Il Duca d'Aosta Re d'Italia

ovvero: dalla prigionia alla corona

di Dario Carcano

Il Luogotenente Generale del Regno, S.A.R. principe Amedeo di Savoia-Aosta, III Duca d'Aosta

Il Luogotenente Generale del Regno, S.A.R. principe
Amedeo di Savoia-Aosta, III Duca d'Aosta

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Catturato dagli inglesi dopo la resa delle truppe italiane sull'Amba Alagi, il Duca d'Aosta fu trattato dai comandi inglesi con tutti i riguardi degni di una persona del suo rango: si erano infatti resi conto che Amedeo, membro della casa reale italiana, costituiva una potente arma nelle loro mani. Il duca si accorse di questa considerazione degli inglesi nei loro confronti e, astutamente, la sfruttò affinché anche gli altri prigionieri italiani catturati nell'Africa Orientale ricevessero un trattamento adeguato al loro rango di prigionieri di guerra - nel novembre del 1942 farà la stessa richiesta anche per quelli catturati in Libia. Gli inglesi cercano di sfruttare il duca Amedeo per costituire attorno a lui un governo in esilio formato da antifascisti, ma il duca non se la sentì di compiere quello che ritiene un tradimento verso il suo paese, nonostante non fosse mai stato fascista e non provasse particolare stima per Vittorio Emanuele III.

Le cose cambiarono quando l'8 settembre del 1943 fu reso pubblico l'armistizio di Cassibile. Vittorio Emanuele III fuggì a Brindisi con gran parte della corte, ma il principe Umberto fu irremovibile e decise di restare a Roma a comandare le truppe italiane a difesa della capitale; il re sapeva perfettamente che non avrebbe mai più rivisto il figlio. Oltretutto la principessa Maria José fu catturata mentre cercava di rifugiarsi in Svizzera portando con sé il figlio Vittorio Emanuele e le tre figlie. Fu deportata nel campo di concentramento di Buchenwald, dove sarebbe morta il 28 agosto 1944 per le ferite riportate in un bombardamento, mentre del figlio Vittorio Emanuele si persero le tracce; le tre figlie di Maria José e Umberto invece si salvarono, e dopo la guerra sarebbero state cresciute dalla zia, Mafalda di Savoia, anche lei richiusa a Buchenwald.

Come pronosticato dal padre, il principe Umberto non sopravvisse alla battaglia di Roma: dopo cinque giorni di eroica resistenza, il 14 settembre il principe ereditario fu catturato nel Palazzo del Quirinale, dove aveva stabilito il suo quartier generale, e fucilato sul posto dai militari delle SS.

Amedeo chiese agli inglesi di raggiungere Brindisi per discutere con il re cosa fare per affrontare l'armistizio, ma solo il 16 settembre, dietro una specifica richiesta del re d'Italia, Amedeo fu rilasciato e poté giungere a Brindisi. Qui Amedeo discusse col re sulla necessità di dare un taglio netto al passato, in primis sostituendo Badoglio alla presidenza del consiglio, in quanto il generale era troppo compromesso col passato regime fascista, e in secondo luogo Amedeo chiese al re di abdicare in suo favore; Vittorio Emanuele III accettò la prima proposta, sostituendo Badoglio con Enrico De Nicola, ma rifiutò sdegnato la seconda, anche perché veniva dagli odiati cugini Savoia-Aosta. La soluzione venne da De Nicola, che propose al sovrano di nominare il Duca d'Aosta Luogotenente Generale del Regno, pur mantenendo la titolarità della corona. Vittorio Emanuele accettò il compromesso e il 1° ottobre Amedeo fu nominato Luogotenente Generale del Regno; nel suo nuovo ruolo, si impegnò fin da subito affinché l'impegno italiano contro la Germania fosse concreto e non solo simbolico: dopo lunghe trattative, ottenne dagli anglo-americani di poter formare un esercito cobelligerante che operasse in modo autonomo dai diktat anglo-americani.

Il neocostituito Esercito Italiano di Liberazione era composto da 129.790 effettivi provenienti dalle unità che erano sopravvissute all’internamento da parte dei nazisti e dai volontari del Sud; in totale erano 10 divisioni organizzate in due armate (la I comandata dal Luogotenente Amedeo, la II dal Duca di Bergamo Adalberto di Savoia-Genova) e un corpo d’Armata comandato dal generale Emanuele Beraudo di Pralormo; come comandante in capo dell’esercito venne designato il generale Messe, appena liberato dalla prigionia inglese. L’armamento fu fornito dagli americani, e Amedeo riuscì ad ottenere che fosse pagato alla fine del conflitto in dieci rate annuali per altrettanti anni, vista la scarsità di risorse finanziarie a disposizione del Regno del Sud. L’addestramento delle truppe fu completo a metà gennaio 1944.

Il Il contributo dell'Esercito Italiano di Liberazione fu determinante, soprattutto nello sfondamento della linea Gustav, in cui le truppe italiane combatterono con valore contro le forze tedesche. La I Armata guidata dal Luogotenente Amedeo combatté con valore a Montecassino e proprio il Duca d'Aosta si oppose al bombardamento dell'abbazia di Montecassino. La battaglia di Cassino si concluse con una vittoria alleata il 5 maggio 1944; circa tre settimane dopo, il 23 maggio 1944, la I Armata dell'Esercito Cobelligerante Italiano fu la prima unità alleata ad entrare a Roma, liberandola dall'occupazione nazista, come era stato esplicitamente chiesto dal Duca d'Aosta per segnare la rinascita del Regno dopo il fascismo.

Intanto, nel febbraio del 1944 De Nicola aveva formato un secondo governo composto da tutti i partiti antifascisti (DC, PSIUP, PCI, PLI, PRI, Pd'Az) dopo che Mosca, sorprendentemente, aveva riconosciuto il governo De Nicola formato per volontà del luogotenente Amedeo, costringendo il PCI a fare altrettanto. Era la cosiddetta svolta di Salerno, in cui PCI e PSIUP decisero di rimandare a dopo la guerra la questione istituzionale e appoggiare il governo formato per volontà del Duca d'Aosta.

Durante l’inverno ’44-45 la guerra si fermò sulla Linea Gotica nonostante le proteste del Luogotenente Amedeo, per permettere alle truppe anglo-americane di tirare il fiato prima di liberare la pianura padana. Durante questo periodo anche le truppe dell’Esercito Italiano di Liberazione si riorganizzano e membri del governo del Regno del Sud iniziano a prendere contatti segreti con esponenti dell’RSI per organizzare un passaggio indolore dell’Istria dalla RSI al Regno del Sud e impedire la sua occupazione da parte dei partigiani titini; tali contatti avvengono col tacito consenso del Duca d’Aosta e all’insaputa degli anglo-americani.

L’offensiva finale iniziò il 6 aprile; contemporaneamente, in gran segreto, partiva l’Operazione Pompeo Magno, ossia lo sbarco in Istria delle truppe dell’EIL che avrebbero accolto la resa dei repubblichini: il 6 aprile nel porto di Ancona una divisione dell’esercito cobelligerante – di nascosto agli anglo-americani - si imbarcava su una flottiglia della Marina Cobelligerante formata da:

Agli alleati era stato riferito che lo scopo della missione era compiere una ricognizione delle difese costiere italo-tedesche in Istria allo scopo di raccogliere informazioni da trasmettere ai partigiani titini e che tale missione sarebbe stata accompagnata da alcuni genieri e tecnici dell’Esercito Cobelligerante.

Nel tardo pomeriggio del 7 aprile le operazioni di carco furono ultimate e le navi partirono al tramonto dello stesso giorno; All’altezza delle Isole Quarnerine la piccola flotta si divise: il Pompeo Magno con l’Artigliere si diresse verso Fiume, la Legionario e il Velite puntarono verso Pola e lo Scipione Africano con l’Animoso andarono verso Trieste.

Nelle prime ore del mattino dell’8 aprile le unità della divisione furono sbarcate dalle navi e andarono verso i punti di incontro con i repubblichini dove, come era stato concordato, le truppe della RSI si arresero senza opporre resistenza; anche la maggior parte dei tedeschi si consegnò agli italiani, evitando di doversi arrendere ai titini rischiando la deportazione in URSS. Alcuni reparti tedeschi, soprattutto a Fiume, rifiutarono di arrendersi e opposero resistenza agli italiani; tuttavia, finite le munizioni, anche loro si arresero. In un solo giorno l’Istria era tornata sotto la sovranità del Regno d’Italia.

