ovvero: Dante Alighieri nel XXXIII secolo!
dedicata a Bhrghowidhon
Canti: I - II - III - IV - V - VI - VII - VIII - IX - X - XI - XII - XIII - XIV - XV - XVI - XVII - XVIII - XIX - XX - XXI - XXII - XXIII - XXIV - XXV - XXVI - XXVII - XXVIII - XXIX - XXX - XXXI - XXXII - XXXIII - XXXIV
Nota: questo è un racconto di fantasia e non implica nessun giudizio morale sui personaggi storici in esso nominati. Le citazioni dalla "Divina Commedia" sono state spesso modificate per adattarsi al testo di sapore fantascientifico che intendono introdurre. Il mio lavoro non vuole violare alcun copyright: tutti i personaggi qui descritti e ritratti sono marchi registrati di proprietà dei rispettivi autori.
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Canto I
el
mezzo del cammin di nostra vita
mi persi in una nebulosa oscura,
ché la Via Lattea io avea smarrita.
Ah, quant'è duro per me descrivervi com'era quella nebulosa: un mare di puro buio, un'immensa nube di materia oscura senza neppure l'ombra di un fotone né di un gravitone; solo a ripensarci, io, il prode capitano Dante Alighieri, reduce di tante battaglie nel braccio di Perseo della Via Lattea, sento di nuovo la paura che mi attanaglia ogni membro!
Ero certo che sarei morto là dentro, senza riuscire mai a ritrovare la strada per uscirne, poiché in qualunque direzione dirigevo la mia astronave, la "Beatrice", pur proseguendo lungo quella che a me pareva una traiettoria rettilinea, finivo sempre per ritrovarmi al punto di partenza.
Non so neppure descrivervi bene come vi sono entrato. Tornavo da Tau Ceti IV, dove avevo compiuto un'ambasceria per conto del governo terrestre, ed ormai la boa iperspaziale che segnalava il confine del Sistema Solare era nel raggio dei miei sensori: credo di aver innestato il pilota automatico e di essermi addormentato durante l'ultimo balzo iperspaziale, tanto quella manovra era ormai di routine. Ridestatomi, mi accorsi di essere capitato in quella specie di trappola cosmica senza più riuscire ad uscirne.
Alla fine, quando ormai avevo perso le speranze, vidi sul radar un oggetto non identificato che puntava verso di me. In quel gorgo spaziale dunque c'era almeno un'altra astronave! Mi rincuorai e mossi in quella direzione. Ma quale fu la mia sorpresa quando mi resi conto che si trattava di una pericolosissima mina ad antimateria, irta di antenne ed attirata da qualunque struttura metallica, quale era appunto la mia nave!
"Deve essere un residuato della Guerra tra il Capitano Benjamin Sisko e il Dominio", mormorai tra me e me, ricoprendomi di sudore ghiacciato. "È stata attirata anch'essa dentro la nebulosa, e sembra che fosse qui ad aspettare solo il mio arrivo! Meglio portarsi fuori della sua portata, altrimenti il frammento più grosso superstite della mia nave non supererà il millimetro cubo di volume!"
Mentre però manovravo per allontanarmi il più possibile da quel gingillo, me ne vidi arrivare contro un'altra ancora più grossa, proveniente dalla direzione opposta! Non feci neppure in tempo a spaventarmi, perchè ne vidi arrivare una terza, che sembrava affamata solo di trovare un'astronave da ridurre in atomi. In breve mi trovai circondato dalle tre mine ad antimateria, che ronzavano pericolosamente intorno a me come calabroni azzurri di Sigma Pictoris II, affamati di sangue umano.
"Sono morto", pensai. Proprio in quel momento, in cui stavo lasciandomi prendere dallo sconforto, sul mio radar apparve un quarto puntino luminoso. "Un'altra?" esclamai, senza neppure più riuscire a stupirmi. "Doveva essere scritto, che la mia avventurosa carriera avesse fine dentro questa dannata nebulosa... Ehi, ma... è troppo grossa per essere una mina, ed ha una forma davvero insolita per un ordigno spaziale!"
Mi bastò un rapido controllo per verificare che la nuova nave spaziale non era di alcun tipo conosciuto, non rientrando nel database della flotta stellare. Che si trattasse di un vascello pirata? In questo caso, non avrei dovuto più preoccuparmi delle mine, perchè sarebbero stati loro, con i loro metodi spicci, a togliermi dalla circolazione. Attivai lo schermo deflettore e diedi piena potenza ai cannoni ionici, quando attraverso il comunicatore mi giunse una voce quanto mai strana, una voce che mi sembrava fioca dopo un silenzio prolungatissimo:
"Abbassa le armi e disattiva gli scudi, Dante. Contro di me non hanno più alcun effetto, ormai."
"Tu mi conosci?" domandai sempre più incredulo. "Ma sei uomo o alieno?"
"Né l'uno né l'altro, Sono stato un uomo, molto tempo fa, agli albori dell'era spaziale. Io vissi al tempo del buon Wernher Von Braun, il pioniere dell'astronautica, quando ancora gli uomini credevano che avrebbero trascorso tutta la loro storia sul pianeta Terra. Io stesso fui un pioniere, perchè sono annoverato tra i primi dieci uomini che lasciarono la superficie terrestre per avventurarsi nello spazio cosmico; persi la vita su di un'astronave, anche se per ironia della sorte essa era ferma sulla rampa di lancio."
Io sentii rizzarmi ogni pelo del corpo, ma divenni bianco come la stella Betelgeuse quando ebbi il contatto visivo con l'astronave del mio interlocutore, e vidi che non era una nave iperspaziale del nostro XXXIII secolo, bensì un missile bianco e nero che sembrava uscito poco prima dal Museo dell'Astronautica di Nuova Washington, e che sulla fiancata recava la scritta « Mercury-Redstone 4 ».
"Chi sei?" domandai, come se davanti a me avessi una cavalletta carnivora gigante di Sigma Orionis III.
"Il mio nome era Virgil Grissom."
"Ma non è possibile! Ho studiato le tue missioni, tu sei morto da 1300 anni!"
"Da 1333 anni, per la precisione. Restai ucciso, insieme ai miei colleghi Ed White e Roger Chaffee, in seguito a un incendio durante una simulazione a bordo dell'Apollo 1 il 27 gennaio 1967."
"Ed allora com'è possibile che ora io ti incontri in carne ed ossa?"
"Non ho né carne né ossa, Dante."
Ebbi finalmente l'immagine del mio interlocutore e vidi un viso giovane e sorridente, seminascosto da un casco assolutamente ingombrante, del modello usato agli albori dell'esplorazione spaziale umana. Sulle spalline della tuta egli aveva cucita la bandiera degli Stati Uniti d'America, uno stato che non esisteva più da quasi 900 anni. "Non mi sembri trasparente", gli dissi io, simulando un coraggio che non avevo.
"Quello che tu vedi è il mio corpo fluido. L'essere umano non è formato solo da corpo e anima, ma da corpo solido, anima e corpo fluido. Quando il corpo solido muore, l'anima si stacca da esso e, affinché possa avere dimora nei Regni dell'Oltretomba, l'Onnipossente le crea attorno un corpo fluido in apparenza simile a quello solido, ma fatto di plasma e non di carne. Questo corpo fluido voi lo chiamate « fantasma »."
"Allora tu... tu sei uno spettro!"
"Qualche codardo sulla Terra potrebbe definirmi così. Imparerai però che questo nuovo corpo è più concreto di quanto credi."
"Questa conversazione è particolarmente interessante", mentii io, pur sapendo di non essere molto convincente, "ma rischia di essere troncata di netto appena una sola delle tre mine ad antimateria che mi ronzano attorno sfiorerà il metallo del mio scafo. Ah, ora ho capito, stupido che sono: tu conti di continuare questa chiacchierata non appena sarò diventato uno spettro anch'io!"
"Dante, io sono qui proprio per evitarti una brutta fine! Guardati un po' intorno..."
Incerto, osservai lo schermo che mi dava la visuale di prua, e poi quella di poppa, e potete immaginare come ci rimasi, quando mi accorsi che fuori dalla mia nave c'era solo il vecchissimo missile di Grissom, e che le tre bombe erano sparite, letteralmente inghiottite dall'oscurità che ci circondava!
"Ma... come hai fatto a...?" domandai, tanto incredulo da non riuscire neanche a terminare la domanda. L'antico astronauta sorrise del mio stupore, e spiegò:
"Amico mio, ti ho detto che sono qui proprio per ricondurti a casa sano e salvo. Pensi forse che possa farti da guida e allontanare da te tutte le minacce del Nemico, se non sono capace neppure di eliminare tre minacciosi suoi inviati che egli ti ha spedito contro? Aspettami, arrivo da te, così parleremo a quattr'occhi della salvezza e del tuo corpo e della tua anima." Ciò detto, interruppe la comunicazione, senza curarsi del fatto che io avrei voluto subito delle altre risposte.
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Canto II
« Io cominciai:
"Poeta che mi guidi,
guarda la mia astronave s'è possente,
prima ch'a l'alto passo tu mi fidi..." »
(Inf.
II, 10-12)
Guardando nel visore di prua, io lo vidi aprire il portellone della sua nave stellare, che io cominciai a sospettare essere il fantasma dell'omonima navicella del XX secolo, attraversare agilmente lo spazio vuoto che la separava dalla mia, ed a questo punto io gli apersi il portellone della camera stagna, atterrito all'idea di vederlo attraversare lo scafo della mia astronave come una radiazione gamma. Dopo poco egli entrò nella cabina di pilotaggio, mi si sedette accanto, mi pose una mano sulla spalla, ed io avvertii la pressione di una normale mano umana guantata, cosa che mi rassicurò non poco l'animo.
"Ti sei reso conto che non sono solo un gioco di luce distorta dall'orizzonte degli eventi dentro il quale ci troviamo?" mi domandò ex abrupto, senza cessare di sorridermi.
"Orizzonte degli eventi?" replicai io, meravigliato. "Oh, allora vuoi dire che..."
"Sì. Questa non è una semplice nebulosa oscura come tu credevi. Ci troviamo all'interno di un buco nero."
"Ma il buco nero antisolare non esiste, è solo una leggenda!"
Il mio interlocutore si tolse il casco e scosse il capo come fa un maestro con un discepolo che non ne vuole proprio sapere di imparare una lezione. "Anche l'immortalità dell'anima per tantissima gente è solo una leggenda. Ora però con questa leggenda tu stai conversando da pari a pari. E nella leggenda del buco nero antisolare ora ci sei dentro con tutta la nave."
"Vuoi dire che davvero il Sole aveva una compagna?"
"Sì, cinque miliardi di anni fa esisteva una stella sei volte più massiccia del Sole ma più fioca, chiamata Nemesi. Brillò solo per dieci milioni di anni, periodo di tempo che corrisponde alla vita media normale di una stella di tale massa. Poi esplose e rilasciò gli strati esterni, ricchi di elementi pesanti prodotti dalle sue reazioni nucleari. Questi elementi ricaddero sul Sole in formazione e diedero vita ai pianeti."
"La creazione del mondo e degli uomini", soggiunsi io.
"Sì. Dal canto suo, il nucleo furiosamente ardente della stella Nemesi precipitò su se stesso e si trasformò in un buco nero, cessando praticamente di esistere e divenendo l'opposto speculare del Sole: quello è luminoso e dà la vita, questo è tenebroso e procura la morte."
"La caduta degli angeli", aggiunsi io con un brivido.
"Precisamente. Per questo i pianeti sono una commistione inestricabile di bene e di male, di paradiso e inferno. In ogni caso, questo buco nero attende nell'ombra da cinque miliardi di anni, a un anno luce di distanza dal Sole, che molti incauti viaggiatori dello spazio ci mettano un piede dentro durante il loro ultimo balzo iperspaziale, sparendo letteralmente dall'universo."
"Come è successo a me! E tutto perchè mi sono appisolato e non ho tenuto d'occhio il gravitometro, che mi avrebbe avvisato in tempo del pericolo! Oh, te ne prego, Virgil, nobile eroe dello spazio, salvami da esso come mi hai salvato dalle tre mine ad antimateria, affinché possa ritornare alla natia Firenze!"
"Sono qui per questo, Dante. Ma tu chiamami Gus, come facevano i miei amici di un tempo."
"Per questo? Diavolo, come hai fatto a sapere che c'ero finito dentro?"
"Me lo ha detto Beatrice."
"Beatrice? La MIA Beatrice? La fanciulla della colonia su Epsilon Indi I di cui mi sono innamorato quando ero un cadetto?"
"Proprio lei. Mi apparve dove mi trovavo e mi disse con voce suadente: « O anima gentile dell'Indiana, recati dentro il buco nero antisolare in cui il mio amato è precipitato per sua imperizia. Non lasciarlo là dentro a morire come accadde a te tredici secoli fa, su quella rampa di lancio di Cape Canaveral, ed io te ne sarò eternamente grata. » I suoi occhi brillavano come Castore e Polluce, i due splendidi astri della Costellazione dei Gemelli, ed io non avrei potuto resisterle e dirle di no neppure se mi avesse chiesto di andare a prenderle il più glorioso quasar che splende sul bordo estremo del nostro universo."
Come i fiorellini fosforescenti di Alfa Camelopardalis V, ibernati sotto una cappa di atmosfera congelata al termine della lunga notte polare del loro pianeta, ritornano alla vita appena l'astro sorge in tutto il suo fulgore e sconfigge le tenebre secolari, così anche la mia anima disperata si risollevò, all'udire che la ragazza da me amata nell'adolescenza, e morta durante un attacco di predoni dello spazio alla sua colonia spaziale quando aveva solo 18 anni, si ricordava di me anche nell'Altro Mondo, al punto da convincere uno dei monumenti dell'astronautica a venire a salvarmi. Gli dissi allora:
"Mostrami dunque la via per uscire dall'orizzonte degli eventi, Gus. Come si fa?"
"Non si può."
"Come no? Se tu ne sei entrato, ne potrai anche uscire, no?"
"Ti ricordo, Dante, che il mio è un corpo fluido. Su di esso la gravità quantistica non ha effetti. Sul tuo corpo solido sì. Se provassi a viaggiare all'infinito, tenendo fisso il timone sempre nella stessa direzione, ti ritroveresti comunque al punto di partenza, perchè lo spazio-tempo-energia qui dentro è distorto al punto tale che l'infinito si contrae in un punto solo."
Ricordai le lezioni di gravitodimamica all'Accademia Astrale, e conclusi che Virgil aveva ragione. "E allora come farai a tirarmi fuori di qui?"
"Da un buco nero si può uscire in un modo solo. Ricordi la Grotta delle Ninfe cantata da Omero nell'Odissea? Aveva due porte, una per gli uomini, una per gli déi."
"Ero un drago in letteratura antica, ai tempi del Liceo. Ma che c'entra?"
"C'entra eccome. E' una metafora del buco nero. Gli uomini hanno una sola porta per entrare, ma nessuna per uscire. Possono uscire solo se cessano di essere uomini e diventano puri spiriti."
"Cioè se muoiono."
"Esatto. E se muoiono, vanno nei Regni dell'Oltre Tomba, da cui io provengo."
"Tu mi stai dicendo..."
"Che puoi uscire da qui solo attraversando l'Altro Mondo. Certo. Lo fecero già Ulisse, Enea e San Paolo, « il Vas d'Elezione ». Perchè non puoi farlo anche tu?"
"Maledizione, Gus, perchè io non sono né Ulisse, né Enea, né San Paolo. Sono solo un capitano di nave stellare ed un esobiologo, non un eroe leggendario o un santo. Loro avevano una missione universale da portare avanti, io no!"
Il mio illustre interlocutore mi scrutò con occhi severi. "Stai mettendo limiti alla Provvidenza? Chi ti dice che tu non l'abbia? Chi ti dice che il Re dell'Universo non voglia che tu attraversi i regni oltremondani per portarne testimonianza agli uomini del Quarto Millennio, che sembrano averli dimenticati?"
Tacqui, non sapendo cosa rispondergli. Egli però si dovette accorgere della mia contrizione, perchè spianò lo sguardo corrucciato e riprese:
"Se vuoi uscire da questo buco nero selvaggio, non c'è altra possibilità che lasciare lo spazio, il tempo e l'energia per inoltrarti con me nell'Eternità. Udrai le strida disperati degli antichi spiriti dolenti, che piangono la loro Seconda Morte. Vedrai coloro che sono felici di stare tra le fiamme, perchè sperano attraverso di esse di raggiungere il luogo della somma beatitudine. Se poi vorrai scendere fino a quest'ultima, un'altra sarà più degna di me di accompagnarti. Felice chi abita laggiù per l'eternità!"
E io a lui: "Affinché io fugga finalmente da questo posto, te ne prego, conducimi fin sulla Porta dell'Inferno, così che io veda coloro che tu mi descrivi dolenti per tutti i secoli. Infatti puoi farlo, tu che fosti tra i primi a solcare i cammini dello spazio: tu guida, tu signore, tu maestro!"
Gus mi sorrise, si rimise il casco, mi invitò a prendere il mio e ad infilarmelo, quindi pasammo attraverso la camera stagna e lasciammo la mia nave per trasferirci sulla sua. Era davvero piccola e scomoda: mi venne in mente che quelle prime navicelle spaziali non erano decisamente dei luoghi adatti per claustrofobici. Ma non ci fu tempo per pensare alle scomodità del viaggio: la meta infatti era talmente ardua e lontana, da farmi tremare le vene e i polsi come se già mi vedessi davanti tre fiere infernali a sbarrarmi il passo. Tuttavia prima ancora che potessi chiedere a Grissom di farmi scendere, perchè dopotutto anche l'interno di un buco nero è un posto ospitale ed accogliente rispetto alle tenebre e ai tormenti dell'inferno, egli mise in moto i razzi a combustibile liquido della gloriosa Mercury-Redstone 4, si diresse verso una direzione nella quale sembrava non esserci nulla, ed entrammo così nel cammino alto e silvestro.
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Canto III
« Per me si va
nel pianeta dolente,
per me si va ne l'etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente »
(Inf. III, 1-3)
« PER ME SI VA NEL PIANETA DOLENTE... crrr, crrr... PER ME SI VA NELL'ETERNO DOLORE... crrr... PER ME SI VA TRA LA PERDUTA GENTE... crrr... »
Questa voce gracchiante e disumana mi giunse alle orecchie, gradevole come lo si stridio di un'unghia su di una lavagna di ardesia, attraverso l'antiquata ma perfettamente funzionante radio ad onde hertziane della Mercury-Redstone 4 di Gus. Non potei fare a meno di chiedere alla mia guida:
"Anche all'inferno ci sono interferenze nelle trasmissioni?"
La mia voleva risultare una mezza battuta, ma la sua risposta fu tutto fuorché incoraggiante:
"Ricordati, Dante, che tutto quanto di male o di spiacevole ci può essere nell'Universo, da questo punto in poi lo troverai tutto radunato insieme."
"FU LA GIUSTIZIA AD ANIMARE CHI MI TRASMISE... crrr, crrr, crrr... MI HANNO TRASMESSO LA POTESTÀ DIVINA, LA SOMMA SAPIENZA E IL PRIMO AMORE.... crrr, crrr... NON CI SONO COSE PIÙ VECCHIE DI ME, SE NON QUELLE ETERNE... crrr... E IO STESSA SONO RITRASMESSA IN ETERNO... crrr, crrr... LASCIATE OGNI SPERANZA, VOI CHE ENTRATE... crrr, crrr..."
Subito dopo la voce stridente ricominciò daccapo la sua litania, al che Grissom spense la radio e mi guardò negli occhi, leggendovi tutto il mio timore. "Non è propriamente un tappetino con su scritto « Benvenuti »", abbozzai io, ma lui riprese con uno sguardo che pareva fatto del corindone di Bellatrix VI:
"Da qui in poi, Dante, ogni tuo timore ed ogni tua viltà devono essere dimenticati come se non fossero mai esistiti. Qui infatti inizia l'abisso di dolore in cui stanno rinchiusi coloro che hanno perso per sempre il bene dell'intelletto. Solo se dimostrerai di non cedere davanti a nulla, avrai la forza di arrivare fino in fondo. Dimostrati pavido per un solo microsecondo davanti ai guardiani dell'Inferno, e non farai più ritorno alla terra dei vivi!"
Subito dopo tuttavia mi sorrise, mi prese una mano nella sua, che ancora una volta mi parve molto diversa dalla mano gelida di un fantasma, ed allora mi confortai un po'. Quando tornai a guardare nell'oblò della cabina di pilotaggio, vidi che egli aveva già acceso i razzi posteriori, e che ormai la soglia degli Inferi era dietro di noi.
Improvvisamente cominciai ad udire ciò che non avrei mai pensato di poter sentire attraverso il freddo vuoto dello spazio: sospiri, pianti, lamenti altissimi, bestemmie proferite nelle lingue più diverse, parole di dolore, accenti d'ira, grida ora strazianti ora fioche, tutto questo accompagnato dal frastuono di mille mani sbattute con rabbia contro lo scafo esterno della Liberty Bell 7 (il nome che Grissom aveva dato alla sua Mercury-Redstone 4). Tutto questo baccano mi fece salire l'adrenalina a livelli di guardia e mi mosse al pianto, io che non piangevo fin dalla morte della mia adorata Beatrice, perchè avevo cominciato finalmente a comprendere quanto dolore riempiva quello spazio che io credevo vuoto. Come la polvere interstellare si diffonde turbinando trascinata dall'onda d'urto dell'esplosione di una supernova, così quel tumulto girava attorno alla navicella quasi assediandola; ed io, sopraffatto dall'orrore, domandai a Virgil:
"Maestro mio, cos'è questo chiasso che odo, in mancanza d'aria che possa trasmettere il suono? E com'è possibile che tanta gente soffra così tanto nel nulla dello spazio?"
"Scoprirai ben presto che il nulla non esiste", soggiunse Gus, ed intanto sorvolò un pianeta, che io riconobbi essere Mercurio. Sulla sua superficie vedevo qualcosa brulicare come le formiche polari di Aldebaran II attorno a una goccia di miele, ed allora la mia guida manovrò la nave in modo da portarmi a poche decine di metri sopra la superficie profondamente craterizzata di quel pianeta. Fu allora che vidi un missile incandescente volare a pochi metri dalla roccia nuda di Mercurio, inseguita da una folla immensa di persone di ogni razza, statura ed età, tutte senza tute spaziali e tutte impegnate in una corsa a rotta di collo dietro quel razzo di origine ignota, come le cicogne rettili di Altair III seguono il loro capostormo a milioni.
"Prima che tu me lo chieda, ti dirò che tutte quelle che vedi sono le tristi anime di coloro che sono vissute senza infamia e senza meriti", prese la parola Gus, mentre io non staccavo gli occhi dall'oblò neppure per un istante. "Essi non hanno mai voluto prendere posizione, fare una scelta di campo, credere in qualcosa: ed ora sono costretti ad un lavoro quanto mai inutile, inseguire un miraggio che non raggiungeranno mai. Essi non hanno speranza che una nuova morte venga a porre fine a questa loro condizione, e la loro esistenza cieca appare così bassa, che sono invidiosi della sorte di qualunque altro dannato. Nel mondo dei vivi non resta alcuna fama di loro, né nel bene, né nel male, e la stessa Giustizia Divina li trascura. Perciò non ragioniamo di loro: tu guarda e passa."
E io, che guardai meglio, vidi che quelli sciagurati, che non furono mai veramente vivi, erano stimolati a correre da uno sciame immenso di mosconi e di vespe, che continuavano a pungerli: il loro sangue cadeva sulla sabbia mercuriana, dalla quale sorgevano vermi orribili e viscidi che di quel sangue si nutrivano. Mentre ero sopraffatto dal disgusto a quella vista, improvvisamente tra quei disperati riconobbi un'anima: era Celestino V, il predecessore dell'attuale, corrotto Presidente della Terra, Bonifacio VIII. Fisico e filosofo, benché ultracentenario era stato scelto dai Grandi Elettori del Senato proprio per contrastare l'elezione di Bonifacio, ma Celestino aveva temuto di diventare una marionetta nelle mani dei Senatori, digiuno di politica com'era, e così aveva deciso di abbandonare l'incarico e tornare ai suoi studi. Questo "Grande Rifiuto" aveva spianato la strada all'elezione del corrotto Bonifacio VIII. Non mi stupii di vederlo in quella schiera, perchè dopotutto con la sua pavidità aveva permesso l'avvento al potere di un magnate dedito solo ai propri interessi e convinto di essere immortale ed onnipotente, mentre invece avrebbe potuto fare tanto bene, se solo avesse preso il coraggio a due mani.
Dante e Virgil all'Inferno (scena tratta dal film "Punto di Non Ritorno")
Mentre ancora avevo negli occhi il volto di quel vecchio affannato, mi accorsi che Virgil cambiava rotta, e mi portava dentro uno dei grandi crateri del primo pianeta del Sistema Solare. Lì dentro era in attesa un'astronave gigantesca, mentre una folla ancora più innumerevole di quella da me vista poco prima si ammassava intorno ai suoi portelloni. Quanto poteva essere grande quell'astronave? Forse chilometri; aveva la forma di un razzo, di quelli immaginati nei primissimi romanzi di fantascienza alla fine del Secondo Millennio, e vidi che un uomo in tuta spaziale che stava ritto davanti al portellone principale. Grissom manovrò in modo da atterrare a poca distanza dall'immensa astronave, nella quale gli spiriti cercavano di entrare come fa l'acqua di un oceano che mugghia riversandosi dentro un gorgo. Uscimmo dalla navicella, ci mescolammo alla folla di anime gementi che procedevano a capo chino e sembravano implorare un passaggio, e fu allora che vidi l'essere in piedi accanto alla porta. Non era un uomo, era un klingon, la fiera razza guerriera che aveva a più riprese combattuto il genere umano, per poi allearsi con noi nei momenti di più acuta crisi, come durante la Guerra del Dominio, quasi mille anni fa. Doveva essere alto almeno due metri e mezzo, aveva una cresta frontale incredibilmente sviluppata, ed io suoi occhi erano occhi rossi come se tutto il suo sangue scorresse là dentro. Nera come l'inferno era la sua armatura da guerriero, e una paurosa batleth gli pendeva dalla cintura, mentre lunghe chiome bianche gli ricadevano lungo la schiena.
"Guai a voi, maledetti!" stava ringhiando quel mostruoso umanoide, parlando in una lingua stranamente comprensibile per tutti, e dunque anche per le mie orecchie. "Non sperate mai in alcun perdono! Sono qui per portarvi nelle tenebre eterne del Gre'thor, siano esse gelide o roventi!"
Non feci nemmeno in tempo a ricordarmi che Gre'thor era il nome che quei bellicosi umanoidi davano al loro inferno, prima che i suoi occhi incrociassero i miei, ed io mi sentissi scrutare dentro come da un bioscanner. Subito egli mi urlò:
"E tu, che hai ancora un corpo solido e non un corpo fluido, si può sapere cosa ci fai qui? Vattene lungi da costoro, che sono morti per sempre!"
Confesso che se da bambino mi si fosse presentato davanti l'Orco delle favole per portarmi via, come mi minacciava mia madre, mi sarei spaventato di meno di quanto non ero in quel momento. Irrigidito dal terrore non mossi un muscolo, ed egli allora fece ancor più la voce grossa:
"Un'altra astronave ti porterà all'approdo ultimo della tua vita, non la mia! Sta scritto che un vascello meno maledetto del mio ti condurrà in porto!"
"Basta così, Kortar!" gli ordinò a quel punto Grissom, davanti agli occhi vitrei e spenti della grande folla dei dannati. "Desidera così Colui che Può Tutto Quello Che Vuole! Obbedisci e non porre altre domande!"
Allora il leggendario personaggio, noto per essere stato il primo klingon come Adamo fu il primo uomo, tacque osservando con odio la mia guida, quindi si disinteressò di noi e fece cenno agli spiriti di entrare nella sua astronave. Mentre io mi ricordavo del celebre mito secondo cui Kortar aveva ucciso gli déi che lo avevano creato, e per questo era stato condannato a traghettare negli Inferi le anime dei dannati, queste ultime si affollarono sulla porta facendo a botte tra di loro, come se fossero ansiosi di raggiungere i tormenti eterni, e quando la nave fu piena Kortar entrò anch'egli nella camera di pilotaggio. Immediatamente i portelloni furono chiusi, i motori accesi al massimo della potenza, il razzo si sollevò di alcune centinaia di metri in una nube di polvere, e poi partì velocissimo in direzione opposta all'immenso disco del sole. Il Vascello dei Morti però non era ancora sparito alla vista, e già il cratere si riempiva di nuove anime, che sembravano fuoriuscire dalla sabbia grigiastra che ne riempiva il fondo, così come un iris di Antares VII fiorisce in pochi secondi dalla nuda roccia. I nuovi venuti cominciarono subito ad invocare a gran voce il ritorno del Nocchiero dell'Ade, ed allora io ne approfittai per domandare alla mia guida:
"Dì, Gus, da dove vengono queste anime, e com'è possibile che tutte abbiano così fretta di varcare le porte dell'inferno?"
"È la Giustizia Divina che li sprona, così che il terrore si trasforma dentro di loro in bramosia. Vedi, Dante, tutti quelli che muoiono nell'ira di Dio, da qualunque mondo provengano, convergono sull'assolata superficie di Mercurio, la porta del Sistema Solare. Qui l'anima malvagia precipita, e siccome essa ha le dimensioni di un punto geometrico, il plasma della corona solare si materializza attorno ad essa, dando vita al corpo fluido. Di qui non passa mai alcuna anima buona; perciò, se Kortar si è lagnato della tua presenza qui, puoi ben capire che il tuo destino ultraterreno sarà diverso."
Stavo per chiedere spiegazioni al mio amico circa queste sue parole, quando dalla corona del Sole partì un'eruzione che investì Mercurio con una vampata di fuoco. Io avvertii la stessa sensazione che dovette aver provato Virgil quando bruciò vivo dentro l'Apollo 1, mi sentii sopraffatto da quel calore inenarrabile, attorno a me vidi solo il colore vermiglio del fuoco, ogni sentimento mi venne meno e caddi al suolo come l'uomo che è preso dal sonno sul più bello di uno spettacolo teatrale.
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Canto IV
« Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona »
(Inf. V, 103-105)
Lo spesso sonno nella testa mi fu rotto da un tremendo tuono, che mi fece riaprire gli occhi, ed allora mi sollevai un po' a fatica e girai lo sguardo all'intorno, pulendo la superficie esterna della visiera del casco con una mano guantata. E fu allora che compresi di essere nel bel mezzo della dolorosa Valle dell'Inferno, che rintrona per sempre di infiniti lamenti.
Mi trovavo infatti sul ciglio di un burrone, alto almeno un centinaio di metri, e davanti a me potevo scrutare un paesaggio spaventoso: montagne dalle falesie dirupate alte migliaia di metri, vulcani che esplodevano in continuazione, fiumi di lava, laghi di acido solforico bollente, e dovunque la roccia era incandescente e fumava, proprio come mia madre mi descriveva l'Inferno quando ero bambino. Solo che quell'inferno io lo conoscevo, avendone visto le fotografie durante il corso di Planetologia all'Accademia: quella che avevo davanti era la rovente superficie di Venere, come dimostrava la spessa cappa di nuvole sulle quali si rifletteva la superficie del pianeta, in uno spaventoso effetto di Fata Morgana, e la luce plumbea che dovunque ricopriva di tenebre spettrali quel mondo disgraziato.
Rialzatomi, vidi accanto a me l'antiquata tuta di Virgil Grissom e, a poca distanza, la Liberty Bell 7 dalla quale dovevamo essere appena sbarcati (ma il viaggio l'avrò fatto davvero a bordo di quella navicella fantasma?). Mi volsi allora a lui e gli domandai:
"Tu sei il mio maestro e il mio pilota: tu sei colui dal quale io ho preso il mio amore per lo spazio. Ora dimmi: la temperatura superficiale di Venere, a causa dell'effetto serra innescato dal biossido di carbonio dell'atmosfera, supera i 450° C, e il tellurio metallico precipita come neve sulle cime dei monti più alti. Com'è possibile che io e te ora passeggiamo tranquillamente sulla sua superficie senza squagliarci come gelati nel forno?"
"Ti ricordo che il mio è un corpo fluido, plasmatico", mi sorrise Virgil, mettendomi amichevolmente una mano sulla spalla. "Risulta perciò ininfluente agli sbalzi di temperatura, e non subisce sbalzi significativi né nel vuoto cosmico né sotto le 90 atmosfere della pressione di Venere. Quanto al tuo corpo solido, Beatrice ha ottenuto dall'Onnipotente che esso possa godere delle proprietà di un corpo fluido, finché ti trovi in viaggio attraverso i Regni Ultraterreni."
"Fa piacere essere un fantasma onorario", mi sforzai di balbettare cercando di sorridere, anche se il mio somigliò piuttosto ad una smorfia. "Ed è inutile dire che nessuna sonda lanciata negli ultimi 14 secoli sulla superficie di Venere ha potuto rilevare i corpi fluidi dei dannati, non è vero?"
Gus non mi rispose, ma il suo silenzio equivalse ad un assenso: ai mortali sono preclusi i misteri dello Spirito. Staccatosi da me, egli si avviò a discendere la scarpata che portava nel pianoro sottostante, ed io mi affrettai a seguirlo. Mi accorsi però che aveva smesso di sorridere, ed anzi procedeva a capo chino e tutto smorto.
"Per questa strada entriamo nel cieco mondo della dannazione", mi disse quasi in un sussurro. "Io sarò il primo, e tu sarai il secondo."
Seguendolo a due passi di distanza, e facendo attenzione a dove mettevo i piedi, gli domandai: "Gus, come farò a procedere, se tu, che mi sei accanto per dissipare ogni mio dubbio, hai timore ad andare avanti?"
Ed egli a me: "È l'angoscia per la sofferenza di chi soffre qui, che mi dipinge sul viso quella pietà che tu credi paura. Ma andiamo, perchè la via è lunga e ci sono state concesse solo poche ore per attraversare tutto l'Inferno."
Ed ecco, appena fummo ai piedi della scarpata, io vidi una grande folla di anime, appena sbarcate dall'astronave di Kortar, che già dirigeva attraverso le nubi per tornare su Mercurio; tutte facevano ressa intorno ad un essere seduto su quello che sembrava un trono di pietra incandescente, poggiato proprio contro la scarpata da cui eravamo discesi. Aveva un aspetto vagamente umano, ma anch'egli, come gli altri custodi infernali, aveva una statura smisurata. Il suo capo era assolutamente calvo, la sua pelle giallastra, la barba e i baffi lunghi e sottili erano completamente neri, le sopracciglia dello stesso colore rivolte all'insù; dagli occhi a mandorla colore del fuoco sprizzavano lampi di cattiveria nei confronti delle anime che gli giungevano davanti tremando, e l'intero suo viso sembrava la materializzazione stessa dell'arroganza del potere. Il suo abito regale era rosso come se fosse esso stesso rovente, decorato con arabeschi d'oro, e dietro la sua testa si apriva in un'imponente gorgiera, mentre le sue dita erano cariche di anelli d'oro incandescente. Parlava con una voce simile a un ringhio, e dietro di lui spuntava una lunga e mobilissima coda, simile ai tentacoli di un calamaro gigante di Algenib II.
"Quello è Ming lo Spietato, vero?" domandai a Gus con la voce colma di timore. "Ho visto una volta una sua raffigurazione in una mostra dedicata all'antico eroe Flash Gordon." Egli annuì e mi rispose:
"Sì. Sovrano del Pianeta Mongo, inizialmente fu saggio ed equilibrato, ed era amato dalle razze che popolavano quel pianeta, dagli Uomini Falco agli Uomini Albero; in seguito però lasciò che Satana corrompesse il suo cuore, si trasformò in un crudele tiranno e volle usurpare la Potestà Divina, pretendendo di sostituire le proprie leggi a quelle del Signore. Per questo, dopo essere stato ucciso da Flash Gordon, dal dottor Zarkov, dal principe Barin e da Vultano, fu condannato a giudicare i dannati senza mai sgarrare di un millimetro dalla Legge di Dio. Vedi? Quando le anime malnate gli vanno davanti, confessano ogni loro colpa, incapaci di mentire, e quel conoscitore dei peccati si avvolge con la coda tante volte, quante orbite planetarie lontano dal Sole deve essere collocata ciascuna di loro."
Aveva appena finito di parlare quando colui che i suoi sudditi chiamavano "Suprema Intelligenza" mi vide, abbandonò per un momento il suo alto ufficio e ringhiò al mio indirizzo con voce minacciosa:
"Ehi, tu! Tu, misero mortale che osi entrare nell'ospizio del dolore! Considera con quanta facilità sei entrato, e se ti sarà tanto facile uscirne! Non ti far ingannare da quell'astronauta fallito che ti ha condotto fino a qui, e che in ogni momento può piantarti in asso!"
A quel punto si levò terribile la voce della mia guida, che non avevo mai sentito così adirata:
"Perchè vuoi spaventarlo inutilmente, o giudice dei morti? Non potrai impedire il suo viaggio, voluto dall'Onnipotente. Così si vuole là dove ogni desiderio viene subito realizzato!"
Ciò detto, mi prese per un braccio e mi trascinò lontano, lasciandolo là Ming schiumante di rabbia.
Fatti pochi passi, capii perchè Gus era tanto angosciato, scendendo da quelle rupe. Infatti una terribile tempesta di vento, tipica del pianeta Venere, spazzava tutta la pianura nella quale avanzavamo, e sia io che lui dovemmo aggrapparci a degli spuntoni di roccia per non essere trascinati via a nostra volta. Quella bufera soffiava a quasi mille chilometri all'ora, trascinando con sé sassi, sabbia vetrosa, schizzi di acido solforico bollente ma anche un'incredibile folla di spiriti, i cui corpi fluidi si aggrovigliavano tra loro, sbattevano contro il suolo e contro le rocce, finivano a pezzi per poi ricomporsi e tornare a bestemmiare e a piangere di dolore, come solo un corpo plasmatico poteva fare.
"Questi sono coloro che amarono in modo sbagliato, e che per amore morirono", mi gridò Gus sopra il frastuono del tornado. "In vita essi si lasciarono travolgere dalla passione anziché dalla ragione, ed ora il vento venusiano le travolge, senza nessuna speranza non dico di una pausa, ma neppure di una pena meno dura."
"Fammi i nomi di alcuni di costoro", risposi io gridando a squarciagola, "che vedo venirci incontro come le gru corazzate di Alfa Draconis II, sempre intente a lanciare i loro lamentosi richiami."
Allora Virgil, sempre tenendosi ben saldo alla roccia con la sinistra, mi indicò con la destra decine di anime dolenti, fra cui quelle di famose regine dai mille amanti come Caterina II di Russia e Innelda Isher, e quelle di recenti dive dello spettacolo che non avevano esitato a partecipare a registrazioni pedopornografiche solo per amore del vile denaro; ed io stesso riconobbi una ballerina incontrata su Epsilon Indi III, che credevo ancora in vita, ma che evidentemente doveva aver conosciuto una fine tragica e precoce. Allora fui sopraffatto anch'io dalla pietà, un nodo più duro della roccia venusiana mi ostruì la gola e sentii le lacrime che mi salivano agli occhi. Nonostante questo, gridai alla mia guida:
"Maestro, io tutte queste anime le vedo procedere solitarie ed anzi le vedo picchiare le loro simili quando il vento le porta a scontrarsi: l'amore che provarono in vita, qui è cambiato in odio e tragica solitudine. Ma chi sono quelle due ombre che procedono abbracciate, e che sembrano così leggere nella violenza del vento?"
"Chiediglielo tu stesso", mi rispose Gus; ed ecco, come se Qualcuno lassù avesse udito la mia richiesta, per poco tempo la bufera scemò d'intensità nell'angolo tra le rocce scoscese dove ci eravamo riparati, e le due anime furono spinte accanto a noi, restando sospese a circa due metri dal suolo, come colombe richiamate dal desiderio al loro dolce nido.
"O essere umano gentile e benevolo nei nostri confronti, se il Re dell'Universo fosse nostro amico, io lo pregherei per la tua pace, poiché hai avuto pietà del nostro male perverso", mi disse lei, senza staccarsi un attimo dal suo compagno. "Di ciò che ti piace udire e parlare, io ti parlerò fintanto che la bufera infernale conosce un attimo di tregua. Il mio nome è Maria, e questo è il mio amato Rodolfo, figlio di un imperatore. L'amore, che trova facile breccia in un cuore gentile, fece innamorare il mio compagno della persona che lui stesso poi mi tolse; l'amore, che non perdona mai né chi lo prova né chi ne è l'oggetto, mi assalì tanto fortemente nei confronti di Rodolfo che, come vedi, neanche qui all'Inferno mi abbandona; l'amore condusse noi due ad una sola morte."
Quando udii ciò, io che avevo amato disperatamente la mia Beatrice, chinai il viso ed esclamai: "Ahimé, quanti dolci pensieri, quanto desiderio reciproco portò costoro al passo più doloroso!" Avevo infatti riconosciuto quei due celebri personaggi storici dell'era prespaziale. Poi ripresi: "Maria, il tuo martirio mi spinge a versare lacrime tristi e pie. Ma dimmi, come riconosceste di essere veramente innamorati l'uno dell'altro?"
La baronessa Maria Vetsera mi rispose sospirando: "Non c'è nulla di più doloroso che ricordarsi del tempo felice nella miseria; ma, dato che tu hai pietà di noi, parlerò come colei che piange e parla ad un tempo. Quando il mio amato Rodolfo d'Asburgo lasciò la moglie Stefania del Belgio e si innamorò di me, suo padre Francesco Giuseppe, imperatore d'Austria e re d'Ungheria, gli impose di dirmi addio e di ritornare dalla sposa per la forza della ragion di stato. Rodolfo avrebbe potuto tranquillamente disfarsi di me come di un indumento usato, obbedire al padre, tornare da Stefania ed ereditare un impero. Invece decise di abbandonare tutto questo e di rendere eterno il nostro amore mischiandolo alla morte, pur sapendo che esso avrebbe potuto avere un seguito solo tra le fiamme dell'Inferno. Allora io compresi che mi amava più del suo titolo di Kronprinz, e mi dissi pronta a tutto per amor suo. E così, il 30 gennaio 1889, ci chiudemmo nel suo casino di caccia a Mayerling, facemmo l'amore, poi lui mi sparò alla testa e si suicidò. In considerazione dell'amore che ci aveva portati a questa tragica fine, neppure lo spietato Ming pensò di separarci: anziché tra i suicidi, Rodolfo venne dannato come me tra coloro che persero la vita perchè travolti dalla passione; e così, benché puniti in eterno, in eterno resteremo sempre uniti l'uno all'altro, senza che nulla possa separarci mai, neppure l'infinito odio che si raggruma sui pianeti infernali."
Mentre lo spirito di lei mi diceva queste parole, quello di lui piangeva ininterrottamente; e così la pietà mi sopraffece e caddi svenuto così come cade il corpo di un morto.
Nota: Innelda Isher è la tirannica e dissoluta imperatrice citata nel "I Negozi d'Armi di Isher", romanzo del 1951 di Alfred Elton van Vogt.
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Canto V
« Cerbero,
alieno crudele e diverso,
con tre gole caninamente latra
sovra il popolo che quivi è sommerso »
(Inf. VI, 14-15)
Quando ritornai in me e riebbi finalmente il possesso della mia mente, che si era chiusa come una saracinesca di fronte alla pietà dei due amanti, pietà che mi aveva riempito tutto di tristezza, mi vidi intorno nuovi tormenti e nuovi tormentati. Capii subito di non essere più sul Pianeta dell'Amore, sul quale a buon diritto venivano puniti coloro che avevano amato in modo sbagliato; attorno a me infatti non c'erano più le rocce incandescenti di Venere, bensì un suolo rossastro ricoperto da uno spesso strato di quella che sembrava neve ghiacciata. E infatti tutt'intorno a me cadevano larghi fiocchi di neve, una neve sporca e farinosa mista a sabbia rossa trascinata in cielo dai venti; quando mi fui rialzato in piedi, ed ebbi provato a raccogliere dei fiocchi con la mano guantata, non fu difficile per me comprendere che si trattava di anidride carbonica ghiacciata. E sulla superficie di Venere la CO2 non potrebbe mai ghiacciare, almeno non più di quanto io potrei respirare metano.
"Siamo su Marte, non è vero?" domandai a Virgil, che stava in piedi a due passi da me con le braccia conserte. "Questo dev'essere uno dei due poli del Pianeta Rosso, ai quali la temperatura scende abbastanza per permettere all'atmosfera di anidride carbonica di precipitare sotto forma di neve sulla superficie."
"Siamo al Polo Nord del pianeta", confermò lui, senza battere ciglio, così come non aveva fatto una piega dinanzi alla tristissima storia di Rodolfo e di Maria, che a mio avviso invece avrebbe mosso a compassione persino una statua di marmo. "E qui sono confitti i golosi, coloro che si dimostrarono ingordi di cibo, di raffinatezze, di alcool, di droghe, di anfetamine, insomma di tutto ciò che produce temporaneamente un falso paradiso in terra, facendo dimenticare qual è l'unico vero Paradiso cui l'uomo deve anelare. La neve gelida e sudicia li fa urlare come cani, riempiendo le loro bocche di materia schifosa così come essi in vita se la riempirono di prelibatezze, ed essi si voltano e rivoltano spesso, facendo schermo con il fianco destro al sinistro e viceversa. Ma questo è nulla, rispetto a..."
Non poté continuare, perchè dietro a me udii un verso terribile, diverso da quelli che in tutta la mia carriera di veterano dello spazio avevo udito emettere da qualunque animale terrestre o alieno; e sì che ne avevo viste tante, su decine di sistemi planetari! Se uno di voi provasse a sovrapporre mediante un sintetizzatore il latrato di uno sciacallo, l'urlo di una donna sopraffatta dal terrore, l'acuto di un baritono e l'orribile verso di un serpente a due teste di Epsilon Orionis II quando viene sgozzato, forse potrebbe avere un'idea dell'orribile frastuono che in quel momento mi risuonò alle spalle. Combattuto fra il terrore dell'ignoto e il desiderio di difendermi dalla belva che aveva emesso quel suono, esitai, ma alla fine ebbe in me la meglio l'istinto di autoconservazione e mi voltai di scatto, estraendo il disintegratore dalla fondina nella frazione di secondo che mi fu necessaria per ruotare di 180 gradi su me stesso. Quello che vidi, tuttavia, mi fece irrigidire dallo spavento come se io stesso fossi diventato della stessa consistenza di quel ghiaccio secco che continuava a nevicare tutt'attorno a me.
Sopra di me infatti incombeva un mostro lungo almeno trenta metri, con due sole zampe artigliate, bianche come il ghiaccio sul quale si ergeva, e tre colli, dello stesso colore rosso ferroso della superficie di Marte, terminante ciascuno con una testa irta di zanne affilatissime: nemmeno i Feroxsauri di Aldebaran II hanno denti così lunghi e bianchissimi, che parevano in grado di sventrare lo scafo di superlega di un'astronave dell'esercito con un solo morso. Ai lati di ogni bocca barbuta si agitavano due tentacoli, uno a dritta ed uno a mancina, i quali terminavano con un occhio giallastro dalla pupilla fissa: per osservare all'intorno, ognuna di quelle teste mostruose menava i tentacoli così come un uomo mena il braccio armato con una torcia da polso per orizzontarsi nelle tenebre di una grotta; ed in quel momento sei occhi gialli come l'odio erano puntati su di me. Dalle tre fauci colava in continuazione una bava rossastra che si rapprendeva e congelava appena toccava il suolo, ed esse si aprivano e si chiudevano in continuazione, come se stessero prendendo la misura per divorarmi più agevolmente; del resto tutto quanto quello scherzo di natura non aveva muscolo che tenesse fermo.
Cerbero (dal videogioco "Dante's Inferno")
Resomi conto che per quel demone orripilante io ero poco più di uno stuzzichino, tentai di puntargli contro il disintegratore a ioni, ma mi accorsi che il mio braccio si rifiutava di muoversi, paralizzato dall'orrore. Cominciai a recitare le mie ultime preghiere, vedendo il collo di destra, che poi era anche il più lungo, si protendeva verso di me scoprendo le zanne, ma a quel punto udii la voce di Grissom, imperturbata come se davanti a sé avesse solo un innocuo barboncino, che mi ingiungeva:
"Metti giù quell'arma, Dante: a Cerbero non farebbe nemmeno il solletico."
Ciò detto, premette un pulsante sulla consolle portatile che teneva legata al polso sinistro. Subito si aperse un portellone sul fianco della Liberty Bell 7, ritta a poca distanza da noi, e da esso delle mani invisibili gettarono fuori quella che a prima vista mi parve una gigantesca frittata giallastra. Immediatamente, come un toro davanti ai cui occhi è agitata una muleta, Cerbero, il gran vermo, distrasse la sua attenzione da noi e si gettò sulla strana pietanza, divorandola avidamente con le bramose canne. Come avesse fatto Gus a conoscere in anticipo il piatto preferito del custode del Polo Nord di Marte, non mi è dato immaginarlo; in ogni caso, dopo aver divorato il colloso impasto, quello spaventevole essere si allontanò da noi come se si ritenesse già sazio, e vidi le sue tre teste teratomorfe addentare il suolo come una mucca che bruca l'erba.
"Fiuuu!" fischiai di sollievo, rinfoderando l'arma ed ansimando come un mantice da officina. "Non darò più del « mostro » a quel ladro d'un albergatore alieno su Wolf 359, dopo aver visto quella deformità pronta ad assaggiarmi, te lo garantisco! Ma da dove è sbucato fuori su Marte quell'orrore?"
"È l'ultimo degli antichi abitanti del Pianeta Rosso, prima della sua definitiva desertificazione", mi rispose Gus, facendo richiudere il portello principale del suo missile.
"Vuoi dire che un tempo Marte era popolato da centinaia di creature come quella?"
"Da migliaia, per l'esattezza. Fu due miliardi di anni fa, quando il Sole era più luminoso di oggi, la Terra era torrida e popolata solo da cianobatteri, mentre Marte era un pianeta mite, abitabile e ricoperto da oceani. Una ricca flora ricopriva i continenti, essa dava da vivere ad una fauna altrettanto ricca, e quei bestioni erano i più grossi predatori del pianeta."
"Poi il Sole si raffreddò, Marte anche, gli oceani sprofondarono nel sottosuolo sotto forma di permafrost, e l'atmosfera si disperse nello spazio."
"Esatto. Quello che tutti noi chiamiamo Cerbero fu uno degli ultimi tra gli animali marziani ad estinguersi. Un'intelligenza aliena gli offrì la salvezza sulla propria astronave, la quale avrebbe potuto trasferirla sul suo mondo, ma esso rispose divorando quel benefattore spaziale. Per questo dopo l'inevitabile morte quella creatura fu condannata a divorare in eterno le anime dei golosi, a sua volta divorata da una fame terribile ed insaziabile."
"Insaziabile da tutti fuorché da te, non è vero?" insinuai io, accennando alla Mercury-Redstone 4.
"Insaziabile da tutti, fuorché dall'Onniveggente", precisò lui. "Comunque, tu puoi vedere ora Cerbero che si aggira tra le anime dei golosi, sepolte sotto la neve, e si diverte a graffiarle, a scuoiarle, a squartarle, a farle a brandelli e a divorarle. Inutile dirti che subito il plasma di cui sono fatte quelle anime viene espulso dall'ano di quello scherzo di natura, si ricompone a riformare i loro corpi fluidi, e così la loro tortura non avrà mai fine."
Noi prendemmo ad avanzare, passando sopra le ombre tormentate dalla neve ghiacciata e dal demonio Cerbero, e calpestando la loro vanità che sembra persona. Elle giacevano tutte per terra, ricoperte di anidride carbonica ghiacciata, ma una improvvisamente si levò di scatto in ginocchio appena ci vide passare davanti a lei, scotendo da sé la neve che la nascondeva ai nostri occhi. Il suo corpo fluido appariva estremamente grasso, esattamente come doveva essere in vita il suo corpo solido, ma anche dotato di una statura eccezionale; e, sebbene si pulisse il volto dalla neve con la sinistra, i suoi lineamenti di primo acchito non mi dicevano nulla.
"O italiano che attraversi con il corpo questo pianeta infernale, guardami bene e dimmi se mi riconosci: tu sei stato fatto quando ormai io ero disfatto da molto tempo, ma spero che qualche esperto di storia parli ancora di me."
Io scrollai il capo e risposi: "Mi dispiace, non riesco a riconoscerti. Dimmi chi sei tu che sei stato confinato in questo luogo così sporco e che sei soggetto a tale pena che, se altre più sono gravi, nessuna è tanto spiacevole."
"In vita sono stato un re", riprese lui. "Ero re di Utopia, e figlio del nobile Gargantua. Fin dalla giovinezza sono stato famoso tra gli amici e i nemici per le mie imprese guerresche, tanto che Mastro Alcofribas Nasier, colui che ha narrato le mie avventure, mi ha attribuito (esagerando) una statura da gigante. In effetti ero dotato di forza e statura sovrumane, ma esse erano entrambe superate dal suo appetito; e proprio gli eccessi del mangiare, l'unico peccato di cui non mi sono mai pentito, hanno finito per trascinarmi al Polo Nord del pianeta Rosso."
"Se sei stato un reggitore di popoli", io colsi la palla al balzo, "dimmi: era diversa la politica al tuo tempo rispetto al nostro, o le magagne di oggi sono uguali a quelle di ieri? A che punto giungeranno i partiti nel loro perpetuo litigare? E quanti onesti ci sono davvero tra i politici?"
"Non c'è nulla di nuovo sotto il sole, neppure sotto quello della politica", replicò lui amaramente, "nel tuo paese come quello di Utopia. La contesa dialettica degenera ben presto nel sangue, i governanti vengono prima o poi rovesciati da altri più astuti di loro, ed un giorno in tutta la Galassia non ci saranno che cinque re: i quattro delle carte e il Re d'Inghilterra. Su tutta la Repubblica Federale Terrestre i politici onesti sono al massimo due, e nessuno dà loro retta. Se proseguirai il tuo cammino sui mondi infernali, vedrai molti presidenti, senatori e governatori tra le anime più nere. La superbia, l'invidia e l'avidità sono i tre consiglieri prediletti da chi governa le nazioni ed i pianeti, e non devi dunque stupirti se la vita politica è degenerata tanto in basso. Ma, nonostante questo, te ne prego, o italiano, quando tornerai nel dolce mondo fai in modo che qualcuno si ricordi di me. E ora addio: più non ti parlo e più non ti rispondo."
Ciò detto, incrociò gli occhi fin qui fissi su di me, chinò la smisurata testa e ricadde supino insieme a tutti gli altri ciechi.
"Costui non si rialzerà più fino al suono della tromba angelica che annuncerà il Giudizio Universale", mi disse allora Virgil prendendomi per un braccio ed invitandomi a tornare alla Liberty Bell 7. "Vieni, è ora di andare."
Io vidi lo spaventoso Cerbero che accennava a tornare verso di noi, pensai che Gus poteva aver finito la sua scorta di focaccia per demoni, e così mi affrettai a seguirlo, chiedendogli:
"Dimmi, maestro: dopo il Giudizio Finale, quando queste anime riavranno il loro corpo, soffriranno più di ora, meno di ora o in ugual modo?"
"Più di ora", rispose lui mentre riprendevamo posto nella sua navicella, "perchè ora a soffrire è solo il loro corpo fluido, che per così dire è artificiale, mentre dopo il Giudizio sull'Asteroide Giosafat a soffrire sarà il loro corpo solido, che invece sarà più vero che mai. Eppure, nonostante ciò, i dannati sperano che il Giudizio arrivi presto, spinti dalla Giustizia Divina."
Ciò detto, Virgil Grissom fece decollare il suo storico velivolo, ma vidi che anziché lasciare l'atmosfera marziana si limitò ad allontanarsi dal Polo volando a non più di 10 chilometri di quota, e raggiungendo latitudini più basse, mentre io e lui discorrevamo di molti più argomenti di quanti ora non vi riferisca. Alla fine vidi che puntava verso un immenso vulcano scudiforme, che si innalzava sopra la regione di Tharsis per un'altezza tre volte maggiore di quella del nostro Everest, ed aveva un diametro superiore ai 300 chilometri; la sua sommità brillava di ghiacci, tanto che io mi chiesi se era lassù che Virgil voleva portarmi, ad incontrare nuovi Cerbero e nuovi golosi tormentati dalla nevicata maledetta. Invece la mia guida manovrò verso le pendici della montagna più alta del Sistema Solare, che aveva potuto arrampicarsi così in alto nel cielo grazie alla ridotta gravità marziana e all'assenza di deriva continentale sulla superficie di Marte. La Liberty Bell 7 prese terra in un ampio canyon che si apriva su un fianco del vulcano, e che sembrava fatto apposta per ospitare qualche altra mostruosità del lontano passato marziano. Ed infatti, scesi dalla navetta, lì trovammo Fenrir, il gran nemico.
Nota: il
Cerbero descritto in questo canto è modellato su quello visibile nel videogame
ad alta tensione "Dante's Inferno"™
Avrete sicuramente riconosciuto nella figura del colossale goloso il personaggio
di Pantagruele (in greco "tutto al contrario"), il gigante figlio di
Gargantua uscito dalla penna di François Rabelais (1483-1553), che ha dato vita
all'aggettivo "pantagruelico". Mastro Alcofribas Nasier, la voce
narrante dei cinque romanzi dedicati alle avventure di padre e figlio, altro non
è se non un anagramma del nome di François Rabelais.
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Canto VI
« Quali dal vento le gonfiate vele
caggiono avvolte, poi che l'alber fiacca,
tal cadde a terra il marziano crudele »
(Inf. VII, 13-15)
"Papè Satan! Papè Satan Aleppe!" gridò quel mostruoso lupo con voce gracchiante appena ci vide. Né ad un simile essere poteva adattarsi voce più aggraziata, visto che aveva dimensioni mostruose, tanto che un elefante al suo confronto era grande come uno scricciolo. Fenrir spalancava al nostro indirizzo le tremende fauci, armate di zanne degne di una tigre dai denti a sciabola del pianeta Delta Cygni III, i suoi occhi vermigli come quelli di Kortar ci inondavano di luce rossastra, ed egli inarcava la schiena ricoperta da un pelo irsuto e nerissimo, come se volesse saltarci addosso da un momento all'altro. La bava gocciolava poi dalle sue fauci, penetrando nel sottosuolo di Marte e trasformandosi in permafrost. Confesso che in quel momento sarei morto di paura, se non mi fessi accorto che il figlio Loki e Angrboda portava un collare di acciaio collegato alla mitica catena Gleipnir, l'altra estremità della quale era ancorata alla roccia marziana mediante l'anello Gelgja. Non era certo difficile immaginare che, al momento della Caduta degli Angeli, milioni di secoli fa, egli era stato incatenato in quella posizione per punire la sua avidità di cibo e di sangue. Sapevo che il lupo infernale poteva parlare come noi uomini, tuttavia trovai strano il fatto di non riuscire a comprendere le sue parole, dopo che avevo compreso benissimo quelle di due demoni, di due sfortunati amanti austro-ungarici e di un ghiottone francese, tutti parlanti lingue ormai evolutesi da tempo e diventate comprensibili al massimo per un erudito filologo. In ogni caso credo che la sua fosse un invocazione a Satana, il re dell'Inferno (aleph in ebraico indica la prima lettera dell'alfabeto, e quindi significa "il primo e più eminente"), volta a spaventarmi e ad indurmi a tornare indietro, perchè il mio maestro e guida, che invece doveva aver capito benissimo il senso di quell'interiezione, si volse a me e disse per confortarmi:
"Non lasciarti sopraffare dalla paura perchè, per quanto sia forte e feroce, egli resterà incatenato alle rocce Gjöll e Thviti fino alla fine del mondo, allorché sarà liberato per partecipare alla Battaglia escatologica di Armageddon tra il Bene e il Male, e sarà definitivamente sconfitto. Prima di allora, Fenrir non può impedirci il nostro viaggio tra i pianeti e le lune dell'Inferno, almeno più di quanto non può impedire a una sola anima di essere perdonata da Dio!"
Si volse quindi a quel muso tumefatto e sbavante, ed urlò: "Taci, maledetto lupo! Consumati dentro con la tua rabbia! Dante non è certo in viaggio di piacere attraverso il tuo cupo mondo: così si vuole là dove San Michele, colui che ti incatenò quella roccia molto prima che l'atmosfera terrestre si arricchisse di ossigeno, consumò la vendetta del peccato di presunzione dei demoni!"
Come un razzo, che si erge maestoso nei cieli, volge la sua parabola verso terra e precipita in un'esplosione catastrofica appena i motori hanno esaurito il carburante, così quella fiera crudele si rotolò al suolo, ululando e bestemmiando la propria impotenza, mentre noi gli passavamo accanto senza alcuna paura così come avremmo fatto con i colossi di pietra di Abu Simbel, certi che non avrebbero potuto farci più male di lui.
Ahi, Giustizia di Dio! Chi raccoglie insieme così tante pene e tragedie quante io ne vidi allora? E perchè le nostre colpe ci portano a ridurci in quello stato? Come fanno le onde gravitazionali di due pulsar riunite in un sistema doppio, che si scontrano producendo terribili effetti mareali, così vidi là la gente scontrarsi orribilmente in quel luogo. Io infatti vidi un numero incredibile di spiriti rotolare davanti a sé dei massi giganteschi spingendoli con i muscoli pettorali, urlando come sciacalli anfibi di Vega IX. Li portavano così fin sulla sommità del vulcano, in uno sforzo tremendo quanto inutile che a me ricordò quello del mitologico Sisifo, perchè dalla vetta del vulcano il masso rotolava di nuovo fino alle sue pendici. Inoltre, come mi mostrò Grissom portandomi in volo con la Liberty Bell 7 sopra la caldera vulcanica fossile, sulla cima i dannati ne incontravano altri provenienti dalla parte opposta del Monte Olympus, e qui davano vita a memorabili zuffe, gridandosi l'un l'altro: "Perchè taccagni? Perchè scialacqui?" Rotolati fino alla pianura mentre si accapigliavano, riprendevano il loro masso e ricominciavano in eterno la loro eterna fatica.
"E questi chi sono", domandai io a Gus, "e perchè così tanti di loro sono piccoli di statura, hanno la pelle arancione, la testa sproporzionata e senza capelli, i denti acuminati e delle enormi orecchie?"
"Costoro furono ricchi industriali, latifondisti, imprenditori, politici, presidenti e re", mi rispose lui, percorrendo tutta l'immensa distesa del supervulcano: "Tutti guadagnarono o ereditarono (o rapinarono, in parecchi casi) immense somme di danaro, ma non ne seppero fare buon uso. Metà di loro fu afflitta dall'avarizia, e si limitò ad accumulare tesori immensi senza pensare ad investirli per il bene del loro prossimo; l'altra metà invece la scialacquò in vizi e bagordi, senza saperne trarre nulla di buono. Gli umanoidi tarchiati ed orecchioni da te descritti sono Ferengi, la cui società è interamente dedita al benessere materiale e all'accumulazione del profitto, tanto da immaginare persino l'Aldilà come una grande tesoreria cosmica.
E come il loro lavoro e le loro opere in vita furono vane, nonostante capitanassero immense multinazionali o presiedessero i governi di grandi potenze, così ora tutti costoro sono condannati ad un lavoro quanto mai inutile e senza alcun profitto, e quando si incontrano si rinfacciano le rispettive colpe."
"Se è così, Gus, allora dovrei riconoscere molti di loro, ed in particolar modo molti presidenti e capi di governo della mia cara Italia."
"Mi spiace deluderti", ribatté lui, allontanandosi definitivamente dal vulcano maledetto, "ma proprio perchè in vita furono conosciuti da tutti per la loro attività economica e politica, come ulteriore punizione qui sono resi a tutti irriconoscibili dalla loro incapacità ad essere generosi con il proprio prossimo. Sì, amico mio: qui puoi vedere a quale tristo approdo li ha portati la loro superbia, il loro bearsi delle acclamazioni dei propri leccapiedi partigiani, il loro credersi immortali ed indispensabili per i rispettivi paesi, la loro cortezza di vedute: e pensa che tutto l'oro e il platino del Sistema Solare non basterebbero per accontentare neppure una di queste anime vili. Ma ora andiamo, le stelle stanno girando troppo veloci sul loro asse, ed il tempo che ti è concesso di trascorrere all'Inferno è limitato."
Lasciammo così quegli infelici, che buttarono al vento tutte le ricchezze e gli onori accordati loro dalla Provvidenza, ed atterrammo sul fondo di un profondissimo canyon che incideva la superficie del Pianeta Rosso lungo il suo equatore, ed al cui confronto il Grand Canyon del Colorado è solo una screpolatura nel terriccio prodotto dalla prolungata siccità. Qui vidi un'alta torre, probabilmente costruita milioni e milioni di anni prima, quando Marte era ancora un pianeta umido ed abitabile. Appena fummo atterrati vedemmo due luci rosse accendersi sulla sua cima, tanto che mi fu inevitabile pensare ad una nuova mostruosità risalente alla lontana preistoria del pianeta. In seguito invece mi resi conto che quella torre solitaria, unico resto di una città megalitica risalente al Precambriano, era utilizzata piuttosto come una sorta di torre di controllo, perchè dal cielo rossastro giunse un'altra immensa astronave, la cui sola vista mi fece ricoprire di sudore gelato.
Somigliava infatti a un disco volante, tipico di certa fantascienza di serie B antecedente all'era dei voli spaziali, fatto di due tronchi di cono uniti per la base maggiore. Mentre quello inferiore era di lucido metallo, quello superiore sembrava fatto di pietra, tutto rosso come il suolo del pianeta, nella quale si apriva il portellone dell'immensa stiva. Quella specie di montagna artificiale, che di una montagna in effetti aveva anche le dimensioni, era decorata alla base con lugubri teschi, come se fossero i trofei di altrettanti mostri uccisi, e dalla cintura lungo cui si saldavano le due metà dei dischi si dipartivano otto teste di drago, dagli occhi gialli come l'oro e dalle fauci irte di denti famelici, che mi ricordarono la mitologica idra uccisa da Ercole. C'erano pochi dubbi circa il fatto che quella nave non era di origine terrestre; il suo scafo era inoltre butterato come dagli scontri con milioni di meteoriti, tanto che non avevo mai visto un vascello così malridotto neppure nel cimitero di astronavi di Proxima Centauri. Nonostante ciò, esso appariva sicuramente in grado di reggere chissà quante traversate spaziali. Mentre la vedevo adagiarsi pesantemente dentro il profondo canyon nel quale ci trovavamo, mi sorsero spontaneamente alle labbra queste parole:
"La Yamata no Orochi! Credevo fosse stata abbattuta dal professor Senjiro Shiba, il costruttore di Jeeg Robot..."
"Infatti è stata abbattuta", mi confermò Gus senza battere ciglio, come se per lui fosse all'ordine del giorno, misurarsi con i mostri partoriti dall'Inferno. "La sua ombra però continua a traghettare le anime dei dannati verso le mura della Città di Dite, per volere dell'Onnipossente. E tra poco conoscerai il suo perfido pilota."
Appena fu atterrata davanti a noi, infatti, dalla carlinga della leggendaria ammiraglia dell'Impero Yamatai emerse un'altra creatura che sembrava partorita dal Puro Male imperante sui pianeti infernali. Superava i dodici metri di altezza, era vestita con un'elegante uniforme grigia e rossa, aveva i capelli e la barba color oro, la pelle verde, le profonde occhiaie del color del fuoco, e appena ci vide ci rivolse parole irridenti, credendoci due dei milioni di dannati che attendevano il suo aiuto per raggiungere le lune di Giove:
"Ah, ah! Non vedo l'ora di avervi sul mio vascello, anime sfortunate!"
"Ikima, Ikima, tu sprechi fiato", gli rispose tuttavia Grissom senza ombra di paura nella voce: "Non ci avrai in tuo potere che per il tempo necessario ad attraversare la Cintura degli Asteroidi!"
Il mostro sembrò riconoscere Virgil, si accorse che il mio era un corpo solido e non un'ombra di plasma, e comprese di essere stato gabbato. Ma, come gli altri custodi infernali da noi fin qui incontrati, anch'egli non poté fare altro che schiumare di rabbia ed aprirci il portellone della sua nave, nella quale Grissom subito fece alloggiare la Lyberty Bell 7.
"Perchè l'hai portata dentro questa astronave infernale?" gli chiesi io, scosso da brividi di paura mentre il portellone del vano di carico della nave di Ikima si chiudeva dietro di noi, ma egli mi rispose solo: "Tra poco lo capirai da solo, amico mio."
Subito una pazzesca accelerazione mi fece comprendere che l'astronave maledetta era decollata. Ben presto sentii dei botti ritmici, come se qualcosa o qualcuno picchiasse violentemente contro la nave. Io cominciai a pensare ad altri orribili kraken spaziali venuti apposta per ghermirmi, ma Gus dovette comprendere il mio stato d'animo vedendomi pallido come la luna piena, e per rassicurarmi disse:
"Non dimenticare, Dante, che per giungere nel sistema gioviano dobbiamo attraversare la Fascia degli Asteroidi."
In un momento tutto mi fu chiaro: quelli che udivo contro lo scafo oscuro non erano i tonfi di tentacoli mostruosi o di mani di fantasmi, ma gli scontri con i milioni di asteroidi grandi e piccoli che riempivano lo spazio fra Marte e Giove. "Ora capisco perchè hai alloggiato la tua navetta qui dentro!" esclamai all'indirizzo della mia guida: "Non avrebbe mai resistito alla pioggia di meteoriti, a differenza dello scafo corazzato di questa nave, che è così ammaccato proprio a furia di attraversare la Fascia degli Asteroidi!"
"Nulla rende più felice un maestro di un discepolo che impara in fretta", mi sorrise Gus. Io stavo per rispondergli, quando una voce inaspettata mi distrasse dalla nostra discussione. Proveniva dalla radio della Mercury-Redstone 4:
"Crrr, crrr... Chi sei tu che vieni all'Inferno prima del tempo?"
Io osservai lo schermo della consolle, un antiquatissimo tubo a raggi catodici, e vi vidi comparire una faccia ben nota, che sembrava fatta di pietra e tutta circondata di pietra: se i suoi occhi non si fossero mossi e la sua bocca non si fossero aperti per parlarmi, l'avrei scambiata per un bassorilievo. Subito sentii il sangue salirmi alla testa, come un molosso di Sirio II che vede un gatto terrestre camminargli davanti al naso, e ringhiai:
"Se anche ci vengo, non ci rimango di certo, Filippo, mentre tu ci rimani piangendo e schiumando di rabbia, senza nemmeno poter gridare la tua disperazione nel vuoto dello spazio!"
Allora vidi nello schermo che lo spirito era incastonato in un asteroide, con solo la testa, un braccio e metà del petto liberi, e mi accorsi che stava entrando in rotta di collisione con la Yamata no Orochi. Ci fu un gran botto, che scosse lo scafo come una canna d'organo, ma la nave millenaria resistette e subito dopo vidi solo frammenti di roccia più piccoli; non avevo dubbi però che, per volontà divina, i frammenti si sarebbero subito riuniti a formare il corpo di Filippo Argenti e la sua prigione spaziale.
Gus mi domandò con un sorriso: "Non hai ancora perdonato a Filippo Argenti di averti schiaffeggiato all'uscita del Parlamento Federale di Nuova Londra perchè avevi votato contro le direttive di partito, quando eri deputato per i Democratici Bianchi, vero?"
"Quello sporco Democratico Nero non avrà il mio perdono neppure se lo implorerà per i prossimi due milioni di anni", risposi io, accecato dall'odio politico. "Suppongo che nella Fascia degli Asteroidi siano puniti gli iracondi, se lui è qui, non è vero?"
"Già", annuì Grissom, "tanto si infuocarono e si agitarono in vita a causa dell'ira, quanto ora sono immobili nella durezza adamantina della pietra. Spesso si scontrano e volano in pezzi, oppure si fanno a pezzi percotendosi a vicenda, come conviene al loro fuoco interiore che non si spegne mai!"
Guardando ancora nello schermo, vidi che nello spazio esterno il corpo fluido dell'Argenti si era ricostituito insieme al suo meteorite-prigione, e decine di altri spiriti gli si schiantavano contro gridando "Dagli a Filippo Argenti!", mentre quel bizzarro spirito italiano divorava se stesso con i propri denti, non avendo altri contro cui sfogare la propria ira bestiale.
Nota: i
Ferengi sono una delle razze aliene più famose dell'universo di "Star
Trek", e giocano un ruolo fondamentale soprattutto nella saga di "Deep
Space Nine". La cultura Ferengi è interamente basata sul capitalismo
selvaggio, codificato nelle 285 Regole dell'Acquisizione, ed in essa il raggiungimento del profitto e della prosperità economica è
considerato il bene supremo a cui tutti devono tendere.
Dopo Kortar, che qui fa le veci Caronte; dopo l'Imperatore Ming, che sostituisce
Minosse; e dopo il lupo Fenrir, che prende il posto di Pluto, ecco Ikima
interpretare la parte di Flegias. Si tratta di uno dei tre diabolici ministri
della regina Himika, sovrana del Popolo Yamatai ed acerrima nemica di Jeeg Robot
nell'omonima serie a cartoni animati che spopolò nei primi anni ottanta.
Possiamo anche riconoscere la descrizione della Yamata no Orochi, l'ammiraglia
della flotta Yamatai, effettivamente modellata sull'omonimo mostro della
mitologia nipponica, un drago volante ad otto teste che devastava la regione di Izumo
chiedendo vergini in sacrificio, finché non ucciso dal dio Susanō.
