da « IL CRIVELLO DI ERATOSTENE »
quotidiano tecnico-scientifico fondato a Milano nel 1995
Quella che segue è una raccolta di articoli scritti da Lord Wilmore, inviato speciale del quotidiano « Il Crivello di Eratostene », in occasione di grandi scoperte o degli anniversari di altrettanto importanti eventi della Storia della Scienza... anche se si tratta di una Scienza un po' diversa da quella che noi conosciamo, perchè il confine tra Scienza e Pseudoscienza è davvero labile! Buona lettura e buon divertimento.
I Raggi N – Il Tredicesimo Pianeta – Uno schianto a Roswell – L'energia libera di Nikola Tesla – Il Bunyip e il Nessiosauro – Telepatia e psicocinesi – I Vimana – L'Uomo di Piltdown – La fusione fredda – Atlantide riemerge dal mare – Il Bigfoot – Maxima Facta Patrvm
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Dal numero 306/IX del 2 novembre 2003:
I RAGGI N: COME BLONDLOT AVVIÒ L'ERA ATOMICA
Ricorre oggi il centesimo anniversario di una delle più importanti scoperte di quell'incredibile rivoluzione scientifica che ebbe luogo nei primi tre decenni del secolo scorso. Infatti proprio il 2 novembre 1903 il professor Prosper-René Blondlot, nato nel 1849 e morto nel 1930, Premio Nobel per la Fisica nel 1905, annunciava alla Francia e al mondo la scoperta dei raggi N.
All'epoca Blondlot ignorava la natura di quelle misteriose radiazioni, così come il tedesco Wilhelm Conrad Röntgen non aveva idea di cosa fossero i misteriosi raggi ad alta penetrazione da lui scoperti dieci anni prima, tanto da battezzarli con il nome dell'incognita matematica: raggi X. Lo scienziato francese invece battezzò i raggi da lui scoperti con il nome di raggi N in onore della sua città, Nancy, senza rendersi conto che quella lettera sarebbe stata anche l'iniziale del nome con cui sarebbero state universalmente conosciute le particelle componenti i suoi raggi. Blondlot infatti aveva appena scoperto i neutroni.
Prosper-René
Blondlot fotografato il giorno
della consegna del Premio Nobel per la Fisica
Vale la pena di ripercorrere le tappe salienti di quella incredibile scoperta. Nel 1898, Pierre Curie e sua moglie Marie osservarono per primi la radioattività naturale del radio, da loro stessi isolato. In pratica, gli atomi di radio (oggi in realtà sappiamo che si tratta dei loro nuclei) emettono tre tipi di radiazioni: una positiva (raggi alfa), una negativa (raggi beta) ed una neutra (raggi gamma). Utilizzando del polonio, nuovo elemento scoperto da Marie Curie e così battezzato in onore della sua terra natale, la Polonia, Blondlot produsse delle particelle alfa e le diresse contro un bersaglio di berillio. Esso non sembrava emettere radiazioni di sorta ma, ponendo dietro il berillio uno strato di paraffina, esso emetteva delle particelle che si rivelarono nuclei di idrogeno, cioè protoni: Blondlot infatti si accorse che in un ampolla collegata con un tubo alla paraffina, si raccoglievano con il tempo tracce di idrogeno. Blondlot comprese che dal berillio si sprigionavano radiazioni sconosciute che, colpendo le molecole della paraffina, sostanza fortemente idrogenata, erano in grado di rimuovere da essa atomi di idrogeno. Tali raggi non avevano carica elettrica, a differenza di elettroni e protoni, ma dovevano avere una massa, per poter rimuovere nuclei di idrogeno dalla paraffina attraverso urti, del tutto analoghi a quelli del gioco delle bocce. Blondlot ipotizzò che queste radiazioni erano da particelle con massa paragonabile a quella degli atomi di idrogeno, in base all'osservazione secondo cui, se si colpisce una boccia ferma con una di massa uguale, quest'ultima si ferma, mentre l'altra si mette in moto con la stessa velocità. In seguito Marie Curie battezzò questa particella neutrone, essendo privo di carica, ma anche ispirandosi alla N di Nancy.
La scoperta dei neutroni consentì di realizzare un modello atomico coerente già nei primi anni del '900: Blondlot infatti ipotizzò l'esistenza di un nucleo atomico già nel 1905, intuizione che fu poi confermata dal neozelandese Ernest Rutherford con un celebre esperimento nel 1909. Lo studio delle reazioni nucleari proseguì senza soste negli anni dieci del Novecento, e consentì di scoprire la reazione di fissione nucleare già nel 1934, ad opera di Enrico Fermi, all'Istituto di Fisica in via Panisperna a Roma. Di conseguenza in una palestra di un liceo romano nel 1938 fu accesa la prima pila atomica della storia. Enrico Fermi e i suoi collaboratori volevano usare la pila atomica solo per scopi pacifici, ma Benito Mussolini e il suo alleato Adolf Hitler li misero invece al lavoro in una località segreta per realizzare l'ordigno più pericoloso che fosse mai stato concepito: la bomba atomica. Tuttavia Majorana si suicidò per non rendersi complice di uno sterminio, e Fermi e i suoi collaboratori sabotarono volontariamente i lavori, menando il can per l'aia e adducendo difficoltà tecniche. Intanto l'inglese James Chadwick, insieme al fisico ebreo ungherese Leo Szilard, che era fuggito a Londra per sfuggire alle persecuzioni delle Croci Frecciate nel suo paese, accesero a loro volta una pila atomica e procedettero a loro volta, ma senza ritardi, alla realizzazione di una bomba atomica, che fu messa a punto nel 1942. Il primo ordigno sperimentale britannico esplose nel deserto australiano; e il 6 agosto 1942 un ordigno da un chilotone cancellò dalla faccia della terra il quartier generale nazista di Rastenburg, in Prussia Orientale, dove si trovavano Hitler e i principali gerarchi del III Reich. Di conseguenza l'Italia si arrese, mentre un'altra bomba atomica disintegrava la città giapponese di Hiroshima, costringendo anche il Giappone alla resa. L'Unione Sovietica, già duramente provata dall'attacco nazista, cedette sotto i colpi delle forze britanniche ed americane, che insieme agli ex nemici italiani e tedeschi riuscirono a sconfiggere i Bolscevichi e a restaurare l'Impero Zarista. Subito dopo la fine della "guerra calda", tuttavia, ebbe inizio la lunga stagione della "guerra fredda" tra i paesi europei, in primis Regno Unito, Francia, Italia, Germania e Polonia, che avevano intrapreso la via dell'unità del continente e potevano contare sull'alleanza con la Russia, e gli Stati Uniti d'America, che si erano dotati anch'essi dell'arma atomica, ed erano alleati con Cina, Giappone e paesi sudamericani: la posta in gioco era la spartizione delle ricchezze del Sud del Mondo, e gli interessi contrapposti in Africa, Asia ed Oceania fecero salire terribilmente la temperatura dei rapporti tra le due sponde dell'Oceano Atlantico. Più volte si rischiò il conflitto nucleare tra Unione Europea e Stati Uniti, fino al 1991, quando i due ex blocchi contrapposti si resero conto di avere un nuovo, tremendo nemico comune nel terrorismo islamico guidato da Osama Bin Laden, proclamatosi Califfo dei Credenti, che cercava di sollevare il Sud del Mondo contro il Nord avido e colonialista, e grazie all'opera di Papa Giovanni Paolo II decisero di mettere da parte le antiche divergenze, avviando l'era della Distensione. Una cosa però è certa: dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale non vi sono più stati conflitti di dimensioni planetarie, e questo grazie al deterrente rappresentato da un'arma come quella atomica, troppo terribile per essere usata, poiché annienterebbe sia chi la scaglia, sia chi se la vede arrivare in testa. E questo lo dobbiamo anche al buon vecchio Prosper-René Blondlot e alla sua intuizione che lo portò, cento anni esatti fa, alla scoperta degli enigmatici Raggi N.
[Nota: nel nostro universo, i raggi N rappresentarono una delle peggiori cantonate della storia della scienza: molti fisici, in perfetta buona fede, credettero di scoprire gli effetti di qualcosa che non esisteva, spinti dal desiderio di vedere il loro nome associato a una scoperta epocale. Sempre nel nostro mondo, i neutroni furono intuiti da Ettore Majorana nel 1931 e scoperti da James Chadwick nel 1932. Il procedimento qui attribuito a Blondlot è in effetti quello utilizzato da Chadwick per scoprirli. Enrico Fermi ottenne sì la prima reazione di fissione nucleare artificiale nel 1934, ma non riconobbe di aver ottenuto questo risultato; a scoprire ufficialmente la fissione nucleare furono Otto Hahn e Fritz Strassmann nel dicembre 1938. Fermi accese la prima pila atomica il 2 dicembre 1942 nella palestra di un Liceo di Chicago, e la Seconda Guerra Mondiale sul fronte europeo finì prima che potessero essere messi a punto gli ordigni atomici; entrambi i primi esemplari di tali armi furono perciò scagliati contro il Giappone.]
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Dal numero 210/XI del 29 luglio 2005:
LA NOSTRA NUOVA META: IL TREDICESIMO PIANETA
Un nuovo corpo celeste si è aggiunto oggi alla già nutrita schiera degli oggetti fatti di roccia e ghiaccio che accompagnano il Sole nella sua corsa attraverso il Braccio di Orione della Via Lattea. Già è stato definito « il Tredicesimo Pianeta », anche se l'Unione Astronomica Internazionale deve ancora pronunciarsi sulla sua effettiva natura di pianeta o di asteroide. Per ora gli è stato attribuito solo una complicata sigla, (136199) 2003 UB313, ma contestualmente alla definizione della vera natura del nuovo mondo gli verrà attribuito anche un nome ispirato alle tradizioni mitologiche del pianeta Terra. La scoperta è stata annunciata presso il quartier generale dell'ESO, l'Osservatorio Europeo Australe, che ha sede a Garching, vicino a Monaco di Baviera (fisicamente il VLT o Very Large Telescope, composto da quattro telescopi principali con specchi primari di 8,2 metri di diametro, si trova in Sudafrica, lontano dall'inquinamento luminoso europeo). In tal modo la tecnologia europea ha fatto segnare un altro punto a suo favore, dopo la recente scoperta presso il Large Hadron Collider del CERN di Ginevra delle prime particelle supersimmetriche, che ci hanno permesso di gettare per la prima volta lo sguardo al di là del Modello Standard delle particelle elementari.
Vale la pena di rievocare come è cresciuta negli ultimi secoli la famiglia dei Figli del Sole. La parola pianeta in greco significa "errabondo", ed indica quei mondi che gli antichi vedevano muoversi in cielo rispetto alle stelle fisse. Ad occhio nudo erano noti sette pianeti (dal loro numero deriva la complessa simbologia del numero sette, così cara a molte religioni, dai sette bracci della Menorah ai sette Sacramenti): Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno. Il Sole ovviamente era considerato un pianeta per via della teoria geocentrica allora imperante, ed infatti Dante Alighieri nel suo poema lo chiama « il pianeta / che mena dritto altrui per ogne calle » (Inf. I, 17-18). La schiera dei pianeti aumentò di numero solo il 13 marzo 1781, quando l'astronomo tedesco naturalizzato britannico William Herschel (1738-1822) scoprì Urano; sebbene in particolari condizioni sia visibile anche ad occhio nudo, fu più volte osservato ma non fu mai riconosciuto come pianeta a causa della sua bassa luminosità e della sua orbita particolarmente lenta. Quando però nel 1821 l'astronomo francese Alexis Bouvard (1767-1843) pubblicò il primo studio dei parametri orbitali di Urano, tutti si resero conto che esso deviava in maniera evidente dalle previsioni teoriche della Legge di Gravitazione Universale di Isaac Newton: in alcuni momenti sembrava muoversi lungo la propria orbita più velocemente di quanto previsto, in seguito rallentava inaspettatamente. Alcuni cominciarono a chiedersi se la legge di gravitazione universale fosse davvero universale, o piuttosto cessasse di valere a così grande distanza dal Sole. Ma l'astronomo francese Urbain Le Verrier (1811-1877) e il matematico inglese John Couch Adams (1819-1892) avevano fede nelle scoperte di Newton, e supposero che le irregolarità nel moto di Urano fossero dovute alla presenza di un altro corpo celeste di notevoli dimensioni che orbitava al di là di Urano. Infatti, in base alla Terza Legge di Keplero, più un pianeta è lontano dal Sole, più orbita lentamente; dunque Urano è più veloce di questo fantomatico ottavo pianeta, e lo supera lungo la sua orbita. Quando Urano si sta avvicinando ad esso, quest'ultimo lo attira e fa sì che si muova più velocemente del previsto; quando Urano lo ha superato, esso lo rallenta con la propria attrazione. Lavorando indipendentemente fra loro, Le Verrier ed Adams compirono una serie di noiosi calcoli, supponendo pianeti diversi a diverse distanze dal Sole; alla fine, Adams spedì i suoi studi all'astronomo britannico George Airy (1801-1892), suggerendo la posizione in cui avrebbe dovuto trovarsi questo nuovo pianeta, ma egli ignorò e cestinò il tutto. Per fortuna Le Verrier spedì invece i propri risultati all'Osservatorio di Berlino, dove Johann Gottfried Galle (1812-1910) e il suo discepolo Heinrich Ludwig d'Arrest (1822-1875) nella notte del 23 settembre 1846 puntarono il telescopio nella regione di cielo indicata da Le Verrier, e dopo appena mezz'ora, a meno di un grado dalla posizione prevista dal francese, individuarono l'ottavo pianeta, da loro battezzato Nettuno, per il suo caratteristico colore azzurro, che ricordava quello del mare. In seguito si scoprì che il pianeta era già stato osservato al telescopio da Galileo Galilei il 27 dicembre 1612, e da questi scambiato per una stella. Ora i pianeti conosciuti erano otto.
In seguito Le Verrier scoprì delle irregolarità anche nel moto del nuovo pianeta scoperto, ed anche che non tutte le anomalie di Urano erano spiegabili attraverso l'esistenza di Nettuno, e così cominciò la ricerca sistematica di un nono pianeta del Sistema Solare. Le Verrier però contemporaneamente si concentrò anche sull'osservazione del moto di Mercurio, scoprendo il fenomeno noto come precessione della linea degli apsidi di questo pianeta. La linea degli apsidi è quella che congiunge perielio ed afelio passando per il Sole; il fenomeno scoperto dall'astronomo francese consiste insomma nella lenta rotazione del perielio del primo pianeta attorno al Sole alla velocità di 43 secondi d'arco in un secolo, cosicché il moto orbitale di questo pianeta assomiglia ad una stella di Natale, piuttosto che ad un'ellisse. Urbain Le Verrier allora ipotizzò l'esistenza di un nuovo pianeta, da lui battezzato Vulcano, più vicino al Sole di Mercurio e quindi invisibile a causa dello splendore dell'astro, che ne perturberebbe l'orbita trascinandola. I fatti gli diedero ragione: durante l'eclisse solare totale del 29 luglio 1878, James Craig Watson (1838-1880), direttore dell'Osservatorio di Ann Arbor nel Michigan, scoprì un pianeta intramercuriale molto vicino al punto in cui i calcoli di Le Verrier avevano previsto che avrebbe dovuto trovarsi Vulcano: ora i pianeti erano nove. Watson misurò la distanza media dal Sole di Vulcano, pari a 21 milioni di chilometri (appena 0,14 unità astronomiche), il suo periodo di rivoluzione di soli 19 giorni e 17 ore, e l'inclinazione dell'orbita sul piano dell'eclittica pari a 12° 10': l'elongazione dal Sole non sarebbe stata superiore agli 8 gradi, e ciò spiegava perchè nessuno fino ad allora lo avesse mai osservato. Nel corso del Novecento furono poi scoperti altri oggetti celesti intramercuriali, e ci si rese conto che all'interno dell'orbita di Mercurio esisteva una vera e propria fascia di piccoli asteroidi, chiamati Vulcanoidi, resi incandescenti dalla vicinanza dell'astro solare.
Purtroppo Le Verrier morì senza aver avuto la soddisfazione di vedere la scoperta né di Vulcano né del previsto pianeta transnettuniano, battezzato provvisoriamente Pianeta X perchè X rappresenta sia l'incognita matematica che il numero romano di valore 10. E così, della ricerca di quest'ultimo si incaricarono gli astronomi statunitensi William Henry Pickering (1858-1938) e Percival Lowell (1855-1916). Essi utilizzavano un metodo diverso da quello dei loro predecessori: scattavano a distanza di tempo delle fotografie della stessa regione di cielo, e poi, confrontando le lastre, studiavano se qualche puntino su di esse si muoveva rispetto alle stelle fisse, segno certo del fatto che doveva trattarsi di un asteroide, una cometa o un pianeta. Per decenni, tuttavia, la ricerca non diede alcun risultato. Solo il 18 febbraio 1930 l'astronomo americano Clyde Tombaugh (1906-1997) scoprì un nuovo corpo celeste nella posizione calcolata da Lowell, e lo battezzò Plutone, perchè le sue prime due lettere sono le iniziali di Percival Lowell. Il pianeta fu in seguito ritrovato in fotografie risalenti al 19 marzo 1915. Il decimo pianeta era stato finalmente trovato.
L'orbita del Tredicesimo Pianeta appena scoperto
A dir la verità, Plutone era stato trovato quasi esattamente nella posizione prevista dai calcoli teorici di Le Verrier e Lowell, per cui inizialmente si credette di aver trovato il corpo celeste in grado di perturbare Urano e Nettuno. Con il passare degli anni, tuttavia, le misurazioni effettuate rivelarono che Plutone, pur avendo le dimensioni della Terra, era di gran lunga troppo piccolo per spiegare le perturbazioni osservate, e si pensò quindi che non si potesse trattare dell'ultimo pianeta del Sistema Solare, ma che esistesse un undicesimo pianeta delle dimensioni di Urano e Nettuno. La scoperta di Plutone insomma era stata casuale, trovandosi quel corpo celeste al posto giusto nel momento giusto, mentre si dava la caccia a qualcosa d'altro. Partì così la caccia all'undicesimo pianeta, le cui ricerche durarono oltre cinquant'anni. Alla fine, James Walter Christy (1938-vivente) e Robert Harrington (1942-1993) il 22 giugno 1978 riuscirono nell'impresa ed osservarono un grande corpo celeste posto al di là di Plutone, con una massa pari a cinque volte quella della Terra, e l'orbita inclinata di oltre 44° rispetto all'eclittica. Questo mondo oscuro e freddo, con una temperatura superficiale di appena 30 Kelvin, ha un albedo pari a 0,96 ed un'orbita molto eccentrica, che lo porta da una distanza minima dal Sole di 5,6 miliardi di km ad una massima di 14,6 miliardi di Km, circa il doppio della distanza massima di Plutone dal Sole. Il suo periodo di rivoluzione è pari a 557 anni, si stima che ruoti su se stesso in circa venti ore, e il suo raggio presunto è pari a sette volte quello della Terra. Si pensa che si tratti di un gigante gassoso la cui atmosfera è solidificata intorno ad un nucleo roccioso per via delle bassissime temperature. Ad esso fu imposto il nome di Persefone, la regina degli Inferi e sposa di Plutone nella mitologia greca. Poco tempo dopo Christy scoprì due satelliti di Persefone, che battezzò Cerbero e Minosse, rispettivamente il guardiano trifauce e il giudice dell'oltretomba ellenico.