Il generale Alexander protestò per le modalità dell’operazione, minacciando addirittura di inviare l’esercito britannico a sgomberare gli italiani dall’Istria; fu zittito da un telegramma da Londra di Churchill in persona, in cui in sostanza gli si ordinava di fare buon viso a cattivo gioco. Il primo ministro inglese stava già ragionando nell’ottica della guerra fredda contro l’URSS che si stava prospettando all’orizzonte, e non voleva che un paese comunista si rafforzasse troppo sull’Adriatico.

Il 10 aprile un’altra divisione dell’Esercito Italiano di Liberazione giunse in Istria a rinforzare le posizioni dei loro commilitoni.

Le difese nazi-fasciste nel nord Italia crollarono di fronte agli anglo-americani; Milano e Torino insorsero il 25 aprile, il 28 aprile Mussolini fu giustiziato, il 29 cadeva la linea Veneta, ultimo bastione tedesco in Italia; lo stesso giorno il maresciallo Graziani si consegnava agli americani. La guerra in Italia era finita.

Poco prima della fine delle ostilità sul territorio nazionale, il Presidente del Consiglio Enrico De Nicola propose di dichiarare guerra al Giappone e inviare in Asia un corpo di spedizione che supportasse gli americani; Amedeo accettò e firmò la dichiarazione di guerra il 15 aprile. In Asia fu inviato un corpo di spedizione di due divisioni, che avrebbero partecipato alle fasi conclusive della battaglia di Okinawa. Tale scelta era motivata sempre dalla volontà di Amedeo di dare un taglio netto al passato, nella speranza che gli anglo-americani considerassero l'Italia una vittima del fascismo e della dittatura di Mussolini, e non un paese ex membro dell'Asse che per opportunismo aveva voltato le spalle agli ex alleati.

Amareggiato per la morte del figlio e la scomparsa del nipote, Vittorio Emanuele III abdicò il 12 maggio 1945 in favore di Amedeo; avrebbe passato il resto della sua vita in esilio in Egitto, dove sarebbe morto il 28 dicembre 1947. Le sinistre si opposero, dato che avrebbero preferito la nomina di un reggente civile fino al referendum istituzionale, la DC e i liberali invece liquidarono l'abdicazione come un fatto interno a Casa Savoia. Il titolo di Duca d'Aosta passò ad Aimone di Savoia-Aosta, il fratello minore di Amedeo.

Il referendum istituzionale si tenne il 2 giugno 1946 e vide una netta vittoria della monarchia, che vinse ottenendo 13.945.138 voti (59,5%) contro i 9.492.069 (40,5%) ottenuti dalla repubblica. Le elezioni per l'assemblea costituente eletta quello stesso giorno videro una vittoria della Democrazia Cristiana, che poté esprimere il suo primo presidente del Consiglio in Alcide De Gasperi, già ministro degli Esteri nel secondo governo De Nicola, che confermò la solidarietà nazionale formando il suo governo assieme agli altri partiti del CLN. La costituzione avrebbe richiesto due anni di lavoro e sarebbe entrata in vigore il 1° gennaio 1948; essa prevede una monarchia parlamentare sul modello britannico, con una camera bassa eletta ogni cinque anni con un sistema elettorale maggioritario di collegio a turno unico (la Camera dei Deputati), una camera alta di nomina regia con poteri limitati (il Senato del Regno), un governo presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, con il potere di nominare e revocare i singoli ministri (atto che formalmente è mascherato da decreto reale) e il sovrano con il potere di sciogliere le camere e porre il veto sospensivo sulle leggi del parlamento.

Il trattato di pace con gli Alleati firmato il 10 febbraio 1947 fu abbastanza favorevole all'Italia:

Le elezioni del 1948 consegnarono una forte maggioranza parlamentare alla Democrazia Cristiana, che sarebbe rimasta ininterrottamente al governo per i successivi quindici anni, quando le elezioni del 1963 furono vinte dal Partito Social-Laburista Italiano - nome dei socialisti italiani dopo che nel congresso del 1953 il PSIUP decise di abbandonare l'ideologia marxista, riconoscere l'economia di mercato e abbandonare le istanze rivoluzionarie, cambiando in PSLI il nome del partito.

Amedeo durante il suo regno vide l'ingresso dell'Italia nella NATO e nella neonata ONU, la fondazione della CEE, il miracolo economico - finanziato dai soldi del Piano Marshall. Ebbe fama di gentiluomo e forse fu per questo che, dimenticando il suo ruolo nell'amministrazione coloniale dell'A.O.I., nel 1953 Hailé Selassié insistette per incontrarlo durante un viaggio di stato in Italia, nonostante il Presidente del Consiglio De Gasperi ritenesse inopportuna tale scelta del Negus; l'incontro tra il Re d'Italia e il Negus Neghesti fu molto cordiale e l'Imperatore d'Etiopia omaggiò Amedeo nominandolo membro dell'Ordine di Salomone, atto che immediatamente fu portato a simbolo della riconciliazione italo-etiopica.

Nelle contestazioni del '68 il Re fu il bersaglio preferito dei contestatori, che volevano l'instaurazione di una repubblica (ovviamente socialista) e accusavano il sovrano di essere un fascista, colonialista e assassino di africani; Amedeo soffrì molto per quelle accuse ingiuste, che secondo alcuni contribuirono ad aggravare le sue condizioni di salute.

Morì il 13 settembre 1969, all'età di settantuno anni; non avendo avuto figli maschi, gli successe il venticinquenne nipote Amedeo, figlio del fratello Aimone - morto a causa di un infarto nel 1948, che assunse il nome di Amedeo II. Egli è l'attuale Re d'Italia.

Dario Carcano

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Questo è il parere in proposito di Alessio Mammarella:

Bella ucronia, ma lasciatemi dire che è proprio una disdetta vedere Umberto II nei panni di colui che tirati finalmente fuori gli attributi viene punito dal fato con l'eliminazione sua (e addirittura) della consorte e dell'erede maschio. Anche perché io mi batto sempre fortemente con la giustificazione secondo cui "Il re doveva fuggire per forza, altrimenti sarebbe stato prigioniero dei tedeschi". Roma poteva essere difesa (gli italiani erano in superiorità numerica, e sarebbe bastato resistere pochi giorni, poi sarebbero arrivati i paracadutisti americani - la sera dell'armistizio i diplomatici tedeschi erano fuggiti precipitosamente da Roma convinti che la città fosse irrimediabilmente perduta) e doveva essere difesa (per dimostrare che il paese non era totalmente alla mercé degli eserciti invasori). Comunque, questa è una fisima mia, è chiaro che il Duca d'Aosta è un personaggio positivo, e magari fosse stato lui re!

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E Dario gli replica:

Affinché il Duca d’Aosta potesse diventare re d’Italia era necessario si realizzassero tre condizioni:

1) Amedeo doveva sopravvivere alla prigionia inglese;
2) Dovevano morire i Savoia che lo precedevano nella linea di successione a Vittorio Emanuele III, ossia il principe Umberto e suo figlio Vittorio Emanuele;
3) La Monarchia e Casa Savoia dovevano uscire dal secondo conflitto mondiale meno screditate che nella nostra Timeline, affinché potessero vincere il referendum istituzionale del 2 giugno.

Per questo non bastava che il principe Umberto morisse, doveva morire in maniera eroica difendendo la capitale dall’invasione nazista, in certo senso, pagando lui per gli errori del padre; alla morte eroica del principe Umberto si aggiungono la morte in prigionia di Maria José, destino che nella nostra Timeline è toccato a Mafalda di Savoia, e soprattutto le azioni dello stesso Amedeo come Luogotenente generale del Regno.
Poi è chiaro che personalmente anche io ritengo che, con difese ben organizzate, la capitale potesse essere difesa per un certo periodo di tempo, forse anche un mese, tempo che forse sarebbe bastato per permettere agli anglo-americani di risalire la penisola e rompere l’assedio; tuttavia la presa di Roma e la morte del principe Umberto sono funzionali allo scopo dell’ucronia, ossia far diventare Amedeo re d’Italia.

