-Stalin. Ciò cozzava invece con la volontà cinese di riprendere i piani di riconquista di Formosa là dove Mao li aveva lasciati: chiusa la guerra in Corea (risultato a cui la dipartita di Stalin appunto contribuì), nel 1954 i cinesi provocano la Prima Crisi di Formosa. Cercano sostanzialmente di passare lo Stretto ma Eisenhower manda la flotta e chiama i sovietici, minacciando di ricorrere alle atomiche. Mosca e Washington negoziano la fine della crisi, con il Cremlino che di fatto impone ai cinesi di ritirarsi. I russi si sono impegnati a difendere la Cina in caso di guerra ma non hanno intenzione di farsi trascinare in un conflitto che non hanno deciso loro. Il messaggio che arriva però è che la politica estera cinese dev’essere subordinata a quella sovietica e che Taiwan per Pechino è una questione di imprescindibile interesse nazionale ma per Mosca no. È qua che rompe qualcosa. Da lì a poco Mao lancia il programma nucleare cinese e chiede ai sovietici assistenza tecnica. Il Cremlino capisce benissimo che l’obiettivo cinese è di sganciarsi dall’ombrello nucleare sovietico quindi rifiuta, insistendo che la bomba cinese non sia necessaria perché tanto ci penseranno i compagni russi a proteggere la Cina. Pechino trova tali suggestioni arroganti e un modo per imporre uno strisciante protettorato sovietico. Nel 1958 Mao provoca la Seconda Crisi di Formosa, forse nella speranza che avendo Mosca risolto i suoi problemi interni con l’affermazione di Chruscev sulla Fazione Anti-Partito l’anno precedente questa sia ora più disponibile a sostenere le ragioni cinesi. Ma la seconda crisi finisce come la prima e il deterioramento delle relazioni sino-sovietiche accelera. Viene chiuso un programma di cooperazione dietro l’altro, il personale sovietico viene via via allontanato, le due leadership si criticano sempre più ferocemente. Parallelamente Mosca stabilisce una forte relazione con l’India, che i sovietici vedono come un attore fondamentale per influenzare il Terzo Mondo in via di emersione dalla decolonizzazione. Nuova Delhi riceve forti aiuti economici e militari, nonostante la crescente contrarietà di Pechino. Al momento della crisi di confine del 1959 tra i due paesi l’URSS si dichiara neutrale, nonostante fosse formalmente alleata della Cina. Nel 1960 gli aiuti sovietici all’India sorpassano quelli concessi alla Cina e nel giro di un paio d’anni arriveranno a comprendere aerei da combattimento come il Mig-21, la cui analoga richiesta cinese era stata in precedenza respinta. A questo punto quando nel 1961 avviene la rottura sino-sovietica i rapporti tra le due potenze era già ai minimi da tempo.

Gli effetti della rottura sulla politica cinese tuttavia furono vasti. La Cina passò dall’essere protetta dall’Unione Sovietica a essere virtualmente sola e circondata da nemici ostili: a ovest gli Stati Uniti la premevano dal mare grazie si loro avamposto in Estremo Oriente, a nord l’Unione Sovietica scherzava un milione di soldati lungo la frontiera più lunga del mondo, a sud l’India - con cui nel 1962 viene anche combattuta una breve guerra - è chiaramente in combutta con Mosca. Questa sensazione di accerchiamento e assedio contribuì a una sterzata paranoica. Non completamente infondata, visto che effettivamente le amministrazioni Kennedy e Johnson valutarono di coinvolgere i sovietici in un’azione congiunta contro la Cina per impedirle di sviluppare la bomba atomica. In parte i rivolgimenti politici interni possono essere ricondotti a questo: la necessità di combattere ideologicamente il paese e la sua dirigenza dietro un governo forte con basi ideologiche autarchiche (Mao è elevato al rango di grande pensatore per rimpiazzare Marx e Lenin, che in qualche modo “lavorano per il nemico”). L’incubo è sempre quello del Secolo delle Umiliazioni, quando le grandi potenze di muserò d’accordo fra loro da ogni lato per spartirsi la Cina con la complicità di elementi interni cinesi. Neanche aver ottenuto la tanto sospirata atomica nel 1965 cambia le cose perché lo stesso anno gli americani invadono il Vietnam, riproponendo l’incubo della Corea, dei nemici che premono ai confini. Non a caso Pechino informerà presto Washington che qualunque tentativo di invadere in Nord Vietnam e di portare truppe americane al confine con la Cina avrebbe comportato un intervento cinese, il che spiega perché gli americani se ne stettero per tutta la durata nel conflitto nella loro metà del paese. Sull’altro versante invece fu Mao a ordinare una escalation coi sovietici sfociata nel breve conflitto del 1969, con l’esplicito intento di dimostrare che la Cina non aveva paura di combattere per difendersi, un messaggio a tutte le potenze in ascolto.
Alla fine degli Anni Sessanta comunque i cinesi cercavano disperatamente una via per uscire da un isolamento che rischiava di condannarli. Lo scontro con l’URSS avveniva proprio mentre gli americani sconfitti annunciavano il ritiro dall’Indocina. Kissinger era alla Casa Bianca e Washington voleva tirare in barca i cinesi affinché li aiutassero a uscire dal pantano vietnamita. Dietro le quinte in Cina si discuteva se uscire dall’isolamento con un’apertura verso i sovietici (Lin Biao) o verso gli americani (Chou En-lai). Il contesto internazionale favorì la seconda, anche grazie a una precisa politica di corteggiamento americana in tal senso (che incluse, per esempio, l’inizio di un forte sostegno al Pakistan, alleato della Cina, contro l’India, affinché Islamabad aprisse un canale con Mao). La successiva rivoluzione diplomatica sino-americana si basava sulla premessa che gli Stati Uniti erano usciti sconfitti dall’Indocina e apparivano - agli occhi dei cinesi - come la potenza meno minacciosa e più debole, quella incapace di costringere i suoi alleati europei a combattere in Vietnam o i suoi partner arabi di non boicottarla sul piano energetico. L’Unione Sovietica invece appariva un blocco compatto e pesantemente armato e che per di più sembrava stesse lavorando per accerchiare la Cina: Mosca aveva rafforzato i suoi legami con l’India, stretto un’alleanza coi comunisti vietnamiti ed espanso la sua presenza nell’Oceano Indiano. Persino la Corea del Nord - formalmente l’unica alleata di Pechino - flirtava con i sovietici. Il gap tecnologico cinese appariva umiliante, al punto che i ricognitori sovietici violavano lo spazio aereo cinese quasi impunemente. Allinearsi con gli Stati Uniti ha seguito la stessa logica del patto coi sovietici del 1951: bilanciare la minaccia più pressante e negoziare i trasferimenti economici e tecnologici necessari alla sicurezza cinese. Il resto, come si suol dire, è Storia.