I parametri orbitali di Persefone spiegano perfettamente le anomalie nelle orbite di Urano e di Nettuno, per cui si pensava che a questo punto la "caccia" ai pianeti del Sistema Solare fosse conclusa. Ma ci sbagliavamo. Infatti, poco dopo la scoperta di Persefone, cominciarono a fioccare le osservazioni di oggetti transnettuniani, il primo dei quali fu (15760) 1982 QB1, scoperto il 30 agosto 1982 da David C. Jewitt e Jane X. Luu dall'Osservatorio di Mauna Kea nelle Hawaii. Quello fu il primo oggetto conosciuto della cosiddetta "fascia di Edgeworth-Kuiper", dal nome dei due astronomi Kenneth Edgeworth (1880-1972) e Gerard Kuiper (1905-1973), una famiglia di corpi celesti minori la cui orbita è esterna rispetto a quella di Nettuno, dalla distanza di 30 unità astronomiche fino a 50 unità astronomiche dal Sole, costituita in gran parte da asteroidi di natura non rocciosa, ma composti da sostanze volatili congelate, come ammoniaca, metano e acqua. Spesso tali oggetti sono in risonanza orbitale con Nettuno, nel senso che i loro periodi orbitali sono in rapporto 3:2 con quello dell'ottavo pianeta. Nessuno degli oggetti scoperti negli ultimi due decenni del Novecento, tuttavia, aveva dimensioni e forma compatibili con quelle di un pianeta. Tuttavia, la distribuzione degli oggetti della fascia di Edgeworth-Kuiper secondo la distanza dal Sole mostra una brusca interruzione a 48 unità astronomiche, distanza nota come "scogliera di Kuiper". Le stime della massa primordiale necessaria per formare Urano, Nettuno e Plutone suggerivano che il numero di oggetti di grandi dimensioni dovrebbe aumentare di un fattore due oltre le 50 unità astronomiche, quindi aver osservato una scarsa presenza di oggetti oltre questa distanza fu un risultato inatteso. Una possibile spiegazione fu proposta dall'astronomo brasiliano Rodney Gomes: il materiale presente a quella distanza non aveva potuto formare oggetti di dimensioni medio-grandi per via dell'interazione gravitazionale con un oggetto di massa planetaria ancora sconosciuto. E così, la caccia al pianeta mancante ricominciò.
Nel frattempo, il 14 novembre 2003 Michael Brown del California Institute of Technology, Chad Trujillo dell'Osservatorio Gemini e David Rabinowitz della Yale University scoprirono un altro corpo celeste ancora più lontano, battezzato con il nome provvisorio di 2003 VB12, e successivamente con il nome di Sedna, la dea Inuit del mare. Esso si trovava alla distanza più grande alla quale qualsiasi corpo celeste del sistema solare fosse mai stato osservato: oggi sappiamo che si muove su di un'orbita estremamente ellittica con il perielio situato a 76 unità astronomiche e l'afelio a oltre 900 unità astronomiche dal Sole, cioè la bellezza di cinque giorni luce dalla nostra stella! Il periodo orbitale di Sedna raggiunge addirittura gli 11.487 anni. Sedna appare particolarmente rosso, probabilmente perchè ricoperto da un idrocarburo, la tolina. Ha una temperatura superficiale di appena 23 Kelvin, e si stima che il suo diametro sia di circa 4700 km, paragonabile a quello di Mercurio; per questo essa è stata considerata il dodicesimo pianeta del Sistema Solare. Si pensa che Sedna possa essere il primo oggetto conosciuto della Nube di Oort, il serbatoio dei nuclei cometari che si estenderebbe fino a 1,5 anni luce dal Sole.
Ed arriviamo al giorno d'oggi, quando proprio nella "Scogliera di Kuiper" è stato individuato questo nuovo corpo celeste, che potrebbe avere le caratteristiche per spiegare il "buco" nella fascia di Edgeworth-Kuiper. Sulla base dell'albedo, si pensa che esso abbia un diametro di 6000 km, paragonabile a quello di Marte. Il tredicesimo pianeta è stato così aggiunto al nostro Sistema Solare, e si è scoperto che possiede anche un satellite, esso pure ancora senza nome. Gli astronomi che hanno scoperto il nuovo pianeta gli hanno assegnato il nome provvisorio di "Xena", in onore della principessa guerriera di una nota serie televisiva statunitense, ma probabilmente l'Unione Astronomica Internazionale ne adotterà uno legato alla mitologia classica. Comunque, evidentemente qualcuno già immaginava che il Sole potesse avere così tanti pianeti, se nel 1977 il giapponese Leiji Matsumoto creò la serie a cartoni animati "Danguard", la quale ruota proprio attorno alla ricerca di un tredicesimo pianeta del Sole, in quel caso chiamato Prometeo! Il titolo di questo articolo rappresenta proprio un omaggio alla sigla di quel fortunato cartone animato.
Siccome però il numero 13 porta sfortuna in molte culture umane, c'è da scommettere che partirà subito la corsa all'osservazione del pianeta numero quattordici. E dopotutto questa specie di caccia al tesoro planetaria è una metafora della curiosità umana, che non si accontenta mai di quanto ha già scoperto, ma cerca sempre nuovi obiettivi da centrare, seguendo il consiglio dell'Ulisse dantesco: « non vogliate negar l'esperïenza, / di retro al sol, del mondo sanza gente. / Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza » (Inf. XXVI, 116-120). Ma la caccia ai pianeti sconosciuti ha avuto un'altra, importantissima ricaduta sulla nostra civiltà: ha tenuto costantemente viva tra i governi e tra le masse l'attenzione per lo spazio e per le imprese missilistiche. Proprio grazie a tale attenzione, gli USA non hanno abbandonato il Programma Apollo, hanno continuato l'esplorazione spaziale con equipaggi umani, e così nel 1977 è avvenuto il primo sorvolo di Venere da parte di una navetta con tre astronauti a bordo, nel 1986 la Capricorn 9 con sei uomini a bordo è sbarcata sul Pianeta Marte. Nel 1989 è stata stabilita sulla Luna la Base Internazionale Alpha, la prima base permanentemente abitata; essa è gestita congiuntamente da europei, russi, americani, cinesi, giapponesi, indiani e brasiliani, e primo comandante è stato designato l'inglese John Koenig. Oggi abbiamo basi semipermanenti su Marte e sui satelliti più esterni di Giove, e siamo stati in grado di far sbarcare un equipaggio umano europeo persino sul nucleo ghiacciato di una cometa; e questo, dopotutto, lo dobbiamo anche alla nostra ostinazione nell'inseguire le orbite di pianeti ancora sconosciuti.
[Nota: il titolo dell'articolo rappresenta in effetti un tributo alla sigla di chiusura dell'anime giapponese "Danguard", che però nel nostro universo recita: « con te raggiungeremo / la nostra nuova meta, / il decimo pianeta, / il decimo pianeta! » Sempre nella nostra Timeline il 29 luglio 2005 venne annunciata la scoperta di Eris, Haumea e Makemake, tre ben noti oggetti transnettuniani di grandi dimensioni; (136199) 2003 UB313 in particolare è la designazione di Eris. Anche dalle nostre parti l'ESO ha sede a Garching in Germania, ma il VLT e gli altri osservatori astronomici sono stati costruiti sul Cerro Paranal, nel Cile settentrionale. Il Large Hadron Collider è entrato in funzione solo il 20 novembre 2009, e le particelle supersimmetriche non sono ancora state scoperte, anche se si spera che l'LHC possa farlo. La scoperta di Nettuno è avvenuta come qui descritto anche dalle nostre parti, ma la sonda americana Voyager 2, che negli anni settanta e ottanta sfruttò un raro allineamento planetario per visitare in sequenza Giove, Saturno, Urano e Nettuno, inviò a terra una quantità eccezionale di dati, la cui analisi rivelò che le misure della massa di Urano e Nettuno comunemente accettate in precedenza erano lievemente sbagliate. Le orbite calcolate con le nuove masse non mostravano alcuna anomalia, il che escludeva categoricamente la presenza di qualunque gigante gassoso più esterno di Nettuno. Il "nostro" Plutone non ha le dimensioni della Terra, il suo diametro è di soli 2368 km. Effettivamente il 29 luglio 1878 James Craig Watson affermò di aver osservato un pianeta intramercuriale, ma nessun altro riuscì a confermare la scoperta, ed oggi si pensa che quello osservato dall'astronomo americano fosse soltanto un asteroide di passaggio, o addirittura una macchia solare scambiata per un pianeta. La precessione della linea degli apsidi di Mercurio fu poi interpretata da Albert Einstein nell'ambito della sua teoria della Relatività Generale, e sull'ipotetico Vulcano calò l'oblio. Anche degli asteroidi Vulcanoidi, nella cui esistenza qualcuno crede tuttora, non ne è mai stato osservato neppure uno. James Walter Christy è davvero un astronomo statunitense, ma il 22 giugno 1978 non scoprì l'Undicesimo Pianeta, bensì Caronte, il maggior satellite di Plutone. Il primo oggetto della fascia di Kuiper fu (15760) 1992 QB1, scoperto il 30 agosto 1992, non 1982. I parametri orbitali di Sedna sono corretti, ma il suo diametro nel nostro universo non supera i 1800 km. Anche Eris non ruota a 55 unità astronomiche dal Sole, ha un'orbita compresa fra le 37,77 e le 97,56 unità astronomiche, e il suo diametro si aggira sui 2350 km: nella fascia di Edgeworth-Kuiper non vi è alcun mondo a noi noto delle dimensioni di Marte. È però vero che, appena scoperto, fu battezzato con il nome informale di "Xena". Quanto all'esplorazione umana del Sistema Solare, la Capricorn 9 è un omaggio al film "Capricorn One" di Peter Hyams. La sonda Rosetta dell'Agenzia Spaziale Europea, lanciata il 2 marzo 2004, il 12 novembre 2014 è effettivamente riuscita a far atterrare il lander Philae sul nucleo della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, ma ovviamente la missione non aveva equipaggio umano. Invece la Base Lunare Alpha e il suo intrepido comandante John Koenig sono un evidente tributo alla serie di fantascienza "Spazio 1999", una delle mie preferite.]
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Dal numero 277/XIII del 4 ottobre 2007:
UNO
SCHIANTO A ROSWELL, OVVERO:
PERCHÉ GLI YANKEES CI HANNO BATTUTI NELLA CORSA ALLO SPAZIO
L'arrivo oggi a Washington della delegazione ufficiale degli Asgard, in visita di stato al Presidente USA Arnold Schwarzenegger, ci offre lo spunto per rievocare, a cinquant'anni esatti di distanza dalla messa in orbita del primo satellite artificiale, l'americano "Explorer I", e a poco più di sessant'anni dai fatti di Roswell, come iniziarono i lunghi rapporti di amicizia tra noi terrestri e le altre razze intelligenti che popolano questo settore di galassia. Come si sa, l'inizio dell'avventura spaziale umana coincise con un periodo di forte tensione (oggi chiamato "Guerra Fredda", sebbene in alcune zone del mondo come Vietnam e Cuba tale guerra fosse in realtà caldissima) tra gli Stati Uniti d'America da un lato e l'Unione dei Popoli Europei dall'altro. Tale inimicizia era iniziata all'indomani della Seconda Guerra Mondiale, quando si trattò di dividere le spoglie (e le ricchezze) dell'Unione Sovietica e le risorse dei paesi in via di sviluppo, e ben presto si tradusse in una rivalità in ogni campo, ivi incluso quello scientifico e tecnologico. Valendosi della collaborazione tra il tedesco Wernher von Braun, un tempo al servizio di Hitler, e l'italiano Giuseppe Colombo detto Bepi, l'Unione Europea iniziò a pensare ad imprese missilistiche fin dal 1952, ma gli USA batterono sul tempo il governo di Bruxelles, inviando per primi un satellite artificiale in orbita terrestre. Gli Europei allora cercarono di colmare il gap spaziale, ma rimasero costantemente indietro rispetto agli americani: il 12 aprile 1961 John Glenn divenne il primo uomo ad orbitare intorno al nostro mondo; il 14 luglio 1965 la sonda americana Mariner 4 effettuò il primo sorvolo ravvicinato di Marte a 9.800 chilometri dalla sua superficie, ed infine il 20 luglio 1969 due astronauti a stelle e strisce, Neil Armstrong ed Edwin "Buzz" Aldrin, passeggiarono per primi sulla superficie lunare, mentre il loro collega Michael Collins li attendeva in orbita.
Come si spiega questa netta superiorità dell'americana NASA sull'agenzia spaziale europea, l'ESA, nonostante quest'ultima potesse contare su due geni del calibro di Von Braun e Colombo, che infatti portarono a termine altre spettacolari imprese spaziali, come il primo sorvolo dei poli del Sole e il primo atterraggio di una sonda automatica su di un pianeta extraterrestre, Venus 7 sul pianeta Venere, il 15 dicembre 1970? Tutto questo insospettì più di uno su entrambe le sponde dell'Atlantico, finché il 3 luglio 1972 il Presidente USA Robert Francis Kennedy non decise di rivelare finalmente al mondo ciò che era davvero successo a Roswell, nel Nuovo Messico, la notte tra il 3 e il 4 luglio 1947. I servizi di informazione divulgarono la notizia secondo cui quel giorno nel deserto si era schiantato un pallone sonda appartenente alla United States Air Force, e i dubbi avanzati da alcuni giornali, come il "San Francisco Chronicle", furono catalogati come illazioni e tentativi di infangare l'aviazione americana. In realtà, quando le forze armate di Washington erano giunte nel ranch dove era avvenuto lo schianto, si erano accorte che ad essersi schiantato era stato un disco volante, dunque un velivolo dalla foggia mai vista prima. A bordo del veicolo furono ritrovate tecnologie incompatibili con quelle terrestri, perchè eccezionalmente più avanzate di quelle possedute da qualunque governo del nostro mondo, due alieni privi di vita ed uno in gravi condizioni, ma vivo. I rottami, i corpi e l'alieno vivo furono portati in gran segreto alla base militare di Wright Patterson e, in seguito, all'interno della cosiddetta Area 51, una base militare segreta statunitense, fino ad allora dedicata allo sviluppo di nuove armi nucleari. Quell'alieno apparteneva alla specie degli Asgard, umanoidi alti circa un metro con arti sottili e sinuosi, pelle grigia e glabra, testa globosa ed occhi neri, che ebbero origine sul pianeta Othala, a circa 6000 anni luce dalla Terra. Attorno al 28.000 a.C., quando l'umanità era ancora immersa nella Preistoria, essi iniziarono ad esplorare la Galassia, e si spinsero fino alla Terra. Le loro astronavi a forma di disco volante cominciarono così ad essere osservate dagli antichi, che li descrissero come "scudi di fuoco" ("clypei ardentes") o come "torce volanti"; tra gli altri, Diodoro Siculo racconta che il condottiero greco Timoleone avvistò una torcia volante durante un viaggio in mare tra la Grecia e la Sicilia. Alcuni artisti del Rinascimento li ritrassero nelle loro opere, come la "Tebaide" di Paolo Uccello, nella quale compare un oggetto volante a forma di cappello da prete, e Benvenuto Cellini affermò di aver avvistato una torcia volante vicino a Firenze nel 1550. Oggi sappiamo che tutte queste manifestazioni si devono a visite in incognito degli Asgard, che già da molto tempo studiavano la Terra, da loro scoperta verso il 15.000 a.C., cercando di non rivelarsi per non contaminare lo sviluppo tecnologico autoctono.
A sinistra: Mestral, l'esploratore Asgard che si schiantò a Roswell nel 1947. A destra: la notizia su un giornale locale |
Dopo aver curato l'alieno ferito, il cui nome era Mestral, il governo degli Stati Uniti gli chiese di aprire un canale di comunicazione segreto con il suo popolo. Siccome ormai gli Yankees avevano analizzato i resti dell'UFO e avevano ricavato da esso tecnologie ad essi sconosciute, come ad esempio il velcro, Mestral si rese conto che ormai la frittata era fatta e la tecnologia terrestre era stata inevitabilmente già contaminata, per cui acconsentì a mettere in contatto l'esercito americano con l'Alto Consiglio Asgard, che ora aveva sede sul pianeta Orilla, a 4500 anni luce dalla Terra. Inizialmente non solo il popolo degli Stati Uniti, ma anche il Congresso fu tenuto all'oscuro della scoperta di una civiltà aliena altamente avanzata, la verità sui contatti con gli Asgard fu secretata, e solo il Presidente, il Vicepresidente ed alcuni alti esponenti dell'Esercito furono informati della cosa. Naturalmente tutti costoro cominciarono a smentire con forza l'esistenza di astronavi extraterrestri nei cieli americani, sostenendo che i "presunti" UFO in realtà erano solo aerei spia europei e russi o semplici fenomeni naturali. Questa "congiura del silenzio" durò un quarto di secolo, e il governo USA sfruttò l'occasione per chiedere ai piccoli ma evoluti alieni di firmare un Trattato di Alleanza che prevedeva la fornitura di tecnologie avanzate in campo medico e spaziale, in cambio della possibilità di studiare più da vicino la flora e la fauna terrestre, e della fornitura di truppe scelte in caso di eventuali guerre contro altre razze della Galassia. L'Alto Consiglio, presieduto da Penigal, respinse tuttavia la proposta, non volendo fornire agli USA un vantaggio tattico sulle altre nazioni della Terra, che avrebbe permesso loro di instaurare di fatto una dittatura militare, e si limitò ad inviare alcuni scienziati, tra i quali vi era l'alieno Thor, per assistere gli ingegneri americani che stavano avviando il loro programma spaziale, in cambio di campioni di flora e fauna terrestri da studiare ed eventualmente trapiantare su altri mondi.
Non era molto, ma la presenza di Thor nella sede della NASA permise agli Americani di colmare il gap tecnologico con gli Europei e di batterli sul tempo nella corsa allo spazio. Il 3 giugno 1965, durante la prima attività extraveicolare americana ad opera di Edward H. White, l'astronauta eseguì un rendez-vous con un disco volante degli Asgard; e quando Amstrong e Aldrin scesero dal modulo "Eagle" dell'Apollo 11, trovarono ad aspettarli un gruppo di Asgard che avevano riattivato una loro vecchia base proprio nel Mare della Tranquillità, circa 20 km a sudovest del cratere Sabine D. A questo punto, però, molti cominciavano a sospettare che dietro i trionfi dell'Agenzia Spaziale Americana si nascondesse qualcosa di poco chiaro, e questo non solo sulla sponda orientale, ma anche su quella occidentale dell'Oceano Atlantico. Una commissione indipendente del Congresso rivelò che il primo Presidente USA di colore, Martin Luther King jr., era stato assassinato il 22 novembre 1963 proprio perchè aveva intenzione di divulgare al mondo i contatti fra statunitensi ed alieni, e ciò rende bene il clima che si era creato attorno alla strana alleanza tra Yankees ed Asgard. Quando cominciarono ad essere diffuse le foto del nostro Satellite scattate dalle missioni Apollo, alcuni si accorsero che esse erano state sottoposte a fotomontaggio per cancellare le tracce della presenza degli Asgard e dei loro dischi volanti, e ci fu addirittura un giovane giornalista italiano, di nome Paolo Frajese, il quale si accorse che vi era un individuo riflesso nel casco dell'astronauta Pete Conrad, comandante della missione Apollo 12. A questo punto non fu più possibile mantenere il segreto, e il Presidente Bob Kennedy mandò in onda il suo storico annuncio. L'umanità non era sola nello spazio.
A partire da quel giorno, nulla fu più come prima. Dopo lo stupore e lo sconcerto iniziale, le altre nazioni protestarono con gli USA per aver mantenuto il segreto così a lungo su un evento cruciale della storia umana, ma poi decisero di partecipare alla spartizione della torta. Anche l'Unione dei Popoli Europei, l'Impero Russo, il regime Nazionalista cinese, la Repubblica Giapponese stabilirono relazioni con l'Alto Consiglio Asgard e con altri popoli della Galassia, iniziando le trattative per lo scambio di conoscenze. I filosofi, i sociologi, gli antropologi, gli psichiatri ebbero molto da fare, per studiare l'impatto che sulle masse terrestri ebbe la scoperta di civiltà extraterrestri, che per di più collaboravano già da tempo con una nazione del nostro pianeta. Papa Paolo VI ricevette in Vaticano l'ambasciatrice Asgard Freyr, e scrisse l'Enciclica "Laetamur Admodum", ottava del suo pontificato, per annunciare al popolo cristiano come la scoperta di altre civiltà evolute non faceva altro che dimostrare l'infinito Amore di Dio verso la Sua Creazione. Dopo l'improvviso smarrimento dei primi momenti, l'umanità digerì la novità e cominciò a non considerare più una stranezza, vedere atterrare nei suoi aeroporti dei dischi volanti carichi di piccoletti extraterrestri venuti a conferire con gli scienziati o i politici del nostro mondo. Sono persino fiorite nuove religioni, che adorano gli alieni come salvatori del genere umano inviati da Dio per evitare la nostra estinzione in seguito a una catastrofe termonucleare!