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Anche il grande Enrico Pellerito dice la sua:

Un precedente assai simile a quanto qui pubblicato è stato già proposto dall'ingegnere Sandro Degiani tempo fa e lo si può trovare sul sito, fra le Ucronie della seconda guerra mondiale.
Corretta la premessa di Dario Carcano al riguardo di una riproposizione, perché la figura di Amedeo d'Aosta ha stimolato non pochi lavori ucronici, cito tra questi quello di Maggioriano. L'ucronia presentata è interessante, ha un suo sviluppo originale e la condivido quasi in toto, tranne in un aspetto di carattere militare.
Plausibile la dinamica degli eventi, compresa la scelta di Umberto di Savoia di restare a Roma, la sua fucilazione ad opera dei nazisti e la tragica fine del suo nucleo famigliare.
Suggerirei che alla data dell'8 settembre il Principe di Piemonte non riesca a rientrare a Roma fino a prima della partenza del convoglio reale diretto a Pescara e non sia in alcun modo rintracciabile o raggiungibile; questo per impedire al Re, a Badoglio (e certamente anche alla Regina madre) di imporre ad Umberto l'allontanamento da Roma. Sappiamo, infatti, che sia la pressione genitoriale sia quella formale della gerarchia militare vennero utilizzate per far desistere Umberto dal suo intendimento di restare nella Capitale e guidare la lotta contro le truppe tedesche.
Quello della (mancata) difesa di Roma è un capitolo interessante (purtroppo anche penoso) della storia militare italiana e ci sarebbe tantissimo da dire ma rischio una digressione enorme.
Mi limito ad affermare che concordo con Alessio Mammarella sull'aspetto eminentemente di sopravvivenza politica attraverso l'allontanamento dei vertici statali dalla Capitale minacciata (sorvolo sugli aspetti "complottisti", cui personalmente dubito, che vogliono ciò preventivamente concordato con i Tedeschi).
Certo è che il tentativo di opporsi ai nuovi nemici poteva andare fatto e con buone possibilità di riuscita nell'immediato, articolando meglio le unità e impartendo disposizioni e ordini nell'ottica e nella volontà di sostenere uno scontro.
Non sarebbe bastata la sola superiorità numerica del personale, stante la necessità di contrastare, per esempio, mezzi corazzati nemici più performanti rispetto a quelli in dotazione ai similari reparti italiani intervenuti in HL, ma se a questi, a seguito di opportuna direttiva, si fosse affiancata almeno la divisione corazzata Ariete II, già la cose sarebbero potute andare diversamente (sulla divisione corazzata Centauro II meglio non dire, considerando che non era affidabile).
Si parla di possibili violenti attacchi aerei tedeschi su Roma, ma anche qui adeguate misure avrebbero potuto contenerne gli effetti, specie con un contributo da parte alleata, come detto da Alessio e Dario.
A quel punto, infatti, gli Alleati avrebbero visto che l'Italia faceva sul serio; sarebbero venuti meno dubbi e sfiducia e dato seguito all'operazione Giant 2 con l'apporto dell'82a divisione paracadutisti, sebbene ci siano stati storici militari che hanno mostrato alcune perplessità sia riguardo la probabilità di riuscita dell'azione, sia sull'entità effettiva delle aliquote o dei mezzi aerei di trasporto disponibili e impiegabili (ma soprassiedo anche qui se no allungo il discorso).
La città eterna avrebbe ricevuto, in ogni caso dei danni, ma garantito che l'artiglieria italiana sarebbe stata in grado di controbattere, per esempio, la controparte germanica e addirittura di tacitarla.
Non posso, però, astenermi dal manifestare i miei dubbi riguardo la qui prospettata successiva massiccia partecipazione italiana al conflitto.
A meno che non si fosse dato tempestivamente seguito alle disposizioni contenute nella famosa Memoria OP 44 e che le dette disposizioni fossero state chiare, precise e non soggette a interpretazioni spurie, le forze armate italiane (e in particolare il Regio Esercito) sarebbero state travolte lo stesso dalle iniziative che, già dalla primavera precedente, erano state studiate dai Tedeschi.
Quindi, come si fa ad avere nel tempo un "capitale" di ben otto armate comprendenti 32 divisioni?
Vero è che all'8 settembre del 1943 il Regio Esercito disponeva di più di 3 milioni di effettivi, con 2 gruppi di armate (uno proprio al comando di Umberto di Savoia), 2 comandi superiori interforze ("Sardegna" ed "Egeo") e 7 armate per limitarci a questi livelli; così come erano in essere più di 80 divisioni di vario tipo, ma non tutto ciò era schierato sul suolo nazionale.
A parte la Corsica dove la reazione consentì di combattere ed estromettere i Tedeschi (così come avvenuto in Sardegna), possiamo essere fiduciosi in una medesima conclusione degli eventi in Francia, nei Balcani e nei vari arcipelaghi dello Jonio e dell'Egeo senza che non vi sia anche un importante aiuto da parte degli alleati?
Stessa domanda dobbiamo farci riguardo quanto accadrebbe in Italia centrale e settentrionale.
Se gli ordini impartiti permettono di reagire nei confronti dei Tedeschi, allora lo sviluppo degli eventi potrebbe addirittura comportare, non dico il collasso dell'apparato militare germanico in Italia, ma almeno metterlo in una tale crisi che Hitler deve correre subito ai ripari, inviando contingenti da altre zone (pescando perfino dal fronte orientale) e volendo essere un po' ottimisti, non è del tutto impensabile che i Tedeschi si ritrovino a dover difendere, con due anni d'anticipo, le stesse linee che in HL occupavano, ad esempio in Veneto, nel dicembre 1945.
Ciò significa che veramente l'Italia contribuisce in maniera fattiva alla futura sconfitta germanica e, prescindendo dall'ipotesi militare proposta da Dario, gli eventi subiscono una notevole accelerazione.
Ma riconosco che qui pecco veramente di ottimismo e restando in un quadro più simile a quello storico, ammettiamo che i Tedeschi non riescano ad impossessarsi completamente di Roma (pronta contrapposizione italiana e successivo, altrettanto pronto, intervento Usa per come prima ipotizzato, ma che non impedisce la cattura e la fucilazione di Umberto); Kesselring si trova nei guai, con il rischio di avere le proprie unità schierate nel Meridione imbottigliate tra la reazione italiana e l'avanzata alleata dalla Calabria, dalla Puglia e dal nuovo saliente creatosi a Salerno.
Diciamo, allora, che le condizioni consentiranno a mantenere in servizio nell'autunno del 1943 non solo le 6 divisioni già operanti in Corsica e Sardegna, ma anche le 10 insistenti sul territorio tra il parallelo di Roma e il Meridione (nella realtà furono solo 3).
A queste possiamo aggiungere le 11 divisioni e le tre brigate costiere sopravvissute come in HL, oltre alle forze che riuscirono a rientrare dall'estero (una divisione di fanteria e altri reparti minori).
Aggiungiamo tutto il resto che fungeva da supporto sia come forza combattente che in funzione logistica e il quadro non apparirà poi tanto lontano dall'entità numerica disponibile in HL.
Così come nella realtà effettiva, si penserebbe a recuperare personale dalla massa di prigionieri italiani reclusi in Nord Africa, oltre a quelli in Kenia e in India (che sono quelli già comandati direttamente da Amedeo d'Aosta).
Rispetto a quella situazione, qui abbiamo il prestigio di cui gode Amedeo nei confronti dei Britannici, quindi le remore a suo tempo espresse sull'impiego delle forze militari italiane per cooperare attivamente nel prosieguo della campagna potranno essere minori e superabili.
Resta in essere, però, un handicap: equipaggiamenti, mezzi, rifornimenti di pezzi di ricambio e di munizionamento potevano contare sui depositi rimasti in possesso degli Italiani (qui possiamo pensare che si salvi tutto quanto disponibile nel Sud, oltre a quanto reperibile in Corsica e Sardegna) ma la maggior parte delle realtà produttive destinate alla forniture militari dell'esercito si trovavano nel Settentrione; così ci ritroveremmo a disporre, grosso modo, delle medesime risorse utilizzate dal Regno del Sud per costituire dapprima il I Raggruppamento motorizzato e in seguito il Corpo Italiano di Liberazione (nel secondo caso l'equivalente di due divisioni operative), mentre la massa del Regio Esercito, come in HL, verrebbe impiegata dagli Alleati in quanto supporto logistico, a parte i compiti di ordine pubblico in Sardegna e in Sicilia, dove non servivano certo artiglierie e molti mezzi motorizzati,
La creazione dei 6 Gruppi di combattimento, paragonabili a divisioni ridotte di fanteria, sarebbe avvenuta successivamente solo grazie agli Alleati che fornirono praticamente tutto (equipaggiamento, armi, mezzi) rientrando il mantenimento e il rifornimento di tali reparti nella catena logistica dell'8a Armata britannica.
Vogliamo immaginare che l'influenza di Amedeo riesca a far aumentare tale impegno? Bene, ma ritengo che si sarebbe realisticamente raggiunta la composizione complessiva di non più di una decina di tali gruppi (le risorse alleate erano notevoli ma non infinite).
Con ciò non pregiudico lo sviluppo presentato da Dario, solo ritengo vada ridotto l'apporto bellico italiano che, comunque, produrrebbe un'influenza e una conseguenza politica ben diversa rispetto alla realtà storica, proprio grazie alla figura di Amedeo d'Aosta che sarebbe al comando diretto di queste truppe.