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Diamo poi la parola a Dario Carcano:

Ho pensato a un PoD che potesse impedire l'ascesa al potere dei Talebani in Afghanistan, e l'unico che mi è venuto in mente è la sopravvivenza della Repubblica Democratica dell'Afghanistan, e più in generale il successo dei tentativi di riforma di Mohammad Najibullah.
Najibullah nella seconda metà degli anni '80 cercò di ricomporre la guerra civile in cui era caduto l'Afghanistan, eliminando i riferimenti al marxismo nell'ideologia del suo partito e avviando un processo di riconciliazione nazionale che culminò nel 1987 con l'entrata in vigore di una nuova costituzione che apriva il regime al multipartitismo, e istituiva un parlamento bicamerale eletto democraticamente.
La grande debolezza del regime di Najibullah era la dipendenza dalle forze sovietiche: lo sapevano tutti, compresi i mujāhidīn, che dopo il ritiro delle forze sovietiche il governo di Kabul avrebbe avuto i giorni contati.
Nonostante tutto, nel biennio 1989-1991 le forze governative riuscirono a resistere alla guerriglia islamista, ma dopo il 1991 la fine degli aiuti economici sovietici causò il collasso delle forze armate leali al governo di Najibullah, spianando la strada alla conquista del paese da parte dei mujāhidīn.
Così mi sono chiesto: c'era nell'area un altro paese comunista, o almeno comunista sulla carta, che poteva avere interesse alla sopravvivenza di un governo comunista nell'area, abbastanza forte da poter sostenere il governo di Najibullah sia economicamente che militarmente, e possibilmente in buoni rapporti col Pakistan (uno dei principali finanziatori dei mujāhidīn), così da convincere quest'ultimo a interrompere i propri finanziamenti ai guerriglieri?
Ad almeno tre domande su quattro la risposta è sì: la Repubblica Popolare Cinese di Deng Xiaoping.
Se avesse voluto, la Cina avrebbe potuto estendere la propria influenza nell'area aiutando il governo di Najibullah, sostenendo le sue riforme e i suoi tentativi di pacificazione del paese, e spingendo il Pakistan a interrompere gli aiuti ai mujāhidīn.
Ma non lo fece perché, come abbiamo detto prima, Najibullah aveva puntato sul cavallo sbagliato. Mosca, anziché Pechino.
Non era tutta colpa sua, Najibullah e i comunisti afghani non avevano molta scelta: il regime si teneva in piedi cogli aiuti sovietici, sia militari che economici; voltare le spalle a Mosca per tentare un abboccamento con Pechino un azzardo enorme, e solo col senno di poi noi sappiano che entro pochi anni l'URSS sarebbe crollata, e quindi una svolta cinese era l'unica possibilità di sopravvivenza del regime comunista afghano.
Ma immaginiamo che Najibullah scelga questa strada, nonostante sia estremamente rischiosa. Tra il 1987 e l'88, mentre i sovietici pianificano il ritiro delle loro truppe dall'Afghanistan, Najibullah avvia colloqui segreti col governo cinese per convincerli che sarebbe un buon alleato di Pechino nella zona. I successi riportati dalle forze afghane nel 1989, in particolare la battaglia di Jalalabad, convincono Pechino che il regime di Najibullah non è così precario come sembra, e che potrebbe essere un utile alleato.
Tra il 1990 e il 1995 gli aiuti cinesi e la fine dei finanziamenti pakistani ai talebani, permettono al governo della Repubblica dell'Afghanistan di reprimere la guerriglia e porre fine alla guerra civile.
Grazie alle politiche sociali di Najibullah, oggi l'Afghanistan è considerato la Svizzera del Medio Oriente: laicità dello Stato e libertà di culto, parità dei diritti tra uomini e donne, istruzione e sanità alla pari coi paesi dell'Occidente, buone infrastrutture, investimenti nelle fonti energetiche rinnovabili, tassi di povertà e disoccupazione tra i più bassi della regione.

