di Fabio Oceano
Cari lettori ed amici di Utopiaucronia, sono un appassionato di ucronie e scenari futuribili col vezzo di scrivere racconti e qualche volta interi romanzi, cercando di dare una forma concreta alle mie fantasie.
Da alcuni mesi sto lavorando a una nuova ucronia post-bellica, ambientata negli anni successivi al 1945; dopo aver tracciato le linee essenziali della timeline, ho subito cominciato a buttare giù un piccolo racconto ambientato in tale scenario. Poco alla volta il racconto è diventato un romanzo breve e infine un tomo di 250 pagine che, dopo aver sottoposta a una fase di revisione ho deciso di mettere a disposizione gratuitamente di tutti quelli che come me sono appassionati di tale argomento. Potete scaricare il file cliccando qui, mentre questo è il link al blog che contiene qualche informazione supplementare. Altre ne aggiungerò in seguito.
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Ed ecco una sintesi della Timeline che porta al mio romanzo:
10 Luglio 1943: Invasione della Sicilia da parte delle forze alleate.
25 Luglio 1943: Caduta del Fascismo, arresto di Mussolini e governo Badoglio.
17 Agosto 1943: Conquista della Sicilia.
3 Settembre 1943: Invasione dell'Italia continentale.
8 Settembre 1943: Armistizio.
9 Settembre 1943: Sbarco delle truppe Alleate a Salerno (Operazione Avalanche) e Taranto (Operazione Slapstick).
22 Gennaio 1944: Sbarco ad Anzio (Operazione Shingle).
18 Maggio 1944: Caduta di Cassino dopo quattro battaglie.
4 Giugno 1944: Presa di Roma. Nello stesso giorno Vittorio Emanuele III nomina il figlio Umberto II Luogotenente del Regno.
Settembre 1944: Inizia l'assalto alla Linea Gotica.
Gennaio 1945: Ferruccio Parri muore durante un tentativo di liberazione da parte di Edgardo Sogno.
Aprile 1945: Le truppe Alleate raggiungono la Pianura Padana. Fallisce l'Operazione Sunrise che aveva lo scopo di far ritirare i tedeschi dal nordest dell'Italia. Le truppe alleate sono costrette a rallentare la loro corsa verso nord.
20 Aprile 1945: Mentre l'Armata Rossa entra a Berlino, truppe sovietiche e di Tito provenienti dalla Slovenia occupano Trieste.
25 Aprile 1945: I sovietici liberano Venezia e accerchiano le truppe naziste raccolte attorno a Verona.
28 Aprile/2 Maggio 1945: Battaglia di Verona. 30000 soldati tedeschi vengono catturati o uccisi. Truppe Alleate e sovietiche si incontrano sul Po. Nel frattempo reparti partigiani delle Brigate Garibaldi, supportate dai sovietici, si infiltrano oltre le linee alleate per occupare in un secondo momento i punti strategici della penisola fino all'Abruzzo, comprese Toscana, Emilia-Romagna e Umbria.
7 Maggio 1945: Alfred Jodl firma a Reims la resa incondizionata delle forze tedesche.
1 Luglio 1945: Il territorio italiano viene diviso in tre zone d'occupazione, amministrate da USA (Sud Italia e Sicilia), Francia/Gran Bretagna (Nordovest e Centro), URSS (Nordest).
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L'Italia nel 1950
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In questa timeline alternativa rispetto a quella classica, i sovietici hanno occupato il nordest creando una repubblica socialista indipendente (la Repubblica Democratica Italiana). Ciò ha portato alla frantumazione della penisola, ripiombata in una situazione che ricorda da vicino quella che precedette l'unità.
Nei cinque anni che intercorrono tra la fine della guerra e la data d'inizio del romanzo, oltre alla RDI sono nate la Repubblica del Nord Italia (quella che ricorda maggiormente la nostra attuale nazione e ne ricalca grossomodo lo spirito), il Regno del Sud Italia (retto da Umberto II di Savoia e spalleggiato dagli americani) e la Repubblica di Sicilia.
Oltre a questi stati principali, ne esistono altri minori trasformati in altrettanti Protettorati amministrati da Francia e soprattutto Gran Bretagna, creati per venire incontro al secolare desiderio di autonomia di queste regioni, mai sopito nemmeno durante il ventennio fascista. Abbiamo così la Sardegna e i Protettorati dell'Alto Lazio, di Toscana, della Romagna, dell'Umbria, delle Marche e dell'Abruzzo. Roma e la sua provincia invece sono sotto la tutela dell'ONU per impedire che le altre nazioni la reclamino come capitale e in attesa che la riunificazione si compia.