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Dopo aver letto l'ucronia di Dario, inoltre, Alessio Benassi ha commentato:

Vorrei ricordarvi, a questo proposito, una famosa profezia di San Pio da Pietrelcina sul ritorno della monarchia in Italia. Il frate con le stimmate aveva preconizzato alla Principessa di Piemonte la guerra, la caduta della monarchia e la fine del ramo principale dei Savoia, ma profetizzò anche il ritorno della monarchia (« un nuovo Ramo riprenderà il Trono e darà gloria alla dinastia »). Ovviamente i principali candidati sono i Savoia-Aosta, tanto più che nella cripta del Santo vi è un bassorilievo che mostra una scena sacra (lo vedete qui sotto). In esso appare un giovane con il Collare dell'Annunziata; tale giovane è stato identificato con Aimone di Savoia-Aosta, che ricevette il collare da Re Umberto II quando era ancora minorenne. Tenete conto che il bassorilievo fu realizzato quando Aimone aveva un anno, eppure la somiglianza con Aimone adolescente è impressionante. Orbene, la situazione della Repubblica Italiana è davanti a tutti: secondo voi quali situazioni potrebbero far sì che la profezia si realizzasse, e nel Bel Paese tornasse la monarchia con "Re Aimone I di Savoia"?

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Tommaso Mazzoni commenta:

Io sono decisamente pro-Aosta. I Savoia-Carignano sono una banda di intrallazzoni spesso pavidi e ambigui!

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Ma Federico Sangalli scuote la testa:

Veramente i Savoia-Aosta avevano contatti con Mussolini per cui, se Vittorio Emanuele III avesse opposto resistenza durante la Marcia su Roma, i Carignano sarebbero stati deposti e rimpiazzati dai cugini. Personalmente ho sempre trovato la “legenda blanca” dei Savoia-Aosta, basata su una loro supposta lontananza dal Duce e su un supposto criptico antifascismo, una baggianata post-bellica dovuta al fatto che la Monarchia in Italia è diventata così impopolare che i monarchici sono ricorsi al perfetto “capro espiatorio” (nel senso originale del termine, cioè del sacrificio che toglie tutti i mali prendendoli su di sé), sacrificando i Carignano per acclamare invece i Savoia-Aosta (cosa che tra l’altro poi si è tradotta nell’attuale scisma che vede la maggior parte dei monarchici non riconoscere i diritti dei discendenti di Vittorio Emanuele di Savoia). Ma parliamoci chiaramente: Emanuele Filiberto, Duca d’Aosta e Generale durante la Grande Guerra, si offrì di fare il Re per Mussolini se il Duce avesse dovuto rovesciare suo cugino; i suoi figli furono rispettivamente Viceré dell’Etiopia Fascista e re fantoccio degli Ustascia di Pavelic in Croazia. Esattamente dove starebbe tutta ‘sta lontananza e ripudio, che li dovrebbe distinguere da VEIII, Umberto, Badoglio e compagnia? Per quanto mi riguarda i Savoia-Aosta sono solo un’altra manica di ipocriti opportunisti di una famiglia di imbelli e vipere, non meritano alcuna distinzione dai loro cugini solo perché la genetica ha voluto che i secondi mettessero la faccia sulle banconote e i primi no.

Certo, forse i Savoia-Aosta avrebbero potuto sostenere con maggior vigore le simpatie filo-britanniche italiane di quanto VEIII fece contro Mussolini, ma francamente ne dubito. Una dinastia che deve la Corona al Duce e ai suoi tirapiedi in camicia nera sarebbe ancora più debole di fronte alle mire del Duce e probabilmente acconsentirebbe per evitare la detronizzazione. E se anche, per qualche ragione, ci riuscisse, siamo sicuri che il risultato sarebbe quello prospettato? Un’Italia Fascista che rimane fedele a Stresa e partecipa alla Seconda Guerra Mondiale dalla parte degli Alleati, un paese comunque distrutto ed estromesso dal circolo delle potenze mondiali e con davanti la prospettiva di qualche guerra coloniale estenuante, un regime che non solo è sopravvissuto ma si è rafforzato grazie alla benedizione internazionale e alla propaganda patriottica bellica. Anche se prima o poi il Fascismo avrebbe dovuto cedere il passo la sua caduta sarebbe avvenuta più per inerzia che per trauma, lasciando dietro di sé un’immagine positiva (il Miracolo economico degli Anni Cinquanta, l’industrializzazione, la modernizzazione del paese, sarebbero tutte cose che si aggiungerebbero alla lista dei successi “di quando c’era LVI”). Oggi l’Italia sarebbe simile all’HL ma avrebbe forse corpi di gendarmeria più violenti e opachi, una carta costituzionale risalente al 1848 e aggiornata qua e là che lascia vasti e imperscrutabili poteri al Re e all’esecutivo, un mausoleo nel centro di Roma con Mussolini dentro (o forse sarebbe sepolto nel Pantheon?), una sfilza di orrendi crimini di guerra rinfacciati da certi paesi africani, libri di scuola che celebrano i progressi del Fascismo, film e telegiornali che parlano come l’Istituto Luce e una popolazione che in buona parte disprezza i politicanti corrotti e ricorda, con rimpianto e affetto, l’era mussoliniana come in Grecia si ricorda Metaxas e in Russia Stalin, leader autoritari, certo, ma anche grandi modernizzatori, carismatici salvatori della patria dall’invasore straniero e uomini del popolo che proteggevano gli interessi della gente comune dai politici, dai ricchi padroni e persino dai suoi stessi gerarchi. Non so voi, ma non credo che questo avrebbe portato a nulla di buono, come sempre quando si parla dei Savoia.

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Interviene Lord Wilmore:

Mi permetto di raccontare un aneddoto che mi aveva narrato mia mamma. Con la legge del 15 agosto 1867 il neonato Regno d'Italia incamerò i beni delle congregazioni ecclesiastiche soppresse l'anno prima. Don Giovanni Bosco non gradì e scrisse una lettera nientemeno che al Re Vittorio Emanuele II. In essa si diceva tra l'altro:

"Attento, Maestà: chi ruba a Dio muore giovane e non arriva alla quarta generazione."

Quella di Firenze era una delle corti più accesamente anticlericali d'Europa. Il Re con i suoi ministri si fece una bella risata alle spalle del povero prete torinese e firmò la legge.

Ora, Vittorio Emanuele II morì il 9 gennaio 1878 a soli 51 anni di una malattia mai chiarita (probabilmente malaria, amava andare a caccia nelle zone paludose e malsane del Lazio).

Prima generazione: Umberto I era freddo e autoritario, promosse una politica coloniale che portò al disastro di Adua, decorò il generale Fiorenzo Bava Beccaris per aver sparato contro l'inerme popolazione di Milano che chiedeva pane e giustizia, e per questo fu assassinato a Monza il 29 luglio 1900, a soli 56 anni, dall'anarchico Gaetano Bresci.

Seconda generazione: il povero Vittorio Emanuele III fu preso per il culo da tutti perchè le gambe non gli erano mai cresciute (era figlio di primi cugini), la spada gli strisciava a terra tanto che dovettero fargliene una più corta e tutti lo chiamavano "Sciaboletta"; come reazione si buttò nella carriera militare e contribuì a trascinare l'Italia nel carnaio della Prima Guerra Mondiale; anziché far sparare sui Fascisti durante la Marcia su Roma, aprì loro le porte e chiamò Mussolini al governo, avallò ogni sua porcata, inclusa la Guerra d'Etiopia e l'ingresso in guerra a fianco di Hitler, firmò le leggi razziali, troppo tardi cercò di liquidare il Duce quando capì che la monarchia era a rischio abolizione e rifiutò di abdicare fino al 9 maggio 1946, morendo in esilio il 28 dicembre 1947.

Terza generazione: Umberto II regnò solo un mese (il "Re di Maggio") e, in seguito al referendum del 2 giugno 1946, il 13 giugno fu costretto all'esilio a Cascais, in Portogallo, dove morì il 18 marzo 1983 senza mai più rivedere il suo paese natale.

E la quarta generazione? Uh-oh... alla quarta generazione non c'è arrivato (da Re, almeno).

Diavolo d'un San Giovanni Bosco...

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Tommaso aggiunge:

Dovrei fare un'Ucronia dove Vittorio Emanuele II si lascia convincere da Don Bosco e campa più a lungo e così la sua dinastia ha miglior fortuna...

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E Lord Wilmore non è da meno:

Questa sarebbe un'ottima ucronia. Ma ci vuole decisamente un V.E. II con una testa diversa (e pensare che suo padre Carlo Alberto era religiosissimo!)