Nei 35 anni trascorsi dallo storico discorso di Bob Kennedy, la civiltà umana ha fatto grandi passi avanti, ed oggi l'Unione dei Popoli Europei ha la sua nave iperspaziale, la Odyssey, che funziona grazie a un motore gravitazionale, la cui tecnologia è stata condivisa con noi proprio dagli Asgard. Il suo principio di funzionamento è semplice: tramite un opportuno campo graviscalare generato dal motore, è possibile variare il valore della massa gravitazionale e ridurla a piacimento, creando artificialmente una sorta di "schermo gravitazionale" tale che sotto di esso permane la solita accelerazione di gravità, mentre al di sopra di esso la gravità è minore. Ora, quando si guida un veicolo, accelerare e decelerare bruscamente porta, a causa dell'inerzia, ad essere sballottati avanti e indietro, e seguendo una traiettoria con curvatura elevata si viene spinti fortemente a destra o a sinistra. Ma se il nostro veicolo è schermato gravitazionalmente in maniera che venga ridotta drasticamente l'attrazione gravitazionale tra esso ed il resto dell'universo, allora le forze di inerzia locali vengono fortemente ridotte. Questo rende possibile il virare ad angolo retto, accelerare e decelerare repentinamente, invertire rapidamente direzione di marcia, e naturalmente accelerare fin quasi alla velocità della luce per entrare nell'iperspazio, senza che il guidatore del veicolo subisca le normali conseguenze che lo porterebbero alla morte a causa dei violenti contraccolpi. Questo spiega perchè i numerosi avvistamenti di UFO (che oggi sappiamo tutti essere veicoli Asgard) riferivano di manovre apparentemente impossibili con accelerazioni e decelerazioni straordinarie, virate ad angolo retto e inversioni di marcia repentine!
Proprio grazie al motore gravitazionale e al salto nell'iperspazio, noi popoli della Terra abbiamo iniziato l'esplorazione dei sistemi stellari vicini: noi europei in particolare abbiamo fondato la prima base stabile su un pianeta extrasolare, e precisamente su Prometeo, come è stato battezzato il pianeta di tipo terrestre più vicino a noi, che ruota intorno alla stella Epsilon Eridani, a 10,5 anni luce da noi. Si pensa che nel 2015 potrà cominciare la colonizzazione di quel pianeta da parte di famiglie di contadini e di minatori: Prometeo infatti è coperto da una lussureggiante vegetazione di alberi dalle tipiche foglie rosse, anche se è completamente privo di forme di vita animali e di esseri senzienti superiori, e il suo sottosuolo nasconde molti metalli indispensabili per la nostra tecnologia. Purtroppo anche molti gruppi terroristici attivi in varie zone "calde" del mondo hanno ottenuto l'amicizia (più che interessata) di alieni tutt'altro che amichevoli, i Goa'uld, esseri simbionti originari del lontano pianeta P3X-888 che parassitano umanoidi, e da millenni sono in guerra con gli Asgard. Tutto lascia dunque pensare che, in un futuro più o meno prossimo, le beghe tra i popoli della galassia troveranno una loro succursale sul pianeta Terra. Gli Asgard però sono potenti e tecnologicamente avanzati, e i Goa'uld li temono; la nostra fortuna è stata quella di metterci in contatto con loro, prima che con i simbionti guerrafondai e assetati di potere, in quella lontana notte stellata del Far West quando il primo disco volante alieno fece naufragio sul nostro pianeta, allorché eravamo ancora bambini e credevamo di essere i soli esseri senzienti dell'intero universo.
[Nota: gli Asgard rappresentano un piccolo tributo all'universo di "Stargate SG-1", e sono stati scelti per comparire in questo articolo per via della loro somiglianza con i famosi alieni di Roswell. Il 4 ottobre rappresenta in effetti la data del lancio del primo satellite artificiale terrestre, ma si parla del sovietico "Sputnik I", non dell'americano "Explorer I" che fu lanciato solo il 31 gennaio 1958. Il primo uomo nello spazio (almeno il primo che rientrò vivo) fu il sovietico Jurij Alekseevič Gagarin, mentre John Glenn volò il 20 febbraio 1962; è vero invece che Mariner 4 fu la prima sonda automatica a sorvolare con successo Marte. I fatti di Roswell andarono come qui sono descritti, con l'unica differenza che nella nostra Timeline a schiantarsi nel Nuovo Messico fu un pallone sonda. Il velcro in realtà fu inventato nel 1941 da Georges de Mestral (1907-1990); il suo nome ha qui ispirato quello dell'alieno di Roswell. Papa Paolo VI scrisse solo sette encicliche; "Laetamur Admodum" è un'enciclica di Pio XII che nulla ha a che fare con gli alieni. Othala, Orilla, l'astronave Odyssey e i malvagi Goa'uld sono tutti omaggi al franchise di "Stargate SG-1". Epsilon Eridani è davvero la stella più vicina al Sole ad avere le sue stesse caratteristiche ed un sistema planetario simile al nostro; si pensa che il suo pianeta ε Eridani b sia effettivamente di tipo terrestre, ed è quello che qui viene battezzato Prometeo, un altro omaggio all'anime giapponese "Danguard".]
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Dal numero 179/XIV del 27 giugno 2008:
L'ENERGIA LIBERA DI NIKOLA TESLA
Ricorre oggi il centenario dell'introduzione del FES (Free Energy System), sviluppato da Nikola Tesla presso i laboratori ETEC (Edison-Tesla Electric Company) di New York. Riassumiamo a grandi linee la storia di questa grande scoperta, che permette da un secolo alla razza umana di affrancarsi dalla prigionia dei cavi elettrici:
1884: Tesla viene assunto da Edison.
1885: come ordinatogli, Tesla riprogetta il generatore di corrente continua di Edison; il magnate americano è totalmente entusiasma del lavoro dell'inventore serbo; comprendendo le sue potenzialità, lo fa diventare suo socio.
1886: Tesla riesce a convincere Edison che, per le lunghe distanze, la trasmissione di corrente alternata è più
efficiente di quella continua.
1890: la ETEC domina il mondo della distribuzione della corrente alternata.
1892: grazie alle sostanziose finanze della società, Tesla è in grado di produrre il primo sistema di trasmissione senza fili dell'energia, la
"Wardenclyffe Tower".
1893: Tesla si rende conto della scarsa efficienza del sistema, e cerca in tutti i modi di migliorarlo, ma senza successo; in cambio riesce ad ottenere la trasmissione a distanza di segnali elettrici modulati, segnando l'inizio del telegrafo senza fili.
1894: problemi di salute costringono Tesla ad una lunga pausa dal lavoro in laboratorio; lo scienziato ne approfitta per occuparsi di altri lavori, più teorici; in questo periodo entra in contatto epistolare con Wilhelm
Röntgen, che sta studiando una bizzarra forma di energia a cui ha dato il nome di "Raggi X".
1895: la morte di tre aiutanti, unita alle informazioni ricevute da Röntgen, fanno capire a Tesla il pericolo per la salute umana dato da massicce quantità di radiazioni elettromagnetiche; sconvolto dal rimorso, lo scienziato serbo abbandona del tutto il progetto.
Röntgen capisce che anche i raggi X hanno lo stesso problema, e quindi usa più cura nel maneggiare le sue apparecchiature; morirà il 12 agosto 1932, a 87 anni.
Anche i coniugi Curie e Henri Becquerel adottano analoghe misure di sicurezza, nelle loro ricerche sul polonio e l'uranio; i prodotti a base di sostanze radiottive, che sembravano inizialmente la panacea di tutti i mali, vengono immediatamente distrutti.
1898: la ETEC riesce a sviluppare un sistema per trasmettere via radio non solo segnali continui (Morse), ma anche voce e musica; nasce la radio commerciale.
1901: cercando di eliminare i problemi di trasmissione della radio, Tesla intuisce l'esistenza della ionosfera; studiandola, lo scienziato scopre che essa ha delle specifiche frequenze di risonanza; colpito dalla scoperta, Tesla comincia a riguardare i suoi vecchi appunti sulla trasmissione a distanza dell'energia.
1905: Tesla elabora la teoria matematica della "Risonanza
Tesla"
1906: grazie ai suoi studi sulla ionosfera e sulla risonanza Tesla, lo scienziato riceve il Nobel per la fisica.
1907: il 27 giugno Tesla riesce a produrre il primo generatore FES nella sua vecchia Wardenclyffe Tower, col quale riesce ad accendere un macchinario posto nei laboratori della ETEC, a quasi 15 km di distanza.
Esperimenti successivi, con varie cavia animali e vegetali, dimostrano che il sistema è assolutamente sicuro per la salute degli esseri viventi; inoltre il sistema non influisce con le trasmissioni radio, contrariamente a quanto temeva Edison.
Nel giro di dieci anni non ci sarà apparecchio, negli Stati Uniti, che non sia alimentato dal sistema FES; grazie ad essa, l'esercito americano dominerà i campi di battaglia della
Grande Guerra. Entro il 1940 la ETEC deterrà il monopolio della distribuzione a distanza dell'energia, in tutto il mondo.
Nikola Tesla accanto alla sua Wardenclyffe Tower
Il principio del FES è il seguente: le normali radiazioni elettromagnetiche non-ionizzanti sono composte da onde trasversali (simili alle oscillazioni verticali sulla superficie di un liquido); attraversando la materia, queste onde possono provocare fenomeni di eccitazione degli atomi, con lo sviluppo di calore e di correnti parassite; questi due fenomeni sono particolarmente gravi nel caso degli esseri viventi, visto che possono portare a danneggiamenti dei loro tessuti.
All'interno del plasma (come quello presente nella ionosfera) le radiazioni elettromagnetiche si convertono parzialmente in onde longitudinali (onde di compressione, simili alle onde acustiche); le onde longitudinali disperdono molta meno energia nel mezzo che attraversano (onde soliton), rispetto a quelle trasversali, provocando quindi molto meno danno anche in caso di potenze molto maggiori.
I generatori FES trasformano onde trasversali in onde longitudinali all'interno della ionosfera, con un'efficienza prossima al 100% e una dissipazione pressochè nulla. A questo punto speciali ricevitori (le "Bobine FES" o "Bobine Tesla"), calibrati sulle frequenze Tesla, assorbono le onde longitudinali e le ritrasformano in elettricità. A seconda delle dimensioni, una bobina FES può alimentare qualsiasi cosa, da un orologio da polso ad un transatlantico.
Teoricamente non è impossibile costruirsi da soli una bobina FES, ma la sua efficenza e sicurezza saranno enormemente inferiori a quelle ufficiali, mentre il costo sarà molto più alto. La scelta di produrre le bobine in unico laboratorio al mondo (là dove un tempo sorgeva la Wardenclyffe Tower), è una precisa scelta della ETEC; visto che non c'è modo calcolare la quantità di energia che passa attraverso una bobina, l'unico modo che la ETEC ha di guadagnarci è "affittare" le bobine per un certo costo mensile (che dipende dalle dimensioni del ricevitore), dietro presentazione di validi documenti di identità; inoltre ogni bobina ha un numero di serie, quindi è sempre possibile individuarne il proprietario (informazione utile nel caso di mancati pagamenti o di usi illegali della bobina).
[Nota: questo articolo è stato scritto da MattoMatteo, il quale ha tratto ispirazione da questo sito. Nikola Tesla fu una delle menti più brillanti dell'intera storia dell'umanità, ma da molti è considerato un folle per le sue idee eccentriche ed eterodosse. Questo articolo intende rendergli giustizia, e ci riesce molto bene.]
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Dal numero 226/XV del 14 agosto 2009:
BUNYIP AUSTRALIS, SULLA SCIA DEL NESSIOSAURO
Ricordate il telefilm svedese anni '70 "Karlsson sui tetti"? Esso, tratto da un racconto di Astrid Lingren, narrava la storia di una famigliola composta da mamma, papà e tre figli che abitano in un grande condominio sul cui tetto vive Karlsson, un personaggio strano e cicciottello che vola grazie ad un marchingegno a elica posto sulla schiena, attivabile premendo un bottone vicino all'ombelico. Karlsson fa amicizia con Svante detto Fratellino, il più piccolo della famiglia, che vola sulla sua schiena al di sopra dei tetti della città di Stoccolma, e poi racconta in casa le sue avventure vissute insieme al suo strano amico, ma nessun altro della famiglia riesce a vederlo. Tutti credono che questo Karlsson sia il suo amico immaginario, fino alla fine della serie, quando Svante si prenderà una bella rivincita e tutti gli crederanno. Bene, questa situazione si è ripetuta migliaia di volte nella storia della scienza. Spesso scienziati e storici hanno annunciato scoperte clamorose cui nessuno ha creduto, giungendo al punto di negare l'evidenza. Nessuno credette a Copernico prima e a Galileo poi, quando asserirono, prove alla mano, che è la Terra a ruotare attorno al Sole, e non viceversa. Tutti gli storici ripetevano ad Heinrich Schliemann che Troia non era mai esistita e che il conflitto cantato da Omero apparteneva solo alla leggenda, fino a che lo scienziato prussiano non disseppellì la leggendaria città di Priamo sulla collina di Hissarlik. Ed anche la tigre maltese, dal tipico manto color ardesia, era creduta esistere solo nelle leggende popolari cinesi, prima che l'esploratore americano Roy Chapman Andrews ne catturasse alcuni esemplari vivi nel 1924 nella provincia cinese del Fujian!
La stessa vicenda si è ripetuta anche per il Bunyip australiano, per secoli creduto solo un criptide da film horror o uno spirito maligno della tradizione religiosa degli Aborigeni. Del resto, il suo nome nella lingua dei nativi australiani significa semplicemente "demone": e perchè mai un "demone" dovrebbe trovare posto nella nomenclatura scientifica? I demoni che abitano gli stagni e attendono in agguato i poveri indigeni assetati per farne un solo boccone, appartengono al massimo al folclore tradizionale di popoli lontani anni luce dall'era tecnologica... E che dire delle loro grida raccapriccianti udite nelle notti senza luna, mentre divorano qualunque essere vivente osi avventurarsi nel loro territorio?
Ci sono tutti gli ingredienti per il classico film hollywoodiano dedicato ai cacciatori di orrendi mostri divoratori di fanciulle. Ma il film si è fatto realtà grazie al celebre esploratore australiano Stephen Irwin, 47 anni: grande divulgatore scientifico e documentarista noto in tutto il mondo per una serie di programmi televisivi di argomento naturalistico dal titolo "The Crocodile Hunter", i cui temi preferiti sono la vita e le abitudini dei coccodrilli e serpenti. Irwin era impegnato, insieme alla moglie Terri, in una campagna di esplorazione della Bruny Island, un'isola vergine situata lungo la costa sud-orientale della Tasmania, dalla quale è separata dal canale di D'Entrecasteaux; il suo scopo era quello di girare documentari sui serpenti che popolano l'isola, quando nella giungla tropicale si è imbattuto nella scoperta del secolo. Dalla fitta foresta che circonda Adventure Bay, ha visto uscire e ha filmato quelli che sembravano due rinoceronti lunghi almeno quattro metri, però privi di corna. Quando Irwin ha mostrato il filmato agli zoologi dell'Università tasmaniana di Hobart, essi hanno fatto letteralmente un salto sulla sedia, riconoscendo in quegli animali degli esemplari di diprotodonte.
Steve Irwin, lo scopritore del Bunyip
Diprotodon australis è stato il più grande marsupiale mai esistito, una specie di vombato extralarge che faceva parte delle cosiddetta megafauna australiana, quel complesso di grandi vertebrati pleistocenici che abitavano il continente australiano fino a 40.000 anni fa, quando si estinse quasi totalmente. La colpa di questa estinzione di massa è di solito attribuita all'uomo, che raggiunse l'Australia proprio in quell'epoca, e sterminò tutte le specie marsupiali di grandi dimensioni, eccezion fatta per i canguri. Evidentemente però qualche esemplare è sopravvissuto nelle più remote isole che circondano la Tasmania. A questo punto, viene confermata la teoria avanzata da alcuni naturalisti, secondo cui il mito del Bunyip rappresenta un ricordo ancestrale dell'incontro tra i primi uomini giunti in Australia 400 anni fa e i giganteschi diprotodonti. Subito il governo federale di Canberra ha interdetto Bruny Island ai turisti e ha varato un piano di conservazione della specie, onde evitare la perdita definitiva di quello che viene considerato un vero e proprio tesoro naturalistico; in Australia il colossale marsupiale è stato adottato come un nuovo simbolo nazionale, e sebbene per gli zoologi la specie non abbia ufficialmente cambiato nome, il grande pubblico la ha ribattezzata Bunyip australis. Quanto a Steve Irwin, l'eccezionale scoperta lo ha reso in pochi giorni uno dei naturalisti più famosi del mondo, e il suo profilo Facebook è diventato uno di quelli col maggior numero di "amici".
L'eccezionale scoperta, che permetterà di conoscere meglio la megafauna della quale pullulava l'isola-continente all'epoca delle grandi glaciazioni, rappresenta la quarta grande "risurrezione" di una specie preistorica nei tempi moderni. Tornando indietro nel tempo, il primo caso è quello dello Yeti (dal tibetano "Yeh-teh", "Quello là"), che venne riconosciuto da Reinhold Messner come un plantigrado appartenente all'antica specie nota come Ursus spelaeus o orso delle caverne, vissuto in tutta l'Eurasia nel Pleistocene, ma oggi ridotto a sopravvivere sulle cime più alte dell'Himalaya; lo stesso Messner nel 2000 ne catturò alcuni esemplari. Il secondo caso è quello del celacanto o latimeria (Latimeria chalumnae), pescato per la prima volta in Sudafrica nel 1938 e creduto estinto da 300 milioni di anni: esso è un rappresentante della più antica linea evolutiva di pesci che si evolsero in quadrupedi terrestri, avendo le pinne collegate al corpo da assi ossei che rappresentano i progenitori delle zampe dei tetrapodi.
Ma sicuramente il "fossile vivente" più famoso è rappresentato dal Nessiosaurus humboldti, meglio noto al grande pubblico come il Mostro di Loch Ness. Sebbene le prime notizie su questo animale risalgano al 565, quando il monaco irlandese San Colombano di Iona descrisse l'orrenda fine di un abitante delle coste del Loch Ness, assalito ed ucciso da una "selvaggia bestia marina", uscita strisciando dalle acque, solo nel 1819 il grande esploratore e scienziato prussiano Alexander von Humboldt, nato nel 1769 e morto nel 1859, riuscì a catturarne un esemplare giovane, lungo circa due metri, verificando che non apparteneva alla classe dei mammiferi, ma a quella dei rettili, pur essendo omeotermo e viviparo. L'animale fu descritto da von Humboldt come « un serpente passato attraverso il corpo di una tartaruga », avendo un corpo massiccio dotato di pinne da cui si protendeva un lungo collo. Il paleontologo inglese William Conybeare riconobbe la somiglianza tra questo rettile acquatico e i fossili di plesiosauro scoperti da Mary Anning a Lyme Regis, nel Dorset, anche se rispetto agli esemplari mesozoici esso aveva subito una decisa evoluzione nella struttura delle ossa e dei polmoni. Fu proprio la scoperta dei rettili battezzati nessiosauri a dare deciso impulso alla teoria evoluzionistica, tanto che il paleontologo francese Georges Cuvier, fino a qui sostenitore del fissismo, cambiò idea e propugnò le teorie evoluzionistiche proposte da Jean-Baptiste Lamarck nel 1809 e poi perfezionate da Charles Darwin e da Hugo de Vries. Già il 25 giugno 1834 Papa Pio VIII, sul Soglio di Pietro dal 1829 al 1846, con l'Enciclica « Singulari Nos", dichiarava compatibile con le Sacre Scritture la teoria dell'evoluzionismo, giacché il Signore può tutto, e quindi può creare le specie viventi anche attraverso la trasformazione morfologica di specie precedenti. In tal modo, grazie alla scoperta di von Humboldt, nell'evo moderno non vi fu alcuna "battaglia" tra i credenti in Dio e i corifei della Scienza, Papa Leone XIII nel 1892 riabilitò Galileo Galilei, il cosiddetto "materialismo scientifico" ebbe meno frecce al proprio arco, negli ultimi decenni si creò un'alleanza tra religiosi e scienziati contro l'oscurantismo propugnato dagli integralisti di ogni fede e nazione, e questa alleanza culminò il 19 aprile 2005 nell'elezione dell'astronomo statunitense George Coyne, direttore della Specola Vaticana, a Sommo Pontefice con il nome di Benedetto XVI, primo Papa gesuita e primo nato nel continente americano, famoso soprattutto per aver riabilitato Giordano Bruno. Evidentemente aveva ragione Louis Pasteur: « Un po' di scienza allontana da Dio, ma molta riconduce a Lui »!