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Federico Sangalli gli risponde:

Che la Cina invii o meno truppe è una questione secondaria, è comunque una spesa senza scopo. Se avesse voluto Pechino avrebbe potuto comprarsi un paio di repubbliche centroasiatiche, di quelle stabili e messe meglio come infrastrutture, invece non lo ha mai fatto, non vedo perché dovrebbe farlo nel caso di un paese così arretrato e disastrato come l’Afghanistan, col rischio di vedersi sobillata contro la guerriglia e con le probabilità a sfavore.
L’India non confina direttamente con l’Afghanistan ma le sue basi sono molto più vicine di quelle cinesi, sarebbe più facile un intervento indiano di uno cinese.
Francamente non vedo perché non dovrebbe esserci l’11 settembre: bin Laden ha ancora tutta la tecnologia e l’ambizione per portare a termine l’attacco dal Sudan anche senza i Talebani.

Tra la caduta di Najibullah e l’invasione americana l’Iran è stato il principale sostenitore, seguito dall’India, dell’Alleanza del Nord composta dalle milizie anti-Talebane. Teheran non ha problemi a giocare secondo le ideologie degli altri (in Libano dove governano con i partiti sunniti e cristiani, in Iraq dove alle ultime elezioni gli sciiti filo-iraniani si sono presentati in coalizione proprio coi comunisti) se questo può servire a una -strano ma vero- coerente politica estera.

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Dario poco dopo torna alla carica:

Nome ufficiale: Repubblica Democratica dell'Afghanistan (1979-1987); Repubblica dell'Afghanistan (dal 1987)
Fondazione: 30 aprile 1978
Inno: Garam shah lā garam shah ("Siate ardenti, siate più ardenti")
Superficie: 652.864 km²
Popolazione: 38.041.754 ab.
Densità: 51,06 ab./km²
Capitale: Kabul (3.678.034 ab.)
Altre città: Kandahar, Herat
Lingua ufficiale: Pashtu, dari
Altre lingue: Turkmeno, uzbeco, beluci, lingue del Pamir, nuristani, pashayi
Religione principale: Musulmana sunnita
Altre religioni: Islam sciita, zoroastrismo, sikhismo, induismo
Gruppo Etnico Principale: Pashtun
Altri: Tagiki, hazara, uzbechi, aimak, turkmeni, baluchi
Forma di governo: Repubblica parlamentare socialista islamica
Presidente: Nur ul-Haq Ulumi (Partito Watan)
Primo ministro: Heela Najibullah (Partito Watan)
Moneta: Afghani
Fuso orario: UTC+4:30
Prefisso internazionale: +93
Sigla automobilistica: AFG
TLD: .af

Storia:

Nel 1978 il leader del Partito Democratico Popolare dell'Afghanistan (PDPA) Mohammed Akbar Khaibar venne ucciso dalla polizia politica del governo di Mohammed Daud Khan, mentre altri importanti esponenti del PDPA furono esiliati, tranne Hafizullah Amin che fu costretto agli arresti domiciliari. Tuttavia Amin riuscì a tenere unito il PDPA e a progettare un colpo di stato che rovesciasse il regime di Daud Khan.
Il 27 aprile 1978 Nur Mohammad Taraki, Babrak Karmal e Hafizullah Amin si fecero promotori di un sanguinoso colpo di Stato contro Daud, trovando il pieno appoggio degli alti ufficiali delle forze armate, in maggioranza addestrati in Unione Sovietica. Il palazzo presidenziale di Kabul fu preso d'assalto e Daud e diversi suoi familiari assassinati. Il colpo di Stato venne ribattezzato Rivoluzione Saur ("Saur" in afghano vuol dire aprile).
Fin dalla sua fondazione nel 1965, il Partito Democratico Popolare era diviso in due fazioni, la fazione Khalq, che voleva trasformare il paese il uno Stato comunista nel minor tempo possibile, e la fazione Parcham, che voleva la creazione di uno Stato comunista in maniera lenta e graduale. Il PDPA dopo la rivoluzione Saur proclamò la nascita della "Repubblica Democratica dell'Afghanistan", e le sue fazioni si spartirono il potere, con Taraki, leader della fazione Parcham, alla presidenza, Karmal vice Primo ministro e Amin, leader della fazione Khalq, ministro degli Esteri.