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Canto VII
«
Ikìma, Ikimà, tu gridi a vòto,
- disse lo mio segnore - a questa volta:
più non ci avrai che sol passando il loto »
(Inf. VIII, 19-21)
Lasciata dietro di noi la zuffa delle anime iraconde prigioniere dentro gli asteroidi, attraverso la radio della Liberty Bell 7 mi percosse un orribile frastuono, il quale mi fece capire che eravamo ormai giunti a un altro orripilante girone infernale. Me lo confermò il buon Grissom dicendomi con voce tagliente:
"Ormai, figlio mio, siamo prossimi alla città che ha nome Dite, con i suoi neri cittadini ed il suo smisurato numero di demoni custodi."
Io guardai nello schermo, ed ecco, davanti a noi c'era Io, l'inquieto satellite di Giove scosso in continuazione da eruzioni vulcaniche; e sulla sua superficie vidi una vasta cinta muraria che racchiudeva una porzione del satellite grande almeno quanto l'intero continente europeo. In essa vidi vulcani in piena eruzione, fiumi di zolfo liquido, laghi di lava e una quantità enorme di costruzioni, che mi parevano fatte di ferro, le cui dimensioni variavano da quelle di un pollaio fino a quelle del Palazzo d'Estate sul pianeta Solaria. Tutte avevano una strana architettura, che ricordava vagamente quella dell'Estremo Oriente, ed erano ricche di guglie, merlature e pinnacoli, talora alti anche un chilometro; e tutte erano di colore rosso vermiglio, come se la lava eruttata dai crateri di Io le arroventasse dall'interno. Gus dovette leggermi nella mente, perchè aggiunse:
"Sono le forze mareali di Giove a sollecitare terribilmente il nucleo del suo satellite, fondendolo e facendo in modo che esso erutti una lava ricca di zolfo, che giustifica i colori giallo, arancione ed ocra dominanti sulla sua superficie. E questa lava è utilizzata, come ora vedrai, per arroventare le dimore di nuovi tormentati."
La nave di Ikima sfruttò l'intensissimo campo gravitazionale di Giove, che incombeva dietro al satellite occupando quasi tutto l'orizzonte visibile, per andare a posarsi presso le mura della Città di Dite, e dopo che fu atterrata udimmo la sua voce adiratissima che ci gridava:
"Uscite fuori di qui! Questa è l'entrata!"
Le porte della Città di Dite (dall'episodio di "Star Trek, Voyager" intitolato "La Barca dei Morti")
Allora Gus portò la Liberty Bell 7 fuori dalla stiva della sua nave, ed entrambi scendemmo sulla superficie arroventata della luna vulcanica. Ma avevamo fatto pochi passi verso le mura, in cui si apriva una porta alta almeno cento metri, che io mi sentii osservare da migliaia e migliaia di occhi inferociti. Alzando gli occhi, infatti, vidi gli spalti brulicare di orribili creature infernali, dagli aspetti strani e ributtanti, e vestiti con uniformi nere come l'inchiostro, dotate di ali uncinate e di superarmi che facevano morire di paura al solo vederle
"Chi è quest'intruso che senza morte attraversa i regni della gente morta?" urlavano ad una sola voce, che crebbe fino a diventare più forte del mugghiare della tempesta venusiana che trascina con sé gli spiriti dei lussuriosi. Io mi nascosi dietro lo scafandro di Virgil, ma questi si rivolse coraggiosamente ai demoni come se non temesse né il loro numero né il loro armamento pesante:
"O Specter, Guerrieri di Ade rinchiusi nelle vostre Sùrplici, noi non abbiamo nulla contro di voi. Lasciateci passare, perchè siamo in missione per conto del Cielo."
Udendo queste parole, i 108 spiriti del male risero di un riso malvagio, dimostrando in quanta considerazione tenessero gli ordini altrui, ed uno di loro stridette beffardo:
"Ah, sì? Allora vieni avanti tu solo, e quello se ne vada, che ha osato così arditamente attraversare il nostro regno. Ritrovi da solo, se ne è capace, la strada per tornare sulla Terra dei vivi; perchè tu rimarrai qui, come punizione per aver violato la nostra luna!"
Pensa, lettore, quanto io mi sconfortai al suono di quelle parole maledette: ormai ero convinto che tra i vivi non sarei tornato mai. Subito dissi a Grissom tremando come una foglia:
"O cara guida mia, che più di sette volte mi ha già tratto d'impaccio in situazioni terribili, non mi lasciare qui da solo, su questo mondo maledetto, e se ci viene impedito di proseguire oltre, ritroviamo veloci la via del ritorno, perchè è meglio un buco nero senza diavoli che una luna di Giove infestata dall'incarnazione stessa del Male!"
Ma quel signore che mi aveva condotto fin lì mi replicò deciso: "Non temere: nessuno di questi spiriti cacciati dal Paradiso ci può precludere il passaggio: abbiamo infatti potenti alleati in Cielo. Aspettami qui e confortati con la certezza che non ti abbandonerò mai nel bel mezzo dell'Inferno!"
Così fece segno ai 108 Specter che voleva conferire con loro in privato se ne andò verso la porta di Dite, mentre io rimanevo in forse sul da farsi. Non potei udire cosa disse loro, ma certo non fu una conversazione lunga né amichevole. Probabilmente usò una delle frasi ad effetto che già avevano messo K.O. Kortar, Ming e Fenrir, ma evidentemente quei diabolici guerrieri erano di una pasta diversa, perchè corsero dentro le mura e chiusero la porta in faccia alla mia guida, che restò là come una testa megalitica di Deneb I, e non gli restò che tornare da me con passo pesante e gli occhi volti a terra. Subito mormorò in preda all'ira:
"Maledetti zoticoni! Sbattere la porta in faccia a due inviati di Dio! Ma tu, Dante, non sbigottirti se mi adiro, perchè ti prometto che vincerò questa prova, anche se là dentro si aggirassero cento mostri simili a Cerbero. Questa loro tracotanza non gli è certo nuova, perchè la usarono anche contro il Figlio di Dio, quando venne a liberare i Santi Padri dal Limbo, allora posto sulla Luna; ed Egli distrusse ogni loro difesa e piantò il Suo stendardo vittorioso nel mezzo dell'Inferno. E già sta arrivando Colui che ci spalancherà le porte della città maledetta."
Mentre aspettavamo pazienti un aiuto dal Paradiso, per ingannare il tempo e non pensare a tutti quei diavoli domandai al mio maestro: "Dimmi, Gus, come fai a conoscere così bene tutti i mondi abitati dagli spiriti infernali?"
"Li ho già visitati una volta", rispose Virgil, "quando Saddam Hussein, dittatore dell'Iraq, volle conoscere in anticipo l'esito della guerra scatenatagli contro dagli americani nei primi anni del Terzo Millennio, guerra che mutò gli equilibri politici di un intero continente. Lui aveva vietato la superstizione e la magia, ma di fronte al rischio di affrontare insieme gli eserciti britannico e americano decise di consultare una zingara famosa per le sue presunte capacità paranormali. Questa riuscì ad evocare lo spirito di un soldato morto nella precedente guerra tra Iraq e Iran, che profetizzò al dittatore la sua disfatta e la morte per impiccagione. Fui incaricato io, veterano dello spazio, di andare a prelevare lo spirito di quel soldato fifone dai remoti mondi ghiacciati dei traditori; ed è per questo che ora ho abbastanza esperienza per condurti attraverso i regni del dolore."
Gus disse anche altro, ma non mi ricordo più cosa, perchè proprio in quel momento la mia attenzione fu attirata da tre spettrali figure femminili che vidi in cima ad uno dei torrioni delle mura di Dite. La prima era seminuda e indossava soltanto un reggiseno, un perizoma, dei lunghi guanti e un cappello cilindrico, tutti rossi come il suolo di Io; aveva in mano due Sai, arma tradizionale dei Ninja giapponesi, si agitava in continuazione, come se fosse stata punta da una tarantola cornuta di Ras Algheti VIII, e l'immensa chioma castana le svolazzava intorno come se al posto dei capelli avesse avuto un ammasso di serpenti che si torcevano senza posa. La seconda vestiva un costumino nero come il vuoto dello spazio che le lasciava scoperte braccia, gambe e spalle, ed in testa portava una specie di maschera che lasciava vedere i suoi occhi azzurrissimi e malvagi; le due orecchie in cima alla maschera, e i guanti che terminavano con artigli acuminati, le davano l'aspetto di un gatto più che di una donna, immagine alla quale contribuivano anche i suoi canini, aguzzi come quelli di un vampiro.. La terza poi indossava un corpetto, dei calzoni ed un paio di stivali, tutti fatti di foglie verdissime, così come di lucide foglie era la corona che aveva in testa, e verdi erano sia le sue iridi che le sue labbra, dalle quali colava in continuazione una linfa dello stesso colore (sono certo che si trattasse di un potente veleno). Tutte e tre si fendevano il collo con le unghie, si percuotevano con pugni e gridavano così forte, che io mi sentii assalito dal terrore e mi strinsi al mio maestro come un bambino fa con la mamma.
"Venga fuori Mister Freeze, così lo trasformerà in una statua di ghiaccio", urlavano intanto quelle terrorizzanti apparizioni, "oppure Ra's al Ghul, che durante le sue periodiche quarantott'ore di follia lo spaccerà con raffinatezze di crudeltà! Non gli permetteremo mai di entrare nella città dell'eterno dolore, lui che è atteso da ben altro destino!"
"Guarda, guarda le incarnazioni dell'odio, dell'invidia, della guerra, che vi ingannano con la loro bellezza femminile, e poi devastano il mondo di voi uomini ispirandovi a scannarvi l'un l'altro!" mi disse Virgil Grissom, indicando le tre lamie che non cessavano di rovesciarmi addosso così tanti improperi, che sarebbero troppi anche per sette astronavi cargo. O voi che avete gli intelletti sani, guardate il significato che si nasconde sotto il velame dei miei racconti strani!
Ma proprio in quel momento udii un rombo come se una flotta di mille astronavi da guerra stesse per riversarsi su Io; mi volsi al cielo, offuscato da mille esalazioni solforose, ed ecco, con mia grande sorpresa vidi una razzo-navetta assolutamente bianca calare dall'alto e prendere terra, sollevando schizzi di fango e di lava solforosa. Subito ne scese un uomo vestito anch'egli di bianco, con una croce d'oro sul petto, una papalina in testa ed un volto che non dimostrava più di cinquant'anni, anche se egli ne aveva certamente di più; il suo sguardo era accigliato come quello di un gendarme che si prepara ad arrestare un assassino, ed egli menava il braccio sinistro davanti a sé per allontanare le esalazioni di zolfo, l'unica cosa che lassù sembrava infastidirlo. Al solo vederlo, le tre bellicose supercattive si erano dileguate per il terrore così come fanno i topi davanti ad un gufo di Rigel VI. Io compresi immediatamente che il nuovo venuto era un Inviato di Dio, e chinai il capo per riverenza davanti a lui, invitato a ciò da Gus. Egli avanzò verso le mura ferrigne, voltandosi verso di noi solo per dirci "Non abbiate paura!" con marcato accento slavo, quindi estrasse da sotto le vesti un crocifisso incandescente, lo applicò al portone che sembrava inespugnabile e fece dieci passi indietro. Subito l'intero portale cominciò a riscaldarsi fino al calor bianco; quel metallo, che doveva essere antico come il satellite Io, si sciolse come un gelato alla panna messo per errore nel forno acceso: la porta restò così priva di battente e di qualsivoglia difesa. Questo è il potere di chi crede nella Parola dell'Onnipotente!
"O reietti dal Paradiso, gente maledetta", urlò sull'orribile soglia il messo divino con il suo forte accento polacco, "da quando in qua la vostra tracotanza giunge al punto di opporsi al volere di Dio? Che giova all'ammiraglio di una flotta spaziale ingaggiare un combattimento contro una flotta dieci volte più forte? Imparate, o nemici di tutto ciò che è puro e santo, che il più piccolo erede del Regno Eterno può sconfiggere tutti quanti voi insieme con una sola mano, perchè le Forze degli Inferi non prevarranno mai!"
Si volse quindi sui suoi passi, non ci fece più parola, riprese il shuttle e ripartì alla volta del Paradiso come fa una persona che è stretta da ben altre preoccupazioni. Solo allora mi resi conto di quale Grande personaggio era stato mandato dall'Onniveggente per spianarci la strada, lui che era chiamato Santo e Dottore della Chiesa, ed aveva segnato indelebilmente lo spartiacque fra il Secondo ed il Terzo Millennio dell'Era Cristiana. Resi sicuri dalle sue parole sante, io ed il mio maestro oltrepassammo le mura, e scoprimmo che non c'era più l'ombra nemmeno di uno Specter, come se alla vista dell'Uomo Venuto da Lontano si fossero tutti volatilizzati come i cattivi sogni al primo rintocco dell'Ave Maria del mattino!
Nota: Quanto
ai diavoli che Dante vede apparire sugli spalti della Città di Dite, in questo
caso si tratta dei 108 Spectre
di Hades del cartone animato "Cavalieri dello Zodiaco", che nella
terza e (per ora) ultima serie sono posti a guardia proprio dell'Inferno. Le Sùrplici
sono le nere armature di cui sono rivestiti.
Queste identificazioni hanno un preciso motivo: Tanto Go Nagai che
Kurumada sono grandi estimatori del "nostro" Dante Alighieri.
Il primo si ispirò in modo abbastanza chiaro all'Inferno della Commedia nelle
sue opere più mature, quali Devilman e Mao Dante (il nome ci dice già tutto!).
Inoltre lui stesso curò poi una riduzione proprio della Commedia
"originale" disegnandone lui stesso le tavole che riprendono quasi
filologicamente le superbe incisioni di Gustave Dorè.
la
parte delle tre Erinni che cercano di terrorizzare Dante con il loro aspetto e
le loro strida è qui interpretata da tre
personaggi femminili dell'universo dei fumetti supereroici. La prima è Elektra,
detta "la bad girl della Marvel Comics", che è stata compagna di
Daredevil, a sua volta definito «
uno dei personaggi più veri e crudeli che la Marvel abbia mai creato ». Le
altre due sono Catwoman e Poison Ivy, entrambe della DC Comics ed entrambe
arcinemiche di Batman.
Esse invocano contro Dante l'intervento di altri due celebri nemici del
Cavaliere Oscuro: Mister Freeze e Ra's al Ghul, il potente capo della Lega degli Assassini,
che può vivere a lungo grazie a periodiche immersioni nel Pozzo di Lazzaro,
anche se, nelle quarantotto ore successive ad ogni immersione, è completamente
pazzo. Il Messo Celeste invece lo avrete certamente riconosciuto tutti...
I 108 Specter che difendono le mura della Città di Dite (da questo sito)
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Canto VIII
« O Tosco che per la
luna del foco
vivo ten vai così parlando onesto,
piacciati di restare in questo loco »
(Inf. X, 22-24)
Confesso che, nonostante il terrore da me provato per quella turba di diavoli vocianti come scimmie urlatrici di Gamma Andromedae II e per le tre agghiaccianti Furie della guerra, avevo una voglia matta di vedere cosa c'era al di là di quella porta che così repentinamente si era squagliata alle nostre spalle; e così, appena varcate le mura, girai attorno gli occhi, e quello che vidi mi lasciò letteralmente di sasso.
Come infatti sul pianeta Alfa Tucani V si possono vedere sterminati campi di tombe, erette durante le guerre disastrose che infuriarono su quel pianeta più di duemila anni fa, uccidendo il 90 % della sfortunata popolazione locale, così anche la Città di Dite era un immenso cimitero, fatto di tombe delle più svariate forme e dimensioni. Alcune erano immense arche istoriate e poggiate su colonne; altre erano semplici loculi scavati nella roccia solforosa che pavimentava la città; altri ancora erano giganteschi colombari che sembravano poter ospitare i caduti di un intero esercito; altre poi erano ricche di statue ed avevano quasi le dimensioni di un'intera chiesa. Né, a pensarci bene, c'era da stupirsene troppo, perchè Satana regna sui morti, cioè sulle anime di coloro che morirono due volte, una prima nel corpo e una seconda nello spirito, ed era dunque logico che questi morti avessero le loro tombe. Ma ciò che più mi fece scalpore fu il fatto che tutte le tombe erano arroventate: sotto le arche, dentro i loculi, tra i colombari scorreva la lava incandescente di Io, e fiamme altissime si alzavano fino al cielo. Per completare l'orribile paesaggio, tutte le tombe erano aperte o scoperchiate, e ne uscivano lamenti così tremendi, che avrebbero mosso a commozione persino il nucleo ghiacciato di una cometa. Domandai allora:
"Maestro mio, chi sono quelli che sono così sepolti, come i loro corpi devono esserlo nelle rispettive tombe?"
Ed egli a me: "Qui sono dannati coloro che diffusero ideologie e dottrine contrarie all'Amore che dovrebbe governare la vita civile tra gli uomini, o che spensero nei loro cuori la speranza insegnando che l'anima muore con il corpo, e che quindi non vale la pena di raccogliere tesori in Cielo, ma solo di accumulare tesori in vita. Qui dunque hanno loro dimora moltissimi filosofi ed ideologi politici, da Epicuro a Nietzsche, da Karl Marx a Bakunin, insieme a molti dei loro seguaci."
E io: "O primo tra tutti gli astronauti, dimmi: si potrebbe parlare con la gente che giace nei sepolcri di Io? Tutti i coperchi sono sollevati, e nessun demonio monta la guardia..."
Ed egli a me: "Saranno tutti serrati ermeticamente quando torneranno qui dal pianeta Giosafat, luogo del Giudizio Finale, con i corpi che hanno lasciato sulla Terra. Comunque non preoccuparti, presto il tuo desiderio sarà soddisfatto."
"O italiano che te ne vai in giro per la Città del Fuoco parlando così onestamente, fermati un momento qui. La tua parlantina mi dice che tu sei natio di quella nobile patria alla quale io forse fui troppo molesto."
Questa voce uscì improvvisamente da una delle arche arroventate, e mi spaventò al punto da indurmi a nascondermi dietro il suo scafandro. Ma Grissom mi prese e mi spinse verso il cimitero da cui era uscita quella voce, dicendomi: "Che fai, scappi? Vedi là l'Eroe dei Due Mondi che si è levato in piedi: lo vedrai dalla cintola in su."
Io avevo già fissato lo sguardo sul suo volto fiero di rivoluzionario, che sembrava intagliato nel granito, ed egli si ergeva con il petto e con la fronte al di fuori della sua bara arroventata. Mi chiesi come aveva fatto un leggendario eroe come Giuseppe Garibaldi a finire all'inferno, ma poi mi ricordai che aveva confuso lo Stato Pontificio con la Chiesa di Dio, e l'istituzione politica con quella ecclesiastica; che era stato un fiero anticlericale e massone, che aveva definito il cattolicesimo "detestabile superstizione" e che aveva lasciato scritto, casomai avesse chiesto un prete in punto di morte, di non chiamarlo assolutamente, perchè voleva dire che si era rimbambito. Anche per lui, evidentemente, questo aveva pesato di più, nel Giudizio Particolare, degli alti ideali che avevano animato la sua azione bellica, e del bene che poteva aver fatto in vita.
Appena fui ai piedi della sua tomba, egli mi guardò di traverso e poi mi chiese con aria sdegnosa: "Chi furono i tuoi antenati?"
Io glielo spiegai, ed egli alzò un ciglio e mi disse: "Come? Tra i tuoi antenati ci furono dei primi ministri del Granducato di Toscana e degli estimatori del Papato? Furono fieramente avversi a me ed alla mia parte politica, ed io li dispersi due volte, a San Fermo durante la Seconda Guerra d'Indipendenza, e al Volturno, durante la Spedizione dei Mille."
"Essi furono sconfitti, ma la loro opera politica gettò le basi della vita politica dell'Italia unitaria", gli risposi io, "ed inoltre non mi pare che voi siate riuscito a conquistare in armi Roma né tanto meno a distruggere il Papato, che infatti dura tuttora. Voi stesso siete morto in esilio volontario a Caprera."
"Il sostanziale fallimento dell'unificazione italiana e della mia opera politica mi brucia più di questa tomba", mi rispose lui scrollando il capo. "Ma non vedrai piena la Luna per cinquanta volte, prima di imparare anche tu cosa vuol dire andare in esilio, e non certo volontariamente."
Io stavo per chiedergli cosa intendesse con queste parole, quando da una tomba lì vicino, un'anima visibile dal mento in su, che doveva essersi levata in ginocchio quando mi aveva sentito parlare con Garibaldi. Si guardò in giro, come per vedere se c'era qualcun altro con me, quindi mi chiese:
"Dante? Sei tu, Dante? Se un eroe dello spazio come te è arrivato ad attraversare i mondi infernali per la sua abilità nel volo iperspaziale, perchè mio figlio Guido non è con te?"
Allora lo riconobbi: era Cavalcante Cavalcanti, il padre di Guido, il mio migliore amico ai tempi dell'Accademia della Flotta Terrestre, e lui stesso valente capitano di vascello, noto come libero pensatore laico. Con Guido Cavalcanti ero stato inseparabile, ed avevamo fatto parte di un club di scrittori di fantascienza chiamato "gli Stilnovisti" perchè la nostra tecnica narrativa di riscrivere opere classiche in ambientazione spaziale moderna era stata definita "lo Stil Nuovo". Ci siamo divertiti parecchio da ragazzi, io e Guido! Ma poi le nostre strade si erano separate: lui aveva preferito lavorare nel campo della ricerca privata sul pianeta Terra, attività certo più remunerativa della mia, mentre io avevo seguito l'istinto giovanile e il "mal di spazio" che mi aveva preso fin da bambino, diventando Pilota della Flotta. Da quanti anni non lo vedevo? Suo padre non si era mai capacitato della sua scelta, ed evidentemente era ancora convinto che, se io avessi mai compiuto alcunché di eroico, lui avrebbe dovuto essere immancabilmente al mio fianco. Un po' stizzito da questo fatto, gli replicai seccamente:
"Non vengo certo fin qui di mia iniziativa: l'Inferno non era certamente nella lista delle mie località turistiche preferite. E comunque, io non viaggio solo per amore del denaro, ma anche mosso da quell'amore dell'ignoto che forse il vostro Guido disprezzò."
"Come hai detto? Disprezzò? Oh, ma allora Guido è morto!" esclamò subito Cavalcante, e siccome io esitavo a rispondergli, ricadde a peso morto nella sua tomba.
Ma l'altro spirito, il magnanimo Garibaldi, non aveva mosso neppure un muscolo durante il mio breve colloquio con il padre del mio amico, come se non lo vedesse neppure, e mi chiese:
"Ma dimmi, perchè così tanti italiani parlano tanto male di quel Risorgimento che fu una stagione tanto gloriosa e ci portò a riunire il paese dopo 1300 anni di divisioni?"
"Perchè in effetti l'unificazione non avvenne", gli risposi io: "fu fatta l'Italia prima di fare gli Italiani, tanto per usare un luogo comune della nostra storia. Le diverse popolazioni restarono divise, continuarono a non amarsi, continuarono le sperequazioni economiche e sociali, ed in pratica la TV ed Internet unirono l'Italia molto più delle vostre camice rosse e dei vostri ideali ottocenteschi. Inoltre voi compiste l'Unità d'Italia sostanzialmente in opposizione alla Chiesa, mentre l'Italia era un paese a stragrande maggioranza cattolico, e questo non aiutò ad attirarvi simpatie fra la gente."
"Ma io non fui il solo a combattere la Chiesa, reazionaria e politicamente ferma al Medioevo", rispose l'eroe sospirando e scuotendo il capo. "Inoltre, a Napoli mi fu offerto di dormire nel letto di un re, ed invece dormii sul pavimento. Le popolazioni del Sud avrebbero dovuto capire che l'aria era cambiata rispetto ai Borboni."
"Purtroppo il grande scempio che voi e Nino Bixio compiste a Bronte, coprendo il suolo del sangue dei poveracci che speravano in una rivoluzione sociale, fece capire a tutti che l'aria era cambiata ma null'altro poteva cambiare, tanto meno la distribuzione della ricchezza", gli spiegai. "Ma, o nobile guerriero, vogliate spiegarmi una cosa. Cavalcante non sapeva che suo figlio è ancora vivo, ed ha interpretato il mio silenzio come l'esitazione a dirgli la cruda verità; voi invece conoscete il mio futuro e quello dell'Italia. Come è possibile questo?"
"Noi dannati siamo il contrario dei beati", mi disse lui, "che conoscono ogni cosa perchè la leggono nel Verace Specchio del Signore. A noi è dato di conoscere qualcosa di ciò che ancora deve avvenire, ma più le cose si avvicinano al presente, e meno le conosciamo, così come un presbite vede benissimo gli oggetti lontani, ma tutti sfocati quelli vicini."
Allora, stretto dal rimorso, non potendomi avvicinare alle tombe perchè avvolte dalle fiamme, gridai: "Cavalcante! Vostro figlio è ancora vivo, anche se è molto che non lo vedo! Macchè, non mi risponde. Devo andare, o prode Garibaldi, perchè già il mio maestro mi richiama, avendo poco tempo a disposizione per visitare l'Inferno. Ditemi, chi altri c'è qui con voi?"
Egli mi fece i nomi di famosi governanti d'Italia, antichi e moderni, che erano lì con lui per motivi non dissimili dai suoi, poi senza salutarmi tornò a sparire dietro il bordo di pietra della sua tomba. Io volsi i passi verso l'antico astronauta che mi aspettava, ripensando dentro di me alle parole di Giuseppe Garibaldi, che mi sembravano prospettare per me un futuro tutt'altro che radioso.
Grissom si avviò e poi mi chiese: "Perchè sei così pensieroso?" Io gli spiegai cosa mi aveva detto l'Eroe dei Due Mondi, e lui aggiunse:
"Conserva nel tuo cuore quello che hai udito. Quando sarai dinanzi a quella dolce creatura che ha voluto questo tuo viaggio, conoscerai il senso della tua vita e quanto ti attende."
E, così parlando, ci avviammo a continuare il nostro viaggio attraverso i pianeti e le lune della disperazione.
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Canto IX
« Dintorno
a Giove vanno a mille a mille,
saettando qual anima si svelle
d'idrogen più che sua colpa sortille. »
(Inf. XII, 73-75)
Scavalcando un ammasso di rocce sulfuree, passammo davanti a un grande sepolcro su cui era scritto: « JIM JONES IO GUARDO, CHE ALLONTANÒ 918 PERSONE DALLA DRITTA VIA ». Discutendo della distribuzione dei dannati nell'Inferno Spaziale, io e Gus raggiungemmo infine la Liberty Bell, e ci rimettemmo in viaggio.
"Finora abbiamo visto i peccatori chiamati in termine tecnico « incontinenti »", mi stava spiegando la mia guida, mentre il suo antiquato razzo decollava dalla superficie rossastra di Io, "cioè quelli che non seppero contenere i propri appetiti: i lussuriosi esagerarono con i piaceri della carne, i golosi con quelli della gola, gli iracondi non seppero tenere a freno l'ira... Ora, invece, entreremo in una parte dell'Inferno completamente diversa. Infatti il fine di ogni peccato di malizia, che attira la rabbia divina su chi lo commette, è infrangere volontariamente le leggi di Dio, e questo si può fare in due modi, con la violenza o con l'inganno. La violenza è una cieca forza belluina, mentre l'inganno è un esercizio della ragione dell'uomo; solo l'uomo infatti, tra tutti gli animali, può ingannare i propri simili. Per questo i frodatori e i traditori sono più lontani dal Sole dei violenti, e dunque per primi incontreremo loro. Ora, si può usare violenza contro il prossimo, ed ecco gli assassini, i predoni, i sequestratori, i serial killer, gli aguzzini. Si può usare violenza contro se stessi, ed ecco i suicidi. Si può usare violenza contro Dio, ed ecco i bestemmiatori. Si può usare violenza contro la natura, ed ecco gli inquinatori e i cacciatori di frodo. Si può infine usare violenza contro il lavoro dell'uomo; è per questo che incontreremo gli speculatori e i mafiosi. Subito dopo, usciti dal sistema gioviano..."
"Ehm... Senti, Gus, c'è una cosa che dovrei dirti", lo interruppi io a quel punto. Egli mi guardò in faccia, e si avvide che ero pallido come un rospo delle caverne di Sirio B III.
"Qualcosa che non va, Dante?"
"Direi proprio di sì. Stai manovrando diritto verso le nubi di Giove."
Era vero: la mia guida stava pilotando la sua nave proprio verso le nubi color nocciola del gigante del Sistema Solare. Ora, noi intrepidi lupi di mare dello spazio ce la ridiamo del morso di una vedova nera di Beta Centauri IX, attraversiamo senza paura le cinture di asteroidi che circondano i pianeti del Sistema Narn, ma fin dal primo anno dell'Accademia veniamo ammoniti in questi termini: "Mai avvicinarsi troppo a un gigante gassoso, altrimenti dovremo buttare dei soldi per organizzare la vostra cerimonia di commemorazione!" Anche un pivello infatti sa che, al di là di un certo punto di non ritorno, l'attrazione gravitazionale del gigante gassoso è così forte, che neppure un incrociatore stellare di Classe Galaxy può sfuggire al suo abbraccio. E, una volta precipitati dentro le nubi di un colosso come Giove, si cade, si cade, si cade finché la pressione è tale da schiacciarti come una nocciolina americana.
Potete perciò immaginare con quale sorpresa udii l'astronauta dell'Apollo 1 spiegarmi, con il più naturale dei sorrisi: "Oh, ma è proprio là sotto, che sono diretto."
Se mi avesse risposto: "Pensavo che all'Inferno ti trovassi così bene, da volerci restare per sempre!", mi sarei sentito meno spiazzato. L'unica cosa che riuscii a ribattergli fu:
"Gus, questo guscio di noce non sopporterà mai e poi mai la pressione dell'atmosfera gioviana."
"Lo so", replicò lui, come se stesse parlando di farsi una bella vacanza su Risa, il Pianeta del Piacere. "Infatti sto impostando il pilota automatico per permettere alla mia navetta di tornare nel suo hangar ultraterreno. Saremo noi, a scendere nell'atmosfera!"
Improvvisamente capii le intenzioni del mio mentore, e il sangue mi abbandonò i piedi.
"Pa... paracadutismo orbitale?" balbettai io, cercando di deglutire a vuoto come se avessi un bullone di traverso nel gargarozzo.
"Proprio così", sorrise Virgil, chiudendosi la visiera del casco e tirando fuori il paracadute da sotto il sedile. "Andiamo, so che eri un campione, durante le esercitazioni al tempo dell'Accademia!"
"Gus, sono passati quasi vent'anni. E poi, gettarsi a capofitto nelle nubi di Giove... è un suicidio!"
"Non dicevi la stessa cosa su Epsilon Indi I, quando sfidasti il tuo rivale Filippo Argenti a una gara di paracadutismo orbitale per conquistare l'amore di Beatrice", sorrise lui, forzandomi a indossare il paracadute. "Eppure, i più lo hanno giudicato proprio così."
Sospirai. "E va bene. Suppongo che sia necessaria anche questa prova, per rivedere gli occhi belli della mia donna. Ma... perchè hai impostato il pilota automatico della Liberty Bell perchè torni al punto di partenza? Come faremo a tornare a bordo, una volta visitato quel girone infernale?"
"La Liberty Bell è inadatta a proseguire tra i pianeti più esterni dell'inferno", mi spiegò lui, infilandosi a sua volta il paracadute. "Da qui in poi, sfrutteremo un nuovo mezzo di trasporto."
Non osai chiedergli di cosa parlasse, temendo l'arrivo di chissà quale diavoleria infernale: ero già spaventato abbastanza all'idea di precipitarmi nel vuoto verso le nubi di ribollenti di Giove, dall'altezza di più di cinquantamila chilometri. A quel punto Gus aperse il portellone, mi prese per mano, ed entrambi saltammo giù, verso quella sfera di gas che avrebbe terrorizzato persino il mitico Capitano Jean-Luc Picard. Alle nostre spalle, la Liberty Bell accese i motori e sfrecciò via, veloce come un sogno.
"O la va o la spacca", pensai io, mentre precipitavo verso le nubi fangose di Giove, con la mano stretta in quella di Grissom, senza il quale mi sarei davvero sentito solo come nel vuoto intergalattico. A un certo punto, quando ormai i vortici sotto di noi erano così vicini da poter distinguere la diversa altezza dei vari strati di nubi, la mia guida tirò la leva del paracadute, ed io feci altrettanto.
L'impatto del paracadute orbitale contro i gas dell'esosfera gioviana fu sufficiente per rallentare la mia velocità di un terzo, e fu già tanto se la decelerazione non mi fece rovesciare lo stomaco. Invidiavo Gus, che sembrava tranquillo come se fosse seduto davanti al caminetto di casa sua, naturalmente prima di ricordarmi che lui non aveva più uno stomaco. Man mano che precipitavo dentro le nubi di Giove, la mia velocità diminuiva e io sentivo l'attrito dell'atmosfera che sfrigolava contro la superficie del paracadute, ma apparentemente su di me non aveva alcun effetto: una volta penetrato in quelle nubi color mattone, ero convinto di fare la fine della patatina fritta in padella, ed invece io attraversavo quegli imponenti cumulonembi come se avessi la loro stessa consistenza. Dovetti penetrare per più di cinquemila chilometri in quel mare di gas squassato da fulmini e da venti micidiali prima di trovare la risposta a quell'enigma:
"Non sto andando a fuoco a causa dell'attrito, perchè il Signore ha concesso al mio corpo di carne la consistenza di un corpo di plasma!"
"Proprio così", mi rispose Virgil attraverso la radio, ed a quel punto compresi di aver pensato ad alta voce. "La pressione delle nubi a questa profondità è già così forte, da ridurre alle dimensioni di una sogliola qualunque oggetto che vi finisca dentro. Ma questo non vale per i corpi fluidi. Il plasma può assumere la stessa consistenza del materiale che attraversa, e questo è il motivo per cui le nubi di Giove possono ospitare le anime dei Violenti."
"Giove è il pianeta dei sovrani, che governano con il pugno di ferro", gli feci notare io. "Mi sembra giusto che i Violenti siano internati qui dentro."
"Proprio così. Ma ora liberati del paracadute, Dante: ormai non ne abbiamo più bisogno."
Ciò detto, sganciò la vela cui era appeso, e io lo imitai, pronto a non stupirmi più di nulla. Infatti a poco a poco rallentai spontaneamente, fino a porre i piedi dentro una specie di fango che appariva denso e colloso, ma sembrava in grado di sostenermi. Dovunque cadeva dall'alto una fitta pioggia di gocce dense e schiumose, per colpa delle quali periodicamente ero costretto a pulire la visiera del casco per poterci vedere qualcosa.
Accesa la luce principale del casco, inquadrai Virgil a poche spanne da me attraverso la densissima nebbia che ci circondava, e domandai: "È idrogeno quello su cui siamo atterrati, vero?"
"Sì, per la precisione idrogeno allo stato di gel", mi spiegò la mia guida, avanzando cautamente in quella specie di palude. "È la pressione esistente a questa profondità a mantenerlo in questo stato semiliquido. E le gocce che ci piovono dagli strati superiori sono fatte di elio liquido. Proprio questi elementi costituiscono il supplizio dei dannati qui imprigionati."
"Cosa intendi dire?" stavo per domandargli, quando vidi improvvisamente a poca distanza da me come delle figure umanoidi, che però sembravano possedere una testa abnormemente sviluppata, rispetto al tronco che la sorreggeva. Sbirciare attraverso la densissima nebbia che ricopriva quella palude d'idrogeno era davvero difficile, per cui non riuscivo a capire che razza di esseri mostruosi potessero vivere in quelle abissali profondità flagellate da una pioggia d'elio, e la paura dell'ignoto mi tratteneva dall'andare oltre.
A quel punto, Gus mi prese la mano e mi condusse avanti insieme a lui, cosicché finalmente potei riconoscere a che razza appartenevano quei guardiani alieni. I loro vestiti ricchi di pizzi e di gorgere, che mi ricordavano quelli del XVII secolo terrestre, e soprattutto le creste a raggiera con le quali erano acconciati i loro capelli, mi fecero capire che si trattava di Centauri.
"Sono i guerrieri Centauri che perirono nella Guerra dei Drakh, gli ex servitori delle Ombre che tentarono di distruggere l'Alleanza Interstellare alla fine del XXIII secolo", mi spiegò Grissom, come se anche questa volta mi avesse letto nel pensiero. "La distruzione di navi civili Drazi e Narn da parte dei Drakh, ingiustamente attribuita ai Centauri, provocò il bombardamento di massa del pianeta Centauri Primo ad opera delle flotte di quei popoli nel 2262. Questi che vedi sono i guerrieri Centauri che persero la vita in quell'inutile scontro, ed ora sono posti qui allo scopo di punire coloro che usarono violenza contro il loro prossimo."
"Sì, ma dove...?" stavo per domandare, intendendo dove si trovavano i dannati, ma subito vidi qualcosa come delle teste umane sbirciare al di fuori di quel gel d'idrogeno, ed allora capii: gli assassini erano tuffati dentro quel lago la cui temperatura era altissima, a dispetto del fatto che il gas fosse gelificato, per via della pressione colà esistente, la quale non sembrava avere effetto né su di me, né su Gus né sui Centauri; ma sembrava averne parecchio (e terribile) sui dannati, i quali cercavano appena possibile di cacciare fuori la testa da quel magma, più incandescente di quello fuoriuscito dai vulcani di Io. Appena però uno dei guerrieri vedeva un peccatore cercare di tirarsi fuori da quella materia terrificante, incoccava l'arco e gli tirava una freccia; probabilmente essa era avvelenata, giacché il malcapitato ricadeva nel fango come morto. Ma nessuno può uccidere chi è già morto, e sono certo che ben presto quell'assassino avrebbe cercato di cacciare nuovamente la testa fuori dalla palude rovente, beccandosi una nuova freccia, e così via per tutta l'eternità.
"A quale pena Ming ha condannato voi due, che restate lì impalati come due belle statuine? Se non me lo direte, vi faccio imbottire di frecce come due puntaspilli!"
Io e Virgil ci girammo, e vedemmo un Centauri più eminente degli altri, vestito elegantemente di bianco e con la cresta più nobile e imponente che avessi mai visto. Egli aveva in mano un arco e una freccia, ma quest'ultima non era incoccata; era invece circondato da altri due Centauri e da un Narn, quest'ultimo privo dell'occhio sinistro, e loro sì avevano le frecce incoccate negli archi e puntate minacciosamente verso di noi.
"Ordina ai tuoi uomini e al tuo fedele amico G'Kar, che ti ha seguito anche nell'Oltretomba, di abbassare le armi, imperatore Londo Mollari", gli rispose Gus, per nulla impressionato da quelle tre saette pronte ad infilzarlo come San Sebastiano. "Io sono Virgil Grissom, e questi è il mio discepolo Dante Alighieri. Lui è vivo, ed io non sono un assassino, venuto qui a scontare la condanna eterna. Un'anima beata smise per un momento di cantare le lodi a Dio e mi implorò di salvare costui da una brutta fine, facendolo passare attraverso i pianeti infernali. È la necessità a condurci qui, e non certo il desiderio di fare turismo."
"Ho sentito parlare di te, Virgil Grissom", gli rispose colui che fu sovrano dei Centauri dopo la morte dell'imperatore Cartagia e del Reggente Virini, "sia quando ero su Centauri Primo, sia dopo essere stato designato come carceriere di questi sciagurati. Abbassate le armi, ragazzi."
I due Centauri obbedirono, ma il Narn continuò a puntare il suo arco su di me, scrutandomi attraverso l'unico occhio rosso. Londo allora allontanò la freccia da me con una mano e ripetè:
"Amico mio, metti giù l'arma. Ti assicuro che questi non hanno ucciso nessuno, a differenza nostra."
"È per questo che sei qui e non in Paradiso?" gli domandò Grissom, a cui Mollari rispose sospirando:
"Ahimé sì, non fui un buon imperatore, e commisi troppi crimini nella Guerra contro le Ombre e poi, quando ero sotto l'influenza dei Drakh. È già tanto se non sono finito io stesso, tuffato dentro quel gel micidiale. Ma bando alle ciance. Cosa vuoi, terrestre?"
"Voglio un lasciapassare per arrivare più in profondità nel pianeta, là dove sono puniti i bestemmiatori."
"L'avrai", annuì Mollari. "Ma non vi conviene andare da soli, questo mare di idrogeno è pieno di pessimi elementi. G'Kar, scortali fino al gorgo più vicino. E tu", aggiunse al mio indirizzo, "ricordati, quando tornerai nell'universo dei vivi, di far sapere a tutto il mio popolo che, se Londo Mollari non si trova nel più alto dei Cieli, non è neppure dannato come si conviene al peggior tiranno dei Centauri."
Io annuii, ma per conto mio guardai Gus spaventato, giacché era stato designato come nostra guida proprio colui che aveva resistito all'ordine del suo capo di non infilzarmi come un tordo. Questi tuttavia mi fece segno di seguire il Narn, che si era mosso camminando sopra la superficie di quella palude ed affondando in essa solo fino alla caviglia, come noi, mentre i dannati vi erano immersi a capofitto. "Sembra feroce nello sguardo, ma è stato un grande leader del suo popolo, e rifiutò di essere un tiranno quando la sua gente era disposta ad obbedire ad ogni suo comando", mi sussurrò Gus attraverso la radio, mentre la pioggia d'elio attorno a noi si faceva più fitta. "Non preoccuparti, non ci farà alcun male."
"Spero proprio che tu non ti sbagli", risposi io, osservandolo terrorizzato mentre continuava a tirare frecce contro i dannati che tentavano di sporgere la testa fuori da quel bulicame. Essendosi accorto che io osservavo quei malfattori come se cercassi di riconoscere qualcuno, il Narn con un occhio solo mi spiegò, senza voltarsi a guardarmi in faccia:
"Qui ricevono pan per focaccia coloro che sparsero il sangue dei fratelli sui loro mondi. Quello che vedi laggiù, nell'ombra, è conosciuto come Jack lo Squartatore, uno dei peggiori serial killer che la storia ricordi. A poca distanza ci sono Adolf Eichmann e Reinhard Heydrich, i quali uccisero milioni di persone inseguendo l'incubo della razza perfetta. Quel capo calvo che vedi emergere dallo stagno" – e, ciò detto, gli tirò un dardo avvelenato – "è Lavrentij Berija, che commise crimini orrendi con la sua polizia politica. La donna scarmigliata che vedi laggiù è Leonarda Cianciulli, che delle sue vittime faceva sapone. Quei due che stanno vicini, eppure litigano in continuazione tra loro, sono invece Apophis e Anubis, due tra i peggiori Goa'uld, che si spacciarono per déi egizi e sterminarono interi pianeti, prima di essere spacciati dagli eroici membri della squadra SG-1. E quelli laggiù sono membri della setta fanatica degli Assassini: come recita il loro stesso nome, non potevi che ritrovarli qui."
"E quello laggiù tutto solo, chi è?" mi arrischiai a domandare io, trovandolo stranamente disponibile a parlare. G'Kar allora atteggiò il viso squamoso ad una smorfia di disgusto, digrignò i denti e gli tirò una freccia con più astio del solito, prima di rispondermi:
"Quell'essere non si limitò ad assassinare 77 persone, solo perchè militavano in un partito diverso dal suo, ma chiese anche scusa pubblicamente per non averne uccise di più. Il cuore di quelle povere vittime ancora cola sangue sull'isola norvegese di Utøya, al solo nominare quel maledetto. Ora scommetto che desidererebbe in cuor suo di averne uccise di meno!"
Scosso da un brivido, evitai anche solo di avvicinarmi a quell'incarnazione del puro male, e seguii alla svelta il Narn, divenutomi improvvisamente simpatico, perchè odiava gli stessi esseri crudeli che odio anch'io, desideroso di abbandonare più in fretta possibile quel ricettacolo di perfidi assassini, per i quali la vita umana erano solo un bersaglio nel mirino delle loro pistole!
Nota: La
scritta « Jim Jones io guardo... » fa riferimento al più famoso suicidio
collettivo da parte di una setta, quello compiuto il 18 novembre 1978 a
Jonestown, in Guyana: 909 membri della setta del "Tempio del Popolo" si tolsero la vita ingerendo cianuro,
cui vanno aggiunte altre 9 persone morte per ordine del reverendo Jim Jones.
Questo evento è ricordato come uno dei maggiori esempi di fanatismo religioso
nell'era moderna.
Risa, detto il Pianeta del Piacere, è un membro della Federazione Unita dei
Pianeti nell'Universo di Star Trek, caratterizzato da un clima stabile e da paesaggi stupendi,
che i nativi sfruttano al massimo per arricchire grazie al turismo.
I Centauri a guardia degli assassini, come avrete compreso da soli, non sono
certo gli esseri metà uomo e metà cavalli tramandatici dalla mitologia greca,
ma una delle specie principali della saga di "Babylon 5",
esteriormente simili agli Homo sapiens, ma caratterizzati dai capelli acconciati
a cresta. Londo Mollari fu prima ambasciatore Centauri su Babylon 5, poi
reggente della Repubblica ed infine Imperatore, ma sotto il controllo dei
perfidi Drakh, che tentarono di causare una guerra galattica. G'Kar è l'amico
Narn di Londo, che aveva perso l'occhio sinistro per colpa del capriccio del
precedente Imperatore Cartagia; Londo e G'Kar si uccisero a vicenda, allo scopo
di sconfiggere definitivamente i Drakh. Mi sembrava perciò giusto lasciarli
uniti anche in questo "oltretomba spaziale".
Segue poi una terrificante lista di spaventevoli assassini. Jack lo Squartatore
non ha bisogno di presentazioni; siccome permane fitto il mistero sulla sua
reale identità, anche in questo caso lo vediamo in ombra, come se non lo si
potesse riconoscere (qualcuno ha proposto addirittura che fosse una donna).
Adolf Eichmann (1906–1962) è stato il maggior responsabile dello sterminio degli ebrei nella Germania nazista,
e per questo fu giustiziato dallo Stato di Israele. Reinhard Heydrich
(1904-1992) fu uno dei più spietati gerarchi del Terzo Reich; dal settembre 1941
fu governatore del Protettorato di Boemia e Moravia, governandola come un
tiranno sanguinario ed ordinando stragi e persecuzioni, tanto da guadagnarsi l'appellativo
di "Boia di Praga". Fu con Eichmann uno dei promotori della
"Soluzione Finale", fino a che non venne assassinato da partigiani
cecoslovacchi. Lavrentij Pavlovič Berija
(1899–1953) era il capo della polizia segreta di Stalin, ed è considerato l'anima nera del
"Piccolo Padre", cinico esecutore e suggeritore di molte persecuzioni e delitti,
fino a che non fu liquidato dagli altri capi del PCUS dopo la morte del
dittatore.
Leonarda Cianciulli (1893 –1970), nota come la Saponificatrice di Correggio, attirò in casa e uccise tre donne per
"sacrificarle", credendo che le loro morti avrebbero tenuto in vita i suoi
figli, e con i loro cadaveri fece delle saponette; per questo fu condannata a 30 anni di carcere,
e in carcere morì.
Gli Apophis e Anubis nominati subito dopo non sono gli omonimi déi egizi, bensì
due acerrimi nemici dei terrestri nella saga di "Stargate SG-1".
Infine, il killer solitario di cui tutti hanno ribrezzo è il folle Anders Behring Breivik,
fanatico neonazista che il 22 luglio 2011 uccise 8 persone con una bomba ad Oslo
e poi altre 69 (tutti ragazzi trai 14 e i 20 anni) a sangue freddo sull'isola di
Utøya, dove era in corso un campus estivo del Partito Laburista norvegese.
Essendo costui l'unico vivente tra i personaggi qui citati, l'autore di quest'opera
spera che egli si penta prima di morire, e scampi così la condanna eterna che
gli arriverebbe nella realtà, e non solo nella mia finzione. Il suo inserimento
in questa lista di spietati assassini ha però lo scopo di denunciare con forza
il crimine da lui commesso, sperando che persone come lui sulla Terra non
nascano mai più.
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Canto X
« E 'n su la punta de la rotta lacca
l'infamïa di Moreau era distesa
che fu concetta ne la falsa vacca... »
(Inf. XII, 11-13)
Percorremmo non so quanto tratto di cammino sotto quella dannata pioggia di elio liquido, in un ambiente così nebbioso che al suo confronto Londra ha un clima ridente e mediterraneo, tra le teste di quei criminali che di quando in quando emergevano dallo stagno d'idrogeno come i maccheroni dall'acqua bollente; secondo i miei calcoli, ci trovavamo almeno a diecimila chilometri di profondità sotto le nubi più esterne di Giove, e sebbene questa profondità possa parere astronomica ai miei lettori, si trattava in effetti di appena un settimo del raggio del pianeta. Durante quella marcia silenziosa tra le ombre di serial killer, criminali di guerra e cultori del sadomaso mi venne fatto di pensare che, se un giorno mi avessero raccontato che avrei passeggiato tranquillamente dentro un ammasso di gas la cui temperatura era di 1000 Kelvin e la cui pressione toccava il MegaPascal, mi sarei messo a ridere di gusto, poiché neppure il più fanfarone degli astrostoppisti ha mai potuto vantare imprese tanto sovrumane!
In realtà devo ammettere che l'espressione "passeggiato tranquillamente" non corrisponde alla realtà, per via dei loschi figuri che incrociavano da quelle parti. Ad esempio, a un certo punto vidi saltar fuori da quella palude la testa di un dannato che aprì le fauci e tentò di addentarmi un piede; io feci appena in tempo ad evitarlo compiendo un balzo indietro, ma sarei cascato in quello stagno della consistenza della marmellata se Gus non mi avesse afferrato un braccio. Ad ogni modo ci pensò G'Kar a togliere di mezzo quel maniaco, conficcandogli una freccia nella nuca. Mentre lo osservava affondare, mormorò con sarcasmo:
"Hannibal Lecter ci tiene a mantenere la sua reputazione, che gli è valsa il soprannome di Hannibal the Cannibal! Acceleriamo il passo, il gorgo più vicino è a pochi passi da noi!"
Non ero per nulla rassicurato dalla parola « gorgo » che i custodi degli omicidi continuavano a ripetere ma, dopo aver intravisto Lex Luthor, Jocker, il Pinguino, Green Goblin ed altri supercriminali che sicuramente se ne infischiavano delle frecce del nostro accompagnatore Narn, decisi che qualsiasi alternativa era preferibile a quei gaglioffi, ed allungai il passo dietro al Narn e a Grissom. Fu così che giungemmo infine ad un punto dello stagno dal quale non emergevano teste di pendagli da forca, ma il fluido sembrava scorrere verso una precisa direzione, come se una specie di elica avesse provveduto a metterla in moto per qualche strano motivo. Non feci comunque in tempo a chiedere a G'Kar che cosa stesse turbando la palude degli assassini, poiché udii un sordo brontolio reso più intenso dall'alta densità del materiale attraverso cui ci muovevamo, che proveniva da un punto davanti a noi, e fu allora che compresi cosa intendevano dire Londo Mollari e i suoi Centauri con la parola "gorgo".
L'idrogeno fluido che turbinava davanti a noi veniva letteralmente inghiottito da un vortice, grande come il Maëlstrom e spaventoso come la Macchia Rossa di Giove, il quale trascinava nell'abisso quell'idrogeno che aveva la densità del miele. Io diventai bianco come un fantasma e mormorai:
"Gus, non vorrai che... che ci gettiamo là dentro..."
"Non c'è altra strada, per giungere entro il Mantello di Giove", mi rispose G'Kar con aria spiccia, prima che Virgil Grissom potesse rispondermi con maggior gentilezza. "L'energia che si sprigiona dal nucleo radioattivo di Giove fa risalire idrogeno dal suo centro, ed è logico che tale risalita sia compensata dalla caduta di materiale più freddo. Dov'è che hai imparato la Fisica Planetaria, terrestre?"
Tutt'altro che tranquillizzato dal tono di quelle parole, pronunciate da uno che evidentemente i terrestri li aveva in antipatia fin dalla nascita, io esclamai: "Scusate, ma mi sono ricordato di aver lasciato aperto il rubinetto del bagno. Torno subito." Ciò detto, feci dietrofront e mi allontanai di tre passi dal mulinello, ben desideroso di ritrovare in qualche modo una strada per ritornare alla superficie del Gigante Gassoso. Né Gus né G'Kar però fecero in tempo a ricordarmi ciò che rischiavo, perchè improvvisamente dalla nebbia davanti a me emerse un essere mostruoso, al cui confronto persino Hannibal Lecter pareva un allegro compagnone con cui bersi una birra ghiacciata la sera al pub.
Era alto almeno tre metri, era completamente nudo, rivelando così dei muscoli potentissimi, e al posto della testa umana esibiva una terrificante testa di toro, con lunghe corna acuminate. I suoi occhi belluini iniettati di sangue mi scrutavano come se si preparasse a caricarmi a testa bassa da un momento all'altro, mentre una bava sanguinolenta gli colava dalla bocca e si dissolveva a contatto con l'idrogeno gelificato. Non feci neppure in tempo a spaventarmi per la sua comparsa, ed ecco che alla mia destra si sollevò dallo stagno maledetto un altro mostro teratomorfo. Anch'esso superava i tre metri di statura, e mostrava un petto tartarugato e degno di un lottatore di Tsunkatse sul pianeta Norcadia, ma a renderlo terrificante era la testa, che apparteneva a una Tigre dai Denti a Sciabola di Capella VI, e le braccia, che terminavano in artigli appartenenti allo stesso animale. Persino le gocce di elio liquido che piovevano dall'alto sembravano evitarlo, avendo terrore di lui.
"Che ci fa qui Naoto Date?" mi domandai, arretrando sensibilmente, ed incredulo che un eroe senza macchia e senza paura come l'Uomo Tigre potesse essere finito confitto in quello stagno in compagnia di Jack lo Squartatore e dei peggiori aguzzini nazisti e bolscevichi. Non ci volle però molto a capire che quel mostro partorito dagli abissi dell'inferno non aveva più in comune con l'invincibile lottatore giapponese di quanto può averne un tirannosauro con una pianta di prezzemolo, dal momento che esso lanciò un ruggito il cui frastuono, è proprio il caso di dirlo, nulla aveva di umano.
Subito mi voltai a sinistra per tagliare la corda, ma vidi apparire come dal nulla un terzo gigante, della stessa statura dei primi due, la cui testa squamosa appariva piuttosto quella di un dinosauro armato di un micidiale becco osseo. Anche i suoi occhi vitrei mi fissavano con intenzioni tutt'altro che amichevoli, mentre il suo becco si apriva come per invitarmi a pranzo (ovviamente il piatto forte ero io). Paralizzato dal terrore di fronte a quelle tre spaventose apparizioni, cominciai a raccomandare l'anima a Dio, quando mi raggiunse la voce di G'Kar, ancora più sarcastica di prima:
"Allora, capitano Alighieri, vuoi restare qui in compagnia delle creature messe insieme dal dottor Moreau nei suoi simpatici esperimenti di vivisezione, o preferisci seguire il tuo compare nel Mantello di Giove?"
"Ripensandoci, ho sempre sognato di vedere com'è fatto il Mantello di un gigante gassoso", esclamai io, dandomela a gambe e raggiungendo Gus, che era già avanzato dentro il gorgo a un punto tale, che l'idrogeno semisolido gli arrivava alla cintola. Subito dopo però mi voltai ad osservare di nuovo le paurose ombre degli orrendi risultati degli esperimenti di quel leggendario scienziato criminale, e domandai al Narn con aria apprensiva: "E tu, come farai a salvarti dalla loro collera? Le tue frecce non ti basteranno, contro di loro."
"Fossi in te, aspetterei prima di darmi per spacciato", ghignò G'Kar in direzione dei tre bestioni che avanzavano verso di noi, incoccando una freccia più grossa delle altre. Appena egli la ebbe applicata sul riser, essa si incendiò da sola, brillando di una luce così intensa da ferire sia i miei occhi che quelli di Grissom.
"Voi credete che sia qui il medico pazzoide che vi trasformò in orrende chimere?" urlò l'eroe dello spazio, venerato come un Messia dai suoi compatrioti. "Andatevene via, bestie: costoro non vengono per eseguire nuovi, crudeli esperimenti su di voi, ma per toccare con mano le pene infernali!"
A quel punto Gus mi afferrò per un braccio, e prima che il Narn avesse il tempo di incendiare tutto l'idrogeno circostante il Maëlstrom, mi trascinò con sé nell'occhio del ciclone. Immediatamente fui risucchiato dall'incalcolabile sbalzo di pressione tra le due estremità di una tromba marina, e mi sentii come un filetto di manzo infilato dentro un tritacarne. Nel frattempo, sentivo che stavo precipitando, insieme alla cascata del fluido la cui corrente mi trascinava verso il basso, attratto da una gravità che ogni secondo si faceva più intensa. Urlai non so per quante volte il nome di Gus, dal momento che non lo vedevo più vicino a me, ma non ottenni alcuna risposta. Quanto durò quella caduta? Impossibile quantificarlo. So solo che pregai freneticamente l'anima santa di Beatrice, convinto com'ero che, al termine di quella caduta, sarei andato a sfracellarmi miseramente da qualche parte. Ma non avevo fatto i conti con la fisica.
Infatti, man mano che cadevo mi accorsi che la velocità della discesa andava diminuendo, e che il fluido gelificato dal quale ero stato trascinato giù si faceva sempre più denso, acquistando la consistenza della melassa, poi dell'impasto del pane, ed infine dello zucchero che sta caramellandosi. "Alla fine resterò cementificato qui dentro, come un fossile", mi dissi, ma a quel punto sentii due robuste braccia che mi tiravano fuori da quella specie di pasta per pizza, mettendomi a sedere da qualche parte su una superficie solida. L'incredibile, emozionante, indescrivibile caduta a capofitto verso l'interno di Giove era finita, ed inaspettatamente io ero ancora tutto intero!
Nota:
Hannibal Lecter non ha certo bisogno di presentazioni, così come i
"supercattivi" nominati subito dopo. Mi limiterò a ricordare che Lex
Luthor è nemico di Superman, il Jocker e il Pinguino combattono contro Batman,
e il Green Goblin è la nemesi di Spiderman.
Il pianeta Norcadia è un mondo del Quadrante Delta incontrato dalla "Voyager"
nella sua settennale odissea verso casa; lo Tsunkatse è un tipo molto violento
di combattimento corpo a corpo tra due lottatori, visto nella puntata di
"Star Trek, Voyager" il cui titolo originale è proprio "Tsunkatse".
Naoto Date è il protagonista del manga giapponese "L'Uomo Tigre", un
lottatore che combatte indossando una maschera raffigurante la testa di questo
animale.
I tre mostri metà uomini e metà
animali si rivelano essere quelli descritto ne "L'isola del dottor Moreau",
drammatico romanzo di fantascienza di Herbert George Wells pubblicato nel 1896.
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Canto XI
« O
Johnny Rico, in ciò che non s'ammorza
la tua superbia, se' tu più punito:
nullo martiro, fuor che la tua rabbia,
sarebbe al tuo furor dolor compito »
(Inf. XIV, 63-66)
Quando sentii lo stomaco tornare finalmente al suo posto, mi guardai in giro, e potete immaginare come ci rimasi, vedendo che stavo seduto su una specie di masso di colore blu elettrico, quasi fosforescente. Io e Virgil avevamo acceso i fari che portavamo in cima al casco e al polso destro, e facendo girare all'intorno i fasci di luce da essi proiettati, ci rendemmo conto che il masso su cui eravamo seduti era solo uno di un'enorme distesa, così da somigliare a un tappeto di ghiaia, ciascuno dei cui frammenti aveva dimensioni di alcuni metri. Sopra di noi si stendeva una nebbia, ancora più fitta e densa di quella che avevamo incontrato nella terra degli omicidi seriali, tanto che, quando mi alzai cautamente in piedi e mi girai all'intorno, mi sembrò di essere un sub che nuota dentro l'elemento liquido.
"Dove siamo, Gus?" domandai io, timoroso di conoscere la risposta. Ed infatti la mia guida mi spiegò:
"Siamo nel mantello di Giove, Dante, a più di quarantamila chilometri di profondità sotto le sue bande di nuvole."
"Ma se così fosse", gli obiettai io, saltando su di un altro masso bluastro, "la pressione sarebbe tale che l'idrogeno..."
"Sarebbe allo stato metallico", concluse lui, con la solita flemma tipica di chi sa che nulla può più stupirlo. "E di cosa credi che siano fatte, le rocce su cui ci troviamo?"
Incredulo dopo quella rivelazione, percossi il masso con lo stivale della mia tuta, e lo sentii rimbombare come se fosse fatto di bronzo. "È... è incredibile", affermai io, sempre più stupefatto. "Ma allora, la nebbia che ci circonda..."
"È sempre idrogeno, molto più denso di quello nel quale erano tuffati gli assassini incontrati sotto la pioggia di elio liquido, ma non ancora abbastanza per giungere allo stato metallico!"
Io mossi il braccio intorno a me, come per saggiare la resistenza dello strano smog che mi circondava, ed esclamai: "Ma sei sicuro, maestro mio? Quello stagno maledetto e brulicante di mostri mi sembrava assai più denso di questa sostanza: quello infatti era in grado di sostenere il mio peso, mentre invece in questa materia mi muovo come fa un palombaro sott'acqua!"
"Il fatto è che anche tu sei cambiato, Dante", mi spiegò Grissom, saltando da un masso all'altro verso una meta nota solo a lui. "Infatti il tuo corpo, come già sai, ha acquisito la consistenza di un corpo fluido, come il mio e come quello dei dannati qui tuffati, e mano a mano che precipitavamo e la pressione saliva, esso stesso è diventato più resistente, in modo da non rimanere schiacciato dall'immane pressione degli strati superiori del pianeta!"
"Ecco perchè ho rallentato anziché sfracellarmi sull'idrogeno metallico!" sbottai io, mentre mi reggevo a Gus per non scivolare su quei massi che sembravano fatti davvero di lucido metallo, giacché a quelle pressioni l'idrogeno ha la consistenza e le proprietà dell'acciaio. "Ho acquisito la stessa densità del materiale che ci circondava, e mi sono messo per così dire a « galleggiare » dentro di esso!"
"Bravo, ora ti riconosco come mio discepolo", sorrise al mio indirizzo la mia guida, anche se io intravidi appena il suo compiacimento, attraverso lo spesso strato di idrogeno pastoso che mi separava da lui. "Sopra eravamo come sulla superficie di un mare, con le piante sopra il pelo dell'acqua e il corpo immerso nell'atmosfera. Qui, invece, sembra di trovarsi con i piedi sul fondo del mare, e di avanzare all'interno dell'elemento liquido."
"Speriamo solo di non incontrare degli squali balena di Talax II", mormorai io, ma Grissom mi udì, si voltò verso di me e commentò con aria più seria del solito:
"Ti assicuro che non c'è squalo peggiore, di colui che bestemmia senza posa il nome del Creatore!"
"Che Dio ci scampi e liberi!" replicai io, facendomi rapidamente il segno di croce. Non ho mai osato definire me stesso un buon cristiano, viste le mille tentazioni a cui sono stato esposto durante i miei inesausti viaggi, ma se c'è una cosa che ho sempre odiato, questa è proprio la bestemmia. Se tu credi in Dio, perchè offenderLo? E se non ci credi, perchè Lo chiami in causa? Sarebbe come se io maledicessi i mostri invisibili di Altair IV, pur sapendo che essi non sono mai esistiti, essendosi originati dalla mente dei Krell e del Professor Edward Morbius! Purtroppo però non tutti i capitani di nave la pensavano come me, e tiravano giù bestemmie a vagonate anche senza motivo; vi confesso perciò che ero inquieto, come se temessi di incontrare là qualcuno dei miei vecchi amici della tazza, scomparsi nel corso di pericolose missioni o durante la Guerra dei Cloni.
Ero talmente preso da questo timore, che scivolai sulla superficie di uno dei massi sul quale avevo messo i piedi, e sbattei dolorosamente il fondoschiena, poiché Gus non fu lesto ad afferrarmi. Il mio mentore scosse il casco e mi ammonì:
"Dante, Dante, perchè non guardi dove metti i piedi? Se la tua tuta spaziale si lacera, non sarà più soggetta agli speciali poteri che ti sono stati dati per viaggiare all'interno dei giganti gassosi del Sistema Solare, e sarai immediatamente ridotto a una sogliola dalla pressione, oltre naturalmente a venire abbrustolito dalle temperature che si registrano a queste profondità!"
Mentre mi porgeva una mano per aiutarmi a rimettermi in piedi, io borbottai sbuffando: "Uff! Mi devi scusare, Gus, ma l'addestramento della Flotta Stellare non prevedeva una passeggiata sull'idrogeno metallico con un libro in testa!"
"Non ti sei rotto nulla, se hai ancora voglia di fare dell'ironia", sorrise l'antico astronauta, che premette un tasto sulla mia tuta ed azionò gli stivaletti magnetici, normalmente utilizzati per camminare sulla superficie esterna delle astronavi. Osservando che essi facevano presa su quella materia assolutamente aliena, esclamai:
"Ehi, è incredibile! L'idrogeno metallico è sensibile ai campi magnetici!"
"Già, e conduce elettricità e calore", aggiunse Grissom, riprendendo la marcia dopo aver attivato anche i propri scarponi magnetici. "Proprio per questa ragione dovremo essere molto cauti, poiché..."
Non fece in tempo a finire il suo ammonimento: una tremenda scarica di energia, luminosa come il sole e potente come il Tuono Spaziale di Goldrake, si infilò esattamente nel mezzo metro di spazio tra noi due, lasciandoci illesi, ma con tutti gli strumenti delle tute fuori uso, per via dello sbalzo nel campo elettromagnetico. Quando la radio tornò in funzione, tra mille ronzii di sottofondo sentii Gus che mi spiegava:
"...ai cosa intendevo dire. L'idrogeno metallico di cui è fatto il cuore di Giove funziona come una gigantesca dinamo, mettendo in azione l'immane campo magnetico del pianeta."
Ancora pallido per lo spavento corso, io ripresi ad avanzare: "Se avessi saputo che qui dentro c'era il rischio di finire arrostito da un superfulmine, non..."
Anche il mio discorso venne interrotto a mezzo, perchè una nuova saetta balenò nel buio, stavolta a cinque metri da noi, e per qualche secondo fui di nuovo in condizioni di silenzio radio, anche se l'interruzione fu più breve della prima, poiché la scarica era scoccata più lontano.
"Comincio a capire che cosa tormenti i dannati cacciati in queste profondità abissali", mormorai io. Ed avevo ragione: dopo pochi passi giungemmo in vista di una landa ricoperta da massi di idrogeno metallico, sui quali stavano distese innumerevoli anime, in posizioni talora molto diverse le une dalle altre. Alcune giacevano a terra supine, altre erano sedute, altre ancora si trovavano in posizione fetale. Talune poi saltellavano di qua e di là, come se stessero imparando qualche strano tipo di danza aliena. Una cosa però è certa: tutti erano flagellati da una vera e propria selva di saette, che sembravano aver concertato di ritrovarsi tutte lì per dare un festino. Alcuni dei dannati sembravano quasi rassegnati, e restavano immobili al suolo ad attendere le scariche, che si susseguivano a intervalli di quattro o cinque secondi l'una dall'altra; altri invece balzavano di qua e di là, come se cercassero di prevedere dove si sarebbe sfogata la saetta successiva, ma immancabilmente finivano per essere attraversati da parte a parte da uno dei fulmini gioviani, come se essi fossero dotati di intelligenza propria, e sapessero sempre dove trovare un bestemmiatore da punire. E vi assicuro che l'impatto delle superscariche contro quei corpi fluidi era micidiale: il plasma dal quale essi erano costituiti doveva essere conduttore di corrente proprio come l'idrogeno metallico, e ogni fulmine li faceva letteralmente accendere come delle lampadine, tanto che si potevano vedere in trasparenza il loro scheletro e tutti i loro organi interni. Inutile dire che, ogni volta che venivano colpiti dalle saette, quei miseri urlavano e bestemmiavano usando tutte le lingue e dialetti della Galassia, al punto che io ringraziai il Cielo per il fatto che l'intensissimo campo elettromagnetico metteva fuori uso la radio, e per il fatto che i tuoni scatenati da quei lampi coprissero le strida dei dannati, onde non essere costretto ad ascoltare i loro orribili solecismi!
"Non credo ai miei occhi!" pensai io, osservando la folla immensa di dannati che venivano puniti con quei tremendi elettroschock, e non potei fare a meno di ricordare quei superbi delle leggende che sfidavano apertamente Zeus, mettendo in dubbio la sua stessa esistenza, finché il dio vendicativo non li fulminava con le proprie saette. "È proprio il caso di dire che la realtà supera sempre la fantasia."
"Non sai quanto ti do ragione!"
Dopo aver udito questa risposta, guardai Grissom negli occhi, ma non riuscii a vederli a causa dei riflessi dei lampi sulla visiera del suo casco. Stavo giusto chiedendomi come avesse fatto a rivolgermi la parola attraverso la radio nonostante le interferenze causate dalle scariche elettriche, quando quella voce, che non apparteneva di sicuro a Virgil, tornò a risuonare nella mia testa:
"Non è stato il tuo amico a comunicare con te. Sono stato io, quello che è seduto ai tuoi piedi."
Mi sbrigai ad illuminare il suolo con la torcia che avevo al polso sinistro, e vidi un uomo dal fisico imponente, con la mascella quadrata, i capelli rasati ai lati del capo come si usa tra i militari, e una piastrina di riconoscimento al collo, che sedeva abbracciando le sue ginocchia. Proprio mentre egli alzava il capo verso di me, una folgore lo centrò in pieno, mostrando in trasparenza tutte le sue ossa, e mancandomi solo di pochi centimetri, come se avesse voluto evitarmi di proposito. L'uomo con il fisico da lottatore che vedevo seduto accanto ai miei piedi si sbrigò a cancellare la smorfia di dolore dal viso, come se pensasse che ad un soldato non si convengono le manifestazioni di dolore, quindi mi piantò addosso gli occhi azzurri come il mare, e la mia mente fu di nuovo attraversata dalla sua voce:
"Sono un telepate. Il mio nome è Johnny Rico, e sono stato un eroe leggendario durante la Guerra degli Insetti, tanto che hanno persino composto delle canzoni che avevano me come protagonista."
Anche Gus doveva aver sentito la comunicazione ESP del dannato nelle proprie orecchie, perchè anche lui aveva abbassato la torcia elettrica per osservarlo meglio. Dopo che un nuovo fulmine lo ebbe attraversato da parte a parte, egli cercò di far finta di nulla, come se ad investirlo fosse stata una secchiata d'acqua e non una scarica da un miliardo di Volt, e si rivolse a me facendo palpitare queste parole tra i miei neuroni:
"Mi sono accorto che sei un vivo, e nella mente ti ho letto perchè sei sceso fin quaggiù. Ti stai chiedendo perchè un celebrato militare del XXIII secolo si trova in mezzo a questa compagnia di birbanti, vero?"
"A differenza tua io non posso leggere nelle menti altrui", gli risposi a voce alta, "ma non pretendo di entrare nella tua sfera privata. Siccome io spero di fare ritorno sulla Terra dei vivi, se non vuoi essere ricordato tra di loro, non c'è bisogno di dirmi alcunché."
"Ormai ciò che pensano di me sulla Terra non mi interessa più", rispose il dannato con aria sprezzante, senza muovere le labbra. "Tutti del resto conoscevano il mio carattere, quando vivevo su quel pianeta. Fin da quand'ero bambino e mi sono accorto di essere un « diverso » perchè in grado di leggere le menti, ho covato una sorda rabbia nei confronti di quel Dio che mi volevano insegnare ad amare. Come conseguenza, non mi sono mai piegato alle convenzioni della società civile, ritenendomi al di sopra di quelle convenzioni in virtù dei miei poteri, ed è per questo che, dopo aver lasciato la scuola, decisi di arruolarmi nella Fanteria dello Spazio, ma non mi adattai a lungo neppure alla disciplina dell'esercito: il sergente istruttore Zim si lamentava in particolare del fatto che protestavo sempre contro tutto e contro tutti, condendo le mie rimostranze con una buona dose di bestemmie. Per questo i miei commilitoni mi avevano soprannominato Capaneus."
A quel punto anche la voce di Gus palpitò nel mio encefalo: "Non stento a crederlo, vedendo dove sei finito." Evidentemente la presenza di quel telepate rendeva possibile una comunicazione mentale anche fra noi due, che telepati non eravamo. Allora Rico lo scrutò e gli rispose:
"La mia ragazza, la dolce Carmen Ibañez per seguire la quale mi ero arruolato nella Fanteria dello Spazio, aveva ragione da vendere, ammonendomi a stare attento a come parlavo. Invece, dopo aver lasciato la Fanteria perchè un mio uomo era morto per causa di un mio ordine sbagliato, decisi di riarruolarmi nel plotone dei Leoni di Rasczak per andare a combattere gli insetti giganti del pianeta Klendathu, da tempo in lotta contro la terra, che scagliando un asteroide contro Buenos Aires, la mia città natale, avevano ucciso i miei genitori. Sotto il comando del carismatico Jean Rasczak, che mi promosse Sergente sul campo, andammo a bonificare dagli Insetti il Pianeta "P", vicino a Klendathu, così da distruggere quei mostri con la tecnica del « salto della rana »: avvicinarsi al cuore dell'impero nemico, bonificando e prendendo un pianeta alla volta."