[Nota: oggi parliamo di criptozoologia. Purtroppo dalle nostre parti non si hanno prove certe dell'esistenza della tigre maltese, dal mantello bluastro, che gli americani Harry Caldwell e Roy Chapman Andrews affermarono di aver avvistato negli anni venti (il nome "maltese" deriva da quello dei gatti con il mantello di questo colore). Il diprotodonte fu davvero il più grande marsupiale di tutti i tempi, ma si estinse 40.000 anni fa. Effettivamente Messner fece l'ipotesi che lo Yeti fosse un orso, ma l'orso tibetano delle nevi (Ursus arctos pruinosus), poco conosciuto ma sicuramente esistente; l'orso delle caverne (Ursus spelaeus) si estinse circa 10.000 anni fa, alla fine delle glaciazioni. Il celacanto o latimeria è il più famoso fossile vivente esistente anche nel nostro universo. Georges Cuvier (1769-1832) dalle nostre parti restò un oppositore dell'evoluzionismo per tutta la vita, e Papa Pio VIII regno solo dal 31 marzo 1829 al 1 dicembre 1830; l'enciclica "Singulari Nos" fu promulgata dal suo successore Gregorio XVI, e non parla di evoluzionismo. Galileo Galilei fu riabilitato solo da Giovanni Paolo II nel 1992, mentre è vero che padre George Coyne aveva proposto di riabilitare Giordano Bruno, anche se egli non fu mai creato cardinale. Infine, Stephen Irwin è stato davvero un grande naturalista ed amante degli animali, noto anche in Italia per i suoi documentari, ma purtroppo è morto il 4 settembre 2006 durante la realizzazione di un documentario sulla fauna della Grande Barriera Corallina, quando venne trafitto in pieno petto dall'aculeo velenoso di una razza spinosa; in questa Timeline, le cose gli sono andate decisamente meglio!]
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Dal numero 265/XVI del 22 settembre 2010:
E IN MANCIURIA LA PARAPSICOLOGIA DIVENTÒ SCIENZA ESATTA
Il 22 settembre ricorre l'anniversario (il sedicesimo, quest'oggi) della morte di uno dei più grandi esperti italiani di telepatia e psicocinesi, Gustavo Adolfo Rol. Personaggio controverso, durante la sua vita fu considerato poco più di un prestigiatore, e solo nei suoi anni di vita alcuni studiosi provenienti dalla Manciuria ebbero modo di studiare le sue capacità, e di concludere che egli effettivamente possedeva poteri mentalici molto più sviluppati della media degli esseri umani. Da quando, nel 1999, fu isolato il gene umano in grado di fornire a chi lo possiede abilità di telepatia (comunicazione con la mente), telestesia (chiaroveggenza, capacità di vedere persone ed oggetti a grande distanza) e psicocinesi (capacità di far interagire la propria mente con la materia), tutti quelli che un tempo erano definiti poteri "paranormali" entrarono a buon diritto a far parte della scienza esatta, e in particolare della neurologia. Il cammino per arrivare a questo risultato però fu lungo, ed ebbe origine in un angolo di mondo molto lontano dal nostro evoluto occidente: la Manciuria.
Abitata fin dalla Preistoria dal popolo degli Jurchi, la Manciuria entrò a far parte della Cina nel 1644 con la fondazione della dinastia Qing, di origine mancese. La Manciuria al di là del fiume Amur fu occupata nell'ottocento dall'Impero Russo, mentre la Manciuria al di qua dell'Amur entrò a far parte della sfera di influenza del Giappone, che il 18 febbraio 1932 proclamarono lo stato vassallo del Manciukuo con a capo il generale Zhang Zuolin, loro fedele alleato. Poco dopo essere diventato dittatore del Manciukuo, Zhang Zuolin decise di aprire il suo territorio alla colonizzazione giapponese ma anche straniera, allo scopo di farne uno stato plurietnico che la Cina difficilmente avrebbe potuto rivendicare. Accanto ai Giapponesi si trovavano così Coreani, Mongoli e Russi anticomunisti in esilio, e Tokyo si compiaceva nel parlare della città di Harbin come di una "piccola Parigi" (!). Per accentuare questa politica, Zhang Zuolin ebbe un'idea che definire balzana è dire poco: annunciò pubblicamente il cosiddetto Piano Fugu, cioè la colonizzazione della Manciuria da parte degli Ebrei. Perché gli Ebrei? Perché il dittatore mancese conosceva gli Ebrei solo attraverso testi denigratori come il "Protocollo dei Savi di Sion", che oggi sappiamo essere un falso antisemita, e credeva che gli Ebrei fossero un gruppo di ricchissimi e dinamici plutocrati capaci di imporsi nella zona come l'intellighenzia industriale e finanziaria, se il Giappone fosse stato capace di controllarli offrendo loro la totale libertà di culto. Zhang Zuolin insomma sognava di ottenere il sostegno finanziario di alcuni miliardari americani, di vedere arrivare famosi intellettuali ebrei come Einstein e di attrarre in Manciuria tutti gli Ebrei perseguitati in Europa. Egli stesso coniò il nome di "Piano Fugu", perché il Fugu nella lingua locale è un pesce prelibato, che però può uccidere se viene mal cucinato: allo stesso modo nella mente di gli Ebrei Zhang Zuolin avrebbero potuto portare prosperità alla Manciuria, anche se alla lunga potevano rivelarsi un pericolo per l'impero giapponese.
Nel 1933 Hitler prese il potere in Germania, e per gli Ebrei in Europa fu notte fonda. Il folle dittatore coi baffetti intendeva liberarsi del Popolo Eletto con le buone o con le cattive, e inizialmente pensava di trasferire tutti gli Ebrei nel Madagascar; quando però ebbe notizia del Piano Fugu, egli decise di spedire dall'altra parte del mondo tutti gli Ebrei residenti in Germania facendoli passare attraverso Polonia ed URSS usando la Transiberiana. Naturalmente Stalin ne approfittò per espellere anche i suoi "sudditi" di religione ebraica utilizzando la stessa soluzione mancese, anziché creare per loro una provincia autonoma isolata in piena Siberia, come pensava al principio. Ed anche altri paesi d'Europa in cui andavano affermandosi regimi autoritari di destra, come l'Ungheria, adottarono la stessa soluzione; gli unici paesi che non invitarono gli Ebrei a togliere il disturbo furono l'Italia di Mussolini e la Spagna di Franco, anche se in molti emigrarono anche da lì. Purtroppo la maggior parte degli Ebrei che giungevano nel Manciukuo erano poverissimi, avendo dovuto lasciare tutto nelle rispettive patrie, e questo causò tensioni fra il Giappone e le potenze europee, anche se il patto Patto Anticomintern del 25 novembre 1936 fu firmato comunque contro il comune nemico bolscevico. Intanto, negli USA la situazione presto catastrofica degli Ebrei arrivati nel Manciukuo senza un quattrino suscitò il malcontento nella ricca comunità ebraica, che convinse il Presidente Franklin Delano Roosevelt a finanziare infrastrutture e aiuti per gli Ebrei, malgrado il malcontento del governo federale di Washington, che considerava illegale l'occupazione della Manciuria da parte del Sol Levante. Solo nel 1941 l'Operazione Barbarossa pose fine alle espulsioni verso la Manciuria via Transiberiana, ma nel Manciukuo (e in particolare nella sua capitale Changchun) gli Ebrei erano già più di un milione. La comunità ebraica della Manciuria, dovendo affrontare l'inverno e l'assenza di aiuti da parte delle autorità giapponesi che non avevano gradito di vedere il resto del mondo spedire loro dei poveracci senza neppure una camicia di ricambio, decise di organizzarsi in comunità autonome dette kibbutz. Ben presto i kibbutz, omogenei e dinamici, ebbero la meglio sulle comunità asiatiche e potenziarono l'economia delle campagne e delle città locali. La libertà di culto era totale, e le scuole ebraiche più tradizionali prosperavano come non mai. Insomma Harbin, anziché una piccola Parigi, diventò una piccola Gerusalemme!
Sopra: mappa del Manciukuo nel 2010. Sotto: la bandiera del Manciukuo. La striscia blu rappresenta l'etnia ebraica e la giustizia; la striscia rossa rappresenta l'etnia giapponese e il coraggio; la striscia bianca rappresenta l'etnia cinese Han e la purezza; la striscia gialla rappresenta l'etnia Manciù e l'unità; la striscia nera rappresenta l'etnia mongola e la determinazione. |
E qui si inserì l'opera di Chizuko Mifune, una delle più grandi psicocinetiche dell'età moderna. Nata il 17 giugno 1886 a Uki, nella prefettura giapponese di Kumamoto, all'età di 23 anni, i suoi poteri di chiaroveggenza si ridestarono mentre meditava, e fu in grado di contare a distanza quanti vermi erano presenti sotto la corteccia di un albero del suo giardino, invisibili a occhio nudo. La notizia dei suoi poteri paranormali si diffuse rapidamente in tutto il Giappone, tanto da convincere la giovane donna ad una dimostrazione pubblica delle sue facoltà il 15 settembre 1910. Il mondo scientifico, dominato a quel tempo dal positivismo, e in particolare il professor Yamakawa Kenjirō (1854-1931) dell'Università Imperiale di Tokyo, accolsero però la medium con scetticismo, bollandola di essere un'imbrogliona. Chi le diede credito fu invece lo psicologo Tomokichi Fukurai, che lavorava presso la medesima università di Tokyo, e per primo riconobbe che nelle performance della Mifune non vi era alcun trucco. Fu lui a guarire la medium dalla depressione in cui era precipitata vedendosi considerata niente più di una ciarlatana, depressione che la aveva portata sull'orlo del suicidio a soli 25 anni. Con l'aiuto di Fukurai, la Mifune fondò la Società di Studi Psicocinetici, che ebbe il merito di scoprire molte altre persone dotate della stessa abilità di manipolare oggetti con il pensiero o di leggere messaggi contenuti in buste chiuse.
All'arrivo dei primi Ebrei in Manciuria, Mifune e Fukurai decisero di trasferirsi a Changchun perchè il Popolo Eletto aveva la fama (per lo più diffusa da libelli antisemiti) di aver dato i natali a molti maghi e cultori di scienze occulte, per via della qabbalah, una dottrina di natura esoterica nata dall'interpretazione della Bibbia che di solito si considera avviata dal filosofo ebreo Solomon ibn Gabirol (1021-1058). Fukurai inoltre probabilmente conosceva la leggenda del golem, un gigante d'argilla privo di anima costruito dal rabbino Jehuda Löw ben Bezalel di Praga (1526-1609), al quale infuse la vita scrivendogli sulla fronte la parola ebraica "emeth" ("verità"), mentre per dissolverlo era sufficiente cancellare la e iniziale, in modo che rimanesse "meth" ("morte"). Come Zhang Zuolin, anche Fukurai sperava che in Manciuria arrivassero a frotte mistici ebraici esperti di arti divinatorie, i quali avrebbero inteso esplorare il futuro per conoscere in anticipo la data di arrivo del Messia, che si sperava imminente per spazzare via Adolf Hitler e i suoi scagnozzi dalla faccia della Terra. In realtà, come detto, la maggior parte degli Israeliti giunti in Estremo Oriente erano poveri diavoli in fuga dalle persecuzioni senza più neppure un soldo, ma tra di loro arrivò anche Yehuda Ashlag (1885-1954), grande esperto di cabala esoterica, che tradusse in giapponese il Sefer ha-Zohar (in ebraico "Libro dello Splendore"), il testo principale della tradizione cabalistica, mostrando come esso conteneva chiari insegnamenti su come controllare i poteri della mente e potenziare i poteri di chiaroveggenza e psicocinesi. In Manciuria inoltre avvenne l'incontro tra la tradizione cabalistica ebraica e la meditazione buddista, durante la quale chi la pratica può sollevarsi da terra grazie ad energie psicocinetiche canalizzate dalla preghiera. La tradizione buddista afferma che nel 527 d.C. il fondatore del Buddhismo Zen, Bodhidharma, visitò il monastero tibetano di Shaolin e insegnò ai monaci a controllare l'energia del corpo, necessaria per la levitazione. Fukurai stesso studiò molti casi di levitazione, come quello di un maestro Yogi che poteva restare a mezz'aria per quattro ore consecutive.
Nel frattempo, il Giappone fu sconfitto dagli Alleati e fu costretto ad arrendersi dopo lo sgancio di una bomba atomica su Hiroshima. Zhang Zuolin fu fucilato e la Cina rivendicò immediatamente il territorio del Manciukuo, che però fu invaso dalle forze sovietiche, intenzionate ad annetterlo. Poco dopo tuttavia Stati Uniti d'America e Regno Unito attaccarono Stalin approfittando del fatto che l'Unione Sovietica era molto provata dal conflitto, e il Giappone, ora divenuto una Repubblica dopo la deposizione dell'ultimo imperatore Hirohito, da nemico giurato si trasformò in alleato prezioso sullo scacchiere estremorientale. La Manciuria fu la prima ad essere liberata dai bolscevichi, e subito dopo utilizzata come base per l'invasione della Siberia. Dopo la sconfitta definitiva di Stalin, il Manciukuo si era guadagnato sul campo l'indipendenza, e non fu più restituito alla Cina, nonostante le proteste di Chiang Kai-shek, leader del Kuomintang, che nel frattempo aveva sconfitto definitivamente i comunisti di Mao Zedong. anche se la capitale fu trasferita a Shenyang, e dalla "protezione" giapponese passò a quella americana. Infatti il territorio mancese era ormai assai sviluppato dal punto di vista economico, grazie alla sua forte minoranza ebraica che attira gli investimenti venuti dagli USA e da Israele, ed interessava agli yankees come base navale e industriale. Lo sviluppo economico accelerò ancora di più dopo la scoperta del petrolio e di diverse risorse minerarie, e il Manciukuo divenne una delle "Tigri Asiatiche" insieme alla Corea unita, al Giappone, a Hong Kong e a Singapore. Intanto nello stato mancese sorse una nuova religione chiamata Makuya, una sintesi tra ebraismo e shintoismo che considera i Giapponesi come i discendenti di una delle tribù perdute di Israele; una parte della minoranza giapponese in Manciuria si convertì a questa nuova interpretazione dell'ebraismo, che fu ufficialmente riconosciuta dall'Israele ortodosso.
Il sincretismo fra la comunità giapponese, mancese ed ebraica favorì lo sviluppo delle ricerche sulla telepatia e sulla psicocinesi. Chizuko Mifune morì il 19 gennaio 1951 (secondo una tenace leggenda, la notte prima aveva sognato un articolo di giornale in cui si annunciava la sua morte), ma ormai anche eminenti medici e scienziati statunitensi ed europei davano credito alle ricerche della Società Mancese di Studi Psicocinetici, vista non più come una banda di creduloni che davano retta a dei prestigiatori in cerca di notorietà, ma come un gruppo di ricercatori seri che esploravano nuove possibilità della mente umana. Ben presto in tutto il mondo fu accertata l'esistenza di individui in grado di manipolare la materia con il pensiero, come nel caso della russa Nina Sergeyevna Kulagina (1926-1990), che dopo un breve periodo di meditazione era in grado di muovere qualunque oggetto senza toccarlo, e sfidò i principali prestigiatori del mondo, i quali non riuscirono a scoprire alcun trucco dietro le sue performance. Anche lo statunitense Ted Serios (1918-2006) dimostrò di essere in grado di impressionare pellicole fotografiche con la forza del pensiero. Nel 1960 Joseph Banks Rhine (1895-1980) occupò la prima Cattedra di Parapsicologia e Psicocinesi alla Harvard University, mentre l'ebreo italiano Emilio Servadio (1904-1995) occupò due anni dopo la prima Cattedra di Parapsicologia all'Università La Sapienza di Roma. Oggi la lettura del pensiero, la comunicazione a distanza e la psicocinesi sono tutte considerate scienze esatte, che si distinguono nettamente da altre pseudoscienze come la previsione del futuro, lo spiritismo, l'evocazione dei defunti e il malocchio, per le quali non vi è alcuna prova scientifica. La Società di Studi Psicocinetici di Harbin oggi è guidata da Uri Geller, ebreo nato nel Manciukuo nel 1946, famoso per la sua capacità di piegare oggetti metallici e di far fermare e ripartire orologi con la sola forza del pensiero. In Manciuria proseguono anche gli studi cabalistici grazie a "Bnei Baruch", un'associazione fondata nel 1991 da Michael Laitman, discepolo di Rav Baruch Ashlag (1907-1991), a sua volta figlio di Yehuda Ashlag. Bnei Baruch mette a disposizione gratuitamente online i suoi materiali di studio in ben 25 lingue.
Per concludere, abbiamo ascoltato il parere del prof. Perchè No?, ordinario di Storia del XX Secolo presso l'Università di Harbin, ed egli ha dichiarato quanto segue: « Il Manciukuo, nei nostri anni duemila, ha un'economia assai florida ed è una delle potenze regionali dell'Asia, con una cultura plurietnica e la seconda maggior comunità ebraica del mondo dopo Israele. Una minoranza destinata a crescere, perché attira a sé gli Ebrei che considerano la Manciuria più sicura del Medio Oriente, anche se le relazioni con la Cina Nazionalista sono tutt'altro che cordiali. Il fatto di essere stata la culla degli studi psicocinetici poi rende le sue università il fiore all'occhiello degli istituti accademici asiatici. Peccato che non esista una branca della parapsicologia in grado di riconciliare gli stati fra di loro! »
Come dargli torto?
[Nota: Gustavo Adolfo Rol (1903-1994) è tuttora un personaggio molto controverso, essendo riuscito a convincere molti (tra cui pare persino Benito Mussolini) di possedere poteri paranormali fuori dal comune, ma la scienza lo considera niente più che un abile prestigiatore, ed anche famosi illusionisti come Silvan ed Alexander dimostrarono di poter ripetere tutti i suoi "esperimenti" (inclusa la lettura di libri chiusi e la scrittura a distanza su fogli chiusi dentro buste) con opportuni trucchi di prestidigitazione. Lo stato del Manchukuo nacque effettivamente per iniziativa giapponese il 18 febbraio 1932, ma fu niente più che uno stato fantoccio, e a capo di esso i nipponici posero l'ultimo imperatore cinese della dinastia Qing, Pu Yi, con il nome di Kang De ("Tranquillità e Virtù"), perchè il signore della guerra Zhang Zuolin era stato assassinato dai nipponici il 4 giugno 1928, avendo manifestato volontà indipendentiste. Il Piano Fugu fu effettivamente ideato anche nella nostra Timeline da alti ufficiali del Manciukuo, ma rimase segreto e non é stato trovato il modo di finanziarlo; ben presto gli USA vietarono gli investimenti nella Manciuria occupata dai giapponesi, e infine i pochi Ebrei arrivati in Giappone non erano ricchissimi banchieri, ma poveri fuggiaschi senza niente nelle tasche. Il Piano Fugu perciò cadde nel vuoto. Nel 1934 Stalin creò per gli Ebrei residenti in URSS un "ghetto" isolato nell'oriente siberiano, la Provincia Autonoma degli Ebrei, con capitale Birobidžan, che per ironia della sorte confina proprio con la Manciuria! Quanto a Chizuko Mifune, non vi sono prove scientifiche ella possedesse reali poteri ESP, il grande pubblico non le credette ed ella si suicidò ingerendo veleno a soli 25 anni, il 19 gennaio 1911. Il Sefer ha-Zohar (in ebraico ספר הזוהר) è un testo mistico-esoterico, ma in esso non si parla di poteri ESP. Negli anni settanta Nina Kulagina fu effettivamente presentata dalle autorità sovietiche come dotata di poteri paranormali, ma le autorità furono accusate di impedire qualunque controllo sulle performance della donna, che oggi sono considerate per lo più risultato di abili trucchi. Anche Uri Geller arrivò al successo in Italia negli anni settanta attraverso una serie di apparizioni televisive in cui mise in mostra i propri presunti poteri paranormali, ma il famoso prestigiatore canadese James Randi ha smascherato gli ingegnosi trucchi dei quali egli si serviva per impressionare il pubblico, ad esempio piegando chiavi e cucchiai utilizzando la forza delle mani e non quella della mente. Bnei Baruch esiste davvero, ovviamente in Israele. Infine, l'idea degli Ebrei in Manciuria la dobbiamo al nostro grande amico Perchè No?]