Il nuovo governo portò avanti i programmi di modernizzazione socio-economica con maggior decisione, abbandonando ogni cautela e seguendo un'impostazione di tipo socialista: le grandi proprietà terriere furono confiscate e redistribuite a famiglie di contadini poveri, fu abolita l'ushur (la decima dovuta ai latifondisti dai braccianti), le banche furono nazionalizzate e si tentò di porre un calmiere ai prezzi; in ambito sociale furono portati avanti programmi di alfabetizzazione, si tentò di sradicare la pratica dei matrimoni combinati e l'imposizione del burqa, cercando di riaffermare l'emancipazione delle donne confermando loro il diritto di voto e incoraggiandole a partecipare attivamente alla vita politica.
Sebbene accolte con favore dalla quasi totalità della popolazione urbana, le politiche avviate dal PDPA furono un trauma per gli abitanti delle zone rurali, nettamente maggioritari nel paese: la natura stessa delle riforme, contrarie ai principi tradizionali e religiosi afghani, e l'eccessiva velocità con cui furono introdotte generarono una diffusa ostilità nei confronti del governo di Kabul; le idee del marxismo-leninismo stentarono a prendere piede in una popolazione prevalentemente rurale e analfabeta, assolutamente fedele ai precetti islamici. D'altro canto la leadership del PDPA, dove l'ala Khalq era ormai maggioritaria, si dimostrò intransigente nel portare avanti i suoi programmi e contraria a ogni tipo di opposizione, che fu sistematicamente repressa tramite ondate di arresti ed esecuzioni; la repressione portata avanti dal governo di Kabul provocò una recrudescenza delle opposizioni a esso: mentre dal Pakistan i mullah e i leader islamici in esilio invocavano un jihād contro la RDA, a partire dalla fine del 1978 nelle zone montuose dell'Afghanistan presero a formarsi le prime bande di guerriglieri anti-governativi, ben presto ribattezzantesi mujaheddin ("combattenti per il jihād"). Già in ottobre i primi scontri tra truppe governative e ribelli nuristani presero vita nella provincia di Konar.
Entro la metà del 1979, 25 delle 28 province dell'Afghanistan erano in aperta rivolta contro il governo.

L'estendersi dei disordini e degli scontri in Afghanistan provocarono preoccupazione nel governo sovietico: vi era la percezione che le forze della guerriglia, ancora piuttosto disunite e non coordinate, potessero riunirsi per dare vita a un vero e proprio movimento "controrivoluzionario" capace di abbattere il PDPA, ma a Mosca ancora molti esponenti del Politburo, tra cui il capo del KGB Jurij Vladimirovič Andropov e il ministro degli esteri Andrej Andreevič Gromyko, si opponevano a un intervento diretto delle forze da combattimento sovietiche nel paese, timorosi che ciò potesse danneggiare le relazioni con i paesi non allineati; la diplomazia sovietica iniziò quindi a fare pressioni su Taraki perché assumesse un atteggiamento più moderato, spingendo anche per trovare una riconciliazione tra le fazioni Khalq e Parcham. L'apertura a politiche più contenute provocò però la reazione dell'ala dura del Khalq e il 14 settembre 1979 Taraki fu assassinato, venendo rimpiazzato da Hafizullah Amin; il nuovo regime inasprì ancora di più la repressione: in due mesi si stimò che nella sola Kabul furono giustiziati circa 10.000 oppositori o presunti tali, principalmente mullah e capi villaggio ma anche membri della nascente borghesia istruita afghana.
Inevitabilmente, la recrudescenza della repressione provocò un incremento della guerriglia antigovernativa.

Il regime massimalista e spietato di Hafizullah Amin provocò sgomento nel governo sovietico: a Mosca si arrivò persino a ipotizzare che Amin avesse legami con la CIA, e che il suo comportamento spietato non fosse che parte di un piano mirante a provocare una rivolta popolare e rovesciare il regime del PDPA; più concretamente, si temeva che le politiche repressive potessero portare a una rivoluzione di stampo islamico sul modello di quanto avvenuto pochi mesi prima in Iran, con il rischio non solo di perdere l'influenza da tempo instaurata sull'Afghanistan, ma anche che la rivolta potesse estendersi alle popolazioni musulmane dell'URSS confinanti con il paese. Ciò provocò una totale revisione dell'atteggiamento sovietico circa la questione afghana, con il ministro della difesa Dmitrij Fëdorovič Ustinov e i vertici militari che presero a fare pressioni sul segretario Leonid Il'ič Brežnev perché autorizzasse un intervento armato, finalizzato a deporre Amin e rimpiazzarlo con un governo più malleabile; a mano a mano si fece concreta l'idea di operare un intervento "di polizia", limitato nel tempo, per "riportare l'ordine" in un paese soggetto all'influenza sovietica, in ossequio alla cosiddetta "dottrina Brežnev" già applicata in Cecoslovacchia nel 1968: l'intervento puntava anche a migliorare l'immagine dell'URSS presso gli afghani, eliminando il governo intransigente di Amin per rimpiazzarlo con il più moderato Karmal.