Johnny Rico combatte nei pressi del pianeta Klendathu (dal film "Starship Troopers")
"Una tecnica intelligente ma dispendiosa, in termini di tempo e di vite umane. Tu rimanesti ucciso durante uno scontro con gli insetti alieni?" gli domandai io, con il tono più innocente di questo mondo. Egli però, che fin qui era sembrato mite e fuori posto tra tutti quei sacrileghi dal turpiloquio facile, improvvisamente cambiò volto, ed il suo viso divenne simile a quello di un cane idrofobo:
"No, stupido vivente! Io mi buttai nella mischia durante la difesa di un avamposto la cui guarnigione era stata sterminata dagli Insetti, distrussi un artropode gigante gettandogli una granata potenziata dentro la testa, spaccai in due a mani nude una libellula assassina, ed infine mi issai in piedi sulle mura gridando: « Hai visto, o Dio? Ce l'ho fatta a vincere questa battaglia anche senza di te! », condendo il tutto con abbondanti blasfemie. Proprio in quel momento, tuttavia, prima che il Tenente Rasczak facesse in tempo ad avvertirmi, un insetto volante superstite mi mozzò di colpo il capo. Lo so cosa stai pensando, pezzo d'asino: mi sarei salvato di certo se non fossi salito in piedi sulle mura onde urlare la mia rabbia contro l'Onnipotente, diventando così un facile bersaglio. Ma valeva la pena di venire qui, pur di dimostrare al Signore che neppure scatenandomi contro tutti gli insetti di Klendathu potrebbe ottenere su di me una vendetta soddisfacente, porc..."
A questo punto i fulmini, che erano sembrati lasciare in pace quel superbo mentre egli comunicava con noi con tono calmo, parvero affrettarsi a concentrare tutte le proprie energie su quell'empio sacrilego, tanto che io e Virgil dovemmo fare un salto indietro, per non essere colpiti anche noi. Vedemmo così il corpo di plasma di Johnny Rico diventare incandescente sotto il fuoco incrociato delle saette, che provvidero a troncare il suo flusso di coscienza, onde impedire che egli potesse comunicarci telepaticamente i propri orrendi solecismi. Non potendo comunicare con me attraverso la radio, Gus mi afferrò per un braccio e mi portò lontano da quello squilibrato bestemmiatore, che sembrava alternare momenti di lucidità ad altri di completa pazzia. Quando infine fummo abbastanza lontani da lui e dagli altri empi da riuscire a far funzionare le radio, tra le scariche elettriche la mia guida riuscì a comunicarmi con voce vibrante di collera:
"Povero Rico! Proprio nel fatto che la sua superbia contro Dio non si spegne neppure nel cuore di Giove, sta la sua vera punizione, al di là delle saette che lo hanno scambiato per il loro parafulmine preferito, poiché più del tormento fisico, conta quello morale: nessun martirio, all'infuori della sua rabbia impotente e immotivata contro il Creatore, che non lo ha fatto diverso bensì più fortunato degli altri uomini in quanto telepate, può essere castigo adeguati alla sua empia irriconoscenza."
Ciò detto, mi fece cenno di seguirlo altrove, ed io tirai un sospiro di sollievo, ben lieto di allontanarmi per sempre dalla plaga in cui erano puniti uomini così ingrati nei confronti del loro Signore.
Nota: i
"mostri invisibili di Altair IV" cui accenna Dante sono le proiezioni
dell'inconscio che attaccano l'equipaggio di John Adams nel kolossal
"cult" di fantascienza anni '50 "Il Pianeta Proibito".
Juan Rico detto "Johnny" è un personaggio del
noto romanzo
"Fanteria dello spazio" del 1959 di Robert
Heinlein e del film "Starship Troopers" che da esso è stato tratto nel 1997, nei quali però non è telepate;
io gli ho conferito questa facoltà per renderlo "diverso" dalla maggioranza dei
suoi simili, e giustificare il suo spirito di ribellione. Il pianeta Klendathu, gli insetti giganti e il Tenente
Jean Rasczak fanno parte della trama del suddetto film diretto da Paul Verhoeven.
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Canto XII
« Così adocchiato da cotal famiglia,
fui conosciuto da un, che mi prese
per lo lembo e gridò: Qual maraviglia! »
(Inf. XV, 22-24)
Avevamo fatto solo un centinaio di metri, dopo aver lasciato quel bestemmiatore al suo triste destino, e già ci sembrava di aver posto un anno luce tra noi e quegli esseri, i quali si compiacevano di sparare contumelie contro un Dio in cui non credevano, e di sfidare per gioco Colui che invece avrebbero dovuto ringraziare per aver dato loro la vita. Io non mi peritai di parlare, almeno finché non fui sicuro che Virgil avesse sbollito la rabbia che lo aveva visibilmente preso dopo aver udito gli sproloqui di Johnny Rico, quasi i fulmini avessero caricato anche lui così come si carica un accumulatore. Quando mi parve, a dispetto dell'idrogeno semisolido che ci circondava, che il pallore dell'ira sul suo viso fosse scemato come il candore della neve sui tetti sciolta da primo tepore della primavera, ed approfittando del fatto che quei lampi infernali sembravano essersi allontanati, anch'essi, azzardai:
"Coraggio, Gus: tu stesso mi hai avvisato che all'Inferno non avremmo certo trovato solo ragazze di buona famiglia e studenti perbene."
"Sì, lo so", sospirò il mio Maestro. "Devi scusarmi, Dante, ma anch'io, come te, non ho mai potuto soffrire la gente che bestemmia solo per il gusto di bestemmiare."
"Figurati. Ma dimmi, dove stiamo andando, in mezzo a questo deserto seppellito nel cuore del pianeta Giove? Non a rendere visita ad altra gentaglia del genere di quel Rico, spero."
"Lo spero anch'io, ma lo hai detto tu stesso, che all'Inferno non si può trovare altro che dei dannati, così come in un ristorante non si possono trovare altro che dei ghiottoni."
"Io qui però non solo non vedo dannati, ma non avverto più neanche fulmini."
"Questo avviene perchè ci troviamo nelle vicinanze dell'asse magnetico del gigante gassoso", mi spiegò il mio maestro con il solito acume. "Le saette erano così violente perchè qui si addensano tutte le linee di forza del campo magnetico planetario; ma, nelle immediate vicinanze dell'asse, si crea per così dire una zona di « bonaccia », dove il campo elettromagnetico è praticamente nullo."
"Come nell'occhio di un ciclone, dove i venti sono praticamente assenti", gli fece notare io, strappandogli un sorriso di compiacimento. "Ma allora, cos'è che tormenta i dannati, qui? Sempre che ce ne siano..."
"Ce ne sono, ce ne sono", borbottò Grissom, tornando a rabbuiarsi. "Guarda laggiù e vedrai."
Puntando il faro del mio casco nella direzione da lui indicata, mi accorsi che il suolo ora non era più ricoperto da grandi massi, ma sembrava costituito da una superficie lucida e fosforescente, come se si trattasse del pavimento metallico di un grande hangar navette. In realtà sapevo benissimo che quello era tutto idrogeno nel suo stato metallico, che evidentemente qui formava una superficie liscia e compatta, in assenza di ciclopici fulmini a disturbarla. Ad un tratto, però, mi arrestai come se fossi stato colpito da un raggio paralizzante usato dall'Alleanza Lucian.
"Beh? Che ti prende, ora?" mi domandò quel diavolo d'un Gus. Notai infatti che sogghignava, ponendomi questa domanda, come se si fosse aspettato che, a quel punto, sarei rimasto là impalato. Io mi limitai a rispondergli:
"Niente, è che... mi era parso..."
Subito tacqui, perchè mi era parso di nuovo. Intendo dire: mi era parso di vedere un fantasma correre velocissimo attraverso il fascio di luce proiettato dalla mia torcia. Sentendo il cuore che mi precipitava giù fin nelle caviglie, aggiunsi:
"Ma... chi può allenarsi nelle gare di fondo per i Giochi Pangalattici, qui sotto?"
Gus non fece neppure in tempo a pensare una battuta buffa con la quale rispondere alla mia provocazione, perchè subito accanto a noi sfrecciarono delle anime completamente nude, al cui confronto anche un ghepardo delle nevi di Zero, il Pianeta dei Ghiacci Eterni, appariva lento come la deriva dei continenti. Come nel cortile di casa dei bestemmiatori stavo per essere fritto dalle saette, così in questo nuovo angolo di Giove non sapevo più dove sparire, in quanto i dannati mi sfrecciavano così vicini, da convincermi che ben presto sarei stato investito in pieno da uno di loro; e l'impatto da parte di un maratoneta così rapido, per quanto fosse fatto solo di plasma, avrebbe potuto avere gli effetti di un nucleo cometario sullo scafo della mia "Beatrice"!
"Stai calmo", intervenne a quel punto Virgil, che evidentemente si era divertito abbastanza alle mie spalle, vedendomi saltellare di qua e di là per cercare di evitare quegli emuli di Fidippide che sbucavano fuori dal buio, correndo come pazzi in ogni direzione. "Nessuno di essi si scontrerà mai con te, così come essi non si scontrano mai tra di loro, per quanto le loro traiettorie si intersechino in continuazione."
"Suppongo che ciò avvenga in base allo stesso principio secondo cui le saette là fuori potevano colpire dovunque, tranne i nostri corpi", mormorai io, sentendo la testa che cominciava a girarmi, con tutte quelle ombre che mi schizzavano accanto a velocità supersonica. "Ma perchè corrono così, Gus? Non mi risulta che qualcosa o qualcuno li stia inseguendo..."
La mia guida rispose abbassando a terra la luce posta sopra il suo casco, ed allora potei vedere chiaramente i piedi nudi di quei disgraziati, che friggevano letteralmente a contatto con l'idrogeno metallico di cui era fatto il pavimento. "Ora capisco!" gridai, come se all'improvviso mi fossi accorto che anche i miei piedi stavano friggendo. "L'idrogeno metallico esiste solo alla pressione di un milione di atmosfere e alla temperatura di 10.000 Kelvin! La nostra struttura è per così dire immunizzata dall'effetto di tali temperature, ma scommetto un mese di licenza premio che la loro non lo è affatto!"
Lo sguardo incolore che mi rivolse Gus fu più eloquente di qualsiasi assenso. Credo che anch'io mi sarei messo a correre, se avessi sentito il pavimento diventare rovente come il Mantello di Giove... Persino Flash, che com'è noto era in grado di muoversi così velocemente da poter correre sull'acqua, al mio confronto sarebbe apparso pigro come un bradipo tridattilo di Arturo II!
"Sarà dura, allora, riuscire a farsi dire da loro quale peccato hanno commesso, per meritarsi di correre le olimpiadi infernali", feci notare io, ma prima che Grissom potesse rispondermi udii una voce che mi chiamava con accento incredibilmente sofferente:
"Dante? Ma... Dante, sei proprio tu?"
Io rialzai il capo, e vidi un dannato che aveva cominciato a correre in tondo attorno a me e a Virgil, tenendo costantemente la testa rivolta verso di me. Tuttavia andava così veloce che era impossibile per me riconoscerlo, giacché tenere fisso lo sguardo su di lui mi provocava le vertigini. Fui perciò costretto a rispondergli:
"Sono io, Dante Alighieri di Firenze, Capitano della Flotta Stellare. Ma tu, chi sei? Fermati, altrimenti non potrò riconoscere il tuo viso!"
"Non posso fermarmi", rispose lui con voce affannata: "chi smette di correre, è costretto a restarsene cent'anni fermo, con i piedi che gli liquefano per il calore dell'idrogeno metallico!"
"Non puoi nemmeno rallentare un poco?"
"Proverò a scendere alla minima velocità possibile che posso tenere."
Effettivamente rallentò, e rallentò abbastanza perchè una luce a LED mi si accendesse nella testa. "Cosa? Voi siete qui, Professor Latini?"
"Mi sembra un incontro tra vecchi amici", sorrise Gus di fronte alla mia meraviglia. Io allora esclamai:
"Non è la parola giusta, Gus. Brunetto Latini era il mio Professore di Astrofisica all'Accademia. È lui che mi ha iniziato all'amore per la scienza e per la verità, allorché ero solo un giovane scapestrato che correva dietro alle cadette. Senza di lui non sarei mai divenuto quello che sono: tu non sai quale pena mi prende, nel rivederlo condannato alle pene eterne dell'inferno!"
"Io mi sono perduto con le mie mani", rispose lui, ansimando per lo sforzo, "ma dimmi: quale destino ti ha condotto fin qui sotto, e chi è costui che ti guida nei pianeti del dolore?"
"Mentre tornavo alla base, mi sono imbattuto nel Buco Nero Antisolare", gli spiegai, "e ci sono caduto dentro come una mosca accalappiata da una pianta carnivora. Non avrei mai trovato la strada per uscirne, se l'eroe dello spazio Virgil Grissom non fosse corso in mio aiuto, e non mi avesse condotto attraverso i pianeti infernali verso la salvezza del mio corpo e della mia anima."
"Se tu sfrutti l'ingegno che il Cielo ti ha dato, e del quale io mi sono accorto quando ero tuo insegnante, non puoi fallire nella tua impresa", mi rassicurò lui, senza smettere di corrermi attorno come Io, Europa, Ganimede e Callisto fanno con il pianeta Giove. "Se non fossi morto troppo presto, durante la Battaglia di Geonosis, quando la mia nave fu distrutta dai droidi, ti sarei stato vicino più a lungo, durante la tua maturazione come ufficiale di Starfleet e come cittadino. Ma, proprio a causa del tuo onesto operare di cittadino, estraneo agli odi di parte e rivolto solo al bene dell'umanità, l'ingrato popolo di Firenze ti si rivolterà contro e ti dichiarerà suo nemico. È gente avara, invidiosa e superba; bada a tenerti alla larga da loro, come ti ho sempre insegnato quando ero in vita."
"Professore, mi sembra ieri quando mi spiegavate la natura dell'Energia Oscura", replicai io con le lacrime agli occhi, "e ho sempre davanti alla mente la cara e buona vostra immagine paterna, quando mi insegnavate la struttura dell'universo e la fisica quantistica che è alla base della singolarità dei buchi neri; per questo quel ricordo ora mi spezza il cuore, vedendovi così affannato e con i piedi incandescenti. Ma ditemi: voi che foste così onesto, e così valido insegnante nei miei anni giovanili, quale peccato inconfessabile vi trascinò qui sotto, alla mercè dell'idrogeno metallico?"
"Purtroppo fui meno onesto di quanto tu stesso credi, mi rispose lui, mettendosi a piangere copiosamente, tanto che nella sua corsa senza scopo venne seguito da una scia di vapore, dovuto all'immediata ebollizione delle lacrime appena uscivano dai suoi occhi. "Quando ero ammiraglio della Quarta Flotta distaccata su Alpha Centauri, accettai di far sparire rifiuti pericolosi di alcune potenti industrie terrestri, trasportandoli clandestinamente su alcune navi cargo della mia flotta, e facendoli nascondere dai miei uomini sul secondo pianeta di quel sistema stellare."
"Ma, così facendo, contaminaste l'ecosistema di quel pianeta!" sbottai io, incredulo. Il professor Latini abbassò allora gli occhi pieni di vergogna, e continuando a piangere aggiunse:
"È vero, ma così fui compensato lautamente da quegli industriali disonesti, e potei mettere da parte un « Tesoretto » con il quale intendevo garantirmi una tranquilla vecchiaia... se non fossi morto in battaglia, naturalmente."
"Ma eravate uno dei fiorentini più illustri e rispettati, nel mondo", continuai io, incapace di perdonare il mio stimato insegnante per il peccato che aveva commesso, ma anche incapace di odiarlo, per tutto il bene che mi aveva fatto in vita. "Perchè mettersi alla pari di altri furfanti che valevano un milionesimo di voi, e che hanno inquinato interi sistemi solari solo per brama di denaro?"
"Ero convinto che il governo pagasse troppo poco i meriti che mi ero acquistato", rispose lui, tornando ad accelerare la corsa, finché non fui più in grado di guardarlo in volto, "e mio genero si era rovinato con operazioni finanziare sbagliate, cosicché dovetti pagare io tutti i suoi debiti. Temevo di finire in miseria e di venire disprezzato da tutti gli ex studenti come te, che mi adoravano. Quando la mia nave saltò per aria, capii che mi ero macchiato di quel grave crimine inutilmente; ma ormai era troppo tardi, e Ming mi aveva già sprofondato nel cuore di Giove, a tenere compagnia a ribaldi del calibro di Max Shreck e di molti presidenti di multinazionali disoneste. Spero che un giorno tu possa perdonarmi! Addio, Dante."
E, ciò detto, schizzò via in linea retta, uscendo per sempre dal raggio di luce della torcia posta sul mio casco, lasciandomi là deluso, anche se la mia delusione era mitigata dalla gioia di aver potuto parlare ancora una volta con colui che consideravo pur sempre il mio Maestro.
Nota:
l'Alleanza Lucian è una coalizione di criminali e mercenari dell'universo di
"Stargate SG-1", unitisi per trarre vantaggio dal vuoto di potere
seguito al crollo dell'impero dei Goa'uld.
Zero, il Pianeta dei Ghiacci Eterni, è un mondo interamente ricoperto dalle
nevi su cui sono ambientate due puntate di "Galactica" del 1978.
La Battaglia di Geonosis è un evento della Guerra dei Cloni, combattuta
nell'universo di "Star Wars".
Max Shreck è uno dei protagonisti del film
"Batman, il Ritorno" del 1992: si tratta di un avido e spietato
magnate della finanza di Gotham City, che si allea con il Pinguino per
avvelenare le fogne della città con i suoi liquami tossici.
Infine, il « Tesoretto » è il poema in volgare italiano composto da Brunetto
Latini nella nostra Timeline. L'uso di tale termine per indicare il gruzzolo che
aveva messo da parte "questo" Brunetto Latini con i suoi traffici
illeciti assume perciò un sapore fortemente ironico.
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Canto XIII
« Quando
nel cuor di Giove giunti semo,
poco più oltre veggio dentro il nucleo
gente seder propinqua al loco scemo. »
(Inf. XVII, 34-36)
Ci eravamo ormai allontanati di buon passo dalla zona in cui erano così duramente puniti i violenti contro la natura, cioè gli inquinatori e i vandali, eppure io non riuscivo a smettere di pensare al mio maestro, che si era perduto per sempre solo per timore di una vecchiaia in povertà, quando invece il destino non gli avrebbe lasciato neppure il tempo per diventare vecchio. E così, non mi accorsi della voragine finché non ci fui praticamente sopra. Avanzando, misi un piede nel vuoto, e sarei letteralmente precipitato se Gus non mi avesse trattenuto per un braccio. Solo allora guardai verso il basso, e mi resi conto della vastità di ciò che avevo di fronte.
Davanti a noi si apriva una voragine, del probabile diametro di un chilometro o più, che pareva scavata nell'idrogeno metallico da un lombrico di dimensioni ciclopiche, che aveva scambiato Giove per una mela. Le pareti di quella voragine erano perfettamente lisce, e sprofondavano in un abisso senza fondo, che doveva essere situato migliaia di chilometri più in basso. Quando mi resi conto del nulla in cui stavo per precipitare, poiché avanzavo con la testa tra le nuvole, sentii il terrore che mi congelava le membra, nonostante l'altissima temperatura del Mantello di Giove, e caddi seduto sull'orlo del burrone, come se le gambe non mi tenessero più per la paura.
"Mamma mia!" esclamai, quando la voce tornò a farsi strada attraverso il mio gargarozzo. "Così imparo a distrarmi, quando attraverso i mondi infernali! Se non fosse stato per te, Gus, sarei precipitato chissà dove!"
"Ma noi dobbiamo precipitare", mi stupì Grissom, parlando con la stessa naturalezza con cui si sarebbe riferito a un'allegra scampagnata sull'Appennino Tosco-Emiliano. "La nostra prossima meta all'interno del Re dei Pianeti si trova infatti in fondo a questo budello."
Io lo guardai negli occhi, sperando che stesse scherzando, ma la mia guida era seria come non mai.
"In fondo a questo budello? Nel nucleo stesso di Giove? Ma ci saranno 3000 GigaPascal, là sotto!"
"4500 GigaPascal, per la precisione", puntualizzò Grissom con la solita pignoleria. "E la temperatura tocca i 40.000 Kelvin."
"E chi può avere commesso colpe tanto gravi, da meritarsi di essere stritolato e soffritto là sotto?"
"Coloro che hanno commesso la violenza peggiore di tutte: quella contro il lavoro e la dignità dell'uomo."
Guardai in viso Virgil Grissom, ma una statua di marmo sarebbe stata più espressiva di lui. Diavolo di un astronauta! Era riuscito a farmi venire curiosità persino di vedere il nucleo incandescente di Giove! E così, con il suo aiuto mi rialzai, sbirciai giù dal bordo del burrone chiedendomi quanto fosse profondo in effetti, e osservai:
"Non basterebbero tutte le scale di corda della Terra legate assieme, per arrivare laggiù, e i razzi incorporati nei nostri scafandri non hanno certo abbastanza combustibile, per riuscire a portarci nel centro del pianeta. Come pensi che potremo scendere? Chiamando l'uomo dell'ascensore?"
"È un'idea", mi rispose Gus, rivolgendomi un sorriso agrodolce. Subito dopo mi mise una mano nella tasca e ne tirò fuori una moneta d'argento.
"Ehi, quello è uno dei miei portafortuna!" protestai io. "È un dollaro degli Stati Uniti d'America, il tuo paese natale, e mi è stato regalato da Beatrice. Lei sapeva che io amo collezionare antichità, e..."
"Proprio quello che mi serviva", mi interruppe Gus, lasciando cadere la moneta nel raccapricciante abisso che avevo di fronte. "Io credo che la tua ragazza te la abbia regalata proprio prevedendo, in qualche oscuro modo, che oggi ti sarebbe stata utile!"
Io osservai con rammarico la moneta che precipitava nel burrone, chiedendomi perchè la mia guida avesse sacrificato quel caro ricordo della mia gioventù. La risposta a questa domanda però arrivò ben presto, in quanto mi parve di udire un ronzio, come di una lontana arnia brulicante di api, provenire dal fondo della voragine. Prima che potessi chiederne la ragione a Grissom, udii il ronzio aumentare fino a trasformarsi nel fracasso di due potenti razzi. Fu allora che distinsi un punto rosso nell'oscurità del burrone, salire progressivamente verso di noi. Con il cuore che mi pulsava come lo stantuffo di un'antica locomotiva a vapore, cercai di immaginarmi quale orrenda mostruosità stava salendo dalle profondità incandescenti del pianeta Giove, e quanto mi apparve davanti agli occhi non deluse certo le mie aspettative.
Dal bordo del crepaccio infatti emerse, e rimase sospeso nel vuoto a un metro e mezzo da noi, un essere umano alto quasi due metri e con un torace imponente, degno di un lottatore di Beta Lacertae III. Stava immobile grazie ad un paio di stivali con razzi incorporati, del tipo di quelli usati da Spock per salvare il suo amico Kirk, quando perse la prese durante la scalata di "El Capitan" nello Yosemite National Park. Era vestito con quello che pareva un abito assai elegante, però la giacca e i pantaloni erano bianchi sul lato destro e neri su quello sinistro, la camicia era nera sul lato destro e bianca su quello sinistro, e la cravatta era divisa esattamente in due metà, a destra bianca e a sinistra nera. Il dualismo continuava nell'aspetto fisico dell'uomo che avevamo davanti: il lato destro era quello di una persona normale, con i capelli neri, la mascella volitiva e i lineamenti decisi, ma quello sinistro era assolutamente sfregiato, tanto da somigliare ad un animale più che ad un essere umano: la sua pelle era violacea, le sue labbra nere, i suoi capelli cisposi erano del colore del fuoco, e l'occhio sinistro, abnormemente dilatato, ci osservava così come un allevatore guarda un tacchino il Giorno del Ringraziamento. Confesso che solo parzialmente ero tranquillizzato dal vederlo senza armi in mano, giacché un essere di quel genere poteva benissimo tirare fuori dal nulla chissà quale ribalderia.
"Harvey Dent! Vedo che il mio regalino ti è piaciuto!" lo apostrofò Grissom, che sembrava non avere alcun timore di quel poco raccomandabile avanzo di galera. Solo a quel punto mi accorsi che l'apparizione demoniaca aveva in mano la mia moneta d'argento, quella lasciata cadere poco prima da Gus, e continuava ossessivamente a giochicchiare con essa, lanciandola in aria per poi riprenderla destramente al volo.
"E vedo che tu hai ancora bisogno del mio aiuto, per scendere laggiù e poi per risalire", sogghignò colui che a Gotham City conoscevano con il nome di Due Facce. "Ma dimmi: chi è quella mezza tacca che stai accompagnando giù? Mi sembra che non saprebbe taglieggiare neppure un chiosco di limonata!"
"Infatti non viene dai tuoi amici per restarci", mise subito in chiaro Grissom, accortosi del fatto che mi ero immediatamente rabbuiato, dopo essere stato scambiato per un volgare manovale del crimine. "Tu non ci crederai, ma viene a presentare i suoi omaggi a Don Vito!"
"Oh, se è così, non facciamolo aspettare!" digrignò quell'essere dai due volti, con un ghigno sarcastico sulla metà deforme del capo. Prima che potessi protestare alcunché, quel tipaccio afferrò l'estremità superiore dello zaino che portavo dietro le spalle, mi sollevò di peso e mi portò alla sua sinistra, con la stessa facilità con cui avrebbe sollevato un cuscino di piume, in modo che potessi appoggiare la scarpa destra sul suo stivale a razzo sinistro. Subito dopo fece la stessa con Gus, adoperando la mano destra, quindi urlò come un pazzo:
"Nucleo di Giove, aspettaciiiii!"
Anche in questo caso non feci in tempo a pronunciare una parola, prima che il supercriminale letteralmente si capovolgesse e puntasse verso il fondo di quell'orribile pozzo, che persino Otto Von Lidenbrock avrebbe avuto paura ad esplorare. Siccome mi sentii precipitare in quell'abisso a testa in giù, la sensazione fu ancora più terrorizzante di quella sperimentata nella precedente caduta a capofitto lungo il vortice di idrogeno liquido, e l'urlo di gioia lanciato da quel pazzoide con gli stivali a razzo durante la discesa sembrava il ghigno di trionfo lanciato da un demonio che era stato capace di impossessarsi della mia anima, per incatenarla per sempre nell'inferno. Potete perciò immaginare con quale sollievo sentii Dent rallentare fino a fermarsi e a mollarmi, tanto che rotolai più volte su di una superficie dura quanto la pietra e incandescente come l'ira di Dio.
"Ehi! Qui la gravità è bassissima!" esclamai, quando riuscii finalmente ad arrestare la mia carambola, aggrappandomi a quelli che sembravano degli spuntoni di roccia. Subito però udii una voce profonda che rimbombava alle mie spalle sul fondo di quell'avello:
"Madge mia! Picciotto, la Ffesica dello Spazio tu bbene la conosci!"
Per la seconda volta, qualcuno mi aveva deriso attribuendomi scarse conoscenze scientifiche. Seccato, mi alzai in piedi con un saltello, sollevandomi un poco dal suolo per via della bassa gravità, e girandomi sbottai:
"Senti bene, amico: io ho preso Trenta e Lode in Fisica Planetaria, all'Accademia, e so benissimo che nel nucleo di un pianeta la gravità è pressoché nulla, poiché l'attrazione della materia circostante è quasi uguale in ogni direzione, e..."
Tacqui di botto, essendomi accorto che l'uomo che mi aveva parlato era un tipo dalla pelle giallastra tutta grinzosa, che come unico indumento portava un cappello Borsalino calcato in testa, ed oltre a parlare con un marcato accento siciliano aveva i piedi letteralmente cementati dentro quella pietra rovente, che fumava come le solfatare di Pozzuoli.
"Ragazzo mio, ti presento Salvatore Maroni, il boss della mafia di Gotham che mi ha combinato questo bello scherzetto!" ridacchiò Due Facce con uno sberleffo, indicandomi il dannato. "Tu non sai con quanta gioia gli ho fatto le sovrascarpe di cemento, in questo abisso molto più profondo dell'oceano!"
"Ora capisco che genere di dannati sono puniti qui sotto!" esclamai io, ripensando a tutte le leggende dei gangster che avevano insanguinato il Sud d'Italia e l'America del Proibizionismo con le loro faide e le loro guerre tra bande. "Avevi ragione tu: non c'è peggior violenza, di quella fatta contro i lavoratori inermi per lucrare pizzo ed appalti!"
"Bravo, vedo che hai riconosciuto i tuoi amici mafiosi", parve godere l'ex avvocato sfregiato all'idea che io fossi punito come loro per tutta l'eternità, continuando ossessivamente a lanciare in aria il mio dollaro d'argento. "Vieni, ti faccio conoscere altri tuoi degni compari."
Ciò detto, mi indicò alcuni brutti ceffi con la faccia sfregiata da lunghe cicatrici, anch'essi con i piedi cementati dentro quella roccia ad oltre 40.000 Kelvin, presentandomeli con nomi divenuti tristemente famosi: Alfonso Capone detto Al, Albert Anastasia, Lucky Luciano, diversi boss della Mano Nera, alcuni capi della Triade cinese, e naturalmente i più grossi nomi di Cosa Nostra siciliana, della Camorra napoletana e della Ndrangheta calabrese. Io guardai tutti in viso con il cuore colmo di terrore, certo di trovarmi di fronte ad alcuni tra i peggiori malfattori di sempre, che non avevano esitato ad ordinare migliaia di efferati omicidi, tra cui persino dei sacerdoti, come San Pino Puglisi; tutti avevano i piedi incastrati nel nucleo roccioso di Giove, feroce contrappasso del metodo con cui essi avevano fatto sparire in mare avversari e testimoni scomodi, e tutti dovevano provare atroci sofferenze, non potendo nemmeno correre come gli inquinatori, per ridurre al minimo il contatto con quella materia rovente; ma la cosa che mi colpì è che tutti quei boss e quei gangster mostravano un contegno incredibile, come se volessero obbedire al loro codice d'onore e dimostrarsi degni di essere capi anche nelle viscere oscure del pianeta gigante.
Alla fine, Harvey Dent condusse me e Gus davanti a un tizio con una mascella importante, una faccia da bulldog, due baffi sottili, gli occhi socchiusi e un'aria che pareva perennemente annoiata, il quale teneva le mani dietro la schiena e, a dispetto dei piedi cementati nel furiosamente ardente nucleo di Giove, sembrava essere ancora a capo della "Genco Oil Pure Company", come se pensasse di poter dirigere gli affari della « famiglia » anche dal profondo dell'inferno.
"Bacio le mani, don Vito Corleone", si mostrò ossequioso nei suoi confronti il mostruoso Due Facce, anche se io sospetto che lo facesse per deriderlo: "Voglio presentarvi un nuovo picciotto, appena arrivato."
"Mmm... parlerò con mio figlio Michael, per vedere dove può lavorare", replicò il superboss della criminalità organizzata italoamericana, osservandomi con l'aria schifata con cui un principe squadra uno sguattero. "Di che ti occupi, caruso? Contrabbando di superalcolici, taglieggiamento di negozi, giro di prostitute, gioco d'azzardo?"
"So muovermi abilmente sul territorio", risposi io, cercando di dissimulare l'ira che mi aveva preso davanti a quel sordido appaltatore di delitti, e riferendomi ovviamente al mio curriculum di esploratore interplanetario. Don Vito però dovette equivocare, e muggì:
"Mmm... molto bene, sarai utile al mio fidato Peter Clemenza, il padrone del Bronx. Caro Due Facce, ti ringrazio: un killer in più fa sempre comodo, di questi tempi, stante la guerra in corso con la Famiglia Tattaglia."
"Per voscienza questo ed altro", sorrise malignamente il boss di Gotham City, con un inchino caramelloso. Subito dopo tuttavia egli mi afferrò per un braccio, mi portò ad alcuni passi di distanza da don Vito e ghignò:
"Poveraccio, non si ricorda neppure che Philip Tattaglia e suo figlio Michael sono già qui a fargli compagnia, nel nucleo di Giove! Del resto, è giusto così: il Padrino per antonomasia ha voluto badare a troppi affari illeciti quand'era in vita, ed ora quasi non si ricorda più di essere morto, e con lui i suoi tirapiedi Genco Abbandando, Salvatore Tessio ed Al Neri." Indicandomi quell'orrenda landa piena zeppa di boss malavitosi trasformati in vere e proprie statue umane, aggiunse quindi:
"Bene, ragazzo che sa muoversi abilmente sul territorio, dopo questa visita guidata scegliti il posto dove preferisci che ti interri i piedi. Ma sceglilo con oculatezza, dato che in quel posto dovrai trascorrerci tutta l'eternità!"
Nota: gli
stivali indossati da Due Facce sono effettivamente identici a quelli che
appaiono nel film "Star Trek V - L'Ultima Frontiera", e precisamente
nella scena iniziale, quando James Kirk tenta di scalare "El Capitan",
una formazione rocciosa del Parco Nazionale di Yosemite (California), facente
parte della Sierra Nevada.
Harvey Dent è il vero nome di Due Facce, il Procuratore Distrettuale di Gotham
City che, dopo essere stato sfregiato dal mafioso Salvatore Maroni, impazzisce e
si trasforma in uno dei peggiori nemici di Batman.
Il professor Otto Lidenbrock rappresenta un tributo a quello che
certamente è uno dei romanzi che più influirono su di me quando lo lessi nella
mia infanzia: l'arcinoto "Viaggio al Centro della Terra", scritto nel
1867 da Jules Verne.
I nomi dei mafiosi qui incontrati da Dante non meritano certo alcun commento,
eccezion fatta per il già nominato Salvatore Maroni e naturalmente per don Vito
Andolini, meglio noto come Vito Corleone, il protagonista de "Il
Padrino" di Mario Puzo del 1969, magistralmente interpretato sul grande
schermo da Marlon Brando prima, e da Robert de Niro poi. Michael è
effettivamente suo figlio (interpretato da Al Pacino), e Peter Clemenza (interpretato
da Richard Castellano) è il suo
luogotenente nel Bronx, mentre Philip Tattaglia (interpretato da Victor Rendina)
è il suo nemico numero uno. Genco Abbandando (l'attore Frank Sivero), Salvatore Tessio
(Abe Vigoda) ed Al Neri (Richard Bright) sono tre collaboratori del
"Padrino" don Vito, l'uno più crudele dell'altro: non stupisce che
Dante si senta offeso, vedendosi confuso con gentaglia del genere!
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Canto XIV
« L'animo mio, per disdegnoso gusto,
credendo col morir fuggir disdegno,
ingiusto fece me contra me giusto. »
(Inf. XIII, 70-72)
Udendo queste parole, per un momento mi parve davvero di avere già le piante dei piedi cementate per sempre dentro il nocciolo roccioso di Giove, e mi copersi di sudore dalla testa agli alluci, come se fossi appena uscito da una delle tonificanti saune di Risa. Immediatamente mi divincolai e mi allontanai di tre passi dal boss mafioso dalle due facce, rischiando di investire Don Vincenzo di Calamo, che rispose cominciando ad inveire contro di me, e minacciando di mandare a chiamare Antonio Badalamenti, il suo killer di fiducia. Io però non gli badai nemmeno, impegnato com'ero a protestare:
"Mi dispiace, caro Dent, ma c'è un equivoco: io non sono capo-mandamento, né tanto meno un killer di Cosa Nostra, almeno non più di quanto tu non sia l'Arcivescovo di Gotham City!"
"Ehi, ragazzo mio, pochi scherzi", mi replicò quel criminale, tirando fuori una pistola di dimensioni incredibili e puntandomela contro. "Nessuno è mai sceso quaggiù in mia compagnia, e poi ha potuto vantarsi di essere ritornato in superficie per continuare tranquillamente la sua attività criminalità!"
"Nessuno tranne me", puntualizzò Virgil, tirando fuori la sua vecchia pistola a raggi e puntandogliela contro la metà devastata della faccia. Io, per conto suo, avevo provveduto ad estrarre il mio disintegratore e a puntarglielo verso la porzione sana della testa, cosicché per alcuni secondi ci trovammo in una posizione di assoluto stallo. Due Facce fece scivolare lo sguardo da me a Virgil, senza però abbassare la sua arma da killer sempre puntata contro il mio capo, e ribatté con voce acida:
"Che c'entra? Tu non eri un dannato, e sei stato mandato qui per convincere uno dei miei dannati a predire il futuro!"
"Si dà il caso che neppure Dante sia un dannato. Anzi, è ancora vivo!"
"Vivo?" domandò allibito Harvey Dent, scrutandomi bene. "Per tutti i diavoli, ha la tuta spaziale di questo secolo! Grissom, figlio di buona donna, come hai osato portare nei mondi infernali un essere umano che non ha ancora visto la morte?"
"Il perchè non ti deve interessare", replicò la mia guida portando al massimo l'intensità del raggio della mia pistola. "L'unica cosa che ti chiedo è di riportare velocemente me e lui prima in superficie, e poi sulla crosta gelata di Europa. Ah, dimenticavo: grazie per aver mostrato a dito ad uno ad uno tutti i malavitosi qui sepolti al mio Padawan, che potrà metterli tutti per iscritto una volta tornato sulla Terra dei vivi!"
"Ah! Mi avete giocato!" barrì il nostro avversario, le cui due facce erano diventate altrettante maschere di rabbioso furore. "Mi avete fatto credere che questi fosse uno dei nuovi ospiti della mia Casa di Riposo per Gangster Defunti, ad esempio un membro del Sindacato di Orione, in modo che io vuotassi il sacco con lui! Meritereste che facessi ad entrambi voi le sovrascarpe di cemento, e che vi sprofondassi fin nel centro geometrico del pianeta Giove!"
"Attento, Dent", riprese Gus, senza mostrare alcun accenno di paura. "Che ti giova dare di cozzo nella volontà divina? Kortar, Ming e Ikima hanno già sperimentato sulla loro pelle, cosa significa cercare di opporsi ai disegni del Creatore, vuoi aggiungerti al loro club?"
"Non nominare quel nome in mia presenza!" sbraitò Due Facce, che come tutti gli esseri infernali era allergico alla pronuncia del Nome Santissimo di Dio, abbassando finalmente la pistola. "E va bene, vi riporterò su, ma se continuerete nel vostro viaggio attraverso i mondi infernali, avventurandovi oltre l'orbita di Giove, troverete chi vi farà pentire di aver intrapreso questo sacrilego pellegrinaggio!"
"Se è così prega che non riusciamo a salvarci, altrimenti tornerò a farti visita, ed allora sarai tu a ritrovarti cementato dentro una delle colonne che reggono il Mantello di Giove!" lo minacciò Grissom, abbassando a sua volta l'arma, e facendomi cenno di fare altrettanto. Salimmo così nuovamente sugli stivali a razzo del superbandito, che subito schizzò verso l'alto con la rapidità di una meteora, e schiumante di rabbia come se avesse appena saputo che tutti i mafiosi da lui custoditi nel cuore del quinto pianeta avevano beneficiato di un'improvvisa amnistia. Io sentii l'attrito dell'idrogeno fluido che arroventava la superficie esterna della mia tuta, man mano che risalivamo attraverso la voragine scavata nell'idrogeno metallico lungo l'asse magnetico gioviano, e per qualche secondo temetti di finire arrosto, ma quel destino sarebbe stato di certo preferibile all'idea di trascorrere il resto dell'eternità in compagnia di Jabba the Hutt e di altri malfattori del suo stampo. Presto vidi riapparire gli strati di nubi del pianeta, questi si fecero mano a mano meno densi, e finalmente sopra la mia testa riapparvero le stelle, con mia incredibile gioia. L'allucinante avventura in compagnia degli assassini inchiodati nel ventre di Giove era finita.
Siccome Due Facce continuava ad allontanarsi dalla gravità gioviana, ed io vedevo il colosso del Sistema Solare allontanarsi progressivamente sotto di me, mi chiedevo dove egli ci avrebbe portato; e fu con mia gran sorpresa che lo vidi puntare verso Europa, la luna più luminosa, perchè ricoperta da uno spesso strato di ghiaccio. Il custode dei mafiosi volò verso di essa a velocità incredibile, tanto che io temetti che volesse schiantarsi su di essa per prendersi una crudele rivincita su di noi. Invece, egli sorvolò una vastissima distesa di pack ghiacciato, fratturato in innumerevoli blocchi irregolari a causa dei moti convettivi nell'oceano sottostante, e finalmente andò ad atterrare in mezzo a un suolo molto irregolare, facendo parzialmente sciogliere le nevi di Europa con il calore dei propri stivali a razzo.
"Scendete, e non fatevi mai più vedere dalle mie parti!" ci urlò il supercriminale, letteralmente spingendoci giù dalle sue calzature volanti, quindi riaccese i razzi e partì così velocemente, da far credere di avere Batman e Robin alle calcagna.
"Ti direi di andare al diavolo, se non fossi tu stesso un diavolo!" gli gridai dietro io, vedendolo puntare come la cometa Shoemaker-Levy verso il polo magnetico di Giove. Gus tuttavia mi richiamò all'ordine:
"Lascia perdere, Dante: non ne vale la pena. Piuttosto, vediamo di levarci da questo impaccio, perchè quel gaglioffo ci ha lasciati proprio qui giusto per prendersi l'ultima vendetta su di noi."
Effettivamente eravamo sbarcati su di una superficie estremamente irregolare, fatta di spuntoni acuminati di ghiaccio d'acqua simili a sampietrini disposti a casaccio sul fondo stradale, così da trasformarlo in un suolo rugoso e difficilmente percorribile. "Probabilmente sotto di noi c'è un'intrusione di ghiaccio più caldo attraverso quello più freddo della crosta, analogamente alle camere magmatiche entro la crosta terrestre", mi spiegò Grissom: "forse potrebbe essersi liberata addirittura dell'acqua liquida in superficie, poi rigelata a formare questa struttura ruvida." Non occorreva certo essere professori di Astrofisica come Brunetto Latini, per comprendere che Due Facce ci aveva scaricati proprio in quel punto perché ci fosse più difficile avanzare. Grazie al Cielo quelle formazioni non erano molto estese, e dopo pochi minuti ci trovammo su di un suolo più liscio e più facilmente percorribile.
Mentre mi impegnavo per uscire da quell'impiccio, mi guardai intorno e vidi che la superficie di Europa era davvero piatta, liscia e priva di crateri da impatto; le montagne più alte, visibili in lontananza, non erano alte più di un centinaia di metri, e rappresentavano probabilmente dei veri e propri iceberg, galleggianti sulla crosta ghiacciata più pesante. In alcuni punti il ghiaccio immacolato di cui era fatto quell'immenso pack, risultava ricoperto da formazioni più scure, forse i resti di meteoriti o di impatti cometari. Il termometro incorporato nella mia tuta segnalava che la temperatura esterna era inferiore ai 150 gradi sottozero, ma io sapevo bene che al di sotto della crosta si raggiungevano temperature ben più elevate per via del calore prodotto dall'interazione mareale con Giove, lo stesso fenomeno che produceva le eruzioni sulfuree su Io, sebbene in maniera non altrettanto vistosa, e così sotto quell'immenso ghiacciaio, esteso all'intera superficie della Luna, si trovava un oceano di acqua allo stato liquido, spesso fino a venti chilometri. Europa insomma assomigliava molto alla calotta di ghiaccio che ricopriva il Polo Nord della Terra, e che ora era in ripresa, dopo un millennio di costante riduzione in seguito all'effetto serra dovuto all'inquinamento a partire dalla prima rivoluzione industriale.
"Gus, cosa ci siamo venuti a fare, qui?" domandai all'improvviso alla mia guida, mentre attraversavamo uno strato di ghiaccio ricoperto di detriti di colore giallastro. "Questo è un deserto senza vita, tu hai spedito alla base la tua Liberty Bell, e la mia nave è rimasta nel buco nero antisolare. Come faremo a continuare la nostra esplorazione dei mondi infernali?"
"Abbi fede in me", si limitò a suggerirmi Virgil, increspando le labbra in un mezzo sorriso, di quelli che sfoderava quando aveva qualche asso nascosto nella manica. "E comunque, proprio deserto del tutto non è, l'asteroide che prende il nome dalla ninfa amata da Giove, anche se forse sarebbe meglio se lo fosse. Guarda un po' là avanti..."
Io aguzzai gli occhi nella direzione indicata da Grissom, come fa il vecchio sarto quando cerca di infilare un ago, e nonostante il bagliore di quella sterminata distesa di ghiaccio, vidi in lontananza come delle rugosità sulla superficie liscia e immacolata di quello che pareva un grande lago congelato di colpo, forse un cratere dovuto all'impatto con una cometa attirata dal fortissimo campo gravitazionale di Giove.
"Se non sapessi che è impossibile, direi che quassù qualcuno ha fabbricato dei pupazzi di neve", abbozzai io, appena ci fummo avvicinati abbastanza da distinguere alcuni dettagli di quelle bizzarre formazioni di ghiaccio. E difatti, davvero di statue di trattava, forgiate con il candido ghiaccio di cui Europa era ricoperta. Mi colpirono per il loro incredibile realismo: sembravano perfette in ogni particolare, come se l'artista che le aveva scolpite fosse riuscito a riprodurre persino le imperfezioni della pelle dei suoi modelli. Ben presto mi accorsi che erano migliaia e migliaia: rappresentavano giovani e vecchi, uomini e donne, per lo più in posizioni strane ed inquietanti. La statua di una donna si teneva le mani ai lati della testa ed aveva la bocca spalancata, come per urlare tutta la sua disperazione. Quella di un giovanotto aveva le mani che gli coprivano il viso come se si vergognasse di trovarsi lì, sì che era impossibile distinguerne i lineamenti. Un vecchietto pareva intento a strapparsi i pochi capelli che gli rimanevano. Un'altra persona era stata ritratta in ginocchio, e pareva intenta a battere la zucca contro il duro ghiaccio di Europa. Potrei continuare per ore a descrivere le pose più raccapriccianti di quelle incredibili statue, ma mi fermo qui per non turbare i sonni dei miei lettori.
"Davvero interessante", mormorai io, saltellando da una statua all'altra, grazie alla bassa gravità di Europa. "Ma perchè, maestro mio, qualcuno si è divertito a costellare di statue così raccapriccianti il deserto ghiacciato di questa luna?"
"Lo saprai se proverai a rompere un punto qualunque di una di queste « statue »", mi replicò Gus, indicando il simulacro di un uomo che piangeva, rappresentato nell'atto di addentare una mela. Io non compresi perchè avrei dovuto distruggere quei capolavori di scultura, ma obbedii, e ruppi il mignolo destro dell'uomo colà rappresentato. Non lo avessi mai fatto! Subito dalla frattura nel ghiaccio cominciò a sgorgare copioso il sangue, che congelava appena gocciolava in quell'ambiente ad atmosfera estremamente rarefatta. Per l'orrore feci un salto indietro, mentre una voce disperata e dal tono piangente usciva da quella terrorizzante ferita:
"Perchè mi danneggi? Non hai neppure un briciolo di pietà, nell'animo? Eravamo uomini, ed ora siamo ridotti a statue di ghiaccio. La tua mano dovrebbe essere più misericordiosa, se fossimo stati anime di serpenti!"
Io ero talmente agghiacciato dal fenomeno cui avevo assistito, che per un po' fui incapace di parlare, ed allora ci pensò Grissom a rispondere il buon Grissom:
"O anima dolente, se questi avesse potuto scoprire la tua vera natura semplicemente credendo alle mie parole, non gli avrei certo chiesto di fratturati un dito fatto di ghiaccio; se gli ho fatto questa proposta, è solo perchè non avrebbe mai potuto convincersi che dentro ogni statua è rinchiusa un'anima, basandomi sulla mia semplice testimonianza. Di questo ti chiedo scusa."
"Dentro ogni statua...?" domandai io, sempre più incredulo. "Ora ho capito! Il plasma di cui è fatto il corpo fluido di questi dannati si è rappreso in un ghiaccio della stessa consistenza di quello di cui è ricoperta Europa, sì che essi sono prigionieri come i bastoncini dentro i ghiaccioli!"
"Di più", proseguì Gus, con un'espressione da funerale sul viso, "poiché se il ghiacciolo si scioglie, il bastoncino ne esce, mentre questo ghiaccio maledetto non si scioglierà mai." Poi, tornando a volgersi al dannato: "Ma tu digli chi fosti, in modo che egli, una volta tornato sulla Terra dei vivi, come effettivamente farà, possa testimoniare l'ingiustizia che ti portò alla morte."
La statua parve sospirare, quindi dalla ferita uscì questa voce: "Io sono colui che permise la sconfitta della Germania nazista da parte della mia nazione, il Regno Unito, decriptando il cosiddetto « Codice Enigma » con cui i tedeschi cifravano i loro dispacci. Fui anche il padre dell'intelligenza artificiale: se oggi i computer possono imitare in larga parte i processi neurali della mente umana, questo è anche merito mio. Per questo fui eletto Membro della Royal Society di Londra; fui anche un campione di corsa su lunghe distanze. Tutto questo fece si che si mettesse in moto contro di me la macchina dell'invidia, l'orrenda meretrice che corrompe tutti i governi e tutti i senati accademici. Quando si scoprì che ero omosessuale, fui arrestato e condannato alla castrazione chimica, cosa che mi fece sviluppare il seno e mi fece cadere in una profonda depressione. Fu così che l'amaro piacere di sentir ripetere al mio funerale « Quant'era in gamba! E quanto siamo stati ingrati nei suoi confronti! », e la convinzione di sfuggire al pubblico ludibrio con la morte, mi spinsero a diventare colpevole nei miei stessi confronti, io che fino a quel momento ero stato innocente e perseguitato ingiustamente. Per non parlare del fatto che, col mio assurdo gesto di addentare la mela avvelenata, proprio come aveva fatto Biancaneve, diedi l'occasione ai miei omofobi calunniatori di presentarmi come distrutto dal rimorso per il mio scandaloso « reato », quando invece io non avevo commesso proprio nessun reato, perchè l'inclinazione sessuale non può mai essere ascritta a colpa per nessuno. E se tu tornerai davvero sulla Terra, o viaggiatore, non dimenticarti di rinnovare ai tuoi contemporanei a quale amaro frutto portò l'invidia dei miei calunniatori, affinché nessuno sia mai più trattato nello stesso iniquo modo."
"Puoi star certo che lo farò, com'è vero che mi chiamo Dante Alighieri", mi affrettai a rassicurarlo io. "Nel XXXIII secolo nessuno, se non le frange più razziste ed ignoranti della società, potrebbe ostracizzare qualcun altro solo perchè è omosessuale; anzi, l'omofobia è considerata reato, nella Federazione Terrestre. Ma dimmi, ti prego, prima che il tuo dito di ghiaccio si riformi, e tu non possa più comunicare con me: qualcuno di voi suicidi potrà un giorno uscire dalla sua prigione gelata, o dovrà restarvi per sempre?"
"Purtroppo no", rispose lo scienziato inglese con un filo di voce, poiché il ghiaccio del suo dito (attraverso cui usciva la sua voce) si stava riformando. "Quando l'anima, che fu feroce contro il suo stesso corpo, si separa da esso per propria mano, Ming la spedisce qui, sulla seconda luna medicea di Giove. Non appena precipita sul ghiaccio, esso si fonde, ma subito rigela assumendo l'aspetto che il suicida aveva in vita, cosicché, al posto di un corpo fluido, egli si ritrova un corpo ghiacciato, cristallizzato per sempre nella posa di dolore dell'anima, rosa dal rimorso di aver rifiutato volontariamente il dono della vita. E anche dopo il Giudizio Universale il corpo sarà congelato qui dentro assieme all'anima, poiché non sarebbe giusto riottenere ciò che noi stessi abbiamo gettato via con disprezzo. Al tormento di questa prigione di ghiaccio, poi, si aggiunge quello... che ci procura... lo... Wampa..."
Nota: Don
Vincenzo di Calamo è il padrino che, nel film "Mafioso" (1962) di
Alberto Lattuada, ordina ad Antonio Badalamenti, interpretato da Alberto Sordi,
di andare a New York ad assassinare un mafioso caduto in disgrazia.
Padawan è il nome che i Jedi davano ai loro apprendisti.
Il Sindacato di Orione è una potente mafia spaziale contro cui si è battuto
anche Miles O'Brien in "Star Trek, Deep Space Nine".
Jabba the Hutt è il boss del crimine del Pianeta Tatooine nella saga di
"Star Wars", simile a una gigantesca lumaca antropomorfa. Fu ucciso
dalla Principessa Leia nel film "Il Ritorno del Jedi".
Il suicida che Dante incontra sulla superficie ghiacciata di Europa è Alan Turing
(1912–1954), fondatore della scienza informatica, il quale il 31 marzo 1952 fu
arrestato con l'accusa di omosessualità, a quel tempo reato per il codice
penale britannico, e condannato alla castrazione chimica; non potendo sopportare
la vergogna, Turing si uccise intridendo una mela di cianuro e addentandola
(pare fosse un fan di "Biancaneve" di Walt Disney). In suo onore, e
come riparazione per l'ingratitudine del suo paese, Steve Jobs adottò una mela
morsicata come simbolo della sua società informatica, chiamata appunto Apple.
Naturalmente il posizionamento di sì grande scienziato all'inferno, come è
stato per Garibaldi e come sarà per James Kirk, risponde a criteri letterari, e
non ad un qualsivoglia giudizio morale sul personaggio.
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Canto XV
« Ed ecco due da la sinistra costa,
nudi e graffiati, fuggendo sì forte,
che de le statue rompieno ogni rosta. »
(Inf. XIII, 115-117)
"Che cos'è lo Wampa?" mi affrettai a domandare io: nella mia vita ho viaggiato parecchio e ho visitato innumerevoli sistemi stellari popolati da inedite creature aliene, ma questo Wampa non lo avevo mai sentito nominare. Purtroppo però il professor Turing non poteva più rispondermi, in quanto il suo dito di ghiaccio si era completamente riformato, ed io non avevo nessuna intenzione di fratturarglielo di nuovo, per avere altre risposte da lui. Mi volsi perciò a Grissom, intendendo rivolgere a lui la medesima domanda, ma non feci neppure in tempo a formularla: uno spaventoso ruggito, simile a quello dei leoni marsupiali di Gamma Aurigae IV, fece letteralmente tremare lo strato di ghiaccio sul quale ci trovavamo, e tutte le statue disseminate in quella landa desolata. Sussultando, misi la mano sul mio disintegratore e mi voltai nella direzione da cui proveniva quel ruggito alieno; ed ecco, con mia grande sorpresa vidi un essere umano che correva nella nostra direzione, con tanta foga da ammaccare tutte le statue contro cui cozzava, lasciando dietro di sé una scia di sangue: il proprio e quello che colava dalle statue, insieme alle urla strazianti emesse da queste attraverso le loro ferite.
"Che ci fa qui, uno degli inquinatori?" domandai ingenuamente a Grissom, ma lui scrollò tristemente il capo:
"Non è un inquinatore, e la sua pena non consiste solo nel correre per evitare che i suoi piedi vadano arrosto."
Non aggiunse altro, ma non ebbi bisogno di chiedergli ulteriori spiegazioni, perchè subito dietro l'uomo che correva in fuga disperata vidi apparire un essere bipede dotato di corna e artigli neri e ricoperto di pelo candido, ma assai più grande di un orso bianco, che chiaramente lo rincorreva, desiderando di farne un sol boccone, e nella sua corsa si preoccupava certo di non far saltare testa e braccia alle misere statue dei suicidi incontrate sul proprio cammino.
"Ma quello è uno dei mostri pelosi del pianeta Hoth", esclamai io, riconoscendo quell'animale, anche se ignoravo il nome con cui era designato. "La leggenda dice che persino un eroe senza macchia e senza paura come Luke Skywalker rischiò di diventare lo spuntino di una di quelle fameliche creature!"
Gus annuì, ma non aggiunse una parola mentre il dannato schizzava via a poca distanza da noi, apparentemente senza neppure vederci, gridando: "Or accorri, accorri, morte!" Sono certo che si riferisse ad un annullamento totale della sua persona, certamente un destino preferibile a quello che gli stava per capitare. Infatti pochi istanti dopo, a meno di cinquanta metri da noi, lo Wampa gli piombò addossò, lo sbranò, lo fece letteralmente a pezzi e lo ingoiò. Dopo quest'orrenda carneficina, che mi costrinse a ricacciare nello stomaco un fiotto di vomito acido, quel ciclopico Yeti si allontanò senza neppure accorgersi della nostra presenza o del fatto che io impugnavo ancora il mio disgregatore rivolto verso di lui, benché sapessi benissimo che era inefficace contro le creature infernali.
Mentre se ne andava, tuttavia, il bestione cominciò a defecare, e la materia plasmatica che aveva espulso riprese la forma del dannato divorato poco prima, che subito si rialzò e corse via come se avesse le ali ai piedi. Il mostro non tardò ad accorgersi della sua fuga, ed allora si voltò e riprese l'inseguimento, ma il fuggiasco gli gridò con aria di scherno:
"Stavolta non ce la farai a riprendermi, grosso ammasso di muscoli, parola di Spud! Ora non ho più i soldi di Rent con i quali ubriacarmi di droga!"
Mentre osservavo raccapricciato quella caccia infernale che riprendeva, per continuare presumibilmente all'infinito, non potei fare a meno di domandare:
"Ma Gus, chi è quello Spud, e perchè viene così duramente punito sui ghiacci di Europa?"
"Il suo vero nome era Daniel Murphy", mi spiegò premurosamente la sua guida, osservando lo Wampa che faceva strage di statue pur di rincorrerlo, "e con gli amici Mark Renton detto Rent e Simon Williamson detto Sick Boy, scelse di rinunciare a una vita onesta e regolare, preferendo vivere nel paradiso artificiale che gli procurava l'eroina. Ma se Rent riuscì a disintossicarsi e a reinserirsi nella società civile, Spud, cui Rent aveva regalato 2000 sterline affinché si rifacesse lui pure una vita, preferì continuare ad assumere droghe, finché non morì di overdose, e non finì quassù, inseguito in eterno dai mostri dei ghiacci che lo vogliono divorare, come lui divorò con gli stupefacenti la vita che Dio gli aveva donato."
"Dunque su Europa non sono puniti solo i suicidi, ma anche i consumatori di stupefacenti", esclamai io, mettendo via finalmente il disintegratore. Gus tuttavia mi corresse:
"Per la precisione coloro che distrussero volontariamente la propria esistenza, gettando via i talenti che Dio aveva dato loro, avvelenandosi di droghe naturali e sintetiche fino a morirne. Anche questa, devi ammetterlo, è una forma di suicidio. Qui si trovano molti personaggi dello spettacolo, cantanti, ballerini, sportivi famosi, che dilapidarono le loro ricchezze in droga ed alcool, venendo stroncati da massicce dosi di quei veleni; fuggendo dagli Wampa che li inseguono per papparseli, essi danneggiano le sculture cui sono ridotti i suicidi, provocando loro atroci dolori, che fanno parte della loro severa punizione."
"Vedo", mormorai io, ascoltando i terribili lamenti che uscivano da una statua cui erano state troncate entrambe le braccia, e che mi colpì per la sua incredibile somiglianza con una foto di Cesare Pavese che c'era sul mio testo scolastico di Letteratura Italiana, forse perchè là dentro era effettivamente rinchiusa l'anima del famoso scrittore. A quel punto la mia guida mi fece cenno di seguirlo, e mentre attraversavamo quella selva di statue sanguinanti perchè mutilate dallo Wampa mi mostrò tra le altre quelle di Cleopatra, di Guido Speier, di Emilio Salgari, del poeta Sergej Aleksandrovič Esenin e del matematico Renato Caccioppoli.
"Avrei una domanda da farti", interloquii io, passando vicino alla statua di Willy Loman, rimasta miracolosamente intatta dopo il passaggio dell'Abominevole Uomo delle Nevi di Europa. "Se i suicidi e coloro che morirono per overdose hanno commesso violenza contro se stessi, perchè non si trovano all'interno di Giove insieme a tutti gli altri colpevoli di violenza?"
"La tua domanda dimostra che hai ripensato a quanto ti ho detto sull'organizzazione dell'inferno dopo che abbiamo lasciato Io", annuì soddisfatto Grissom, "ed io sono ben lieto di risponderti. Vedi, quella dei suicidi è una categoria di violenti diversa dalle altre. Come tu sai, chi uccide lo fa per soldi, per amore o per paura, in ogni caso il più delle volte lo fa coscientemente. Invece la maggior parte di coloro che si tolgono la vita lo fanno perchè in preda alla depressione o alla follia, e in entrambi i casi la Giustizia Divina è indulgente verso di loro. Infatti, chi ad esempio è istigato al suicidio dalle ingiustizie di una società corrotta, più che di violenza viene accusato di scarso autocontrollo, e questo comporta al massimo una lunga permanenza in Purgatorio. Non parliamo di chi cade in depressione o diventa folle, come Denethor, Francesco Borromini, Vincent Van Gogh o Virginia Woolf: il loro gesto è stato compiuto quando essi non erano nel pieno possesso delle loro facoltà mentali, e dunque non sono imputabili. Quanto poi a chi si uccide per non rivelare sotto tortura i nomi dei propri sodali, come il patriota Jacopo Ruffini, non soltanto non finisce davanti a Ming, ma anzi viene esaltato per la sua forza d'animo. Viene pietrificato in una statua di ghiaccio solo chi rinuncia deliberatamente alla vita per disprezzo del Creatore, della vita stessa o perché dispera della propria salvezza eterna. Essi non hanno scusanti a loro favore, e dunque non devi stupirti se li hai visti prigionieri di un fantasma di ghiaccio e tormentati di continuo dalla violenza belluina degli Wampa."
"A proposito di Wampa..." sbiancai io, udendo altri rabbiosi ruggiti che sicuramente preannunciavano il sopraggiungere di un'altra caccia infernale. "Se tu conosci un modo nel quale potremmo lasciare per sempre questo ghiaccio maledetto, direi proprio che è ora di sfruttarlo."
"Già, ormai qui hai veduto tutto ciò che c'era da vedere", approvò Gus, che non sembrava essersi accorto né dei ruggiti né del mio spavento, o forse glissava volontariamente su quest'ultimo, per evitare di dover rimproverare la mia pavidità. "Vieni con me, la stazione non è lontana."
"Quale stazione?" domandai io, sorpreso, ma Virgil si limitò a risponderli seccamente: "Tra poco lo vedrai, appena raggiungeremo la Annwn Regio." Temendo allora che le mie continue domande lo infastidissero, mi trattenni dal formulare ulteriori domande, certo che la spiegazione mi sarebbe giunta da sola, una volta giunti a destinazione.
E così, camminando in silenzio sulla superficie piatta e gelida di Europa, ci lasciammo indietro sia le statue dei suicidi, sia le urla belluine degli Wampa, sempre a caccia degli uomini che bruciarono la loro vita con le droghe. Cominciai invece ad udire qualcosa come un fischio lontano, seguito dallo sferragliare di qualche meccanismo che sapeva di romanzo steampunk. Potete immaginare come ci rimasi quando, dopo aver girato attorno ad un ammasso di iceberg incastonati dentro la banchisa di quella luna, vidi una vera e propria stazione ferroviaria, con pensiline e binari, affollata da una ressa incredibile di anime. Tutte urlavano, bestemmiavano, protestavano, si spintonavano, in maniera non troppo dissimile da quanto accade sulla Terra, allorché un treno a levitazione magnetica sta per partire da Firenze diretto a New York attraverso un tunnel scavato sotto l'Oceano Atlantico, e tutti cercano di farsi avanti a spallate per accaparrarsi i posti migliori nelle carrozze ferroviarie. La cosa che mi colpì perciò non fu tanto la violenza verbale e materiale di quella folla di dannati, bensì il treno in sé.
Esso infatti non aveva nulla a che spartire con gli splendidi convogli a levitazione magnetica, che riescono a raggiungere la fantastica velocità di milleduecento chilometri orari dentro i tunnel sottomarini, ma sembrava piuttosto appartenere alla prima era della storia dei trasporti ferroviari, tra la metà del XIX secolo e la metà del successivo. Il locomotore infatti era dotato di un grande fumaiolo dal quale usciva un fumo denso e nero, sufficiente per farmi comprendere che si trattava niente popò di meno che di una locomotiva a vapore. Ne avevo vista una simile nel Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, quando ero ancora un adolescente scapestrato, e non avrei mai pensato di poterne vedere uno in funzione su una tratta ancora operante. Sul carrello anteriore c'era un disco di metallo rosso bordato di giallo con l'evidente scritta « 666 », che non lasciava alcuna speranza sul possibile utilizzo di una simile locomotiva. I vagoni, poi, erano piombati, simili più a carri bestiame che a convogli adibiti al trasporto passeggeri, e le uniche aperture erano protette da filo spinato, che sembrava corroso dal tempo, come se avesse trascorso secoli nello spazio aperto.
"Questo è il mezzo che ci condurrà nel cosiddetto Inferno Esterno, cioè sui mondi del Sistema Solare al di là dell'orbita di Giove", mi spiegò Grissom, come se avesse potuto leggere i miei dubbi attraverso le ossa della mia scatola cranica. "La mia navicella Mercury-Redstone infatti non potrebbe viaggiare attraverso i mondi esterni, sprofondati negli abissi dell'abiezione, che solo un convoglio come questo ha il permesso di raggiungere, dopo aver solcato spazi perigliosi e campi di asteroidi in cui persino Curtis Newton alias Capitan Futuro avrebbe avuto paura a dirigere la prua della propria Future Comet."
"Scommetto che esso è il mezzo di trasporto utilizzato per trasferire anche i dannati sui mondi delle rispettive punizioni eterne", mormorai io, incapace di allontanare lo sguardo da quegli orrendi carri bestiame. Gus annuì gravemente:
"Purtroppo sì. Sulla Terra, treni del genere erano utilizzati dai gerarchi delle più inumane dittature per trasferire i loro prigionieri nei loro luoghi di detenzione o di sterminio: con analoghi vagoni, i prigionieri ebrei erano trasferiti dai nazisti ai campi di concentramento come Auschwitz e Buckenwald, e gli oppositori del regime sovietico erano portati in Siberia dagli stalinisti. Ora, coloro che frodarono o tradirono il loro prossimo, tra cui quegli stessi nazisti e stalinisti, per contrappasso sono portati ai « campi di concentramento » che occuperanno per tutta l'eternità!"
Io non potei fare a meno di pensare che "Annwn Regio" era il nome più adatto per quella porzione della superficie di Europa, dal momento che "Annwn" è uno dei nomi dato dagli antichi Celti al loro Oltretomba, e da esso partiva il treno dei dannati destinato ad inoltrarsi nelle più remote profondità dei mondi esterni del Sistema Solare! Non ebbi però il tempo di esternare alla mia guida questo pensiero, poiché giusto in quel momento giungemmo vicino alla locomotiva di quel vero e proprio « Hell Express 666 », e da esso vedemmo scendere il macchinista; ed appena la ebbi scorta, la parola mi si congelò letteralmente nel gargarozzo, come per effetto del gelo di Europa.
Il macchinista infatti era in realtà UNA macchinista, e precisamente una ragazza bellissima, vestita di nero: aveva il volto ovale, i lineamenti delicati, le ciglia lunghissime e i capelli biondi ancor più lunghi, tanto che le arrivavano praticamente sino al suolo, nonostante fosse alta quasi due metri. Ella mi sorrise, di un sorriso radioso quanto l'alba di Vega, che all'inferno mi sembrava fuori posto come un antico romano potrebbe esserlo sulla Luna; ed io, ammaliato da quel sorriso, avanzai di un passo verso di lei. Subito però Gus mi trattenne ed abbaiò in direzione della splendida donna:
"Basta così, Mystica. Forse puoi ingannare il povero Dante con le tue abilità di mutaforma, ma non certo il sottoscritto!"
Nota: Questo
canto è ricchissimo di spunti. Nell'universo di "Star Wars", gli Wampa sono gigantesche creature
carnivore che abitano nelle caverne di Hoth, sesto pianeta dell'omonimo sistema
stellare, interamente ricoperto dai ghiacci. L'Alleanza Ribelle che lotta contro
l'Impero sposta la propria base principale a Hoth dopo la distruzione della
Morte Nera, e proprio qui, nelle scene iniziali del film, Luke Skywalker viene attaccato da uno
Wampa, ma riesce a sfuggirgli tagliandogli una zampa con la spada laser del suo
vecchio maestro Obi-Wan Kenobi. L'utilizzo di uno Wampa in questo contesto è
dovuto al fatto che anche Europa è interamente ricoperta di nevi.
Spud, Rent e Sick Boy, interpretati rispettivamente da Ewen Bremner, Ewan McGregor
e Jonny Lee Miller, sono i tre protagonisti del film britannico "Trainspotting",
diretto nel 1996 da Danny Boyle, il cui titolo significa « veder passare i
treni », cioè limitarsi ad assistere all'esistenza, senza fare nulla per far
fruttare i propri talenti. Alla fine del film effettivamente decide di
disintossicarsi e di donare 2.000 sterline all'amico Spud, in modo che questi
non possa affermare di essere stato fregato, ma non si dice nulla sul destino di
Spud; la sua morte per overdose è dunque stata immaginata dall'autore di questo
racconto, onde aver a disposizione un personaggio morto per overdose, che ha
davvero "buttato via" la propria vita.
Da notare che Cleopatra è l'unico personaggio di "questo" inferno che
compare anche in quello di Dante. Il Sommo Vate però la aveva condannata alla
pena eterna tra i lussuriosi, qui invece viene considerato più grave il suo
suicidio. Willy Loman è il protagonista del dramma "Morte di un commesso viaggiatore"
di Arthur Miller, che si suicida per far sì che la moglie Linda possa riscuotere i ventimila dollari dell'assicurazione sulla vita
da lui stipulata.
Guido Speier è invece uno dei personaggi de "La Coscienza di Zeno",
romanzo pubblicato da Italo Svevo nel 1923: socio del protagonista, Guido Speier
sperpera il suo patrimonio e, dopo un'ennesima perdita in borsa, simula un tentativo di suicidio, per indurre la moglie
Ada Malfenti a sovvenzionarlo con la propria dote. La prima volta viene salvato,
ma quando tenta di ingannarla di nuovo, per un banale scherzo del destino si
suicida davvero.
Denethor è il ventiseiesimo ed ultimo Sovrintendente di Gondor nell'universo de
« Il Signore degli Anelli »: intuendo che la Sovrintendenza sta per avere fine
con il ritorno del Re nella persona di Aragorn, prima impazzisce e poi si
suicida.
Per Emilio Salgari (1862–1911), Sergej Aleksandrovič Esenin (1895 –1925),
Cesare Pavese (1908–1950) e Renato Caccioppoli (1904–1959)
vale il discorso già fatto per Alan Turing: chi scrive si augura con tutte le
forze che tali insigni personaggi abbiano varcato le Porte del Paradiso, così
come Francesco Borromini (1599–1667), Jacopo Ruffini (1805–1833),
Vincent Van Gogh (1853–1890) e Virginia Woolf (1882–1941).
La Annwn Regio è effettivamente una delle strutture superficiali in cui è
divisa la superficie di Europa. Tutte le divisioni di questa luna hanno il nome
di località associate ai miti celtici, ed "Annwn" (in gallese
"nessun luogo") era uno dei nomi dell'Oltretomba secondo i Celti.
L'Espresso Infernale
infine è modellato sul Galaxy Express 999, disegnato dal grande animatore
giapponese Leiji Matsumoto, con una sola differenza: sul carrello anteriore
anziché la scritta « 999 » compare invece il numero capovolto « 666 », ben
più adatto a un mezzo di trasporto dell'Oltretomba, dato che si tratta del
famigerato "Numero della Bestia" citato in Apocalisse 13, 18. « Hell Express 666 »
è una vera e propria storpiatura di « Galaxy Express
999 ».
La "Future Comet" è l'astronave del mitico Capitan Futuro,
protagonista dell'omonimo cartone animato. La descrizione della ragazza bionda
scesa dalla locomotiva corrisponde a quella di Maisha Hikoshino, la protagonista
femminile di « Galaxy Express 999 ». Infine, per quanto riguarda Mystica, si
veda la nota al canto seguente.
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Canto XVI
« Ecco la fiera con la coda aguzza,
che passa i mondi, e rompe i muri e l'armi.
Ecco colei che tutto 'l cosmo appuzza! »
(Inf. XVII, 1-3)
La splendida macchinista ci sorrise di un sorriso malvagio, poi gli atomi che costituivano il suo corpo improvvisamente si riorganizzarono, e nel giro di pochi secondi ella assunse un aspetto mostruoso, che al contrario del precedente mi sconvolse e mi spinse ad indietreggiare di tre passi. La sua pelle divenne di un blu elettrico, squamosa e fortemente cheratinizzata soprattutto sul viso, sui seni e sugli arti, che apparivano ricoperti da vere e proprie scaglie simili a quelle di un dinosauro di Theta Orionis X. I suoi capelli ora erano corti e rossi come vampe di fuoco, mentre i suoi occhi si erano trasformati in due fessure malvagie, gialle come l'oro fuso e rilucenti come spilloni puntati verso di noi.