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Dal numero 91/XVII del 1 aprile 2011:
I VIMANA, GLI AIRBUS DELL'ANTICHITÀ
Disseppellire dal suolo (e da secoli di oblio) un importante reperto archeologico è sempre gratificante per ogni esperto di cose antiche; quando poi a venire alla luce è un raro ed evoluto manufatto che trae la sua origine dalla perduta Atlantide, la soddisfazione è sicuramente doppia. Il manufatto in questione è venuto alla luce presso Larkana, sulla riva destra del fiume Indo, nella provincia pakistana del Sindh, e lo strato geologico in cui è stato ritrovato permette di datarlo al 2050 a.C. circa. Si tratta di un frammento di un Vimana, precisamente una parte dello scafo comprendente un alettone direzionale; i primi esami affermano che è stato realizzato in acciaio al niobio, con una tecnica costruttiva che ci è ancora in gran parte ignota.
Per comprendere meglio l'importanza di questa scoperta archeologica, paragonabile a una campana di bronzo della cultura Yayoi riportata alla luce da Shin'ichi Fujimura, bisogna fare un passo indietro fino al 1872, allorché l'archeologo Sir Alexander Cunningham (1814-1893), riportò alla luce i resti della città di Mohenjo-daro ("la Collina dei Morti"), sulla riva destra del fiume Indo, nell'attuale Pakistan. Si tratta di una città gigantesca per l'epoca, essendo fiorita nel Terzo Millennio a.C.: contava almeno 50.000 abitanti, il che a quel tempo ne faceva la maggior metropoli del pianeta, e non era cresciuta per agglomerazione di case, ma seguendo un ben preciso piano urbanistico. Ogni casa era poi dotata di acqua corrente e gabinetti: pare che l'amore degli Indù per le abluzioni rituali sia nato qui. Era stata scoperta la cosiddetta Civiltà Vallinda. Tale civiltà era di stirpe dravidica (e quindi preindoeuropea), possedeva la scrittura ed usava un alfabeto geroglifico che era praticamente identico a quello delle celebri tavolette Rongo-Rongo dell'Isola di Pasqua, nonostante il Pakistan e l'isola dei Mohai distino 19.000 km e si trovino praticamente agli antipodi! I testi sumerici e accadici si riferiscono ripetutamente a un popolo con cui le civiltà dell'antica Mesopotamia ebbero attivi scambi commerciali, chiamato Melukha, che oggi sappiamo doversi identificare con gli abitanti di Mohenjo-daro: il termine deriva dal dravidico Met-akam, che significa "Terre Alte". Anche il termine sanscrito Mleccha, "barbaro", deriva probabilmente da questa parola, visto che per i successivi conquistatori indoeuropei, i dravidici apparivano barbari e stranieri.
Come Troia, altra città antichissima, anche Mohenjo-daro è stata distrutta e ricostruita almeno sette volte. L'ultima e definitiva distruzione data al 1700 a.C., e in tale strato archeologico furono ritrovati solo 24 scheletri. Che ne è stato delle restanti migliaia di persone che popolavano la città? Sembra inoltre che la città sia stata distrutta da un incendio di proporzioni colossali, così caldo da essere capace di vetrificare il terreno, i mattoni, le ceramiche, le suppellettili... Anche gli scheletri presentano tracce di calcinazione e carbonizzazione: come a Pompei, sono stati trovati come sorpresi da una catastrofe, tanto che due di essi si tenevano per mano. Insomma, tutto lascia supporre che la città sia stata rasa al suolo da una repentina devastazione portata da qualcosa di incandescente, seguita da un repentino raffreddamento. Ma che cosa può aver provocato tutto ciò? Gli archeologi avevano pensato ad un terribile incendio appiccato dai popoli indoeuropei che proprio in quegli anni invasero l'India, ma nessun invasore, per quanto vandalo, può appiccare un incendio in grado di scaldare i mattoni di Mohenjo-daro fino a vetrificarli!
Ciò che oggi resta della città di Mohenjo-daro (Pakistan)
Il mistero durò fino al 1979, quando il ricercatore americano David Davenport scoprì che tutta l'area di Mohenjo-daro presenta una radioattività assolutamente anomala, cinquanta volte maggiore del fondo naturale di radiazione. Inoltre egli rinvenne nel suolo delle trinititi, cioè delle rocce che rappresentano il residuo vetroso lasciato dal tremendo calore di un'esplosione nucleare (il nome deriva da "Trinity", il nome del primo ordigno atomico fatto brillare dagli inglesi nel deserto del Sahara prima di lanciarne uno sulla Germania per porre fine alla Seconda Guerra Mondiale). Anche le case fino alle fondamenta come se fossero schiacciate da un'immane onda d'urto, a cui era seguita una letale pioggia di fuoco... Per giunta, le case dell'antica città sono state danneggiate con tanto minor gravità, quanto più sono lontane dall'epicentro, individuato da Davenport in un cratere di circa 60 metri di diametro e profondo 10. Insomma, le rovine di Mohenjo-daro mostrano effetti analoghi a quelli di un'esplosione nucleare, avvenuta però 37 secoli fa. Se questa ipotesi vi sembra incredibile, tenete conto delle descrizioni delle antiche battaglie fra gli déi contenute nei poemi nazionali indù, il Ramayana e il Mahābhārata, secondo i quali gli déi combattevano tra di loro usando carri volanti, i Vimana, i quali erano in grado di sganciare vere e proprie armi ad energia! In particolare nel monumentale Mahābhārata, scritto dal saggio Vyāsa verso il 400 a.C., troviamo la descrizione di quella che sembra davvero l'esplosione di un ordigno nucleare:
« Un missile sfolgorante che possedeva lo splendore del fuoco senza fumo venne lanciato. All'improvviso una densa oscurità avvolse gli eserciti. Tutti i punti cardinali vennero avvolti improvvisamente nelle tenebre. Venti terribili incominciarono a soffiare. Le nuvole ruggirono negli strati superiori dell'atmosfera, facendo piovere sangue. Gli stessi elementi sembravano confusi. Il Sole sembrava girare su se stesso. Il mondo, ustionato dal calore di quell'arma, sembrava in preda alla febbre. Gli elefanti, ustionati dall'energia di quell'arma, fuggivano in preda al terrore, cercando un riparo che li difendesse da quella forza terribile. Persino l'acqua si riscaldò, e le creature che vivono nell'acqua parvero bruciare. I nemici caddero come alberi arsi da un incendio devastatore. [...] Arse dalla potenza terribile di quell'arma, le figure dei caduti erano divenute irriconoscibili. Noi non avevamo mai udito parlare di una simile arma, né mai l'avevamo veduta. »
Quest'arma nel suddetto poema viene chiamata Agneya ("Dea del Fuoco"). Nel Ramayana invece troviamo un passo che quasi certamente narra la cronaca degli ultimi istanti di vita di Mohenjo-daro. In essa infatti si parla della mitica città di Lanka, la roccaforte di Ravana, il più acerrimo avversario di Rama, protagonista del poema. Ma Lanka significa isola, e a quell'epoca Mohenjo-Daro si trovava proprio su un'isola nel corso del fiume Indo; oggi non più, perchè un ramo di esso si è disseccato. La distruzione del reame di Lanka, come quella di Troia, ha origine per causa di una donna: Danda, re di Lanka, usò violenza nei confronti della giovane Araga, figlia del Divino Rishi Bhargava. Questi per vendetta scatenò la terribile potenza di Indra contro l'avversario. Ma lasciamo la parola al testo del Ramayana (è il Divino Rishi a parlare): « È giunta l'ora dello sterminio del crudele Danda e dei suoi seguaci:. da ogni parte per lo spazio di cento yogani Indra arderà il reame di quel malvagio con una pioggia di polvere soverchiante. Quanti esseri si troveranno là, mobili ed immobili, tutti periranno in breve a causa di quella pioggia di polvere; e per quanto si stende il reame di Danda, ogni altura diverrà etro sette giorni un'immensa distesa di polvere [...] E in sette giorni tutta quella contrada fu incenerita. »
Ma la prova definitiva del fatto che la sfortunata città di Mohenjo-daro era stata spazzata via proprio da un ordigno nucleare venne nel 1986, quando David Davenport, che era anche un linguista di fama, non rinvenne a poca distanza dei testi bilingui in vallindo e in accadico, che hanno permesso la decifrazione della misteriosa lingua vallinda, analogamente a quanto fatto con la famosa Stele di Rosetta. Ciò tra l'altro permise anche di interpretare finalmente le tavolette Rongo-Rongo dell'Isola di Pasqua: erano stati infatti i superstiti di Atlantide, separatisi in molti gruppi dopo la catastrofe, a portare lo stesso sistema di scrittura sia nell'attuale Pakistan che nel Pacifico orientale. L'analisi dei testi trovati a Mohenjo-daro dimostrò che nei suoi cieli era avvenuta un'epica battaglia tra mezzi volanti che nei poemi indù sono chiamati Vimana (in sanscrito "uccelli d'acciaio"). Considerati dagli autori dei due poemi dei giganteschi carri usati dagli déi per spostarsi sulla terra, in aria e persino sott'acqua, e in grado di volare più veloci del suono, oggi sappiamo che si trattava di velivoli a reazione di origine atlantidea, anche se non andavano certo a mercurio come sostengono i testi indù. Alcuni di essi non avevano nulla da invidiare all'odierno gioiello della Airbus, l'A380, un aereo passeggeri a due piani (come molti Vimana nelle antiche descrizioni) in grado di trasportare oltre 800 persone. Ovviamente coloro che li pilotavano erano in possesso di una tale tecnologia da venir considerati degli déi dai popoli molto più arretrati delle valli dell'Indo e del Gange, perchè, come ebbe a dire lo scrittore Arthur Clarke, ogni tecnologia abbastanza avanzata è dopotutto indistinguibile dalla magia. Le tracce di radioattività residua e di terreni vetrificati da antiche esplosioni atomiche sono state rinvenute in Irlanda, a Malta, in Iraq, nel deserto di Gobi, in Perù e persino presso i pueblos degli Anasazi, diffusi tra i moderni Utah, Colorado, Arizona e Nuovo Messico: e ciò significa che i Vimana devastarono con le loro bombe ad energia regioni anche molto lontane dall'India attuale.
Atlantide era ormai stata sommersa da millenni quando sorse l'ultimo sole sulla grande Mohenjo-daro, ma come si sa alcune "isole felici" ancora dotate dell'avanzata civiltà dell'isola-continente sono sopravvissute a lungo in alcune regioni della terra. E una di queste era Shambhalla, la leggendaria città posta in una valle tra i picchi dell'Himalaya, citata nel Kalachakra Tantra e in altri antichi testi buddisti, visitata nell'antichità dal viaggiatore greco Apollonio di Tiana e in seguito inutilmente cercata dai nazisti, che credevano di ritrovare in essa la patria della loro "razza ariana". Alcuni anni dopo, nel 1994, l'esploratore e scalatore altoatesino Günther Messner, fratello di Reinhold, trovò nel Bhutan le rovine di Shambhalla, e l'analisi dei documenti epigrafici ivi ritrovati confermò che essa fu una delle più durature tra le colonie di Atlantide. I Vimana vennero costruiti, usando tecnologie atlantidee, a Shambhalla e nelle colonie di Shambhalla ai piedi dell'Himalaya, e furono utilizzati per difendere quel regno, divenuto ricettacolo dell'antica sapienza atlantidea, dai popoli barbari che avrebbero voluto impossessarsi di tale sapienza. In particolare, all'inizio del secondo millennio avanti Cristo la civiltà di Shambhalla si scontrò con quella di un'altra antichissima colonia di Atlantide, Telmun nell'antico Barhein, citata nei testi sumerici e anche nel celebre "Poema di Gilgamesh" con il nome di Dilmun, dove abitava Utnapishtim, l'unico sopravvissuto al diluvio, e identificata dai moderni esegeti con il biblico Giardino dell'Eden. Telmun era in relazioni commerciali con la Valle dell'Indo, e Met-akam (quella che oggi chiamiamo Mohenjo-daro) era così evoluta proprio grazie all'influenza culturale della città del Golfo Persico; per Shambhalla e le sue colonie a sud dell'Himalaya, essa era una minaccia inaccettabile da sopportare. E così, un Vimana di Shambhalla sganciò sulla malcapitata Met-akam un ordigno la cui potenza di fuoco in termini moderni era pari a cinque chilotoni, cioè un quarto di quella lanciata su Rastenburg alla fine della Seconda Guerra Mondiale. E fu così che, nel giro di pochi secondi, le "Terre Alte" divennero "la Collina dei Morti".
La distruzione di Mohenjo-daro e delle altre grandi metropoli della Valle dell'Indo spianò la strada all'invasione dei popoli indoeuropei, non a caso alleati di Shambhalla, i quali conservarono memoria dei terribili attacchi portati dai Vimana dei loro protettori, trasfigurandoli nel mito fino al rango di déi. Ma perchè la tecnologia dei Vimana non è giunta fino ai giorni nostri, e le macchine volanti dovettero essere reinventate nel XX secolo? Sicuramente a causa di quella serie di eventi climatici e tettonici che pose fine all'Età del Bronzo, segnando il passaggio all'Età del Ferro: terremoti, siccità, epidemie e popoli bellicosi in migrazione travolsero quasi tutte le civiltà della terra. In quell'epoca collassarono i regni micenei (la leggenda dei Proci trovati da Odisseo al suo ritorno ad Itaca), l'impero ittita in Anatolia e il Nuovo Regno Egiziano, grandi città come Micene e Ugarit furono rase al suolo e mai più ricostruite, in molte regioni si perse l'uso della scrittura, si interruppero i contatti commerciali a lunga distanza, e le economie cittadine furono rimpiazzate dalle culture di villaggio isolate (come avvenne con il cosiddetto Medioevo ellenico). Le valli in cui sorgeva Shambhalla divennero inabitabili, Telmun fu devastata da inondazioni di vastissime proporzioni, ed entrambe le fiorenti civiltà, figlie di quella di Atlantide così come i reami tolkieniani di Arnor e Gondor erano figli di quello di Numenor, andarono incontro a una tragica fine, che neppure la loro avanzata tecnologia e i loro strabilianti Vimana furono in grado di evitare. Solo pochi saggi conservarono l'antica scienza fino ai giorni nostri, come il bramino Pandit Subbaraya Shastry (1866–1940) che, utilizzando le conoscenze ereditate dai suoi maestri, nel 1905 scrisse in antico sanscrito il Vaimānika Shāstra ("Scienza dell'Aeronautica"), un trattato sul funzionamento delle antiche macchine volanti che, esaminato dagli esperti di aeronautica del nostro secolo XXI, si è rivelato in perfetto accordo con le moderne conoscenze riguardanti aerei a reazione e turboelica.
Fino ad oggi gli archeologi hanno rinvenuto una trentina di frammenti meccanici riconducibili agli antichi Vimana progettati per la prima volta ad Atlantide, tutti risalenti ad un periodo compreso fra il 4000 a.C. e il 1500 a.C. Quello riportato alla luce nei giorni scorsi a Larkana è sicuramente uno dei pezzi meglio conservati in assoluto, e aiuterà gli archeoingegneri a comprendere meglio come i magici Vimana sfrecciavano nel cielo. Quante battaglie avrà combattuto, quel velivolo antidiluviano? Quanti dei nostri antenati avrà spazzato via, con le sue superarmi? Sono domande destinate a rimanere inevase, ma almeno una lezione esso ce l'ha impartita: la fine che ha fatto la civiltà dei suoi costruttori, potrebbe un giorno essere anche la nostra, se non ci decideremo a comprendere che ogni tecnologia è meglio usata in pace che in guerra, e per dare la vita piuttosto che per toglierla.
[Nota: in questa rassegna non poteva certo mancare un articolo datato 1 aprile! Infatti Shin'ichi Fujimura era un sedicente archeologo giapponese che, per anni, fabbricò finti manufatti archeologici spacciandoli per importanti scoperte, fino a che non venne smascherato nel 2000. Qui invece è presentato come un vero luminare dell'archeologia: al suo nome sono associate le campane di bronzo della cultura Yayoi, sorta in Giappone tra il III secolo a.C. e il III secolo d.C., una delle quali è scoperta dal professor Shiba, padre di Hiroshi nella saga di Jeeg Robot. Davvero un'accoppiata da primo aprile! Quanto alla civiltà vallinda, tutto vero (inclusa la somiglianza con le tavolette Rongo-Rongo), tranne il fatto che non sono mai stati rinvenuti finora testi bilingui in vallindo e in accadico: che la lingua vallinda fosse di ceppo dravidico è solo un'ipotesi, per quanto probabile. "Trinity", da cui trinitite, è il nome in codice dato dagli americani al primo ordigno nucleare sperimentale esploso ad Alamogordo, nel Nuovo Messico. David Davenport morì a soli 40 anni nel 1984 a causa di un male incurabile; in questa Timeline, è vissuto molto più a lungo. Shambhalla è davvero una mitologica città al centro di molte tradizioni tibetane, e che ha ispirato allo scrittore britannico James Hilton (1900-1954), autore del romanzo "Orizzonte perduto", la creazione della città perduta di Shangri-La. Günther Messner, fratello di Reinhold, morì in uno sfortunato incidente sul Nanga Parbat il 29 giugno 1970; anche a lui, in questo caso, è andata molto meglio. Il Vaimānika Shāstra dalle nostre parti è un testo sugli antichi Vimana dei poemi mitologici indù scritto da un presunto medium, il quale lo avrebbe composto sotto "ispirazione" di antichi saggi; il primo a parlarne fu G. R. Josyer nel 1952. Uno studio condotto nel 1974 da ingegneri aeronautici dell'Indian Institute of Science di Bangalore ha concluso che i velivoli descritti nel testo sono irrealizzabili, e che l'autore rivela una totale mancanza di comprensione dei principi dell'aeronautica. Del continente perduto che è realtà, invece, riparleremo un'altra volta.]
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Dal numero 353/XVIII del 18 dicembre 2012:
L'UOMO DI PILTDOWN, IL PRIMO EUROPEO
Anche oggi ricordiamo il centenario di una scoperta epocale avvenuta nel XX secolo: quella dell'Homo antiquus, uno dei più straordinari tra gli ominidi, cioè i primati bipedi imparentati, alla vicina o alla lontana, con la nostra specie. Il famosissimo paleontologo Charles Dawson, nato nel 1864 e morto nel 1916, noto come "il Mago del Sussex" per l'eccezionalità e il numero delle sue scoperte, era ancora un dilettante privo di qualunque titolo accademico quando, il 18 dicembre 1912, presentò alla riunione del Geological Society of London alcuni reperti da lui rinvenuti nella cava di Piltdown, nell'East Sussex: una mandibola e i frammenti di un cranio. Sembrava una scoperta come tante altre, ma non era così. Tanto per cominciare, il cranio era molto più antico di quanto sembrava: datato anni dopo con il metodo del potassio-argo, il fossile si rivelò vecchio di un milione e trecentomila anni, molti più di qualunque altro fossile europeo allora, ed anche oggi, conosciuto. Inoltre, il cranio era voluminoso quasi quanto quello di un uomo moderno: si stima che la sua capacità cranica sia di 1100 centimetri cubici, contro i 1200 del'Homo erectus e i 1400 dell'uomo moderno. La mandibola, invece, era stranamente primitiva: era di forma squadrata, a differenza di quelle degli ominidi successivi, che è di forma arcuata, ed era dotata di diastemi, i larghi spazi tra incisivi e canini che servivano per alloggiare i grossi canini superiori, tipici delle grandi scimmie antropomorfe, ma sconosciuti agli altri membri del genere Homo. Infine, i molari non avevano cuspidi come quelli di gorilla e scimpanzé, ma piatti come quelli umani moderni, il che significa una dieta carnivora o onnivora, e non erbivora come quella delle grandi scimmie africane.