La sera del 24 dicembre 1979 le forze sovietiche diedero il via all'invasione (operazione Štorm 333). Il 27 dicembre le truppe sovietiche entrarono a Kabul, dove Amin fu deposto e assassinato. Entro la metà del gennaio 1980 i centri principali dell'Afghanistan erano in mani sovietiche: l'esercito afghano oppose una resistenza debole e disorganizzata, e la 40ª Armata, cresciuta fino a 81.800 unità, registrò perdite irrisorie; a Kabul il neo presidente Karmal, portato in volo nella capitale dai sovietici, proclamò la caduta del regime di Amin e la formazione di un nuovo governo.
Per i successivi cinque anni le truppe sovietiche in Afghanistan tentarono inutilmente di sradicare la guerriglia dei mujaheddin, sostenuta da Pakistan e Stati Uniti. Nel 1985 gli insuccessi e le pesanti perdite patite convinsero Gorbačëv dell'inutilità di continuare la guerra: il 17 ottobre 1985, durante una riunione del Politburo, il segretario espresse per la prima volta l'intenzione di avviare il ritiro delle forze sovietiche dall'Afghanistan, e pur non condannando l'intervento nel paese fece intendere che si era trattato di un errore grossolano; la posizione di Gorbačëv venne poi resa pubblica per la prima volta nel febbraio del 1986, durante il XXVII Congresso del PCUS.

A partire dai primi mesi del 1986 quindi Gorbačëv avviò un programma di "afghanizzazione" del conflitto, trasferendo maggiori responsabilità belliche alle truppe afghane per disimpegnare quelle sovietiche, progressivamente relegate a soli compiti di supporto alle prime. Sul fronte politico Karmal, ritenuto da Gorbačëv il principale responsabile della mancata stabilità del paese, fu rimpiazzato alla guida del governo dal vicepresidente Haji Mohammad Chamkani il 24 novembre 1986 prima che anche questi cedesse il posto a Mohammad Najibullah, più ben visto dai sovietici, il 20 settembre 1987. Benché la sua carica di ex capo del KHAD, la polizia segreta della RDA, lo rendesse malvisto da molti degli oppositori, Najibullah avviò, su richiesta di Mosca, una politica di "riconciliazione nazionale" per pacificare il paese: fu varata una nuova costituzione che apriva al multipartitismo, elementi estranei al PDPA furono ammessi alle funzioni di governo, fu proclamata un'amnistia generale e si previdero strumenti per restituire agli esuli i loro beni, invitandoli a tornare; nonostante fosse riuscita ad attrarre alcuni degli elementi più moderati, la politica di Najibullah fallì in buona parte i suoi scopi, non riuscendo né a rendere più popolare il governo di Kabul né a convincere gli insorti ad avviare trattative con esso, ma anzi spinse questi ultimi a intensificare le operazioni militari, nel timore che un allentamento della tensione spingesse i mujaheddin a ritornare alle loro occupazioni civili percependo un'imminente fine del conflitto.

Al contempo, cercando di sfruttare i migliori rapporti instaurati con gli statunitensi dopo la firma del trattato INF l'8 dicembre 1987, Gorbačëv diede avvio a colloqui internazionali sotto l'egida dell'ONU per fissare il ritiro delle truppe sovietiche: il 14 aprile 1988 Afghanistan e Pakistan, con URSS e Stati Uniti come rispettivi garanti, firmarono gli accordi di Ginevra, stabilendo la non ingerenza e la non interferenza dei due paesi nelle questioni del vicino e fissando dei termini generali per il ritorno dei profughi afghani alle loro case; il trattato stabiliva anche un calendario per il ritiro del contingente sovietico in due scaglioni distinti, tra il 15 maggio e il 16 agosto 1988 e tra il 15 novembre 1988 e il 15 febbraio 1989, con una missione di osservatori dell'ONU (UNGOMAP) incaricata di monitorare il corretto ripiegamento dei reparti. Il ritiro delle forze sovietiche iniziò come previsto: nonostante fossero state negoziate tregue e cessate il fuoco locali con i vari comandanti guerriglieri, la ritirata sovietica fu disturbata da alcune imboscate dei gruppi mujaheddin più estremisti, anche se in generale essa si svolse senza grandi intoppi.

Era opinione comune che senza il supporto dell'Armata Rossa il regime del PDPA sarebbe ben presto crollato sotto i colpi dei mujaheddin, ma inaspettatamente esso riuscì a resistere anche dopo la ritirata sovietica: riportando il conflitto a una dimensione di guerra civile e non di lotta contro l'occupante straniero, Najibullah sfruttò a proprio vantaggio le mai risolte divisioni nel campo dell'opposizione riuscendo a guadagnarsi la neutralità se non l'appoggio di alcuni capi tribali.
Inoltre, Najibullah diede prova di scaltrezza diplomatica quando il 5 giugno 1989 partecipò ai funerali dell'ayatollah Komeyni. Quel gesto fu il coronamento di mesi di negoziati segreti tra Teheran e Kabul, durante i quali il governo afghano sfruttò i timori dell'Iran verso una vittoria dei gruppi fondamentalisti sunniti per attirare dalla propria parte il governo iraniano. In particolare, i timori di Teheran riguardavano il futuro della minoranza hazara di religione sciita nel caso di un collasso della repubblica afghana, soprattutto se a prendere il potere fossero stati i talebani, una delle fazioni più radicali e fondamentaliste dei mujaheddin.
Altro grande successo diplomatico di Najibullah, seppur meno clamoroso dell'intesa con l'Iran, fu il patto di amicizia firmato con l'India nel 1988 in funzione anti-pakistana, dopo il quale arrivarono da Delhi ingenti aiuti economici che permisero sia di rinforzare le forze governative, sia di resistere alla dissoluzione dell'URSS nel 1991 e alla fine degli aiuti economici di Mosca.
Le forze militari afghane, che già nel 1989 erano riuscite ad ottenere in autonomia alcuni successi contro i mujaheddin attorno a Jalalabad, negli anni successivi grazie al supporto di reparti d'elite indiani e iraniani riuscirono a infliggere sconfitte sempre più pesanti ai guerriglieri. Nel 1996, con la conquista delle ultime roccaforti dei mujaheddin, la quasi ventennale guerriglia islamista poteva dirsi conclusa.