"Ma... è un demonio!" esclamai io terrorizzato, quando finalmente la voce riuscì ad emergermi dal gargarozzo. Gus però scosse il capo:
"No, è una mutante, ed ha il potere di assumere tutte le forme che desidera. Tuttavia, anziché mettere questo suo potere al servizio dell'umanità, sotto la guida del professor Xavier, preferì aderire alla Confraternita del perfido Erik Lehnserr alias Magneto, che voleva trasformare gli umani in mutanti. Per la sua capacità di sembrare bellissima a suo comando, e di ingannare così i creduloni come te, è l'icona vivente della frode, e per questo fu condannata a pilotare in eterno il Treno Infernale, che conduce le anime dei frodatori nei loro luoghi di prigionia su Saturno, Urano e Nettuno!"
Quella malvagia ingannatrice d'uomini, che tanti guai aveva provocato al professor Charles Xavier ed ai suoi ragazzi, sorrise diabolicamente al nostro indirizzo e parlò con una voce che sembrava una via di mezzo tra quella di un pipistrello e quella di un serpente:
"Dì la verità, Grissom: ti brucia ancora quella volta in cui ti sono apparsa sotto l'aspetto del Presidente americano Lyndon Johnson, pronto ad appuntarti una medaglia al valore sul petto, e tu ci sei cascato! Gli uomini mi amano, e sai perché? Perché appaio loro nelle forme che preferiscono. Vorrebbero una pin-up nel loro letto, anche se essi sono scialbi ed insignificanti? E io li accontento, assumendo quella forma. Sono professori di scuola media che ad insegnare valgono meno della loro lavagna di ardesia, ma sognano di ricevere il Premio Nobel? Io mi trasformo nel Re di Svezia e glielo consegno, o almeno consegno loro un fac-simile. Sono poveri in canna ma sperano di vincere il Primo Premio della Lotteria? Io assumo l'aspetto del tesoriere della Lotteria e consegno loro il biglietto vincente. Si capisce che è falso, ma almeno per un po' di tempo quelli si illudono di essere diventati ricchi, e scoppiano di felicità. Io sono una benefattrice dell'umanità, poiché mostro loro le immagini che essi vogliono vedere, e faccio udire loro i suoni che vogliono sentire. Probabilmente moriranno poveri, soli e disillusi, ma al momento presente essi vivono allegri, e questo è per merito mio!"
"Oh, questo non lo metto certo in dubbio", replicò la mia guida, paonazzo dall'ira e con la mascella che gli tremava. "Peccato che il Paradiso che tu offri agli uomini sia falso ed artificiale, e che il più delle volte poi essi finiscono per piombare a capofitto proprio in questi mondi infernali! La povertà va combattuta non con l'illusione della ricchezza facile e gratuita, ma insegnando un mestiere che consenta una vita dignitosa. La fame di gloria va spenta insegnando l'umiltà, non consegnando titoli che non valgono assolutamente nulla. E la solitudine la si vince con l'amore!"
Io ritenni le parole di Virgil più che sensate, ma Raven Darkholme alias Mystica ribatté con una risata sguaiata, quindi lampeggiò verso di noi con i suoi occhi mostruosi:
"Sei sempre stato un idealista, Grissom. Avresti potuto fare carriera nella NASA se avessi avuto il coraggio di mentire di qua, frodare di là, ungere le ruote giuste. Invece sei rimasto un semplice astronauta, e come tale sei morto in un banalissimo incidente a terra!"
"Sì, ma almeno è morto con la certezza di essere un uomo onesto", ribattei io, rincuorato dalla gagliardia di Gus, tornando a fare un passo avanti verso quella mostruosità infernale. "Tu invece sai solo ingannare il tuo prossimo, e come premio per i tuoi peccati non hai guadagnato nient'altro che fare la spola avanti e indietro fra i pianeti esterni del Sistema Solare, portando a destinazione quelle stesse anime che tu hai rovinato con il falso miraggio della cupidigia e dell'appagamento dei sensi!"
Mystica increspò le labbra color della notte in un sorriso sardonico, scoprendo una paio di canini da far invidia al conte Dracula, e ironizzò: "Però! Te lo sei allevato bene il tuo tirapiedi, Gus: ancora non è morto, e già parla come se il tuo Dio lo avesse nominato giudice dell'Oltretomba!" Subito dopo tuttavia convertì l'espressione divertita in una di odio feroce, e mi ringhiò contro:
"Ringrazia quella donna del Paradiso che ti ha fatto avere il lasciapassare per l'inferno, lasciapassare che mi costringe a portarti sul mio treno fino alla Fascia di Edgeworth-Kuiper, altrimenti puoi star certo che sorvolerei il Sole, misero mortale, e quindi ti precipiterei nelle sue fiamme, come dicono che il demonio fece con Teodorico di Verona! E ora in carrozza, voi due: il convoglio è già in ritardo!"
Ciò detto, quella maledetta lamia cambiò nuovamente forma, assumendo l'aspetto di un vero macchinista, che nell'aspetto somigliava molto ai due celebri fratelli Mario e Luigi Mario, quindi salì agilmente la scaletta che portava alla cabina di guida della locomotiva e sparì in essa, facendo emettere un suono acutissimo da parte del fischio a vapore, che in quel luogo e con quella compagnia suonò più lugubre di una campana a morto.
"Diabolico!" protestai io, mentre Gus mi trascinava lontano dalla motrice: "Assume l'aspetto di uno dei personaggi più simpatici dell'immaginario collettivo, per ingannare le anime che salgono su questo treno, e far credere loro di raggiungere chissà quale piacevole destinazione!"
"E' così che opera la frode tra gli uomini", si limitò a mormorarmi la mia guida, conducendomi verso uno dei vagoni piombati, ma era evidente che si tratteneva a forza dal montare lui stesso su quel locomotore e dal ficcare tre artigli di metallo nella gola di quella perfida mutante, come se il Signore gli avesse attribuito per l'occasione gli speciali poteri di Wolverine. Intanto, il fischio era penetrato dentro i crani di tutti i dannati là in attesa, indicando loro che era giunto il momento della partenza; e fu allora che vidi altri degni compari di Mystica, intenti a spintonare rudemente i miseri spiriti sull'Espresso Infernale.
Vidi Victor Creed alias Sabretooth, un gigantesco Yeti dotato di lunghe zanne di adamantio, che graffiava con gli artigli i dannati che si attardavano; al suo confronto, anche il Cerbero marziano mi parve un tenero animaletto da compagnia. Vidi Mortimer Toynbee alias Toad, una specie di incrocio fra un uomo e un rospo che fustigava i dannati attardatisi con la lunga lingua prensile: io sapevo che essa non gli era servita al momento del combattimento decisivo, quando venne ucciso da Tempesta. Vidi Saint John Allerdyce alias Pyro, un pericoloso mutante capace di controllare e accrescere le fiamme, che si divertiva a far sprigionare il fuoco dalle natiche delle anime perdute, per sospingerle dentro i carri della morte. Vidi Elizabeth Braddock alias Psylocke, che generava scariche telepatiche in grado di infliggere atroci dolori, ed era intenta a sollevare di peso dei dannati con le proprie virtù psicocinetiche per scaraventarli dentro i vagoni piombati. Vidi anche Wanda Maximoff alias Scarlet, la più pericolosa di tutti i mutanti della Confraternita, in grado di alterare la struttura stessa dello spazio e del tempo; ma all'inferno tale pericolosa dote doveva esserle stata tolta in gran parte, perchè si limitava a modificare lo spazio-tempo piatto in un vortice che scaraventava i dannati dentro il treno maledetto.
"Stai tranquillo", mi rassicurò a quel punto Gus, vedendo che ero letteralmente impallidito all'idea di essere spintonato in quel modo dentro il nostro nuovo mezzo di trasporto. "I loro poteri non hanno effetto su di noi, ma solo sui dannati: tu invece sei vivo, ed io non sono mai stato condannato da Ming ad alcuna punizione eterna. Sul vagone saliremo con le nostre gambe."
Infatti, passando davanti a Toad che si limitò a guardarlo con odio ma non fece nulla per tentare di fermarlo, Grissom salì agilmente sul secondo vagone piombato del convoglio, ormai già pieno zeppo di corpi fluidi, quindi mi allungò la mano destra, e con il suo aiuto riuscii faticosamente a montare su di esso. Le mie difficoltà suscitarono i risolini divertiti di Toad e di Scarlet, ma io mi voltai e li apostrofai seccamente:
"Vorrei vedere voi, se aveste ancora un corpo solido e doveste superare un gradino così alto con la tuta spaziale addosso!"
Evidentemente il fatto di ricordare loro che non avevano più un corpo vero e proprio, dopo essere stati uccisi da Wolverine, Ciclope, Tempesta, Rogue e dagli altri discepoli del Professor Xavier, dovette fare loro piacere quanto un chilo di salgemma infilato nel retrobottega, perché Toad chiuse rabbiosamente la paratia scorrevole del vagone senza dire una parola, come se potesse inviare anche me verso la dannazione eterna. Siccome io sono sempre stato un tipo caparbio, non mancai di gridargli attraverso la stretta feritoia che si apriva nella paratia:
"Ah, e salutatemi il dottor Magneto. Chissà come se la passa, nella sua prigione eterna fatta di plastica!"
Non udii le orrende bestemmie che certamente i malvagi mutanti mi sputarono contro, giacché a quel punto la macchinista fece emettere alla locomotiva un nuovo tremendo fischio, segnale del fatto che il convoglio si stava mettendo in moto. Schiacciato com'ero contro la paratia, pressato dalle ombre dei frodatori pigiati in quel carro bestiame, udii le ruote sferragliare sotto di me e vidi la superficie di Europa cominciare a scivolare verso la mia sinistra. "Bene, è cominciata la gita di piacere nell'Inferno Esterno", pensai tra me e me con un brivido. "Meglio non pensare a ciò che mi aspetta, altrimenti rimpiangerò di non essere rimasto rinchiuso per sempre dentro il buco nero antisolare!"
Lo « Hell Express 666 » (da questo sito)
Ma ciò che mi aspettava cominciai a toccarlo con mano subito: il convoglio dei dannati infatti non aveva fatto che un paio di chilometri sulla superficie ghiacciata di Europa, quando improvvisamente sentii un rumore sospetto, accompagnato da un violento scossone, e subito dopo il vagone piombato dentro cui ero stato rinchiuso come un ebreo al tempo del Terzo Reich si inclinò decisamente verso l'alto nella direzione del moto, come se esso stesse letteralmente spiccando il volo. I frodatori che erano pigiati in nostra compagnia dentro di esso proruppero in grida di spavento, e cominciarono a urlare: "Tradimento! Questo è un treno, non un aereo!" A zittirli però provvide il solito Gus, che li sgridò con voce severa:
"Fatela finita! Se in vita avete truffato il vostro prossimo, il minimo che vi può capitare nell'Oltretomba è di essere truffati a vostra volta, no?"
Tutti tacquero, tenendosi l'uno all'altro per non ruzzolare al suolo, giacché il convoglio si era inclinato quasi di quarantacinque gradi. La nostra carrozza beccheggiò paurosamente, come se fosse insolito per lei portare un corpo solido come il mio, e non un corpo plasmatico come quello di Gus e dei dannati, ma Mystica fu abile a riprendere il controllo del treno; e, quando osai sbirciare fuori dalla feritoia del vagone, mi accorsi che la superficie ghiacciata di Europa con il suo carico di sofferenze si stava allontanando rapidamente sotto di noi, e la stessa palla gassosa del gigante del Sistema Solare si faceva sempre più piccola, man mano che il convoglio andava allontanandosi dal Sole e dalla sua luce, metafora della sovrabbondante Grazia Divina. Con mia sorpresa, il treno correva nello spazio vuoto senza bisogno di binari, era dotato di gravità artificiale (anche se pari a meno della metà di quella terrestre), ma il principio alla base della sua propulsione mi restava affatto ignoto, dal momento che, prima di montare su di esso, non avevo visto alcun razzo né sopra né sotto né ai lati di ciascun vagone, nonostante lo avessi osservato molto bene. Anche stavolta però Gus precedette la mia domanda, come se fosse davvero in grado di leggermi nella mente:
"Tu forse non te ne sei accorto, Dante, ma quando Mystica ha suonato il secondo fischio, Psylocke è salita sulla torretta posta nella parte posteriore dell'ultimo vagone."
"Ora capisco! Sono i suoi immensi poteri telecinetici, che spingono questo treno attraverso lo spazio pressoché vuoto che separa Giove e Saturno!" esclamai io, e Grissom annuì soddisfatto:
"Bravo. Come vedi, quella diabolica mutaforma non è l'unica degli X-Men malvagi, condotta a guidare per sempre il Treno dei Morti!"
"Suppongo che anche Scarlet faccia la sua parte, curvando lo spazio-tempo come faceva l'Enterprise di Capitan Kirk, guidando un altro treno", aggiunsi io, e Virgil aggiunse:
"Certo, ed anche Martinique Jason-Wyngarde, alias Mastermind, dà il suo contributo, anche se i suoi poteri telecinetici sono meno potenti di quelli di Psylocke. Ella però riesce ad ingannare i passeggeri del suo treno, proiettando nello loro menti immagini illusorie che fanno loro credere di stare volando verso il Paradiso."
"Immagino che disillusione, appena arrivano a destinazione", commentai io, quasi soffrendo per quelle anime perdute, poiché nulla c'è di peggio per l'ingannatore incallito, di essere ingannato a sua volta.
"La tua compassione ti fa onore", mi gratificò Gus, "ma per i dannati essa è inutile, quanto lo era per gli antichi egizi riempire di cibi succulenti le tombe nella Valle dei Re. Anzi, è giusto che chi ha vissuto frodando il prossimo, o addirittura tradendolo, qui riceva pan per focaccia. Infatti, la Giustizia Divina..."
La dotta spiegazione del mio maestro mi aiutò a far passare più velocemente il tempo necessario per la traversata da Giove a Saturno, ma io ve la risparmierò, onde evitare che questo mio racconto venga da voi reintitolata « La Noiosa Commedia »!
Nota: La macchinista dell'«
Hell Express 666 »
è Mystica, uno degli X-Men dell'omonimo fumetto Marvel. In questo racconto
tuttavia le è assegnato l'aspetto raccapricciante visibile nei film "X-Men" (2000),
"X-Men 2" (2003) e "X-Men - Conflitto finale" (2006), onde
accentuare l'immagine della « sozza imagine di froda » (Inf. XVII, 7) che
emerge dalle parole di Virgil.
Per la Fascia di
Edgeworth-Kuiper, vedi il Canto XXVIII.
Secondo la leggenda ripresa da Carducci in una sua celebre lirica, Teodorico il
Grande (454–526) alla fine della vita fu rapito da un diavolo sotto forma di
un cavallo nero, che lo precipitò nello Stromboli, considerata allora la porta
dell'Inferno.
Mario e Luigi Mario sono i due fratelli idraulici del celeberrimo videogioco
"Super Mario Bros".
Sabretooth, Toad,
Pyro, Psylocke e Scarlet sono cinque
tra i più noti membri della Confraternita, fondata da Erik Lehnsherr alias
Magneto per combattere con tutti i mezzi leciti ed illeciti gli esseri umani che
li vogliono ghettizzare,
considerandoli pericolosi per la società civile. Anch'essi fanno parte della
saga degli X-Men, così come Wolverine, Ciclope, Tempesta e Rogue, che però
combattono dalla parte della giustizia. Magneto è descritto come rinchiuso in
una bolgia infernale di plastica perchè egli ha il potere di controllare e
deformare tutti i metalli, e proprio in una prigione del genere fu rinchiuso dal
Professor Xavier. Infine Martinique Jason Wyngarde alias Mastermind è un'altra
degli X-Men cattivi, che ha il potere di proiettare illusioni assai realistiche
nelle menti delle sue vittime.
.
Canto XVII
« Di qua, di là, su per
l'anello tetro
vidi demon cornuti con gran ferze,
che li battien crudelmente di retro. »
(Inf. XVII, 34-36)
L''Espresso Infernale attraversò con incedere sinuoso ed elegante lo spazio vuoto esistente tra Giove e Saturno, una zona del sistema solare nel quale le perturbazioni gravitazionali dei due giganti gassosi impedirono la formazione di qualsiasi corpo celeste di dimensioni significative; a me tale "zona morta" fece pensare all'effettiva separazione fisica tra i dannati dell'Inferno Interno e quelli dell'Inferno Esterno, così lontani dalla luce del Sole da far pensare che persino la Giustizia Divina disdegnasse aver più alcunché a che fare con loro, limitandosi a lasciarli in custodia ai mostruosi guardiani dei mondi infernali, dopo aver pronunciato la sentenza definitiva sulle loro anime. Attraversare un tale abisso di oscurità, lontano dal più piccolo asteroide e di tanto in tanto attraversato solo da una cometa più coraggiosa delle altre, fu un'esperienza che mi coprì il cuore di tristezza; non deve essere diverso attraversare da un capo all'altro il deserto del Sahara attraverso la ferrovia transahariana, che congiunge il Cairo in Egitto a Dakar in Senegal, vedendo sfilare fuori dal finestrino solo tavolati rocciosi e dune di sabbia, nelle quali solo sporadicamente è possibile intravedere le città-oasi sorte negli ultimi secoli attorno a qualche antico pozzo petrolifero oggi esaurito.
Fu perciò con non poco sollievo, cari lettori, che vidi apparire di fronte al treno la palla dorata di Saturno. Quando frequentavo all'Accademia, ci portavano qui a compiere esercizi di pilotaggio tra le lune di questo pianeta, infilando con precisione le separazioni tra i vari anelli, e dunque quel luogo mi era tutt'altro che sconosciuto; inutilmente tuttavia cercai con gli occhi la stazione spaziale di ricerca Cronos, alla quale avevo attraccato più di una volta. Non ci fu bisogno di scomodare la mia guida per comprendere che essa, essendo popolata da vivi, non era visibile agli occhi dei morti, così come le folle dei dannati e dei demoni erano assolutamente invisibili agli occhi dei vivi. E, finché io ero con Gus e avevo la facoltà di viaggiare nell'Oltretomba, non facevo certo eccezione a questa regola.
In men che non si dica il convoglio, guidato da Mystica e mosso dai poteri telecinetici di Psylocke, fu al di sopra dei magnifici anelli del sesto pianeta, che dopo quell'abisso di oscurità brillavano ai miei occhi come una vena d'oro agli occhi di un minatore. Con mia grande sorpresa, il treno puntò non verso le nubi risplendenti di Saturno, ma proprio sugli anelli, e il locomotore arrivò a posarsi praticamente su di essi; precisamente, sull'anello B, il più brillante di tutti, che si rivelò composto di innumerevoli anelli minori, alcuni dei quali dall'orbita fortemente eccentrica. Il Treno dei Dannati si infilò esattamente su uno di essi, largo alcuni chilometri ma spesso appena una decina di metri. La sua struttura non era affatto omogenea: in alcune zone la densità di polveri e ghiaccio era maggiore, e proprio su di essa locomotiva e vagoni poggiarono le ruote, come su una gigantesca massicciata cosmica. Quando il treno finalmente si arrestò sferragliando, la paratia venne finalmente aperta, ed io e Gus scendemmo insieme a molti spiriti, che evidentemente erano stati destinati da Ming proprio alla permanenza eterna su quell'anello ghiacciato. Appena sceso, mi colpì l'immensa mole dorata di Saturno che incombeva su di noi, così come il mitologico titano suo omonimo incombeva sui propri sudditi durante l'Età dell'Oro; ma non fui meno colpito dal fatto che l'anello ghiacciato reggeva perfettamente il mio peso, così come quello di tutta la ressa dei dannati. Doveva essere una conseguenza delle proprietà del corpo fluido, e voi sapete benissimo che anche al mio corpo solido erano state concesse le stesse facoltà, fintanto che viaggiavo in compagnia di Virgil Grissom.
"I frodatori sono divisi in Bolge", mi stava spiegando quest'ultimo nel frattempo, "e la prima Bolgia è occupata dai seduttori e dai protettori di prostitute. Il treno si fermerà qui per un certo tempo, fino a che i custodi si saranno assicurati che tutti i peccatori qui destinati hanno raggiunto il loro posto, e dunque noi avremo tempo di visionare la loro pena e di parlare con alcuni di essi."
"E se il convoglio partisse senza di noi?" domandai io, colto da un improvviso presentimento. Virgil tuttavia scosse il capo:
"Non può farlo. Le due mutanti in testa e in coda al treno sanno che la loro punizione sarebbe durissima, se sbagliassero la consegna anche solo di un dannato, e questo vale anche per la nostra incolumità. Non aver paura, il Cielo ci protegge durante quest'orribile avventura, e come hai visto su Giove nessuno può impedire il nostro procedere decretato dal Fato."
"E se le due mutanti si sbagliassero, o fossero ingannate?" mi venne da domandare, ma evitai di formulare questa richiesta, poiché avevo deciso di fidarmi della mia guida fino in fondo; come vedremo in seguito, tuttavia, questi miei timori si sarebbero rivelati fondati. Al momento ne ero inconsapevole, e seguii la mia guida fino a quello che sembrava un solco, come una specie di grande autostrada, scavato direttamente nella materia che costituiva l'anello. Forse era stato scavato proprio dai passi dei dannati, perchè all'interno di essi camminavano due schiere di anime, che si muovevano in direzione contraria l'una rispetto all'altra, così come in una grande autostrada i veicoli procedono in una direzione nelle corsie di destra, e nell'altra nelle corsie di mancina. La temperatura era bassissima, così come su Europa, ma non era certo il freddo la maggior preoccupazione di quegli sventurati. Infatti, su entrambi i bordi del lungo fossato nel quale i dannati erano costretti a camminare in tondo, percorrendo per sempre l'anello in tutta la sua lunghezza, io vidi degli umanoidi alti più di due metri, dall'aspetto davvero raccapricciante. La loro pelle era rugosa, simile a quella di certi anfibi, e ciascuno aveva quattro protuberanze intorno alla bocca, unite su ciascun lato del volto da una membrana di pelle, che ricordava vagamente le mandibole esterne dell'apparato boccale dei granchi. Inoltre ognuno di quegli esseri malefici aveva sul capo molteplici appendici flessibili disposte a formare un semicerchio, che partiva dai lobi del cranio e passava sulla parte posteriore dello stesso, lasciandone scoperta la sommità, come i dreadlocks di certi nostalgici del ventesimo secolo. Ognuno di quegli alieni aveva in mano una frusta dentellata, in grado di dilaniare i malcapitati con spaventosa violenza, e la menava in continuazione sopra le schiene, le spalle, gli arti dei peccatori in marcia. Ah, come li costringevano ad alzare i tacchi e ad affrettarsi già alle prime percosse! Nessuno di certo aveva intenzione di aspettare le seconde, né le terze!
"Maestro mio, chi sono quelli esseri orripilanti?" domandai io, ringraziando di essere fuori da quella Bolgia, e di non dovermi beccare le frustate di quei demoni senza cuore.
"Sono gli Yautja, alieni che voi chiamate anche semplicemente « Predators »", mi replicò Gus, stupendomi non poco, perchè fino ad allora non avevo mai visto dal vivo quegli spaventosi alieni, che secondo le leggende raccontate nei bar degli spazioporti potevano percepire il calore emesso da qualunque corpo, le onde elettromagnetiche e in generale qualsiasi tipo di tecnologia. Si favoleggiava che avessero il sangue bioluminescente di un colore verde acceso, e che possedessero forza ed agilità straordinarie, tanto che un umano, per quanto forte ed allenato, non avrebbe alcuna speranza di vincere un confronto corpo a corpo contro uno Yautja. Inoltre pare che gli Yautja amassero uccidere, scorticare ed appendere per i piedi le loro vittime, come ammonimento ai loro avversari. Là dentro però nessuno di quegli alieni dall'aspetto inquietante sembrava fare uso contro i dannati di questa superiorità fisica, utilizzandola solo per menare frustate all'impazzata. I dannati facevano di tutto per ripararsi da quelle micidiali frustate, che arrivavano loro addosso da tutte le direzioni, ma inutilmente. Io notai peraltro che le ferite inferte loro dalle scudisciate si sanavano da sole nel corso di pochi secondi, ma solo per essere sostituite da nuove ferite, provocando un dolore che non aveva mai fine.
Avvicinatomi al bordo della Bolgia, e sbirciando in essa cercando di non farmi raggiungere a mia volta da quei colpi di frusta, mi parve all'improvviso di riconoscere qualcuno, e dissi a Gus: "Se me lo permetti, maestro mio, vorrei vedere se quel dannato laggiù è proprio colui che sospetto io."
Grissom si fermò al mio fianco, come per essere sicuro che gli Yautja non prendessero anche me per un volgare ruffiano, e non mi appendessero a testa in giù. Io lo presi come un assenso, e mi rivolsi al peccatore da me adocchiato, che avanzava a capo chino, come se non volesse farsi riconoscere:
"Ehi, tu! Se non mi inganno, tu sei Venedico Caccianemico! Ma come hai fatto a finire qui sugli anelli di Saturno?"
Il dannato allora rialzò il capo verso di me, e strillò: "Ah! La conosci bene allora, la città di Bologna! Io sono vissuto in quella città dal 3228 all'anno scorso, ed ero il Segretario cittadino del Partito Democratico Terrestre, ma fui esiliato per ben due volte a causa dei contrasti con i miei compagni di partito. Purtroppo, per ottenere il favore del Segretario Generale del Partito per tutta l'Italia, gli permisi di fare quello che voleva con la mia bellissima sorella Ghisolabella, nonostante questa fosse già sposata con un altro militante del nostro Partito. Questo mio turpe peccato è un segreto di Pulcinella, ormai, nonostante in vita io sia riuscito a fare in modo che nessun ologiornale ne parlasse. Comunque io non sono l'unico, qui dentro, a piangere in bolognese: anzi, ci sono più bolognesi su Saturno che sulla Terra, e la cosa non deve parerti strana, se consideri il nostro animo profondamente avaro!"
Ma, siccome nel parlarmi si era infervorato ed aveva rallentato il passo, uno dei cacciatori Yautja lo percosse violentemente sulle natiche con la propria frusta, gridandogli con voce cavernosa: "Fila via, maledetto ruffiano! Qui non ci sono donne da vendere per denaro!"
Temendo di beccarmi una frustata anch'io, io mi sbrigai a raggiungere Gus, il quale mi portai sopra una piccola collinetta di ghiaccio, che separava la Bolgia dal Treno dei Dannati, tuttora fermo in stazione, e da lì mi indicò l'altra schiera di dannati, che si muoveva in senso contrario a quella di Venedico Caccianemico.
"Vedi? Questi, di cui finora non hai visto il volto perchè procedevano nella nostra stessa direzione, sono i seduttori. Guarda quel personaggio dal fisico imponente che viene verso di noi, e sembra quasi insensibile alle sferzate, tanto da non spargere neppure una lacrima, come non ne spese mai in vita sua: guarda che aspetto da gentleman britannico mostra tuttora, pur essendo stato uno spregiudicato agente segreto. Il suo nome è James, James Bond, e con coraggio ed astuzia beffò più volte la SPECTRE, lasciando a bocca asciutta il suo capo supremo Ernst Stavro Blofeld. Purtroppo egli non fu solo forte e spregiudicato, ma per portare avanti le proprie ardite missioni a favore dell'MI5, non esitò a sedurre molte donne potenti, giovani e bellissime. Tra queste ci furono Honey Ryder, Tatiana Romanova, Pussy Galore, Domino Derval, Tiffany Case, Solitaire, Holly Goodhead, Melina Havelock, Wai Lin, Jinx Johnson, Vesper Lynd e mille altre, che caddero ai suoi piedi stregate dal suo fascino British."
"E chi è quel tizio con la parrucca bianca, che cammina pochi passi dietro all'Agente Segreto con licenza di uccidere?" domandai io, incuriosito. Gus mi accontentò subito:
"È l'avventuriero Giacomo Casanova, che nella sua autobiografia "Histoire de ma vie" si attribuisce 122 amanti, meritandosi così la medaglia d'argento della seduzione, dietro all'immarcescibile James Bond; ma almeno ha la soddisfazione che il suo nome sia diventato sinonimo stesso di donnaiolo. Dietro di lui c'è Porfirio Rubirosa, uno dei più celebri playboy della storia dell'uomo, conosciuto per il suo stile di vita sfarzoso e per le belle donne del mondo dello spettacolo e del jet-set di cui amava circondarsi. Infine, quel tizio con la gorgiera è don Juan Tenorio, il tombeur de femmes per antonomasia, il quale fu trascinato all'inferno dalla statua del Commendatore, che egli aveva invitato a pranzo in segno di sfida dopo averlo assassinato, e per ricambiare l'invito fu da questi trascinato qui, sugli anelli di Saturno, dove anziché le belle donne ha trovato ad aspettarlo i mostruosi Yautja, ed oggi rimpiange di non essersi pentito della sua vita dissoluta. E con questo, direi che di questa Bolgia abbiamo già visto abbastanza. Vieni, il Treno dei Dannati ci aspetta per condurci su Rea!"
Nota: i
danteschi diavoli armati di sferze sono qui sostituiti dagli Yautja,
raccapriccianti alieni lanciati dalla saga di "Predators", che
comprende i film "Predator" (1987),
"Predator 2" (1990),
"Alien vs. Predator" (2004),
"Aliens vs. Predator 2" (2007)
e "Predators" (2010).
Le fruste dentellate sono infatti uno dei tipi di armi da esse impugnati.
Venedico Caccianemico è uno dei personaggi dell'"Inferno" di Dante
trasposto fedelmente nella "Spaziale Commedia", ed adattato alla
situazione sociopolitica dell'ipotetico futuro. Non vi è naturalmente nessuna
relazione tra il partito cui Dante e Venedico affermano di appartenere, e gli
omonimi partiti oggi esistenti in più di una nazione del mondo, Italia
compresa.
Tra i seduttori
incalliti, all'inferno non poteva certo mancare James Bond. Virgil Grissom
elenca qui alcune delle più famose "Bond Girls" dei suoi film: Honey Ryder
(l'attrice Ursula Andress) in "Licenza
di uccidere" (1962), Tatiana Romanova (Daniela Bianchi) in "Dalla
Russia con amore" (1963); Pussy Galore (Honor Blackman) in "Missione
Goldfinger" (1964); Domino Derval (Claudine Auger) in "Thunderball: Operazione tuono"
(1965); Tiffany Case (Jill St. John) in "Una
cascata di diamanti" (1971); Solitaire (Jane Seymour) in "Vivi e lascia
morire" (1973); Holly Goodhead (Lois Chiles) in "Moonraker - Operazione spazio"
(1979); Melina Havelock (Carole Bouquet) in "Solo
per i tuoi occhi" (1981); Wai Lin (Michelle Yeoh) in "Il domani non muore
mai" (1997); Jinx Johnson (Halle Berry) in "La morte può
attendere" (2002); e Vesper Lynd (Eva Green) in "Casino
Royale"
(2006).
Giacomo Casanova (1725–1798) e Porfirio Rubirosa (1909–1965) non hanno
bisogno di presentazioni. Invece Don Juan Tenorio è un personaggio di fantasia
creato nel 1630 da Tirso de Molina nella sua commedia "El Burlador de Sevilla y convidado de
piedra" (L'ingannatore di Siviglia e il convitato di pietra), ma reso
celebre nel 1787 da Wolfgang Amadeus Mozart grazie alla sua opera "Don
Giovanni ovvero il Dissoluto Punito"). Quanto descritto nel testo è un
sunto molto succinto della trama dell'opera mozartiana. In italiano
"dongiovanni" e "convitato di pietra" sono oramai divenute
espressioni proverbiali.
.
Canto XVIII
« La
luna era grommata d'una muffa,
per l'alito di giù che vi s'appasta,
che con li occhi e col naso facea zuffa. »
(Inf. XVIII, 106-108)
L'Espresso Infernale sferragliò sui binari della stazione sugli anelli di Saturno, dopo che uno dei mostruosi predatori Yautja ebbe serrato il portello, ed io sentii il vagone sollevarsi di nuovo come durante la partenza di uno shuttle; la novità fu che stavolta esso passò davanti ad un gigantesco sasso spaziale, una specie di iceberg dalla forma irregolare di almeno cinque chilometri per tre, che in quel momento stava letteralmente sfiorando il bordo interno dell'anello su cui eravamo sbarcati.
"Si tratta di un satellite pastore", mi spiegò Virgil nonostante io non gli avessi posto alcuna domanda, almeno non con la bocca, dal momento che ero troppo meravigliato dalla vista di quello straordinario cubetto di ghiaccio che ci stava passando accanto. Con la sua particolare orbita, che sfiora letteralmente il bordo interno dell'anello, contribuisce a mantenerlo stabile, modificandone la forma e l'estensione attraverso meccanismi di interazione gravitazionale. Inoltre sono proprio gli innumerevoli satelliti pastori di Saturno i responsabili delle numerose divisioni presenti all'interno dei maestosi anelli del più bello tra tutti i pianeti."
"Ne avevo già visto qualcuno di lontano", commentai io, ritrovando finalmente la favella, "ma non avevo mai osato avvicinarmi tanto a un colosso del genere. Mystica deve essere una pilota eccezionale, per riuscire ad evitare di spiaccicarsi contro di esso!"
"Non dimenticare che è pur sempre una X-man, anzi una X-woman. Il fatto che abbia messo i suoi poteri al servizio del male non significa che tali poteri siano meno straordinari di quelli di Wolverine o di Tempesta!"
"Hai ragione", dovetti riconoscere io, mentre il Treno dei Dannati girava letteralmente attorno al satellite pastore, e puntava diritto verso le lune poste al di là del bordo esterno degli anelli ghiacciati. "Ho l'impressione che questa volta il viaggio sarà piuttosto breve, dico bene?"
"Direi proprio di sì. Guarda, la nostra meta si trova già davanti ai nostri occhi!"
Era vero, poiché la locomotiva si muoveva, senza bisogno di binari di sorta, verso quella che mi sembrava una gigantesca palla di neve sporca, dal colore bruno come se fosse ricoperta di fango. Tale luna mi era ben nota, avendo più volte pilotato la mia nave da addestramento attorno ad essa, durante le lezioni di volo ai tempi dell'Accademia. Il suo nome, Rea, è quello della dea romana che equivale alla greca Cibele e all'egiziana Opi, moglie di Saturno e madre di Giove, Giunone, Nettuno, Plutone, Cerere e Vesta; eppure questa luna ha un diametro inferiore ai 1500 chilometri, e quindi assai minore di Titano e dei satelliti medicei di Giove. La sua densità assai bassa indica che il suo nucleo roccioso occupa meno di un terzo della massa della luna, mentre il resto è composto da ghiaccio d'acqua, anche se, come ho detto, la sua superficie appare ricoperta di fango e di detriti. Tale superficie appare piuttosto giovane e rimodellata di continuo. Come Saturno, inoltre, anch'essa è circondata da un sottile sistema di anelli trasparenti, anche se certamente troppo tenui affinché il nostro convoglio vi atterrasse sopra. Infatti vidi la locomotiva puntare verso la sua superficie, e visto che l'esterno del nostro vagone piombato sfrigolò e si arrossò all'avvicinarsi di quella superficie solo parzialmente craterizzata e segnata da una rete di strisce chiare su fondo scuro, ne dedussi che Rea era circondata da una tenue atmosfera composta da ossigeno e anidride carbonica, evidentemente prodotti dall'interazione del forte campo magnetico di Saturno con la neve e la melma che ne costituiscono la superficie, le quali rilasciano ossigeno gassoso, anche se ovviamente in quantità troppo scarsa per essere respirato.
Come mi ero aspettato, il treno si incanalò lungo una delle strisce chiare, che evidentemente venivano scavate dai treni transinfernali durante il loro atterraggio su Rea. Mystica scelse l'emisfero di Rea sempre rivolto verso Saturno (quasi tutti i suoi satelliti hanno una rotazione sincrona, come la Luna della Terra), e le ruote del convoglio affondarono letteralmente dentro il candido ghiaccio che costituiva ad un tempo la pista d'atterraggio e la stazione ferroviaria del nostro incredibile mezzo di trasporto. Io pensai che sarebbe stato necessario tutto il potere psicocinetico di Psylocke, per disincagliare i vagoni da quello spesso strato di neve farinosa, ma non ebbi molto tempo per riflettere su questo fatto, poiché la paratia del vagone piombato venne aperta con violenza, e io vidi davanti a me un personaggio con una corta barba e i capelli tagliati alla naziskin, vestito con un abito bordato d'oro che pareva uscito da una fiaba di Perrault. Egli sembrava in tutto e per tutto un essere umano, ma mi accorsi che non era così non appena i suoi occhi malvagi si accesero di una luce giallastra come la morte, rivelando la sua origine Goa'uld.
"Ba'al! È confortante sapere che i gaglioffi del tuo stampo hanno il loro bel daffare, qui all'inferno, anziché andare in giro per la Galassia a fingersi déi e a pretendere sacrifici umani di bambini, per nutrirsi della loro energia vitale!"
Queste parole di Gus dovettero avere sull'essere simbionte che avevo davanti a me lo stesso effetto che ha un cerino acceso buttato dentro un'autobotte carica di benzina, poiché i suoi occhi lampeggiarono di nuovo all'indirizzo del mio maestro, e il suo volto si contrasse in una smorfia di rabbia bestiale, tanto che al confronto i mostruosi Yautja mi parvero affabili compagnoni con i quali trascorrere una serata in birreria. Mentre io e Gus smontavamo dal treno con un salto, approfittando della bassa gravità di Rea, egli ringhiò ferocemente all'indirizzo dell'antico astronauta:
"Grrr! Mi piacerebbe tanto schiaffarti nella ributtante minestra che ricopre la superficie di questo satellite insieme ai dannati appena giunti, Virgil Grissom!" Poi, spostando gli occhi crudeli su di me: "Spero almeno che questo tuo padawan un giorno o l'altro allunghi la mano su dei bambini, in modo da potermi sfogare almeno su di lui, dopo la sua morte!"
"Ehp! Mi dispiace per te, amico, ma io non sono un dannato pedofilo", gli ribattei immediatamente, sentendo delle dita ghiacciate che mi lisciavano la colonna vertebrale. "E comunque, dopo questa giterella attraverso i mondi infernali, puoi star certo che confesserò anche il più piccolo peccato, per non rischiare di ritrovarmi un giorno di fronte al buon vecchio imperatore Ming!"
Ciò detto, feci il segno di croce; ma desiderai di averlo fatto solo mentalmente, perchè gli occhi del Goa'uld divennero rossi come le fiamme di Io, ed egli mi gridò contro sfoderando le zanne come se gli avessi appena dato del vigliacco:
"Maledetto Alighieri! Non lo sai che noi demoni dell'inferno amiamo il segno di croce almeno quanto a te piace un cocktail a base di cocci di vetro e di acido cloridrico? Vattene a vedere il miserando stato dei dannati che io sorveglio, dannato turista dell'Oltretomba, e poi sparisci per sempre dalla superficie di Rea, se non vuoi che ti torturi a morte, che ti faccia risuscitare con il mio sarcofago, che ti accoppi di nuovo, e così fino a che non avrò nausea del tuo dolore, come feci una volta con il Colonnello Jack O' Neill!"
Atterrito da quelle parole, io mi nascosi letteralmente dietro il corpo di Gus, che si allontanò da quel malvagio fulminandolo con lo sguardo, e solo quando fummo a distanza di sicurezza io osai balbettare: "Su... su questo satellite sono puniti coloro che oltraggiarono i bambini, non è vero? L'ho capito dal fatto che l'antico dio fenicio Ba'al, di cui quel Goa'uld interpretava la parte, esigeva che i suoi adoratori bruciassero vivi i propri figli neonati in suo onore!"
"Hai dedotto correttamente", annuì Gus, sorridendomi per confortarmi e scacciare le mie paure. "Su questa luna, nota un tempo anche come Saturno 5, sono puniti i pedofili e tutti coloro che ingannarono i bambini, facendo credere di amarli, ma in realtà abusando di loro!"
"E quale pena può essere proporzionata a un crimine tanto orrendo?" domandai io, ricordando che Nostro Signore aveva ammonito i pedofili a buttarsi nel mare con una macina legata al collo, piuttosto che continuare a commettere i loro odiosi peccati. A quel punto però mi accorsi di qualcosa di strano: io e Gus ci eravamo allontanati un centinaio di metri dal treno, uscendo dalla striscia di neve chiara su cui il treno era atterrato, e ci eravamo inoltrati nella porzione di superficie scura di Rea. Ebbene, da quando avevo cominciato a camminare su di essa, mi sembrava di avanzare dentro una materia simile alle sabbie mobili, nella quale i miei stivali affondavano fino a metà gamba. Guardandomi le gambe, esclamai:
"Ehi, ma in che diavolo di...?"
Mi bloccai di colpo, come se Ba'al si fosse vendicato di me cacciandomi un simbionte Goa'uld dentro il collo, e dovetti faticare per non vomitare. Mi ero infatti accorto che tutta quanta la luna di Saturno era ricoperta da uno strato ributtante di sterco, a tratti vischioso e a tratti granuloso, come se tutti i cessi del Sistema Solare avessero usato la sventurata Rea come discarica; ed era questo liquame maleodorante ad attribuire ad essa il suo colore vagamente marroncino. A dir la verità io mi ricordo di aver studiato che la temperatura sulla sua superficie è pari a −175 °C nell'emisfero rivolto alla luce solare e a −225 °C in quello in ombra, ma evidentemente la Volontà Divina impediva che quello schifoso deposito di merda cristallizzasse o anche solo si decomponesse, così da rendere eterna la preda di coloro che ingannarono gli innocenti.
Essi infatti erano tuffati interamente in quella materia stomachevole, anzi il loro corpo fluido pareva esso stesso fatto di sterco, cosicché essi generavano in me tanto schifo quanto il loro turpe peccato ingenera negli animi degli onesti. A pochi passi da me vidi anime dannate nuotare letteralmente nella cacca, ed erano talmente avviluppati da tale materia, che quasi non si distingueva se fossero uomini o donne.
Mentre io facevo del mio meglio per non vomitare nel casco, e premevo un pulsante che azionava l'immissione di un leggero calmante nell'ossigeno della mia tuta, onde tenere a bada lo stomaco, un dannato si sollevò da quello strato di escrementi due metri davanti a me, e si rivolse a me con aria tutt'altro che amichevole:
"Beh? E tu che hai, da guardare?"
Io lo osservai bene in viso, dopo averlo illuminato con il faro della torcia che portavo al polso sinistro, ed esclamai: "Se ti guardo con attenzione, è perchè sono convinto di averti già visto, quando avevo i capelli asciutti. Ma sì! Tu sei Alessio Interminelli di Lucca!" Quindi rivolgendomi al mio compagno di viaggio, aggiunsi:
"Lo sai, Gus, chi era questo bel tomo? Era ingegnere capo su di una nave cargo, ma un giorno si dimise e tornò nella sua città natale. Nel giro di una decina di anni, dal 3275 al 3286, ha sequestrato e torturato sei ragazze dagli otto ai diciannove anni, abusando di tutte in modo spaventoso. Solo due delle sue vittime, riuscirono a sopravvivere alle sevizie; altre due vennero barbaramente uccise, mentre le restanti, che avevano entrambe solo otto anni, le lasciò morire di stenti. Nel 3286 però commise un errore: un testimone riuscì a identificare un'auto a cuscino d'aria che risultò intestato ad Alessio Interminelli. E così fu arrestato con le accuse di sequestro di persona e pedofilia, e nella cantina della sua abitazione gli agenti di polizia ritrovarono le sue ultime vittime, legate e imbavagliate ma vive. Nel giardino di casa sua furono recuperati i poveri resti di due ragazze, mentre egli stesso indicò dove si trovavano i corpi delle altre due: aveva infatti cominciato a collaborare, « vantandosi » delle sue imprese. Condannato a morte per la sua efferatezza, fu giustiziato nel 3294, e non mi stupisce certo vederlo ridotto a tale condizione di abbrutimento."
Il dannato lucchese si batté la zucca e ribatté: "Eppure io non ho commesso alcun peccato mortale! Mi sono limitato a rendere libere quelle ragazzine, a cui la morale bigotta del nostro tempo vietava di godere dell'amore carnale fin dalla più tenera età!"
"Oh, un vero benefattore dell'umanità", commentò Gus con voce carica di sarcasmo. "Mi domando perchè non ti hanno fatto sindaco della tua città, con tutti i meriti che ti sei acquistato!" Subito dopo, mi prese sottobraccio e mi condusse a poca distanza, verso un'altra anima che si graffiava con le unghie intrise di escrementi, e mi spiegò con una flemma incredibile, visto il posto in cui ci trovavamo:
"Potrei mostrarti le anime dannate di molti vecchi ricconi che si recarono nelle colonie più povere del Sistema Solare per svolgervi turismo sessuale, o di ancor più numerosi pedofili che commerciavano in Internet filmati inequivocabili, ma preferisco limitarti a mostrarti costei, anche perchè, se resto più a lungo su Rea, mi si rovescerà lo stomaco sebbene non abbia più alcuno stomaco. La vedi costei? È Erzsébet Báthory, nobildonna ungherese che all'inizio del XVI secolo seviziò ed uccise quasi 600 giovani donne perché, studiando testi di magia nera molto in voga all'epoca, si era convinta che, bagnandosi nel loro sangue, avrebbe conseguito l'eterna giovinezza. Per fortuna a porre fine ai suoi odiosi crimini venne l'imperatore Mattia II, anche se la tolse di mezzo per impossessarsi dei suoi beni, non per autentico amore della giustizia; ed ora torniamo al treno che ci attende in stazione, perchè di questo postaccio abbiamo già visto fin troppo!"
Nota: Ba'al
è uno dei più importanti antagonisti dei membri della squadra SG-1 nel
telefilm di fantascienza "Stargate SG-1"; è un Goa'uld come Apophis e
Anubis, già citati nel Canto IX, e quando Anubis attaccò la Terra e la sua flotta venne distrutta dall'arma degli
Antichi, Ba'al si impossessò del suo esercito e divenne uno dei più importanti
Signori del Sistema.
Così come nell'"originale" dantesco, ad essere tuffato nello sterco
è il povero Alessio Interminelli di Lucca (del personaggio storico nulla
sappiamo), però qui viene trasformato in pedofilo e gli vengono attribuiti i
crimini di Marc Dutroux, detto il mostro di Marcinelle, che scosse le coscienze
dei belgi e non solo. Come già detto in precedenza, essendo Dutroux ancora
vivo, chi scrive spera che egli salvi la propria anima, ma la vicenda è qui
narrata come monito a condannare con tutte le forze il mostro della pedofilia.
Erzsébet Báthory (1560−1614) fu una contessa ungherese da alcuni
considerata una delle più feroci serial killer della storia, ma viene collocata
qui e non tra gli assassini (vedi Canto IX) perchè infierì
soprattutto su giovani donne, e dunque il suo peccato è più grave di quello
dei semplici omicidi.
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Canto XIX
« Io vidi per le coste e per lo fondo
piena la luna livida di fóri,
d'un largo tutti e ciascun era tondo." »
(Inf. XVIII, 13-15)
Lo sapete qual è la cosa che mi ha sempre fatto più imbestialire, quando penso alla Chiesa che Gesù Cristo fondò su questa terra? Il fatto che essa ha sì avuto origini divine, ma è fatta di uomini, e spesso questi uomini si rivelano indegni dell'abito che portano. Beninteso, io non ritengo di essere senza peccato e dunque non sarò io a scagliare la prima pietra contro chicchessia; tuttavia fin da bambino sono stato educato a pensare ai religiosi come agli uomini migliori di questo nostro mondo, ed invece la maggior parte dei sacerdoti da me incontrati spesso si comportavano in modo ben più incoerente di quegli atei che affermavano di voler controbattere. Probabilmente è questo il motivo per cui, una volta cresciuto, mi sono un po' allontanato dalla pratica religiosa, per tornarci solo dopo la santa morte della mia amata Beatrice, che sopportò in silenzio tante sofferenze prima di lasciare questo mondo ad appena diciannove anni. Ho conservato però una certa diffidenza verso la Chiesa "gerarchica", preferendo a volte dialogare direttamente con l'Altissimo, oppure aiutando come potevo quei preti e quelle suore che si aggirano per i bassifondi delle nostre opulente città, alla ricerca dei più poveri da aiutare o delle prostitute da salvare, proprio come faceva nostro Signore per le vie della Palestina. Solo in tempi recenti ho imparato che quella dell'uomo di fede è una missione ingrata, che costringe a predicare ciò che sembra assurdo, a mantenere una retta condotta di vita quando tutti sembrano prenderci in giro, e ad insegnare ai giovani ciò in cui nessuno oggi sembra più credere. Questo però non mi esime dal deplorare quei sacerdoti, frati o religiose che si sono comportati in modo indegno, disonorando l'abito che portano e rompendo quegli stessi voti che avevano giurato di osservare per tutta la vita.
Tutte queste considerazioni mi tornarono in mente, e le esternai a Gus quando, lasciata la ributtante Rea con il suo carico di schifosi orrori, il Treno Infernale si diresse verso Titano, il maggiore dei satelliti di Saturno, e il mio maestro mi spiegò che esso ospitava proprio i religiosi che avevano truffato i propri fedeli, mettendosi a fare commercio di cose sacre come il biblico Simon Mago, oppure predicando bene e razzolando male, cioè esibendo in pubblico una condotta irreprensibile, per poi abbandonarsi ad ogni immoralità nella loro vita privata. Gus mi stette attento, poi mi spiegò:
"Tu conosci la parabola evangelica secondo cui il Regno Eterno è simile a una rete che, gettata in mare, ha raccolto ogni genere di pesci; quando è piena, i pescatori la tirano a riva, poi si mettono a sedere e seprano i pesci buoni dai cattivi: i primi sono raccolti in vasi, i secondi sono buttati via. Allo stesso modo, tutti sono chiamati al sacerdozio, ma solo pochi di essi riescono ad interpretare appieno la novità evangelica rappresentata da Gesù Cristo. E questo, naturalmente, vale per tutti i sacerdoti di tutte le religioni, che ingannano i loro fedeli legando sulle loro spalle pesi insopportabili, che essi si rifiutano di toccare anche solo con un dito."
Io riconobbi la sensatezza di queste osservazioni, e meditai su di esse mentre l'Espresso dei Dannati puntava diritto verso la densa atmosfera di Titano. Questo non è solo il più grande satellite naturale del pianeta Saturno, ma anche uno dei corpi rocciosi più massicci dell'intero Sistema Solare, superando in dimensioni il pianeta Mercurio, e risultando la seconda luna per dimensioni dopo Ganimede. Quando il treno si infilò nell'atmosfera del satellite, che è del 50 % più densa di quella terrestre, il metano che ne componeva le spesse nubi arroventò la superficie esterna dei vagoni piombati, e dentro di essi cominciò a fare particolarmente caldo. Potete immaginare come se la passavano i dannati trasportati nel nostro vagone come bestie da mandare al macello; ed io stesso cominciai ad avvertire una sensazione di calura, anche se probabilmente si trattava di una suggestione, giacché io e Gus eravamo esentati dalle pene infernali.
Ad ogni modo, poco dopo fuoriuscimmo dalle dense nubi che ricoprivano Titano, e che ai miei occhi lo facevano somigliare ad un vero e proprio pianeta, e potemmo dare un'occhiata alla sua superficie, che appariva particolarmente liscia: le alture maggiori non superavano i 100 metri. Il suolo era ricoperto da veri e propri laghi e mari di metano ed etano allo stato liquido, e da esso emergevano vaste regioni pianeggianti, di cui la maggiore era vasta come l'Australia, e veniva chiamata Xanadu dai planetologi. Mentre il treno puntava ad alta velocità verso una stazione posta nel cuore del continente di Xanadu, io mi accorsi che i vagoni erano investiti da un vero e proprio acquazzone di metano liquido, che pioveva sulla superficie di Titano così come l'acqua fluida piove sulla Terra. Grazie al Cielo, quando fummo vicini al suolo la pioggia scemò di intensità, fino a diventare una leggera acquerugiola, e io mi resi conto che il suolo verso il quale eravamo diretti era un gigantesco acquitrino di metano liquido, ricoperto da lastre e da massi dallo strano colore verdazzurro.
"Si tratta di metano ghiacciato, vero, Gus?" domandai io, e il mio maestro annuì:
"Proprio così. Su Titano esiste un ciclo del metano, così come sulla Terra vi è un ciclo dell'acqua. E come sulla Terra i religiosi indegni del loro ordine battezzarono con acqua, così qui essi sono « battezzati » con questo idrocarburo. Ma preferisco che sia tu, a verificare a quale pena essi sono condannati."
Appena il treno si fu fermato su quella superficie dallo strano colore putrescente, il nostro vagone fu aperto da un uomo inguainato dentro un'uniforme grigia e nera, con la pelle squamosa color viola chiaro, i capelli neri e le sopracciglia assai marcate. Osservando bene le sue protuberanze ossee, mi resi conto che era un Cardassiano.
"Chi sei tu, che ricevi le anime giunte qui per scontare la loro punizione eterna?" mi arrischiai a domandargli, ma egli non mi rispose neppure una parola, mi degnò solo di una fugace occhiata, e se ne andò ad aprire gli altri vagoni con una smorfia di disgusto sul volto decisamente antipatico.
"Non prendertela se ti ha snobbato", mi cosolò Grissom, saltando giù dal vagone ed atterrando in una pozzanghera di metano liquido. "Il Capitano Benjiamin Sisko gli giocò un brutto scherzo, più di mille anni fa, e da allora non può sopportare gli ufficiali della Flotta Astrale, quale tu sei."
"Eppure non ha l'aria di un sacerdote o di un frate francescano", commentai io, che in effetti c'ero un po' rimasto male, dato che io mi ero rivolto a lui con cortesia, mentre a mia volta scendevo dalla carrozza. Virgil mi fece segno di seguirlo e mi spiegò:
"Quel cardasssiano è Gul Dukat, già governatore militare del pianeta Bajor. Dopo essersi alleato con il Dominio per assumere il potere assoluto sul suo mondo, cominciò a studiare testi di magia nera e di occultismo, e si votò anima e corpo al culto dei Pah'Wraiths, demoni nemici dei Profeti di Bajor, diventando il loro Emissario. Egli ingannò molti, fra cui Kai Winn, convincendoli che i Pah'Wraiths sarebbero stati amichevoli nei loro confronti, ma non riuscì ad ultimare il rituale che avrebbe liberato quei demoni dall'Inferno grazie all'intervento del prode Sisko, e perciò fu collocato qui, a ricevere i dannati che giungono su Titano dopo aver truffato i loro fedeli, facendosi passare per maestri irreprensibili."
"Sarà almeno contento di essere diventato un vero demonio", aggiunsi io, voltandomi ad osservare quel truffatore che stava aprendo la paratia dell'ultimo vagone. Subito però lo dimenticai e seguii Gus verso una regione leggermente più elevata; e vi assicuro che quanto vidi mi riempì di stupore assai più di quanto non capitò a Sisko, allorché vide Gul Dukat allearsi con il Dominio e consentendogli di installare una base nel Quadrante Alfa.
Infatti lo strato granuloso di metano ghiacciato che costituiva il suolo di Titano era traforato da un numero impressionante di buche, tutte tonde e di uguali dimensioni, da ciascuna delle quali emergevano i piedi di un dannato, che vi si trovava capovolto a testa in giù, in una posizione piuttosto scomoda. Entrambe le piante dei piedi di ogni dannato erano accese come tizzoni ardenti, e una fiamma biancazzurra le ardeva senza consumarle per tutta l'eternità. Evidentemente si trattava di un fenomeno soprannaturale, come il roveto ardente di Mosè, poiché una normale combustione chimica avrebbe fatto bruciare tutto quanto il metano che ricopriva la superficie di Titano. I dannati così tormentati si lamentavano in modo straziante, e scalciavano come se potessero staccarsi le fiamme dalla pelle dei piedi, ma non ci voleva molto a capire che il loro sforzo era destinato a restare vano per sempre.
Io guardai negli occhi il mio maestro, ed egli mi invitò a soddisfare la mia curiosità interrogando una delle anime. Allora mi inginocchiai accanto ai piedi del dannato più vicino e, volgendomi a Virgil, mormorai:
"Sai, Gus, mi sembra di aver già vissuto una situazione del genere. Una volta, su un pianeta della Distesa Delfica occupato dagli Xindi rettiloidi, un avventuriero terrestre fu accusato di truffa e condannato ad essere sepolto vivo a testa in giù in una fossa come queste. Per caso anch'io mi trovavo su quel mondo e, sembrandomi la pena sproporzionata alla colpa, decisi di intervenire. Siccome ogni tentativo di dissuadere quei testoni degli Xindi dall'eseguire la sentenza sarebbe stato vano, come sapeva bene il Capitano Archer, decisi di ricorrere ad un artificio. Mi finsi un sacerdote di una religione terrestre che battezzai « dantismo » e sostenni che il condannato credeva in essa, così mi accostai alla buca in cui il truffatore era già stato infilato a testa in giù, e finsi di confessarlo. Quello scaricò una badilata di bestemmie contro di me e contro gli Xindi, ma per fortuna questi ultimi non parlavano la nostra lingua, e così potei convincere i rettiloidi che egli si era amaramente pentito del misfatto e chiedeva scusa per esso, anche se non era assolutamente vero, e quell'uomo si sarebbe fatto ammazzare, piuttosto che scusarsi. Questo mi bastò per convincere gli Xindi a lasciarmelo portare via da là sano e salvo, anche se, una volta che fummo al sicuro lontano da quel pianeta, gli cambiai i connotati a cazzotti per avermi vomitato addosso tutte quelle bestemmie!"
"Ben fatto", mi rispose una voce che proveniva dall'interno della buca accanto alla quale mi ero accosciato. "Non potresti trasformare in un quadro astratto anche la faccia del cardassiano che mi ha capovolto qui sotto e mi ha acceso i piedi? Ti pagherei bene, per questo."
"Oh, questo non lo metto certo in dubbio, vista la familiarità col denaro che avevate voi", gli risposi io con non troppo malcelato sarcasmo. "Per tua sfortuna, però, vige un trattato di pace tra la Federazione Terrestre e i Cardassiani, ed io non intendo violarlo neppure nell'Oltretomba. Ma dimmi, chi sei tu che sei conficcato qui dentro come un piolo di tenda?"
"Mi chiamo... anzi mi chiamavo Padre Blasco Uzeda, ed in vita fui monaco benedettino. Facevo parte della grande e nobile famiglia degli Uzeda di Catania, detti « i Vicerè » perchè dal nostro lignaggio uscirono persino vicerè spagnoli di Sicilia, oltre a vescovi, sindaci, e persino un'anima santa, la Beata Ximena. Io da giovane fui costretto dalla mia famiglia a prendere i voti, e condussi una vita tutt'altro che ispirata ai valori cristiani: dopo l'unità d'Italia e la soppressione del convento benedettino di Catania, fui ridotto allo stato laicale e ricomprai all'asta i beni del mio ordine, che poi spesi tra le donne e i bagordi. Inizialmente sostenevo a spada tratta i Borboni, ma dopo l'arrivo di Garibaldi mi spostai per convenienza su posizioni liberali Del resto, come scrisse un giorno mio nipote Consalvo, la storia della nostra famiglia è piena di simili conversioni repentine, di simili ostinazioni nel bene e nel male. La nostra razza non è degenerata: è stata sempre la stessa, zeppa di santi come di peccatori!"
"E tu ti sei voluto collocare nella seconda categoria", gli buttai in faccia io, disgustato da un simile ritratto autobiografico. "Riconosco che sei stato costretto a prendere i voti con la forza e con l'inganno, per non dividere il patrimonio di famiglia; eppure, avresti potuto essere ugualmente un buon monaco, senza bisogno di cercare sfogo alle tue passioni nella gola e nel sesso. Un grande scrittore italiano ha scritto che il bello della religione cristiana consiste proprio nel poter consolare chiunque ricorra ad essa in qualsivoglia congiuntura, e che da qualunque precipizio l'uomo cada in essa, e vi faccia un passo, può comunque arrivare a un lieto fine e guadagnarsi il Paradiso. Ma tu, invece di trovare in essa un modo per adire alla santità, hai pensato di calpestare i voti pronunciati, e di vivere in effetti come se non li avessi pronunciati mai. Dimmi un po', padre Blasco: quanto oro e quante donne consegnò Nostro Signore ai suoi Apostoli, prima di ascendere al Cielo? Forse non si limitò a mandare loro lo Spirito Santo Paraclito, che avrebbe ricordato loro tutto ciò che Egli aveva detto? E quando Mattia fu eletto tra gli Apostoli dopo il suicidio di Giuda, gli fu forse detto che lo aspettava una vita dissoluta e crapuloni. Ti sta bene venire punito così, perchè hai sempre avuto l'animo rivolto solo ai beni della terra anziché a quelli del Cielo, traendo vantaggi materiali dagli uffici spirituali, ed ora ti ritrovi capovolto a testa in giù. Avresti dovuto aspirare ad ottenere l'aureola dei Santi, ed ecco che al contrario un'aureola infuocata ce l'hai intorno alle piante dei piedi. E se non fosse per il fatto che io sono stato allevato come un buon cattolico, e quindi porto comunque rispetto al clero ed alla gerarchia, io userei parole assai più dure nei tuoi confronti, giacché la tua avarizia mena scandalo tra i credenti sinceri, retrocedendo i buoni ed esaltando i malvagi. Tu e quelli come te vi siete fatto un dio d'oro e d'argento; e che differenza intercorre allora tra te e gli Ebrei che nel deserto si abbandonarono all'idolatria in assenza di Mosè, se non il fatto che essi adorarono un solo vitello d'oro, mentre voi ne adorate cento, venerando ogni singola moneta d'oro e ogni pietra preziosa? Ahimé, quanto male fece alla Chiesa l'avere abbandonato l'ideale della povertà evangelica, per corrompersi attraverso lauti banchetti, accaparramento di beni terreni e prostitute!"
E mentre io gli rinfacciavo tutte queste cose, chi lo sa, forse per uno scatto d'ira, o forse perchè gli rimordeva la coscienza, padre Blasco scalciava forte con entrambi i piedi incendiati. Probabilmente Grissom approvava le mie parole poiché, mentre il benedettino corrotto piangeva sul proprio triste destino e sulla propria vita sprecata, egli mi porse una mano e mi aiutò ad alzarmi, indicandomi le innumerevoli buche sparse in quell'acquitrino melmoso, dalle quali si levavano gambe accese alle estremità:
"Guarda, Dante. Guarda le tombe dei priori degli Ori, coloro che furono corrotti da quegli antichi alieni e convinti a predicare una falsa religione fatta d'odio e di sottomissione a divinità inesistenti quanto crudeli. Ma con loro non vale la pena di parlare, o cercherebbero di convertire anche te al loro credo sanguinoso ed assurdo."
Ciò detto, mi prese per mano come un buon padre e mia accompagnò verso il treno che ci aspettava, guidandomi così da evitare le pozzanghere più profonde, mentre dalle cupe nubi che avvolgevano in eterno Titano cominciava a rovesciarsi al suolo un vero proprio acquazzone, e le gocce di metano liquido mi scivolavano sul casco come brandelli di luce nell'oscurità di quei religiosi senza Dio.
Nota: la parabola riferita da
Grissom si trova in Matteo 13, 47-48.
Il personaggio di Gul Dukat, interpretato dall'attore Marc Alaimo, compare nel corso di tutte e sette le stagioni di "Star Trek, Deep Space Nine" come antagonista del capitano Ben-jamin Sisko. Il suo tentativo di liberare i satanici Pah'Wraiths e di soggiogare la Galassia al loro dominio giustifica la sua trasformazione in un "vero" demonio.
Gli Xindi sono gli avversari dei terrestri nella terza stagione di "Star
Trek, Enterprise". Essi abitano nella regione di spazio chiamata Distesa
Delfica e se ne conoscono cinque specie: umanoide, arborea, acquatica,
insettoide e, appunto, rettiloide (la più bellicosa).
Padre Don Blasco Uzeda è uno dei personaggi de "I Vicerè" di Federico De Roberto,
uno dei capolavori del verismo italiano, pubblicato nel 1894 ed ispirato alla
storia reale della Sicilia: dietro gli Uzeda si nasconde in realtà la potente
famiglia dei Paternò. Collerico e vizioso, rappresenta il prototipo degli
uomini di Chiesa costretti dalla famiglia ad intraprendere la carriera
ecclesiastica, e che per questo condussero una vita tutt'altro che esemplare. «
La storia della nostra famiglia è piena di simili conversioni repentine, di simili ostinazioni nel bene e nel male
[...] La nostra razza non è degenerata: è stata sempre la stessa » è una
citazione dalla conclusione del suddetto romanzo.
Dante poco dopo cita il Capitolo X dei "Promessi Sposi": « È una delle facoltà singolari e incomunicabili della religione cristiana, il poter indirizzare e consolare chiunque, in qualsivoglia congiuntura, a qualsivoglia termine, ricorra ad essa;
[...] è una strada così fatta che, da qualunque laberinto, da qualunque
precipizio l'uomo capiti ad essa, e vi faccia un passo, può d'allora in poi camminare con sicurezza e di buona voglia, e arrivar lietamente a un lieto fine
».
Il racconto biblico del vitello d'oro si trova in Esodo 32, 1-20.
Insieme al personaggio ideato da Federico De Roberto, Virgil Grissom ci indica i
priori degli Ori (da leggersi "Orài"), tra i cattivi più riusciti
nella storia dei telefilm di fantascienza, fanatici e ciechi corifei di una fede
assassina nelle ultime due stagioni del celebre telefilm "Stargate
SG-1".
.
Canto XX
« Come 'l viso mi scese in lor più basso,
mirabilmente apparve esser travolto
ciascun tra 'l mento e 'l principio del casso... »
(Inf. XX, 10-12)
È venuta l'ora che vi parli di una delle punizioni singolari da me viste all'inferno, e da me narrate nella mia Spaziale Commedia. Infatti, una volta decollato da Titano ed una volta attraversato lo spesso strato di nubi che lo circonda, evitando le scariche di non pochi fulmini, l'Espresso dei Peccatori abbandonò la luna e puntò decisamente sulle nubi dorate del secondo pianeta del Sistema Solare per dimensioni.
"Ho paura di scoprire quale altra terrificante pena troveremo là sotto", sussurrai al mio maestro, per non farmi sentire dagli altri dannati che viaggiavano con noi, e che non avrebbero certo provato piacere, sentendosi ricordare quale triste destino li aspettava. Gus tuttavia stavolta non volle darmi anticipazioni:
"Per ora goditi la possibilità che ti è data di vedere l'interno delle nubi di Saturno, perchè solo le proprietà plasmatiche concesse al tuo corpo fluido te lo rendono possibile: se un giorno tentassi di esplorare di nuovo quei pesanti strati gassosi, la pressione ridurrebbe la tua « Beatrice » alle dimensioni di una sogliola!"
Non risposi nulla, sorpreso com'ero dal vedere le nubi color paglia bucate dal nostro treno, intento come un verme a scavarmi una galleria dentro ad un frutto. Ben presto le nubi divennero così dense, da acquistare la compattezza di una nebbia grassa che impregnava ogni cosa, sì che il treno sembrava avanzare alla cieca in mezzo a quell'oscurità, rotta solo dai fanali posti sul carrello anteriore del locomotore. Eppure, nonostante questo a un tratto sentii le ruote del nostro vagone fare presa su quello che pareva uno strato semisolido, ed il fischio acuto lanciato da Mystica ci fece capire che il treno si era fermato ad una stazione posta nel cuore del pianeta con gli anelli.
"Sono proprio curioso di scoprire chi è l'aguzzino dei dannati in questa oscura Bolgia", mormorai io, ma desiderai di non aver mai formulato questo ottativo, appena il portello del nostro vagone piombato fu aperto con malacreanza. Davanti a me apparve infatti una creatura alta più di due metri, dalla pelle candida come se fosse fatta d'avorio, e con gli occhi così iniettati di sangue, che le pupille parevano galleggiare dentro laghi sanguinolenti. Sopra gli occhi, circondati da lunghissime ciglia nere, e sopra il naso portava un paio di corna rosse, che occupavano tutta la sua fronte. Il capo di quella mostruosità era poi circondato da un'immensa matassa di capelli bionda, riuniti in otto giganteschi dreadlock appuntiti che mi davano l'idea di essere prensili. Indossava una veste bianca con un corpetto nero e rosso ed una cintura d'oro, trattenuta da una fibbia a forma di teschio cornuto, ed impugnava una terrificante scure a due lame con la quale avrebbe tagliato in due persino un ippopotamo carnivoro di Theta Carinae V.
Quell'orrenda creatura mi piantò addosso i suoi occhi sanguinolenti, scoperse i canini acuminati in un sorriso malvagio e ghignò:
"Bene, bene. Ecco un altro dannato che dovrà rinunciare all'integrità delle sue vertebre cervicali. Non preoccuparti, sarà affare di un momento."
Appoggiata la scure nell'incavo del gomito sinistro, mi afferrò con la sinistra prima ancora che potessi muovere un passo per scendere dal vagone, e con la destra mi afferrò la protezione nucale del casco: assalito dal terrore per ciò che stava per capitarmi, non ebbi nemmeno la forza di emettere un gemito. A levarmi d'ìmpaccio provvide ancora una volta il buon Gus, che urlò con voce terribile:
"Leva le zampe da Dante, regina Himika, o dovrai vedertela con me!"
Immediatamente la lamia infernale lo riconobbe, tramutò il sorriso perfido in una smorfia di delusione, mi mollò gettandomi quasi a terra e digrignò:
"Virgil Grissom! Ancora qui a prelevare l'anima di qualche sedicente indovino per conto di chissà quale cultore di magia nera, non è vero? Se potessi, mi verrebbe la tentazione di..."
"Di cosa?" la sfidò apertamente l'antico astronauta, saltando giù dal treno ed aiutandomi a fare altrettanto. "Di contravvenire alla volontà divina? Di chiedere ai tuoi tirapiedi Amaso e Mimashi di fare il lavoro sporco per conto tuo? Di evocare ancora il Signore del Drago, che ti ammazzò? Mi dispiace per te, ma sarai costretta a vederci passeggiare tra le nubi di idrogeno di Saturno, che ti ricordano tanto il tuo perduto Impero Yamatai, fino a che il nostro giro turistico sarà finito, senza poterci toccare neppure con un dito mignolo!"
"Eppure qualcuno presto o tardi te la farà pagare, dannato Grissom", ci minacciò la spaventevole regina con la sua scure luccicante. "Ed allora rimpiangerai di esserti fatto beffe dei demoni che popolano l'Inferno Esterno!"
"Quel giorno mi troverai preparato a combatterti, così come fece Hiroshi Shiba quando pilotava il suo invitto Jeeg Robot d'Acciaio!" gli ribatté per le rime la mia guida, portandomi subito lontano da quella vera e propria incarnazione del male. Subito dopo mi rassicurò in questi termini:
"Anche stavolta non devi aver timore, Dante: la scure di Himika non può farti più danni di quanti te ne potrebbe fare la tremenda pressione dell'atmosfera di Saturno. E dire che anche lei un tempo era una sovrana saggia ed amata dal suo popolo, nel Giappone del terzo secolo dopo Cristo, quando prosperava la cosiddetta cultura Yayoi. Sconfitta dagli Yamato, che presero il posto degli Yayoi e con i quali iniziò la storia giapponese vera e propria, si diede alla magia nera, e con l'aiuto di essa si ibernò nel sottosuolo dell'arcipelago assieme ai suoi scherani e ai superstiti del suo popolo, in attesa della riscossa."
"E perchè così simpatico personaggio è finito qui, tra le nubi di Saturno, anziché tra gli assassini?" domandai io, ancora pallido di paura, tanto che mi sentivo ancora la manaccia di quel vampiro sulla nuca.
"Perchè pretese troppo da se stessa: con i suoi poteri paranormali riuscì a a penetrare il segreto della Campana di Bronzo fusa con il cuore di Hiroshi Shiba, e lo usò per tentare di evocare il Signore del Drago, che viveva al di là della quarta dimensione, affinché la aiutasse nella sua guerra contro Jeeg Robot. Ma fu punita: questi la tradì, la assassinò e prese il suo posto come Imperatore. Tra queste nubi e queste tempeste elettromagnetiche infatti sono puniti gli astrologi, gli indovini e i ciarlatani, che vollero investigare il futuro ed i segreti che sono riservati all'Onnipotente, e come la malvagia Himika tentarono di spingere il loro sguardo là dove farlo costa la vita."
"Sei stato davvero coraggioso, ad opporti a lei nonostante brandisse quella micidiale scure bipenne", soggiunsi io con sincera ammirazione; "tuttavia, caro maestro, forse dovresti essere più prudente nello sfidare simili creature partorite dall'inferno. Una volta o l'altra..."
"Bah! Sciocchezze!" mi interruppe Grissom, certo com'era della protezione divina che ci accompagnava attraverso quei sistemi planetari maledetti. "Modestamente, non è ancora nato l'alieno che metterà nel sacco Virgil Ivan Grissom! Ma pensiamo piuttosto ai peccatori che sono condannati a scontare la loro pena senza fine in queste profondità abissali. Eccoli là, Dante!"
Io spinsi lo sguardo più avanti che potevo in quella fonda caligine, e vidi come una processione di anime che camminavano in fila indiana, con lentezza esasperante. Sembravano pie donne che all'alba avanzano lungo i sentieri di campagna recitando le litanie, mano a mano che passano davanti alle croci piantate ai crocicchi; tuttavia ero certo che nessuno, all'inferno, si metterebbe a recitare le litanie lauretane. E così, vinto dalla curiosità, mi feci avanti per vedere meglio. E quando fui a due passi da quelli sventurati, scorsi ciò che avrei preferito non vedere mai, in nessuna parte dell'universo.