Quadro del 1915 dipinto da John Cooke, che mostra i principali paleontologi britannici intenti a studiare il cranio di Piltdown. Lo scopritore Charles Dawson è il secondo da destra in alto. |
Insomma, l'Uomo di Piltdown, battezzato all'epoca Eoanthropus dawsoni e anche "il Primo Europeo", era un bel mosaico di diversi caratteri, un po' come se Dawson avesse scoperto un mammifero con la proboscide di un elefante, le orecchie d'asino, le zampe palmate di una lontra e il mantello a strisce di una zebra. Per questo la maggior parte dei paleontologi dell'epoca, da David Waterson del King's College London all'americano Gerrit Smith Miller fino a padre Pierre Teilhard de Chardin, sostennero che si trattava di fossili provenienti da più individui diversi, o addirittura che si trattasse di un falso. Invece Arthur Smith Woodward, responsabile del reparto geologico al British Museum, credette fin da subito a Dawson e alla bontà della sua scoperta, e la sostenne negli ambienti accademici, senza timore di esporsi alle ironie dei suoi colleghi. La rivincita per Woodward e Dawson arrivò solo nel 1947, quando entrambi erano già passati a miglior vita: altri fossili con lo stesso mosaico di caratteristiche furono ritrovate in altri siti dell'Inghilterra, della Francia e della Spagna; un Uomo di Piltdown fu ritrovato persino in Italia, nella cava di Sacco Pastore, nella campagna romana presso la via Nomentana, sulla riva sinistra del fiume Aniene. Il fossile italiano in particolare presenta il foro occipitale allargato intenzionalmente, così da rimuovere il cervello; questo fatto lascia pensare che gli Uomini di Piltdown praticassero il cannibalismo rituale, cioè non meramente per nutrirsi, ma per acquisire la forza e le virtù del defunto; se infatti lo scopo fosse stato la nutrizione, gli ominidi si sarebbero limitati a spaccare il crani, anziché estrarne il cervello con un'operazione complessa e delicata. E questo significa che, un milione e più di anni fa, quei lontani ominidi già possedevano credenze religiose.
Il moltiplicarsi dei reperti portò Sir Wilfrid Edward Le Gros Clark a una nuova ricostruzione dell'ominide, ora ribattezzato Homo antiquus, e del quale si conosceva ormai anche parte dello scheletro. Ormai era chiaro: il fossile scoperto da Charles Dawson rappresentava l'anello mancante tra gli Australopiteci originari dell'Africa e i primi Homo emigrati verso l'Europa e l'Asia. Ed era altrettanto chiaro che l'evoluzione del genere Homo era cominciata dall'aumento di dimensioni del cervello, non da una modifica strutturale del viso, che nei primi Homo restava ancora piuttosto scimmiesco. E questo, secondo Richard Wrangham dell'Harvard University, grande studioso dell'Uomo di Piltdown, può essere dovuto ad un solo motivo: già un milione e trecentomila anni fa l'Homo antiquus ha scoperto che il cibo cotto è migliore di quello crudo, essendo più tenero e digeribile, ed anche più ricco come fonte di energia. Tutti sanno che il cibo cotto richiede una masticazione più breve di quello crudo: un primate delle dimensioni del Piltdown avrebbe dovuto trascorrere la metà della giornata a masticare cibi crudi, fibrosi e dai gusti a volte decisamente forti; invece, cuocendo i cibi, il nostro ominide avrebbe dovuto masticare non più di un'ora al giorno, come facciamo noi, liberando quattro o cinque ore al giorno, che i Piltdown avrebbero dedicato alla caccia. Agli scimpanzé, per esempio, la carne piace, ma in media la loro caccia dura mezz'ora, dopo di che si rimettono a mangiare frutta per ore e ore. La caccia naturalmente è rischiosa: si può cacciare per ore senza catturare niente, mentre la frutta sugli alberi non va certo inseguita. È evidente che l'Homo antiquus avrebbe deciso di dedicare tanto tempo ad un'attività che, malgrado tutti i suoi potenziali benefici, poteva anche non procurargli un bel niente da mangiare, solo dopo che la cottura dei cibi avrebbe consentito di risparmiare una parte del tempo necessario alla masticazione. Questo avrebbe favorito la progressiva riduzione delle dimensioni dei canini e la scomparsa dei diastemi nelle specie di Homo successive a quella di Piltdown, ma anche la riduzione dell'intestino e dei reni. Per finire, l'uso del fuoco per cuocere i cibi avrebbe influenzato anche l'evoluzione dei due sessi, e la spiegazione secondo Wrangham va ricercata nel fatto che cucinare richiede tempo, e così i cuochi "solitari" corrono il rischio di ricevere la visita di altri maschi affamati con intenzioni tutt'altro che benevole; di conseguenza le femmine avevano bisogno della protezione dei maschi, per scongiurare simili furti. Questo sarebbe stato uno dei motivi alla base della nascita dell'istituzione del matrimonio.
La teoria di Wrangham è stata confermata dalla scoperta in Inghilterra, nei siti di Vallonet in Francia e di Gran Dolina in Spagna, di tracce di antichi focolari risalenti ad oltre un milione di anni fa. Inoltre nel 2012 Svante Paabo del Max Planck Institut in Germania, usando il metodo chiamato "direct sequencing approach", ha sequenziato quasi interamente il DNA dell'Homo antiquus, scoprendo in esso le prove di selezione per geni legati alla digestione dei cibi cotti. Ormai è certo: l'uso del fuoco per cuocere i cibi mise a disposizione dei nostri antenati così tante proteine, che le dimensioni del cervello crebbero notevolmente ben prima dell'adattamento della mandibola ai nuovi tipi di cibo. Questa crescita dell'encefalo permise la nascita, fin dalla tarda Preistoria, di grandi civiltà monumentali, oggi conosciute con nomi esotici, che evocano panorami da fiaba: Mu, Lemuria, Atlantide, Pan, Avalon, Iperborea... Ma parlare di queste antiche culle della civiltà umana, da cui fiorirono gli antichi regni del Nilo, del Tigri, dell'Eufrate, dell'Indo e del Fiume Giallo, ci porta lontano dal tema dal quale siamo partiti al principio di questo articolo, e cioè il centesimo anniversario del giorno in cui un tipo un po' strambo, di nome Charles Dawson, con la barbetta bianca e gli occhiali di tartaruga, rovistò nella cava di Piltdown e ne estrasse pochi frammenti di ossa, i quali cambiarono per sempre la nostra percezione dell'origine della specie umana.
[Nota: l'Uomo di Piltdown fu una delle più clamorose truffe della storia della scienza, il cui vero autore resta tuttora avvolto dal mistero. Il nome "Homo antiquus" fu proposto anche nel nostro universo da Walter Ferguson della Tel Aviv University, secondo il quale alcuni reperti provenienti da Laetoli in Tanzania ed attribuiti ad Australopithecus afarensis sarebbero stati invece da attribuire ad Homo, pur essendo tre volte più antichi dei più antichi fossili di questo genere, ma ben pochi paleontologi danno credito a questa ipotesi. Sir Wilfrid Edward Le Gros Clark (1895-1971) dalle nostre parti fu l'anatomista che pubblicò le prove del fatto che l'Uomo di Piltdown era un clamoroso falso. Richard Wrangham è docente di antropologia presso la Harvard University anche nella nostra Timeline, ed ha effettivamente proposto che la cottura dei cibi abbia avuto un ruolo preponderante nell'evoluzione esponenziale del cervello nel genere Homo, come si può leggere nel suo libro « Catching Fire: How Cooking Made Us Human », ma ovviamente i suoi studi non hanno nulla a che vedere con l'Uomo di Piltdown. Le sue teorie, inoltre, non sono mai state confermate da scoperte archeologiche, e non sono condivise da tutti i paleontologi. Svante Paabo sta portando a termine il sequenziamento non del DNA dell'Uomo di Piltdown, ma dell'Uomo di Neanderthal. Ma fantasticare non costa nulla.]
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Dal numero 82/XIX del 23 marzo 2013:
COME "IL SANTO" HA RESO POSSIBILE LA FUSIONE FREDDA
Quando si dicono le coincidenze! Proprio a ventiquattro anni esatti dalla scoperta del professor Martin Fleischmann, scomparso il 3 agosto scorso a 85 anni, e del suo discepolo Stanley Pons dell'Università di Salt Lake City, i primi ad ottenere quasi per caso la fusione dei nuclei di idrogeno in nuclei di elio senza bisogno di temperature infernali, il professor MattoMatteo dell'Università degli Studi di Trieste ha ottenuto un altro grandissimo risultato sulla strada dell'energia pulita e rinnovabile. Ma sarà meglio andare con ordine.
Quando l'Europa fu ricostruita sulle macerie della Seconda Guerra Mondiale, le sole fonti di energia disponibili erano ancora il carbone e il petrolio. Ben presto però ci si rese conto che tali fonti si sarebbero presto esaurite, se sottoposte a quel ritmo di sfruttamento. Inoltre si trattava di sorgenti di energia fortemente inquinanti, e la cosa fu constatata proprio negli anni in cui nel mondo dominato dalla cultura europea si andava formando una coscienza ecologista. Infine, e questa non era certo la meno importante delle ragioni, i maggiori giacimenti di petrolio nel mondo erano concentrati in paesi fortemente instabili, dominati da integralismi religiosi o da sovrani assoluti che avrebbero potuto comodamente ricattare sia il blocco euro-russo che quello nippo-americano con la minaccia di chiudere i rubinetti del greggio. Per questo, entrambi i blocchi procedettero a grandi passi sulla strada dell'energia nucleare per usi civili. Vennero progettate centrali nucleari sempre più sicure, abbandonando ben presto gli iniziali modelli raffreddati a gas (i cosiddetti Magnox, perché le barre di uranio avevano guaine di ossido di magnesio) perché, raggiungendo temperature altissime, essi erano in grado di produrre pericoloso plutonio, uno dei nuclei più fissili che si conoscano, l’ideale per realizzare bombe termonucleari. Dopo l’incidente alla centrale nucleare britannica di Windscale del 10 ottobre 1957, quei primi prototipi vennero sostituiti da nuovi modelli raffreddati ad acqua: i BWR o Reattori ad Acqua Bollente, progettati dall’italiana Franco Tosi di Legnano, e i PWR o Reattori ad Acqua in Pressione, realizzati dalla americana Westinghouse. Questi reattori di nuova concezione scongiurarono il pericolo della cosiddetta "Sindrome Cinese", cioè della fusione del nocciolo del reattore in cui la reazione di fissione nucleare è diventata incontrollabile, tanto che nulla avrebbe arrestato l'aumento di temperatura, facendo sprofondare il reattore fino al centro della Terra e oltre, fino in Cina! La fusione del nocciolo del reattore di Three Mile Island in Pennsylvania, il 28 marzo 1979, fu scongiurata in tempo grazie alla prontezza di riflessi di Jack Godell, direttore della sala di controllo operativa della centrale; e siccome l'Unione dei Popoli Europei aveva fornito all'Impero Russo i propri reattori BWR in cambio di forniture di gas metano, a Černobyl', al confine tra Bielorussia ed Ucraina, il 26 aprile 1986 vi fu solo una limitata perdita di liquido refrigerante radioattivo dal reattore numero quattro, causato dall'imperizia di alcuni tecnici. Come conseguenza di tutto ciò, le opinioni pubbliche dei vari paesi non percepirono le centrali nucleari come una minaccia alla sicurezza nazionale, e il loro sviluppo proseguì fino ai giorni nostri con modelli sempre più avanzati e sicuri. Il fiore all'occhiello del programma nucleare italiano è oggi la centrale nucleare Alto Lazio di Montalto di Castro, in provincia di Viterbo, con ben quattro reattori BWR che lavorano a pieno regime.
Tuttavia, ci si rese conto ben presto che i reattori a fissione da soli non avrebbero potuto costituire un'alternativa efficace ai combustibili fossili. Se infatti è stato drasticamente ridotto il rischio di gravissimi incidenti (ma non a zero, come dimostra il disastro avvenuto presso la centrale di Fukushima Dai-ichi l'11 marzo 2011 a seguito di un terremoto di magnitudo 9,0 Richter nel Mar del Giappone e del conseguente tsunami), resta comunque insoluto il problema delle scorie radioattive, le quali restano pericolosissime per migliaia, o addirittura per centinaia di migliaia di anni. Inoltre anche i giacimenti di uranio (alcuni dei quali sono situati in paesi relativamente instabili dal punto di vista politico o dominati da regimi cleptocratici) finiranno prima o poi per esaurirsi, lasciandoci al punto di partenza: come risolvere il problema della fame di energia da parte della nostra civiltà?
La risposta parrebbe immediata e semplicissima: ricorrere alla fusione nucleare. In altre parole, ricavare energia non spezzando nuclei molto pesanti, ma facendo fondere insieme nuclei molto leggeri. Dopotutto si tratta della reazione che tiene in vita tutte le stelle dell'universo, incluso il nostro Sole. Tale reazione non lascia scorie inquinanti e longeve dietro di sé, e consuma isotopi di comune idrogeno per produrre un gas innocuo, l'elio. Vero è che essa provoca l'emissione di pericolosi neutroni, ma a questo si può porre rimedio rivestendo il reattore a fusione con una camicia di litio, in grado di assorbire i neutroni per produrre altro idrogeno da usare come combustibile. Il problema però è un altro, e sufficiente da solo per spiegare perché al giorno d'oggi non abbiamo ancora centrali nucleari a fusione in esercizio commerciale. Affinché i nuclei si fondano, occorre portarli a distanza così piccola da permettere che le forze nucleari, attrattive ma a cortissimo raggio, prevalgano sulla forza di repulsione elettrostatica (due nuclei entrambi carichi si respingono fortemente, come tutte le cariche dello stesso segno). E per superare la barriera coulombiana di potenziale occorre scaldare i nuclei a una temperatura spaventosamente alta, in maniera che l'agitazione termica prevalga sulla repulsione elettrica e porti i nuclei praticamente a contatto fra di loro. Per spingere un nucleo di deuterio contro uno di trizio (si tratta di due comuni isotopi dell'idrogeno) abbastanza da farli fondere in un nucleo di elio, occorre una temperatura di almeno 108 Kelvin, cioè di 100 milioni di gradi! A tale temperatura la materia si trova allo stato di plasma, e nessun materiale può resistere al contatto con essa. Per questo, è necessario un confinamento di tipo magnetico per tenere il plasma lontano dalle pareti del reattore, ma purtroppo ogni confinamento di questo tipo è spaventosamente instabile. Sarebbe più facile tenere la grande Piramide di Cheope in equilibrio sulla punta, piuttosto che tenere un plasma a 100 milioni di gradi in equilibrio dentro un campo magnetico! Una delle configurazioni più stabili dovrebbe essere quella del tokamak (dal russo "toroidal'naya kamera s magnitnymi katushkami", cioè "camera toroidale con bobine magnetiche"), in cui due campi magnetici, detti toroidale e poloidale, sono in grado di tenere sospeso un anello di plasma a sezione circolare e ad altissima temperatura. La prima fusione nucleare controllata della storia è stata ottenuta il 9 novembre 1991 a Culham, in Gran Bretagna, nel tokamak JET (Joint European Torus), ma tuttora siamo lontanissimi dal realizzare un reattore nucleare a fusione economicamente conveniente come quelli a fissione.
Grazie al Cielo, negli stessi anni veniva individuato un altro metodo per ottenere la fusione nei nuclei, e senza bisogno di adoperare temperature astronomiche, pari a quelle del nucleo del Sole. Per realizzare questo scopo occorre utilizzare le cosiddette trasmutazioni LENR ("Low Energy Nuclear Reactions"). In effetti molte volte sono stati rilevate sulla superficie di materiali a bassa temperatura delle specie atomiche prodotte per fusione di altri nuclei: il primo caso è stato il già citato esperimento di Pons e Fleischmann di cui oggi ricorre il 24° anniversario, e che è stato ripetuto con successo da molti altri fisici. Essi utilizzarono una cella elettrolitica con deuterio in soluzione e un catodo di palladio, capace di assorbire gli atomi di deuterio e trizio, osservando una emissione di calore in quantità superiore a quella che ci si potrebbe aspettare in presenza di sole reazioni chimiche, oltre alla formazione di elio. Purtroppo l'energia prodotta era ancora troppo piccola per poter essere sfruttata commercialmente. Solo il 22 maggio 2008, Yoshiaki Arata dell'Università di Osaka ha messo finalmente a punto un reattore a base di palladio in grado di produrre quantità consistenti di energia, ma anche in questo caso non ancora conveniente dal punto di vista commerciale.
Intanto, altri scienziati battevano altre strade. John David Jackson (1925 - vivente) dell'Università di Princeton, ad esempio, ha proposto di utilizzare dei muoni, particelle che possono sostituirsi all'elettrone dell'atomo. Ma il muone ha una massa circa 200 volte maggiore di quella dell'elettrone, e quindi, per il principio di conservazione del momento angolare, i muoni dovranno orbitare a distanze molto più prossime al nucleo, schermando quindi maggiormente la repulsione elettrica. Questo permetterà l'avvicinamento tra quei nuclei che hanno sostituito i propri elettroni con muoni, fino alla distanza necessaria ad innescare una reazione di fusione nucleare, con conseguente emissione di energia. Un'ottima strategia, che però finora ha dovuto scontrarsi con l'oggettiva impossibilità, allo stato attuale della tecnologia, di rendere tali reazioni energeticamente convenienti.
Il dispositivo per la fusione fredda ideato da MattoMatteo (da questo sito)
E giungiamo così alla scoperta del prof. MattoMatteo, annunciata ieri in conferenza stampa. Egli ha usato del deuterio liquido, versato in un contenitore cilindrico e sottoposto all'azione di un dispositivo che genera un campo magnetico alternato alla frequenza di risonanza dell'idrogeno. A questo punto ha sottoposto il liquido a degli ultrasuoni, generando una bolla di sonoluminescenza. Quando la bolla implode, grazie all'effetto del campo magnetico e della radiazione di punto zero, i nuclei di idrogeno al suo interno riescono a vincere la forza di repulsione, trasformandosi in elio e generando più energia di quanta usata per indurre la reazione; questa energia, sotto forma di radiazione luminosa, viene assorbita dalle pareti del contenitore, rivestite di materiale fotorecettivo. Il prof. MattoMatteo assicura di poter costruire, sulla base di questo principio, un reattore LENR sperimentale entro il 2015, e un reattore sfruttabile commercialmente entro il 2020. Se sarà davvero così, forse i problemi energetici dell'umanità potranno dirsi risolti.