Un'alternativa è la seguente: nel 1939 Umberto (ancora non II) e Maria Josè di Sassonia-Coburgo-Gotha incontrano a San Giovanni Rotondo Padre Pio da Pietrelcina, il quale annuncia loro che annullerà la maledizione di San Giovanni Bosco a patto che Umberto prenda in mano la situazione. L'erede al trono non se lo fa ripetere: affronta il padre e con le buone o con le brusche lo costringe ad abdicare in suo favore; con l'aiuto di Ciano e di altri gerarchi fascisti si sbarazza di Mussolini, mantiene l'Italia neutrale nella WWII (o addirittura alla fine entra in guerra a fianco degli Alleati), e qualche anno dopo abbatte il Fascismo e restaura la democrazia. Il 18 marzo 1983 muore nel suo letto, compianto da tutto il popolo, è sepolto nel Pantheon a Roma, e gli succede un Vittorio Emanuele IV decisamente migliore del nostro perchè preparato fin da giovane ad essere Re. Questi non ha sposato la regina dei biscotti ma la sorella di Re Costantino di Grecia, Sofia di Glücksburg. La consorte gli ha dato l'erede Umberto (III), che pensa a soccorrere le popolazioni afflitte dal terremoto e dal Covid-19 anziché a ballare e a cantare a Sanremo.

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C'è anche la proposta di Never75:

Cosa sarebbe potuto succedere se, appellandosi direttamente all'art XII della nostra Costituzione e alle leggi conseguenti (vedi sotto)* si fosse impedito sul nascere la fondazione del MSI (oltre ad altri partiti inferiori)?

Non ci sarebbe mai stato un partito di estrema destra in Italia che, sia pure con tutti i cambiamenti di nome, ha contraddistinto gli ultimi 20 anni di politica, assumendo anche a un ruolo di protagonista.

All'inizio non avrebbe fatto molta differenza (al limite la DC qualche volta non avrebbe potuto riceverne l'aiuto esterno, ma non cambierebbe molto). La differenza vera la farebbe il post Tangentopoli.

Berlusconi non avrebbe un Fini come alleato e con il solo Bossi (forte solo al Nord, ricordiamo che la Lega Lombarda poi Lega Nord era completamente diversa da quella di oggi) potrebbe anche non farcela a sfondare e il suo progetto di partito-azienda cadrebbe già sul nascere.

Magari a Berlusconi converrebbe di più ricostruire un partito di centro-centro attingendo in larga parte alla stessa DC che potrebbe rifondare lui stesso.

In questo caso potrebbe essere paradossalmente Di Pietro a fondare un nuovo partito di destra (anche per contrastare Berlusconi) ma senza alcun legame con il fascismo. Un partito fortemente conservativo, laico, accentratore (niente poteri alle Regioni) ma anche europeista.

In pratica questa versione di IDV potrebbe avere maggiore successo, attirando anche elettori dei vecchi partiti ormai minoritari (come i repubblicani). Come immaginare le elezioni future?

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Diamo ora la parola ad Alessio Mammarella:

Io ho elaborato un'idea alternativa di seconda parte della Costituzione Italiana. Contempla un sistema bicamerale imperfetto (diversamente dalla discussione di questi giorni, in cui mi sono espresso a favore del mantenimento del bicameralismo perfetto) ma comunque mantenendo l'impianto parlamentare della Repubblica.

Prevede queste idee principali:

- Camera come da ultima riforma (400 deputati) con il numero dei rappresentanti dei cittadini all'estero non predeterminato, bensì da parametrare in base alla popolazione (Camera pensata per una legge elettorale proporzionale, anche se questo in Costituzione non si scrive);

- Senato come camera di "confronto" con 80 senatori "nazionali" (eletti alle politiche insieme ai deputati) 80 senatori "regionali" (eletti alle regionali) e 40 "comunali" (eletti in occasione delle amministrative). Il fatto che i senatori siano eletti in momenti diversi fa si che in pratica il Senato non sia una camera che si insedia e poi decade, ma una camera "permanente" i cui membri sono sottoposti periodicamente a ricambio. Ciò per realizzare la mia idea di una istituzione della continuità.

- Processo legislativo che può essere corto o lungo. Nel primo caso, la Camera dei Deputati fa tutto da sé (come in un sistema monocamerale, i senatori invece non hanno potere di iniziativa legislativa). Il secondo caso si verifica quando il Presidente della Repubblica deferisce la legge al Senato della Repubblica. Insomma è il Presidente della Repubblica che "chiama" il Senato a partecipare al processo legislativo. Può farlo perché obbligato (se la legge rientra in una serie di tipologie "importanti" indicata dalla Costituzione stessa) oppure perché, semplicemente, lo ritiene opportuno (quindi a sua discrezionale valutazione). In ogni caso, la Camera dei Deputati ha l'ultima parola, può approvare la versione finale della legge quando torna dal Senato e in quel caso la promulga è obbligatoria. Pertanto la "navetta parlamentare" può prevedere al massimo tre passaggi (Camera-Senato-Camera).

- Amnistia e indulto possibile con una legge ordinaria (quindi non più necessaria la maggioranza dei 2/3 come oggi) ma con un limite netto: nessuna amnistia o indulto più applicarsi a reati caratterizzati da violenza contro le persone o contro le istituzioni.

- Meccanismo della fiducia rivoluzionato rispetto a quella che conosciamo. Il Governo, nel momento della sua formazione, non ha più bisogno della fiducia espressa, ma il Parlamento (ciascuna delle due Camere) ha comunque diritto di approvare una mozione di sfiducia in ogni momento. Deve trattarsi, tuttavia, di una sfiducia costruttiva: nella mozione deve essere indicato un Presidente del Consiglio alternativo, cui il Presidente della Repubblica deve assegnare l'incarico se la mozione passa. Dal momento in cui la mozione viene approvata alla formazione del nuovo Governo possono trascorrere al massimo trenta giorni... se entro il trentesimo giorno successivo il nuovo governo non si è insediato, il Governo sfiduciato riacquista la pienezza dei propri poteri e quindi l'effetto politico della sfiducia viene annullato. Ho pensato a questo meccanismo non solo per la stabilità data dalla fiducia costruttiva, ma anche perché in questo modo, nel caso di elezioni dall'esito confuso, il Presidente della Repubblica potrebbe formare ugualmente un governo (non serve una maggioranza parlamentare affinché si insedi) e paradossalmente proprio l'avversione a un esecutivo del genere (un "governo del Presidente" come sarebbe stato quello di Cottarelli) potrebbe favorire la formazione di una maggioranza alternativa (per esercitare la sfiducia costruttiva). Ho pensato anche che, non essendo contemplata la fiducia "in positivo" il Governo non potrebbe più usarla (pessima abitudine) per forzare l'approvazione dei propri provvedimenti legislativi (tipicamente la conversione di decreti legge).

- Nomina del Governo che a sua volta prevede delle novità. Ho previsto infatti che il Presidente della Repubblica nomini direttamente il Presidente del Consiglio e alcuni ministri importanti (giustizia, esteri, difesa). Nel testo manca la frase "su proposta di quest'ultimo" (il Presidente del Consiglio incaricato) e ciò perché ho pensato che quei tre ministri potrebbero essere le classiche figure "di garanzia" indipendenti che non sono esponenti politici della maggioranza ma piuttosto uomini di fiducia del Quirinale. Come contrappeso a questo rafforzamento del potere presidenziale (anche se, ovviamente, non è detto che quei tre ministri non debbano essere "politici") il Presidente del Consiglio avrebbe il potere di nominare da sé (e anche revocare) tutti gli altri ministri.

- Pubblica amministrazione con due importanti novità. La prima non so quanto vi piacerà... è la "privatizzazione contrattuale" del pubblico impiego. Messi da una parte diplomatici, militari, poliziotti e magistrati, tutti gli altri dipendenti pubblici (principalmente "impiegati") dovrebbero essere inquadrati con lo stesso tipo di leggi e contratti che riguardano gli altri lavoratori (ciò non toglie che debba restare il concorso come principale metodo di accesso). La seconda novità è che per le categorie che ho menzionato prima (le uniche che resterebbero inquadrate da una disciplina lavoristica di tipo pubblicistico) vigerebbe il divieto di essere iscritti a partiti politici, e l'ineleggibilità a cariche politiche se non è passato almeno un anno dalla cessazione della loro funzione pubblica.

- Autorità di Garanzia e Vigilanza previste nella Costituzione. In quella in vigore non sono previste, visto che sono state teorizzate e previste molti anni dopo. Credo sia importante, tuttavia, che siano considerate. Le ho inserite nell'articolo che nella versione vigente della Costituzione tratta del CNEL.