Le anime infatti avevano la testa ruotata di mezzo giro, così che il mento si veniva a trovare esattamente sopra la colonna vertebrale, ed essi potevano avere chiara visione della loro schiena, mentre i loro capelli ricadevano sul petto. Camminavano all'indietro, nella direzione dei loro sguardi, con passi lentissimi; tutti piangevano, e le loro lacrime rigavano loro le spalle e le reni. Ho sentito parlare di malattie che paralizzano gli umanoidi nelle posizioni più strane, ma certo non strane come questa; ed allora capii perchè Himika mi aveva afferrato la testa ed aveva cercato di torcermela all'indietro. Appena me ne resi conto, avvertii dei capogiri, e riuscii a non stramazzare sul mantello di Saturno fatto di idrogeno metallico, solo perchè Gus mi sostenne. Mi ripresi velocemente, grazie al Cielo; tuttavia, il solo fatto di vedere la nostra immagine umana distorta in maniera tanto sconcertante mi mosse al pianto, come se quei miseri mi avessero contagiato con la loro eterna tristezza."
"È inutile che tu pianga per loro, Dante", mi ammonì a quel punto la mia scorta, senza spargere neppure una lacrima per quegli orgogliosi ridotti a così miseranda situazione. "Qui dentro è pietoso l'essere spietati, perchè nessuno è più scellerato di colui che vuole usurpare il potere divino di vedere nel futuro. Costoro spinsero troppo avanti lo sguardo, oltre ogni limite imposto agli occhi dei mortali, nell'illusione di scorgere il futuro, ed ora sono costretti a tenere il viso eternamente stravolto all'indietro. Corsero con la mente molti anni avanti il loro presente, ed ora sono costretti ad avanzare con passo lento e snervante. Eccedettero nel parlare di cose che all'uomo non è dato conoscere, ed ora sono costretti a tacere per sempre."
Era vero: nessuno di essi proferiva parola e, se anche ci scorgeva, non rivolgeva neppure gli occhi verso di noi, come se non esistessimo. Essi che avevano voluto vedere così lontano, ora a causa di quel nebbione non potevano accorgersi neanche di noi, che eravamo a pochi metri da loro. Ciò mi disilluse circa la possibilità di rivolgere loro la parola, ma per fortuna alla mia curiosità sovvenne il buon Gus:
"L'anima che cammina a ritroso a pochi passi da te, con quel folto barbone grigio, è colui che sulla Terra tutti conoscete con il nome di Nostradamus, e molti ancor oggi sostengono che egli avrebbe previsto con secoli di anticipo eventi come la Rivoluzione Francese, la Seconda Guerra Mondiale, l'inizio dell'era spaziale, l'arrivo della Sonda delle Megattere, la Guerra del Dominio, le imprese di Capitan Harlock e persino la Guerra dei Cloni. Subito dietro di lui, puoi vedere il Conte di Cagliostro, il quale asserì di poter evocare gli spiriti e di poter prevedere il futuro, ed ebbe la sfrontatezza di proclamarsi figlio di un angelo. E dietro di lui, o davanti se ti riferisci al busto e non al volto, ecco Christian Rosenkreuz, uno dei più famosi alchimisti di tutti i tempi, considerato tra i fondatori della Massoneria. Non poteva mancare in questa schiera il Dottor Faust, che dopo aver studiato alchimia ed astrologia per un'intera vita, sentendosi vicino alla morte, grazie ad un patto con Mefistofele ottenne di nuovo la giovinezza e poté vivere una seconda vita alla ricerca delle verità ultime delle cose; anche questa volta però fallì, e dovette cedere la propria anima al demonio che, come vedi, la seppellì qui sotto. In questo ebbe meno fortuna di Pietro Bailardo, cui era già stato preparato un posto in questa lunga processione, ma che riuscì a fregare il demonio mandato a prendere la sua anima, tanto che questi, nell'inutile attesa della sua vittima, scavò il fossato tuttora visibile attorno al Pantheon di Roma."
Ciò detto, mi mostrò un'incredibile schiera di astrologi che tengono tuttora seguitissime rubriche di divinazione sui giornali, e di maghi televisivi che dagli schermi olografici promettono oroscopi, filtri d'amore, fatture contro i nemici e numeri sicuri da giocare al lotto. Me li nominò tutti uno per uno, e davanti ad alcuni io trasalii, perchè erano famosissimi finché erano in vita; ma io non riferirò il nome di nessuno di loro, per non rischiare di fare loro involontaria pubblicità. Mi limitai a domandare:
"Dimmi, Gus: com'è possibile che oggi, in un'epoca in cui possediamo una scienza tanto avanzata da permetterci di esplorare l'universo, ci sia ancora tanta gente che dà credito a ciarlatani del genere, spedendo loro grosse cifre per farsi spedire in cambio un « sortilegio della felicità » fatto di comunissime candele e di ancor più comune cloruro di sodio?"
"Il contrario della fede, caro Dante, non è la scienza", mi spiegò la mia guida sospirando, mentre facevamo ritorno al treno, "bensì la superstizione. Proprio in un'era in cui la scienza sembra poter spiegare ogni cosa, sostituendo le religioni tradizionali, molti uomini rigettano la pretesa onnipotenza della nostra Fisica, convinti come sono che essa sia fredda e impersonale e non possa dire nulla all'anima; tuttavia, anziché tornare alla religiosità dei loro padri, se ne inventano una nuova a loro misura. Troppo oneroso credere in un Dio che conosce il futuro ma se lo tiene gelosamente per sé: meglio cercare di leggere questo futuro nelle costellazioni, che peraltro cambiano del tutto se ci spostiamo dalla Terra nel sistema planetario di un'altra stella, o nelle foglie di tè, o insomma in qualche sistema caotico dal quale chiunque può trarre auspici positivi per imbonire i propri clienti creduloni. Dopotutto gli uomini non danno credito a nulla, fuorché a ciò che promette loro fama, soldi e belle donne."
"Tutto ciò che insomma li aiuta a giungere in fretta al cospetto di Ming", mormorai io, mentre risalivamo sul nostro vagone piombato. Ma sapevo benissimo che, fintanto che erano in vita, gli uomini avrebbero continuato in eterno a dare retta a quei venditori di fumo che neppure conoscevano i nomi delle stelle nelle quali pretendevano di leggere il futuro, e che la mia battaglia contro la divinazione e l'astrologia era persa in partenza, così come la speranza di quei ciarlatani di ottenere una revisione della sentenza di Ming, e di poter lasciare la loro prigione tra le nubi di Saturno!
Nota: penso
che tutti avrete riconosciuto, nella custode di questa Bolgia, la regina Himika,
sovrana dell'Impero Yamatai nella serie animata « Jeeg Robot d'Acciaio ». Si
tratta effettivamente di una figura storica: il nome della regina Himiko compare
in alcune cronache cinesi della dinastia Wei (III secolo d.C.), dove è descritta come la sovrana del popolo di Yamatai;
a quell'epoca risalgono diverse campane di bronzo rituali, che ispirarono il
mito della Campana di Bronzo impiantata nel cuore di Hiroshi, per questo in
grado di trasformarsi nell'imbattibile Jeeg. Go Nagai si documentò tantissimo
prima di realizzare questo suo capolavoro, studiando la protostoria della sua
patria, e per questo la saga di Jeeg Robot rappresenta sicuramente una di quelle
con l'ambientazione storica più accurata, a differenza dei soliti alieni contro
cui si batteva Goldrake, o dei demoni che si opponevano ai vari Mazinga.
Michel de Notre-Dame (1503–1566), noto con il nome latinizzato di Nostradamus,
è stato uno dei più celebri autori di profezie di tutti i tempi. In questo
contesto però Grissom gli attribuisce anche profezie su eventi narrati dagli
autori di fantascienza, come l'arrivo della Sonda delle Megattere, argomento del
film del 1986 « Star Trek IV, Rotta verso la Terra », e collocato nel 2286; la
Guerra del Dominio viene narrata nelle ultime due stagioni di « Star Trek, Deep
Space Nine », ed è combattuta dal 2373 al 2375; le imprese di Capitan Harlock
sono ambientate nell'anno 2795; e la Guerra dei Cloni, facente parte della saga
di « Star Wars », viene combattuta nel XXXII secolo, dato che Dante afferma di
avervi partecipato da giovane. È evidente che tutte queste profezie sono
attribuite a Nostradamus dalla fantasia dell'autore.
Giuseppe Balsamo, Conte di Cagliostro (1743–1795), fu un celebre avventuriero
che si fece fama di esperto nelle arti magiche e alchemiche proprio nel secolo
in cui nasceva la scienza moderna. Christian Rosenkreuz (1378–1484),
leggendario fondatore dei Rosacroce, secondo alcuni non è mai realmente
esistito, ma qui si dà per buono che si tratti di un personaggio storico. Lo
stesso dicasi per il dottor Faust reso celebre da Christopher Marlowe e da
Johann Wolfgang Goethe, probabilmente modellato sulla pressoché sconosciuta
figura storica di Georgius Sabellicus, sedicente mago del quindicesimo secolo.
Altra figura leggendaria è quella di Pietro Bailardo, personaggio del folklore
dell'Italia Meridionale, il quale sarebbe stato in grado di evocare lui pure i
demoni, ma di raggirarli una volta giunto alla fine della vita, riuscendo a
farsi accogliere in Paradiso. Il fossato circostante il Pantheon di Roma è
effettivamente legato alla sua leggenda.
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Canto XXI
« Là giù 'l buttò, e per lo
pianeta duro
si volse; e mai non fu mastino sciolto
con tanta fretta a seguitar lo furo »
(Inf. XXI, 43-45)
E così, parlando di altre cose di cui non vale la pena riferire qui, attraversammo il nuovo abisso di vuoto che separa il sistema di Saturno da quello di Urano; e così, senza quasi neppure accorgermi della durata del viaggio, che pure non doveva essere stata breve, a un certo punto, sbirciando fuori dalle feritoie del nostro vagone, vidi davanti a noi quella che pareva una colossale boccia per pesci rossi, circondata da sottili anelli trasparenti, i cui poli erano illuminati da aurore dai colori violenti. In quel momento noi vedevamo davanti a noi il polo sud del nuovo pianeta, mentre gli anelli ci apparivano in tutto lo splendore della loro forma circolare, circondandolo come gli anelli circondano un bersaglio, il che significava che l'asse di rotazione del pianeta praticamente giaceva sul piano dell'eclittica, a differenza di tutti gli altri mondi del Sistema Solare. Il polo inoltre aveva evidentemente una temperatura superiore a quella dell'equatore, e ciò comportava il fatto che i venti in quell'atmosfera di idrogeno, elio e metano potessero raggiungere i 1000 chilometri all'ora. In una sola parola, se non ve ne siete già accorti da soli, mi accorsi di avere di fronte a me il pianeta Urano.
"Direi che stiamo puntando diritti verso le sue nubi", commentai io, mentre il Treno dei Dannati si avvicinava ad un punto posto a circa 60° di latitudine Sud, anche se parlare di Nord e di Sud non è facile, parlando di un mondo che praticamente ruzzola come una palla da bowling sul suo piano orbitale. Gus assentì:
"Sì, nuovi tormenti e nuovi tormentati ci attendono sotto quelle nubi che appaiono così piacevoli da vedersi, con le loro mille tonalità dall'azzurro all'indaco fino al colore del lapislazzuli. Preparati, perchè ci attende un incontro tutt'altro che amichevole. Tu però stai accanto a me, ci penserò io a trattare con i custodi del settimo pianeta."
Io annuii, ma mentre l'Espresso Infernale 666 si tuffava dentro le nubi del pianeta scoperto da William Herschel il 13 marzo 1781, io non mi sentivo tranquillo. Paradossalmente, ero meno agitato quando ci eravamo immersi nella turbolenta atmosfera di Giove, continuamente squassata da superfulmini e del colore della materia in putrefazione. Possibile che proprio quelle nubi color del mare, sospinte da venti incredibilmente lievi rispetto a quelli registrati durante la discesa nel cuore di Giove e di Saturno, nascondessero per noi un pericolo fatale? Eppure il mio sesto senso di esploratore degli spazi non aveva mai fallito, prima di allora. Cercai di scacciare la mia inquietudine pensando che Dio vegliava su di noi, e che non era certo facile beccare con la guardia abbassata un veterano dello spazio come Virgil Grissom, ma chissà perchè, continuavo a sentirmi inquieto, ed iniziai a pregare dentro di me l'anima santa di Beatrice, affinché ci proteggesse durante la nostra pericolosa visita ai mondi più esterni del Sistema Solare.
Dopo una lunga discesa, finalmente il convoglio dei dannati andò a depositarsi su quella che pareva una superficie di ghiaccio dal colore blu elettrico, molto diversa da quelle che avevamo trovato nel mantello degli altri due giganti gassosi appena visitati. "Ehi, ma quello è ghiaccio d'acqua!" esclamai io, e il mio compagno di viaggio si affrettò a correggermi:
"È vero, è ghiaccio d'acqua, ma si trova a una pressione e a una temperatura tali, da avere proprietà completamente diverse da quello di cui sono fatti i Poli della Terra. Ad esempio, questo ghiaccio può condurre l'elettricità. Essendo più piccolo di Giove e di Saturno, Urano è privo del loro massiccio strato interno di idrogeno metallico, ed il suo mantello è composto interamente di questo ghiaccio ad una temperatura di 3000 Kelvin e a una pressione di 100.000 atmosfere."
Giusto in quel momento il portellone della carrozza venne spalancato, ed io vidi davanti a me l'ultima persona che avrei immaginato di incontrare nel cuore di Urano. Si trattava di un umanoide con una stranissima uniforme verde e bruna, ed in testa un cappuccio appuntito con sei fori per respirare e due buchi per gli occhi, che però risultavano invisibili. Impossibile indovinare sia il suo vero aspetto, sia da quale pianeta effettivamente provenisse. Siccome però aveva in mano un fucile fulminatore con la punta di diamante, non c'era alcun dubbio a quale esercito appartenesse.
"Si può sapere che ci fa qui un soldato dell'esercito di Re Vega?" domandai io a Grissom, mentre il fante, senza dire una parola, puntava il fulminatore contro di noi e contro le anime dannate, intimandoci chiaramente di scendere. Obbedendo a così cortese invito, la mia guida replicò solo:
"E non è nemmeno l'unico, come presto ti accorgerai da solo!"
Infatti dietro di lui, immersi nella nebbia di metano e idrogeno, c'erano decine di altri fanti delle truppe scelte dell'impero di Vega, i quali ci intimarono di seguirli senza dire neppure una parola.
"Dove ci stanno portando?" domandai io con un sussurro, perchè non mi andava di beccarmi una scarica energetica da quei fucili tutt'altro che obsoleti. Gus tuttavia mi fece cenno di stare in silenzio; del resto, non dovetti attendere a lungo per ottenere la mia risposta. Infatti, dopo pochi minuti raggiungemmo un'area in cui il ghiaccio sembrava fuso, forse per effetto di risalita di calore dal nocciolo del pianeta, o per una repentina diminuzione di pressione. Davanti a noi perciò si stendeva un vastissimo lago pieno di un fango scuro come la pece, che ribolliva come nei cantieri dove un tempo venivano impermeabilizzati gli scafi delle navi a vela, prima dell'avvento di quelli in metallo. Una volta avevo visto un cantiere simile sul pianeta degli Akaali, la cui tecnologia è ferma al XVII secolo terrestre.
"Guarda, guarda là!" mi mormorò Gus, indicandomi uno dei fanti di Grissom che portava un dannato a cavalcioni sulle spalle, tenendolo per i tendini d'Achille, allo stesso modo in cui un macellaio porta un animale scannato al macello.
"Ecco uno dei politici del Senato Imperiale Romulano", esclamò in direzione dei suoi compagni con una voce dal timbro metallico. "Buttiamolo giù, che io vado a prelevarne altri dal treno: la capitale romulana Ki Baratan è particolarmente ben fornita di politici corrotti come lui, tutti si lasciano comprare per danaro fuorché il Pretore Shinzon, e basta un po' di latinum perchè il « No » là diventi immediatamente un « Sì »."
Subito scaraventò il romulano in quella specie di pece bollente, e si diresse verso il treno in compagnia di altri soldati. Il dannato ritornò a galla, ma i fanti vegani gli urlarono:
"Dove credi di essere, a Risa, il Pianeta del Piacere? Se non vuoi assaggiare i nostri fulminatori, ti conviene non venir mai in superficie!" E, ciò detto, lo bersagliarono con le loro tremende scariche energetiche, che resro incandescente il suo corpo di plasma, prima che egli si nascondesse di nuovo sotto la superficie di quello stagno puzzolente e ribollente.
"Mi ricordano i cuochi che con le loro forchette fanno in modo che la carne con galleggi sopra il pelo del brodo", bisbigliai io al mio maestro. "E ora, come facciamo ad evitare di finire anche noi in quella pegola spessa?"
"Lascia fare a me, perchè ho già avuto a che fare con costoro", mi rispose Grissom, come sempre sicurissimo di sé. Ciò detto, fece un passo avanti e gridò: "Voglio parlare con il vostro capo!"
Immediatamente sette o otto soldati incappucciati sollevarono le armi e gliele puntarono contro, con l'intenzione evidente di fargli pagare con gli interessi il suo ardimento, ma Gus insistette:
"Ho detto che voglio parlare con il vostro capo! Prima mi stia a sentire, e poi decida se è il caso di farmi sprofondare in quel fango incandescente."
I lanzichenecchi si guardarono l'un l'altro in viso, come se si domandassero: "A che gli giova, parlare con il nostro capo?", poiché evidentemente ben pochi dannati avevano osato rivolgersi loro con quel tono. A quel punto però dalla nebbia emerse un altro umanoide, più alto della media dei soldati, vestito interamente di verde e con un mantello violaceo agganciato sulla spalla sinistra da una borchia d'oro. Il suo cranio ed il suo volto erano squadrati, mentre la sua pelle era azzurra e i suoi occhi dello stesso celeste profondo di cui erano dipinte le nubi di Urano. La sua voce da basso suonò profonda ed autoritaria:
"Io sono Gandal, Comandante in Capo delle truppe di Vega di stanza sulla faccia nascosta della Luna. Che cosa vuoi, vile politicante che sei vissuto alle spalle di coloro che ti hanno eletto?"
"Io non mi sono mai candidato in nessun partito", gli ribatté il mio maestro senza tradire alcuna paura di fronte al luogotenente di Re Vega, "e il mio nome è Virgil Ivan Grissom. Credi forse che sia venuto fin qui solo per farmi bersagliare dai fulminatori dei tuoi scagnozzi, come se Iddio non vegliasse su di me? Io sono qui per scortare lui attraverso i pianeti della dannazione" – e, ciò detto, mi indicò con la mano destra – "e per mostrargli le pene dei dannati che si trovano in tua balia. Temo perciò che tu sia costretto ad ordinare ai tuoi uomini di abbassare le armi e di lasciarci andare."
Il viso di Gandal si trasformò in una maschera di puro odio, come se avesse riconosciuto in lui il Principe di Fleed che lo uccise, e masticando amaro digrignò: "Virgil Ivan Grissom! Non è la prima volta che vieni quaggiù a metterci i bastoni tra le ruote, con i tuoi giri turistici e con la mania di prelevare dei dannati con la scusa di predire il futuro ai viventi. Quando ci siamo visti l'ultima volta il comandante Hydargos ti ha ammonito: « Non hai idea di ciò che ti succederà, se ti farai vedere un'altra volta da queste parti! » E, nonostante le sue minacce, tu osi farti vedere ancora nella mia Bolgia?"
"E non sarà certo l'ultima volta, se Iddio mi incaricherà di altre missioni come questa", lo sfidò apertamente il mio maestro. "Poche ciance, Comandante: devi lasciarci costeggiare questo lago, in modo che il mio padawan Dante possa vedere alcuni dei dannati che voi sorvegliate, e poi devi lasciarci ritornare sani e salvi al treno, che ci aspetta per portarci sul satellite Titania."
Nel frattempo, io vidi che tutti i soldatacci di Gandal si erano fatti intorno a noi con i fulminatori spianati, come se credessero che noi fossimo Alcor e Venusia, e mi sentii come quei soldati sconfitti che sfilavano davanti al mio battaglione durante la Guerra dei Cloni, certamente timorosi che noi violassimo i trattati spaziali e li spacciassimo senza troppi complimenti. Gandal tuttavia li riprese con voce furibonda:
"Abbassate le armi, voi, altrimenti per colpa di costoro dovremo passare un brutto quarto d'ora!" Subito dopo tornò a volgersi a Grissom, cercando di tenere a bada l'ira bestiale che lo aveva assalito:
"E va bene, maledetto terrestre, hai il tuo lasciapassare. Però non te ne andrai in giro da solo per la mia Bolgia, questa volta. I miei ufficiali devono compiere un giro di ricognizione per verificare se qualche dannato cerca di uscire dal lago incandescente quando noi siamo distratti, e così esigo che vi accompagnino. Saranno loro, a ricondurvi al Treno Infernale attraverso questa nebbia, nella quale altrimenti rischiereste di perdervi!"
"Per me sta bene", annuì Gus, secondo me un po' ingenuamente. Il luogotenente di re Vega tuttavia aggiunse:
"Allora lasciatevi scannerizzare. Dobbiamo inviare una copia delle vostre immagini tridimensionali a tutti i nostri soldati che presidiano questa Bolgia, affinché non vi scambino per dannati in fuga e non vi fulminino senza troppi complimenti."
Io non feci in tempo a ribattere che forse non si trattava di una buona idea, perchè due birri incappucciati ci avevano già scannerizzati con i loro tricorder portatili. Suboto dopo Gandal chiamò a gran voce:
"Vieni avanti, Zuryl: sarai tu a guidare la decuria."
Subito si fece strada un alieno vestito di giallo, dalla pelle verdastra e con due enormi orecchie rosse, simili alle ali di un pipistrello, ai lati del capo. L'occhio sinistro era sostituito da uno bionico fatto di LED che lampeggiavano in continuazione, mentre quello destro ci rivolgeva uno sguardo malefico, e i suoi denti erano scoperti in un sorriso che somigliava fin troppo ad un ringhio. In qualità di decurione, fu lui a chiamare i nove uomini che avrebbero composto la sua squadra. E così egli chiamò per primo Sadon dalle folte sopracciglia nere, il comandante della Guardia scelta di Vega, che perdette se stesso per l'eccessiva smania di dimostrarsi valoroso; come secondo Edoro, guerriero alieno dall'aspetto di una rana umanoide, che tentò di far franare l'intera montagna su cui si trovava l'Istituto di Scienze Spaziali del Professor Procton. Terzo fu Yara dai capelli verdi, inventore di una macchina in grado di scatenare terremoti devastanti, che però Gandal non riuscì mai ad utilizzare. Per quarto fu chiamato Boshi, calvo e dalle orecchie a punta, con la statuaria fierezza di un dio indù, che inutilmente aveva tentato di infiltrare una sua spia nell'Istituto di Scienze Spaziali. La quinta fu Shira, che tentò di congelare Goldrake con un dispositivo di sua invenzione, ma fu sconfitta da Maria. Come sesto, Zuryl chiamò il Capitano Gasca, incaricato di costruire una base segreta nell'arcipelago giapponese, che però fu abbandonato da tutti avendo preteso il sacrificio dei suoi soldati, anziché tentare la fuga, e così fu sconfitto da Goldrake. Per settima venne la Comandante Marlene, il cui micidiale anello era in grado di disintegrare chiunque la toccasse, a dispetto del suo aspetto innocuo da ragazza perbene. Ottavo fu il Generale Zigra, comandante in capo della Guardia Imperiale di Vega, che tentò di sfruttare i punti deboli di Goldrake, cioè i tempi morti durante il trasferimento di Actarus dal disco al robot, ma che fu sconfitto perché anche Actarus individuò il suo punto debole. Ultimo venne il Capitano Bitor, un alieno rettiloide simile a una talpa che tentò di arrivare al nascondiglio di Goldrake dal sottosuolo, prima di venire immancabilmente sconfitto. Perché? Ma perchè il bene trionfa sempre sul male, ovvio!
Mi ripetei senza troppa convinzione queste parole, quando vidi quella masnada di criminali di guerra galattici tutti schierati davanti a noi, inguainati in uniformi luccicanti e con i canini scoperti al nostro indirizzo; e fu allora che mi volsi al mio maestro e gli sussurrai:
"Gus, tu che ti sei sempre dimostrato saggio in ogni occasione, non vedi che questi furfanti digrignano i denti contro di noi, e sembrano non vedere l'ora di farcela pagare? Se tu conosci la strada per girare intorno a questo stagno ribollente, percorriamola senza scorta, giacché per me non la chiedo di sicuro. Meglio rischiare di perdersi da soli in questo nebbione, che andare incontro a una fine triste per opera di questi malnati!"
Subito egli mi rispose: "Non devi lasciare che la paura prenda il sopravvento su di te. Lasciali pure digrignare i denti quanto vogliono, lo fanno per i dannati tuffati nella materia incandescente del lago, non certo per noi!"
"Vorrei essere così ottimista", pensai, mentre Zuryl alzava il bastone gridando: "Per Re Vega!", subito imitato da tutti i membri della comitiva. Si avviò quindi lungo la sponda dello stagno ribollente, mentre il suo occhio bionico continuava ad emettere sordi ticchettii, che potevano suonare come dei segnali ai suoi sottoposti, ma che io interpretai come l'elaborazione di chissà quale malvagio piano volto a rovinarci. Confesso che mi sarei sentito meno a disagio, se Zuryl avesse usato il suo ano a mo' di trombetta!
Nota: il
pianeta degli Akaali è citato nell'episodio "Civilization" della
prima stagione di "Star Trek, Enterprise", ed effettivamente è molto
arretrato tecnologicamente rispetto ai terrestri.
Quello che nel XXI Canto dell'Inferno dantesco è « un delianzian di Santa Zita
», cioè uno dei magistrati che governavano Lucca, qui diventa un esponente del
Senato Imperiale Romulano. I Romulani sono uno dei tradizionali nemici della
Federazione nell'universo di Star Trek, Ki Baratan è effettivamente la loro
capitale, e il Pretore Shinzon è un clone di Picard che prese il potere con un
colpo di stato nel 2379, per essere poi ucciso dallo stesso Picard, come narrato
in « Star Trek: La Nemesi », film del 2002. L'espressione ironica « tutti si lasciano comprare per danaro fuorché il Pretore
Shinzon
» significa che egli è il più corrotto di tutti. Il latinum è una valuta
utilizzata nell'universo Trek soprattutto dai Ferengi, ma di gran valore in
tutta la Galassia.
I Malebranche, i demoni che guardano la Bolgia dei Barattieri nell'opera
dantesca, sono qui sostituiti dai personaggi negativi dell'anime "Atlas Ufo
Robot", popolarissimo in Italia alla fine degli anni settanta, tanto da
suscitare persino interrogazioni parlamentari volte a vietarlo, accusandolo di
violenza gratuita inadatta ai minori. Chi scrive ebbe la fortuna di vederlo in
prima visione Rai. I soldati incappucciati di Re Vega appaiono proprio come
descritti qui. Gandal è il comandante in capo della base vegana sulla faccia
nascosta della Luna, e Zuryl è l'astuto e crudele pari grado che gli viene
affiancato a partire dalla seconda stagione. Gli altri nove membri della scorta
di Dante e Virgil sono: 1) Sadon, che compare nell'episodio 65 « Alcor, un vero combattente
»; 2) Edoro, protagonista dell'episodio 48 « La montagna scomparsa ».3) Yara,
visto nell'episodio 15 « Lettera a mia madre lontana ». 4) Boshi, apparso nell'episodio 16
« La stella fantasma » . 5) Shira, tolta dall'episodio 63 « Gelo mortale ».
6) Gasca, protagonista dell'episodio 43 « Una base segreta sulla Terra ». 7)
la malvagia Marlene, che ha il suo momento di gloria nell'episodio 32 «
Miraggio mortale ». 8) Zigra, comparso nell'episodio 36 « Il raggio ciclonico
». 9) ed ultimo, Bitor, comandante del mostro spaziale di turno nell'episodio 35
« Il terremoto misterioso ». I loro gradi sono spesso modificati, ma il testo
ricalca fedelmente le loro imprese nella serie animata. Per saperne di più su
di loro, vi rimando a questo
sito.
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Canto XXII
«
...Io udi' già dire a Bologna
del diavol vizi assai, tra' quali udi'
ch'elli è bugiardo, e padre di menzogna »
(Inf. XXIII, 142-144)
Noi andavamo con i dieci ufficiali di Vega: ahi, quale paurosa compagnia! Ma, come dice il proverbio, con i Santi in chiesa, e con i beoni al bar. All'inizio del nostro girovagare in quella Bolgia, tuttavia, i miei timori parvero eccessivi, e sembrò che Virgil avesse avuto ragione anche questa volta, perchè i dieci alieni sembravano interessati unicamente a controllare se qualche dannato osava mettere anche solo il naso fuori da quella sorta di polenta incandescente, onde colpirlo con le proprie micidiali pistole a raggi. Come i delfini in un parco acquatico compiono le loro evoluzioni, mostrando l'arco della schiena agli spettatori, così alcuni peccatori ogni tanto mostravano il dorso fuori dallo stagno, onde alleviare la loro pena, nascondendolo con la stessa velocità con cui scocca un fulmine nella stratosfera. Altri invece stavano sull'orlo del vasto lago come le rane blu di Antares I, che tengono il muso di fuori e il resto del corpo in acqua, pronti però a nascondersi sotto la pece ribollente appena Zuryl si accostava alla riva.
Uno dei politicanti là abbrustoliti non fece però in tempo a ritrarsi abbastanza in fretta, permettendo al forzuto Gasca di afferrarlo per i cappelli e di trascinarlo fuori dal lago. "Che dite, lo scuoiamo subito, questo miserabile?" domandò egli con un balenare di luce maligna nelle pupille. A questo punto però intervenne Virgil: "Aspettate, lasciate che parli e che dica chi è, così il mio Padawan potrà dire di aver avuto esperienza piena dei dannati qui confitti."
"E va bene, ma spicciati a presentare le tue credenziali, dannato terrestre", sbuffò il decurione, mentre il suo occhio artificiale lanciava lampi sinistri al nostro indirizzo, che mi facevano sentire tutt'altro che tranquillo.
"Il mio nome un tempo era molto famoso", iniziò il politicante, sospirando come se avesse nostalgia della vita perduta: "mi chiamavo Costanzo Ciano, ero acclamato come uno degli eroi della Grande Guerra, ed ero considerato uno degli uomini più potenti del regime fascista. Ero così influente, che persino Mussolini trovò necessario cercare il mio appoggio. L'alleanza fu sancita dal matrimonio, celebrato il 24 aprile 1930, tra mio figlio Galeazzo e la sua primogenita Edda. Il 30 aprile 1934 fui eletto per acclamazione Presidente della Camera dei Deputati. « Il Conte Ciano dimostra, con una geniale attività organizzatrice e riorganizzatrice, come si servono il Duce, il Regime e il Paese », dicevano di me i cinegiornali; io invece adoperai il Partito Fascista al solo scopo di arricchirmi, ed operai sottobanco in barba agli interessi dello Stato. Ero Ministro delle Telecomunicazioni, ma al tempo stesso ero azionista di grandi aziende che vincevano appalti di forniture statali: aziende che, ovviamente, portavano lauti guadagni nelle mie tasche. Un giorno Augusto Turati fu chiamato da Mussolini alla Segreteria del Partito Nazionale Fascista, per portare avanti un'opera moralizzatrice e porre un freno all'ingordigia dei gerarchi ipocriti come me. Quando però quell'idealista arrivò a pestarmi i piedi, lo levai di mezzo senza troppi complimenti, facendolo accusare ingiustamente di omosessualità, a quei tempi una colpa infamante. Alla mia morte, il 26 giugno 1939, lasciai un'eredità pari a 700 milioni di crediti di oggi: una cifra spaventosa, sufficiente per comprare metà della tua natia Firenze."
"I miei complimenti!" esclamai io, indignato per quanto avevo sentito dalla viva voce di quel corrotto. "Sai cosa ti farei, se il Capitano Gasca non ti trattenesse tra le sue braccia?"
"Vediamo cosa sai fare, omuncolo!" mi sfidò il vegano, mollando il consuocero di Benito Mussolini e spingendolo verso di me con la grazia di un rinoceronte tricorne di Capella II. Era proprio ciò che aspettavo, e non solo per mostrare a quel superbo alieno che sbagliava a sottovalutarmi. Subito mollai al Conte Ciano un tale cazzotto, da farlo ricadere nel fango bollente di Urano dopo una tripla capriola degna di un ginnasta olimpionico.
"Ma cosa hai combinato, razza di disastro ambulante?" mi apostrofò il Generale Zigra, deluso per non aver potuto sperimentare su quell'opportunista le sue raffinatezze di crudeltà. "Noi i dannati li squartiamo, prima di ributtarli a mollo nel lago!"
"Eh, averlo saputo... non vi avrei certo sottratto tanto piacevole svago", mentii io, massaggiandomi le nocche guantate della mano destra. Per conto suo, Virgil mi sorrise e mi strizzò un occhio, certo che io avessi mollato quel papagno a Costanzo Ciano non tanto per punirlo della sua baratteria, quanto per ricacciarlo nel fango, e così sottrarlo alla vendetta dei Vegani. A dir la verità anche qualcuno di loro dovette intuirlo, perchè il Generale Zigra fece un passo verso di me con intenzioni tutt'altro che amichevoli; tuttavia, inspiegabilmente Zuryl lo fermò ponendogli una mano sulla spalla, e brontolò:
"Non fa nulla, lì sotto ci sono molti altri dannati da torturare. Caro Capitano Alighieri, seguici mentre conduciamo te ed il tuo santo protettore verso il treno, costeggiando il nostro ameno laghetto: ti mostreremo di meglio, rispetto a quel politico di bassa lega. Modestamente, noi qui abbiamo il fior fiore della corruzione politica dell'intero universo!"
Ciò detto, colui che era stato uno dei più potenti Ras dell'Impero di Vega accompagnò me e Gus in un lungo giro turistico lungo le rive di quello che, più che di un lago, si rivelava avere le dimensioni di un oceano terrestre. D'altro canto, credo che nessuno stagno più piccolo di quello avrebbe potuto contenere la marea di politicanti, tangentari e corrotti che governano tutti i pianeti della Galassia. E vi assicuro che i dieci vegani me ne mostrarono parecchi, di ogni partito e di ogni colore politico, dall'estrema destra all'estrema sinistra. Uno dei più sfortunati fu Cesare Botero, che fu afferrato per una spalla dalla Comandante Marlene, e venne da questa disintegrato con il suo malefico anello prima che io potessi fare qualcosa per aiutarlo. Beninteso, non che io provi qualche simpatia per quegli spregiudicati politicanti; mi piaceva soltanto farla in barba a quei nemici giurati dell'umanità, che sembravano non poter fare nulla per punire la mia sfrontatezza nei loro confronti.
A un certo punto tuttavia Grissom sbirciò l'orologio da polso ed esclamò:
"Ehi, ma è tardissimo! Senti un po', Ministro Zuryl, dove si trova la stazione dove il treno ci attende per ripartire verso le lune di Urano? Con questo smog, non si riesce a vedere nulla!"
Zuryl scoperse le zanne in un sorriso di trionfo e ringhiò:
"Beh… ad occhio e croce, dovrebbe trovarsi proprio dalla parte opposta del lago, rispetto a quella in cui ci troviamo ora!"
"Che cosa?" esclamò Grissom, al colmo della meraviglia. "Razza di vegano guercio ed intrallazzatore, corrotto quanto i dannati che devi punire, il treno non ci aspetterà in eterno!"
A rispondergli con uno sberleffo fu il Comandante Sadon: "Infatti è già partito. Vi abbiamo portati fin qui, con la scusa di mostrarvi i nostri peccatori, per farvi perdere più tempo possibile!"
"Ma Gus, tu hai detto che Mystica e Psylocke non sarebbero mai partite senza di noi!" gridai io, con il cuore in tumulto. A demolire le mie speranze fu Zuryl in persona:
"E qui entra in campo l'astuzia mia e di Gandal. Ricordate quando vi abbiamo scannerizzati, con la scusa di impedire ai nostri soldati di spararvi addosso? Bene, abbiamo usato le immagini 3-D così ottenute per realizzare due vostre immagini olografiche, che Mystica ha visto salire sul treno accompagnate dai nostri gendarmi. E così, siete rimasti bloccati nel mantello di Urano! Uah, uah!"
Incredulo che Virgil si fosse lasciato beffare come un principiante, io mi voltai verso di lui e sbraitai con foga: "Maestro, sarà meglio affrettarsi per non perdere anche il prossimo convoglio!"
Boshi tuttavia mi si pose davanti con un sorriso di scherno: "Mi dispiace, ma il prossimo treno arriverà solo tra ventiquattr'ore terrestri. E vi assicuro che voi due non sopravvivrete tanto a lungo, sulle rive di questo lago maledetto!"
Prima che io e Gus riuscissimo a dire alcunché, senza alcun preavviso il ghiaccio bluastro su cui camminavamo si spaccò, e dalla fenditura emersero dei terrificanti insetti dotati di sei zampe, grandi come gatti e fatti interamente di metallo. Anzi, a guardarle bene, quelle creature bioniche sembravano fatte di mattoncini più piccoli, come statuette realizzate con il Lego, e questo fugava ogni dubbio sulla loro natura.
"I replicatori di Reese!" esclamò Grissom, indietreggiando insieme a me davanti a quei mostruosi robot, poiché sia io che lui conoscevamo benissimo quanto erano micidiali quelle formiche metalliche, in grado di fare a fette un essere umano in mezzo secondo. Ben presto però arrivammo alla riva del lago incandescente, e comprendemmo che un salto dentro di esso avrebbe avuto conseguenze esiziali su di noi.
"Credevi forse di farla franca, Grissom, dopo averci preso in giro tanto a lungo?" gli rinfacciò il perfido Zuryl, con l'unico occhio che emetteva letteralmente lampi di soddisfazione. "Nessuno ha mai preso in giro un ufficiale di Re Vega, e poi è vissuto abbastanza per vantarsene con gli amici al pub. Inoltre Mystica, Ba'al ed Himika te lo avevano ben predetto, che prima o poi qualcuno te la avrebbe fatta pagare! Probabilmente tu te ne sei scordato, sicuro di te com'eri, ma nulla dà più soddisfazione a noi creature infernali, della vendetta nei confronti dei nostri nemici!"
Nel frattempo i cento e più replicatori emersi dalla fessura nel ghiaccio continuavano ad avanzare verso di noi, fameliche come aragoste giganti di Regolo IX. Noi eravamo schiacciati contro la riva del mare ribollente come la lava del pianeta Vulcano, mentre i dieci vegani, con le mani sulle armi, ci tagliavano qualsiasi via di fuga. Gus allora mi gridò:
"Presto, Dante, i propulsori per l'attività extraveicolare!"
Io premetti il pulsante sulla mia tuta che azionava i retrorazzi, la nostra unica speranza di salvezza, ma essi non si azionarono, con mia grande delusione; né Gus ebbe maggior fortuna di me. A quel punto fu Edoro a parlare, con quella sua vociaccia da rana che gracida:
"Poveri allocchi! Non vi siete nemmeno accorti che io ho sabotato da dietro i vostri propulsori, mentre vi indicavamo quei senatori corrotti del Parlamento Federale Terrestre. Rassegnatevi: il vostro viaggio avrà fine qui, nelle profondità oscure di Urano, e nessuno sentirà mai più parlare di Virgil Grissom e del suo allievo credulone Dante Alighieri!"
Pareva davvero non esserci più speranza d'uscita: i sanguinari Replicatori avanzavano ad incredibile velocità verso di noi, e tra me e la morte non vi erano più che pochi metri da percorrere per quelle sferraglianti mostruosità. Guardai Gus, e vidi nei suoi occhi la fierezza di chi non si arrende mai, neppure davanti alla prospettiva di restare bloccato per l'eternità nell'Inferno Esterno. Evidentemente sapeva che a perderlo era stata la sua ingenua fiducia nelle proprie risorse, e che avrebbe dovuto dar retta piuttosto ai miei inviti alla prudenza, e aveva deciso che quella di finire triturato in mille pezzi era la giusta punizione per la propria superficialità. Io però non mi sentivo altrettanto pronto a terminare i miei giorni, e vi confesso che non ho mai provato una paura più atroce di quella, nel corso della mia intera esistenza. Pensai alla mia amata Beatrice, che non avrei mai più rivisto, e chiusi gli occhi nella speranza che tutto finisse presto, perchè ormai gli insetti metallici erano a due metri da noi, e...
"Presto, Dante! Inchinati!"
Queste parole di Grissom mi risuonarono nelle orecchie così come Lazzaro dovette udire il celebre "Vieni fuori!" mentre riapriva gli occhi dopo aver trascorso quattro giorni nell'abbraccio della Morte; infatti non meno di lui io mi sentivo come se Ming avesse già pronunciato l'eterna sentenza sulla mia anima. Riaprii gli occhi giusto in tempo per vedere un fuggi fuggi di tutti quegli insetti artificiali, letteralmente terrorizzati, come dovettero fuggire disperatamente tutti gli abitanti della colonia di Omicron Theta, all'improvvisa comparsa della misteriosa Entità Cristallina. Quelle creature senz'anima, che sembravano non aver paura di niente e di nessuno nell'universo, erano tanto ansiose di sparire nel crepaccio dal quale erano emerse, che si scavalcavano e si calpestavano l'un l'altra, senza accennare minimamente ad aiutarsi tra di loro, anzi ostacolandosi e dilaniandosi reciprocamente; ed intanto emettendo orribili stridii che potevano essere la versione locale del nostrano: "Si salvi chi può!"
Io mi domandai cosa avesse potuto determinare l'improvviso voltafaccia di quelle creature, le cui mandibole d'accoiao erano ormai a pochi centimetri da me, e mi voltai verso i Vegani che mi avevano schernito sino a pochi momenti prima, ma con somma sorpresa mi avvidi che essi ci avevano voltato la schiena e si erano essi pure abbandonati ad una fuga precipitosa. Tipico dei demoni, pensai con il senno di poi: essere protervi con i deboli e vigliacchi di fronte al Forte. A quel punto però la mano di Grissom mi afferrò la spalla e mi trascinò giù non meno rudemente di quanto avrebbe fatto Gandal in persona, costringendomi a mettermi finalmente in ginocchio.
Fu così che vidi il nebbione che ci circondava, in quella landa dimenticata dal Sole, squarciato da un bagliore fulgidissimo che si avvicinava a noi con velocità sempre crescente, tanto che il settimo, oscuro e ghiacciato pianeta parve rischiarato come il fiammeggiante suolo di Mercurio. Quella luce sovrannaturale mi penetrò come uno spillo infuocato negli occhi e mi costrinse ad abbassare lo sguardo, mentre il ghiaccio stesso del mantello di Urano sublimava all'avvicinarsi di quella che riconobbi immediatamente come una scintilla della luce divina. Udii il frastuono di un'astronave atterrare, e solo allora la luce fulgidissima diminuì fino a permettermi di alzare gli occhi verso la sua sorgente.
Ed ecco, davanti a me c'era un'astronave candida come solo ciò che viene dall'Empireo può essere; nessuna vernice terrestre può infatti trasformare il metallo in una simile fonte di luce, ad un tempo cristallina ed incandescente, dai mille riflessi iridescenti di un olo-disco attraverso cui si guarda la luce del sole. Su una fiancata di essa era istoriato uno stemma, raffigurante una croce d'oro in campo azzurro, nel cui angolo in basso a destra rifulgeva una M d'oro. Sopra lo stemma erano chiaramente riconoscibili le insegne pontificali. Subito sul fianco della nave si aperse un portellone, da esso si dipartì una scaletta e lungo di essa discese un uomo vestito di bianco, con una croce d'oro al collo ed uno scettro di metallo rosso nella sinistra; questo scettro sembrava della consistenza dell'oro, ma del colore e della turbolenza della fiamma viva.
Subito lo riconobbi: era il Messo di Dio che già ci aveva aperto la porta della Città di Dite sulla luna Io, quando i demoni ce l'avevano chiusa in faccia! Allora non mi accontentai di restare in ginocchio, ma mi prostrai davanti a lui come davanti ad una divinità.
"Alzati, Dante!" esclamò il Messo divino con una voce che ricordava il rombo della grande cascata di Fogus sul pianeta Deneb III, e con un forte accento polacco. "Io pure sono solo un uomo, ed un servo dei servi di Dio."
Non potei fare a meno di ubbidire a quelle parole imperiose, mentre anche Virgil si levava in piedi, pur tenendo gli occhi bassi davanti al nostro salvatore. Ed infatti egli lo apostrofò subito:
"Avete agito con troppa leggerezza, Grissom. Nessuno può mettere piede sui mondi infernali, e pensare di decollare da esse dopo essersi fidato della parola di un demone. Un giorno, all'Università di Cracovia, io udii dire molte cose del diavolo, tra le quali il fatto che egli è bugiardo, e padre della menzogna!"
Il sarcasmo nelle sue parole era sferzante, cosicché Gus non poté far altro che ammettere:
"È vero, ho sbagliato. Sono pronto ad assumermi ogni responsabilità della mia condotta. Se l'Onnipotente vuole affidare a Dante Alighieri una nuova guida, saprò accettare la Sua scelta e..."
"Non dite sciocchezze, Virgil", riprese l'Inviato di Dio, con tono assai più conciliante ed accennando un sorriso paterno. "Non bisogna mai vantarsi di essere senza colpa, ma di aver visto le nostre colpe perdonate. La Santissima Trinità ha scelto voi, come scelse me quel lontano 16 ottobre del 1978, ed Ella non ritorna mai sulle Sue scelte. Ringraziate comunque il Cielo che Madonna Beatrice mi ha chiesto di vegliare ancora su di voi dopo avervi aperto le porte di Dite: ho seguito a distanza l'Espresso dei Dannati su cui viaggiavate a bordo della mia astronave, che ha il potere di rendersi invisibile agli occhi dei dannati e dei demoni come quella della leggendaria Wonder Woman, e di distinguere i corpi fluidi dagli ologrammi. E così, quando poco fa l'ho visto ripartire con a bordo solo due proiezioni tridimensionali, ho capito subito che era successo qualcosa; mi sono precipitato, e sono arrivato appena in tempo per mettere in rotta quelle creature immonde, fabbricate da una androide come loro. Evidentemente a quei mostri di Gandal e Zuryl non è bastata la lezione che diede loro a suo tempo il valoroso Principe di Fleed, e non hanno smesso di commettere frodi e nequizie ai danni dei buoni, così come facevano quando radevano al suolo interi pianeti alla ricerca del combustibile Vegatron. Quei corrotti però avevano dimenticato una cosa: forse sulla Terra no, ma nei Regni Eterni il Bene ha sempre l'ultima parola sopra il Male."
Non potei fare a meno di tirare un sospiro di sollievo, che appannò l'interno del mio casco: l'avevamo scampata bella, ed ancora una volta grazie alla previdenza della MIA Beatrice! Non ringrazierò mai abbastanza quella creatura angelica: un'eternità come umile servo ai suoi ordini non sarebbe sufficiente per ringraziarla.
"La ringrazierai di persona quando la vedrai", mi avvisò Karol il Grande come se mi avesse letto nel pensiero. "Ora è d'uopo che continuiate il vostro viaggio, perchè il corso dei pianeti sulle strade dello Zodiaco prosegue inarrestabile, e il salvacondotto a voi concesso per attraversare i Mondi della Dannazione volge inesorabilmente al termine."
"E come lo continueremo?" ardii domandargli, osando aprire bocca per la prima volta in sua presenza. "Il treno maledetto è ripartito senza di noi, e non possiamo attendere qui che arrivi il prossimo!"
"A questo penserò io", mi sorrise benevolmente il Traghettatore dell'Umanità nel Terzo Millennio. Ciò detto, ci fece cenno di seguirlo a bordo della sua astronave, cosa che facemmo immediatamente. Subito egli si mise ai comandi, avviò i motori sì che lo scafo esterno divenne di nuovo del colore e della temperatura della gloriosa S Doradus, la più luminosa stella dell'intero Gruppo Locale di Galassie. La Nave Benedetta, che come apprendemmo dalla voce del pilota era deputata a trasportare in Paradiso l'anima del Vicario di Cristo in Terra, quando il suo tempo mortale era scaduto ed egli era meritevole della gloria del banchetto sempiterno, si sollevò dal suolo alla velocità del pensiero, mentre i soldati incappucciati di Vega fuggivano a loro volta dinanzi al suo splendore, lanciando orribili bestemmie. In men che non si dica l'Astronave Pontificia risalì ed emerse dalle nubi congelate di Urano, e con un'ampia virata, possibile solo ad un veicolo mosso dalla Potenza d'Iddio, il nostro Mentore si diresse verso l'orbita di Titania.
Mi sembrava impossibile, eppure l'allucinante disavventura nel cuore di Urano era finita bene per noi, ed il mio viaggio verso la Salvezza poteva continuare!
Nota: Costanzo Ciano, conte di Cortellazzo e di Buccari
(1876–1939), è stato effettivamente uno dei personaggi più potenti e più
corrotti del regime fascista; come fonte per quanto riportato nel testo, basti
citare la puntata de «
La Grande Storia » di RaiTre, intitolata « Mussolini: soldi, sesso,
segreti », di Enzo Antonio Cicchino e Marina Basile, con la consulenza storica
di Giovanni Sabbatucci e Pasquale Chessa.
Cesare Botero è un personaggio del film «
Il Portaborse » di Nanni Moretti, prototipo vivente di tutti i deputati e
senatori che ingannano i loro elettori, facendosi votare con mille premesse, e
poi usando le loro posizioni altolocate solo per permettersi
un giro d'affari molto lucroso.
I Replicatori sono uno dei nemici più insidiosi contro cui hanno dovuto lottare
gli eroi dei telefilm « Stargate SG-1 » e « Stargate Atlantis »; la loro
descrizione è fedele al loro aspetto, così come appare in queste serie. Essi furono creati
da una androide di nome Reese, che voleva usarli come giocattoli, ma quando gli
esseri umani che la avevano creata cominciarono ad avere paura di lei e dei suoi "giocattoli", Reese insegnò loro a proteggere lei e se
stessi, ed anche a replicarsi autonomamente, da cui il loro nome. Il loro numero
ben presto crebbe a dismisura, e Reese perse il controllo di questi robot
insettoidi, che sterminarono la popolazione del pianeta, abbandonarono Reese e cominciarono ad esplorare l'universo in cerca di materia prima per
creare nuovi Replicatori. Gli Asgard rischiarono di soccombere di fronte a loro,
e la squadra SG-1 riuscì a sconfiggerli definitivamente solo grazie al genio di
Samantha Carter e ad un'arma ideata dagli Antichi.
Infine, l'Entità Cristallina fa parte dell'universo di « Star Trek, The Next
Generation: si tratta di un essere senziente con struttura cristallina somigliante ad un gigantesco fiocco di
neve, e in grado di consumare ogni forma di vita presente su un pianeta: nel 2336
essa ha attaccato la colonia federale su Omicron Theta, uccidendo tutti i coloni
tranne il dottor Noonien Soong e rendendo sterile l'intero pianeta, come narrato
nelle puntate « Datalore » e « L'entità di cristallo ».
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Canto XXIII
« Là giù trovammo una gente dipinta
che giva intorno assai con lenti passi,
piangendo e nel sembiante stanca e vinta. »
(Inf. XXIII, 58-60)
L'Autore della "Redemptor Hominis" e della "Mulieris Dignitatem" ci lasciò sulla superficie di Titania, all'interno del Messina Chasmata, il ciclopico canyon che incide l'emisfero meridionale di quella luna, promettendoci che avrebbe continuato a vegliare invisibilmente su di noi, proprio come un Angelo Custode; quindi decollò, sparendo rapidamente alla nostra vista. E così, noi ci ritrovammo soli sulla crosta ghiacciata di quel grande satellite, scoperto l'11 gennaio 1787 da William Herschel, che porta il nome della Regina delle Fate nel « Sogno di una notte di mezza estate » di William Shakespeare. In sostanza si trattava di una grande palla di neve sporca, anche se grazie al Cielo non era ricoperta dello stesso schifoso materiale visto su Rea, ma solo da metano ghiacciato e da altri composti organici. Il canyon in cui eravamo stati calati era così largo e profondo, che al confronto il Grand Canyon del Colorado sembrava niente più di un rigagnolo, ma evidentemente l'Uomo Venuto da un Paese Lontano ci aveva scaricato in quel paesaggio brullo e deserto poiché proprio là dentro si trovava la nuova Bolgia che ci approntavamo ad esplorare.
Il tranello con cui l'astuto Gandal e il suo tirapiedi Zuryl avevano tentato di intrappolare me e Gus per sempre nell'Inferno era miseramente fallito, ma un proverbio dice che il gatto scottato con l'acqua calda ha paura anche dell'acqua fredda; e così io e Gus procedevamo con cautela, timorosi che dietro ogni masso di metano congelato potesse spuntare un mostro meccanico inviatoci contro dai Vegani per finire il lavoro che i Replicatori non erano riusciti a portare a termine. E così, taciti, soli e senza compagnia, procedevamo, Gus davanti e io dietro, come frati minori durante la questua, con i sensi tesi a cogliere qualunque piccolo movimento avvenisse attorno a noi, sul fondo di quell'immensa spaccatura nel ghiaccio di Titania; e chissà quanto a lungo avremmo continuato a guardarci intorno sospettosi, se non avessimo visto davanti a noi l'ultima delle cose che ci saremmo aspettati, sul fondo di quella Bolgia così ghiacciata, da far sembrare al confronto torrido come il Sahara persino l'interno dell'Antartide: un'incredibile processione.
Davanti a noi infatti camminava in fila indiana, a passi lentissimi e pesanti, un numero incalcolabile di anime, che si lamentavano ad alta voce e sbuffavano, come se stessero portando avanti un lavoro faticosissimi. Alla distanza a cui noi ci trovavamo, sembravano vestiti di abiti sfarzosi e luccicanti d'oro, tanto che io chiesi al mio maestro: "Ma chi può avere l'idea di vestirsi così elegantemente, tra questi ghiacci che non vedono mai la luce del sole?"
"Temo che la loro sia qualunque cosa, fuorché una manifestazione di eleganza", bofonchiò Grissom, ancora sotto tono dopo essere stato abilmente raggirato da Gandal e Zuryl, e dopo essere stato rimproverato dal Messo Celeste per aver presunto troppo dalla propria intelligenza. Ad ogni modo, quando ci fummo avvicinati non fu difficile accorgersi che questa volta la mia guida ultraterrena aveva ragione. Infatti i dannati indossavano delle cappe con cappuccio, non dissimili da quelle che usano i monaci di Bajor, adoratori dei Profeti che vivono nel Tempio Celeste (cioè nel Tunnel Spaziale); l'unica differenza è che esse erano fatte di spesso e pesantissimo metallo. Di fuori erano dorate, tanto da abbagliarci quando le illuminavamo con i nostri fari da polso; ma dentro erano fatte di iridio, uno dei metalli con il peso specifico più alto. Non c'era dunque da stupirsi, se essi camminavano così lentamente e così faticosamente, dato che la loro cappa, dotata di cappuccio a ricoprire anche il capo, doveva pesare dei quintali, e sono sicuro che la bassa gravità di Titania non alleviasse di sicuro la loro ingegnosa pena. Sono certo che le vesti di piombo con cui l'imperatore dei Centauri Cartagia faceva ricoprire i colpevoli di lesa maestà, per poi fargliele fondere addosso bersagliandole con potenti raggi laser, in confronto parevano leggere e piacevoli come camicette estive!
Noi ci accostammo a loro, camminando insieme a quelle anime dolenti, ma a causa del peso che dovevano sopportare, esse avanzavano così lentamente, che ad ogni passo ci trovavamo accanto sempre nuovi dannati. "Poveri diavoli!" mi scappò detto ad un certo punto, sentendomi mancare il fiato al solo vederli compiere uno sforzo del genere. "In confronto, l'addestramento intensivo cui sono stato sottoposto all'Accademia della Flotta Stellare mi sembra un'allegra vacanza su un pianeta dal clima perennemente tropicale!"
Sentendomi parlare così, una delle anime che veniva cinque o sei metri dietro di noi mi gridò: "Ehi! Tu hai frequentato l'Accademia della Flotta Stellare? Anch'io l'ho frequentata, e poi ci ho pure insegnato! Rallenta e aspettami, vorrei parlarti!"
Gus annuì in segno di assenso, ed allora io mi fermai finché il dannato che aveva parlato non ci ebbe raggiunto. Si trattava di una persona anziana, con una corta barba bianca; era evidente che aveva fretta di accostarsi a me, ma era impedito non poco dalla pesantissima cappa e da coloro che gli camminavano davanti. Quando finalmente fu alla mia sinistra, mi guardò di traverso e mi domandò:
"Tu mi sembri proprio ancora vivo, figliuolo. Ma che ci fai qui, allora? I vivi che esplorano Titania non possono vederci, né noi possiamo vedere loro! E se invece sei morto, perchè non porti la pesantissima veste di tutti noi ipocriti?"
"Io sono qui con il corpo che ho sempre avuto", gli risposi io con il rispetto che si deve a una persona più anziana, "e se posso vederla, è per singolare privilegio dell'Onnipossente, dovuto alla... « raccomandazione » da parte di un'anima beata. Ma lei chi è?"
L'anima in pena sospirò, versando copiose lacrime. "Vissi al tempo del capitano Jean-Luc Picard, e nella Flotta Stellare ero noto come il Viceammiraglio Matthew Dougherty. Feci imprudentemente alleanza con Ru'afo, capo dei Son'a, infidi alieni arricchitisi con il traffico di schiavi e di Ketracel bianco, la droga dei Jem'Hadar, onde aiutarli a conquistare il pianeta dei Ba'Ku."
"E perchè si alleò con dei furfanti di quella taglia?" domandai io, stupito, poiché di solito Starfleet non firmava mai trattati con le razze accusate di schiavismo. "I Ba'Ku erano forse pericolosi alleati del Dominio, da sconfiggere ad ogni costo?"
"Oh, no", rispose il Viceammiraglio, dopo aver sospirato di nuovo. "Erano anzi una razza pacifica, che conosceva la tecnologia del viaggio iperluce, ma semplicemente aveva scelto di non utilizzarla, per vivere a contatto con la natura sul loro idilliaco pianeta."
A questo punto sarei stato meno stupefatto se Dougherty mi avesse confessato di essersi alleato con Gandal e Zuryl. "Ma... ma allora perchè...?"
"Vedi, ragazzo mio, il pianeta dei Ba'Ku nascondeva uno straordinario segreto: le radiazioni metafasiche naturalmente presenti nel campo magnetico del pianeta erano in grado di indurre nel DNA umanoide una continua autorigenerazione. In pratica, esse allungavano indefinitamente la vita degli abitanti del pianeta, curando ogni loro malattia e rigenerando ogni loro menomazione. Figurati: quando l'equipaggio dell'Enterprise-E stazionò sul pianeta, al cieco Tenente Comandante Geordi La Forge ricrebbero gli occhi, e a Picard cominciarono a rispuntare i capelli! Sulla Terra per secoli maghi, avventurieri, scienziati avevano cercato inutilmente la mitica fonte dell'eterna giovinezza, ed io l'avevo trovata, nella regione di spazio chiamata « Macchia di Rovi »!"
"Affascinante", mormorai io, avanzando con lo stesso lentissimo passo del dannato, per restargli accanto. "E in tutto questo, i Son'a cosa c'entravano?"
"Loro possedevano la tecnologia necessaria per estrarre dall'atmosfera del pianeta i componenti base che generavano la radiazione metafasica, ma non avevano il denaro per mettere a punto l'immenso congegno necessario allo scopo. La Federazione aveva quel denaro, ma non la tecnologia. Non potevo permettere che i Romulani, i Cardassiani, il Dominio o Dio sa chi arrivassero prima di noi a sfruttare tutto quel ben di Dio, e così diedi il mio assenso all'operazione."
"Viceammiraglio, Viceammiraglio..." lo stuzzicai io a quel punto, con un sorriso sarcastico sul volto: "Non è che in questo momento in lei sta parlando l'ipocrisia che l'ha condotta su questa luna?"
Dopo alcuni istanti di silenzio, il mio sfortunato interlocutore confermo: "Ahimé sì, amico mio. Io avrei voluto tenere per me il segreto carpito dai Son'a, rivendendolo al miglior offerente. Tanto più che sapevo bene qual era il prezzo da pagare per attingere alla fonte dell'eterna giovinezza: il processo di estrazione avrebbe reso il lussureggiante pianeta assolutamente sterile per secoli!"
"E la popolazione Ba'ku?" domandai io, incredulo che un sì alto ufficiale della Flotta Stellare si fosse macchiato di sì detestabile crimine. Egli allora mi rispose:
"Avevamo concertato con i Son'a di deportare l'intera popolazione su di un altro mondo, a loro insaputa, dentro un'astronave attrezzata con un gigantesco ponte ologrammi che riproduceva il loro villaggio. Il Tenente Comandante Data tuttavia mandò all'aria il nostro piano, rivelando al Capitano Picard e ai Ba'ku l'esistenza della nave occultata. Allora io autorizzai Ru'afo a trasferire a forza quel popolo su un altro mondo."
"Lei ha fatto davvero questo?" domandò a quel punto Gus, incredulo come me.
"E ho fatto di peggio: dal momento che Picard si ribellò ai miei ordini ed inviò il suo Numero Uno William Riker ad avvisare il Consiglio della Federazione che noi stavamo commettendo un crimine di portata galattica, accettai che quella canaglia di Ru'afo mandasse due incrociatori da battaglia Son'a ad intercettare e distruggere l'Enterprise-E, con la motivazione che, se la Federazione avesse conosciuto la verità, l'operazione sarebbe stata interrotta, e la Terra avrebbe perso una preziosa opportunità. Poco dopo, tuttavia, scoprii che i Son'a e in Ba'ku erano in realtà la stessa razza: i primi erano stati cacciati dai secondi dopo aver cercato di prendere il potere con la forza e, lontano dai benefici effetti delle radiazioni metafasiche, erano invecchiati in maniera spaventosa. Insomma, i Son'a non volevano aiutare la Federazione, ma stavano semplicemente cercando di ottenere vendetta su coloro che li avevano esiliati. Furibondo, ordinai a Ru'afo di annullare la operazione, e fu allora che egli mi uccise con la macchina che usava per cercare di ringiovanirsi ulteriormente. In seguito tuttavia ho saputo che lo stesso Ru'afo fu giocato ed ucciso dal capitano Picard e dal Tenente Comandante Worf; ed anche quel brigante se ne sta in questa Bolgia, a portare a passeggio una cappa come la mia, giacché lui pure agì da ipocrita, sostenendo di agire con le migliori intenzioni, ed invece covando un'atroce vendetta contro il proprio stesso popolo."
"Questo però non alleggerisce la sua colpa, Viceammiraglio Dougherty", gli replicai io, indignato per ciò che ero stato costretto ad udire. "Lei ha voluto presentarsi al Consiglio come un benefattore della Federazione, ed invece meditava di commettere un ladrocinio, anzi un vero genocidio senza precedenti! Per questo ora lei appare dal di fuori come un santo ammantato d'oro, e invece è dannato sotto questo tormentoso abito che lei è costretto a portare per tutta l'eternità. Signore, i vostri mali..."
A questo punto però troncai la mia invettiva di netto, perché davanti agli occhi mi si presentò all'improvviso uno spettacolo raccapricciante. Un dannato era crocifisso al suolo con tre pali, e tutti gli ipocriti, passando, lo calpestavano. Quando mi vide, egli cercò di distorcere il viso da me, sospirando amaramente; io comunque non sarei stato in grado di riconoscerlo. Dougherty comunque seguì il mio sguardo, adocchiò l'anima condannata a pena tanto umiliante, e mi spiegò:
"Quel crocifisso che tu osservi è Martino de Leyva y Marino, Conte di Monza. Egli costrinse sua figlia Marianna ad entrare nel convento di Santa Margherita in Monza con il nome di Suor Virginia, così da non sposarsi e da non disperdere parte dell'eredità di famiglia, destinandola alla propria prole. La « Monaca di Monza », come Virginia era da tutti chiamata, dimostrò insofferenza verso la vita monastica che le era stata imposta, allacciò una relazione con il nobile Gian Paolo Osio e da lui ebbe due figli. I due amanti uccisero ben tre converse che minacciavano di rendere pubblica la relazione, ma alla fine il Cardinale Federigo Borromeo venne a sapere tutto e condannò Virgnia a vivere il resto dei suoi giorni dentro una cella murata di un metro e ottanta per tre. Dopo 14 anni tuttavia la giudicò redenta e decise di liberarla; ella visse piamente il resto dei suoi giorni, e per questo oggi si trova in Paradiso. Contrariamente a suo padre, come vedi, che fu ipocrita e mentitore, fingendosi così pio da accettare la vocazione monastica di sua figlia, quando invece era stato lui per bassi motivi economici, a rinchiuderla là dentro. Tutta questa storia è stata resa famosa da uno scrittore tuo conterraneo, del quale non rammento il nome."
A questo punto avrei voluto chiedere altro al Viceammiraglio ipocrita, ma io e Gus sentimmo il fischio del Treno dei Dannati che annunciava la sua prossima partenza, e subito il mio maestro si avviò a grandi passi verso di esso, come se temesse di perderlo di nuovo. Io allora mi congedai da Dougherty e lo seguii più veloce che potevo; fu così che lasciammo Titania e la sua processione di ipocriti, diretti verso il suo sposo Oberon con il suo carico di atroce dolore.
Nota: Dante
paragona le cappe degli ipocriti a quelle del monaci di "Clugnì" (Cluny);
era logico paragonarle qui a quelle dei monaci bajoriani visti nel telefilm «
Star Trek, Deep Space Nine ». Le cappe dantesche inoltre sotto la doratura sono
fatte di piombo, ma qui sono fatte di iridio, un metallo assai più duro ed
assai più pesante: un decimetro cubo di piombo pesa 11,34 Kg, ma un decimetro
cubo di iridio pesa ben 22,61 Kg (dunque l'espressione "pesante come il
piombo" andrebbe aggiornata!) Aggiornata anche la similitudine dantesca di
Inf XXIII, 66: a far morire i colpevoli di lesa maestà facendo fondere loro
addosso delle cappe di piombo qui non è l'imperatore Federico II di Svevia, ma
il sovrano Centauri Cartagia, visto nei telefilm di « Babylon 5 », che
ritroveremo nel Canto XXXIII.
Il Viceammiraglio Matthew Dougherty è uno dei personaggi del film «
Star Trek: l'insurrezione » (1998), interpretato dall'attore Anthony Zerbe; il
racconto posto in bocca a lui stesso ricalca fedelmente la trama del suddetto
film, tranne per un particolare: le radiazioni metafasiche fanno crescere occhi
organici a Data, ma il povero Picard nel film resta comunque senza capelli.
Martino de Leyva y Marino, crocifisso in terra con tre pali come il Caifa
dantesco, è il padre di quella che il Manzoni chiama Gertrude, alias la Monaca
di Monza, mentre l'amante di lei Gian Paolo Osio nei "Promessi Sposi"
viene chiamato Egidio. La vicenda romanzesca è notissima, ma pochi sanno che la
Monaca di Monza esistette davvero, anche se il Manzoni cambia i nomi e sposta
gli eventi più avanti: il processo canonico contro Suor Virginia è datato al
1607-1608, mentre l'azione del Romanzo si svolge tra il 1628 e il 1630.
.
Canto XXIV
« Al fine de le sue parole il ladro
le mani alzò con amendue le fiche,
gridando: "Togli, Dio, ch'a te le squadro!" »
(Inf. XXV, 1-3)
Dopo un breve volo a bordo dell'Espresso dei Morti, io e Gus, ancora scossi a causa di ciò che avevamo visto su Titania, vedemmo davanti a noi la tormentata superficie di Oberon, e notammo che Mystica dirigeva il convoglio verso una regione apparentemente del tutto disabitata, sul bordo di un grande cratere da impatto. Oramai ci eravamo preparati ad incontrare qualsiasi mostruosità, dopo aver incontrato tipacci del calibro di Ba'al e di Himika, ma quando il treno ebbe preso terra e la paratia del nostro vagone venne aperta, io feci lo stesso un salto indietro per il ribrezzo. Davanti a me infatti stava un'orrenda creatura alta poco più di un metro e mezzo, con i capelli bianchi come quelli di una vecchia, la pelle di un verde sporco tendente al marrone con alcuni punti violacei, e un'orrenda vescica piena di denti acuminati al posto della bocca. Ella guardò me in particolare, come se fosse consapevole del fatto che io solo ero vivo tra tutti i passeggeri del treno, ed allungò verso di me una gigantesca mano con tre dita piene di ventose; prima che potesse raggiungermi, però, Gus mi strappò indietro e si interpose tra lei e me, senza dire una parola. Neanche la bestia parlò, ma parve rinunciare ad ogni suo proposito, e se ne andò zoppicando ad aprire il portello di un altro vagone.
"Cos'era quell'orrore?" domandai io, con il cuore che pulsava a mille. Aiutandomi a scendere, Gus mi spiegò:
"Era l'ombra di una creatura vissuta sul pianeta M-113, nel sistema di Regolo, nota ai terrestri anche come « Vampiro del Sale », perchè si nutre del cloruro di sodio e di altri sali contenuti nel corpo degli umanoidi, e per farlo lo aspira tramite le ventose che ha sulle mani, fino ad ucciderli."
"Ora capisco perchè ti sei interposto tra me e lei", balbettai io, con le gambe che mi tremavano. "Ma perchè si trova su questa luna dimenticata dall'Onnipotente?"
"Perchè era ladra di sale, e quassù sono punti i ladri." Ciò detto, mi guidò attraverso il deserto di ghiaccio che ricopriva Oberon, la maggiore e la più esterna tra le cinque lune di Urano scoperte prima dell'inizio dell'era delle esplorazioni spaziali; John, figlio del suo scopritore William Herschel, le diede il nome del Re delle Fate nel celebre "Sogno di una Notte di Mezza Estate" di William Shakespeare. Osservando l'ameno panorama che ci circondava, io non potei fare a meno di far notare:
"A dispetto del suo nome, non devo aspettarmi di trovare qui delle Fate, vero, Gus? Questa luna assomiglia all'ambientazione del Sogno shakespeariano quanto la ribollente superficie solare assomiglia al vuoto intergalattico."
"L'hai detto", mi rispose Gus, che tuttavia si affrettò a tranquillizzarmi: "Ma non devi preoccuparti, Figlio mio. Anche quassù si annidano mostruosità al limite dell'immaginabile, ma sono confinate entro i crateri che crivellano questa luna, e non potrebbero uscire neppure se volessero."
"Capisco", annuii io, ancora scosso dopo aver rischiato di diventare lo spuntino di quella diavoleria ghiotta di sale, ma pur sempre curioso di vedere nuove meraviglie. "Ma dimmi, dove sono i dannati di questa luna? In fede mia, qui non se ne vedono!"
"Non se ne vedono qui proprio perchè non sarebbe prudente lasciare scorrazzare libere le loro bestiole di compagnia. Basterà però che ci arrampichiamo sulle pareti di quel cratere, perchè tu comprenda cosa intendo dirti."
"Ma non abbiamo ancora rimesso in sesto i retrorazzi del nostro scafandro dopo che Edoro ce li ha sabotati", obiettai io. Allora Gus scosse mestamente il capo:
"Ahimé no, Dante: non avremmo i mezzi di ricambio per ripararli da soli ed io, dopo essere stato rampognato dal Messo Celeste, non ho avuto il coraggio di chiederli a lui. Temo proprio che ce la dovremo fare a piedi."
Guardai le pareti ripidissime del cratere, tutte irte di spuntoni di metano ghiacciato, e mormorai sconsolato: "Forse ho capito. La pena di questi dannati consiste nel tentare di scalare queste pareti e nello sfracellarsi al suolo dopo aver perso l'appiglio, nevvero?"
"Se fosse così, potrebbero dirsi fortunati", mormorò Grissom iniziando la scalata a mani nude. "Coraggio, vienimi dietro e fai attenzione a dove metti i piedi. Se cadi e la speciale tuta che ti è stata fornita si lacera, cristallizzerai immediatamente."
"Che bella prospettiva!" esclamai io, pensando ai 200 gradi sotto zero che c'erano là fuori, iniziando a mia volta l'arrampicata. "Dopo essere scampato ai Replicatori sguinzagliati contro di noi dagli scagnozzi di Vega dentro il mantello di Urano, trasformarsi in una bella statua di ghiaccio per ravvivare un po' la dura crosta di Oberon... Quasi quasi comincio a rivalutare le virtù di cui è ricco l'interno di un buco nero. Silenzio, tranquillità, pace, nessuna ripida parete da scalare..."
"Nessuna chance di rivedere Beatrice", aggiunse Gus, con l'effetto di farmi tacere e di farmi salire con più lena. Non era certo una passeggiata da farsi con addosso la mia uniforme spaziale di gran gala, che esibisco nelle parate ufficiali il giorno della Festa della Terra a New Washington, e più di una volta mi scivolarono i piedi, tanto che rimasi a penzolare con i piedi nel vuoto, aggrappato solo con le mani, mentre sentivo i frammenti di ghiaccio e roccia da me staccati che rotolavano al suolo sotto di me, provocando un piccolo Oberon-moto. Ogni volta però Gus mi ammonì:
"Non guardare in basso! Coraggio, ritrova l'appiglio e vieni avanti! Non è certo con le uni formi di gran gala addosso, che ci si spiana la via per il Paradiso! Senza fatica, si lascia di sé sulla Terra una fama meno duratura delle bollicine in una coppa di champagne talassiano."