Prima però di apporre la mia firma in calce a questo articolo, è doveroso che io riassuma anche la romanzesca catena di eventi che ha condotto all'elaborazione di questa nuova tecnica. Infatti, quando il procedimento ideato dal nostro ricercatore non era ancora stato completamente messo a punto, tutti i documenti relativi alle sue ricerche sono stati rubati dal famoso ladro internazionale noto come Simon Templar, detto "il Santo" perchè usa come identità fittizie quelle di Santi della Chiesa Cattolica. Il ladro ha agito per conto del magnate russo Ivan Tretjak, e presentandosi come un artista giramondo chiamato Thomas More è riuscito a cattivarsi la fiducia di MattoMatteo e a rubargli le formule. Recatosi a Mosca per consegnare le formule a Tretjak, usando come nome quello del santo del XIV secolo Vicent Ferrer, Templar si è reso conto che la capitale russa doveva fare i conti con una misteriosa carenza di combustibile per gli impianti di riscaldamento, che stava mettendo in ginocchio la popolazione. Infiltratosi negli uffici di Tretjak con la sua abilità di scassinatore, Templar ha scoperto che il responsabile di tutto era proprio Tretjak, il quale aveva organizzato un colpo di stato con la complicità delle alte sfere dell’esercito per deporre il Primo Ministro Boris Efimovič Nemtsov, riformista e alleato dell'Unione dei Popoli Europei, sfruttando il malcontento della popolazione; Tretjak voleva impossessarsi del nuovo procedimento per ottenere la fusione fredda con l'aiuto del fisico Lev Botkin e sfruttarla per riscaldare Mosca, onde compiacere il popolo e prendere il controllo della Russia instaurando un'autocrazia. Il Santo tuttavia ha messo a punto una contromossa, sabotando il dispositivo di Botkin in modo che la sua dimostrazione sulla Piazza Rossa risultasse un fiasco; in tal modo l'imbroglio è stato smascherato e Tretjak arrestato. Lo stesso Simon Templar ha poi riconsegnato le formule rubate al prof. MattoMatteo, integrate con le ricerche di Botkin. Se dunque un giorno la nostra civiltà potrà proseguire imperterrita il suo sviluppo senza problemi di carenza di energia, forse sarà merito anche di un Robin Hood dei nostri giorni che nulla sa di Fisica, ma che ha capito come le scoperte della Scienza siano patrimonio di tutti, e non solo di un dittatore assetato di ricchezza e di potere.
[Nota: i reattori di tipo PWR sono stati effettivamente progettati dall’americana Westinghouse, ma i BWR li ha realizzati la General Electric, anch’essa statunitense. Nella nostra Timeline a Three Mile Island avvenne in effetti il peggior incidente nucleare della storia statunitense, con parziale fusione del nocciolo e rilascio di sostanze radioattive nell'atmosfera; Jack Godell, interpretato da Jack Lemmon, è il protagonista del noto film "Sindrome Cinese" di James Bridges (1979). A Černobyl' invece vi fu una paurosa esplosione del nocciolo, con rilascio di una nube radioattiva che contaminò vaste porzioni d'Europa, arrivando persino in Nordamerica. Questo incidente fu la principale causa dell'abbandono dell'opzione nucleare da parte dell'Italia e di altri paesi. La costruzione della Centrale Nucleare di Montalto di Castro fu abbandonata a causa della miopia dei nostri politici di allora. Dopo il 23 marzo 1989, nessuno è stato più in grado di ripetere l'esperimento di Pons e Fleischmann, così come quello di Yoshiaki Arata, i cui risultati non sono stati pubblicati in alcun lavoro scientifico; la maggior parte dei fisici e dei chimici del nostro universo non dà credito a queste esperienze, ritenendo che la quantità dei prodotti di fusione trovati è così piccola che potrebbe essere dovuta a impurità già presenti nel materiale stesso, emerse sulla superficie del materiale per qualche fenomeno di trasporto. La fusione fredda con atomi muonici è stata effettivamente teorizzata dal prof. J.D. Jackson nel 1957, ma fino ad oggi non ha avuto alcuna applicazione pratica. Invece la tecnica sonoluminescente qui riportata è stata proposta dal nostro amico MattoMatteo, mentre il racconto del furto della formula da parte di Simon Templar, personaggio nato nel 1928 dalla penna dello scrittore statunitense Leslie Charteris (1907-1993), è ispirato alla trama del film "Il Santo" (1997) di Phillip Noyce, in cui l'inafferrabile ladro trasformista è interpretato dall'attore americano Val Kilmer, ed ha effettivamente a che fare con la tecnologia della fusione fredda. Infine, non poteva mancare un tributo al liberale russo Boris Nemtsov, assassinato a Mosca il 27 febbraio 2015, autore del saggio "Disastro Putin. Libertà e democrazia in Russia" (2009).]
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Dal numero 159/XX dell'8 giugno 2014:
UN'ANTICA CIVILTÀ RIEMERGE DAL MARE (E DAL PASSATO)
Anche oggi dedichiamo questo articolo a ricordare l'anniversario di una delle scoperte fondamentali della storia dell'umanità. Per farlo, dobbiamo tornare indietro fino alla seconda metà dell'ottocento, e precisamente tra il 1872 e il 1876, quando la Royal Society britannica acquisì dalla Royal Navy la corvetta HMS Challenger e la adattò alla ricerca oceanografica, equipaggiandola con laboratori all'avanguardia e 291 km di corde da usare come scandagli. La spedizione, al comando del capitano George Nares e sotto la supervisione scientifica del professor Charles Wyville Thomson dell'Università di Edimburgo, salpò da Portsmouth il 21 dicembre 1872 e in 1.606 giorni coprì la bellezza di 68.890 miglia marine (127.580 km). Quando la spedizione terminò a Spithead, nello Hampshire, il 24 maggio 1876, erano state eseguite 497 esplorazioni in acque profonde, 133 dragaggi dei fondali, 151 operazioni di pesca in mare aperto, 263 osservazioni della temperatura dell'acqua, ed erano state scoperte 4.717 nuove forme di vita marine. Questa spedizione fu definita « il maggior progresso per la conoscenza del nostro pianeta dopo le scoperte geografiche del sedicesimo secolo », e non si tratta di una esagerazione: la HMS Challenger, infatti, gettò così tante volte lo scandaglio, da permettere di tracciare la prima carta batimetrica degli oceani di tutto il globo. Per la prima volta fu possibile dimostrare che anche sul fondo del mare esistono catene montuose, valli, pianure, scarpate, picchi e coni vulcanici, proprio come sulle terre emerse. Non è certo un caso se la navetta per esplorazioni planetarie della Odyssey, la nave iperspaziale europea, è stata battezzata proprio Challenger.
Ma la scoperta più importante di tutte fu compiuta l'8 giugno 1874, cioè esattamente 140 anni fa, 40 miglia a sudovest dell'isola di Santa Maria, nelle Azzorre. Durante un dragaggio a circa 600 metri di profondità, lo scandaglio risalì con maggior fatica del solito, e quando fu a galla ci si rese conto del perchè: agganciato all'uncino c'era un frammento di una statua di marmo di squisita fattura, anche se incrostata di fango: alta circa 40 centimetri, raffigurava la parte superiore di una figura femminile, con il seno esageratamente grande e i capelli acconciati in modo insolito. La scoperta fece molto rumore, perchè a tutti gli archeologi, storici e filologi venne in mente una parola dimenticata da tempo, che per di più era ormai diventata sinonimo di leggenda: Atlantide.
Era questo il nome assegnato da Platone a una terra rigogliosa e splendida posta al di là delle Colonne d'Ercole, in pieno oceano, sede di una civiltà così avanzata da costituire un impero coloniale esteso a buona parte del Mediterraneo, che avrebbe tentato senza successo di conquistare Atene, e poi sarebbe sparita nel mare nel giro di una sola notte, nel corso di un cataclisma di proporzioni bibliche. Tale vicenda è narrata dal filosofo greco nei suoi dialoghi "Timeo" e "Crizia", scritti verso il 360 a.C., ma nessuno cita Atlantide prima di Platone, e già gli stessi discepoli del grande pensatore, a partire da Aristotele, misero in dubbio il racconto del maestro, ritenendo Atlantide un mito da lui concepito per illustrare le proprie idee politiche, tratteggiando una sorta di società ideale, come l'"Utopia" di Thomas More. Fin dall'inizio inoltre la vicenda fu parodiata: ad esempio lo storico greco Teopompo di Chio, vissuto pochi decenni dopo Platone, inventò a sua volta un continente leggendario sprofondato nel mare, che chiamò Meropide, il quale ci appare come un'esagerazione un po' comica dei dialoghi platonici.
Come però abbiamo già visto molte volte in questi articoli, più spesso di quanto non si creda le presunte "leggende" hanno dato ragione alle famose parole di Einstein: « Dicono tutti che è assurdo, finché non arriva un tizio che lo scopre, e da allora tutti dicono che era evidente ». Infatti nel Timeo si racconta di come Solone, il grande legislatore ateniese, recatosi in Egitto, fosse venuto a conoscenza da alcuni sacerdoti egizi della città di Sais di un'antica battaglia avvenuta tra gli Atlantidei e gli antenati degli Ateniesi, con vittoria di questi ultimi nonostante la palese inferiorità numerica. Ma proprio l'ottocento fu il periodo in cui, dopo la riuscita spedizione napoleonica che portò alla conquista francese dell'Egitto, nacque l'egittologia moderna, in particolare dopo l'interpretazione dei geroglifici eseguita nel 1822 da Jean-François Champollion (1790-1832). E uno dei padri di questa scienza fu l'esploratore padovano Giovanni Battista Belzoni (1778-1853), ingiustamente poco noto rispetto ad altri pionieri dell'archeologia contemporanea. Egli fu autore di clamorose scoperte, tra cui la tomba di Seti I nella Valle dei Re (detta "la Cappella Sistina dell'Antico Egitto" per la bellezza dei suoi affreschi), la via d'accesso alla piramide di Chefren e i resti del porto di Berenice sul Mar Rosso. Nel corso della sua quinta spedizione archeologica in Egitto, il 12 ottobre 1824, egli scoprì sotto l'attuale città egiziana di Zau gli imponenti resti archeologici dell'antica Sais, capitale dell'impero egiziano durante la XXIV, XXVI e XXVIII dinastia, più o meno all'epoca di Solone.
E fu proprio studiando con maggior attenzione le rovine di Sais, che il famoso egittologo francese Auguste-Édouard Mariette (1821-1881) ritrovò incise sulle colonne del tempio di Iside le prove che il racconto di Platone non era menzognero. Infatti il filosofo neoplatonico Proclo (412-485) ha scritto: « l'intero racconto di Atlantide è confermato dai profeti degli Egiziani, i quali affermano che i particolari, così come li ha narrati Platone, sono incisi su alcune colonne che si conservano ancora. » E siccome Sais era la capitale dell'Egitto in quel periodo, era logico che tali colonne andassero cercate in quella città. Nessuno se ne era mai preoccupato prima della scoperta della HMS Challenger, dato che l'intera scienza accademica pensava ad Atlantide come una mera leggenda, ma dopo che dal fondo dell'oceano era saltata fuori una statuetta vecchia di millenni, frotte di studiosi arrivarono nella città sul delta del Nilo per cercare le fantomatiche colonne, e Mariette fu il primo a riuscirci, il 4 settembre 1879.
I geroglifici sulle colonne del tempio di Iside, oggi al Museo Egizio del Cairo, parlano chiaro: millenni prima della fondazione dell'Impero Faraonico (il racconto di Platone datava gli eventi novemila anni prima del tempo di Solone, cioè approssimativamente nel 9600 a.C.) l'Egitto era una provincia di un vastissimo impero coloniale, che oggi sappiamo esteso su entrambe le sponde dell'Oceano Atlantico, e solo la fine catastrofica del centro dell'Impero, definito sulle colonne "il Paese del Sole che Tramonta, ai Confini del Mondo", pose fine a quello stato di cose, a causa dell'"ira del dio Nun". Ora, quest'ultimo era il dio maschile con faccia di rana che rappresentava la metà dell'oceano primordiale, prima che Ptah creasse i continenti (la metà femminile era Nunet), ed è dunque logico che Solone, traducendo in greco il racconto dei sacerdoti di Sais, abbia sostituito Nun con Poseidone. Il nome "Atlantide" non compare mai su quelle iscrizioni, segno del fatto che si tratta di un nome greco molto tardo, forse coniato da Platone medesimo insieme alla leggenda di Atlante, figlio di Poseidone e primo re dell'isola.
Nel frattempo, altre navi oceanografiche scandagliavano l'oceano atlantico intorno all'arcipelago delle Azzorre, riportando alla luce molti altri straordinari reperti archeologici, inclusi frammenti di vasellame e oggetti in bronzo. Il riemergere anche di frammenti di carbone e di rocce che non si possono formare sotto il livello del mare convinse anche i più scettici circa il fatto che quel tratto di fondale un tempo era emerso dal mare. Ormai era chiaro che una parte di quella che noi chiamiamo Dorsale Medio-Atlantica, una catena di vulcani che percorre l'intero oceano da nord a sud, un tempo affiorava in superficie, e i picchi più alti formavano la spina dorsale di un'isola lunga e stretta, dotata di una pianura relativamente vasta rivolta verso oriente. Di tale isola facevano parte anche le attuali isole Azzorre. Tale pianura era punteggiata di città, e dalle rovine di queste venivano i reperti archeologici riportati alla luce dopo millenni di oblio. Fu la definitiva consacrazione della veridicità del racconto platonico, confermato anche dal fatto che tutti i resti dell'antica civiltà riportata alla luce erano danneggiati o ridotti in frammenti, come se l'isola fosse effettivamente sprofondata in mare per colpa di un cataclisma tettonico "nel giro di un solo giorno e di una sola notte": cataclisma che i suoi abitanti potevano pensare solo prodotta dalla collera di un dio.
Ubicazione di Atlantide prima della catastrofe che pose fine alla sua esistenza
Da allora, tutti i maggiori archeologi del mondo si interessarono alla ricostruzione della storia dell'antica civiltà. Nel 1896 il britannico John Banning fu il primo a riportare in superficie ossa umane; datate decenni dopo al radiocarbonio, esse si rivelarono vecchie di diecimila anni. La morte prematura di Banning fece peraltro nascere la leggenda secondo cui egli avrebbe disturbato il sonno di alcuni sovrani di Atlantide, i cui spiriti si sarebbero vendicati di lui. Di sicuro non era superstiziosa l'archeologa francese Adèle Blanc-Sec, che il 4 novembre 1911 con l'aiuto del collega Marie-Joseph Esperandieu riconobbe alcuni reperti metallici come ferri chirurgici, strumenti da orafo e altri manufatti i quali confermavano l'alto grado di civiltà raggiunta dagli abitanti dell'isola-continente: al momento della sua fine essa si trovava allo stadio dell'età del bronzo, mentre il resto del pianeta era ancora immerso nel Paleolitico. I maggiori contributi però li diede il britannico Howard Carter che, generosamente finanziato da George Herbert, quinto conte di Carnavon, il 3 novembre 1922 riuscì a riportare in superficie alcuni resti di una splendida sepoltura, compresa una maschera funeraria di oro massiccio, oggi detta Maschera di Re Atlante e conservata al British Museum di Londra. Nel 1928 lo statunitense Robert Langford riportò invece a galla un altro reperto straordinario, un anello di pietra quasi intatto, che nella mitologia atlantidea rappresentava probabilmente la porta verso il Mondo di Là. A sua figlia Catherine Langford si deve la ricostruzione di buona parte della religione politeista di Atlantide, che dimostrò avere molti punti in comune con quella mesoamericana.
Nel frattempo, l'americano John Lloyd Stephens (1805-1852) e l'inglese Frederick Catherwood (1799-1854) avevano scoperto nel 1837 i resti dell'antica civiltà Maya, sepolti nella fittissima giungla dello Yucatan. Sotto il loro impulso, il missionario cattolico belga padre Charles Étienne Brasseur de Bourbourg (1814-1874), recatosi ad evangelizzare gli indigeni dell'America Centrale, entrò a contatto con la scrittura Maya e, con l'aiuto di alcuni sapienti di quel popolo sopravvissuti nei villaggi del Messico Meridionale, nel 1863 riuscì a decifrarne una buona parte. Ne risultò che, secondo le antiche tradizioni, quel popolo discendeva da genti venute da oriente, e precisamente da un'isola che era stata distrutta da un cataclisma. Anche gli Aztechi affermavano di venire da una terra in mezzo al mare chiamata "Aztlan" ("atl" significa "acqua" sia nella lingua nahuatl degli Aztechi che in quella dei Berberi), e a questo punto apparve evidente che entrambi i popoli erano discendenti dei superstiti dell'isola perduta. In seguito emersero altre testimonianze della presenza degli Atlantidi in America Centrale, tra cui la famosa "Strada di Bimini", una strada processionale oggi posta ad alcuni metri di profondità e scoperta nel 1968 al largo delle coste delle Bimini, nell'arcipelago delle Bahamas. Risalente a circa 12.000 anni fa, era probabilmente usata da coloni atlantidi nel Mar dei Caraibi.
Nel secolo XX 'invenzione dei grandi sommergibili nucleari permise agli archeologi di immergersi fino a migliaia di metri di profondità per esaminare direttamente i resti delle città di Atlantide sopravvissuti ai piedi della dorsale medio-atlantica: sono così state tracciate mappe, scoperti reticoli viari ad angolo retto e ricostruite le piante di case e templi. Sono state persino rintracciate le tracce dei canali di forma circolare che circondavano la capitale di Atlantide, come racconta Platone nei suoi dialoghi. Allo stesso modo, sono stati scoperti al di sopra del livello del mare resti archeologici che possono essere ricondotti solo all'antica civiltà atlantidea. Tra questi, uno dei più clamorosi è la cosiddetta "Dama di Elche", scoperta il 4 agosto 1897 a Elx, presso Valencia, e oggi conservata presso il Museo Archeologico Nazionale di Madrid. Inizialmente datata al IV secolo a.C., oggi sappiamo che risale invece al 9000 a.C. circa, e rappresenta forse una sacerdotessa o una regina della perduta Atlantide. Il grande archeologo italiano Paolo Matthiae (1940-vivente), professore di Storia del Vicino Oriente presso l'Università di Roma "La Sapienza", tra il 1964 e il 1976 riportò alla luce l'antica città di Ebla, in Siria, dimostrando che si trattava di un'antica colonia di Atlantide.
Purtroppo una delle caratteristiche della civiltà atlantidea è la mancanza quasi totale di scrittura, fatta eccezione per pochi simboli, probabilmente geroglifici, usati dai mercanti per annotare le mercanzie scambiate. Questo rende problematico comprendere le origini e la storia di quella civiltà primigenia. Oggi sappiamo che la presenza umana sulla porzione di dorsale oceanica emersa dall'Atlantico data fin dal 50.000 a.C. (ma secondo alcuni anche prima); il fatto che su di essa la Storia sia iniziata molti millenni prima sul continente viene spiegato con la rapida evoluzione del cervello umano dimostrata dall'Homo antiquus, meglio noto come Uomo di Piltdown, cui abbiamo già dedicato più di un articolo. Oggi si pensa che la cultura aurignaziana (dal sito di Aurignac nell'Alta Garonna) si diffuse in Europa e nel sudovest asiatico tra 45.000 e 35.000 anni fa proveniente proprio dall'Atlantide; anche l'ultima cultura del Paleolitico europeo, quella Magdaleniana (dal sito di Abri de la Madeleine, in Dordogna), caratterizzata tra il 17.000 e l'11.000 a.C. dalla lavorazione di microliti, avorio ed osso, rappresenta un'ondata di emigrazione dall'Atlantide, probabilmente sovrappopolata, giacché resti di microliti simili furono ritrovati sul fondo dell'Atlantico. La tecnologia di quella civiltà raggiunse il suo acme attorno all'11.000 a.C., e il resto di statua riportata alla luce dalla HMS Challenger faceva parte di quel massimo rigoglio culturale, quando le navi di quella civiltà primigenia solcavano i mari di mezzo mondo, giungendo dal Guatemala alla Scandinavia, e dall'isola di Terranova fino al capo di Buona Speranza. Un altro mistero resta la fine improvvisa di tale civiltà: perchè un'isola lunga 500 km scomparve nel mare « in un singolo giorno e notte di disgrazia », per dirla con Platone? L'ipotesi più probabile resta il collasso di un supervulcano facente parte della dorsale, anche se c'è chi parla della caduta di un meteorite o di un evento tellurico catastrofico. L'unica cosa certa è che l'inabissamento di Atlantide provocò tsunami disastrosi su tutte le coste dell'Oceano Atlantico, ed oggi gli oceanografi hanno ritrovato le tracce dei detriti lasciati da quelle spaventose onde anomale alte fino a 200 metri. In particolare il grande Jacques-Yves Cousteau (1910-1997) scoprì i depositi lasciati dal grande tsunami che colpì la zona dello Stretto di Gibilterra, radendo al suolo la colonia atlantidea di Tartesso (il misterioso Paese di Tarsis citato nella Bibbia). Il ricordo di quella spaventosa alluvione, che interessò anche le coste del Mediterraneo, avrebbe dato origine anche alla tradizione del Diluvio Universale. Anche l'isola di Númenor creata da J.R.R. Tolkien nel suo corpus mitologico e il telefilm anni settanta "L'Uomo di Atlantide" con Patrick Duffy nel ruolo del protagonista sono chiare eredità della riscoperta della mitica civiltà sul fondo dell'oceano.