Negli anni successivi, il paese ha conosciuto un rapido sviluppo economico, sia grazie alle politiche sociali di Najibullah e dei suoi successori, sia grazie agli aiuti internazionali, in maggioranza sempre indiani, che hanno permesso la rapida ricostruzione di un paese devastato da anni di guerra.
Oggi l'Afghanistan è uno dei paesi più sviluppati della regione: oltre ad un sistema sanitario a livelli occidentali, ottime regolamentazioni a tutela dei lavoratori e un sistema d'istruzione pubblica accessibile a tutti e tra i migliori della regione, il paese può vantare ottimi risultati per quanto riguarda l'emancipazione femminile e un settore industriale (soprattutto tessile) in rapido sviluppo attorno alla tradizionale manifattura di tappeti.
Il tasso di alfabetizzazione è passato dal 18,2% del 1979 al 34% del 1995, per arrivare al 76% nel 2000 grazie alle politiche di scolarizzazione portate avanti da Najibullah e dal suo governo. Nel decennio tra il 1995 e il 2005 sono state portate avanti campagne contro il delitto d'onore, la violenza domestica, la poligamia e i matrimoni forzati, queste ultime ancora diffuse nonostante la legge le vietasse da quasi vent'anni. Contemporaneamente sono stati portati avanti gli sforzi del Consiglio delle Donne Afghane per garantire anche nei fatti la parità di diritti tra uomo e donna; il CDA in particolare ha fornito alle donne afghane servizi quali corsi di formazione professionale e istruzione superiore di livello liceale o universitario, per rendere le donne indipendenti dai mariti.
Uno degli obiettivi del governo di Kabul dopo la fine della guerra civile è l'eradicazione della coltivazione dell'oppio, che al tempo della guerra civile era la principale fonte di lucro dei mujaheddin. Quest'obiettivo viene perseguito sia con una politica di incentivi alle aziende agricole che abbandonano la coltivazione dei papaveri per passare ad altre colture, sia con una lotta senza quartiere ai narcotrafficanti e alle varie organizzazioni criminali che lucrano con l'oppio.

Politica:

La Costituzione afghana, promulgata da Najibullah nel 1990, confermava in gran parte le aperture già stabilite nella costituzione del 1987. In particolare veniva permesso a forze politiche estranee al PDPA e al suo controllo di partecipare alle elezioni, purché queste si opponessero al colonialismo, all'imperialismo, al neocolonialismo, al sionismo, alla discriminazione razziale, all'apartheid e al fascismo.
La novità della costituzione del 1990 fu la rimozione di ogni riferimento all'ideologia marxista, sostituita da valori quali socialismo islamico, laicismo e socialismo di mercato. Contemporaneamente, anche il PDPA abbandonò i riferimenti al marxismo, diventando un partito laico e socialdemocratico, e cambiando nome in Partito della Madrepatria, o Partito Watan.
Questi cambiamenti furono avversati dalla fazione Khalq del PDPA, che nel 1990 tentò di organizzare un golpe contro Najibullah per fermare le sue riforme. Tuttavia il tentato colpo di Stato fu sventato e la fazione Khalq purgata, lasciando Najibullah libero di proseguire le sue riforme.