Non lo mandai a quel paese, nemmeno mentalmente, solo perchè sapevo che mi avrebbe tranquillamente letto nella coscienza. Quando tuttavia credevo ormai che non ce l'avrei fatta a proseguire oltre, raggiunsi il ciglio del cratere, mi sollevai su di esso e mi sedetti, boccheggiando per lo sforzo nonostante la bassa gravità di quel mondo. Gus tuttavia mi fece fretta:
"Coraggio, non è il momento di poltrire. Non volevi vedere che cosa succede in questo cratere? Volgiti e lo vedrai."
Per qualche secondo rimasi immobile, timoroso di vedere altri mostri enormi quanto orrendi e malvagi, ma alla fine la mia proverbiale curiosità l'ebbe vinta e mi voltai verso l'interno del cratere. Certamente se lo avessi visto in potere di altri demoni come Amaso sarei stato meno atterrito, poiché di quanto vidi non mi impaurì la stranezza, bensì il numero.
L'intero cratere d'impatto, prodotto milioni di anni prima dalla caduta di un asteroide, era infatti invaso da una quantità incalcolabile di serpenti. Andavano dalle dimensioni di un serpentello d'acqua fino a quelle di una terribile anaconda di Barnard II, lunga quasi venti metri e pesante come uno shuttle individuale, ed il loro colore variava dal verdastro fino al nero come l'antracite. Si agitavano in continuazione, tanto da far pensare che l'intero cratere fosse pieno di un liquame verde con chiazze scure agitato dal vento, vento che in realtà su Oberon era del tutto assente. Non mi fu difficile accorgermi che in quel "mare" nuotavano (per così dire) numerosissimi dannati, avvolti da capo a piedi da quelle serpi che li mordevano in ogni dove. Mi sembrava che molti avessero le mani immobilizzate da quelle vipere che si avvolgevano intorno ai loro arti come delle manette, e molti di loro erano in procinto di essere inghiottiti dagli ofidi più grossi; non stento però a credere che, una volta espulso dall'apparato digerente di quei sauri, il loro plasma si sarebbe immediatamente coagulato a riformare i loro corpi fluidi.
Ero agghiacciato da questa terrificante visione, tanto da sembrare io stesso uno spuntone di ghiaccio di idrocarburi sul bordo del cratere da impatto, ma mi riscossi di colpo quando vidi un dannato fuggire verso di noi come se volesse fuggire dal cratere. Era tutto nero come i serpenti da cui cercava scampo, tanto che mi stavo chiedendo a quale razza appartenesse, ma non feci neppure in tempo a pormi la domanda, poiché subito dal mare di crotali e serpenti con gli occhiali partì come una saetta una serpe lunga almeno un metro che gli azzannò il collo là dove esso si unisce al cranio. Ed ecco, subito il corpo di quel dannato prese fuoco, arse e si dissolse in cenere, tanto da lasciarmi lì a strabuzzare gli occhi, mentre Virgil invece come suo solito non aveva mosso muscolo né battuto ciglio.
"Incredibile!" esclamai, pensando alla ben nota leggenda spaziale delle donne mazoniane, gli esseri intelligenti di natura vegetale che, una volta morti, bruciano da soli come carta; molti astronauti dicono di averle vedute, anche se la scienza ufficiale le giudica reali quanto il Mostro di Loch Ness o il Bunyip di Proxima Centauri.
Ma, proprio mentre osservavo il mucchietto di cenere a cui quell'anima perduta si era ridotta, cominciando a credere alla suddetta leggenda, vidi improvvisamente la polvere nera sollevarsi e turbinare, come se fosse in preda ad un vortice d'aria che su Oberon era invece del tutto assente; la vidi assumere l'aspetto di un corpo umano e riprendere le sembianze che aveva prima della sua autocombustione, ed infine, come fu o come non fu, mi ritrovai davanti quel dannato redivivo, che mi fissava con uno sguardo d'acciaio, tanto da farmi pensare che volesse passarmi da parte a parte con i suoi occhi di ghiaccio. Oh, potenza di Dio che lasci cadere colpi tanto severi sui peccatori che non si sono mai voluti pentire dei loro misfatti!
"Chi sei tu?" gli chiese Gus, affrontandolo con occhi gelidi quanto i suoi, mentre io mi rimettevo in piedi per fronteggiare quell'uomo. Solo allora mi avvidi che sembrava di pelle nera perchè indossava una calzamaglia aderentissima che gli fasciava ogni membro, lasciandogli scoperti appunto solo gli occhi.
"Sull'amata Terra mi conoscevano con molti nomi", rantolò quel prode senza staccarci di dosso gli occhi che sembravano essi stessi di metano ghiacciato. "Il re del terrore, l'inafferrabile, l'assassino dai mille volti, il genio del crimine e della fuga, il fantasma... Ma voi potete chiamarmi così come mi chiamava l'ispettore Ginko: Diabolik."
"Un nome quanto mai indicativo del destino che ti aspettava quassù", continuò Grissom, che a differenza mia riusciva a sostenere quello sguardo terribile senza alcun cedimento. "E per quale motivo Ming ti ha assegnato un appartamentino tanto confortevole per trascorrere l'Eternità?"
"Perchè fui ladro, come tutti sono ladri gli spiriti che quaggiù sono puniti", rispose lui. "Anzi io fu il re di tutti i ladri, e con la mia compagna Eva Kant, lei pure punita su questa luna anche se si trova entro un altro cratere, compii memorabili imprese negli anni in cui tu iniziavi l'esplorazione dello spazio." Aggiunse poi con un ghigno mefistofelico: "È un vero peccato che non vi siate sbrigati prima a costruire insediamenti stabili su altri mondi, altrimenti avrei potuto vantarmi di aver derubato anche i ricchi extraterrestri, come Capitan Harlock!"
"Non nominare il nome di quell'eroe accostandolo al tuo!" esclamai allora io, riprendendo un po' di coraggio. Il leggendario Harlock, Robin Hood del XXX secolo, era infatti uno dei miei miti, e mai avrei sopportarlo di sentirlo infangato da quello di un volgare tagliaborse.
"Harlock era un combattente per la libertà che rubava ai ricchi per dare ai poveri, durante una delle epoche più buie della storia dell'umanità", continuai io, cercando di fingere un coraggio che non possedevo, poiché quegli occhi di corindone sembravano davvero in grado di trapanarmi il cervello. "Tu invece hai rubato, hai mentito, hai ucciso solo per fare la bella vita con la tua donna e per sentirti dire da tutti che eri un genio, anche se in realtà eri un genio del male!"
"E me ne vanto", esclamò con sfrontatezza quel mariolo, scoprendo tutti i denti in un sorriso malefico che mi parve un ringhio. "Quanto a te, sciocco astronauta da strapazzo, sappi che altri, certo non abili come me a sgraffignare denaro e gioielli, ma autorizzati a ciò dalle stesse leggi che tu onori, ti ruberanno ogni cosa che possiedi e ti costringeranno ad errare esule lontano dalla tua amata Terra! Ahr, ahr, ahr!"
Quella risata cattiva mi penetrò fin dentro il cuore, e quelle parole fecero sì che il sangue mi abbandonasse i piedi più che se li avessi denudati e cacciati sotto la neve di metano di Oberon; ma non potei chiedere a quel malvagio ulteriori spiegazioni circa la profezia che mi aveva scagliato contro. Infatti, al termine del suo discorso, il ladro sollevò entrambe le braccia al cielo stellato e gridò: "Dio, questo è per te!" E si esibì in un gesto tanto sconcio, che mi copre di vergogna il solo richiamarlo alla memoria.
Subito Grissom si fece avanti sdegnato, mettendo la mano sull'antiquata pistola spaziale che portava alla cintura, ma non ci fu bisogno del suo intervento per punire quel blasfemo. Infatti subito decine di vipere cornute e di serpenti a sonagli gli saltarono addosso avvolgendolo da ogni parte ed immobilizzandogli le braccia, ed una voce terribile risuonò dall'interno del cratere: "Dov'è? Dov'è quel bastardo che ne ha combinato un'altra delle sue?"
Subito Diabolik si esibì in una fuga precipitosa, non dissimile da quelle cui era abituato da vivo per sfuggire all'ispettore Ginko per le vie di Clerville, tirandosi dietro tutti quei serpenti; e poco dopo vidi arrivare un altro essere mostruoso, la cui sola vista mi spinse ad abbracciare Gus così come un bambino timoroso fa con la sua mamma.
Il suo corpo, dalla cintola in su, aveva un aspetto umano, anche se la sua pelle era azzurrognola come l'atmosfera di Urano, ed indossava un elmo come quello degli antichi guerrieri greci. Ma non aveva gambe, perchè il suo corpo era innestato sul dorso di una tigre ferocissima, le cui zanne erano più lunghe di quelle degli smilodonti di Gamma Carinae V. Nella destra quell'essere aveva una frusta, con la quale amministrava pazzesche nerbate a tutti i dannati che incontrava.
"Quello è il Duca Gorgon", mi mormorò Gus, "e sparse laghi di sangue sulla Terra, all'epoca della Grande Guerra dei Robot. Ma tu non devi avere paura di lui perchè, dopo la vittoria riportata su di lui da Tetsuya Tsurugi, che gli diede cento mazzate ed egli forse non sentì la decima, non può più farti alcun male, e può solo sfogare la propria ira bestiale contro le anime dei ladri che qui vedi riunite."
Io lo guardai mentre si allontanava senza neppure vedermi, troppo impegnato a cercare Diabolik che evidentemente doveva essere una sua vecchia conoscenza, quand'ecco un altro dannato si fece avanti, probabilmente non per cercare di fuggire dal cratere come aveva fatto il suo collega, ma solo per curiosità. "Chi siete voi?" ci chiese infatti, ma non ebbe tempo di attendere la risposta. Infatti un nuovo serpente arrivò e lo morse sul membro virile. Improvvisamente l'uomo cominciò a subire una complessa metamorfosi, ricoprendosi di scaglie e perdendo gli arti, come sotto l'effetto di un programma di olo-morphing. Non fu da meno l'ofide, che mise fuori zampe e un viso umano e venne ad assumere lo stesso identico aspetto dell'uomo che aveva morso, mentre quest'ultimo diventava a tutti gli effetti un serpente. Il sauro divenuto uomo ci disse: "Ricordatevi di John Robie, detto il Gatto: fu famoso un tempo sulla terra, anche se solo per la sua abilità a sgraffignare diamanti sulla Costa Azzurra!" Poi se ne andò, lasciandomi lì con un palmo di naso.
"Non capisco, Maestro", chiesi subito a Gus: "Il vero Gatto era quello che ci ha apostrofato per primi, e che poi ha perso la sua identità, o il secondo che l'ha recuperata?"
"Chi lo sa?" mi rispose Grissom, alzando le spalle. "Forse, in parte l'uno e in parte l'altro. Chi ruba le fatiche altrui, infatti, perde la sua identità di uomo per identificarsi con l'antico Serpente, ipostasi di Satana, colui che rubò a Gilgamesh la pianta della vita eterna e che sottrasse ad Adamo ed Eva la primitiva innocenza, convincendoli a disubbidire a Colui che Tutto Può."
A quel punto però l'essere umano diventato serpe cominciò a strisciare pericolosamente verso di noi, ed io mi avvidi che era grande come un boa ed estraeva la lingua al mio indirizzo come se potesse percepire l'odore della mia carne viva. Gus allora mi urlò: "Via! Andiamo via!"
"E come?" domandai io, voltandomi. Se ci buttiamo giù da questo burrone senza i razzi propulsori, ci spappoleremo al suolo!"
In quell'istante tuttavia udii un fischio acutissimo dietro di me, a dispetto dell'atmosfera tenuissima di Oberon: i suoni emessi dai diavoli e dai dannati non hanno bisogno di un mezzo materiale per propagarsi! Giratomi, vidi sfilare a due metri da me il Treno dei Dannati, il quale già si liberava dalla gravità di Oberon per puntare verso un altro girone infernale. Dalla cabina del macchinista un essere dalla pelle blu ci fece segno di saltar su: evidentemente il Servo dei Servi di Dio doveva averle detto due paroline in un orecchio, e così Mystica ci era venuta incontro, anziché aspettare il nostro rientro in stazione.
"Presto, afferrati!" mi ordinò Gus, spiccando un balzo ed afferrando la maniglia di una portellone di una carrozza rimasta semiaperta. Io mi slanciai verso l'alto confidando sulla bassa gravità di quella luna, proprio quando il serpente era ormai quasi giunto a sfiorarmi le gambe con la sua lingua rossa come l'odio, ed afferrai la cintura di Virgil, che mi trascinò con sé verso la salvezza. Come Dio volle lui riuscii ad entrare nel vagone, afferrandomi ad un maniglione e ringraziando la mia buona Beatrice per essermela cavata anche questa volta. Quando fui al sicuro al'interno del treno, però, non potei fare a meno di volgere lo sguardo ad Oberon per un'ultima volta, accorgendomi che i suoi crateri pullulavano tutti di serpi e di ladri, a loro modo non meno viscidi e sinistri dei serpenti. E, Dio mi è testimone, per un attimo mi parve che persino la sirena del treno emettesse uno spaventevole sibilo, simile in tutto e per tutto a quello di una biscia velenosa!
Nota: Anche questo canto è ricco di personaggi ben noti. Ad aprire il portellone del vagone piombato è la Creatura di M-113, che rischiò di uccidere James Kirk nella puntata della serie originale di "Star Trek" intitolata « The Man Trap »; per saperne di più, cliccate qui. Al posto del centauro Caco c'è il Duca Gorgon, personaggio della saga di Mazinga, per il quale vi rimando a questo link. Diabolik non ha bisogno di presentazioni; e quanto all'ultimo dannato, se non avete ancora visto "Caccia al ladro", film del 1955 di Alfred Hitchcock con Cary Grant e Grace Kelly, beh, vi invito a colmare al più presto la lacuna!!
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Canto XXV
« Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza »
(Inf. XXVI, 118-120)
Godi, o Federazione Europea, perchè sei tanto grande che batti l'ali attraverso tutti i sistemi stellari, e il tuo nome corre di bocca in bocca attraverso le lune dell'Inferno! Mi vergognai davvero di essere cittadino dell'Europa Unita, che pure è ritenuta una delle più ricche tra le entità federali che compongono l'Impero Terrestre, dopo aver trovato ben due cittadini europei immersi a capofitto in quel lago colmo di serpenti, dei quali l'uno si è messo ad irridere la Potestà Suprema suscitando persino l'ira dei demoni, e l'altro era indistinguibile dalle serpi in cui era immerso a capofitto!
Ero immerso in queste amare considerazioni quando la voce di Grissom mi riscosse dicendomi: "Dante, Dante, perchè pensi a ciò che lasci dietro le spalle, e non piuttosto a ciò che ci aspetta nelle regioni più fredde del Sistema Solare?"
"Vedi, Gus è che..." Le parole mi morirono in gola appena rialzai gli occhi e fissai il cielo seguendo l'indice teso della mia Guida. Infatti già buona parte dell'orizzonte visibile era occupato dalla maestosa mole di Nettuno, l'ultimo dei Giganti Gassosi del Sistema Solare. A vederlo da tanto vicino, sembrava fare onore al proprio nome, poiché davvero sembrava una goccia di acqua marina sospesa nell'oscurità dello spazio. L'avevo già visto molte volte, nel corso dei miei viaggi spaziali, ma mi sembrava di vederlo veramente solo allora per la prima volta. Le sue nubi azzurrine, i grandi tifoni che sconvolgevano la sua atmosfera, il sistema di anelli diafani... se davvero fossi stato messo al bando dal Sistema Solare, come mi aveva predetto quel furfante di Diabolik, certamente questa visione di Nettuno splendente ai confini del Sistema Solare non sarebbe stata quella che avrei rimpianto di meno.
Come potei appurare ben presto, l'Espresso dei Morti puntava diritto verso le nubi di Nettuno, e ben presto potei vedere le nubi più esterne di metano ghiacciato sfrigolare per l'attrito a contatto con le pareti di superlega del convoglio infernale. Nubi sempre più dense, fatte di cristalli di idrocarburi sempre più grossi, mi sfilavano davanti mentre il macchinista accendeva le luci. Sapevo che là dentro, a centinaia di chilometri di profondità sotto le romantiche nubi nettuniane, mi aspettavano solo nuovi orrori, eppure non potei fare a meno di provare impazienza, perchè l'animo curioso anela sempre a nuove scoperte, anche se sa che queste scoperte sarebbero tali da agghiacciare anche un cuor di leone.
A un tratto, in quell'eterna notte vidi in lontananza delle lunghe file di luci, che mi ricordavano da vicino quelle poste a rischiarare le piste di uno spazioporto. Tante volte infatti mi era capitato di atterrare in condizioni di visibilità pressoché zero, su pianeti dalla densa e nebbiosa atmosfera,e solo quegli indicatori luminosi mi avevano permesso di prendere terra senza problemi. Anche stavolta, tuttavia, Grissom parve leggermi nel pensiero e scosse la testa come il professore di matematica che vede l'alunno scrivere sulla lavagna « 3 x 4 = 15 »:
"Mi dispiace deluderti, Dante, ma quelle non sono le piste di uno spazioporto. I Treni della Morte non hanno infatti bisogno di luci di segnalazione, guidati come sono dai superpoteri dei mutanti malvagi."
"Vuoi dire, Gus, che non sono state preparate per accogliere i dannati?"
"No. Quelle luci SONO i dannati."
Al momento non compresi le sue parole, ma quando il treno fu più vicino alla superficie ghiacciata del nucleo di Nettuno, tutto mi fu chiaro. E provai un immenso dolore, non minore di quello che provo ora, ripensando a ciò che vidi. Infatti la crosta di roccia e metano congelato pullulava di fiamme di plasma, il cui colore variava dal rosso vivo all'azzurro turchese fino al verde bandiera; e le fiamme procedevano lentamente in processione, girando attorno al nocciolo del pianeta.
"È come penso io, vero Gus?" domandai, timoroso di avere conferma dei miei sospetti.
"Sì, Dante. Ogni fiamma al plasma nasconde un'anima. Lo stesso plasma di cui è fatto il suo corpo fluido arde, per cui il peccatore e la fiamma sono tutt'uno."
"E chi può aver commesso una colpa così grave da venire acceso come una torcia per tutta l'eternità?"
"Sono i cattivi consiglieri, coloro che suggerirono agli altri come commettere delle frodi; coloro che idearono artifici poi messi in atto da altri per risolvere a loro favore le situazioni in modo fraudolento. Come essi agirono in vita solo per vie sotterranee, senza mai comparire nell'elenco dei colpevoli, così ora sono del tutto nascosti dentro la fiamma che li brucia senza consumarli mai."
A quel punto il vagone piombato su cui viaggiavamo fu spalancato da una mano possente, e io mi vidi dinanzi un guerriero, completamente ricoperto da un'armatura nera, che impugnava una mazza ferrata nella mano destra e portava un anello d'oro alla mano sinistra. Il suo viso era completamente invisibile, ricoperto com'era da un elmo decorato da una selva di punte acuminate rivolte verso l'alto. Quello spirito maligno parve guardarmi con odio, attraverso la celata del suo elmo, ma rinunciò ad agire contro di me, e proseguì per la sua strada, andando a prelevare le anime dei consiglieri di frode.
Mentre scendevamo dalla carrozza, io domandai a Virgil: "Chi era mai, maestro?"
"Era una delle peggiori incarnazioni del male che si siano mai viste", mi rispose lui, e per un attimo mi parve che rabbrividisse egli stesso al solo nominarlo. "Era un angelo bellissimo, ma fu irretito da Lucifero e tentò di prendere il controllo del mondo, usando l'Unico Anello da lui stesso forgiato, che come hai visto ora egli porta eternamente al dito, come segno della sua sconfitta ad opera di Frodo Baggins e di Sam Gamgee. Il suo nome è Sauron, ed egli si trova qui perché consigliò falsamente l'ultimo Re di Numenor, Ar-Pharazon, affinché desse l'assalto a Valinor, la Terra Beata, così da conseguire l'immortalità. Come punizione, il Signore Dio sprofondò Ar-Pharazon con la sua flotta e tutta Numenor nelle acque dell'oceano, e l'isola perduta prese il nome di Atalantë, "la Caduta", da cui derivò il nome di Atlantide. Sauron perse la sua forma fisica nella rovina di Numenor, ma continuò ad imperversare nel mondo come un demone malvagio, finché il valore dei membri della Compagnia dell'Anello non ebbe il sopravvento sulla sua nequizia, egli fu definitivamente sconfitto e condannato da Dio a fungere da carceriere dei consiglieri fraudolenti."
"Brrr!" rabbrividii io, pure, pensando a quale concentrato di puro male si nascondesse sotto quell'armatura. Tuttavia la mia attenzione fu ben presto catturata dalle lunghe file di fuochi che venivano verso di noi. Indicando uno di essi, non potei fare a meno di domandare:
"Maestro mio, chi è nascosto dentro quel fuoco che appare diviso nel mezzo in due fiammelle, come se tormentasse due dannati anziché uno solo?"
"Là dentro ci sono due eroi leggendari del millennio passato", mi rispose Gus con la voce colma di ammirazione nonostante si trattasse di due peccatori. "Essi vissero nel secondo secolo dei viaggi iperspaziali, e per cinque anni percorsero il Quadrante Alfa della Galassia esplorando strani, nuovi mondi, in cerca di nuove forme di vita e di nuove civiltà, giungendo arditamente là dove nessuno era mai giunto prima."
Io non credetti alle mie orecchie. "Parli forse del leggendario..."
"Proprio lui", annuì Gus, sinceramente dispiaciuto che il personaggio cui alludeva si trovasse all'Inferno e non in Paradiso.
"Ma il capitano James Tiberius Kirk è stato un eroe senza macchia e senza paura", mi affannai io. "Salvò l'umanità intera in occasione della crisi del V-Ger e quando la Terra fu minacciata dalla Sonda delle Megattere, per non parlare della Macchina del Giudizio Universale da lui distrutta, e..."
"...E dell'odio implacabile da lui provato per i Klingon", mi interruppe bruscamente Grissom. "Purtroppo nel 2293, dopo l'esplosione di Praxis, una delle lune di Qonos, il pianeta centrale dell'Impero Klingon, egli consigliò l'Alto Comando della Flotta Stellare di fingere di intavolare trattative di pace, ma intanto di prepararsi ad un attacco definitivo contro i Klingon per spazzarli via una volta per sempre. In tal modo, egli intendeva vendicare la morte di suo figlio, David Marcus, ucciso dal capitano klingon Kruge sul Pianeta Genesis nel 2285."
Rimasi senza parole: come tutti i grandi protagonisti delle imprese spaziali del terzo millennio, dai due collaudatori Gregory Powell e Mike Donovan al capitano Jean-Luc Picard, fino al Comandante Jeffrey Sinclair, anche la biografia di Kirk era ben presto diventata un'agiografia, espungendo tutti gli aspetti meno edificanti per le future generazioni di esploratori e di scienziati. Avevo a dir la verità sentito dire che la carriera del leggendario capitano dell'Enterprise non era del tutto immacolata, ma non sapevo che avesse addirittura proposto di trasformare la Conferenza di Pace di Camp Khitomer in un'occasione per chiudere i conti con quelli che per tutta la vita erano stati i suoi mortali nemici. Ma evidentemente non bastava, perchè Gus aggiunse:
"Fin dall'inizio della sua carriera capitan Kirk fu incline alle frodi: quando era ancora all'Accademia della Flotta Stellare, fu sottoposto al cosiddetto Test della Kobayashi Maru , che consisteva nel mettere un cadetto in una situazione senza via d'uscita per verificare come reagiva, ma egli fu l'unico a trovare una via d'uscita, e ci riuscì cambiando segretamente la programmazione del simulatore. Inoltre suggerì più volte tecniche truffaldine per uscire da situazioni apparentemente impossibili, come sul pianeta Sigma Iotia II, quando arrivò a chiedere il pagamento di una "protezione" ai gangster che infestavano quel pianeta, infrangendo così ogni Direttiva della Flotta Stellare. Purtroppo di tutti questi trucchi egli non si pentì mai, e così lo vedi punito qui sotto, nella tenebrosa atmosfera di Nettuno."
"E l'altro che è con lui chi è?"
"È il dottor Leonard McCoy detto Bones, che lo accompagnò e lo assecondò in ogni sua impresa. Temevi che l'altro dannato fosse il suo primo ufficiale vulcaniano Spock, vero? Egli non si trova all'Inferno, perchè agì sempre mosso solo dalla lucida razionalità, e consigliò sempre il suo capitano di attenersi ad essa, anziché alla sua impulsiva passionalità."
"Se gli avesse dato retta, ora non sarebbe qui", mormorai, ancora sconvolto. Non avevo idea infatti del fatto che uomini tanto celebri e mossi da ideali tanto nobili potessero essere finiti così lontano dalla Luce Vivificante del Sole, simbolo della luce divina che splende in sempiterno sulla Gerusalemme Celeste. "Tuttavia, maestro, credi che potrei parlare con lui?"
"Credo di aver capito cosa intendi chiedergli. Ma lascia parlare me: poiché egli fu tanto osannato in vita, potrebbe non sopportare di essere visto in questa bolgia da uno dei suoi posteri, che potrebbe raccontare a tutti quanto miserando è stato il destino della sua anima. Meglio che a rivolgergli la parola sia uno che è vissuto prima di lui."
Avvicinatosi alla fiamma cornuta, Virgil le si rivolse allora in questi termini:
"O voi che siete due dentro un fuoco solo, se io meritai tanto o poco, mentre ero vivo, di fregiarmi del titolo di esploratore degli spazi, quel titolo che a voi si attaglia come una seconda pelle, tanta è la fama che vi meritaste nel corso delle vostre missioni quinquennali, non ve ne andate ignorandoci, ma l'uno di voi dica in quale modo se ne andò a morire, solo e lontano da ogni rotta conosciuta."
La punta più elevata di quell'antica fiamma incominciò ad agitarsi, mormorando, come fa quella di una candela disturbata dal vento; e menando a destra e a sinistra la sua cima, come fosse una lingua che parlasse, fece uscire una voce umana sofferente che mi disse:
"Quando la Federazione Terrestre e l'Impero Klingon fecero la pace dopo cent'anni di conflitti, una pace che io non potevo in alcun modo accettare dopo quanto quei mostri alieni avevano fatto a mio figlio David, mi dimisi dalla Flotta Stellare e mi ritirai a vita privata nella mia tenuta di Riverside, nello Iowa, sulla vecchia Terra.
Ben presto però il richiamo dello Spazio fu troppo forte perchè io potessi resistervi. Nulla, né l'amore della mia ultima compagna Antonia, né i consigli del vecchio amico Spock, divenuto nel frattempo ambasciatore di Vulcano sulla Terra, né le preghiere del Presidente della Federazione che mi voleva nominare Ministro dello Spazio, poterono vincere l'ardore che sentivo dentro di me di penetrare i segreti dell'universo, e di conoscere le diverse razze che lo abitavano, novello Ulisse che non poteva fermarsi di fronte a nessuna Colonna d'Ercole.
E così, messomi d'accordo con il mio amico Bones, con l'anziano ingegnere Montgomery Scott e con un pugno di altri fedelissimi, rubai l'astronave Enterprise-A, che si trovava per riparazioni alla fonda in un astroporto in orbita lunare, e con essa mi diressi verso il Centro Galattico.
Da sempre avevo desiderato sapere cosa c'era nel nucleo della nostra Galassia, da me ritenuta l'Ultima Frontiera dell'esplorazione umana. Là dentro un buco nero di inimmaginabile potenza e dimensioni aveva infatti aspirato per miliardi di anni tutta la sapienza e tutte le conoscenze dei popoli della Galassia, e non è certo un caso se un'antica leggenda vulcaniana poneva proprio nel centro galattico lo Sha Ka Ree, nome che quel popolo dà al Paradiso. La Flotta Stellare mandò il mio vecchio amico e compagno di avventure, il capitano Hikaru Sulu, ad inseguirmi a bordo della più moderna Excelsior, ma io ignorai i suoi disperati appelli alla ragione e riuscii a seminarlo con l'inganno.
A quel punto, nulla si frapponeva più tra me e la mia meta. Dopo anni di navigazione al massimo della curvatura, e dopo innumerevoli altre avventure presso razze sconosciute, vidi davanti a me la nebulosa al cui centro si trovava il nucleo galattico. Io ed i miei compagni eravamo molto anziani e stanchi quando giungemmo al confine di ogni conoscenza, là dove la nostra stessa fisica cessava di valere. Ecco, io volsi attorno a me lo sguardo, e lessi nei miei pochi compagni il dubbio: avremmo fatto bene a proseguire ancora, o avremmo ardito troppo, pretendendo addirittura di incontrare Dio a faccia a faccia?
« Amici, che dopo centomila traversie siete giunti con me a questa Ultima Frontiera dell'universo », dissi loro dall'alto della mia poltrona di comando, « non vogliate privarvi dell'esperienza di visitare ciò che nessun altro ha mai visitato prima di noi, né forse ardirà visitare dopo. Considerate la vostra stessa natura umana: non siete nati per vivere come primati arboricoli solo tra le foreste del vostro pianeta natale, ma per inseguire la virtù, la saggezza e la conoscenza. »
Con queste poche parole feci sì che i miei compagni fossero tanto desiderosi di penetrare in quella nebulosa misteriosa, molto più tetra della Mutara Nebula in cui avevo sconfitto Khan Noonien Singh, che in nessun modo poi avrei potuto trattenerli. E così, ordinai al pilota:
« Signor Cechov, avanti tutta al massimo della curvatura. Attivare! »
Spinti al massimo i motori iperspaziali della nostra gloriosa astronave, penetrammo nel cuore di quell'abisso divoratore di stelle. Ed ecco, dopo cinque mesi di navigazione alla cieca, senza alcun riferimento se non la nostra sete di avventura, la stessa che mi aveva mosso fin da quando ero un semplice Guardiamarina sulla USS Republic, vedemmo comparire in lontananza un'area di bonaccia, sgombra da nubi di gas, al centro della quale ci parve di scorgere, al massimo ingrandimento della visuale di prua, una stella così luminosa quanto fino ad allora non ne avevamo vista nessuna in alcun angolo della Galassia.
Noi ci rallegrammo e ci facemmo le congratulazioni, ma ben presto i nostri Evviva si trasformarono in disperazione. Infatti l'Enterprise-A venne bruscamente deviata dalla sua rotta da una forza soverchiante che la attrasse a sé a babordo. Non c'era alcun dubbio, un buco nero ci aveva catturati! Eravamo così intenti ad ammirare la fulgidissima stella che avevamo di fronte ed il suo sistema planetario, da commettere un errore che sarebbe stato evitato persino da un cadetto al primo anno dell'Accademia!
Ma ormai non c'era più nulla da fare, poiché i motori dell'Enterprise andarono in sovraccarico nel vano tentativo di liberarci dalla soverchiante gravità di quell'astro maledetto. Tre volte girammo attorno ad esso, mentre l'integrità stessa della nave veniva meno, perchè la poppa era attratta dalla gravità del buco nero più della prora. Per altre tre volte i frammenti informi di quella che era stata la più splendida nave della Flotta Stellare, vanto e gloria dell'ingegneria umana, orbitarono attorno al buco nero prima di essere fagocitati da esso, quando il suo orizzonte degli eventi fu definitivamente richiuso sopra di noi."
Nota:
Sauron è un personaggio del "Signore degli Anelli" fin troppo noto, e
quindi non vale la pena di spendere parole in spiegazioni. Piuttosto, so
di aver modificato nettamente gli eventi avvenuti nell'universo Trek, ma mi sono
preso questa libertà perchè dopotutto anche Dante si è preso la libertà di
modificare la trama dell'Odissea. In effetti capitan Kirk era contrario alla
pace con i Klingon, dal momento che uno di loro gli aveva ucciso il figlio David
nel film "Star
Trek III: Alla ricerca di Spock" (1984), ma dopo la scoperta di una
cospirazione contro la conferenza di pace si batté perché andasse a buon fine,
come narrato nel film "Star
Trek VI: Rotta verso l'ignoto" (1991). Il viaggio al Centro della
Galassia è raccontato invece nel film "Star
Trek V: L'Ultima Frontiera" (1989), in cui l'Enterprise è sequestrata
da Sybok, fratellastro di Spock, proprio per raggiungere il mitico Sha Ka
Ree ed incontrare la Divinità, ma molti fan trekker considerano quell'episodio
"spurio" rispetto al resto della saga, perchè il viaggio verso il
Centro della Galassia anche a massima curvatura avrebbe richiesto molti anni, e
non pochi giorni. Lo scontro con Khan Noonien Singh nella Mutara Nebula è
invece argomento del film "Star
Trek II: L'Ira di Khan" (1982). Quanto poi alla
morte di Kirk, nel film "Star
Trek - Generazioni" (1994) essa avviene sul pianeta Veridiano III,
precipitando in un burrone mentre sta aiutando il suo epigono Jean-Luc Picard a sventare il folle piano del dottor Tolian
Soran. Io ho voluto dargli una fine decisamente più epica e degna dell'Ulisse
dantesco.
Riguardo infine a Gregory Powell e Mike Donovan, sono i protagonisti di alcune
novelle di Isaac Asimov del Ciclo dei Robot, mentre Jeffrey Sinclair è il Comandante
della stazione orbitante Babylon 5 nell'omonima serie di telefilm made in USA.
Un doveroso tributo ad alcuni dei pilastri della mia amata fantascienza.
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Canto XXVI
« Chi poria mai pur con parole sciolte
dicer del sangue e de le piaghe a pieno
ch'i' ora vidi, per narrar più volte? »
(Inf. XXVIII, 1-3)
Detto ciò, la fiamma si drizzò e tacque, e la mia Guida le fece segno con una mano che poteva riprendere il suo dolente cammino nelle profondità abissali di Nettuno. Rapidamente io e Gus tornammo alla fermata del Treno di Morte, affrettando il passo più che potevamo perchè il racconto di Jim Kirk ci aveva talmente colpito e affascinato, da farci completamente perdere la nozione del tempo; ed il nostro incubo peggiore era proprio quello di perdere nuovamente il treno, come fatalmente accaduto su Titania. Sentito il fischio del treno che era ormai in partenza, ci mettemmo letteralmente a correre, tanto che per breve tempo mi parve di ritrovarmi nei panni degli Ignavi di Mercurio, costretti a rincorrere per l'eternità un missile incandescente che non si dirige da nessuna parte. Come Dio volle, però, quella volta avemmo più fortuna degli Ignavi e riuscimmo a saltare sul treno già in movimento.
"Pant, puff", ansimai, una volta a bordo di uno di quegli atroci vagoni piombati: "sono giù d'allenamento, Gus. Ti ho mai detto che sono stato campione dei 200 metri piani ai Giochi Studenteschi su Canopo II?"
"Hai conseguito un risultato migliore quest'oggi, riuscendo a prendere il treno per un pelo, che quel giorno della tua giovinezza, quando hai conquistato un alloro sportivo", mi sorrise Grissom, che invece sembrava fresco e riposato come se si fosse alzato poco prima dal letto. Ma aveva perfettamente ragione, perchè stavolta c'era in gioco non il prestigio e la gloria, ma la mia stessa vita.
Ancora ansimando, sentii il treno risalire sempre più verso le nubi alte di Nettuno, fino a che sopra di noi non riapparvero le stelle, ed il Treno dei Dannati abbandonò la bluastra sfera del pianeta per puntare verso la maggiore delle sue lune. Per far questo sfiorò la superficie dei diafani anelli di Nettuno, che rispetto a quelli di Saturno parevano sottili come le ali delle libellule giganti di Zeta Draconis V. Era uno spettacolo davvero mozzafiato, e valeva la pena di correre tutti quei rischi allucinanti per poter vedere le particelle ghiacciate costituenti gli anelli che correvano sotto di noi, assumendo tutte le mille iridescenze dell'arcobaleno alla luce dei fari del treno che le sfiorava lievitando sopra di esse come il magico tappeto volante delle Mille e Una Notte!
"La nostra meta è Tritone, vero?" chiesi a Gus vedendo la sfera color giallo sporco del grande satellite che si ingrandiva davanti a noi.
"Sì, Dante", annuì il mio compagno di viaggio, il cui viso era di colpo ridiventato una maschera di pietra. "Ti consiglio di prepararti, perchè lo spettacolo che vedrai lassù non è certo roba da stomaci delicati."
"Oramai sono preparato a tutto", millantai, ma se avessi saputo quello che mi aspettava avrei fatto meno il gradasso!
Sferragliando e lasciando dietro a sé una scia di scintille iridescenti, il Treno dei Dannati arrestò infine il suo corso tra le balze e i vulcani di Tritone. La cosa strana fu che stavolta i portelli dei vagoni si aprirono da soli, tanto che io cominciai a chiedermi se il custode di quella Bolgia non fosse la Donna Invisibile dei Fantastici Quattro. Gus, che si accorse del mio sconcerto, mi spiegò:
"È stata la stessa Psylocke ad aprire i vagoni, con i suoi poteri telecinetici. Infatti il custode di questi dannati, come vedrai tra poco, è in tutt'altre faccende affaccendato!"
Io alzai le spalle, cercando di mascherare la mia curiosità, e mi preparai a scendere. Non ero mai stato su quella luna, per cui la sua strana superficie mi colpì soprattutto per la ricchezza di ondulazioni e gibbosità, come se vi abitasse una razza di talpe capace di mettere a soqquadro l'intero corpo celeste per scavarvi le proprie gallerie. Sapevo che non era possibile, perchè la temperatura di Tritone era appena di 35 Kelvin, cioè quasi 240 gradi sotto zero, e le strane formazioni geologiche erano dovute al riscaldamento del nucleo tritoniano a causa delle forze di marea esercitate da Nettuno, essendo retrogrado il moto di rivoluzione del grande satellite. Ebbi una prova dell'estrema instabilità della sua crosta appena io e Gus mettemmo piede sulla pensilina di azoto ghiacciato: a non più di cinque metri da noi infatti il suolo si gonfiò ed ebbe origine un geyser, che sputò verso l'alto un getto di materia rossastra.
Nonostante avessi fatto istintivamente un balzo verso il treno, fui investito da quel materiale inusitato, e restai davvero con un palmo di naso quando fui avvolto da una sensazione di gelo e non di calore, come sarebbe avvenuto con un geyser terrestre, che vomita acqua bollente.
"Incredibile", esclamai a Grissom, a sua volta intento a ripulirsi la tuta e il casco. "Giurerei che si tratti di neve! I vulcani di Tritone eruttano materia ghiacciata! Ma di quale sostanza, non saprei dire."
"Te ne renderai conto appena entreremo in quel canyon", si limitò a sussurrare il Pioniere dell'Astronautica, con voce altrettanto gelida di quella superficie rugata e grinzosa come la buccia di un melone blu di Antares VI.
Io seguii la direzione del suo sguardo e vidi un canyon dai pendii assai più dolci di quelli che avevamo visitato su altre lune come Titania, probabilmente perchè la sua superficie era molto più attiva ed in continuo sommovimento per colpa di quell'incredibile attività geotermica sottozero. Seguendo il mio Maestro raggiunsi il bordo del canyon, e ciò che vidi superava davvero ogni umana immaginazione.
Il burrone era infatti popolato da una processione immensa di dannati, che avanzavano assolutamente nudi nonostante il gelo di quell'estrema periferia del sistema solare fosse tale da congelare persino azoto ed ossigeno. Ma questo non era certo l'unico aspetto del loro supplizio. In fondo al canyon infatti li attendeva un demone orribile, quale non avevo mai visto prima né vidi poi per tutto il resto della mia vita.
Il suo corpo ed il suo volto erano spaventosamente deturpati da vaste ustioni, solo in parte coperte dal cappello nero ciancicato e dal maglione a strisce orizzontali verdi e rosse, sfilacciato ai margini. Ma ciò che faceva più paura di quello spaventevole essere erano le affilatissime lame, tutte sporche di sangue, che egli aveva al posto delle dita della mano destra. Fu allora che compresi cosa avesse inteso la mia guida, spiegandomi che il custode della Bolgia era troppo indaffarato per preoccuparsi di aprire le paratie dei vagoni piombati: appena uno dei dannati in processione, blu per il gelo che attanagliava quella luna, gli arrivava a tiro, egli lo mutilava orribilmente con rapidi e chirurgici tagli della sua mano bionica. Di conseguenza litri e litri di sangue di riversavano sul fondo di quella bolgia: in gran parte cristallizzava immediatamente, sovrapponendosi all'azoto congelato e farinoso della superficie di Tritano, ma in parte colava sotto la superficie, sparendo nell'immediato sottosuolo.
Io ebbi un sobbalzo: guardai la neve rossiccia e ferruginosa che ancora ricopriva parte del mio scafandro, sbarrai gli occhi e urlai a Gus: "Ma questo... ma questo è..."
"Sì", annuì l'antico astronauta senza batter ciglio, come se stesse parlando di marmellata di more. "È sangue. Si tratta del sangue di coloro che seminarono discordia e divisioni tra gli uomini che, infiltratosi sotto la superficie lunare e congelatosi sotto forma di permafrost, viene rigettato verso l'altro come se neppure Tritone volesse saperne dell'emoglobina di questi spregevoli esseri."
"E... e quel carnefice laggiù..."
"Sulla Terra si chiamava Freddy Krueger", rispose Gus, che stavolta non riuscì a trattenere un moto di disgusto, "ed era figlio di una suora e di un pazzo che l'aveva stuprata. Venne affidato da sua madre ad un uomo che si rivelò essere lui pure un folle alcolizzato, il quale rese la sua infanzia un inferno. Inoltre Freddy venne tormentato dai suoi compagni di classe, che lo deridevano perché nato da uno stupro. Logico che egli cominciò fin dall'inizio a soffrire di squilibri mentali, torturando ed uccidendo degli innocenti animaletti. A 19 anni uccise il padre adottivo con un rasoio, poi iniziò a lavorare in una fornace dove portò i figli dei suoi ex compagni di classe dopo averli adescati; lì li uccise brutalmente per vendetta e ne bruciò i corpi. Scoperto, fu processato per l'omicidio di venti bambini, ma per un errore di procedura fu rilasciato poco dopo. Allora i genitori dei piccoli uccisi, furenti, irruppero in casa di Freddy e lo arsero vivo nella sua caldaia. Ma prima di morire egli aveva stretto un patto con tre demoni, che gli diedero la possibilità di vendicarsi degli altri figli dei suoi assassini attraverso incubi spaventosi. Per molto tempo egli ebbe il totale controllo della dimensione onirica, e continuò da lì a tormentare e ad uccidere le sue vittime, dove nessuno poteva proteggerle. Infine a fermarlo fu sua figlia Kathrine Krueger che, dopo averlo trasportato nel mondo dei desti dove era impotente, lo fece esplodere con la dinamite, mettendo fine alle sue malefatte. Da allora egli è condannato a sfogare in eterno la sua rabbia belluina contro i seminatori di discordie, squartando a brani il loro corpo così come essi crearono scismi e divisioni tra gli uomini."
"Orribile!" esclamai io, vedendo quell'essere mostruoso tagliare di netto i genitali ad un dannato che urlava come la sirena di un'astroambulanza. Freddy dovette udirmi, perchè incrociò il suo sguardo con il mio, ed io sentii i suoi occhi malvagi penetrarmi fin dentro le ossa, mentre egli mi rivolgeva un ghigno mefistofelico che sapeva di sfida e di disprezzo. Subito dopo però si disinteressò totalmente a me, passando a mozzare le orecchie ed il naso al nuovo dannato che gli era capitato a tiro. Dopo essere stati così seviziati, i peccatori facevano dietrofront e percorrevano tutta la lunghezza del canyon, per poi voltarsi di nuovo all'estremità opposta e ricominciare la trista processione. Mentre però camminavano, vidi che le loro ferite si rimarginavano, pronte per essere riaperte di nuovo dalle affilatissime dita di Krueger, mentre il loro sangue intrideva il suolo di quell'ostello di dolore.
Io combattei numerose guerre, nella mia carriera, dalla Battaglia di Geonosis che aprì la lunga e sanguinosa Guerra dei Cloni fino all'assedio di Caprona, ma anche accumulando tutti assieme uno sull'altro i cadaveri di tutti i disgraziati caduti nelle battaglie cui partecipai, non si otterrebbe neppure una pallida visione dell'orrore che questi occhi ammirarono lassù! E per darvene un'idea, mi basterà dirvi che, proprio mentre ripensavo al sanguinoso assedio di Caprona cui avevo partecipato appena ventiquattrenne, vidi passare sotto di me un dannato il cui tronco era squarciato dal mento fino all'ano. Un'antica botte di legno che perde una o più delle sue doghe non è troppo dissimile dall'orrenda vista di quell'ombra, i cui intestini pendevano fra le gambe e di cui era possibile vedere il cuore pulsare tra le costole spezzate.
Mentre lo osservavo inorridito, egli mi guardò negli occhi, si aperse il ventre con le mani e si lamentò: "Guarda come è punito Olivier Cromwell, che fu Lord Protettore d'Inghilterra e scatenò una guerra civile per far trionfare i suoi ideali puritani! E questi che viene immediatamente dopo di me, che ha il cranio aperto in due dal mento fino alla sommità della testa, è Francisco Franco, che causò lo scoppio di una guerra civile ancor più devastante in Spagna! Ma tu chi sei, che ti attardi a curiosare da sopra quella rupe, forse per posporre l'inizio della pena che tu stesso hai confessato a Ming?"
"Né la morte ancora l'ha raggiunto, né si trova qui per essere mutilato da Krueger", gli ribatté precedendomi il mio Maestro, "ma sta attraversando le regioni estreme del Sistema Solare per avere esperienza delle terribili condanne che vi furono inflitte per l'eternità!"
Udendo ciò, più di cento anime si fermarono nel fossato e drizzarono lo sguardo meravigliato verso di me, quasi dimentichi del loro doloroso martirio. Io mi sentii improvvisamente come un gatto finito chissà come nel bel mezzo di un canile, ma mi rassicuravano la presenza di Grissom e la certezza che quei dannati non potevano certo abbandonare il loro canyon. Ma certamente potevano parlarmi, e difatti uno di essi levò verso di me i moncherini che aveva al posto di entrambe le mani mozzate, mi gridò sopra le voci dei suoi compagni di pena:
"Ehi, tu che te ne vai come un turista attraverso questo lago di sangue, ricordati di Gavrilo Princip! Io fui serbo e venni condannato a questa pena per aver gettato nel barile dei Balcani la miccia che fece esplodere quella che laggiù sulla Terra si ricorda come la Prima Guerra Mondiale! Fu apprestandomi a colpire l'eterno nemico asburgico che esclamai: « Cosa fatta capo ha! »"
"Ed è per aver sparato all'inerme Arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo e a sua moglie, che Freddy ti ha tranciato entrambe le mani", gli gridò Virgil, che poco volte avevo visto adirato come in quell'occasione contro uno dei dannati, taluni dei quali anzi erano da lui rispettati e magnificati. "Evidentemente quel demonio non era sicuro se tu fossi destro o mancino, e così, per essere certo di non sbagliare a punire la mano che provocò la prima grande carneficina dell'era moderna, te le ha tranciate tutte e due!"
Princip proseguì per la sua strada battendosi il capo con i moncherini, e così lordandoselo tutto di sangue che cristallizzò immediatamente, trasformandogli la testa in una specie di Swarovski. Subito dopo di lui avanzò un altro peccatore, che aveva la gola squarciata e la lingua mozzata, e gorgogliò verso di noi qualcosa che non riuscii a capire. Subito Gus mi spiegò:
"Quell'uomo è serbo pure lui, e sulla Terra si chiamò Slobodan Milosevic. Con la sua aggressiva politica ultranazionalista provocò il collasso della Jugoslavia, uno stato esistito nei balcani nel ventesimo secolo, tanto che tutti i popoli che abitavano in essa vollero andarsene per conto proprio. Nelle regioni in cui serbi ortodossi, bosniaci musulmani e croati cattolici convivevano in pace, egli mise in atto una feroce pulizia etnica per costringere i non serbi all'esilio; e siccome i suoi discorsi nazionalisti aizzarono gli estremisti del suo popolo, ora si ritrova la gola tagliata. Naturalmente in compagnia sua ci sono qui anche satrapi ed estremisti di altre etnie slave del sud, che misero in atto un'analoga pulizia etnica ai danni dei popoli con i quali avrebbero dovuto convivere d'amore e d'accordo."
Io osservai quel caudillo allontanarsi fuori di sé per il dolore, e con il senno di poi ammetto che avrei fatto molto meglio a volgere lo sguardo da un'altra parte. Proprio in quel mentre infatti io vidi un tale orrore che avrei paura di non essere creduto se potessi addurre come unica prova "L'ho visto con questi occhi!" Ma mi sprona a parlare la certezza di dire il vero, ed il fatto di avere la coscienza pulita, non avendovi mai contato frottole.
Ebbene, io vidi, e mi sembra di vederlo tuttora, un corpo umano senza capo camminare in fila con gli altri, e nella mano destra reggeva per i capelli il suo capo mozzato, girandolo intorno come si muove una torcia al plasma per rischiararsi la via. Non riesco a crederci, perchè erano uno in due e due in uno: come poteva essere una cosa del genere, lo sa solo Domineddio. Appena giunse sotto di noi, levò il braccio più in alto che poteva per avvicinare la testa alle nostre orecchie, e gridò:
"O tu che, respirando ancora, te ne vai in giro in questo inferno di dolore, dimmi: hai mai visto una pena peggiore della mia, finora? Se vuoi riportare nel mondo dei vivi notizie di me, sappi che io fui un uomo importante nel regno d'Inghilterra: mi chiamarono Riccardo Plantageneto, terzo duca di York, e due miei figli, Edoardo IV e Riccardo III di York, furono incoronati sovrani. Fu il mio contrasto con Enrico VI di Lancaster a dare vita a quella carneficina che oggi si ricorda come la Guerra delle Due Rose. Siccome ignorai i diritti ereditari di Edoardo di Lancaster, figlio di re Enrico VI, anteponendogli quelli di mio figlio Edoardo di York, e separando così il padre dal figlio, porto la testa separata dal busto, e così potrai osservare in me cosa significa la parola « contrappasso »!"
Nota: non vi sarà stato difficile riconoscere nel demonio carnefice il tremendo protagonista della saga di "Nightmare", partita nel 1984 con "A Nightmare on Elm Street". Quanto alla Battaglia di Geonosis, è un passaggio chiave della saga di "Guerre Stellari", narrata nel film "Star Wars, Episodio II - L'attacco dei cloni".
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Canto XXVII
« Passo passo andavam sanza sermone,
guardando e ascoltando li ammalati
che non potean levar le lor persone »
(Inf. XXIX, 70-72)
"Maestro mio, che cos'è il contrappasso?" chiesi a Virgil mentre abbandonavamo quell'orribile luna di Nettuno, invasa dal sangue dei seminatori di guerre civili, a bordo del non meno orribile Treno dei Morti. Osservando ormai di lontano i geyser di Tritone, i quali vomitavano in perpetuo il sangue dannato dei dannati colà prigionieri, Gus mi spiegò:
"Significa che i dannati vengono puniti con una pena che ricorda il peccato da essi commesso in vita, oppure che ne rappresenta l'antitesi."
"Questo vale anche per i dannati che vedremo alla prossima fermata?"
"Purtroppo sì", annuì Gus con uno sguardo che non mi lasciava presagire altro se non nuovi orrori. E il mio sospetto si fece certezza quando il treno maledetto girò attorno alla massa azzurrissima di Nettuno, senza accennare a volersi allontanare da esso, e puntò verso la seconda luna per grandezza di Nettuno, Proteo, che è famosa per essere uno dei corpi del sistema solare con l'albedo più basso. In altre parole, si tratta di una luna incredibilmente scura, che riflette solo il 10 % della luce che riceve dal sole, e questo spiega perchè fu scoperta solo da telescopi posti fuori dall'orbita terrestre. "Un pezzo di carbone che orbita nello spazio", lo aveva definito uno dei miei professori all'Accademia, ed ora che lo vedevo da vicino capivo benissimo il perchè. Decisamente il luogo ideale per ospitare le anime più nere dell'inferno!!
"Qui sopra albergano i falsari", mi rispose il mio maestro mentre sentivo le ruote dei vagoni piombati stridere contro le rotaie. "Appena il vagone si aprirà, capirai da solo come essi sono puniti."
Non feci in tempo a chiedergli cosa intendesse, perchè due secondi dopo la porta scorrevole del vagone fu aperta con violenza, e la risposta mi arrivò sotto forma di un puzzo tremendo che per poco non mi fece stramazzare al suolo senza sensi. Durante la Guerra dei Cloni ero stato a bordo di un'astronave ospedale, e giuro che il tanfo di piaghe infette, sangue marcio, pus, liquidi corporei di decomposizione non era tanto fastidioso come lo fu sulla superficie di quella luna nera. Neppure la tuta di cui disponevo era in grado di filtrare quel lezzo nauseabondo, che sembrava capace di infiltrarsi persino tra le molecole di cui era composta! O forse era l'Onnipotente che voleva così, perchè la mia esperienza dei terrori dell'Inferno fosse piena e completa!
Come se il puzzo non bastasse, davanti agli occhi mi apparve un essere diabolico dalla pelle color viola scuro, come quella di un corpo in decomposizione, gli occhi gialli come la bile striati di nero, i capelli rossi come il magma dei supervulcani di Alpha Centauri I, un0armatura anch'essa rossa fuoco ed un dragone verde e blu il cui corpo sinuoso girava intorno al suo collo come se fosse una stola di pelliccia. Io feci un salto indietro per il terrore, e subito quel demonio scoperse le zanne e ridacchiò al mio indirizzo:
"Hai paura, eh, misero mortale, che ti giochi uno scherzo simile a quello che ti hanno giocato Gandal e Zuryl all'interno del pianeta Urano, eh?" Poi, visto lo stupore che mi era affiorato sul volto, aggiunse:
"L'inferno è piccolo, terrestre, e tra noi demoni le notizie volano veloci come le nostre nequizie! Se fossi in te non mi fiderei così tanto del tuo amico Grissom, che non è stato capace di proteggerti tra le nubi di quel pianeta!"
Il Signore del Drago, arcinemico di Jeeg Robot d'Acciaio
Se quel mostro avesse dato del vigliacco a me, gliela avrei fatta passare liscia, ma non potevo permettere che insultasse impunemente la sua guida. Non so dove trovai il coraggio per farlo, ma gli buttai in faccia con voce tanto carica d'astio, che al confronto il Processo di Norimberga avrebbe somigliato a un amichevole rabbuffo:
"Dovrei forse fidarmi piuttosto di te, Signore del Drago, che hai ucciso a tradimento la regina Himika, dopo averle mentito facendole credere che la avresti aiutata a sconfiggere Jeeg il Robot d'Acciaio, in modo da prendere il suo posto sul trono? Eppure, nonostante tutta la potenza che millantavi, non sei riuscito ad impedire che Hiroshi Shiba ti uccidesse come un cane, seppellendoti qui tra le lune dell'Inferno! Meglio dunque fidarsi di Virgil Grissom, che ha sempre mantenuto fede alla parola data, e se a volte non è riuscito a sbrogliare la situazione da solo, me ne ha chiesto scusa!"
All'udire le mie parole, il demone alieno mi rivolse un tale sguardo di odio, che al confronto i raggi gamma emessi dagli occhi di Jeeg Robot sarebbero apparsi lievi come carezze. Lo squamoso drago serpentiforme che egli aveva avvolto attorno al corpo si allungò verso di me spalancando le fauci, come se avesse intenzione di abbrustolirmi con il suo alito di fiamma; a quel punto però Gus tornò ad interporsi tra me e il Signore del Drago, ed esibì davanti a lui il braccio teso che impugnava una croce d'oro appesa ad una catenina. Il metallo di cui la croce era fatta pareva allo stesso tempo solido e liquido, tanto la sua superficie sembrava ribollire di mille riflessi iridescenti. A quella sola vista, il drago si ritrasse con uno stridio di spavento, e l'arcinemico di Hiroshi e di Miwa arretrò di due passi, prima di tagliare la corda, con la scusa di dover spalancare altre carrozze.
A quel punto, io stupefatto abbozzai: "Ehi, ma quella è..."
"La croce pontificale che portava al collo il Messo Celeste", concluse il mio maestro, mostrandomi il prodigioso vessillo della Vera Fede che aveva sconfitto da solo uno dei più pericolosi nemici del genere umano. "Me la ha data prima che scendessi dal suo veicolo sulla superficie di Titania, prevedendo che avremmo dovuto confrontarci con altri pericolosi avversari desiderosi di farci la festa. Ha aggiunto che gliela avresti riconsegnata tu stesso, una volta asceso al Paradiso."
Subito dopo mi mise una mano sulla spalla: "Grazie per le parole che hai rivolto a quella sottospecie di Belzebù. Dopo il fiasco nel mantello di Urano, non tutti i padawan mi avrebbero difeso con altrettanto vigore!"
"Ma io non sono un padawan qualunque", replicai sorridendo e fingendomi falsamente modesto: "Io sono il Capitano Dante Alighieri di Firenze."
"E allora andiamo, Capitano", soggiunse Virgil, dandomi una mano a scendere sulla pensilina. Non avevamo fatto che cinquanta metri di buon passo, allorché assistetti ad uno spettacolo quale non si dovette presentare neppure agli occhi dei reduci della Quinta Guerra Mondiale, che pure fu nota per la sanguinosità delle sue battaglie. Dovunque infatti erano stesi corpi umani sconvolti dalla lebbra da radiazioni, come se Proteo fosse sta bombardata da milioni di bombe ad alto potenziale radioattivo. Molti di loro erano mutilati perchè parti intere del loro corpo fluido erano andate in putrefazione e si erano staccate mentre essi stessi erano viventi, e ciò che restava di loro era immerso nel fluido orrendo colato dalle loro piaghe. Proprio questo causava l'orrendo puzzo che mi aveva assalito le narici, appena arrivato sulla superficie di quella luna. Io non potei fare a meno di distogliere lo sguardo e di premere il volto contro il casco di Grissom, come per allontanare da me quello spavento, davvero degno del profondo dell'inferno.
"Maestro mio, chi può essere punito quassù in maniera tanto orripilante, da far rimpiangere persino le arche incandescenti di Io?" mormorai io, come un bambino che si rifugia nel grembo della madre dopo aver assistito ad un olo-film horror.
"La loro stessa punizione li accusa", replicò imperturbabile Gus, dopo avermi cullato proprio come avrebbe fatto con un bambino atterrito. "Sono coloro che falsarono per vari motivi i risultati delle loro scoperte scientifiche, facendo credere che andassero finanziate per il bene dell'umanità, ed invece erano finalizzate solo alle applicazioni belliche, all'eugenetica, al miraggio di realizzare una razza superiore, alla distruzione sistematica degli ambienti planetari per ricavarne misero profitto. In nessun altro luogo comprenderai cosa significa la parola contrappasso!"
"Ehi, voi due che sembrate immuni dall'eterna pestilenza, chi siete?"
Udita questa voce sofferente che si rivolgeva a me, ebbi il coraggio di alzare di nuovo gli occhi, e vidi due dannati seduti per terra ed appoggiati l'uno contro la schiena dell'altro, quasi a sostenersi l'un l'altro. Quello dei due che mi aveva parlato aveva il ventre completamente putrefatto a causa della peste da radiazioni, e dal suo corpo fluido colava un pus oleoso e nauseabondo. Di fronte a quello spettacolo raccapricciante sentii un fiotto di vomito che mi giunse fino in gola e mi impedì di rispondergli, e così fu Gus a parlare:
"Siamo due viandanti in cammino attraverso il Regno della Perdizione, e si dà il caso che noi la scienza l'abbiamo usata solo per fare del bene al nostro prossimo, dottor Mengele!"
Io restai di stucco ad udire che quel corpo semidecomposto era appartenuto ad uno dei più famigerati criminali di guerra del ventesimo secolo, uno che Grissom doveva conoscere bene perchè era suo contemporaneo. La durezza e la crudeltà con cui trattava gli internati nel lager di Auschwitz fu così proverbiale da valergli il triste soprannome di "Dottor Morte". Evidentemente però, anche dopo tanti secoli trascorsi all'Inferno, lui non doveva essere ben conscio dell'enormità dei crimini che aveva commesso, perchè si sporse verso di noi ed esclamò:
"Ma ciò che ho fatto, io l'ho fatto per il bene della Germania! Se ho studiato quei bambini ebrei, è stato solo per scoprire come moltiplicare ad arte i parti gemellari, ed aumentare così la popolazione tedesca, fornendo un vantaggio incalcolabile al Terzo Reich in termini di braccia per lavorare e combattere!"
"Bugiardo anche nelle tenebre dell'Inferno, eh, Josef?" ringhiò la mia guida, che probabilmente lo avrebbe ucciso per la seconda volta, se avesse potuto. "Peccato che ti sei dimenticato di aggiungere che quei bambini ebrei tu li uccidevi per poterne fare l'autopsia, e i pochi sopravvissuti restarono segnati a vita dalle mutilazioni che hai inflitto loro! E ti è sempre andata bene, almeno sulla Terra, perchè sei riuscito a sfuggire alla giustizia degli uomini. Peccato che nessuna delle tue bugie ti è servita per ingannare la giustizia divina! E questo vale anche per te, dottor Lombroso!"
"I miei studi erano seri e scientificamente rilevanti!" esclamò l'altro dannato che teneva la schiena appoggiata a quella di Josef Mengele, ed era privo del braccio destro, quello con il quale aveva scritto tante sciocchezze. "Per la mia scoperta della « fossetta occipitale mediana », cioè dell'anomalia della struttura cranica da cui derivano i comportamenti devianti del tipo criminale, l'umanità mi dovrebbe essere grata in eterno, e lo stesso Padre Eterno avrebbe dovuto garantirmi per essa un posto in Paradiso!"
"Peccato che tu nell'Eterno Padre in vita non abbia mai creduto, ritenendo che persino la forma del pollice delle prostitute fosse preordinata secondo precisi meccanismi scientifici", gli ribatté Gus, con non minore durezza di quella riservata al Dottor Morte. "Le tue teorie fornirono il più efficace concime per le teorie eugenetiche che portarono al razzismo ed al nazismo, e per questo puoi rallegrarti di una cosa sola, dottore: che la Somma Giustizia non ti abbia confinato ancora più lontano dalla luce vivificante del Sole!"
Gus stava ancora parlando quando improvvisamente in mezzo a noi fecero irruzione due dannati che non presentavano traccia di peste da radiazioni, ma che evidentemente dovevano aver comunque subito una massiccia irradiazione radioattiva sul cervello, in quanto il loro comportamento era affatto belluino e per niente umano. Si muovevano come gli abitanti della colonia della luna LV426 dopo che un virus alieno li ebbero contagiati ed essi iniziarono a comportarsi come licantropi, camminando a quattro zampe e mordendosi a vicenda. Il primo di essi addentò il dottor Mengele sul collo e lo trascinò via con sé, seminando una lunga striscia di pus giallastro e disgustoso, mentre il secondo si avventò su di noi. Con un balzo io mi nascosi dietro a Grissom, con un gesto che in verità oggi mi sembra davvero ben poco degno di un coraggioso veterano dello spazio, ma il prode pioniere dei cieli che mi aveva guidato fin lì fu pronto ad assestargli un poderoso calcio sulla mascella a gridargli:
"A cuccia, belva! Non ti bastano i crimini che perpetravi con l'inganno quando eri in vita, nella Francia della Belle Époque?"
Subito quell'essere umano ridotto ad animale si allontanò guaendo, come un cane bastonato, ma subito dopo riprese tutta la sua baldanza e cercò altri disgraziati da addentare.
"Quello sprovveduto che ci ha imprudentemente attaccati, senza sapere che siamo in viaggio per volere divino, era Fantômas", mi spiegò Gus vedendomi scosso come non mai prima di allora. "In vita compì nefandezze di ogni genere camuffandosi tramite maschere da lui stesso indossate ed assumendo false identità, e per questo ora è privato della sua stessa ragione umana."
"E l'altro?" domandai io, restando appiccicato alla mia guida come un naufrago al suo scoglio.
"Quell'altra anima persa appartiene al dottor Mabuse. Criminale trasformista non meno crudele di Fantômas, operò in Germania a cavallo delle prime due guerre mondiali, fino a che il procuratore distrettuale von Wenk non riuscì ad avere ragione dei suoi travestimenti e farlo rinchiudere in un manicomio criminale, dove morì pazzo e perseguitato dai fantasmi delle sue vittime. Come vedi, la sua pazzia non è ancora finita né mai avrà fine."
"Ho l'impressione che questi morti con il cervello sconvolto dalle radiazioni assomiglino sfortunatamente a fin troppi vivi", non potei fare a meno di commentare. Ma subito alzai i tacchi e mi allontanai da quella bolgia, prendendo l'iniziativa di camminare davanti alla mia guida, temendo solo che qualche altro falsario di persona arrivasse nel bel mezzo delle mie meditazioni ad addentarmi il sedere!
Nota:
Dante punisce in questa bolgia i falsari di metalli, cioè gli
alchimisti che cercavano di realizzare la pietra filosofale, ma la moderna alchimia è la
scienza utilizzata per scopi malvagi, e così l'identificazione con i vari dottor Mengele della storia appare immediata.
La
luna LV426 è un tributo alla saga di "Alien", perchè questa sigla
designa il pianetoide su cui hanno il loro nido i terribili mostri di quei film. Josef Mengele (1911–1979),
detto Todesengel (l'"angelo della morte") è tristemente noto per i crudeli esperimenti medici che svolse, usando come cavie umane i deportati,
soprattutto bambini, nel campo di concentramento di Auschwitz. Sfuggì alla
cattura, ma pare sia morto in Sudamerica nel terrore di venire scoperto. Fantômas
è il celebre criminale trasformista creato da Marcel Allain nel 1911 e reso
famoso dai film diretti da André Hunebelle negli anni sessanta. Quanto al
dottor Mabuse, si tratta del perfido protagonista del film "Dr.
Mabuse, der Spieler",
diretto nel 1922 da Fritz Lang, e di altri otto successivi lungometraggi; visto
il periodo storico in cui il primo film fu girato, Mabuse è considerato dai
critici una spaventosa personificazione dell'incubo folle del nazismo.
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Canto XXVIII
« Io vidi un, fatto a guisa di
lëuto,
pur ch'elli avesse avuta l'anguinaia
tronca da l'altro che l'uomo ha forcuto »
(Inf. XXX, 49-51)
Lasciati i falsari che soffrono in eterno la lebbra da radiazioni, mi avviai verso quella che sembrava un'altra corsia di quell'incredibile ospedale, fatto non per guarire, ma per far soffrire per sempre oltre misura. Virgil tuttavia mi raggiunse a grandi passi e mi arrestò, prendendomi per un braccio:
"Ma dove credi di andare? Non ti ricordi gli ammonimenti del Messo Celeste? Non abusare della Sua protezione, e lascia andare avanti me per primo. Anche Proteo è popolato da pessimi soggetti, e non ti far ingannare dall'assenza di demoni custodi: il dolore rende infatti folli gli stessi dannati, e li spinge a latrare animalescamente così come fece Genoveffa Cocconi, la madre dei fratelli Cervi, quando vide tutti e sette i suoi figli fucilati nel poligono di tiro di Reggio Emilia!"
"Perdonami, maestro", gli replicai io con voce contrita, "ma volevo allontanarmi il più possibile da quegli esseri spregevoli. Non ardirei mai scavalcarti, anche perchè ho bisogno giocoforza di te se voglio sapere quali altri mentitori e bugiardi si annidano in questa bolgia oscura."
"Io mentitore? In fede mia, il casato dei Bismarck non è mai venuto meno agli impegni presi neppure davanti ad un plotone d'esecuzione!"
Mi voltai all'improvviso, attirato da questa voce, e con somma sorpresa vidi, seduto contro un blocco di ghiaccio nero e lucido come antracite, quello che avrebbe potuto essere un uomo, se il suo ventre non fosse stato gonfio di liquido come una botte di vino toydariano. Quell'essere mi ricordò nella forma un gigantesco contrabbasso; certamente non poteva muovere neanche un passo, gonfio d'acqua com'era, e la testa e le braccia sembravano innaturalmente piccole rispetto al resto del corpo, nonostante l'aspetto del suo volto fosse quello di un gentiluomo d'altri tempi, con baffi e favoriti bianchissimi. Subito tuttavia Virgil gli si rivolse col piglio delle grandi occasioni:
"Ah, no? Pensate forse di essere qui per un errore giudiziario commesso dall'infallibile Ming, o Duca di Lauenburg? Avete forse dimenticato l'Emser Depesche? Da sola quella frode basterebbe per meritarvi una malattia più grave dell'idropisia di cui soffrirete in eterno, se non ci fosse anche il Kulturkampf a complicare le cose."
"Un momento", interruppi la mia guida a quel punto, perchè cominciavo a non capirci più niente. "L'emsedepece? Che cos'è, e in che lingua è?"
"Certamente dalle tue parti l'antico tedesco da me parlato non viene più studiato se non da qualche filologo indoeuropeo", mi replicò il dannato gonfio come un otre. "Si tratta di una montatura delle forze antitedesche dell'Intesa per infangare la brillante vittoria da noi prussiani riportata contro l'esercito di Napoleone III."
"Questi mentitori sono proprio incorreggibili: non cessano di contare balle neppure sulle Lune dell'Inferno", ribatté Gus con malcelato sarcasmo. "Vedi, Dante, l'Emser Depesche è il « Dispaccio di Ems » che il re di Prussia Guglielmo I di Hohenzollern spedì il 13 luglio 1870 al qui presente Principe Otto von Bismarck dalla località termale dei bagni di Ems, presso Coblenza, dove si trovava per un periodo di cure. Lo scopo era quello di riferirgli i contenuti del colloquio avuto con l'ambasciatore francese Vincenzo Benedetti, inviato da Napoleone III, nel corso del quale aveva negato il ritiro della candidatura di suo nipote, il principe Leopoldo di Hohenzollern-Sigmaringen, al trono di Spagna, che a quel tempo era vacante. L'amico Otto tuttavia manipolò il dispaccio, cancellando abilmente alcune frasi allo scopo di far apparire Guglielmo I insolente nei confronti dell’ambasciatore e suscitare così l’irritazione di Napoleone III. Il piano da lui ordito andò a buon fine, ed il Cancelliere di Prussia riuscì nell’intento di spingere la Francia a dichiarare guerra al suo paese. La conseguente disfatta subita da Parigi nella guerra franco-prussiana permise al Principe di proclamare l'Impero Tedesco."
"Devi ammettere, ragazzo, che quella non fu una bugia, ma un vero e proprio capolavoro politico", si ringalluzzì tutto il padre della nazione tedesca. Virgil aveva ragione: anziché pentirsi amaramente delle balle spaziali che li avevano dannati per l'eternità, tutti questi menzogneri di mestiere se ne vantavano, esibendoli come delle medaglie al valore. Ed infatti egli aggiunse subito dopo al mio indirizzo:
"E non dar retta alla tua guida circa il Kulturkampf, ragazzo mio: non fu una colossale bugia che dipingeva il clero cattolico come minaccioso per l'integrità del neonato stato tedesco, bensì un aspetto della secolare lotta tra Trono e Altare. Io portavo avanti la battaglia per conto del Trono, ma sarei stato disposto anche ad ospitare il Papa sul suolo prussiano, se per qualche contorcimento della storia egli fosse stato scacciato da Roma!"
"Certo, per poter affermare che il Secondo Reich, oltre ad avere la missione storica di guidare l'Europa, era in diritto di dettare legge anche al Vicario di Cristo", rispose Gus scuotendo il capo. "Niente da fare, Dante: se tu gli chiedessi che Regno è questo, probabilmente ti risponderebbe il Paradiso, e che lui è il Santo protettore degli idropici!"
"Eppure qui c'è gente molto più mentitrice di me", insistette colui che in Terra era chiamato il Cancelliere di Ferro. "Lo vedi quel tipo laggiù, sdraiato su quel masso, che fuma per la febbre altissima come un recipiente di azoto liquido lasciato incautamente aperto? Si tratta di Vincent Freeman, il vero maestro dei contafrottole. Infatti per poter partecipare a una missione spaziale verso Titano nonostante il suo patrimonio genetico fosse considerato inadatto a sopportare il viaggio, all'epoca di Gattaca, quando tutte le decisioni sulla Terra erano basate sull'esame del DNA, non esitò a presentare ai controlli genetici il sangue e l'urina di Jerome Morrow, dotato di un DNA da far invidia da chiunque, ma reso invalido da un incidente. E grazie a queste menzogne ottenne anche l'amore della bella Irene Cassini. E quella donna là accanto che fuma anche più di lui è Serpina, che con l'inganno e le bugie convinse il ricco Uberto a sposarla."
Evidentemente Freeman non dovette gradire né il titolo di re dei contaballe che gli era stato affibbiato, né tantomeno il fatto che era stata rivelata la sua dannazione nelle gelide profondità dell'Inferno, perchè si alzò e sferrò un tremendo pugno sul ventre innaturalmente gonfio del cancelliere Bismarck, il quale a sua volta reagì assestandogli un tremendo ceffone e rombando:
"Anche se non posso muovere le mie membra da questo gelido lastrone di ghiaccio sporco, Herr Vincent, il braccio è rimasto quello di una volta, quando menavo fendenti di sciabola nella Battaglia di Sedan!"