Cosa resta, oggi, di Atlantide, qualunque fosse il nome che le davano i suoi scomparsi abitanti? Una manciata di isole sparse nell'Atlantico orientale (Azzorre, Madera, Isole Selvagge, Canarie, Capo Verde) che i Greci definivano "Isole dei Beati", forse come ricordo ancestrale delle evolute popolazioni che vi abitavano. Dopo le scoperte archeologiche del XIX e del XX secolo, che tra l'altro portarono a individuare molti altri continenti perduti come Mu, Lemuria ed Iperborea, quelle isolette sono conosciute con l'affascinante nome di Atlantidonesia. Ma, proprio in Atlantidonesia, rimane un'affascinante reliquia di quel Mondo Perduto. Infatti di solito si ritiene che tra i sopravvissuti di razza più pura alla collera di Poseidone ci siano i Guanci delle Isole Canarie, un popolo antichissimo giunto quasi miracolosamente fino ai nostri giorni preservando la propria antica cultura, nonostante la colonizzazione spagnola e la diffusione del Cristianesimo. Udendoli parlare nella loro antica lingua, si ha quasi l'impressione di sentire un antico Re di Atlantide che, da un passato lontano da noi più di cento secoli, parla ai propri sudditi narrando le antiche mitologie della propria isola perduta, un tempo risplendente sotto il sole ai confini del mondo.
[Nota: la HMS Challenger compì effettivamente il lungo viaggio qui descritto, nella seconda metà del XIX secolo, ma ovviamente senza compiere alcuna scoperta riguardo ad Atlantide. Il suo nome fu dato allo Shuttle Challenger, non ad una nave iperspaziale per l'esplorazione di pianeti extrasolari. L'8 giugno 2001 in realtà è la data di uscita negli Stati Uniti del film a cartoni animati della Walt Disney "Atlantis - L'Impero Perduto". Giovanni Battista Belzoni compì effettivamente le scoperte che qui gli sono attribuite, ma morì in Africa Occidentale il 3 dicembre 1823 a soli 45 anni. Egli compì solo tre spedizioni in Egitto: il primo dal 30 giugno 1816 al 15 dicembre 1816, il secondo dal 20 febbraio al 21 dicembre 1817 e il terzo dal 28 aprile 1818 al 18 febbraio 1819. Di Sais (Zau in arabo moderno) oggi non resta quasi nulla, perchè in epoca islamica essa fu smantellata quasi per intero, e i materiali riutilizzati per costruire il Cairo e Rosetta (probabilmente anche la famosa stele di Rosetta veniva da Sais). Auguste Mariette ovviamente a Sais non scoprì mai nulla. John Banning è il protagonista del film "La mummia" del 1959, è interpretato da Peter Cushing e nella pellicola fa una brutta fine per colpa della vendetta della mummia rediviva. Adèle Blanc-Sec e Marie-Joseph Esperandieu sono invece protagonisti del film "Adèle e l'enigma del faraone" (2010) di Luc Besson. Howard Carter (1874-1939) nel 1922 scoprì la celebre Tomba di Tutankhamon nella Valle dei Re; la maschera d'oro di Tutankhamon da lui rinvenuta è oggi al Museo Egizio del Cairo. Robert Langford è un personaggio di fantasia che appare all'inizio del film "Stargate": è l'archeologo che riporta alla luce il primo Stargate, la porta tra i mondi lasciata sulla Terra da una civiltà aliena avanzatissima, gli Antichi. Sua figlia Catherine è colei che decifra i geroglifici dell'anello e incarica il dottor Daniel Jackson di svelarne i misteri. Brasseur de Bourbourg tentò effettivamente di decifrare la scrittura Maya, ma senza esito, perchè la credeva una scrittura alfabetica, mentre oggi sappiamo che è di natura geroglifica. La "Strada di Bimini", interpretata da alcuni come una testimonianza dell'esistenza di Atlantide, oggi dai più è considerata come una bizzarra formazione rocciosa naturale. La "Dama di Elche" esiste davvero, ma risale senz'altro al 400 a.C. circa ed è di fattura celtiberica. Paolo Matthiae ritrovò in effetti Ebla, ma senza alcuna connessione con il mito di Atlantide. Anche il fatto di considerare le culture paleolitiche dell'Aurignaziano e del Magdaleniano come ondate successive di emigrazione dall'Atlantide è mera invenzione dell'autore. Che i Guanci fossero discendenti degli Atlantidi è ipotesi oggi destituita di alcun fondamento storico, ed inoltre essi sono estinti fin dagli ultimi anni del XV secolo. Le isole dell'Atlantico occidentale sono oggi conosciute con il nome di Macaronesia ("Isole dei Beati"); il termine "Atlantidonesia" è stato proposto dai nostri amici Pedro Felipe e Bhrg'hros.]
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Dal numero 126/XXI del 6 maggio 2015:
ATTENTI AL PAN GORILLA!
Grazie agli studi incrociati della professoressa Margaret Ellis (Philadelphia University), del professor Ernest Muller (Humbolt University di Berlino), e del professor Lee Qwai Chen (Beihang University di Pechino), finalmente la scienza è in grado di fornire una risposta al mistero degli "uomini selvatici" che da sempre affollano i nostri miti.
Circa 7-8 milioni di anni fa in Africa è avvenuta la divisione che ha portato, da una parte alla nascita dei gorilla (Gorilla gorilla), dall'altra alla nascita di scimpanzè (Pan paniscus) e ominidi (Homo habilis e Homo erectus); la divisione tra scimpanzè ed ominidi è avvenuta poco dopo (6-7 milioni di anni fa), sempre in Africa; l'attuale Homo sapiens nasce circa 200.000 anni fa, e dall'Africa si è diffuso nel resto del mondo.
Quello che è stato scoperto è che, circa 5-6 milioni di anni fa, dall'incrocio di gorilla e scimpanzè nacque una nuova specie, il Koolakamba (Pan gorilla), capace di camminare eretto e di usare attrezzi (ma non di costruirli, e incapace di usare il fuoco).
Come l'Homo Sapiens alcuni milioni di anni dopo, il Koolakamba si diffonderà nel resto del mondo, pur mantenendo una civiltà molto più primitiva e ridotta; la diffusione del più evoluto Homo Sapiens provocherà l'ulteriore diminuzione della popolazione del Koolakamba (ad esempio, in Africa si estinguerà completamente circa 100.000 anni fa), che sarà costretto a nascondersi sempre più all'interno di fitte foreste o altri luoghi impervi.
I suoi discendenti hanno tutti una caratteristica comune, quella di avere il corpo (ad eccezione di volto, mani e piedi) coperto di una lunga peluria (colore dal castano scuro al nero); si ritiene che sia un adattamento sviluppatosi durante le ere glaciali, e che gli ha reso inutile l'uso (e quindi lo sviluppo) degli abiti.
Attenti al Pan gorilla! (cartello canadese)
Ed ecco le principali sottospecie di questo primate:
Africa: Koolakamba (Pan gorilla gapiens); estinto (100.000 anni fa).
Europa: Woodewose (Pan gorilla silvanus); piccolo (120-180 cm) e selvatico; probabile origine dei miti su orchi e troll.
Himalaya: Yeti (Pan gorilla montanus); il più grande (160-240 cm) e pacifico; è coperto da una peluria bianca (per mimetizzarsi nella neve).
Russia e Siberia: Almas o Chuchunya (Pan gorilla vernalis); medie dimensioni (140-210 cm), si ritiene abbia avuto origine da un incrocio tra silvanus e montanus; è coperto da una peluria dal biondo scuro al castano chiaro.
Nordamerica: Sasquatch (Pan gorilla sapiens); medie dimensioni (140-210 cm), il più evoluto tecnicamente (ma continua a non costruire attrezzi, si limita ad usare quelli che trova: pietre, ossa, corna, rami); si ritiene discenda dal Vernalis, ma la sua pelliccia è come quella del silvanus.
Mongolia: Yeren (Pan gorilla subterraneus); stesse dimensioni del vernalis (da cui probabilmente discende), ma dotato di braccia e gambe molto lunghe; albino e quasi cieco (ma dotato di olfatto ed udito eccezionali), vive sottoterra ed esce a cacciare solo di notte.
Giappone: Hibagon (Pan gorilla japonensis) stesse dimensioni del vernalis (da cui probabilmente discende), probabile origine dei miti sugli Oni; estinto (1.500-2.000 anni fa).
India e sud-est asiatico: Mande Barung o Barmanou o Batutut o Orang Pendek o Orang Bati o Orang Mawas (Pan gorilla selvaticus); per quanto discenda dal silvanus, era probabilmente persino più piccolo e primitivo del silvanus (100-150 cm); estinto (1.000-1.500 anni fa).
Australia: Yowie (Pan gorilla australis); caratteristiche analoghe al silvanus, ma discendente dal selvaticus; estinto (500-1.000 anni fa).
Per qualche misterioso motivo i Pan gorilla sembrano non essersi spinti in America Centrale e Meridionale; alcuni ipotizzano che sia a causa delle elevate temperature di quelle zone, il che spiegherebbe anche perchè le uniche sottorazze estinte sono appunto quelle insediatesi in località calde. Tale teoria, però, cozza contro il dettaglio che tali estinzioni siano avvenute in periodi diversi.
[Nota: anche questo articolo è stato scritto da MattoMatteo, il quale evidentemente è molto ispirato quando tratta di criptozoologia!]
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Chiudiamo con uno dei sogni dell'amico Bhrg'hros, che vuole rappresentare un tributo nei suoi confronti:
Dal numero 17/XXII del 17 gennaio 2016:
MAXIMA FACTA PATRVM! OVVERO: A VOLTE RITORNANO
Più volte, nella storia dell'uomo, opere fondamentali della letteratura e del pensiero sono andate perdute, impedendoci così di conoscere alcune pietre miliari della storia del progresso umano. Sicuramente la perdita di quasi tutta la cultura di Atlantide, a causa del fatto che in quei remoti millenni la scrittura non era ancora stata ideata, rappresenta una delle peggiori catastrofi intellettuali di tutti i tempi. In alcuni casi, però, siamo stati più fortunati, ed alcuni testi, opere d'arte e pezzi musicali ritenuti perduti per sempre sono stati rintracciati, proprio là dove meno ce lo potevamo aspettare. Questo è stato il caso delle monumentali "Storie" di Tito Livio in 142 libri, che coprono l'intero arco della Storia di Roma dalla mitica fuga di Enea da Troia fino alla morte e all'apoteosi di Cesare Ottaviano Augusto nel 14 d.C.; cercate inutilmente dagli umanisti del quattrocento, furono fortunosamente ritrovate dal grande scienziato gesuita Athanasius Kircher (1602-1680). A lui dobbiamo anche il rinvenimento di un'altra importantissima opera antica, il "Margite" ("Lo sciocco"), attribuito ad Omero, che secondo il buon vecchio Aristotele sta alla commedia come Iliade ed Odissea stanno alla tragedia.
Fu invece l'imperatrice Elisabetta di Wittelsbach, consorte dell'imperatore d'Austria e Re d'Ungheria Francesco Giuseppe d'Asburgo, grande appassionata di cultura greca, a ritrovare in un convento dell'isola di Patmos, nel Dodecaneso, tre dei nove libri di Saffo per un totale di ben 2000 versi. In tal modo la sovrana bavarese si consolò in parte per la perdita del figlio Rodolfo, suicida per amore. Sempre tra XIX e XX secolo fu riscoperta una buona metà del corpus completo delle commedie di Menandro, la seconda parte di "Anime Morte" di Gogol (dimostrando che essa non era stata bruciata dall'autore) e il completamento di "Kublay Khan" da parte di Coleridge. È invece del 1959 la riscoperta del trattato sulla musica di Confucio che il filosofo considerava il più importante, inutilmente ricercato dall'orientalista padre Kircher, mentre solo nel 2009 fu definitivamente dimostrato che il cosiddetto "Volto Santo di Manoppello" coincide con il Velo della Veronica, scomparso da Roma durante il Sacco da parte dei Lanzichenecchi nel 1527.
Se abbiamo parlato di tutto questo, è perchè dobbiamo riferire un'altra scoperta di questo calibro, così inaspettata da avere quasi dell'incredibile: è stato annunciato infatti il ritrovamento della versione integrale degli "Annales" di Quinto Ennio, una delle prime grandi opere della letteratura latina, risalente alla metà del II sec. a.C. La sensazionale scoperta è stata effettuata nel luglio scorso dal professore associato di glottologia all'Università di Harvard, dott. Bhrg'hros, in un palinsesto ritrovato nella cripta di quello che fu uno dei primi monasteri benedettini fuori di Montecassino, riportato alla luce a Lagonegro (Potenza) nell'autunno dell'anno passato: la cripta si è conservata perché ricoperta dalle macerie di un terremoto avvenuto nel IX secolo. La notizia è stata annunciata ieri ad Harvard dopo che il dottor Bhrg'hros e il suo collaboratore, dottor Paolo Maltagliati, hanno terminato l'analisi del preziosissimo palinsesto, che era stato raschiato e riutilizzato per scrivervi delle omelie di Leone Magno.
La letteratura latina ha origini molto antiche, come dimostrano i Carmina di argomento religioso trasmessi oralmente di generazione in generazione, ma giunti sino a noi solo perché furono messi per iscritto in età molto più tarda rispetto alla loro origine. Essi sono documenti preziosi di cerimonie e riti assai antichi, come il Carmen Saliare, il Carmen Arvale e il Carmen Lustrale. Si trattava di canti liturgici tradizionali degli Arvali (Fratres Arvales), un antico collegio sacerdotale romano oppure dei sacerdoti Salii (conosciuti anche come i "sacerdoti saltellanti"), cantati durante le processioni accompagnati da danze sacre. Lo spirito più laico delle rappresentazioni di musica e danza etrusche invece generò la prima forma drammaturgica latina di cui abbiamo notizia, la satura. "Satura quidem tota nostra est" (Institutio oratoria, X, 1.93), diceva con orgoglio Quintiliano nel I secolo: rispetto ad altri generi importati, la satira (letteralmente miscuglio) era totalmente romana. Queste prime opere erano scritte nell'arcaico verso Saturnio, che oggi sappiamo essere basato su una metrica accentuativa, come lo sono stati i testi poetici della nostra letteratura italiana. Appio Claudio Cieco (350-271 a.C.) lasciò per primo una raccolta di sentenze in versi saturni, e il verso saturnio fu utilizzato anche dal liberto greco Livio Andronico (280-205 a.C.), che per primo tradusse l'"Odissea" dal greco al larino, anche se il testo di quest'ultima è purtroppo andato perduto. Quinto Ennio (239-169 a.C.) fu però il primo ad adottare la metrica greca: egli utilizzò con maestria sia tonalità auliche, decisamente raffinate ed ispirate ad Omero, sia forme più piane e colloquiali. Eccelse nella tragedia, riprendendo i temi toccati da Euripide, ma la sua opera principale sono proprio gli "Annales" in diciotto libri, per un totale di circa 20.000 versi, che abbracciano anno per anno (come afferma il titolo) tutta la storia romana dalla fuga di Enea da Troia in fiamme sino al 175 a.C.: prima della composizione dell'"Eneide", esso rappresentava senz'altro il poema nazionale romano.
Fino ad oggi, non se ne conoscevano più di 500 versi tramandatici dagli eruditi antichi, ma i professori Bhrg'hros e Maltagliati hanno potuto constatare con emozione che il poema della prima latinità è contenuto nella sua interezza nell'in-folio riportato alla luce, a partire dal suo esametro iniziale:
MVSAE QVAE PEDIBVS MAGNVM PULSATIS OLYMPVM
(da notare come le Muse abbiano ormai definitivamente sostituito la CAMENA, da Cano, di Livio Andronico), forse il primissimo verso esametro mai composto in lingua latina. Dall'analisi testuale emerge chiaramente come Ennio dovette trovare enormi difficoltà nel trasferire un metro greco nella lingua latina, dove è più difficile trovare sequenze di due sillabe brevi, necessarie per costruire il piede dattilo. Ennio fu costretto a cesure rifiutate dai Greci (Omero, Callimaco...), come la caduta della s finale dopo la vocale breve. Per esempio, nel 345° verso del XVI libro, nel quale il poeta celebra l'acquisizione della cittadinanza romana nel 185 a.C.:
NOS SVMVS ROMANI QVI FVIMVS ANTE RVDINI
il primo dattilo richiede che si legga "SVMV", ed è arcaica anche la prosodia che legge FVIMVS con la prima U lunga.
Nonostante ciò, Ennio ha saputo sfruttare appieno la duttilità del verso, sulle orme del grande Omero di cui nel Proemio afferma di essere la reincarnazione, usando per esempio versi olodattilici od olospondaici, ma anche onomatopee e ripetizioni di suono, come tutti i lettori italiani potranno constatare nell'edizione integrale che il dottor Maltagliati sta preparando per una prossima pubblicazione nei tipi di una grande casa editrice italiana.
Per via dell'eccezionale scoperta ottenuta, il dottor Bhrg'hros e il suo collaboratore hanno ricevuto i complimenti telefonici del presidente della Repubblica Italiana Laura Boldrini, del Presidente del Consiglio on. Enrico Letta e del Ministro italiano dell'Istruzione, Università e Ricerca Scientifica, on. Massimiliano Paleari; al grande glottologo sono giunte anche le felicitazioni del Santo Padre Francesco per tramite del suo Segretario di Stato, card. Luigi Ciotti.
Parafrasando l'emistichio posta a conclusione del poema dallo stesso Ennio, anche dell'insigne dottor Bhrg'hros si potranno un giorno ripetere queste parole:
ASPICITE O CIVES BHRG'HROS IMAGINIS FORMAM
HIC VESTRUM PANXIT MAXIMA FACTA PATRVM
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Dato che l'amico Bhrg'hros è un tipo che sta allo scherzo, ecco come ha risposto da par suo:
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LETTERE AL DIRETTORE
Egr. direttore,
Sull'ultimo numero del suo "Crivello" ho letto un articolo inviatale da tale Bhrg'hros, il quale, prendendo spunto dalla notizia che un proprio omonimo ha ritrovato la versione integrale degli "Annales" di Quinto Ennio, ha affermato di aver a sua volta ritrovato il testo dei "Tyrrhêniká" di Claudio e dell'"Eulogium Imperatoris" in getico di Ovidio (in precedenza noto solo da un accenno dell'Autore in Pont. IV 13, 19), aggiungendo poi una lunga serie di conseguenze derivatene nel campo della ricerca glottologica.
Dato che sono nato nella stessa via dove abita e ho frequentato lo stesso Liceo (si Magna licet compônere paruîs...), Mi consenta di informarla che questo signore va dicendo anche di aver ricostruito non solo gli archetipi indoeuropei della letteratura vedica (quello che chiama *Woidos) e - ridiculum dictû - delle grammatiche antico-indiane, ma addirittura il Veda celtico (o *KeltHto-woidos, come lo definisce) e molta altra farragine preistorica.
Signor direttore, Mi creda, dia a quell'uomo la stessa fiducia che darebbe a un Giuda. Si lasci consigliare da Uno che se ne intende.
Amîcus Platô (sed magis amîca Vêritâs)
P.S.: Colgo l'occasione per segnalarle che, qualora la sua rivista giungesse al traguardo - che le auguro - di un milione di abbonati, sarebbe opportuno cercare un'agenzia pubblicitaria all'altezza, come la Mia "PubliCrivello" che ho in progetto, apposta per lei, all'interno del Mio gruppo. Forza Eratostene!
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