- Consiglio di Stato, organo un po' tecnico di cui inevitabilmente si parla poco. Ho pensato alla sua trasformazione in organo puramente ausiliario al Governo per la produzione giuridica, non per depotenziarlo ma perché ho poi previsto una riforma della giustizia amministrativa con una nuova entità (che ho chiamato "Corte superiore di giustizia amministrativa" e che chiaramente dovrebbe ereditare la parte "giudicante" del Consiglio di Stato attuale) equivalente in campo amministrativo della Corte di Cassazione.

- Corte dei Conti riformata seguendo la stessa linea dell'organo precedente: mantenute le strutture e le funzioni dedicate al controllo contabile, alla consulenza nei confronti delle pubbliche amministrazioni, alla vigilanza ed eventuale sanzioni in caso di danni erariali; cedute le strutture e le funzioni giudicanti.

- Giustizia amministrativa "promossa" allo stesso rango di quella ordinaria, con un unico tribunale supremo (la "Corte superiore" menzionata prima, che avrebbe alcune sezioni competenti sulla materia amministrativa generale e altre sulle materie inerenti la finanza pubblica) e un Consiglio superiore della magistratura amministrativa. Anche i TAR, per come ho scritto l'articolo, si intuisce che dovrebbero avere sezioni ordinarie (quelle odierne) e sezioni finanziarie (quelle che oggi sono le sezioni regionali della Corte dei Conti). Questa unione tra due giurisdizioni amministrative oggi separate dovrebbe modificare anche la procedura del contenzioso erariale. Mentre oggi la Corte dei Conti ha delle procure, che funzionano come i pubblici ministeri ed esercitano l'accusa in un processo che ricorda quello penale, nel sistema che ho in mente la Corte dei Conti (ciò che ne resta, ossia gli uffici che fanno controllo contabile) dovrebbe erogare direttamente delle sanzioni (come fa l'Agenzia delle Entrate con i contribuenti, per esempio), e il processo partirebbe dal ricorso dell'amministratore pubblico che ha subito la sanzione (che la impugna, esattamente come si impugna un qualsiasi atto amministrativo).

- Riforma del CSM (e medesime impostazioni estese al suo equivalente della magistratura amministrativa) con eliminazione dei membri eletti dal Parlamento e e selezione mediante sorteggio dei membri togati. Senza le correnti (se non c'è elezione non ci sono correnti) e senza membri "laici" gli organi di autogoverno della magistratura dovrebbero essere (finalmente) depoliticizzati.

- Azione penale non più obbligatoria (salvo che per gravi reati indicati dalla legge) ma a discrezione del Pubblico ministero.

- Corte Costituzionale leggermente modificata nella sua composizione. Avendo differenziato le due Camere e dato alla magistratura amministrativa la stessa dignità di quella ordinaria, ho pensato a giudici eletti non in ragione di cinque da parte di tre istituzioni, ma in ragione di tre da parte di cinque (tre dal Presidente della Repubblica, tre dalla Camera e tre dal Senato, tre dai magistrati della cassazione, tre da quelli della corrispondente corte amministrativa.

- Processo di riforma costituzionale adattato alla riforma complessiva del processo legislativo. Prevede sempre il passaggio Camera-Senato-Camera poi se le due Camere votano esattamente lo stesso testo la legge è promulgata senza referendum, se invece il testo votato è diverso (sempre perché la Camera dei Deputati utilizza il suo "diritto all'ultima parola" allora il Presidente della Repubblica è tenuto a indire il referendum costituzionale.

- Regioni... qui molti di voi non saranno contenti perché la mia, seppure a livello dimensionale premia le regioni, a livello di poteri le ridimensiona fortemente. Ho previsto infatti che le regioni abbiano potestà esclusivamente regolamentare. E' comunque previsto che le Regioni possano avere delle circoscrizioni interne (in pratica le vecchie Province) ma che appunto abbiano rilevanza secondaria e non siano quindi organi della Repubblica. Le regioni previste sono 8 (le vedrete nella cartina sottostante)

- Comuni regolati dalle medesime norme odierne ma con la previsione di un limite minimo che non sia solo in termini di popolazione (ma anche di capacità operativa e finanziaria) e non sia solo valido per i nuovi Comuni da istituire, bensì anche per la sussistenza di quelli già attivi. Prevista esplicitamente la possibilità di specificare con legge forme di cooperazione ma anche di fusione tra piccoli Comuni.

Potete scaricare da qui la seconda parte della Costituzione che ho modificato secondo queste impostazioni (in rosso gli articoli e i commi modificati).

Tommaso Mazzoni fa notare:

Sfiducia costruttiva peculiare.

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Al che Alessio aggiunge:

Si, perché ci ho pensato nel periodo in cui in Italia si approntò una maggioranza che aveva numeri ma non senso (il governo "gialloverde") mentre in Spagna si succedevano governi di minoranza che si reggevano sulla "non sfiducia". Ho tratto allora la conclusione che il primo voto di fiducia diventa spesso il motivo per cui bisogna necessariamente sciogliere i parlamenti (e io lo scioglimento non lo amo... ecco che avevo dimenticato di dire, che il Presidente della Repubblica, ha un po' più di potere ma non può sciogliere la Camera dei Deputati).

Chiaramente questo è il caso limite: generalmente ci sarebbe una maggioranza che scaturisce dalle elezioni e un esecutivo conseguente. Ma se c'è la maggioranza il voto di fiducia "in positivo" è superfluo anzi diventa per l'appunto un'arma nelle mani dell'esecutivo per far approvare dei propri provvedimenti su cui gli stessi parlamentari della maggioranza nutrono perplessità.

L'importante, come garanzia democratica, è che ci sia la possibilità di votare la sfiducia. Certo, ne ho previsto una limitazione, ma solo per evitare le situazioni di incertezza, di palude... in ogni caso i partiti che votano la sfiducia un po' di tempo per organizzarsi ce l'hanno... poi se passa troppo tempo prevale la logica della stabilità, l'esigenza che il paese abbia un esecutivo funzionante.

Personalmente credo che con un sistema del genere ci si potrebbe anche permettere di andare a votare con un proporzionale puro...

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E ora, l'ucronia tradotta per noi da Generalissimus:

E se la Germania fosse stata divisa diversamente dopo la Seconda Guerra Mondiale?

La Germania è stata divisa per gran parte della sua storia, dal 13° secolo fino al 1871 la Germania fu un arazzo frammentato di stati che battibeccavano fra loro.
Le nazioni che circondavano la Germania spesso favorirono questo stato di cose, distruggendo qualsiasi stato che mostrasse il potenziale per unificare il paese, questo perché la Germania unita avrebbe dominato l’Europa, e il tentativo di fare ciò era la contesa preponderante di inizio 20° secolo.
In termini reali, nel nostro mondo il genio tedesco non è mai stato rimesso nella lampada, nel 21° secolo la Germania unita domina ancora il continente europeo, anche se in maniera pacifica, ma questo non doveva necessariamente accadere: Franklin Delano Roosevelt, il Presidente degli Stati Uniti, durante la Seconda Guerra Mondiale voleva riportare la Germania a come era prima del 1871 dividendola in una serie di piccoli stati.
Questo non accadde, ma se avvenisse? E se la Germania fosse davvero divisa in sei stati diversi dopo la Seconda Guerra Mondiale? Come avrebbe influenzato i confini, la cultura e simili oggi? Questa è la domanda di questa ucronia.