"Non ce l'avevate altrettanto svelto quando avete dovuto firmare le vostre dimissioni, perchè il Kaiser vi aveva sollevato dall'incarico", gli rinfacciò il pirata genetico con astio, e l'idropico replicò con il piglio di un vero prussiano:
"Oh, quanto a questo dici il vero, ma non dicesti altrettanto il vero alla bella Fräulein Irene, finché ella stessa non comprese che tu ed Herr Morrow avevate preso per il naso un'intera società umana!"
"Se io affermai tanto a lungo il falso a chi mi stava intorno e credeva in me, voi pigliaste in giro un'intera nazione, Reichskanzler", insistette Freeman, assestando un pugno in piena faccia a quello che era stato l'artefice dell'intera politica europea nella seconda metà del XIX secolo. Quest'ultimo gli assestò a sua volta un poderoso calcio nelle pudende, gridando:
"Ricordati, spergiuro, di Gattaca, l'ente interplanetario che tu truffasti, e considera che tu hai mentito solo per realizzare i tuoi sogni egoisti, mentre io l'ho fatto per rendere grande la mia nazione!"
"Che ti tormenti in eterno la certezza di essere considerato da tutti una volpe che tramavi nell'ombra", digrignò i denti il ladro di DNA, afferrando il suo avversario per il collo, "così come ti tormentano la sete bruciante e quella tua pancia gonfia d'acqua come un nembo temporalesco!"
"Se io sono afflitto dalla sete per via dell'acqua marcia che mi gonfia il ventre, tu lo sei per colpa di quella febbre a cinquanta gradi che ti consuma, per il mal di capo e per i dolori che ti squassano tutto il corpo", sbraitò il Cancelliere, respingendo con forza il proprio assalitore; "ed è un poco di sollievo per me, il sapere che tu soffri quanto e più di me!"
Io ero rimasto di stucco a vedere i due dannati litigare così aspramente tra di loro, e confesso che per un momento la mia curiosità morbosa di vedere come andava a finire la rissa tra un militare prussiano ed un astronauta del terzo millennio aveva prevalso sulla necessità di proseguire al più presto il mio allucinante viaggio. Ma a riportarmi alla realtà intervenne il mio maestro:
"Dì, Dante, non vorrai dirmi che sei giunto fin quaggiù, all'estrema periferia del Sistema Solare, solo per vedere questi due dannati darsele di santa ragione e sfogare così la loro rabbia nei confronti dell'Eterno Giudice, vero?"
Quando sentii Gus parlarmi con ira malcelata, mi allontanai rapidamente da quei due bugiardi tenendo lo sguardo a terra per la vergogna. Come colui che sogna qualcosa di molto spiacevole per lui, ad esempio una degradazione o l'incendio della sua astronave, e, mentre il sogno è in corso, desidera di stare solo sognando, e così spera che ciò che vede falsamente sia, per l'appunto, tutto falso, anch'io feci lo stesso non riuscendo a trovare le parole adatte per scusarmi, perchè proprio dolendomi di non potermi scusare mi ero scusato, e non sapevo che lo stavo facendo. E vabbè, scusatemi tanto contorta similitudine, ma ancor oggi mi sento assalito dalla vergogna e mi biasimo da solo, pensando alla ramanzina che mi beccai in quel momento dal mio mentore. Quest'ultimo tuttavia dovette leggermi di nuovo nel pensiero, perchè cambiò rapidamente tono:
"Suvvia, una vergogna molto minore di quella che stai provando in questo momento è sufficiente per cancellare una colpa molto più grave di quella da te commessa. Lasciamo dunque quei due alla loro vana contesa, e proseguiamo nel nostro viaggio. Nel sistema di Nettuno abbiamo ormai visto tutto, ed è ora di entrare nell'ultima sezione dell'Inferno: la Fascia di Edgeworth-Kuiper."
La stessa lingua, quella di Virgil, che poco prima mi aveva fatto arrossire fino all'attaccatura dei capelli, in poche battute mi fece scomparire ogni contrizione con le sue parole amorevoli, così come dicono che Lex Luthor, il mortale nemico di Superman, avesse realizzato un raggio in grado di disintegrare alla prima scarica, e poi di reintegrare le molecole al secondo colpo. E così, lasciatomi alle spalle il dolore per essermi fatto rimproverare da Gus, concentrai tutta la mia attenzione sulla nuova meta che ci attendeva.
Purtroppo per i loro proprietari, i nomi di Edgeworth e Kuiper erano legati, per noi astronauti del XXXIII secolo, ad una regione di spazio malsicura, difficile da attraversare e secondo alcuni addirittura maledetta, perchè quell'estrema periferia del Sistema Planetario del Sole, appena al di là dell'orbita nettuniana, è notoriamente popolata da corpi ghiacciati, eterogenee palle di neve sporca, che vanno dalle dimensioni per l'appunto della palla di neve preparata da un bambino, fino a quella di Persefone, planetoide scoperto nel 2043 il cui diametro è una volta e mezza quella di Plutone, e la sua distanza dal sole è almeno doppia di quella di quest'ultimo. Dal 1930 al 2006 Plutone era stato catalogato come il nono pianeta del Sistema Solare, ma in seguito si scoprì che era solo uno degli innumerevoli corpi celesti transnettuniani, formatisi con il materiale della nebulosa protosolare che non riuscì a dar vita ad un nuovo, grande gigante gassoso. I corpi maggiori di questa zona di spazio sono Persefone, Eris, Plutone stesso, il suo satellite Caronte, Sedna, Haumea, Makemake e Varuna. Nella sua parte più esterna la Fascia di Edgeworth-Kuiper sfuma nel cosiddetto Disco Diffuso, che arriva fino agli estremi confini della Nube di Oort, il serbatoio cometario posto ad oltre un anno luce dal Sole. Navigare in queste zone è pericolosissimo proprio per il rischio di vedersi l'astronave ridotta a un colabrodo da quei frammenti ghiacciati, che sicuramente sono fatti azoto, idrogeno ed elio solidi e non di roccia, ma che possono essere anche velocissimi, tanto da forare lo scafo esterno di una nave cargo. Per non parlare del rischio di emergere dall'iperspazio nel bel mezzo di uno sciame di Oggetti di Edgeworth-Kuiper, ritrovandosi così un blocco di quel materiale gelido e polveroso al posto del cervello! Per questo, appena la mia guida rievocò i nomi appaiati di quei due antichi astronomi, mi scosse spontaneo un moto di paura; ma dopotutto, mi dissi subito dopo, la regione più gelida e dolorosa dell'Inferno non può che coincidere con quella nube di spuntoni ghiacciati, misteriosa e pericolosa come le scogliere coralline per gli impavidi esploratori dei mari terrestri!
Fu con questi sentimenti nel cuore, e senza scambiare neppure una parola con Grissom, che ripresi il Treno dei Morti e lo vidi abbandonare l'orbita del colossale Nettuno per lanciarsi a capofitto nell'eterna notte che avvolge quella gelida regione che si trova poco al di sopra dello zero assoluto, dove il vivificante Sole appare indistinguibile da tutte le altre stelle del firmamento, e dove il freddo, il silenzio, il buio e l'oscurità regnano perpetue sopra l'orribile dimora dell'Oscuro Signore d'ogni nequizia!
Nota:
Otto von Bismarck è certamente noto a tutti. Invece Vincent Freeman è il
protagonista, interpretato da Ethan Hawke, del film distopico "Gattaca - La porta dell'universo"
(1997), nel quale, nonostante il suo DNA non sia stato
predeterminato prima della nascita con tecniche di ingegneria genetica,
"compra" il profilo genetico dell'ex atleta Jerome Morrow,
interpretato da Jude Law, e corona il suo sogno di compiere un volo dello
spazio, che gli sarebbe stato negato dalla sua predisposizione genica a malattie
varie.
Serpina è la protagonista de "La Serva Padrona", celebre opera buffa
di Giovan Battista Pergolesi, su libretto di Gennaro Antonio Federico; con
l'inganno e le menzogne, Serpina riesce a convincere il ricco Uberto a sposarla
e a permetterle così di migliorare notevolmente la propria posizione sociale.
Infine, al giorno d'oggi Eris è il più grande planetoide transnettuniano
conosciuto (ed il responsabile del declassamento di Plutone da pianeta a
pianeta nano), ma io ho supposto che nel 3300 d.C. le conoscenze astronomiche
siano più avanzate di quelle odierne, e così, oltre a Plutone, ecco spuntare
nel Sistema Solare la sua degna sposa.
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Canto XXIX
« ...torreggiavan di mezza la persona
li orribili giganti, cui minaccia
Giove del cielo ancora quando tuona »
(Inf. XXXI, 43-45)
Il Treno della Morte correva ormai nelle tenebrose regioni periferiche del Sistema Solare, attraversando quella che appariva come una fitta nevicata. Ma i "fiocchi di neve" sembravano correrci incontro solo perchè era il nostro spaventoso convoglio ad infilarsi a tutta velocità in quel regno dell'idrogeno solido, e quei fiocchi in realtà non avevano nulla in comune con le falde bianchissime che rallegrano i Natali terrestri piovendo dal cielo, almeno non più di quanto un indigeno tridattilo di Vega III possa aver in comune con uno dei polpi intelligenti degli oceani di Beta Aquarii IV: si trattava infatti dei corpi più piccoli della Fascia di Edgeworth-Kuiper, che non erano riusciti a dare vita neppure ad un planetoide di poche centinaia di metri di diametro. L'idrogeno ghiacciato tuttavia non riusciva a far presa sulle pareti esterne dei vagoni del nostro mezzo di trasporto, poiché come tutto ciò che apparteneva all'Inferno esso irradiava un tremendo calore, sintesi fisica dell'ira che tutti i demoni e tutti i dannati covavano impotenti nei confronti dell'Onnipotente. E proprio in quelle lande dimenticate dal Sole, che come cantava San Francesco è immagine dell'Altissimo e del Suo amore per tutte le creature, più forte pareva farsi la rabbia degli Angeli Caduti di cui parevano impregnate le pareti metalliche del treno spaziale. Io stesso avevo paura di toccarle, e mi limitavo a guardar fuori da una delle finestrelle, chiusa da un'inferriata, combattuto fra la sensazione di terribile gelo che mi comunicava quella nevicata maledetta, e il terrore della fiamma infernale che ardeva dentro il metallo stesso del nostro fiero mezzo di trasporto.
A un tratto mi parve di vedere, attraverso lo strato di cristalli di ghiaccio di idrogeno e metano, delle grandi ombre scure stagliarsi nella regione di spazio che stavamo attraversando. Non potei allora fare a meno di rivolgermi a Gus:
"Dimmi, maestro mio, che regione di spazio è questa? E qual è il nome di quei planetoidi che vedo orbitare in questo regno del gelo perenne?"
"Affinché tu sia preparato a quanto vedrai", mi rispose Virgil, ponendomi amichevolmente una mano sulla spalla, "anche se questa rivelazione ti provocherà non poco spavento, sappi che quelli non sono planetoidi, bensì Robot giganti. Qui infatti si trovano le ombre dei mostruosi robot sconfitti e uccisi da Goldrake, Mazinga, Jeeg, Daltanious, God Sigma, Space Robot, Gordian, Daitarn III e da tutti gli altri coraggiosi eroi che presero parte alla Grande Guerra dei Robot, scongiurando l'invasione della Terra da parte di Re Vega, dei mostri cyborg di Mykenes, dell'antica civiltà Yamatai, dei Meganoidi e di tutte le altre forze ostili che minacciarono l'umanità alla metà del ventiduesimo secolo, immediatamente prima della fondazione della Federazione Terrestre che scoraggiò ogni altra minaccia aliena."
Man mano che il treno si avvicinava a quegli immensi corpi di metallo, dalla mia testa si dissipava l'errore e cresceva esponenzialmente il terrore. Ad un tratto il convoglio sfiorò uno dei robot, lo spesso strato di neve si diradò e potei vedere che quei mostri bionici erano incastonati dentro blocchi di idrogeno ghiacciato, e da essi emergevano solo con il torace ed il capo; le loro braccia erano anch'esse bloccate dentro il ghiaccio, e quei mostri non avrebbero potuto muovere neppure un pollice. Giusto contrappasso, pensai, per coloro che combatterono con tanto ardore per l'affermazione delle Forze del Male! Certamente, quando le civiltà extrasolari abbandonarono l'arte di fabbricare quelle macchine viventi, ne trasse giovamento tutta la Galassia; se infatti i colossali dinosauri di Omega Ceti I e i kraken di Thalax, così giganteschi da poter essere scambiati per isole quando dormono, non si sono ancora estinti, a differenza dei cyborg giganti di Vega e del Dottor Inferno, bisogna riconoscere in questo l'impronta della Divina Provvidenza. Quando infatti all'immensità e alla cattiveria si aggiunge l'intelligenza, davvero pochi sono coloro che sanno resistere a tanto nefanda malvagità!
Per presto lasciammo quel mostro robot dietro di noi, senza che esso si fosse nemmeno accorto del nostro passaggio: evidentemente esso era abituato, a vedersi sfiorato dai Treni della Morte, che conducevano le anime più nere alla loro ultima dimora, nelle regioni di spazio più lontane dal Disco di Aton. Tuttavia non mi ero ancora reso conto che quel gigante era alle nostre spalle, che subito ne vidi uno assai più terribile emergere dallo spesso strato di neve cosmica proprio dinanzi a noi.
Era davvero terrificante: aveva l'aspetto di un guerriero pesantemente armato, con un manto rosso ed un elmo sul quale campeggiava un'aquila d'oro, e dal quale si dipartivano due poderosi corni ritorti. Ma la cosa più raccapricciante era il fatto che il suo vero volto barbuto e baffuto gli spuntava dal mezzo del petto come gli spaventosi esseri che, nell'era prespaziale, si diceva abitassero i pianeti extrasolari. E, ciò che è peggio, a differenza dell'altro robot, quest'ultimo si accorse eccome del nostro passaggio! Sbirciando fuori dallo spioncino del vagone, infatti, vidi al colmo del terrore che quei due occhi cattivi sembravano fissare proprio me, come se quel colosso avesse potuto percepire la mia presenza con il corpo solido attraverso le pareti d'acciaio. Subito egli gridò in direzione del treno che stava già sfiorandogli la finta testa cornuta:
"Raphèl Maì Amech, Zabì, Almi!"
Confesso che, se avesse gridato: "Dante, sto venendo a mangiarti!", non mi sarei spaventato di meno. Prima però che facessi in tempo anche solo a nascondermi dietro le spalle di Gus, un raggio luminosissimo proveniente da dietro di noi squarciò le tenebre, facendo sublimare all'istante quel nevischio d'idrogeno e colpendo in pieno volto il gigante, il quale urlò come se il Grande Mazinga lo avesse ucciso una seconda volta, e distrasse la sua attenzione da noi per mettersi a bestemmiare violentemente, sempre in una lingua a me affatto sconosciuta, contro qualcun altro che doveva avergli sparato quella violenta raffica d'energia.
"Questi è il Generale Nero", si affrettò a spiegarmi Grissom allo scopo di rassicurarmi, "famoso per aver guidato gli assalti di Mykenes contro il genere umano, difeso dai due Mazinga. Essendo così lesto ad impartire ordini cui pretendeva si obbedisse immediatamente, pena la vita, è stato condannato a parlare una lingua che nessuno capisce e che nessun traduttore universale riesce a decifrare, e a non capire la lingua di nessuno."
"Ecco perchè il traduttore universale della mia tuta ha fatto cilecca", gli risposi con la fronte ancora imperlata di sudore ghiacciato. "Ma chi ha sparato il phaser che ha distratto quel generale dell'esercito del Signore delle Tenebre?"
"Guarda verso la coda del convoglio, Dante. Vedi quella luce che ci segue come una remora fa con lo squalo? Non immagini chi è?"
"Il Messo Celeste!" esclamai io, vedendo effettivamente un astro fulgidissimo seguire il nostro treno e squarciare le tenebre eterne con il candore invincibile del suo glorioso scafo. "Non ha cessato di vegliare su di noi, ed ha colpito il Generale Nero per distrarre la sua intenzione ed impedirgli di urtare mortalmente il treno con uno dei suoi corni!"
"Uno come Lui non è tipo da mancare la parola data", soggiunse Gus, "e neppure il Principe Actarus di Fleed avrebbe osato incrociare in questi spazi maledetti con il suo invitto Goldrake senza disporre di una scorta inviata dall'Onnipotente."
Non aveva ancora finito di parlare, che dalla luminosa astronave che ci seguiva partirono due siluri fotonici che attraversarono fischiando la fitta nevicata ed andarono a schiantarsi contro un altro robot, che si ergeva gigantesco davanti a noi. Quello urlò di dolore, mentre paurose scariche elettriche invadevano tutto quanto il suo corpo di superlega; ed egli si scosse disperatamente, tentando di divincolarsi dall'iceberg in cui era incastonato per sempre. Per un momento temetti che quel colosso, che seppi dal maestro essere uno dei Meganoidi, riuscisse davvero a distruggere la sua prigione ghiacciata, ad afferrare il treno su cui viaggiavamo e a farlo a pezzi, così come King Kong si liberò dalle catene e devastò la città di New York prima di venire abbattuto da una flottiglia di aerei da guerra. Tuttavia altri due siluri fotonici investirono il Meganoide in pieno volto, giusto mentre il nostro vagone lo sorpassava, ed anche quel cyborg svanì alle nostre spalle, con mio grandissimo sollievo.
A quel punto vidi l'astronave del Messo Celeste che ci superava ad ipervelocità, e potei scorgere il Messo Celeste che ci benediva con un ampio cenno della destra, nonostante lo splendore del suo scafo rendesse difficile guardarlo senza proteggersi gli occhi. Non ebbi però il tempo di chiedere al mio maestro perchè il Servo dei Servi di Dio non era rimasto in coda al treno: infatti vidi che la diabolica nevicata finalmente si diradava, ed al posto di un'infinità di piccoli corpi gelidi lo spazio era pieno di grossi iceberg di ghiaccio, senza però più alcun gigante incastonato in essi, che incrociavano nella Fascia di Edgeworth-Kuiper così come i pipistrelli di Mizar VI svolazzano dentro le immense grotte di quel mondo. Ed allora capii: il Messo Celeste si era messo in testa al convoglio affinché Mystica lo seguisse ed evitasse collisioni contro quei massi, che probabilmente dovevano essere all'ordine del giorno, onde aggiungere pena su pena a quei dannati che viaggiavano verso la loro estrema dimora!
Ad un tratto vidi però una di quelle montagne di ghiaccio e, seduto sopra di essa, un gigante seminudo e vestito solo con un peplo di foggia greca. La cosa più incredibile era che aveva le braccia assolutamente libere ed avrebbe potuto tranquillamente afferrarci e farci a pezzi, se avesse voluto. Quello fu il momento in cui veramente avrei voluto raggiungere la periferia estrema del Sistema del Sole percorrendo ben altra rotta!
Gus tuttavia si affrettò a rassicurarmi:
"Non devi avere nulla da temere da lui, Dante. Egli è il Principe Kerubinus, che con l'inganno fu indotto da Satana e dal Generale Nero a combattere contro noi terrestri, con la falsa promessa di riottenere il regno di Mykenes e riportarlo agli antichi splendori. Sgominato dal Grande Mazinga e compreso l’inganno, egli scelse di suicidarsi per non combattere una guerra che non gli apparteneva. Per questo non è bloccato dentro il ghiaccio e funge da custode del Cocito, l'estremità più esterna del Sistema Infernale."
Io non potei fare a meno di sentire il cuore che mi accelerava all'impazzata come se volesse fuggire per paura dalla gabbia delle mie costole, ma mi sentii rassicurato quando vidi Kerubinus volgersi verso la nave del Messo Celeste e rivolgergli un cenno di saluto, lasciando poi passare tranquillamente il nostro convoglio.
"Maestro, mi sono fatto un'idea", osai allora parlare a Grissom. "Io credo che quei mostri robot, ancorché grandissimi e spaventosi, siano in realtà niente più che dei vinti. Tanta potenza sviluppata dai loro motori nucleari è del tutto annullata dalla prigione di ghiaccio che li rinserra per l'eternità e, come Tetsuya Harada ed Hiroshi Shiba hanno trionfato su di loro quand'erano in vita, sventando i loro piani maledetti, così l'Eterna Potestà ha trionfato su di loro nella morte, tanto che il più forte non può muovere neppure un bullone, e il più protervo non può più proferire alcuna minaccia intelligibile. Ciò che più mi ha colpito della Fascia di Edgeworth-Kuiper è proprio questo contrasto insuperabile: tanto idrogeno e tanta materia che non sono riusciti ad aggregarsi in un gigante gassoso, tanto acciaio e tante superarmi ridotte all'assoluta impotenza ed imbecillità."
"Hai detto bene", approvò Gus con un sorriso, lieto che avessi saputo trarre una lezione da ciò che avevo visto senza bisogno di alcuna sua spiegazione. "Ora però drizza lo sguardo davanti a noi, perchè si avvicina una delle prossime fermate del nostro mezzo di trasporto."
Mi voltai per osservare la direzione di marcia del treno, scoprendo che la nave del Messo era tornata invisibile, e che davanti a noi si stendeva una grande palla di ghiaccio sporco, di forma pressoché sferica e dalla superficie fortemente butterata dagli impatti di corpi minori: attorno ad essa orbitavano diverse lune, di cui la più grossa era però solo poco più piccola di lei, tanto che si poteva tranquillamente parlare di Planetoide Doppio.
"Quello è Plutone, non è vero, Gus?"
"Precisamente, Dante. Fai attenzione quando saremo sulla sua superficie, perchè essa è completamente ghiacciata e liscia come uno specchio. Premi perciò il pulsante verde che c'è sul cinturone della speciale tuta che ti è stata fornita dal'Onnipossente."
Io obbedii, e subito sentii degli irti chiodi emergere dalle suole dei miei scarponi, chiodi che mi avrebbero permesso di camminare sul quel mondo, il cui aspetto è quello di un unico e sconfinato stagno ghiacciato. Ero pronto per affrontare l'ultimo tratto dell'Inferno, dove vengono punite le anime più triste e malvagie dell'universo creato, i cui corpi fluidi sono quasi essi stessi ridotti a blocchi di ghiaccio, così come le loro anime, rese fredde e insensibili ad ogni pentimento dall'enormità dei loro orrendi peccati.
Nota: In questo canto i Giganti danteschi, che diedero l'assalto all'Olimpo secondo i racconti degli antichi mitografi, sono sostituiti dai robot guerrieri sconfitti dai vari Goldrake, Mazinga Z, Jeeg nelle saghe animate giapponesi che spopolarono negli anni settanta e ottanta, e tinsero di immagini variopinte i miei sogni di bambino e di adolescente. IL Generale Nero (Ankoku Daishogun nell'originale giapponese) è uno dei cattivi "storici" della serie del Grande Mazinga, ucciso da quest'ultimo in singolar tenzone durante una delle più memorabili puntate di quegli epici anime. I Meganoidi sono invece gli avversari di Daitarn III, mentre Kerubinus appartiene anch'egli alla Mazinsaga, ma combatte Tetsuya solo perchè ingannato dal Signore delle Tenebre, qui identificato con Belzebù, e per questo è l'unico che appare libero dal ghiaccio e custodisce la parte più esterna e gelida del nostro Inferno extraterrestre.
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Canto XXX
« ...Poscia
vid'io mille visi cagnazzi
fatti per freddo; onde mi vien riprezzo,
e verrà sempre, de' gelati razzi »
(Inf. XXXI, 43-45)
Non appena il Treno dei Morti si arrestò sopra la gelida superficie di Plutone, mi prese la curiosità di sapere quale nuovo mostro dell'Inferno avrebbe spalancato la paratia del no-stro vagone; dopotutto in gioventù gli olofilm horror mi erano sempre piaciuti. Desiderai però di aver preferito i film sentimentali, non appena Desiderai però di aver preferito i film sentimentali, non appena ad aprire il portello per trarne le anime dannate fu uno sconcertante essere vestito di bruno, il cui volto era tutto ricoperto di tatuaggi rossi e neri, e dal cui cranio spuntavano dieci corna appuntite, simili a quelle del drago dell'Apocalisse. Quando ci vide, egli restò per un attimo interdetto, non aspettandosi più di trovare due passeggeri non destinati in eterno ai ghiacci plutoniani. Gus allora fu abile a sfruttare quel secondo di incertezza, intimandogli con fior di coraggio:
"Darth Maul, noi non siamo per te. Provvedi alle tue anime e lasciaci proseguire, in nome dell'Onnipotente!"
Lo spaventevole demonio ci fissò con occhi rossi come il sangue, evidentemente non gradendo affatto di udire nel suo regno il Nome Benedetto di Dio, ma fu costretto da quell'intimazione a desistere da ogni azione contro di noi, limitandosi a prelevare i dannati a lui destinati, sospingendoli con la propria spada laser rossa a doppia lama. Io e Gus ne approfittammo per calarci giù dal vagone, e il mio maestro mi spiegò:
"Egli è Darth Maul, il primo seguace del Sith Darth Sidious, e per questo è stato esiliato in questa landa ghiacciata e senza luce. Ma non aver paura di lui: egli è prigioniero di Plutone quanto i dannati che tormenta, e non ci può fare alcun male, soprattutto sapendo che il Messo Celeste continua a vegliare su di noi."
Un poco tranquillizzato da queste parole, io mi allontanai velocemente dalla stazione maledetta; e quando alzai gli occhi a contemplare il paesaggio plutoniano, mi resi conto che le parole della mia guida non erano state affatto esagerate. L'intero corpo celeste, un tempo classificato come pianeta, era infatti ricoperto di uno spesso strato di metano, azoto ed idrogeno congelati, e la pianura sulla quale il treno aveva eseguito la sua trista fermata era assolutamente piatta, come se degli ipotetici alieni la utilizzassero come colossale pista da hockey. All'orizzonte si distinguevano delle montagne brillantissime, molto più della sporca superficie ghiacciata su cui avevamo posto gli scarponi chiodati, che mi ricordai di aver già visto al terzo anno di Accademia, allorché la nostra nave scuola aveva effettuato manovre in prossimità di Plutone, senza però attraccarvi.
"Sono di ghiaccio d'acqua, non è vero, Gus?" chiesi mentre avanzavo cautamente sulla scivolosissima superficie del planetoide, aiutandomi con due ramponi che Virgil aveva tirato fuori chissà da dove. La mia guida, che procedeva aiutandosi con attrezzi analoghi, assentì:
"Sì. Già ai miei tempi si pensava che la superficie di Plutone, oltre che da uno strato di metano ghiacciato, evidentemente il risultato del congelamento dell'atmosfera sulla sua superficie, fosse qua e là chiazzata anche da ghiaccio d'acqua, portato da quegli stessi inesauribili serbatoi che portarono sulla Terra la preziosa acqua, e con essa i germi della vita: le comete."
Tacqui, immaginando gli schianti di grandi nuclei cometari sulla dura superficie di Plutone, che riversavano su di esso grandi quantità d'acqua, subito rappresa perchè la temperatura non superava i 40 Kelvin. Indubbiamente tutta quell'acqua, chiaramente inutilizzabile per la bassissima temperatura ed anche per la probabile elevata salinità, era davvero una metafora dell'abissale distanza tra il mondo dei vivi, sull'accogliente superficie della Terra, e questo mondo di morti, i quali si trovavano non lontani dallo stesso fondamentale elemento che aveva permesso la loro sopravvivenza sul pianeta natale, eppure non potevano godere neppure una goccia di esso, così come non potevano godere né di un anelito di vita biologica, né tanto meno della Vita Perenne che sgorga dal Trono dell'Altissimo. Ahi, anime malnate, nel senso di nate solo per compiere il male, che ve ne state solinghe e abbandonate in quella plaga terribile e senza luce, meglio per voi se foste state pecore acquatiche di Capella III o batteri termofili di W Cefei VII! Infatti...
"Ahi! Fai attenzione dove metti i piedi, razza di... Qui c'è la mia testa!"
Udendo questa voce provenire praticamente da sotto i miei piedi, feci istintivamente un salto indietro, e poco mancò che non perdessi l'equilibrio e non misurassi con il mio sedere la durezza di quello spesso strato glaciale. Fu allora che mi avvidi come dal metano solidificato emergesse una testa umana, piegata in giù come per difendersi dal freddo che veniva dallo spazio; i suoi capelli erano tutti incrostati di cristalli di ghiaccio come una ragnatela coperta di brina in una mattina invernale, e i suoi orecchi non esistevano più, congelatisi e staccatisi chissà quanto tempo prima. I suoi denti battevano in continuazione, come se volessero eseguire a suon di nacchere una tarantella macabra, ed una sua gota era tagliata, evidentemente perchè io la avevo involontariamente percossa con il piede, non accorgendomi di essa mentre scrutavo il lontano orizzonte; ma dal taglio vidi fuoriuscire il plasma che congelò immediatamente e tappò la ferita.
I traditori confitti nel ghiaccio di Plutone (tratto da "I Cavalieri dello Zodiaco")
"Perdonami, non volevo..." tentai di scusarmi, chinandomi verso di lui. Fu allora che mi accorsi che l'intera pianura gelata pullulava di teste, le quali emergevano dal duro cristallo così come i siluri fotonici sporgono dalle loro ogive prima di essere lanciati: una visione davvero terrificante, che mi portò subito a chiedermi quale colpa essi potessero aver commesso, per essere puniti in modo così spietato.
"Perdonarti? Un accidente", mi rispondeva intanto l'anima là confitta continuando a nascondermi il volto reso bluastro dal gelo. "Non ti bastano tutti gli improperi che mi lanciarono David Copperfield e la sua sposa Agnes, i quali mi accusarono di aver rovinato la vita a quel marmocchio!"
Io restai di stucco. Mi abbassai ancor più verso di lui ed esclamai:
"Ma tu sei Edward Murdstone!"
Lui digrignò i denti senza accennare a sollevare il capo:
"La mia fama è arrivata lontano, vedo! Se sai chi sono, sai anche perchè l'Imperatore Ming mi ha inflitto una condanna tanto severa."
"Hai tradito coloro cui dovevi voler bene", mormorai io, colto da un improvviso moto di disprezzo. "Hai sposato Clara Copperfield facendole credere di essere un uomo amorevole e il degno padre di suo figlio, poi hai cominciato a trattare lei e lui come un padrone fa con i suoi schiavi. Il dolore portò lei ad una precoce morte, e tu, non volendoti sobbarcare il mantenimento del ragazzo, lo mandasti a lavorare in una rivendita di bottiglie di tua proprietà, nonostante fosse ancora un bambino. E gli avresti fatto chissà quant'altro male, se egli non fosse fuggito a Dover presso sua zia Betsie Trotwood, che accettò di ospitarlo e ti tolse la patria potestà. In cambio di quest'ultima tu però pretendesti l'intera proprietà dei Copperfield, quale ultimo e supremo atto di tradimento verso i tuoi congiunti!"
"Io non ho tradito nessuno!" urlò quell'essere spregevole, alzando di scatto il capo verso di me. Ed allora compresi perchè teneva il capo chino: appena lo ebbe alzato, i suoi globi oculari congelarono all'istante, si ruppero in mille minute schegge di ghiaccio e gli lasciarono le orbite vuote. Impressionato da quella visione, scattai all'indietro, persi l'equilibrio e caddi pesantemente seduto sul ghiaccio, ma egli non parve accorgersene e continuò rabbiosamente:
"Ciò che ho fatto, l'ho fatto perchè quella casa aveva bisogno di un vero uomo, che tirasse su come si doveva quello scavezzacollo d'un David Copperfield e lo salvasse dal diventare un delinquente, là dove lo portava la sua natura ribelle! Ma la Giustizia Divina" - e qui scaricò una caterva di bestemmie - "ha sbagliato tutto, ed ha condannato me anziché quel monellaccio, che in vita non combinò nulla di buono!"
"Continui a tradirlo anche ora che ti trovi da quindici secoli all'inferno", pensai io, così inorridito da non badare neppure alla dolorosa botta che avevo preso sul fondoschiena. Sapevo infatti che David Copperfield era diventato un famoso avvocato ed amorevole padre di famiglia. Ora avevo capito quale mala genia di peccatori era punita tra i ghiacci sempiterni di Plutone: i traditori dei loro stessi famigliari. E che Murdstone, lui sì, fosse un Giuda nato, me lo confermò il fatto che egli proseguì a ruota libera:
"Ma se tu credi che Giudice Sommo ha avuto ragione a condannarmi, guarda piuttosto quelli che mi circondano, loro sì traditori della peggior specie. Vedi quella testa calva che emerge là alla mia destra? Quello è Feng, antico re degli Juti, chiamato Claudio da William Shakespeare che ne raccontò le gesta; egli salì al trono assassinando il fratello Horwendill e sposandone la vedova Geruth, chiamata Gertrude dal Grande Bardo. Tuttavia lo spettro di Horwendill apparve al figlio Amleth, gli rivelò il fratricidio di cui era stato vittima, ed Amleth, nonostante i mille dubbi che lo attanagliavano, uccise Feng e regnò al suo posto; anche se poi William Shakespeare cambiò i fatti, raccontando che Feng ed Amleth si erano assassinati a vicenda. Ebbene, lui non fece peggio di me?"
Io osservai quella misera testa bluastra che emergeva per metà dal ghiaccio plutoniano, e mi chiesi se valeva davvero la pena di assassinare la carne della sua carne e di ambire ad un regno, per poi ereditare un regno tanto piccolo quanto una buca nel metano gelato su di un planetoide dimenticato nel buio dello spazio.
Ma evidentemente Murdstone non aveva ancora finito, poiché proseguì come se avesse voluto sfogare una voglia di parlare rimasta repressa per 1500 anni:
"Non lontano da me si gode questa allegra località invernale la signora Magda Goebbels, che non si è mai pentita di aver avvelenato tutti e sei i suoi figlioletti. E li vedi quei due laggiù, che stanno in due buche tanto vicine l'una all'altra da essere praticamente uno di fronte all'altro, così che le loro fronti quasi si toccano? Tu probabilmente hai sentito parlare di loro, perchè la loro vicenda ha fatto rumore sulla Terra e non solo. Lei è Enrica de Ward, e lui è Omar Ibn Fadlan. Sai cosa hanno fatto e perchè sono qui, non è vero?"
Io li conoscevo, ovviamente per sentito dire, perchè effettivamente il loro gesto aveva fatto molto rumore sulla colonia lunare nella quale abitavano: una sera di novembre del 3201 essi avevano ucciso a colpi di coltello laser la madre, il padre e il fratello minore di lei, simulando poi una rapina. Le contraddizioni in cui erano caduti durante gli interrogatori avevano però indotto l'astropolizia a sospettare di loro, finché un microfono nascosto in una mosca robot, opportunamente inserita nella stanza in cui i due erano stati lasciati soli, non aveva registrato i loro discorsi, in cui la ragazza si gloriava di aver eliminato i propri famigliari che osteggiavano la sua relazione con Ibn Fadlan e disapprovavano il suo uso crescente di psicodroghe sintetiche. Dai colloqui emerse anche che lei aveva chiesto a lui di scannare il proprio fratellino come prova d'amore. Appena però i due vennero arrestati, cominciarono ad accusarsi e quindi a tradirsi a vicenda, scaricando l'uno sull'altro la completa responsabilità del massacro. Il Tribunale Supremo di Camp Tycho Brahe, la capitale della Luna, li condannò entrambi a morte, ma poi, essendo entrambi minorenni, la loro condanna fu commutata nei lavori forzati a vita nelle miniere di nichel della Fascia degli Asteroidi. Di loro non si era saputo più nulla, neppure la loro data di morte; ora però vedevo con i miei occhi che la loro amara parabola si era definitivamente conclusa tra il gelo di Plutone. E siccome si erano odiati al processo quanto prima del delitto si erano amati, o avevano detto di amarsi, il sarcasmo che sembrava costantemente guidare il contrappasso infernale li aveva fatti finire praticamente nella stessa buca, costretti a vedersi l'un l'altro per sempre, con le palpebre aperte e bloccate dal ghiaccio, così da ricordarsi per sempre l'orrendo tradimento da essi perpetrato verso coloro che più di ogni altro li amavano, ed anche l'uno verso l'altro. Il contrario esatto insomma di Rodolfo d'Asburgo e di Maria Vetsera, da me incontrati tra le roventi montagne venusiane!
A questo punto non ne potei più di tanto orrore e, rialzatomi come potevo, feci per andarmene. Murdstone tentò però di fermarmi: "Aspetta! Non ho ancora finito di mostrarti quanti dannati peggiori di me ci sono in queste buche e in quelle di Caronte, tanto colpevoli da far sembrare il mio destino degno al massimo del Purgatorio! Non vuoi che ti parli di Pietro Maso?"
Voltatomi verso di lui per ingiungergli di tacere una buona volta, perchè tradendo i suoi compagni di pena si stava meritando una punizione eterna anche peggiore, mi avvidi che dall'interno della sua testa il plasma era rifluito ed aveva ricostituito nuovi occhi nella testa del patrigno di David Copperfield. Timoroso solo di assistere di nuovo alla scena della cristallizzazione dei suoi globi oculari, mi voltai di scatto e fuggii verso la pensilina su cui il treno della morte già fischiava, arrancando come un cacciatore di Ultima Thule inseguito da un orso giallo su di un lastrone di ghiaccio alla deriva. Sicuramente in nessun'altra parte dell'Inferno mi dimostrai così vigliacco, ed infatti, appena fummo a bordo del treno ed esso si fu staccato dalla gelida superficie di Plutone, Gus non mancò certo di farmelo notare:
"Toh, Dante, davvero curioso: mi avevano raccontato che durante la Battaglia di Geonosis, quando era in corso la Guerra dei Cloni, ti eri distinto per aver sfidato il fuoco dei droidi guerrieri ed andare a recuperare un tuo commilitone rimasto gravemente ferito. Evidentemente mi avevano male informato, oppure quell'eroe di guerra era un altro Dante."
"Era SICURAMENTE un altro Dante", replicai io, che stavo letteralmente morendo di vergogna. "Ma se c'è una cosa che ho imparato attraversando in tua compagnia i mondi infernali, Gus, questa è il fatto che nessuno è tanto cuor di leone da saper resistere impavido davanti al peggiore dannato che ostenta le proprie nequizie e quelle altrui come atti degni di decorazione al valore!"
Gus mi sorrise: "Fatti animo, esseri come quelli fanno ribrezzo anche a me; e, come diceva un antico scrittore dei miei tempi, nulla infonde più coraggio al pauroso della paura altrui. Solo una cosa devi tenere conto: e cioè il fatto è che sugli altri planetoidi dell'estremità ghiacciata del sistema solare ci aspettano tipacci al cui confronto Murdstone potrebbe davvero sperare in una revisione del processo contro la sua anima!"
"Il problema è che lo so", annuii io, mentre il Treno dei Morti superava Caronte e faceva rotta verso Eris. Quali altri orrori mi attendevano lassù? Sperai solo di avere lo stomaco di reggerli, perchè una ramanzina da parte di Grissom mi bastava ed avanzava, benché creda che neppure Asterix, il quale com'è noto aveva paura solo che il Cielo gli cascasse sulla testa, avrebbe potuto assistere impossibile alle mostruosità infernali senza dimostrare che persino un guerriero gallico può farsela nei calzoni dal terrore!
Nota:
Darth Maul è uno dei protagonisti del film « Star Wars – la Minaccia Fantasma », un malvagio Sith ucciso dal giovane Obi-Wan Kenobi.
La figura di Edward Murdstone è ben nota ai lettori di Charles Dickens, e mi
è sembrata il tipo ideale per incarnare il "mostro" insensibile ad
ogni sentimento umano che tradisce coloro cui invece dovrebbe voler bene. Altro
traditore dei famigliari ospitato in questo Plutone trasformato in "Caina"
è il personaggio shakespeariano di Claudio, che uccide il fratello Amleto per
rubargli il regno e la sposa, anche se qui ho preferito fare riferimento ai nomi
originali dei personaggi tramandati dalle "Gesta Danorum" di Saxo
Grammaticus, storico danese del XIII secolo.
Magda Rietschel (1901-1945), più nota come la signora Goebbels, fu la moglie
del Ministro della Propaganda del Reich Nazista; il 1 maggio 1945, poco prima
dell'irruzione dei sovietici nel bunker sotto la Cancelleria di Berlino,
avvelenò i suoi sei figli Helga, Hilde, Helmut, Holde, Hedda e Heide con del
cianuro prima di uccidersi assieme al marito, con la motivazione seguente:
"Non voglio che i miei figli vivano in un mondo senza Nazismo!"
L'atrocità del suo crimine è più che sufficiente per meritarle la frescura di
Plutone.
I personaggi di Enrica de
Ward ed Omar Ibn Fadlan sono chiaramente modellati su quelli di Erika de Nardo
ed Omar Favaro, i due giovani di Novi Ligure che la sera del 21 febbraio 2001
uccisero la madre e il fratellino di lei. Qui però il delitto è trasportato
sulla Luna, reso più grave (viene ucciso anche il padre) e punito in maniera
assai più dura, sia in questa che nell'altra vita. Del caso di cronaca nera
resta perciò solo lo spunto iniziale, riletto in chiave dantesca nell'ottica
dell'inflessibile giustizia divina e del quasi sadico contrappasso che unisce
per sempre due anime peccatrici amatesi tragicamente per breve tempo e destinate
ad odiarsi per l'eternità.
Quanto a Pietro Maso, si tratta di un altro celebre traditore dei parenti,
perchè la sera del 17 aprile 1991, aiutato da tre amici (se così si può
dire), nella sua casa di Montecchia di Crosara presso Verona uccise a sprangate entrambi i suoi genitori, Antonio Maso e Rosa
Tessari, con la motivazione di intascare subito la sua parte di eredità.
Condannato a 30 anni di reclusione, nell'ottobre 2008 ha ottenuto il regime di semilibertà.
Il giudizio sul suo gesto e sul suo eventuale pentimento lo lasciamo
all'Onnipotente, ma è giusto almeno citarlo in questa schiera di « mille visi cagnazzi
» come esempio da non seguire.
Infine, oltre alla citazione di Asterix e ad un nuovo riferimento alla Battaglia
di Geonosis, di cui si è già detto a proposito del Canto XXVII, bisogna
segnalare che "Ultima Thule" non è un riferimento a Pitea e a
Strabone, ma alla serie "Spazio 1999": nella puntata "Pianeta
di Ghiaccio" gli eroi di Base Alpha
sbarcano su un pianeta completamente ghiacciato con questo nome, i cui abitanti asseriscono di
aver raggiunto l'immortalità. Anche in quel caso però il Dottor Cabot Rowland,
capo degli "immortali", si rivela in ultima analisi un mentitore ed un
traditore: per conseguire la "vita eterna" occorre pagare un prezzo
così alto, che decisamente il gioco non vale la candela.
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Canto XXXI
« ...dicere
udi'mi:
"Guarda come passi:
va sì, che tu non calchi con le piante
le teste de' fratei miseri lassi" »
(Inf. XXXII, 19-21)
Se io possedessi un vocabolario di parole aspre e dissonanti, potrei esprimere meglio le sensazioni che vissi allorché attraversai l'estremo lembo esterno del sistema solare, quel Disco Diffuso che sfuma lentamente verso il gelido vuoto dello spazio, disperdendosi in mille cristalli di ghiaccio troppo piccoli per dar vita a un qualunque corpo celeste. In quel tristo buco in cui sono confitti i peggiori ceffi del genere umano, infatti, non bastano i termini che abbiamo appreso alle lezioni di exobiologia all'Accademia, poiché tutti gli ololibri da noi studiati possono forse descrivere le bassissime temperature e la commistione dei materiali che ricoprono quelle palle di ghiaccio cosmico, ma non certo la perfidia che vi alberga, che io vidi quasi cristallizzata nei corpi fluidi di plasma ghiacciato e bluastro di quei traditori, che ai miei occhi erano praticamente indistinguibili dal buio stesso trionfante in quelle profondità dello spazio.
Certamente descrivere un tale abisso di malvagità e di nequizia non è impresa da prendere alla leggera, ed è per questo che con il batticuore mi accingo a raccontarvi ciò che vidi sul planetoide Eris, appena il Treno della Morte ci scaricò sulla sua superficie dura e cattiva. Sia quel mondo remoto che il suo satellite Disnomia, così come Plutone e Caronte, accoglievano nel loro abbraccio mortale molti spiriti quasi completamente tuffati dentro il metano solido, così come i ragni giganti di Algol V scavano delle buche nel deserto, vi stanno appostati con all'esterno solo gli occhi e, appena un malcapitato passa loro vicino, balzano fuori e lo divorano; con la sola differenza che quei peccatori non sarebbero usciti di lì se non per riunirsi sul pianeta Giosafat quando l'universo sarà squassato dalle trombe dell'Ultimo Giudizio, ed il Tempo lascerà spazio definitivamente all'Eternità.
Memori degli orrori di Plutone, io e Gus non potemmo spaventarci più di tanto allorché vedemmo che il compito di aprire i portelli dei vagoni piombati su Eris era una creatura raccapricciante e pelosa, con la cresta simile a quella di un Klingon e il muso simile ad uno scherzo di natura risultato dell'incrocio fra un mastino e un tirannosauro. Dalla sua terrificante palizzata di denti acuminati gocciolava una bava schifosa, ed i suoi occhi rossi d'odio indugiavano su di noi, come se fosse sorpreso di vedere due individui che non erano destinati a rabbrividire per sempre nel metano congelato. Dopo aver emesso un sordo grugnito di disappunto, tuttavia, il mostro di turno si allontanò da noi, affrettandosi ad aprire gli altri vagoni e a strapparne giù i traditori con i propri artigli acuminati.
"Ci mancava solo il custode del Gre'thor, dove venivano puniti i Klingon che tradivano la loro patria o la loro casata", rabbrividii io, saltando giù dal vagone e sbirciando con la coda dell'occhio quell'esotico demonio, onde assicurarmi che non tentasse qualche colpo gobbo nei nostri confronti. Temendo di incontrare altre pericolose deformità tipiche delle mitologie aliene, non ci allontanammo troppo dalla stazione ferroviaria sita su quell'avamposto estremo dell'Inferno, ma ciò fu sufficiente per vedere l'intera superficie del planetoide ricoperta di bitorzoli gelati, che poi altro non erano se non teste umane. Esse però non avevano il viso rivolto verso il basso come quelle di Plutone, bensì rivolto davanti a sé, come se anche nell'Altro Mondo continuassero ad essere fieri del fatto di aver mancato ai giuramenti prestati. Fermandomi un attimo a contemplare quella ressa di dannati, incredulo che i traditori potessero essere così tanti da riempire l'intero Disco Diffuso, appoggiai il piede destro su un monticello di ghiaccio perfettamente liscio, la mano sul ginocchio destro, e mi sporsi in avanti domandando: "Maestro mio, questi chi hanno tradito, per patire tanto freddo così lontano dal tepore del Sole?"
Grissom non fece in tempo a rispondermi, perchè una voce roca che mi parve provenire dal sottosuolo mi sgridò con veemenza:
"Ehi, tu, feccia d'un traditore, hai preso la mia pelata per uno sgabello? Se non sei venuto qui per accrescere il dolore che mi provoca la vendetta di Cefalonia e di Nikolaevka, levati immediatamente dai piedi e vai a prendere posto nella tua buca!"
Io feci un salto ma riuscii a non perdere l'equilibrio, aiutato da Gus che mi afferrò per un braccio: girandomi verso di lui mi accorsi che sogghignava, segno che si era già accorto dell'equivoco in cui ero incappato, ed attendeva da me proprio quella reazione. La palla di neve su cui avevo appoggiato il piede infatti era in realtà la zucca di un dannato, pelata e liscia come la palla di un albero di Natale. I lineamenti di quell'uomo erano completamente illeggibili a causa del ghiaccio che li aveva deformati, ma nonostante ciò le sue parole mi avevano acceso un campanello in testa. E così, mormorai in direzione di Gus:
"So che ci resta poco tempo per visitare il resto dell'Inferno, ma lascia che perda tempo per un momento con costui, per togliermi un dubbio che mi si è ficcato in testa, e poi potrai farmi fretta quanto vuoi."
Grissom non fece una piega, ed allora io mi chinai e dissi a quella testa che continuava a bestemmiare come un turco:
"Chi sei dunque tu, che ti rivolgi con questo tono ad un tuo compatriota?"
Egli mi rispose però ritorcendo la domanda contro di me:
"E tu chi sei, dannato traditore della patria tua, che attraversi le lande gelate di Eris prendendo in giro quegli stessi che dovranno farti compagnia per l'eternità, comportandoti con la spocchia di un vivente nei confronti di un morto?"
"Sì dà il caso che io sia proprio vivo", gli risposi di rimando, stizzito dal suo tono imperioso e tutt'altro che amichevole, "e ti conviene trattarmi in maniera meno insolente, perchè al mio ritorno io potrei narrare agli altri uomini viventi di averti incontrato, e rinnovare sulla Terra la tua fama."
"Ma mi prendi per il culo?" mi rispose quel dannato, le cui labbra blu si stavano sbriciolando a causa della sua veemenza verbale. "Noi siamo traditori e non abbiamo nessun motivo per essere ricordati sulla Terra, dove certamente c'è più gente disposta a maledirci che a rimpiangerci. Levati dalle palle e buon viaggio attraverso la Fascia dei Traditori, se riesci ad evitare che la tua astronave si schianti contro un iceberg alla deriva!"
"Tanta gentilezza nei miei confronti mi commuove", replicai io, fremendo di sdegno e rialzandomi in piedi. "Allora ti ripagherò con la stessa moneta. Se non mi dici chi sei, ti prendo a calci la testa finché non l'ho rimodellata a forma di pera!"
Ed egli a me: "Anche se me la facessi saltar via a calci, io non ti dirò chi sono né te lo farò capire, figlio di una meretrice giudea!"
"Bonjour finesse!" esclamai io, ed accecato dall'ira gli assestai davvero un calcio sulla nuca, facendolo strillare di dolore come un Sulibano la cui moglie sta per partorire (infatti, presso quel popolo dalla pelle butterata, quando le femmine hanno le doglie sono i maschi ad emettere grida e lamenti). Con il senno di poi riconosco di non aver fatto una bella cosa, perchè quel poveraccio soffriva già abbastanza, avendo il corpo di plasma tutto congelato, e probabilmente ci avrebbe pensato Virgil a farmi smettere con il suo tono imperioso, se un dannato lì vicino non avesse a sua volta esclamato con uno strano accento orientale:
"Che ti piglia, Benito? Non ti basta battere ritmicamente i denti per il gelo ad imitazione del fracasso degli scarponi chiodati delle tue gloriose Camice Nere? Devi per forza assordarci con i tuoi strilli, come se credessi di essere ancora affacciato al balcone di Palazzo Venezia?"
"Ah! Vi ho riconosciuto, cavalier Mussolini!" sbottai io a quel punto: "Mi chiedevo giusto perchè non vi avevo ancora incontrato su uno dei precedenti mondi infernali. Ma sono uno stupido, perché avrei dovuto immaginarlo: proclamare la Repubblica Sociale Italiana, un mero fantoccio al soldo dell'occupante nazista del nostro Bel Paese, era più che sufficiente per farvi condannare dall'Imperatore Ming tra i traditori della patria!"
"E non solo!" ringhiò il fondatore del Fascismo, una dottrina che ancor oggi trova seguaci in Italia, a più di tredici secoli dalla sua sconfitta militare. "Quel parruccone simil-cinese su Venere mi ha addebitato anche la morte di 450.000 italiani, in guerra o durante la Resistenza, e persino il tentativo di fuga in Svizzera con addosso un'uniforme tedesca, allorché i maledetti rossi mi riconobbero e mi fucilarono a Giulino di Mezzegra." Poi, con lo stesso tono con cui arringava i suoi seguaci prima della vittoriosa Marcia su Roma, continuò:
"Vattene dunque, Dante Alighieri, nemico giurato di noi fascisti, e racconta pure ciò che vuoi di me quando tornerai tra i tuoi compagni di partito Democratici. Ma non dimenticarti di dire che in mia compagnia hai incontrato anche un tipo non certo migliore di me, a dispetto del suo aspetto tranquillo e minuto. Quello che ha avuto la lingua così pronta a rivelarti il mio nome è infatti Deng Xiaoping, tra i primi compagni di Mao Zedong e veterano della Lunga Marcia cinese. Molti alla sua epoca lodarono questo sporco comunista per aver riallacciato le relazioni tra la Cina e l'Occidente e per aver dato il via ad una politica molto poco collettivista e moltissimo di libero mercato, ma Ming fu di diverso avviso: non gli perdonò di aver represso nel sangue la rivolta di piazza Tienanmen, facendo ammazzare 3000 giovani di buone speranze solo per conservare il potere nelle mani sue e degli altri dannati rossi della sua cricca. Potrai dire: « Ho incontrato l'inventore del "socialismo con caratteristiche cinesi", là dove i peccatori stanno freschi! »"
"E se ti chiederanno « Chi altri c'era? »", riprese Deng, evidentemente irritato dalle parole di Mussolini, "digli che hai visto anche quegli allegri compagnoni di Vidkun Quisling, Philippe Pétain, Wang Jingwei e molti altri che non hanno esitato a vendere la propria Patria al nemico in cambio di onori, denaro e potere. Dì loro che sul satellite Disnomia sono trasformati in macabri pupazzi di neve l'agente Gibbs dei Servizi Segreti degli Stati Uniti d'America, che morì precipitando nel Mar Caspio dopo aver tradito il suo presidente, ed anche Ivan Ogareff, che pagò il suo tradimento sulla Terra per mano di Michele Strogoff, e qui riceve gli interessi. E qui a fianco a me c'è anche il dottor Michaels, che ebbe l'onore di essere l'unico medico della storia ucciso da un globulo bianco, quale compenso per il tradimento del proprio paese."
"Davvero non sopporto questi traditori", dissi a Gus mentre tornavamo rapidamente verso il treno, che già fischiava come se volesse avvertirci che neppure esso voleva soffermarsi troppo a lungo insieme a quella gentaglia. "Hanno peccato quand'erano vivi, pazienza; hanno rifiutato di pentirsi e di convertirsi, amen, la Giustizia Divina li ha colpiti senza pietà. Il problema sta nel fatto che costoro continuano a tradirsi tra di loro anche dopo morti. Non ti sei accorto come l'uno faceva a gara a sbugiardare l'altro? Sapevano bene che il loro massimo desiderio consisteva nel venire dimenticati, eppure continuavano a rivelare i nomi dei loro compagni di pena, come se la soddisfazione per un atto così vile desse sollievo alla loro pena."
Mentre salivamo sul convoglio ed esso cominciava a prendere velocità per staccarsi dalla bassa gravità di Eris, la mia Guida mi rispose con il suo tono paterno: "Purtroppo, amato Dante, tutti costoro continuano a rivivere in eterno il momento in cui tradirono e rovinarono così per sempre il destino della loro anima. Per Mussolini la Guerra Partigiana non è mai finita, così come Ivan Ogareff continua a rivivere in eterno il momento in cui Strogoff lo ammazzò. Fa parte della loro condanna eterna. E così, anche le rade volte in cui si parlano l'un l'altro, non possono far altro che comportarsi anche in quel momento come la loro natura bugiarda impone, e cioè tradirsi vicendevolmente. Se tu dicessi loro che hai un callo sul piede destro, e se essi fossero liberi dal ghiaccio, puoi essere certo che farebbero a gara a pestarti quel piede come se fosse in palio un oro alle Olimpiadi del Sistema Solare."
"Vuoi dire che ho fatto bene ad assestare un calcione in testa al Duce?" domandai io, incredulo che Virgil potesse approvare una condotta del genere. Quest'ultimo infatti mi incalzò, mentre già il treno dei dannati superava la luna Disnomia:
"Hai fatto bene nell'ottica di quei traditori, perchè tu stesso l'hai tradito. Ma da uno come te, che ha sempre combattuto le idee di dittatori del calibro di Mussolini e Deng Xiaoping, francamente io mi sarei aspettato qualcos'altro."
Deglutii asciutto, facendo più rumore di uno sturalavadini. "E cioè?"
"Cioè che tu capissi l'antifona e, anziché metterti a giocare a football con la testa di un dannato che soffre già abbastanza di suo, lo inducessi a venire tradito dai suoi stessi compagni di pena, come in effetti è avvenuto."
"Sono desolato, Maestro", risposi, avvampando di vergogna. "So di averti deluso, non è così?"
"Mi avresti deluso se non avessi riconosciuto il tuo errore dopo che io te l'ho fatto notare. Come tu stesso hai imparato in questo Sistema Solare esterno, infatti, non c'è niente di peggio che perseverare nell'errore anche dopo aver riconosciuto che si è trattato di un peccato grave. Questa, Dante, è la via più sicura per essere condotto davanti all'Imperatore Ming e ritrovarti su uno di questi mondi e lune a farti travolgere dalla bufera, maciullare da Cerbero, cuocere vivo dentro un vulcano, squartare da un demonio o attuffare nel metano ghiacciato come un pollo di Barnard II in gelatina."
"Vuoi dire che dopotutto ho imparato qualcosa, nel corso del nostro viaggio?" chiesi io, speranzoso.
"Secondo me sì", mi confortò sorridendo il buon Grissom. "Però i rendiconti si fanno solo alla fine di una spedizione interplanetaria, no? E non solo il nostro viaggio non è ancora finito, ma non siamo ancora giunti neppure all'estremità dell'Inferno."
"Da questo", ribattei io preoccupato, "devo arguire che sulle ultime lune ghiacciate del Disco Diffuso c'è qualcosa di così orripilante da far passare in secondo piano persino le orbite vuote di Murdstone e la cortese simpatia di Benito Mussolini?"
"Lo saprai quanto prima, Dante: guarda laggiù, Persefone è già davanti a noi."
Nota: il
custode di Eris è Fek'lhr, che come specificato nel testo era il mitico custode
del Gre'thor, dove finivano i Klingon morti senza onore per aver tradito la loro
gente. Lo si vede nella puntata di "Star Trek, The Next Generation" intitolata "Devil's Due".
Cefalonia e Nikolaevka sono due tragici episodi della Seconda Guerra Mondiale,
che videro la morte di migliaia di soldati italiani, nel primo caso sterminati
dai soldati tedeschi per rappresaglia contro l'Armistizio dell'8 settembre 1943,
nel secondo uccisi dai sovietici durante gli scontri sul fronte russo.
Il norvegese Vidkun Quisling (1887-1945), il francese Philippe Pétain
(1856-1951) e il cinese Wang Jingwei (1883-1944) furono celebri
collaborazionisti, i primi due con gli occupanti nazisti, il terzo sotto
l'occupazione militare giapponese, nel corso della Seconda Guerra Mondiale (il
nome di Quisling è addirittura divenuto sinonimo di collaborazionista per
antonomasia).
L'agente Gibbs dei Servizi Segreti degli Stati Uniti d'America è un personaggio
del noto film del 1997 "Air Force One", il quale tradisce il
presidente interpretato da Harrison Ford, schierandosi con il capo dei
terroristi kazaki interpretato da Gary Oldman.
Ivan Ogareff è il traditore russo descritto da Jules Verne nel suo noto romanzo
"Michele Strogoff": tentò di aprire le porte della fortezza di
Irkutsk alle orde di Feofar Khan, prima di essere ucciso in duello dallo stesso
Strogoff, creduto erroneamente cieco.
Il dottor Michaels è invece un personaggio del film "Viaggio
Allucinante" (1966), nel quale tenta di sabotare il viaggio di un
sottomarino all'interno del corpo di uno scienziato al quale occorre salvare la
vita riducendogli un ematoma cerebrale.
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Canto XXXII
« ...e come 'l pan per fame si
manduca,
così 'l sovran li denti a l'altro pose
là 've 'l cervel s'aggiugne con la nuca »
(Inf. XXXII, 127-129)
Ormai mi ero abituato al fatto che, allorché Virgil definiva qualcosa "orripilante", non si trattava soltanto di qualcosa di orrendo da vedersi, ma anche di qualcosa che faceva male all'anima, appena gli occhi del corpo si posavano su di esso. E ne ebbi la certezza quando, a spalancare il portello del nostro vagone ferroviario, fu un essere che sembrava fatto della stessa oscurità regnante in quell'estrema periferia del Sistema Solare. Era alto almeno sei o sette metri, era avvolto in un mantello nero come la tenebra, la sua orrenda testa malvagia era decorata da un paio di corna gigantesche simile a quelle dei bufali, e i suoi due occhi, rossi come la rossa Persefone, ci fissavano come un Tryxx del pianeta Arborea fissa la preda prima di scaraventarsi contro di essa con tutta la forza che aveva nelle gambe da sauro. Io fui invaso da una tale paura, che mi nascosi dietro il corpo fluido di Gus come fa un bambino con la sua mamma. Grissom tuttavia ricambiava lo sguardo del nero demonio con due occhi carichi di altrettanta fierezza interiore, e vidi che metteva la mano nel taschino della sua tuta spaziale, con l'intenzione di impugnare la croce del Messo Celeste, come aveva fatto davanti al Signore del Drago. Quella volta però non ce ne fu bisogno: ad un tratto infatti quell'angelo caduto preferì distogliere lo sguardo da noi, ed andare ad aprire i restanti vagoni, alla ricerca di qualche dannato da tormentare.
"Vieni fuori, Dante", mi rassicurò il mio mentore, aiutandomi a scendere dal convoglio maledetto. "Uller ha capito che ci troviamo sotto la protezione di Colui che Mai Non Vide Cosa Nova, e ha preferito ritrarsi prima di ingaggiare un confronto senza speranze."
"Ho sentito nominare quel demonio", risposi io, osservando l'immensa mole di quel perfido e restando sempre prudentemente avvinghiato al braccio di Gus. "È colui che aizzò i dinosauri intelligenti, sopravvissuti nel cuore del pianeta Terra, affinché riconquistassero la superficie e lo proclamassero dio supremo al posto di Nostro Signore."
"Già, ma come i Vegani trovarono Goldrake sulla loro strada, e come il Dottor Inferno fu contrastato dal prode Mazinga Z, così anch'egli fu definitivamente sconfitto dal Getta Robot, grazie all'eroico sacrificio di Musashi Tomoe. Ora però dimentichiamo quell'apparizione infernale, e concentriamoci sul pianeta che stiamo visitando."
Prendete un deserto arido come quello dei Gobi, portatelo a quindici miliardi di chilometri dal Sole e raffreddatelo fino a 25 K; avrete un'idea di quella che è la superficie di Persefone, l'ultimo estremo avamposto del Disco Diffuso prima del vuoto interstellare, o almeno così credevo prima di iniziare questo mio impossibile viaggio. Un planetoide buio, dalla superficie rossastra quasi come quella di Marte, che impiega più di mille anni per compiere un'orbita completa attorno al sole, che non ha stagioni perchè il sole visto da esso è indistinguibile dalle altre migliaia di astri che punteggiano il cielo, eppure che ha un diametro di tremilacinquecento chilometri, in una regione di spazio in cui usualmente l'oggetto più rosso misura sì e no come un condominio. Per secoli dopo la sua scoperta, sull'orlo stesso del Sistema Solare, gli astronomi si sono interrogati sulla possibile origine di questo mondo isolato e quasi fuori posto. Un corpo della Fascia di Edgeworth-Kuiper strappato dalla sua orbita naturale a causa dell'interazione gravitazionale con Urano e Nettuno, e scagliato nel buio vuoto tra i sistemi stellari? O un grosso corpo della Nube di Oort che è stato catturato su un'orbita più interna in seguito al passaggio di una stella vicina al sole, miliardi di anni fa? O ancora un corpo che è nato fuori dal Sistema Solare e poi è stato scagliato in esso come una palla di neve da chissà quale profondità siderale, e che quindi sfugge completamente ad ogni nostro tentativo di catalogazione?
In ogni caso, quando vi misi piede constatai quanto avevano torto i miei docenti che attribuivano il colore rossastro di Persefone, assolutamente inusuale per un corpo di quel genere, alla povertà di metano ghiacciato, il che la distinguerebbe nettamente dal suo sposo Plutone, ed invece all'abbondanza di una specie di fango di idrocarburi chiamato Tolina, che io avevo già visto una volta nel Quadrante Gamma della nostra galassia, dopo essere passato attraverso il Tunnel Spaziale Bajoriano, scoperto dal comandante Benjamin Sisko nel lontano 2369. Infatti, desideroso di verificare la bontà della teoria sostenuta con forza anche dal professor Latini, presi una manciata di quel fango color ferro e lo esaminai con il mio tricorder; Virgil non ebbe nulla da ridire, nonostante il tempo che potevamo trascorrere all'Inferno fosse ormai quasi scaduto.
Il Gran Diavolo Uller (nell'originale Daimajin Yuraa)
"Vediamo un po'... ferro, fosforo, azoto... Ehi, ma... che strano! Rilevo tracce organiche... Lipidi, enzimi... Cosa ci fanno simili sostanze su questo mondo posto agli estremi confini del Sistema del Sole? Vediamo di eseguire un'analisi spettrografica di questi composti... eeeh? Ma... Gus..."
Inorridito, buttai via il pugno di fango ghiacciato che tenevo in mano e mi rialzai di scatto, girando il capo all'intorno come se mi aspettassi che quel pianeta morto prendesse vita, partorendo orribili zombie pronti a divorarmi. Incrociai lo sguardo di Virgil, ma esso era impassibile come sempre.
"Gus, ti rendi conto? La superficie di Persefone è sì coperta di fango, ma un fango nel quale domina l'emoglobina cristallizzata. In altre parole, Persefone è ricoperta da un oceano di sangue gelato!"
"Lo sapevo", si limitò ad annuire la mia Guida senza fare una piega. "Gli antichi pagani chiamavano questo mondo maledetto con il nome di Flegra."
"Ma allora... quello che vediamo è il sangue raggrumato che piovve al suolo durante la Guerra di Flegra!"
"Sì", annuì di nuovo Grissom, come se parlasse di un semplice mattatoio per animali d'allevamento. "Qui si combatté la decisiva battaglia tra gli Angeli rimasti fedeli al Signore, capitanati da Michele, e quelli che gli si erano ribellati, guidati da Lucifero, prima che le ere del mondo avessero inizio. Quello che vedi è il sangue malefico dei demoni che venne sparso in quell'epica zuffa."
"Ma come mai si trova in queste estreme profondità del cosmo, lontano dal cuore del Sistema Solare?"
"Perchè gli stessi angeli lo spinsero lontano dall'orbita della Terra, presso la quale allora incrociava. Non volevano che un simile ricettacolo di orrore orbitasse vicino al mondo degli Uomini, rischiando di contaminarlo con il Puro Male di cui esso ancora trasudava. Ricordi cosa accadde all'equipaggio della Event Horizon nel 2040, quando tentò il primo balzo iperspaziale della storia dell'uomo, ritrovandosi nel bel mezzo di una dimensione malefica? Questo avrebbe potuto accadere a tutti gli uomini, con un planetoide come Flegra che incrociava nelle vicinanze. Ecco perchè fu spinto lontanissimo, in una regione dello spazio in cui appare « fuori posto » come diresti tu, ed ecco perchè fu destinata ad accogliere alcuni tra i peggiori elementi che il genere umano ricordi: i traditori dei propri stessi amici."
"Ho quasi paura a mettere piede su questo antico sangue congelato insieme all'odio che lo fece sgorgare", mormorai io, avvicinandomi ancor più a Gus, "come se dovessi attraversare le Paludi Morte, ai piedi degli Emin Muil, e mi dovessi imbattere ad ogni piè sospinto nei pallidi fantasmi dei guerrieri antichi!"
"Vedrai bensì dei fantasmi", replicò Grissom, la cui voce si era fatta dura come l'acciaio, "ma saranno le ombre dei traditori, cioè quanto resta di loro dopo che la Vita è fuggita, e di loro sono rimaste solo la Cattiveria e il desiderio impotente di Vendetta."
Spronato da lui, ma tutt'altro che sopraffatto dall'entusiasmo, mi accinsi ad attraversare quell'oceano crudele di sangue rappreso, su cui dominavano il gelo dell'assenza di Dio ed un insopportabile fetore di morte, domandandomi quali orrori mi attendessero in agguato tra quelle dune ferrigne e sotto quel cielo senza Sole. Naturalmente la mia insana curiosità fu ben presto accontentata.
Avevamo mosso solo pochi passi fuori dalla pensilina della stazione infernale, quando io vidi due anime fatte di plasma ghiacciato, conficcate nella stessa buca e posizionate in modo che la testa dell'uno fosse sopra quella dell'altro, come se costituisse il suo cappello. E, quale orrore! Come si addenta un panino quando si ha fame, così la testa di sopra addentò quella di sotto là dove il cervello si congiunge alla nuca! Probabilmente l'eroe klingon Kahless non mostrò meno furia nel divorare le tempie del suo nemico Kaplan dopo averlo ucciso ed essere stato da questo ferito a morte, un gesto di rabbia che gli costò la riprovazione dei suoi déi e gli impedì di accedere all'immortalità, come mi aveva raccontato il mio amico klingon Worf.
Tanta era la furia con cui la testa di ghiaccio si accaniva sul suo compagno di pena, che io trattenni a stento un fiotto di vomito salitomi fin nel gargarozzo. Visto che io ero fuori combattimento, impegnato com'ero a combattere con il mio stomaco, nel quale sembrava essersi annidato uno sciame di vespe giganti di Alfa Lirae IX, fu Virgil a rivolgersi a lui interpretando il mio desiderio:
"Tu che mostri tanto bestiale odio contro colui cui stai rodendo il cranio, dicci chi sei e perché lo fai, perchè il mio compagno di viaggio è ancora vivo, è destinato a tornare sulla Terra e, se tu a buon diritto lamenti qualche offesa ricevuta da lui, sapendo chi voi siete, potrà ravvivare la tua memoria, se la lingua con cui parla non si secca prima."
Quel peccatore sollevò la bocca dal fiero pasto, mentre il plasma fuoriusciva dalla ferita dell'encefalo del suo compare, rapprendendosi immediatamente e "riparando" il capo che egli aveva così devastato. Quindi ci guardò negli occhi, con globi oculari trasformati anch'essi in cristalli di ghiaccio, e si lamentò come se la sua voce provenisse dal centro stesso di Persefone:
"Ahimé, tu vuoi che io rievochi un dolore disperato che mi schiaccia il cuore solo a rimembrarlo. Ma se le mie parole possono portare ancora infamia al nome del traditore che sono condannato a rodere in eterno, allora voi due mi vedrete piangere e parlare al tempo stesso. Io non so chi siete, e quale astronave vi ha portati fino a questo estremo orlo dell'Inferno, ma probabilmente entrambi conoscete i nostri nomi: io sono Julien Danglars, e questi è Fernando Mondego."
Io rialzai il capo di scatto, incredulo di trovarmi di fronte a due tra i peggiori traditori di tutti i tempi, e il dannato dovette accorgersi della mia sorpresa, perchè proseguì:
"Sì, sono il Barone Danglars, colui del quale fu scritto: « Come mai, fin dalla prima volta che vedono una così laida creatura, non riconoscono il serpente dalla fronte schiacciata, l'avvoltoio dal cranio rotondeggiante, lo sparviero dal becco adunco? » Sono io, che ero geloso di Edmond Dantès, perché Pierre Morrel, l'armatore della nave « Pharaon » su cui lavoravo come scrivano, lo voleva nominare capitano al posto mio. Nonostante lui mi considerasse un amico, ero geloso di lui ed ero disposto a tutto pur di rovinarlo. E quest'altro essere ignobile, noto a tutti come il Conte di Morcerf, era innamorato di Mercedes, la fidanzata di Edmond, ed sarebbe stato disposto a qualsiasi bassezza pur di averla. Cosa non possono fare due menti malvagie come le nostre quando si coalizzano tra di loro, eh? Infatti quest'uomo mi convinse ad accusare Dantès di tradimento ai danni dello stato, dopo la Restaurazione, perchè egli si era fermato all'isola d'Elba ed aveva accettato di consegnare il dispaccio di un bonapartista, pur essendo all'oscuro di tutto. Con il mio aiuto egli riuscì ad incastrarlo e a farlo rinchiudere nel terribile Castello d'If, davanti a Marsiglia, per ben quattordici anni. Intanto io venni promosso capitano della « Pharaon », come sognavo, ma in seguito abbandonai l'incarico e mi trasferii in Spagna, dove lavorai presso un banchiere. In seguito ad una serie di fortunate speculazioni, nelle quali dimostrai tanta abilità quanto cinismo, divenni milionario; acquistato il titolo di Barone tornai in patria, e ben presto diventai il più ricco banchiere di Parigi. Invece Mondego si arruolò, guadagnò denaro e reputazione durante varie campagne militari in Grecia e, una volta tornato in Francia con il titolo di conte, sposò l'adorata Mercedes. Insomma, sembrava che il nostro tradimento ai danni di Dantès ci avesse fruttato fortuna ed onori. Non sapevamo che era avvenuto l'incredibile."
"Non sapevate che Edmond Dantès non solo era sopravvissuto alla prigionia in quell'orribile cella, ma anzi era evaso e, con l'aiuto dell'abate Faria, era divenuto straricco, recuperando il tesoro degli Spada nascosto sull'isola di Montecristo", gli ribattei io con voce tagliente, dopo che ero finalmente riuscito a mettere a cuccia il mio tubo digerente: spesse volte la rabbia che nasce dall'udire le cattive azioni altrui, vince anche la nausea che esse provocano nell'ascoltatore.
Danglars mi scrutò e pianse, ma il suo pianto si trasformò immediatamente in una crosta di ghiaccio sulle sue gote.