La Costituzione del 1990 struttura l'Afghanistan come una repubblica semipresidenziale presidente-parlamentare.
Il Presidente è eletto per un mandato di sette anni dalla Loya Jirga, un collegio elettorale composto dai membri del governo, dal vicepresidente, dai membri del parlamento, da delegati degli enti locali e altri alti funzionari dello Stato, che oltre ad eleggere il presidente esprime il parere decisivo sulle modifiche alla Costituzione. Il Presidente nomina il Primo ministro e i ministri, e se necessario può presiedere le riunioni del gabinetto. Il Presidente ha l'iniziativa legislativa, può esercitare un veto sospensivo sulle leggi approvate dal parlamento, può sciogliere il parlamento, è il capo supremo delle forze armate, nomina i vertici della magistratura e i giudici della Corte Suprema, può dichiarare guerra o proclamare lo stato di emergenza, e ha il potere di concedere la grazia o commutare le pene.
Il Presidente può essere eletto per un numero indefinito di mandati, ma la costituzione pone un limite di due mandati consecutivi.
Il parlamento, denominato Assemblea Nazionale (Mili Shura) è diviso in due camere, la Camera dei Rappresentanti del Popolo (Wolesi Jirga) e il Senato (Sena). La Camera del Popolo è la camera bassa, ed è eletta a suffragio universale ogni cinque anni, il Senato è la camera alta, ed è composto da: due senatori per ogni provincia, eletti dagli abitanti della provincia per un mandato di cinque anni; due senatori per ogni consiglio provinciale, eletti dai consigli provinciali per un mandato di tre anni; il rimanente terzo dell'assemblea è nominato dal presidente per un mandato di quattro anni.
L'Assemblea Nazionale esercita l'attività legislativa e approva il bilancio del governo. Oltre a questi poteri, la Camera del Popolo esprime un voto di fiducia nei confronti del Primo ministro e del suo gabinetto.

Dario Carcano

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E ora, l'idea di MorteBianca:

Spesso, negli ambienti comunisti, Gorbachev viene visto come un "traditore" che ha, volontariamente, osteggiato il socialismo reale e volontariamente portato alla nascita della Federazione Russa capitalista. E' invece poco noto il suo originale progetto, a cui mirava la sua opera, di riforma dell'URSS in senso che le permettesse di sopravvivere, migliorarsi e perdere molti dei suoi difetti, con la realizzazione dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche Sovrane. E se il progetto politico di Gorbachev si realizza? Se riesce ad applicarlo prima, il Golpe degli oltranzisti viene sventato senza l'intervento di Elstin (che rimane collaboratore ma non gli fa le scarpe) e Gorbachev ha via libera?

Il PCUS, dopo che la fazione conservatrice ha tentato il colpo di stato, viene messo sotto processo dalle autorità giudiziare: è la prima volta, nella storia dell'URSS, che il potere giudiziario mette sotto giudizio critico il potere politico. Stato e Partito perdono la loro identificazione. E' una "rivoluzione culturale" usata da Gorbachev, cavalcando il malcontento dei giovani e dei nazionalisti contro i vecchi e corrotti quadri del PCUS, come in Cina.

Proseguimento delle riforme di Trasparenza e lotta alla corruzione. Una grandissima "Tangentopoli" ripulisce i quadri dirigenti dai casi di nepotismo, corruzione, favoritismo e simili. Gran parte della corrente conservatrice viene messa all'angolo sotto pesanti accuse di eversione e mancato rispetto dell'autorità statale nonchè della costituzione. I magistrati fanno piazza pulita, il PCUS subisce una grande riforma interna, le varie correnti sono in lotta, storiche espulsioni e fuoriuscite. Si cerca di fondare partiti a sinistra e a destra del PCUS che però restano di nicchia.

Attuato un corpus di leggi amministrative che permettono l'iniziativa privata in limitate percentuali nelle aziende statali. Addirittura le piccole aziende possono essere lasciate in mano a cooperative (da distinguersi in Nazionali, Regionali, provinciali e così via, secondo la dicitura sovietica del tempo) a base popolare indipendenti dallo stato. Ed infine le piccole imprese locali possono venire lasciate a Solchoz e Mir indipendenti comunali auto-gestite, oppure ad imprese private (anche straniere). E' un modello ibrido di Socialismo di Mercato, NEP e Socialismo a caratteri cinesi.

Sancita la libertà di stampa, parola, pensiero e culto, liberalizzazione delle suddete. I media rimangono sotto controllo statale ma cessa la propaganda martellante.

Maggiore autonomia etnica e linguistica. L'URSS diventa un unione di nazioni sovrane (da qui la dicitura) con esercito, economia, esteri, difesa, trasporti e tanto altro in comune. I vari parlamenti distinti accontentano in tal modo i nazionalisti, specie nel baltico.

Vengono aperte delle zone al mercato occidentale (modello Zone ad amministrazione speciali cinesi). La prima è Stalingrado.

Le proteste e le rivolte di ordine neo-liberista, fascista e di sorta vengono represse. Lo stato mantiene la propria stabilità reprimendo le rivolte di questa affiliazione, ma non quelle studentesche (che però causano diversi disordini ed occupazioni, ma tutto viene incanalato da Gorbachev nella lotta al vecchiume).

Apertura del Parlamento ai partiti non comunisti ma sempre socialisti e socialdemocratici, secondo la teoria della "Democrazia Socialista" che considera le altre forme eversive.

Il Patto di Varsavia subisce una profonda riforma: i vari partiti comunisti vengono messi al vaglio, e quando sono considerati filo-stalinisti vengono scomunicati da Mosca. La Romania è la prima a subire questo processo. La Jugoslavia invece viene ufficialmente riconosciuta dopo decenni di mutuo odio. In Polonia le elezioni danno ragione ai liberali, e la Polonia viene liberalizzata ed esce dal Patto. Avviene quindi una riunione dei vari presidenti a Praga (città dove l'ultima volta i russi erano venuti con i carri armati). Il tentativo di liberalizzazione precedente viene riconosciuto come "utile e necessario" e Krushev, in questa azione, è scomunicato. Il Patto di Varsavia rinasce come Patto di Praha, successivamente rinominato "Alleanza Internazionale Socialista" o AIS.