È piuttosto facile far iniziare questa ucronia, semplicemente avviene un cambiamento nei negoziati fra le potenze Alleate che afferma che la Germania dovrebbe essere divisa ulteriormente, forse le notizie dell’olocausto arrivano prima al pubblico generale, perciò c’è più pressione da parte del pubblico perché la Germania venga punita per le sue azioni, non conta molto.
Quando si guarda al piano di Roosevelt per dividere la Germania il tutto si riduce di fatto al ridisegnare i confini delle precedenti divisioni ducali all’interno della Germania di luoghi come la Baviera, l’Hannover, la Prussia o l’Austria.
Una delle sicurezze principali di questa divisione della Germania è che verrà divisa de facto tra le sfere d’influenza statunitense e russa.
Realisticamente, gli eserciti di entrambi verranno parcheggiati sul suolo tedesco militarmente occupato, e vedranno l’avversario come una minaccia per la loro intera civiltà, e pertanto non saranno disposti a cedere di un centimetro.
Anche se in teoria questa Germania potrà essere chiamata Sassonia, Assia e simili, in termini reali sarà divisa tra un settore statunitense e uno russo, questa sarà la realtà prevalente in questa situazione.
I Sovietici adoreranno la divisione della Germania, perché gli permetterà di controllarla più efficacemente e utilizzare il divide et impera.
Una cosa importante da considerare qui è che il confine occidentale della Polonia non verrà mai spostato ad ovest sul fiume Oder.
Nella nostra TL i Russi volevano poco più di uno stato cuscinetto, perciò si presero il terzo orientale della Polonia, cosa che compensarono dando ai Polacchi una porzione significativa della Germania orientale.
Questo risultò nel trasferimento di milioni di persone centinaia di chilometri ad ovest per adattarsi ai nuovi confini, fossero esse polacche, ucraine, russe o tedesche.
Nel piano di Roosevelt la Russia si prende comunque la Polonia orientale, ma i Tedeschi mantengono la Germania orientale.
Questo in realtà renderà la Germania Est più potente rispetto alla Germania Ovest di quanto non fu nel nostro mondo, ma sarà anche uno scandalo in termini di pubbliche relazioni per l’Unione Sovietica, che praticamente ha stuprato un’altra volta la Polonia sebbene i Polacchi abbiano combattuto dalla sua parte durante la Seconda Guerra Mondiale.
Comunque sia non tergiversiamo, stiamo parlando della Russia Stalinista, perciò le pubbliche relazioni non contano affatto.
Parte dell’area che la Polonia inglobò, ovvero la Slesia, era una delle parti più industrializzate e storicamente centrali della nazione tedesca.
Sarebbe l’equivalente del vedere il Texas inglobato dal Messico con conseguente espulsione di tutti gli Statunitensi etnici.
L’Unione Sovietica governava come un impero tradizionale, ed era un mezzo per il gruppo etnico dominante, quello dei Russi, di ricavare risorse dalle provincie e mantenervi l’imperialismo culturale, cosa che abbiamo visto nella politica sovietica in Germania, che coinvolse la deindustrializzazione e alcune delle repressioni politiche più attive mai viste nella storia.
Gli Stati Uniti invece erano un impero basato sulla corruzione e sulle concessioni, così da costruire una coalizione ben disposta nei loro confronti.
Gli Stati Uniti investirono grandissime quantità di risorse nei paesi conquistati, gli concessero accordi commerciali preferenziali e gli permisero l’indipendenza politica.
La parte statunitense della Germania, nel frattempo, sarà terrorizzata dai Sovietici, il che ci porta al problema principale di questa ucronia, ovvero che il motivo per cui gli USA non sostennero politiche che indebolirono, impoverirono o divisero la Germania è che i Sovietici avevano una superiorità numerica di 3:1, perciò gli Americani volevano ottenere il più possibile dai loro alleati europei, così che non perdessero la Terza Guerra Mondiale.
Alla fine potremmo assistere alla creazione di una sorta di unione o confederazione tedesca, considerato che tra Sacro Romano Impero e Confederazione del Reno l’unione tedesca è stata una costante.
Inoltre l’era successiva alla Seconda Guerra Mondiale è stata un’era di organizzazioni multinazionali, che si trattasse di Nazioni Unite, Unione Europea e simili.
Una federazione tedesca organizzata dagli Statunitensi si formerà con capitale, diciamo, Bonn.
Allo stesso modo, se gli USA saranno abbastanza preoccupati dalle forze armate tedesche da dividere in sei la Germania, probabilmente non permetteranno un comando militare centralizzato tedesco, che cercheranno di assorbire nella più ampia organizzazione della NATO sotto il comando statunitense.
La creazione di questi gruppi regionali risulterà in una promozione delle identità locali, per mezzo delle quali le nazioni proveranno a creare coesione sociale incentivando la cultura bavarese, assiana o di altro tipo.
Questo mi ricorda un po’ il Canada, che è un paese che culturalmente non ha alcun diritto di esistere e trova continuamente piccoli motivi per creare un’identità nazionale, come il sistema sanitario nazionalizzato, la poutine e l’hockey.
L’influenza principale all’interno dell’Europa proveniente da questa Germania divisa sarà rendere la Francia significativamente più potente.
Di fatto vedremo un ritorno al mondo del 18° secolo, nel quale una Germania divisa permise alla Francia di diventare la nazione più potente dell’Europa peninsulare.
La Francia utilizzerà l’indebolimento della Germania per creare una sfera d’influenza in Italia, nel Benelux e negli stati della Renania in Germania.
Gli Stati Uniti agiranno per mezzo della Francia per mantenere il loro controllo sull’Europa, e questo significa che l’Unione Europea non esisterà mai.
L’Unione Europea è stata costituita fondamentalmente sull’alleanza tra Francia e Germania, che crearono una coalizione così bizzarra da riuscire a disarmare il resto dell’Europa.
Questo perché, come in tutta la storia europea, se un singolo paese diventava troppo potente all’interno dell’Europa, l’intero continente faceva squadra contro di lui così che non diventasse così forte da promuovere solo i suoi interessi.
Gli Inglesi saranno furiosi per il fatto che i Francesi sono così potenti, perciò proveranno a costruire una coalizione contro i Francesi con Scandinavia e Germania settentrionale che includerà forse paesi dell’Europa meridionale.
Questo significa che in questa TL non si formerà mai un’Europa unita.
Un’importante effetto dell’Unione Europea fu permettere agli stati periferici dell’Europa come la Spagna e l’Irlanda di ottenere grandi mercati e istituzioni stabili che gli resero possibile diventare ricchi paesi del Primo Mondo, in un continente diviso tra una sfera d’influenza francese e tutto il resto questo non sarebbe successo.
L’Irlanda probabilmente diventerà comunque ricca per via del fatto che fa parte dell’anglosfera e dell’influenza statunitense, ma l’Europa mediterranea e paesi come Spagna, Portogallo e Italia saranno molto più poveri.
In questo mondo l’Unione Sovietica cadrà comunque a causa del grado maggiore di incompetenza rispetto agli Stati Uniti.
In seguito, con una minore concentrazione di capitale tedesco, i Tedeschi non saranno il centro dell’influenza economica e degli investimenti in Europa orientale che sono stati nella nostra TL.
I paesi dell’Europa orientale come la Polonia e gli Stati Baltici avranno comunque una grande crescita economica, perché avranno delle buone basi come una forza lavoro specializzata e istituzioni capaci, ma probabilmente vedranno diverse dure ondate di recessione e crolli economici, con un progresso complessivo più lento.
Allo stesso modo, senza l’Unione Europea la Polonia, con l’appoggio degli Stati Uniti, diventerà il cardine principale della difesa antirussa, e costruirà un sistema economico e militare tra le ex nazioni del Patto di Varsavia.
È inevitabile che col passare dei decenni la Germania si pacificherà, i Russi smetteranno di essere una minaccia e la federazione tedesca diventerà sempre più una vera organizzazione.
Nella nuova Europa in cui la guerra non è più una minaccia e non c’è più bisogno di una Germania divisa, non c’è motivo per cui la Germania non diventi più unita in termini reali.
Nel complesso questa Europa è un posto strano, è molto più simile a come è stata l’Europa per tutta la sua storia, con molti diversi blocchi di potere e divisa tra sfera d’influenza inglese, francese e polacca.

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C'è spazio anche per la proposta di Dario Carcano:

Preußische Demokratische Republik

Nel 1945, alla conferenza di Potsdam, i tre leader alleati, Churchill, Truman e Stalin, discussero sull’assetto della nuova Germania. Alla fine prevalse l’opzione favorevole ad una versione attenuata del piano Morgenthau, i cui punti principali erano:

> Essendo una Germania unita una minaccia per la pace nel continente europeo, essa sarebbe stata provvisoriamente divisa in tre zone di occupazione, una americana, una anglo-francese ed una sovietica, allo scopo di preparare la creazione di tre stati tedeschi:

> I nuovi stati tedeschi sarebbero stati neutrali e demilitarizzati (questa clausola decadde subito, visto il clima di diffidenza reciproca innescato dalla Guerra fredda);

> La Prussia orientale sarebbe stata divisa tra Polonia e URSS (distretto di Königsberg, ribattezzata Kaliningrad), Memel sarebbe stata annessa alla Lituania, Danzica e l’Alta Slesia sarebbero state annesse alla Polonia

> La città di Berlino sarebbe stata divisa in tre settori di occupazione, ognuno occupato da una delle tre potenze vincitrici, in attesa della sua restituzione alla Prussia;

> la Polonia sarebbe stata ricostruita nei suoi confini prebellici, a parte il voivodato di Wilno che sarebbe stato annesso all’Unione sovietica;

> Si sarebbe tenuto un referendum per stabilire il destino della Lituania: i Lituani avrebbero potuto scegliere democraticamente se essere annessi all’Unione sovietica o meno; se volevano essere annessi all’URSS dovevano votare Sì, in caso contrario dovevano votare Sì perché… a me non importa, ma i sovietici armati fino ai denti che occupano il paese può darsi che si offendono.