"Proprio così; e, dopo aver tanto sofferto per causa nostra, preparava ai nostri danni un'atroce vendetta, riparandosi dietro le identità fasulle del Conte di Montecristo, di Lord Wilmore e dell'Abate Busoni. Assistito da non so quale demonio, egli aveva acquistato al mercato degli schiavi di Costantinopoli Haydée, la giovane figlia del prode Alì Tebelen, Pascià di Giannina, che proprio Mondego aveva tradito e consegnato ai suoi nemici mentre era ufficiale in Grecia. E proprio grazie anche alla decisiva testimonianza della bellissima Haydée, una pantera che non aspettava altro che di affondare gli artigli nella gola del traditore di suo padre, lo sciagurato Fernando, che nel frattempo era assurto a tanto onore da diventare membro della Camera dei Pari, fu dichiarato colpevole al termine del processo che lo vedeva imputato per il tradimento di Alì Tebelen. Egli si rese conto che la sua vita era distrutta e, quando scoprì che la moglie Mercedes e il figlio Albert lo avevano abbandonato per sempre, mise fine con un colpo di rivoltella alla sua miserabile vita. Il treno della Morte lo portò fin qui, in questo miserabile buco dell'universo, ed i suoi innumerevoli tradimenti degli amici che si fidavano di lui gli valsero di essere sepolto in questa buca di antico sangue raggrumato."
"Ma il tuo destino fu anche peggiore, non è vero?" domandai io, con tono meno aspro di quello adoperato poco prima nei suoi confronti.
"Sì", annuì l'ombra di Danglars, simile ad un troll scandinavo dei ghiacci, che non poteva più nemmeno piangere per colpa delle lacrime congelate. "A causa delle trame di Montecristo ero sull'orlo della rovina, e l'unico modo per uscirne era dare in sposa mia figlia Eugénie al principe Andrea Cavalcanti, che allora non sapevo essere il figlio dell'unione adulterina tra il Procuratore del Re Gérard de Villefort e mia moglie Hermine: la dote in denaro che pensavo di ricevere avrebbe risollevato le sue finanze. Ma quella stupida non voleva, e pretendeva di essere lei a scegliersi il suo amore, del tutto indifferente alla distruzione della reputazione della sua famiglia. Dietro le mie minacce, Eugénie sembrò accettare di sposare Andrea, ma ora so che voleva solo guadagnare tempo per ingannarmi!
Qualche giorno dopo, gran parte della Parigi « bene » si trovava riunita a casa mia per assistere alla firma del contratto di matrimonio tra Eugénie ed il principe Cavalcanti. Ma ecco sul più bello arrivare nella mia residenza quel maledetto Conte di Montecristo, che Lucifero possa divorarlo in eterno dentro una delle sue tre fauci! Ed ecco che, mentre i preparativi per la firma del contratto stavano per essere ultimati, egli si mise a raccontare come nulla fosse che aveva fornito al Procuratore del Re Villefort delle nuove prove sull'omicidio di Gaspard Caderousse, il quarto traditore che con me Fernando, Villefort e me aveva partecipato al piano per incastrare Edmond Dantès. Pochi istanti dopo i gendarmi irruppero in casa nostra per arrestare Andrea, spiegandoci che si trattava in realtà di un evaso di nome Benedetto, e che era accusato dell'omicidio di Caderousse. Purtroppo il falso Cavalcanti si era già dileguato, messo sull'avviso dalle parole di Montecristo. Egli venne catturato la mattina seguente, ma ormai il matrimonio che doveva risollevare le mie finanze era andato a rotoli. E non è tutto: quella dannata sera persi anche mia figlia, la quale aveva approfittato della confusione generale per fuggire di casa in abiti maschili, insieme alla sua amante lesbica. E io che non avevo mai sospettato nulla di tutto ciò! In una sola sera ero stato rovinato: niente più soldi, e la mia reputazione distrutta. E voi non sapete quanto contasse la reputazione, nella Francia dei miei tempi!
Tutto quello che mi rimaneva era una somma di cinque milioni e mezzo di franchi, di cui cinque milioni dovevano essere resi agli ospizi il cui patrimonio io amministravo. Naturalmente quell'arpia del Conte di Montecristo ne approfittò per venire a chiedermi la restituzione del credito di cinque milioni di franchi che vantava nei miei confronti. Non potei far altro che pagargli cinque assegni da un milione di franchi l'uno. in cambio di una ricevuta di altrettanti soldi con il quale il nostro conto è regolato, ma non avrei più potuto restituire quel denaro agli ospizi, che si fidavano di me. Non mi restò che fuggire a Roma per riscuotere dalla casa Thomson e French la lettera di credito in contanti, e poter vivere in maniera agiata per il resto dei miei giorni con quei soldi rubati.
Era mia intenzione stabilirmi sotto falso nome a Vienna; ma, appena lasciata Roma, la mia carrozza venne sequestrata da un brigante del luogo, tale Luigi Vampa, che capeggiava una banda di tagliagole ed era al soldo del maledetto Edmond Dantès. Fui rinchiuso in una buia cella nelle catacombe di San Sebastiano, e il cibo e le bevande mi venivano passate solo in cambio di quantità esorbitanti di denaro. Naturalmente io non potei far altro che pagare per non morire di fame e di sete, e che, nel giro di due settimane, non mi rimasero che cinquantamila franchi. Io feci di tutto per evitare di spendere tale cifra, sperando di essere liberato prima di morire di stenti, e poter così condurre perlomeno una vita dignitosa con quel denaro; ma i miei carcerieri si mostrarono irremovibili: o i soldi, o il cibo. Ahi, dura terra, perchè non t'apristi?
Alla fine, esausto dopo tante sofferenze, ridotto ad uno straccio umano, reso disperato e quasi cieco dalla fame, crollai e supplicai quel bandito di Vampa di lasciarmi libero in cambio degli ultimi soldi che mi restavano. Sei davvero crudele, se non soffri pensando ciò che provavo in quei momenti; e se non piangi, per cosa sei solito piangere? Ed ecco, in quel momento Vampa si fece da parte e vidi dietro di lui la figura spettrale del Conte di Montecristo, che mi disse con voce glaciale:
« Io sono Edmond Dantès, che tu hai fatto imprigionare togliendogli tutto ciò che aveva; e così io ho giurato a me stesso di togliere a te pure tutto quello che avevi. E siccome tu hai lasciato morire di fame mio padre Louis Dantès, così io ho giurato a me stesso che ti avrei lasciato morire di fame come un cane. Ma, ora che ti vedo distrutto ai miei piedi, non mi fai più schifo, mi fai pena. Vattene dunque, riprovevole essere, tienti i tuoi cinquantamila franchi, mentre i cinque milioni che hai verranno restituiti agli ospizi da te defraudati. Analogamente a Satana, per un momento io mi sono creduto simile a Dio e mi sono arrogato il diritto di giudicare e di punire i peccati altrui; con te non ricadrò nello stesso orrore e, per quel poco che ciò può valere, ti perdono. Luigi, dagli da mangiare e buttalo fuori. »
E così venni finalmente liberato. Avevo con me i cinquantamila franchi, ma i miei capelli erano diventati candidi come la neve, ed io ero ridotto a un relitto d'uomo, tormentato dal rimorso per ciò che avevo fatto. Anni dopo morii in estrema povertà tra le strade di Roma, quando ormai Edmond Dantès era già partito per sempre verso una destinazione ignota, per rifarsi una nuova vita confortata dall'amore della giovane e bellissima Haydée. E, ironia delle ironie, morii di fame in un ospizio, io che agli ospizi avevo creduto di poter rubare cinque milioni di franchi per poter vivere tra lussi ed agi: alla fine, per porre fine alla mia disdicevole esistenza, più che il dolore poté il digiuno."
Quando ebbe detto ciò, riprese il misero teschio con i denti, che contro quell'osso furono più forti di quelli di uno smilodonte di Catreus VII.
Ahi Francia, vituperio dei popoli di quel bel continente che ha nome Europa, poiché le nazioni circostanti tardano troppo a punirti, si muovano le isole dell'Atlantico e del Mediterraneo, la Gran Bretagna, l'Irlanda, l'Islanda, la Sardegna, la Corsica, ed ostruiscano le foci dei tuoi grandi fiumi, la Senna, la Loira, la Garonna, il Rodano, il Reno, sì che, essi, esondando, anneghino tutta la tua popolazione! Perchè entro i tuoi confini i perseguitati si trasformano in persecutori, pensano di sostituirsi all'Onnipotente per giudicare i malvagi, e addirittura si mettono essi stessi a tramare nell'ombra contro coloro che tramavano contro di loro e contro i loro cari. Sì, o Conte di Montecristo, o Lord Wilmore, o Abate Busoni, o come preferisci che ti chiami: se Danglars, Montego, Villefort e Caderousse ti avevano fatto tanto male gratuitamente, non dovevi coinvolgere nella tua vendetta anche degli innocenti come Édouard, il figlio del Procuratore del Re, che pagò così duramente le colpe di suo padre e di sua madre. La sua stessa giovane età lo rendeva innocente, o novella Tebe d'Europa, e questo vale anche per Albert de Morcerf, che stava per essere ucciso in duello solo per gli orribili tradimenti di suo padre!
Noi passammo oltre, con negli occhi ancora il terribile spettacolo di quell'anima che divorava in perpetuo il cervelletto del suo antico compagno di merende, e vedemmo gente che non stava certo meglio di lui. Mi colpì in particolare la posizione di quegli spiriti, che erano completamente conficcati nel duro sangue ghiacciato a braccia spalancate, tranne che per il volto, che unico emergeva nel vuoto cosmico che circondava Persefone. Il pianto stesso lì non lascia piangere, perchè le lacrime congelano dentro le orbite, impedendo alle ombre di dare sfogo al proprio atroce dolore come si fa su questa terra, piangendo a dirotto.
Ed io, alzando gli occhi al cielo, vidi in lontananza nell'oscurità di quel cielo tenebroso un punto rosso, che brillava come un occhio maligno nelle profondità dell'universo. A quel punto io non potei fare a meno di domandare a Grissom:
"Maestro, cos'è quel planetoide che mi sembra di veder sorgere sopra l'orizzonte? Persefone non è dunque l'estrema frontiera solida del Sistema Solare, al di là del quale vi sono solo labili nuclei cometari e pulviscolo interstellare?"
"Caro Dante, presto raggiungerai l'ultima fermata del Treno della Morte, ed allora alla tua domanda risponderà ciò che vedrai, non ciò che ti dirà la mia voce."
"O anime crudeli che vagate per questo mondo di ghiaccio, fintanto che vi è concesso di restare fuori dalla gelida buca in cui trascorrerete l'eternità, levatemi dal viso queste dure croste di ghiaccio, così che io possa sfogare per poco tempo con il pianto il dolore che mi strazia il cuore, prima che il gelo di Persefone mi tappi gli occhi di nuovo!"
Mi resi conto che a parlare così era stata un'anima che, per via degli occhi congelati, non aveva potuto accorgersi che io ero vivo, e non un dannato destinato a restare lassù per sempre. Io decisi di cogliere la palla al balzo:
"Se vuoi che faccia come dici, dimmi chi sei; e se io non ti libero gli occhi, ebbene, Dio m'è testimone, che possa giungere fino all'estrema profondità dell'Inferno!"
Ed egli rispose: "Io sono Albrecht von Manfred, governatore militare del sistema stellare di Wolf 359 per conto del Governo Federale Terrestre. Sono qui perchè, trovandomi in forte contrasto con due viceammiragli della Flotta Stellare che avrebbero dovuto aiutarmi a respingere eventuali attacchi dei Borg contro il Sistema Solare, come ai tempi del capitano Picard, li invitai sulla mia astronave per concordare con loro una linea d'azione comune; ad un segnale convenuto, tuttavia, dei mercenari toydariani sbucarono fuori e li uccisero, così che io potei accentrare il controllo della flotta là riunita nelle mie mani."
Io subito esclamai: "Ammiraglio von Manfred! Sono anch'io un ufficiale della Flotta Stellare, e la conosco molto bene! Ma... è morto? Quando lasciai il Sistema Solare per l'ultima volta, era ancora vivo e vegeto!"
Ed egli a me: "Come stia e cosa faccia il mio corpo nel mondo dei vivi, purtroppo lo ignoro. Non lo sai che Persefone ha questo vantaggio, su tutti gli altri mondi infernali? Il più delle volte l'anima dei peccatori vi viene relegata prima ancora che la parca Atropo recida il filo della sua vita. Appena l'anima tradisce un caro amico, infatti, il suo peccato è così grave che il Re dell'Universo non ammette che alcun pentimento possa lavare lo spirito da un peccato tanto esorbitante; subito esso è strappato dal corpo ed imbarcato sui Treni dei Morti con destinazione Persefone, mentre nel suo corpo prende dimora un demonio, che gli permette di vivere fino al compiersi naturale dei suoi giorni.
Certamente questo fu il destino delle anime che mi circondano: se volgi lo sguardo attorno, vedrai Muhammad Zia-ul-Haq, generale pakistano che tradì il suo presidente Alì Bhutto cui aveva giurato fedeltà, facendolo impiccare sotto false accuse per prendere il suo posto ai vertici dello stato. Vedrai anche Jack Sparrow, il pirata che tradì i suoi amici Will Turner ed Elizabeth Swann, per pagare il proprio debito con il mostruoso pirata anfibio Davy Jones. E vedrai entrambi i coniugi Thénardier, i quali tradirono prima la povera Fantine, riducendo in schiavitù la piccola Cosette che la madre aveva loro affidato, e poi Jean Valjean, che ritenevano un ricco pollo da spennare.
Ma vedrai soprattutto Kelden Amadiro, proprio qui alle mie spalle. Tu lo sai bene, se giungi ora nell'altro mondo: sono già molti anni che il direttore dell'Istituto Federale di Robotica è racchiuso nell'orribile ghiaccio ematico di questo planetoide silenzioso."
"Io credo che tu mi stia ingannando", gli risposi pronto io, "perchè Kelden Amadiro non è ancora morto, ed anzi mangia, beve, se la spassa e continua a progettare cervelli positronici di robot!"
"Nessun inganno, credimi! Egli tradì il suo amico Han Fastolfe, eminente esperto di robotica, ne provocò la morte sulla colonia di Aurora e sognò di costruire un esercito di robot con cui conquistare il potere, prima che il detective Elijah Baley e il suo aiutante robot Daneel Olivaw lo smascherassero e lo costringessero a tornare ai suoi studi, limitandosi a regnare sul proprio laboratorio. Tuttavia non avevano sconfitto lui, bensì il diavolo che aveva preso dimora nel suo corpo appena egli aveva tradito il giusto Fastolfe.
Ma ora stendi la mano, ti prego, ed aprimi gli occhi!"
Io però me ne andai senza aprirglieli e senza più parlare, facendo ritorno al treno maledetto che già scalpitava per rimettersi in movimento. E credetemi, fu un atto di cortesia comportarsi da villano nei suoi confronti.
Ahi, gente della colonia di Aurora, uomini che avete ormai dimenticato di essere nati sulla Terra, e nei confronti del vostro pianeta madre vi comportate come se foste degli alieni! Perchè non siete ancora stati dispersi dalla faccia dell'universo? Infatti, insieme al peggiore spirito della Flotta Stellare, io vidi uno di voi aurorani la cui anima già si gode il ghiaccio orrendo di Persefone, ed in corpo pare ancora vivo sul vostro pianeta!
Nota:
In
questo canto, più che in tutti i precedenti, troviamo un vero e proprio
melting-pot di saghe e personaggi diversi, tutti accomunati da un'unica
spiacevole caratteristica: tradirono i loro migliori amici.
Tanto per cominciare, il custode di Persefone è il Gran Diavolo Uller, detto anche
"dio del magma" (nell'originale giapponese Daimajin Yuraa), colui che
salvò i dinosauri dall'estinzione facendoli rifugiare nel sottosuolo, e che poi
li fece risvegliare per conquistare la Terra, come narrato nella saga di "Getta
Robot". Ovviamente egli tradì i dinosauri perché voleva usarli solo
per il proprio tornaconto personale.
La
"Event Horizon" è l'astronave maledetta che compare nel film horror
"Punto di non ritorno", diretto nel 1997 da Paul Anderson. Nel corso
del primo tentativo di viaggio interstellare, essa giunge in una dimensione di
puro male, e tutti coloro che l'hanno abbordata cominciano a sperimentare
visioni terrificanti. Un mezzo spaziale più che degno dell'Inferno, quindi.
Le Paludi Morte sono poi uno dei luoghi più spettrali descritti da Tolkien nel
secondo capitolo del Libro IV del "Signore degli Anelli"; in esse ebbe
luogo la Battaglia dei Tre Eserciti che pose fine alla Seconda Era, e i fantasmi
di uomini, elfi ed orchi caduti nell'epico scontro si affollano nelle loro acque fredde
e tenebrose. Decisamente un altro allegro paesaggio degno del nostro Inferno.
Tideo, il quale « si rose
/
le tempie a Menalippo per disdegno » come dice Dante, è qui sostituito da
Khaless, eroe mitologico del popolo klingon nell'universo di Star Trek; la
storia narrata su di lui in questo canto è però mia invenzione di sana pianta.
Danglars e Mondego sono due personaggi del romanzo di Alexandre Dumas padre
"Il Conte di Montecristo", che ha avuto una grande influenza su di me
fin dall'infanzia; logico veder qui punito in eterno il loro atroce tradimento.
La loro storia narrata in questo canto ricalca passo passo (con qualche
semplificazione) la trama del romanzo di Dumas, aggiungendo rispetto ad esso
solo il destino tragico (in corpo e in anima) del disonesto banchiere Danglars.
L'invettiva finale contro i francesi non esprime ovviamente sentimenti xenofobi,
ma fa semplicemente da contraltare a quella dantesca contro gli odiati pisani.
Il personaggio di Albrecht von Manfred è inventato di sana pianta, ma modellato
su quello di frate Alberigo dei Manfredi. Da notare che la prevenzione di un
attacco dei Borg appartiene all'universo di Star Trek, mentre i Toydariani,
piccoli umanoidi alati, appartengono invece a quello di Star Wars.
In sua compagnia si trovano in questo girone il dittatore pakistano Muhammad
Zia-ul-Haq (1924-1988), il ben noto Jack Sparrow (protagonista del ciclo dei
"Piraiti dei Caraibi" immortalato da Johnny Depp) e i coniugi
Thénardier, i "cattivissimi" del romanzo di Victor Hugo "I
Miserabili" nonché nemici mortali di Jean Valjean.
Kelden Amadiro invece è uno dei protagonisti dei romanzi di Isaac Asimov
"I Robot dell'Alba" e "I Robot e l'Impero", appartenenti al
"Ciclo dei Robot". Alla medesima saga appartengono anche Han Fastolfe
e i due invincibili detective Elijah Baley e Daneel R. Olivaw, arcinoti a
chiunque ami i romanzi di Asimov. Io mi sono limitato ad identificare la colpa
di Amadiro, certamente uno dei peggiori cattivi partoriti dalla mente del
massimo scrittore di fantascienza del XX secolo, con un tradimento dettato da
sete di potere, onde giustificare la sua condanna ad una pena tanto atroce. Con
lui davvero siamo oramai alla soglia della bolgia di coloro che tradirono
pianeti interi!
Visione d'insieme dei Mondi infernali (tratto da "I Cavalieri dello Zodiaco")
.
Canto XXXIII
«
"Vexilla regis prodeunt inferni
verso di noi; la sua astronave mira",
disse 'l maestro mio, "se tu 'l discerni" »
(Inf. XXXIV, 1-3)
La tremenda Persefone con i suoi oceani di sangue ghiacciato era ormai alle nostre spalle, e il mio cuore si era rappacificato con se stesso dopo le invettive che mi erano sorte alla gola udendo l'abisso in cui erano caduti i traditori dei loro più cari amici. Eppure, nonostante questo, mentre il Treno dei Dannati continuava imperterrito il suo crudele viaggio lontano dal calore vivificante del Sole, araldo della vita ed emblema del Dio unico fin dai tempi del faraone Akhenaton, io non mi sentivo tranquillo, ed osservando la sconfinata vastità di quel tappeto di stelle e nebulose che è il nostro universo, mi rendevo conto che qualcosa non andava. Ci misi un bel po' però a mettere a fuoco nella mia mente quale fosse il problema.
Quando ci fui riuscito, mi rivolsi a Grissom che era rimasto taciturno fin da quando avevamo abbandonato al suo destino l'anima dell'ammiraglio Albrecht von Manfred:
"Permetti una parola, Maestro mio?"
"Dì pure, Dante."
"Tu mi hai insegnato che questo treno maledetto, condotto dai suoi mostruosi macchinisti, è deputato a trasportare le anime perdute nella parte più esterna e malvagia dell'Inferno."
"Certo, figlio mio. Non è quanto tu stesso hai visto, nel corso del nostro lunghissimo viaggio?"
"Sicuro, Gus. Ma mi è sorto un dubbio."
"Spara."
Strano, pensai io: per una volta non legge il mio desiderio direttamente nella mia mente, e mi lascia il tempo di formulare la mia domanda.
"Suppongo che il treno proceda, prima di invertire la sua direzione di marcia, finché ci siano dannati da portare a destinazione nella loro dimora eterna."
"Si capisce. Dov'è dunque il problema."
"Gus, il treno non ha ancora fatto dietrofront per tornare su Io. È questo, il problema. Ciò può significare una cosa sola."
"Che ci sono ancora dannati da portare a destinazione. Mi pare ovvio, Dante."
"Sì, ma non è tutto. Vuol dire che ci sono ancora dei mondi esterni sui quali tuffarli in un ghiaccio di azoto, metano, idrogeno, sangue o chissà quale altra diavoleria."
"Anche la logica di questa tua deduzione mi sembra impeccabile e degna del leggendario Mister Spock."
La flemma dimostrata da Virgil in quell'occasione cominciava a diventare irritante. Solo l'Imperatore Cartagia, da me incontrato una volta sulla stazione orbitante Babylon 5, era riuscito ad innervosirmi di più; e tutti sanno che il sovrano di Centauri Primo era pazzo almeno quanto Caligola.
"Maledizione, Gus! Non ci sono mondi esterni conosciuti nel Sistema Solare, al di là dell'estremo avamposto di Persefone! Solo nubi di polvere e serbatoi cometari."
"Se è per questo, prima di iniziare questo allucinante viaggio credevi che anche il Buco Nero Antisolare non fosse altro che una leggenda metropolitana, narrata dagli astronauti alle prostitute Edo con cui si accompagnano nei bordelli di Rubicun III. Fino a che non ti ci sei trovato dentro con la tua « Beatrice », si intende."
La risposta di Virgil mi lasciò letteralmente spiazzato. "Come? Stai forse dicendomi che..."
"Che c'è almeno un altro corpo celeste nel sistema solare, a tutti ignoto? Tu stesso ti darai la risposta quando considererai che i dannati da noi visti su Persefone non avevano ancora toccato il fondo dell'abiezione in cui un'anima umana può precipitare, e dunque ci deve essere un mondo che dia ricettacolo ai peggiori peccatori che la faccia del cosmo abbia mai conosciuto."
"Non capisco. Se già tradire i propri parenti o la propria patria è gravissimo, cosa ci può essere di peggio che tradire i propri migliori amici, coloro che si fidano completamente di noi?"
"Eppure, che tu ci creda o no, Dante, c'è di peggio." La sua calma glaciale ora non mi infondeva più irritazione, bensì paura. Sì, paura di incontrare i fantasmi di puro Male che si agitano nei più riposti recessi del cuore umano, e sono capaci di trasformarci in licantropi assetati di sangue, totalmente dimentichi della nostra natura ragionevole. Avevo paura di toccare il fondo dell'Inferno, di vedere il male nel suo stato più puro ed orripilante, perchè ciò voleva dire guardare Satana faccia a faccia.
"Sì, Dante, c'è di peggio che tradire un fratello o un amico", continuava intanto Gus, senza dar segno di essersi reso conto del terrore che mi aveva assalito da capo a piedi. "Si può tradire un intero pianeta, un intero mondo, un'intera umanità, un'intera razza intelligente, per pura sete di potere. Si può arrivare a credersi un dio, e a pretendere dalla propria gente il culto e la venerazione che spettano solo all'Onnipossente. Si può ingannare tutti coloro che credono in noi, convincendoli di essere l'unica divinità. Si può perseguitare i fedeli del Dio vero, coloro che predicarono solo perdono e carità, pretendendo che tutti osannino solo noi, le cui statue sono poste sugli altari per la pubblica venerazione. Si può pretendere di inviare milioni di innocenti al macello in sanguinarie guerre interplanetarie, solo per dissetare la nostra sconfinata ambizione di potenza e la nostra sacrilega invidia nei confronti del Creatore."
Pallido in viso, spaventato com'ero dalla profondità della nequizia di cui un cuore umano è capace, non trovai altro modo di rispondere a Gus che citando un saggio vissuto ai suoi tempi:
"Evidentemente è proprio vero che i cattivi hanno capito qualcosa che ai buoni sfugge!"
"Evidentemente è proprio vero", si limitò a rispondermi Virgil, come sempre distaccato dall'abisso di orrore nel quale eravamo vieppiù sprofondati, e quasi indifferente alle atroci sofferenze eterne che là venivano inflitte ai dannati.
"Ma dimmi, Gus: quale mondo può essere così crudele, gelido e tenebroso da accogliere simili spregevoli esseri?"
Gus non rispose, ma mi indicò con un cenno di guardare nella direzione di marcia del treno. Io seguii il consiglio e non credetti ai miei occhi.
Là dove non doveva esserci se non il vuoto cosmico, vidi una sfera rossa come i motori di un'astronave resi incandescenti dai gas di scarico un secondo prima del suo decollo. Era davvero incredibile, perchè posso garantirvi che lo spazio al di là dell'orbita di Persefone era sta esplorata in lungo e in largo, senza trovarvi traccia di alcun pianeta. Credo che un uomo che entri in una stanza chiusa da anni e vi trovi una forma di vita sporocistica insediatavi chissà come e chissà quando, non provi meno sorpresa di quanta ne sperimentai io in quel momento!
"Sì", mi disse Virgil, equivocando per una volta sulla domanda che mi stavo ponendo dentro di me: "Quest'astro è quello che hai visto sorgere su Persefone, che risulta visibile da tutti i mondi esterni destinati ad accogliere i Traditori, onde ricordare loro in eterno quale colosso di crudeltà governò le loro vita, ed ora le loro morti!"
"Ma dalla Terra questo mondo non è visibile", esclamai io, accorgendomi che quell'astro era un vero pianeta di roccia e ghiaccio, non una palla di neve sporca come i corpi del Disco Diffuso, e che il suo diametro era all'incirca uguale a quello della Terra. Subito Gus mi rispose:
"Esso è celato agli occhi dei mortali. È il Pianeta Perduto, sprofondato nell'oblio fin dalla notte dei tempi, e solo i trapassati e chi si trova nel loro mondo possono vederlo."
Mentre il disco rosso fuoco del mondo invisibile occupava ormai quasi tutto il nostro orizzonte, la mia bocca non poté far altro che articolare un nome ormai quasi dimenticato e relegato nei confini del mito:
"PROMETEO!"
"Sì, Dante", annuì Gus, mentre il nostro convoglio si dirigeva verso il Polo Nord del mondo maledetto. "Il nono pianeta del sistema solare, di cui le antiche leggende predicono l'esistenza, e che seminò così tanti lutti sulla Terra nel XXVII secolo, al tempo delle Guerre dei Robot."
Com'è noto a tutti, 600 anni fa l'umanità, che aveva ormai spremuto fino all'osso praticamente ogni risorsa del Pianeta Terra, era alla ricerca sui mondi esterni di metalli preziosi, metano, isotopi dell'idrogeno per alimentare i reattori nucleari ed altri materiali, di cui la nostra tecnologia ormai non poteva più fare a meno. Fu allora che il dottor Oedo, noto anche con il "nome di battaglia" di Galax, annunciò la scoperta, tramite osservazioni indirette dello spettro della radiazione cosmica di fondo al di là dei confini stessi del Sistema Solare, di un nono pianeta che impiegava oltre 20.000 anni per compiere una rivoluzione completa attorno al Sole, Prometeo, e le cui risorse naturali avrebbero potuto garantire un futuro all'umanità. La maggior parte del mondo accademico non gli credette, escludendo che potesse esistere un grande pianeta sul bordo interno della Nube di Oort; l'unico che gli diede retta purtroppo fu il cancelliere Doppler, un ricco e malvagio scienziato a capo di un'organizzazione paramilitare che tiranneggiava i territori un tempo appartenuti a Russia, India, Cina ed Indocina. Mosso da un'ideologia in parte esoterica e satanista che ricordava per molti versi il nazismo, egli decise di fare del nuovo pianeta la patria di una nuova razza di eletti. E così scoppiò una terribile guerra fra i Mechasatan, i mostri meccanici inviati da Doppler a distruggere la base Yasdam, il quartier generale volante del suo diretto concorrente Oedo, ed il fortissimo Danguard, il robot costruito appositamente per respingere gli attacchi del perfido Cancelliere. Alla fine, dopo mille duelli, la base Yasdam decollò dalla sua rampa di lancio in Giappone ed iniziò il lungo viaggio verso il pianeta promesso, Prometeo, in gara con il Planester, la base volante di Doppler. Quando finalmente giunsero là dove doveva trovarsi Prometeo, a quanto se ne sa né Yasdam né Planester ne trovarono traccia, si accusarono a vicenda di aver sbagliato i calcoli o di aver scompaginato i computer altrui ed ingaggiarono una lotta mortale, dalla quale il Planester uscì distrutto e Doppler perse la vita. Yasdam fu allora riutilizzata per estrarre elementi industrialmente preziosi dagli oggetti del Disco Diffuso, e nessuno parlò più di Prometeo, fatta eccezione per i mitografi e per gli esperti di leggende metropolitane.
"Quello che quei mitografi non sanno, è che Prometeo non è affatto un mito."
Queste parole di Virgil, che non aveva certo smesso di leggermi nel pensiero, ebbero l'effetto di scuotermi dai miei pensieri, mentre il Treno delle Ombre si avvicinava alla sua ultima, orribile fermata. Io non potei fare a meno di chiedergli:
"Lo vedo. Ma come mai ora lo vediamo se nessuno, né Doppler né Oedo né Ichimonji Takuma, il pilota del Danguard noto anche come Arin, riuscì a trovarlo quando questa regione di spazio fu esplorata in lungo e in largo?"
"Perchè questo pianeta è maledetto in eterno", risuonò la voce gelida di Grissom, mentre le ruote del convoglio si posavano sui binari della stazione, sfrigolando sinistramente. "Un tempo era noto come Antiterra."
"Antiterra? Il pianeta che, secondo l'astronomo greco Filolao, ruota sulla stessa orbita della Terra diametralmente opposto ad essa rispetto al Sole, e perciò nascosto dal suo fulgore? Ma non esiste e non è mai esistito!"
"Non esiste più, ma è esistito eccome", ribatté Grissom mentre mani invisibili aprivano le porte del nostro vagone. "Avrebbe dovuto essere un Eden per tutti gli uomini, appena fossero giunti ad un livello tecnologico tale da permettere i viaggi spaziali. La Somma Sapienza la aveva pensata infatti come un secondo, naturale ricettacolo per la razza umana, qualora la Terra fosse diventata troppo stretta per contenere il numero crescente di tutti i suoi abitanti. Per questo la aveva assegnata a Lucifero, il più bello degli Arcangeli, colui che avrebbe dovuto portare sulla Terra la Luce della Sapienza Divina. Ma, dopo la ribellione di Lucifero e la sua cacciata dal Paradiso, l'Antiterra, nelle cui vicinanze allora incrociava il planetoide Flegra, divenne il rifugio di tutti gli angeli che avevano seguito Lucifero nella loro ribellione, e fu così corrotta dal Male. Era un unico, sterminato giardino lussureggiante, e guarda ora com'è ridotta."
In quel momento il Treno Maledetto pose le sue ruote sulla superficie di quel mondo perduto, e Psylocke aprì automaticamente i portelli dei vagoni con i suoi poteri psicocinetici, come se su un mondo così terribile non potesse albergare neppure un guardiano orrendo come il Gran Diavolo Uller. Sceso sulla pensilina, io mi guardai intorno e trasalii. Tutt'attorno a me si stendeva un terrificante deserto nucleare, distrutto dalle onde d'urto, dalle nubi incandescenti e dalle radiazioni mortali. Neppure durante la Guerra dei Cloni, che fu sanguinaria più di ogni altra combattuta nell'ultimo secolo, io vidi mai un mondo ridotto in uno stato tanto pietoso, al punto che ebbi paura anche solo di rimanere su quella superficie radioattiva e spolpata come un osso nel becco di un avvoltoio gigante di Gamma Puppis III.
"Non aver paura", mi spronò Virgil, precedendomi in mezzo a quella disperante desolazione: "La speciale tuta che l'Onnipotente ti ha fornito ti proteggerà da ogni radiazione nociva; e, quanto a me, nessuna reazione nucleare può ormai più danneggiarmi."
Allora mi feci coraggio e lo seguii su quel suolo sbriciolato e fumigante. "È per questo che appariva così rosso dallo spazio, non è vero? Per colpa dell'energia sprigionata dalle radiazioni."
"Esattamente, Dante. I demoni usarono ogni terrificante arma in loro possesso per cercare di prevalere sulle armate celesti, guidate dalla spada fiammeggiante di San Michele, ma ogni bomba da essi scagliata contro i buoni cambiò direzione e si schiantò sull'Antiterra sulla quale si erano arroccati, perchè ogni nequizia del Maligno finisce sempre per ritorcersi contro di lui. Subito dopo bastò un cenno dell'Onnipotente perchè l'Antiterra fosse scagliata lontanissimo dal Sole, nel vuoto tra il Disco Diffuso e la Nube di Oort, ed affinché gli uomini non fossero mai tentati di colonizzarla e di essere contagiata dal suo Male assoluto, essa venne maledetta e sottratta per sempre agli occhi dei mortali: solo ai morti e a te che viaggi dietro speciale licenza della Somma Potestà, è concesso vederla."
"Ma allora sia Galax che Doppler erano in cattiva fede!" esclamai io, sorpreso.
"No, Galax no. Da antiche fonti esoteriche aveva conosciuto l'esistenza dell'Antiterra e pensava che fosse ancora meravigliosa ed ubertosa com'era all'inizio dei tempi; egli credeva sinceramente che essa potesse diventare un nuovo Eden per l'Umanità, com'era nel progetto iniziale del Creatore. Non a caso lo battezzò Prometeo, come il coraggioso eroe antidiluviano che sfidò gli déi per rubare loro il fuoco e donarlo gratuitamente agli Uomini. Solo Doppler era a conoscenza del fatto che si trattava di un pianeta infestato dai demoni, e sperava di asservirli a sé per conquistare l'intero Universo. Non sapeva che è sempre Satana a possedere il cuore dell'uomo, mai il contrario."
Subito dopo però mi fissò con due occhi terribili e attraverso me lanciò un severo rimprovero all'umanità tutta:
"Lo vedi, Dante Alighieri? Lo vedi dove porta, la ribellione contro il Creatore e contro il Creato? In verità ti dico: così diventerà anche la Terra, oltre all'Antiterra, se negli uomini lo spirito diabolico trionferà sull'amore insegnatovi dal Redentore!"
Se mi fossi tolto la tuta e mi fossi esposto io pure al gelo di quel vuoto cosmico, che non superava i 15 Kelvin, certo non sarei rabbrividito quanto rabbrividii al solo pensiero che la bella Firenze, l'Italia e la Terra tutta fossero ridotte a così spaventoso deserto di cenere e di morte. Proprio per scacciare quella agghiacciante visione domandai al mio maestro:
"Dimmi, Gus, dove sono i sommi traditori? Pensavo di vedere anche le loro teste fuoriuscire dal ghiaccio, come su Plutone, Eris e Persefone."
"Il loro peccato è stato troppo grave, per consentire loro di tenere la testa di fuori", mi replicò Virgil, che aveva lasciato l'espressione corrucciata per tornare ad una severa ma meno astiosa nei confronti dei miei contemporanei. "Ora li vedrai, ma per questo dovremo scendere nelle viscere del pianeta."
Io stavo per rispondergli che avrei preferito farmi un cocktail a base di plutonio, piuttosto che scendere nel cuore cattivo di quel mondo morto, quando dietro di me udii un fischio ed uno sferragliare di ruote sui binari. Mi voltai giusto in tempo per vedere, al colmo dell'orrore, il Treno dei Morti ripartire e sollevarsi con leggerezza da quella superficie maledetta.
"Noooo!" urlai, in preda al parossismo. "Guarda, Gus! Mystica ci sta tendendo un altro inganno: vuole abbandonarci per sempre sul pianeta dell'eterno dolore, nascosto agli occhi di tutti!"
"Datti una calmata, Dante", rispose tuttavia la mia Guida, tranquilla come sempre, osservando il convoglio dei dannati, ormai vuoto, che compiva nel cielo un'ardita inversione ad U, per dirigersi di nuovo verso il Sistema Solare interno. "È tutto previsto. Il Treno che ci ha portati qui non effettua altre fermate, e ritorna direttamente su Io, un posto dove non è previsto che noi rimettiamo piede. Il Signore stesso provvederà per noi un nuovo mezzo di trasporto."
Ciò detto, osservò un punto luminoso lontano nel cielo nerissimo e gli fece un ampio cenno di saluto. Immediatamente il punto infuocato si mosse lasciando dietro di sé una scia a forma di M, dal che io capii che quella era la nave del Messo Celeste, venuto egli pure a prendere congedo da noi.
Mentre quella astronave benedetta si dileguava a sua volta, sentii l'intera crosta bruciata dell'Antiterra tremare con una scossa violenta, che per poco non mi fece finire a gambe all'aria, mentre un muggito terrificante, simile all'urlo di dolore di un animale ferito, raggiungeva le mie orecchie attraverso quella roccia e quel ghiaccio banditi dalla faccia del cosmo.
"Maestro, cos'è stato?" domandai io, atterrito al punto da non avere più il coraggio di muovermi, come se ogni mio passo disturbasse il sonno di un mostro addormentato. "Ho già assistito a terremoti di inaudita potenza, come quello di 11 gradi Richter su Iconia che spazzò via quasi ogni traccia dell'evoluta civiltà che la abitava; ma mai, dopo di essi, il pianeta colpito ha urlato di dolore!"
Virgil non parlò, ma mi fece cenno di seguirlo verso quello che sembrava un grande cratere, aperto da chissà quale terrificante ordigno nella notte dei tempi. Io gli tenni dietro, e vidi che al centro del cratere si apriva una buca, nella quale era possibile scendere perchè dal suo bordo cominciava una serie di gradini rozzamente scolpiti nel ghiaccio.
"Io lì non ci entro!" cominciai a protestare io, quando già Grissom aveva posto i piedi sul primo scalino. "Chissà quali terrori da secoli aspettano lì dentro solo che io arrivi, per fare di me un solo boccone, e..."
"Scegli, Dante", mi rimproverò bonariamente ma fermamente il mio mentore. "Vuoi dar retta alla tua paura e restare per sempre su questa superficie spolpata, o seguirmi là sotto e vedere nuovi mondi e nuove schiere di spiriti, certamente più rassicuranti di quelli che finora ci siamo lasciati alle spalle? Ricordati che nessuna Risurrezione può avere luogo, se non c'è stata prima una discesa agli inferi."
Io riconobbi che aveva adoperato un giro di parole molto forbito per darmi del vigliacco. E così, non potei far altro che seguirlo giù dalla scalinata. Ben presto dovemmo accendere le torce elettriche da polso incorporate nelle nostre tute; e fu allora che rischiai davvero un infarto del miocardio. Infatti, appena ebbi acceso e rivolto il fascio di luce verso la parete di ghiaccio di quel cunicolo, scorsi un viso che mi scrutava con occhi sbarrati e la bocca spalancata in un urlo di dolore congelato per sempre. Feci un balzo indietro e per poco non caddi dalle scale.
"Niente paura, figliolo", mi tranquillizzò Grissom, illuminando con la propria torcia uno spirito completamente incastonato dentro il ghiaccio, come un insetto dentro un frammento d'ambra. "Quest'essere fece molto male al suo popolo, rendendosi responsabile della morte di due milioni di cambogiani, cioè di un terzo dei suoi sudditi, ma a te non potrà mai arrecare alcun tipo di danno."
"Escluso un colpo apoplettico causato dallo spavento", borbottai io, osservando quell'ometto basso e tozzo, dai lineamenti marcatamente orientali, che a prima vista sembra essere incapace di commettere un genocidio di quelle proporzioni. Ripresi a scendere i gradini, cercando di dimenticare gli occhi sbarrati di quel dannato, ma avevo fatto solo pochi passi che vidi davanti a me una mostruosità anche peggiore, ed anch'essa completamente incastonata nel ghiaccio di Prometeo.
Si trattava inequivocabilmente di una donna, ma la pelle del suo capo era candida come la neve, ed al posto dei capelli aveva tubi di gomma e di metallo che le uscivano dal cranio. Il busto era inoltre inserito in un corpo bionico, parzialmente stritolato dalla morsa dei ghiacci. Quel cyborg non guardava verso i pellegrini che discendevano la scala dannata, ma aveva gli occhi bionici rivolti verso l'alto, quasi in un'estrema sfida all'Onnipotente, lei che parimenti onnipotente si era creduta.
"Costei fu la Regina di tutti i Borg, e venne uccisa dall'androide Data prima di riuscire ad assimilare tutto il genere umano", mi spiegò Gus, nonostante io la avessi riconosciuta. "Centinaia di razze ella riuscì a trasformare in macchine, prima che la sua morte violenta le liberasse tutte dalla schiavitù alla Collettività."
Le passai accanto con una stretta al cuore, quasi temendo che quelle braccia meccaniche potessero sfondare la loro bara di ghiaccio, afferrarmi e trasformare me pure in un drone grazie alle sue dannate nanosonde. Riuscii ad accantonare questo irrazionale timore solo quando vidi davanti a me, esso pure confitto nel ghiaccio, ma a testa in giù, uno dei personaggi che avevamo citato in superficie; era impossibile riconoscerlo, a causa della sua testa a pera senza l'ombra di un capello sopra e delle sue orecchie a punta.
"Il Cancelliere Doppler!" esclamai io, incredulo. Gus mi tenne subito dietro:
"Sì, Dante. Lui voleva penetrare il segreto dell'Antiterra, ed almeno in questo è stato accontentato: come vedi, su Prometeo c'è arrivato davvero, anche se da dannato e non da conquistatore!"
Nota:
l'Imperatore Cartagia è un personaggio della serie TV "Babylon 5",
prototipo del cattivo governante per antonomasia.
Rubicun III è invece il pianeta abitato dagli Edo su cui l'equipaggio dell'Enterprise-D
arriva nell'episodio della prima stagione di "Star Trek - The Next
Generation" intitolato "Il Giudizio".
La citazione "i cattivi hanno capito qualcosa che ai buoni sfugge" è
di Woody Allen.
La vicenda dell'Antiterra ipotizzata dal filosofo pitagorico Filolao di Crotone
(470-390 a.C.) che si trasforma nel pianeta Prometeo, inseguito come un nuovo
Eden nella serie Danguard,
è puramente frutto della mia fantasia. Naturalmente ho leggermente modificato
la filosofia di base dell'anime, adattandola ai miei scopi. Assolutamente
inventata di sana pianta è anche la leggenda del pianeta introvabile ai confini
del Sistema Solare.
Durante la loro discesa all'interno di Prometeo, Dante e Virgil incontrano molti
personaggi ben noti. Il primo è il dittatore cambogiano Pol Pot (1926-1998),
che effettivamente sterminò un terza della popolazione del suo paese nel folle
sogno di realizzare in pratica il "paradiso comunista" in terra.
La seconda è la Regina Borg, uccisa da Picard e Data nel film "Star Trek,
Primo Contatto".
Il terzo è il Cancelliere Doppler, cui si è fatto riferimento in precedenza
nel narrare la vicenda della corsa al pianeta Prometeo.
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Canto XXXIV
« S'el fu sì bel
com'elli è ora brutto,
e contra 'l suo fattore alzò le ciglia,
ben dee da lui proceder ogne lutto. »
(Inf. XXXIV, 34-36)
Atterrito dalla visione del malvagio Cancelliere che tanti danni aveva fatto in vita, cristallizzato per sempre là dove era piombato in seguito alla distruzione di Planester, e della sua bocca semiaperta in cui un urlo di rabbia impotente era stato soffocato dalla durezza del ghiaccio ultore, mi feci un rapido segno di croce. Ed ecco, di nuovo un terremoto di potenza inaudita scosse l'intero pianeta invisibile, tanto che frammenti di ghiaccio si staccarono dalle pareti del budello in cui scendevamo, ed un nuovo, terrificante ruggito di dolore fece tremare ogni fibra ed ogni cellula del mio corpo.
"In nome di Dio, Gus, che cos'era?"
"Era il Male Personificato, Dante. Sarà meglio che ti prepari a vederlo, perchè se non gli passeremo accanto non potremo uscire dal Regno della Perdizione."
Ciò detto, riprese a scendere i gradini di quella che avevo capito essere la rampa d'accesso ad una sorta di bunker sotterraneo. Esitai ad avanzare, poiché ormai avevo compreso chi avrei incontrato e cosa avrei visto laggiù, nelle misteriose profondità del più misterioso mondo del Sistema Solare. Ma mi feci forza al pensiero che quello sarebbe stato l’ultimo orrore a cui avrei assistito nel corso di quel mio viaggio da incubo.
Scendemmo pian piano, poiché l'antichissima scala scavata direttamente nella roccia e nel ghiaccio di metano che conduceva al fondo di quell’abisso si faceva sempre più ripida e più scivolosa man mano che si scendeva: gli scalini erano sempre più stretti e più alti, e a causa delle mie calzature, adatte per far presa su ben altro tipo di terreno, e possibilità di scivolare erano ahimè molto elevate. Più di una volta infatti i miei piedi rischiarono di scivolare sui gradini lisci e malsicuri, ma tutte le volte pregai Beatrice affinché mi assistesse, e riuscii a mantenermi faticosamente in equilibrio. Gus, che si era reso conto delle mie difficoltà, più di una volta si fermò allo scopo di lasciarmi riprendere le forze. Non furono rare le volte in cui fu costretto ad esortarmi: "Su, Dante, manca ancora poca strada!" oppure: "Siamo quasi arrivati", come avrebbe fatto una qualsiasi guida di Altair XII sul Monte Himalaya 3. In nessun caso però, ed in questo gli fui immensamente grato, accompagnò le su frasi con tono ironico o di rimprovero.
Durante la nostra discesa in quell'orrendo Maëlstrom spaziale ebbi modo di vedere altri perfidi che tradirono interi popoli o addirittura interi pianeti: Grissom mi mostrò Re Leopoldo del Belgio, Mao Zedong, Jean-Bédel Bokassa, Idi Amin Dada ed altri dittatori terrestri i quali, a differenza dei loro colleghi puniti su Eris o su Giove, misero in atto dei veri e propri genocidi sia nei loro stati che in quelli altrui. Mi mostrò inoltre l'imperatore Palpatine, i suoi degni compari Khaless e Rebo, il Supremo Desslock di Gamilon, il dinosauro umanoide Gol, la malvagia Koros, l'infido Baltar, il Dottor Inferno, la Regina dei Moguru dai quattro occhi, il Grande Darius con la bocca sulla fronte ed infiniti altri, che trascinarono miliardi di abitanti della Galassia verso la distruzione.
Non saprei dirvi quanto durò la nostra calata nel Profondo Abisso del Male, privi come eravamo di mezzi per misurare il tempo; all’incirca però mi pare abbastanza corretto valutare in una giornata e mezza terrestre la nostra discesa, togliendo le inevitabili pause. Ad un certo punto non ce la feci proprio più, non solo di quei gradini scivolosissimi ma anche di vedere orrendi criminali tutt'attorno a me che mi fissavano con occhi morti attraverso il ghiaccio in cui si erano rappresi gli un tempo azzurrissimi oceani dell'Antiterra, e mi accasciai come morto, nell’angusto spazio tra un gradino e la parete, tra l’altro con l’altissimo rischio di piombare giù fino in fondo a quella rampa.
"Non ce la faccio più, Gus! Devo fermarmi qui per ora! Proseguiremo domani…ti prego!" Esalai quest’ultima parola con un fare così implorante e lamentevole che oggi me ne vergogno ancora! Gus però non era del mio stesso avviso:
"Non possiamo attendere oltre, Dante. Il tuo salvacondotto per il Regno Infernale è quasi giunto al termine. Se non rispettiamo la nostra tabella di marcia, rischieremo di rimanere confinati in questo Mondo di Ghiaccio e Morte per sempre!"
Assai più che una pillola di energia concentrata, le parole di Grissom funzionarono da toccasana! Il solo pensare a rimanere incatenati in quell’abominevole luogo, dove i Morti sono davvero morti due volte, mi ridiede d’improvviso energie che mi pareva non avere mai avute, e subito scattai in piedi. Gus sorrise e, per consolarmi, aggiunse:
"Oltretutto non manca poi molto: puoi già sentire il frullare delle ali del nostro Arcinemico!"
Era vero. Mi accorsi in quel momento della brezza che stava spirando e che si faceva via via più fredda e forte man mano che scendevamo.
"Gus... Pant, pant... ma Prometeo non possiede atmosfera!" esclamai, tirando il fiato. "Da dove viene quest’aria così gelida, che sembra capace di far congelare persino una fiamma?"
"Volta quell'angolo e guarda davanti a te", rispose lui, indicandomi la giravolta con un dito. "Vexilla Regis prodeunt inferni!"
Non potei fare a meno di obbedire. Svoltato l'angolo, tuttavia, mi accorsi che la scala finiva dentro una grotta di roccia e ghiaccio, e che essa era così grande da ospitare una buona parte della flotta stellare. E ciò che ospitava quell'immensa caverna mi provocò uno choc così subitaneo che, ancora più delle altre volte, credetti di morire dallo spavento, né saprei dire se trascorsero minuti od ore prima di riprendermi completamente. Davanti a me, nel bel mezzo della grotta, c'era infatti un'ala di pipistrello, così grossa che avrebbe potuto tranquillamente fare ombra ad una città intera. E al di là di essa vidi delle corna ossificate e ritorte, grandi da sole come sequoie millenarie.
Ali e corna appartenevano ad un gigante, ma mi rendo conto che questo termine era estremamente riduttivo: basti pensare che, in proporzione, le dimensioni mie erano più simile a quelli dei robot giganti già visti nella Fascia di Edgeworth-Kuiper, che loro stessi a quelle di quel malefico colosso. I suoi occhi erano grandi pressappoco come il raggio di uno dei primitivi dischi volanti interstellari, e una sua sola unghia era il doppio di un uomo. Il suo corpo era ricoperto di un vello rosso come il sangue, i cui peli raspavano in continuazione contro le pareti di quel pozzo. Il calore maligno che si sprigionava dalle sue membra faceva sublimare il ghiaccio del nucleo di Prometeo, e poi il battito delle sue immense ali di pipistrello faceva il resto, provocando le terribili bufere di idrogeno, azoto e metano che avevamo avvertito fin dall’inizio della discesa.
Quanto io divenni allora gelato e senza respiro, o lettore, non domandarmelo, perchè non lo scrivo, giacché ogni termine stato insufficiente per descrivere ciò che provai in effetti in quell'istante. Per un po’ non fui né morto né vivo, similmente ai condannati presenti nelle camere di stasi, i quali, condannati a morte, non vengono subito uccisi, ma vengono lasciati in uno stato di vita vegetativa, e molti possono rimanere in quella condizione “temporanea” per interi lustri, cosicché se nel futuro la loro innocenza fosse completamente provata, si possano far ritornare in vita. Non caddi per lo spavento giù nell’abisso solo perchè Grissom mi tenne ben saldo da dietro: il mio Maestro mi aveva prudentemente raggiunto, in quanto giustamente temeva che i miei sensi mi tradissero alla vista di quel bestione.
"Ci sei, Dante?" mi domandò premurosamente, come per farmi sentire che non mi aveva abbandonato. Io annuì, rientrando faticosamente in me stesso, e mi schiacciai contro il cornicione che ruotava tutt'intorno alla caverna, permettendo una vista a 360 gradi di quell’Orrore senza fine. Gus mi invitò a precederlo camminando lungo quello stretto cornicione, ma dovette assicurarmi che non mi avrebbe recato alcun danno; anzi, che il sommo Campione del Male era del tutto inerme nei nostri confronti. Ed era vero perchè, mentre giravamo intorno alle sue ali che sbattevano in continuazione, Lucifero non sembrò neppure accorgersi della nostra presenza.
L’imperatore del Regno del Dolore era letteralmente conficcato nel cuore di roccia e ghiaccio del pianeta Prometeo: io potevo vederne testa e petto, fino al punto in cui noi umani abbiamo l’ombelico, mentre il resto era sepolto nel ghiaccio. La Bestia possedeva ben tre paia d’ali, le quali sbattevano continuamente, quasi a tempo con il suo respiro affannoso e rantolante; ma l'aspetto più spaventoso del Mostro erano i suoi tre volti, uno più orrendo dell’altro, che uscivano dal suo capo ed i cui occhi piangevano fiumi di lacrime gelate; queste ultime gocciolavano lungo i suoi menti ed il suo corpo, mischiati a bava sanguinosa e repellente.
"Non oso immaginare", commentai rivolto più a me che a Gus, "come deve essere stato bello un tempo costui, visto che tutto nei Regni Infernali è proporzionato al Male commesso!"
"Se egli fu tanto splendido quanto oggi è orripilante, e nonostante questo osò ribellarsi al suo Creatore, davvero da lui può procedere ogni più astuta nequizia", si limitò ad annuire Gus in segno di approvazione.
Delle tre teste demoniache che spuntavano dall’unico cranio, quella di sinistra era rossa come il sangue, quella in mezzo gialla come la bile e l’ultima a destra più nera delle stesse nubi di polvere oscura nelle quale le stelle non sono visibili. In più vidi che in ognuna delle sue bocche era contenuto un uomo. Non li potei distinguere chiaramente, a causa della lontananza, però potevo sentire i loro discorsi per via della eco perfetta che risuonava in quella specie di tomba. La cosa strana era, però, che quei dannati a differenza di altri né si lamentavano della loro malasorte né bestemmiavano, ma continuavano invece a litigare tra di loro!
Gus mi porse di nuovo la speciale visiera in modo da permettermi di distinguere anche i loro visi, oltre che ad udirne le voci soltanto.
"Comunista di merda!* Non vedi dove ci hanno condotto le tue stronzate di idee! Tu che ironizzavi sulle divisioni del Papa e continuavi a dirmi che Dio non esisteva! Se non ti davo retta, a quest'ora non eravamo qui!" disse, emettendo anche una zaffata di alito gelato quello posto a sinistra, all’interno della bocca di sinistra.
"Taci, carcassa di letame austriaco ambulante! Se tu nel 1941 non mi avessi attaccato di sorpresa, come un vigliacco, a quest'ora assieme ci saremmo spartiti il Mondo! Non solo hai tradito il tuo popolo, ma anche i tuoi alleati!" gli fece eco quello imprigionato nella bocca di destra, appartenente alla testa nera.
"Stupido sovietico! Come se non avessi capito che tu eri lì ad aspettare che mezza Europa si scannasse a vicenda per poterla assalire comodamente alle spalle! Se non avessi avuto l'inverno dalla tua a salvarti le chiappe, a quest'ora la tua Russia avrebbe fatto la fine di Cartagine in fiamme, e tu con essa!"
E mentre diceva questo cercava anche di tenersi in bilico tra i due incisivi sporgenti di Lucifero.
"Però, inverno o meno, io in quell'occasione mi sono salvato! Tu invece hai fatto la fine del topo in gabbia! Davvero una misera fine, degna di un ratto di fogna quale tu sei!" Ed anche costui stava facendo i salti mortali per evitare che le fauci fameliche lo divorassero.
"Almeno la mia Nazione ora è di nuovo potente. E pur avendo perso la guerra la MIA Germania ha prosperato per secoli! La TUA URSS invece, nonostante tutte le tue purghe, è crollata meno di 50 anni dopo la tua misera fine, ed i tuoi concittadini si sono ritrovati a mangiare pane e cipolla per decenni... Ah, Ah, Ah!"
Ma, dicendo questo, perse l’equilibrio e cadde sulla lingua bavosa del Mostro.
"Ma la volete smettere voi due di sbraitare? È da secoli che continuate a litigare senza costrutto", esclamò quello in mezzo che se ne era stato zitto fino a quel momento. Costui, a differenza degli altri due, aveva tratti decisamente non umani: era alto più di due metri, aveva la pelle di un colore brunito come quello del bronzo, due orecchie a punta come quelle di un lupo, due occhi rossi come sangue privi di iridi e circondati da ciglia nerissime e lunghissime, nonché una barba blu divisa in ciuffi appuntiti, ed in testa portava un elmo fatto con il cranio di chissà quale animale alieno.
"Siete entrambi dei dilettanti!" proseguì quel malvagio, scoprendo dei denti appuntiti come quelli degli squali corazzati di Deneb II. "Non siete riusciti a realizzare neanche un decimo dei vostri sogni di sterminio! Io invece ho fatto più di tutti e due: sono riuscito a convincere la popolazione della mia stella, Vega, a partire alla conquista del nostro braccio della Galassia, e ad eliminare gran parte degli abitanti di una trentina di mondi, incluso Fleed, il più ricco e prospero della Lega dei Mondi! La cosa che più mi rincresce è di condividere ora questo supplizio eterno con due incompetenti come voi!" E, ciò detto, scivolò rumorosamente anche lui.
A sinistra: Adolf Hitler (1889-1945). Al centro: l'Imperatore Vega. A destra: Iosif Vissarionovic Jugasvili detto Stalin (1878-1953)
"Tu non dovresti neanche parlare, né la tua razza dovrebbe continuare ad esistere!" strillò in un ultimo impeto di rabbia quello di sinistra, cercando di rimettersi in piedi. "Più inferiori di voi alieni ci sono solo gli Ebrei, e se non sbaglio il tuo sogno di conquista fu spezzato da Goldrake, il quale..."
Furono le sue ultime parole perché Lucifero, evidentemente stufo marcio di quelle pantomime che sarebbero anche state buffe, se purtroppo i loro contenuti non fossero stati così agghiaccianti, con la sua lingua avviluppò tutto intero il corpo di quest’ultimo e lo cacciò dritto in gola, triturandolo poi ben bene coi suoi denti simili a macine degli antichi mulini.
"È questa la fine a cui sono destinati coloro che furono gli uomini più malvagi mai esistiti nella Galassia", sentenziò freddamente Gus: "traditori dell’intera loro razza, fosse essa Umana o Vegana, che invece avevano giurato di proteggere! I loro efferati crimini, tra cui la triste invenzione dei Treni della Morte, furono così gravi e numerosi che, se si mettessero in fila una per una le vittime di tutti e tre, riempirebbero senza lasciare spazio alcuno tra loro l’intera distanza tra il Sole ed Alfa Centauri!"
Questa affermazione mi parve invero un po’ esagerata, ma lo lasciai proseguire.
"Perfino le malefatte e sozzure di altri tiranni loro contemporanei, peraltro in un secolo che ne profuse in abbondanza, impallidiscono al loro confronto. E così l’Onnipotente ha deciso di relegarli qui, dilaniati ferocemente dalle fauci di Lucifero, che fu il loro vero Signore in vita così come ora lo è nella Morte."
Rimasi a riflettere su queste ultime parole, mentre egli mi indicava una nuova scala che correva senza corrimano lungo il perimetro della grotta, scendendo a spirale verso il fondo. Confesso che mi sentii un vero colpo al cuore quando mi accorsi che avrei dovuto scendere altri gradini, tanto più che quella scala era priva di protezioni dalla parte dell'abisso, e c'era il rischio di scivolare e di precipitare là in fondo. Ma non ci fu tempo per protestare o per rifiutarsi di scendere, giacché vidi il mio Maestro chiamarmi con un cenno della mano guantata ed iniziare a scendere lungo quella paurosa rampa. Se fossi rimasto lassù da solo, ci sarei rimasto per sempre, in quanto non avrei mai avuto il coraggio di affrontare la discesa da solo. Così lo raggiunsi e mi tenni stretto alle sue spalle, iniziando a scendere a mia volta. Il brutto era che l'antro si stringeva verso il basso, e così fatalmente la scalinata mi portava ancora più vicino al vermo reo che fora il pianeta Prometeo.
"Avanti, non temere!" mi incitò Gus con quel suo tono paterno che lui solo sapeva usare. "Dobbiamo per forza girarci attorno, per poter uscire da qui."
Vincendo il disgusto, continuai la discesa comprendendo come doveva sentirsi il professor Otto Lidenbrock, quando iniziò il suo periglioso Viaggio al Centro della Terra. Più di una volta le smisurate ali del Mostro ed il suo pelame immondo mi sfiorarono, ma il momento più brutto fu quando dovemmo praticamente attraversare la sua mano sinistra aperta, che egli teneva praticamente sopra la scala in modo che le sue dita artigliate formassero involontariamente una sorta di arcate che era obbligatorio attraversare. Quando fummo all'altezza del suo stomaco, mi chiesi che fine avesse fatto il tiranno da lui ingoiato poc’anzi, ma Gus non mi diede il tempo di porgli nessuna domanda.
Ci trovammo infine proprio sul fondo di quella tomba, in cui il Primo Ribelle è sepolto per l'eternità assieme alla sua superbia ed alla sua prepotenza bestiale. Eravamo giusto dietro il corpo di Lucifero, e questa fu una fortuna, perché se ci fossimo trovati davanti a lui saremmo stati sepolti dalle lacrime e dal vomito che precipitavano dai suoi tre volti, immediatamente cristallizzati dal gelo ed altrettanto rapidamente sublimati a causa del contatto con il corpo incandescente del Signore d'ogni Male. Le sue sei ali torreggiavano spaventose sopra di me, tanto che mi sembrò di trovarmi ancora sotto uno degli smisurati alberi di Arbor VI, i quali possono toccare tranquillamente il chilometro d'altezza, protendendo i loro rami su una superficie vastissima.
"Sai cosa penso, Gus?" gli dissi a quel punto io, che andavo rimuginando già da un po'. "Io credo che questo demonio rappresenti una mostruosa caricatura dell'Unico Dio. Come Egli è Uno in Tre Persone, anche Satana ha tre volti in una testa sola. All'Onnipotenza di Dio Padre si contrappone la faccia centrale, gialla come la malattia per indicare la sua assoluta impotenza. Alla Sapienza smisurata di Dio Figlio egli oppone la faccia di destra, nera come l'ignoranza. Ed all'Amore sconfinato di Dio Spirito Santo egli risponde con la faccia di sinistra, rossa come l'odio. Eppure, nonostante questo tuo vero e proprio travestirsi da Dio, egli resta in ogni caso una sua pallida e tragica caricatura. Mentre JHWH è onnipresente, egli è prigioniero in sempiterno dentro il mondo nel quale cercò stolidamente rifugio dopo la sconfitta da parte di Michele. Le ali che un tempo egli spiegava maestose sull'universo, ora sono buone solo per creare un inutile vento, e le bocche con cui egli doveva annunciare la Parola Divina, servono solo per triturare i tre peggiori dannati della storia del cosmo. La stessa potenza che egli tanto mise in mostra nella Guerra di Flegra, ora serve solamente per scuotere la morta sfera di Prometeo, ogni volta che soffre sentendo pronunciare il nome santissimo d'Iddio."
Quasi a confermare le mie parole, Satana si torse tutto per il dolore emettendo un mugolato bestiale e producendo un nuovo, terrificante terremoto, che però durò solo pochi secondi. Dal canto suo Grissom annuì compiaciuto, contento che fossi arrivato da solo a quella conclusione. "Bravo, Dante", mi gratificò: "hai fatto passi da gigante, da quando ti sei trovato sotto la mia ala protettrice. Ma la notte volge ormai al termine, ed è ora di partire, perchè abbiamo visto tutto."
Ciò detto, mi indicò un pertugio tra il vello del Signore delle Tenebre e lo strato di ghiaccio e roccia che lo seppelliva. Subito si appigliò al vello cisposo del demonio, cominciando a scendere, e mi invitò a fare altrettanto.
"Er... ripensandoci, dopotutto anche quella scala non è poi malaccio..."
"Muoviti, Dante", mi spronò per l'ennesima volta Virgil: "Non possiamo più usare la scala che abbiamo usato per scendere, poiché quella serve solo per scendere, ma non per salire. Nessuno può riemergere da questo Abisso di Male, se non percorrendo la Strada dell'Espiazione!"
Io mi chiesi cosa intendesse, ma intanto fui costretto a vincere il ribrezzo, ad appigliarmi al pelame dell'Antidio e a scendere a mia volta dietro a Gus. A un certo punto egli si fermò e si girò, con non poca fatica visto che quel burrone era strettissimo, e mi invitò a fare altrettanto, poi riprese a salire con me dietro, tanto che credetti di ritornare su nell'Inferno.
Appena, aiutato da Gus, riuscii ad uscire da quel budello e a mettere i piedi sulla superficie di quel nuovo ipogeo, mi accorsi con stupore che sopra di me si ergevano le zampe rovesciate di Lucifero. Del tutto spiazzato, domandai alla Guida: "Ma come è possibile che egli ora sia sottosopra?..."
"Abbiamo superato il centro di gravità di Prometeo", mi spiegò pazientemente il pioniere dell'astronautica. "Di conseguenza siamo sull'altra faccia della parete di roccia e ghiaccio che imprigiona per sempre l'Avversario di Ogni Bene. Abbiamo lasciato per sempre l'Inferno, e ci attende un nuovo cammino in tutt'altra dimensione e sotto tutto un altro cielo."
"Meno male!" questa volta non ce la feci a trattenere le parole che mi uscirono spontanee dalla gola. "Ma come usciremo da questa cupa caverna, illuminata solo dai nostri proiettori da polso? Non vedo aperture di sorta..."
L’Onnipotente provvederà ad aprirci la porta", si limitò a rispondermi Virgil. Ed ecco, prima ancora che avesse finito di parlare un lampo illuminò l'oscurità di quella vera e propria tomba, ed una sfera di luce si materializzò a cinque metri da noi, così splendida che dovetti torcere da essa lo sguardo, ormai abituato dall'oscurità.
Appena il bagliore incandescente fu scemato, vidi comparire dal nulla una navicella. bianchissima come quella del Messo Celeste, ma priva di insegne. Ci misi poco a fare due più due:
"È l'ultimo regalo del Ministro di Dio che ci ha protetti lungo il cammino alla periferia dell'Inferno, vero?"
"Precisamente. Egli ha dovuto materializzarlo qui perché la Perfidia assoluta che domina il Regno di Lucifero avrebbe interferito con i suoi comandi. Forza, a bordo: si parte!"
Così dicendo mi spinse verso il portellone della navetta, che si aperse da sola per farci entrare, ed altrettanto rapidamente si chiuse dietro di noi. Mentre Gus si metteva ai comandi, gli obiettai:
"Voglio proprio vedere come farai a scavare una galleria attraverso il ghiaccio malefico dell'Antiterra, per portarmi fuori da questo immenso cimitero."
Mentre egli accendeva i motori, increspò le labbra in un sorriso. "Dante, Dante, il nostro viaggio nello spazio è finito. Per uscire c’è un’altra strada, che non attraversa più le tre classiche dimensioni spaziali, lunghezza, larghezza e profondità. Ora ci attende un'altra avventura, non meno straordinaria di quella che ci ha condotti fino a qui."
Prima che potessi replicargli alcunché egli decollò, e davanti a noi si aperse un cunicolo tempo-spazio, un ponte di Einstein-Rosen come quello che avevo visto poco distante da Bajor, ma che stavolta era stato creato artificialmente. Immediatamente Gus vi si infilò; io non feci neppure in tempo a stupirmi, che già la navicella prodigiosa attraversava la quarta dimensione, viaggiando letteralmente alla velocità del pensiero. Finalmente, all'altra estremità del cunicolo spaziotemporale che sembrava lungo quanto l'eternità, io intravidi le meravigliose costellazioni e galassie che trapuntano il firmamento creato da Dio nella Sua infinita Sapienza, lasciandomi per sempre alle spalle i mondi dell'eterno dolore; grato all'Eterno per averlo condotto fuori insieme a me da quell'orripilante abisso di puro male, Gus accelerò al massimo gli ipermotori della navetta, come un cadetto che mette le mani sulla cloche per la prima volta, e quindi uscimmo a riveder le stelle.
Nota:
Tra i traditori dei benefattori, spediti dall'Imperatore Ming a far compagnia a
Lucifero, troviamo qui citati
Palpatine, il malvagio imperatore della Saga di "Star Wars"; Khaless, il
sanguinario fondatore dell'Impero Klingon; Rebo, il dittatore di
Saturno nella celebre serie a fumetti "Saturno contro la Terra" ideata
dal grande Cesare Zavattini; il Supremo Desslock, al comando del pianeta Gamilon,
nemico della Terra in Starblazers;
Gol, sovrano assoluto dell'Impero dei Dinosauri nella serie Getta
Robot; Koros, la cattivissima della serie Daitarn
III; Baltar, colui che tradì le Dodici Colonie consegnandole agli invasori
Cyloni nei telefilm di Battlestar
Galactica; il Dottor Inferno, contro cui si
batte Mazinga
Z; la Regina dei Moguru, che osteggia i quattro robot della serie Astrorobot,
Contatto Y; il Grande Darius, dittatore degli Zelani nella saga di Gaiking.
Da ultimo, il professor
Otto Lidenbrock è il protagonista del celeberrimo "Viaggio al Centro
della Terra" di Jules Verne, già citato nel Canto XIII.
Da notare che Lucifero è l'unico personaggio della "Divina Commedia"
a non essere sostituito con un omologo fantascientifico, nella mia
"Spaziale Commedia". Del resto, nessun Inferno potrebbe dirsi davvero
tale senza lo spaventoso Principe delle Tenebre a regnare incontrastato su di
esso!
Per concludere, ecco uno specchietto riassuntivo del viaggio di Dante attraverso i mondi
infernali (i numeri dei canti sono cliccabili):
Canto | Pianeta/Luna | Peccatori | Personaggi | Custodi |
III |
Mercurio |
Ignavi |
Celestino V |
Kortar |
IV |
Venere |
Lussuriosi |
Rodolfo e Maria |
Imperatore Ming |
V |
Polo nord di Marte |
Golosi |
Pantagruele |
Cerbero marziano |
VI |
Marte, monte Olimpo |
Avari e prodighi |
i Ferengi |
il lupo Fenrir |
VI |
Fascia degli asteroidi |
Iracondi |
Filippo Argenti |
Ikima |
VII, VIII |
Io |
Eretici ed atei |
Giuseppe Garibaldi |
i 108 Specter |
IX, X |
Nubi di Giove |
Assassini e serial killer |
Jack lo Squartatore, Adolf Eichmann |
guerrieri Centauri |
XI |
Mantello di Giove |
Bestemmiatori |
Johnny Rico |
non specificato |
XII |
Mantello di Giove |
Inquinatori |
Max Shreck |
non specificato |
XIII |
Nucleo di Giove |
Mafiosi |
Don Vito Corleone |
Due Facce |
XIV, XV | Europa | Suicidi, morti per overdose |
Alan Turing, Spud |
gli Wampa |
XVII |
Anelli di Saturno |
Seduttori e protettori di prostitute |
Venedico Caccianemico, Giacomo Casanova |
gli Yautja |
XVIII |
Rea |
Pedofili |
Alessio Interminelli, Erzsébet Báthory |
Ba'al |
XIX |
Titano |
Religiosi indegni |
Padre Blasco Uzeda, i priori degli Ori |
Gul Dukat |
XX |
Nubi di Saturno |
Astrologi, ciarlatani |
Nostradamus |
Himika |
XXI, XXII |
Nubi di Urano |
Politici corrotti |
Costanzo Ciano, Cesare Botero |
Gandal, Zuryl e i Vegani |
XXIII |
Titania |
Ipocriti |
Viceamm. Dougherty |
non specificato |
XXIV |
Oberon |
Ladri |
Diabolik |
creatura di M-113 |
XXV |
Nubi di Nettuno |
Consiglieri di frode |
Capitan Kirk |
Sauron |
XXVI |
Tritone |
Seminatori di zizzania |
Olivier Cromwell, Gavrilo Princip |
Freddy Krueger |
XXVII, XXVIII |
Proteo |
Falsari, bugiardi |
Josef Mengele, Otto von Bismarck |
il Signore del Drago |
XXIX |
Fascia di Kuyper |
Robottoni |
Generale Nero |
Kerubinus |
XXX |
Plutone |
Traditori dei parenti |
Edward Murdstone, Magda Goebbels |
Darth Maul |
XXXI |
Eris |
Traditori della patria |
Benito Mussolini, Deng Xiaoping |
Fek'lhr |
XXXII |
Persefone |
Traditori degli amici |
Barone Danglars, Jack Sparrow |
Uller |
XXXIII, XXXIV |
Prometeo/Antiterra |
Traditori dei loro popoli |
Hitler, Stalin, Re Vega |
Lucifero |
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Spero che il mio lavoro vi sia piaciuto! E spero di non fare la fine di Guido Martina e Angelo Bioletto, autori de "L'Inferno di Topolino" (da "Topolino" n° 12 del marzo 1950):
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Se volete fornirmi suggerimenti o commenti, scrivetemi a questo indirizzo.