Riallacciati i rapporti con la Cina, specie con Deng Xiaoping (che fu storicamente simile a Gorbachev nelle riforme). L'economia cinese riversa i propri investimenti in quella russa e viceversa, evitando la stagnazione economica (scongiurata di fatto con le aperture agli investimenti stranieri). Vietnam e Cambogia ritornano a riconoscere l'URSS. La Corea del Nord invece è chiusa nella Juche.

Alla Terza Internazionale l'Eurocomunismo viene accettato come prassi nei paesi occidentali: sarà possibile e auspicabile una via democratica e lenta al Socialismo Reale (su modello sovietico, altrimenti si scende nell'indefinito socialismo non-leninista). Il PCI, il PCF e il PCS sono a capo della coalizione dei partiti comunisti nella futura Unione Europea, e in blocco con il PSE (in questa timeline alleato con il "PCE" e quindi non nasce il DS) per contrastare l'Europa Popolare delle Banche. I comunisti sono ufficialmente "europeisti" latu sensu.

A seguito di questa esperienza la Terza Internazionale incontra la Quarta sotto la direzione di Gorbachev, auspicando ad una possibile riunione delle due correnti a seguito dell'ammissione degli errori dello stalinismo e della ragionevolezza dell'Internazionalismo, pur concedendo l'importanza del socialismo "momentaneamente" concentrato in pochi paesi. Le due Internazionali si riuniscono.

Aperto il dialogo con l'Internazionale Socialista "Per una prolifica alleanza fra socialisti e comunisti in tutti i parlamenti di tutto il mondo". Il comunismo "moderno" si apre a Femminismo, Ambientalismo, Movimento Studentesco e simili. In questo frangente otterrà l'appoggio, in seguito, di Mandela, di Chavez, del Subcomandante Marcos, di Sonia Ghandi e vari altri leader socialisti di vario genere in tutto il mondo. "L'Alleanza Rossa" di paesi socialisti è ancora più estesa (Bolivia in primis). In Messico gli Zapatisti prendono il potere. Successo della Socialdemocrazia Verde nei paesi nordici.

Incontro con i rappresentanti della Lega Araba: riconosciuto il Pararabismo e il Socialismo Arabo come prassi rivoluzionaria in oriente. La figura di Nasser è ritenuta eroica. Ambiguo il rapporto con Gheddafi, che comunque si mantiene coalizzato con i rossi.

Vittoria Laburista in Inghilterra, Referendum per l'indipendenza della Scozia in cui vincono i No. Il Commonwealth è riformato con ampie autonomie e partecipazioni parlamentari per tutte le nazioni e progressiva autonomia economica delle ex colonie, e anzi un progressivo supporto sociale dalla madrepatria.

Della NATO, o meglio dei "non rossi a varie sfumature", ormai sono rimasti solo USA, Isreaele, Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong e Singapore.

Hong Kong viene ceduto alla Cina alla fine del mandato britannico. A seguito delle forti contestazioni però viene lasciata una forte autonomia, e visto che le manifestazioni si sono diffuse anche nell'entroterra vengono avviati dei referendum per le città costiere, molte delle qali ottengono lo status di città ad amministrazione speciale. Il Tibet acquisisce maggiore autonomia, il Dalai Lama torna in patria.

Golpe in Corea del Nord, imprigionati i membri della dinastia "Kim" in Cina. Riunione delle due Coree in modello simile a quello Isreaelo-Palestinese e simile a quello Bosniaco: due nazioni, due parlamenti, una sola economia, esercito, costituzione, parlamento sovranazionale, esteri, difesa ecc...

A Taiwan vincono i socialdemocratici: avviata l'unione economica e militare con la Cina, che inizia la progressiva infiltrazione sull'Isola...

A Singapore vengono edificati i primi grattacieli autosufficienti, la popolazione al suo interno gestisce le risorse in comune, si parla di "comunismo utopico".

In America il Partito Democratico porta all'elezione di Obama, sostenuto da comunisti, ambientalisti, socialisti, Black Panthers, Minoranze spagnole e arabe nonché europee e native. Benché al governo ci siano solo democratici e repubblicani, nei singoli stati iniziano ad essere eletti i primi rappresentanti di terzi partiti, primo fra tutti quello Ambientalista...

E poi?

MorteBianca

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Chiudiamo per ora con l'originale proposta di Pietro Cociancich:

Le autorità sovietiche si rendono conto del pericolo rappresentato dal prosciugamento del Lago d'Aral, e a inizio anni '80 cominciano i lavori per un canale navigabile che lo colleghi al Mar Caspio da una parte e al fiume Ural dall'altra. Dopo il 1991 il Kazakistan entra in conflitto con l'Uzbekistan per il controllo del canale. Come cambia la situazione geopolitica dell'Asia centrale?

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Se volete farci sapere che ne pensate, scriveteci a questo indirizzo.


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