> Furono anche stabilite delle limitazioni economiche mirate a demolire l’industria tedesca, ma a causa del clima della guerra fredda, di fatto sarebbero rimaste lettera morta.

Il 1° gennaio 1950, contestualmente alla fine dell’occupazione militare e alla nascita della Repubblica Federale Renana e del Regno Unito di Baviera e Austria, nacque la Repubblica Democratica Prussiana; fin dalle elezioni regionali del 1946, essa era dominata dal SEP (Sozialistische Einheitspartei Preußens), nato dalla fusione tra le sezioni locali dell’SPD e del KPD, facendo dunque cadere quasi subito la neutralità del nuovo stato prussiano stabilita a Postdam. Primo segretario del SEP fu il comunista Walter Ulbricht, che allineò il partito al marxismo-leninismo. Il SEP controllava il Fronte Nazionale, una coalizione che raggruppava tutti i partiti e le organizzazioni politiche esistenti nel paese, preservando, almeno nell’apparenza, il pluralismo politico. La costituzione del 1950 formalmente instaurò una repubblica democratica e creò il Volkstag, investito della funzione legislativa. Il SEP controllava il Consiglio dei ministri e ridusse la funzione legislativa del Volkstag, le cui elezioni erano basate su una scheda congiunta preparata dal Fronte nazionale: i votanti potevano solo registrare la loro approvazione o il loro rifiuto, e per registrare il proprio rifiuto dovevano recarsi a votare in una cabina separata.

Da un punto di vista culturale, la PDR si considerava l’erede dello Stato Prussiano, contrariamente alla RBR, che invece si considerava continuazione dello Stato unitario tedesco (informalmente, la Repubblica Federale Renana veniva chiamata semplicemente Germania). Pertanto il nuovo stato prussiano avviò una massiccia opera volta alla ricostruzione dei simboli della Prussia: il Berliner Schloss, danneggiato dalla guerra, fu ricostruito e divenne sede del Consiglio dei Ministri; le spoglie di Federico il Grande e Federico Guglielmo I tornarono nella cripta della ricostruita Garnisonkirche di Potsdam; la Neue Wache fu riaperta come monumento alle vittime del Nazismo; l’ordine Pour le Mérite fu restaurato come più alta onorificenza militare della PDR e seconda più alta onorificenza civile (era preceduto dall’ordine di Karl Marx); soprattutto, la Nationale Volksarmee – il ricostituito esercito prussiano – recuperò, per quanto possibile, molte tradizioni dell’esercito prussiano.

Stalin morì nel marzo 1953. A giugno il SEP, per dare ai lavoratori un migliore standard di vita, annunciò il "nuovo corso", che si basava sulla politica economica iniziata in URSS da Georgi Malenkov, focalizzata su forti investimenti nell'industria leggera e nel commercio e sulla maggiore disponibilità di beni di consumo. Inoltre il SEP iniziò un programma per alleviare le privazioni economiche che portarono alla diminuzione delle tasse, la disponibilità di prestiti statali alle imprese private, e a un incremento nell'allocazione della produzione di beni materiali. Se il Nuovo Corso incrementò le merci di largo consumo accessibili ai lavoratori, tuttavia le quote di lavoro restavano alte. L'aumento di queste, avvenuto nel 1953, provocò una serie di sommosse da parte dei lavoratori, i quali chiedevano riforme economiche. Il governo si rivolse all'Unione Sovietica, che assieme alla Volkspolizei represse nel sangue i moti operai.

La destalinizzazione nel 1956 sembrò aprire uno spiraglio ad una maggiore democrazia sia nello stato prussiano che all’interno del SEP, ma gli intellettuali che si fecero promotori delle riforme furono espulsi dal partito e imprigionati.

La segreteria di Ulbricht durò fino al 1971, quando su pressione di Brèžnev si dimise lasciando il posto a Erich Honecker. Egli cercò di perseguire una politica economica che aumentasse la disponibilità di beni di consumo da parte dei cittadini prussiani, che fu coronata da parziale successo; tuttavia, nel corso degli anni ’80, l’opposizione di Honecker alle riforme in senso democratico del nuovo leader dell’URSS Michail Gorbačëv rese sempre più precaria la sua posizione alla guida della Prussia. Nell’ottobre 1989, le manifestazioni pro-democrazia e le sue precarie condizioni di salute spinsero Honecker alle dimissioni.

Fu succeduto da Egon Krenz, che dopo molte esitazioni indisse le prime elezioni libere della Prussia, che si tennero il 18 marzo 1990.

Le elezioni del 1990 videro la vittoria dell’Unione Cristiano Democratica, guidata da Lothar de Maizière, che avviò il passaggio dall’economia socialista di stampo sovietico ad un economia di mercato. Ci fu da parte del cancelliere della Repubblica Renana la proposta di creare una Confederazione Tedesca che unisse Renania, Prussia e Austria-Baviera, ma l’opposizione degli altri paesi europei, in particolare del Primo ministro britannico Margareth Thatcher e del Presidente del Consiglio italiano Giulio Andreotti, fece naufragare quest’idea.

Sotto la guida di Lothar de Maizière la Prussia approvò una nuova costituzione, e avviò il processo che il 1° maggio 2004 l’avrebbe portata a entrare nell’Unione Europea; nel 2000 i cristiano-democratici vengono sconfitti alle elezioni dai socialdemocratici guidati da Markus Meckel, che porterà avanti il processo di integrazione europea con l’adesione allo spazio di Schengen; tuttavia la Prussia non ha aderito all’euro, mantenendo il proprio Marco.

Nel 2010 tornano al governo i cristiano-democratici, con Angela Merkel che diventa cancelliera (la prima donna nella storia della Prussia), ma solo cinque anni dopo, in seguito alla crisi europea dei migranti, le elezioni sono vinte dal partito Freies Preußen, movimento euroscettico e anti-immigrazione guidato da Alexander Gauland.

Con Gauland cancelliere la Prussia si avvicina agli altri paesi della UE guidati da movimenti euroscettici parte del gruppo di Visegrád; le opposizioni, tra cui gli ex cancellieri de Maizière e Meckel denunciano che dalla sua elezione alla cancelleria Gauland ha iniziato a demolire lo Stato democratico.

Quando scoppierà l'emergenza Covid-19 Gauland chiederà pieni poteri, governando de facto da autocrate.

Dario Carcano

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Chiudiamo per ora con quanto ci ha inviato Lord Wilmore:

Aquile Randagie

Il solstizio d'inverno è la notte più buia e lunga dell'anno, un lungo tramonto dove pare che il buio abbia vinto per sempre. Un'antica leggenda narra che fu proprio in questa notte che il santo cavaliere sconfisse il drago, ed è in una notte come questa che è ambientata la storia narrata in "AQUILE RANDAGIE - credere disobbedire resistere", storia vera, avvenuta in una lunga notte dell'umanità dove le tenebre sembravano vincere e dove i cavalieri lottavano contro il drago perché la luce tornasse al mondo.

Il 9 aprile 1928 Mussolini firma il decreto 696 di modifica alla legge sull'Opera Nazionale Balilla e dichiara la soppressione totale dello Scoutismo in Italia. A Milano, una manciata di giovani scout decide di disobbedire ad una legge che sente ingiusta e inizia un lungo periodo di attività clandestina, una vera e propria resistenza giovanile. L'avventura, non priva di rischi e lunga 17 anni, porterà il gruppo a mantenere accesa la fiamma dello scoutismo in Italia fino alla Liberazione, e li farà diventare giovani uomini di pace: dopo l'8 settembre 1943 diventeranno promotori di un gruppo di soccorso per i ricercati ebrei, prigionieri politici e renitenti alla leva che, sotto il nome di OSCAR, salverà migliaia di persone dalle grinfie del drago del Nazifascismo.

Una storia vera, una storia semplice e coinvolgente, una storia di ragazzi che quando tutto sembrava perduto hanno deciso di non abbassare la testa di fronte al drago e ai suoi artigli. In tempi recenti è divenuta una rappresentazione teatrale. Eccone la locandina:

"AQUILE RANDAGIE
credere obbedire resistere"
di e con Alex Cendron
regia di Massimiliano Cividati
musiche di Paolo Coletta
realizzazioni scenografiche F.d.B
produzioneArca Azzurra

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Se volete contribuire alle discussioni in corso, scriveteci a questo indirizzo.


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