Tema portante del romanzo è la ricerca di un nuovo e duraturo equilibrio e gli sforzi di ogni singola nuova entità italiana per sopravvivere allo scontro tra le due grandi superpotenze. A poco a poco l'Italia diventerà la scacchiera su cui si giocheranno i destini del mondo capitalista e quello comunista, in una vicenda che attraverserà tutta la Guerra Fredda e la caduta dei regimi comunisti fino alla globalizzazione più selvaggia.
Come sarebbe potuta essere l'Italia? E come sarà quella del futuro?
Grazie per l'attenzione. Ovviamente sentitevi liberi di esprimere le vostre opinioni, anche e soprattutto negative. Lo scenario è appena abbozzato e mi piacerebbe sapere cose ne pensate e come potrebbe svilupparsi viste tali premesse. Per farmi avere il vostro parere, scrivetemi a questo indirizzo.
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Così commenta Bhrihskwobhloukstroy:
Un'opera letteraria (come in generale ogni prodotto artistico) risponde a un'insopprimibile esigenza dell'Autore di esprimersi in piena libertà in modo da dare finalmente sfogo alla necessità di comunicare ciò che le circostanze non permettono di dire in altro modo. Lo sa benissimo Dario Carcano (che si laurea in Psicologia), l'unico infatti a pubblicare proprî racconti (in senso pieno) nella Lista.
Un romanzo (anche più che una poesia) contiene tre ‘messaggi’: ciò che l'Autore vuole far pensare ai Lettori (inclusa una presentazione di sé stesso); ciò di cui l'Autore è intimamente convinto (anche se evita di dirlo esplicitamente agli altri); ciò che l'Autore pensa segretamente, senza poterlo confessare neppure a sé stesso. Il cómpito dell'analisi letteraria del testo è di riconoscere questi tre piani, se possibile distinguendoli con precisione; lo stesso Autore rivela, attraverso il terzo piano di lettura, ciò che da sé stesso non potrebbe dire (nella nostra infanzia quasi tutto ciò che pensiamo si può esprimere solo in questo modo; è per questo che dai bambini si ottengono informazioni soprattutto attraverso la sollecitazione di racconti fiabeschi ‘inventati’ da loro).
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Ed ecco ora il parere in proposito di Manuele Serventi:
Mah, questo scenario mi lascia un po' perplesso. I protettorati del centro Italia mi sembrano delle forzature in un periodo come quello del secondo dopoguerra postcoloniale...
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Così gli replica Lord Wilmore:
Anch'io propendo per la bipartizione del paese: Val d'Aosta alla Francia; Tirolo Meridionale all'Austria; Trieste e Gorizia alla Jugoslavia; Piemonte, Liguria, Lombardia, Triveneto, Emilia, Toscana, Marche e Umbria formano la Repubblica Democratica Italiana facente parte del Patto di Varsavia, primo presidente Palmiro Togliatti; il centrosud più Sicilia e Sardegna formano il Regno d'Italia con capitale Roma, affidato ai Savoia e facente parte della NATO. Forse anche San Marino va nell'orbita dell'URSS.
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Manuele Serventi puntualizza:
Quasi sicuramente San Marino va nell' orbita dell' URSS, in quanto forte della presenza di un solido partito comunista (presente peraltro nelle realtà di quel tempo nella piccola repubblica). La mia domanda è allora questa: quali le conseguenze geopolitiche ed economiche di tale stato di cose? Faccio un esempio: come reagirà l'URSS allo strappo di Tito che isolerebbe la RDI dal resto dei suoi satelliti? Interverrà come in Ungheria, ritenendo quella zona strategicamente più importante dell'Albania, e questo consentirà a Stalin di raggiungere il quasi pieno controllo dell'Adriatico? Oppure la lascerà stare, con uno stato comunista del Nord Italia che improvvisamente si allinea a Mao? I paesi confinanti con l'Italia come prenderebbero la cosa?
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Enrico Pellerito non può fare a meno di intervenire, e lo fa da maestro:
L'ipotesi di un'Italia divisa in due all'indomani del secondo conflitto mondiale è già stata dibattuta in almeno un paio di racconti: "Supplemento d'indagine" di Pierfrancesco Prosperi e "L'estate e l'inverno" di Maurizio Viano.
Riguardo il POD che Manuele intende sviluppare attraverso l'azione dell'Armata Rossa, nella realtà i Sovietici giunsero in Jugoslavia... prima di penetrare in Ungheria; la loro avanzata non prevedeva, però, un'azione con obiettivo l'Italia, ma piuttosto impegnare le truppe tedesche presenti in Ungheria onde consentire ai loro fronti settentrionali di proseguire con maggior incisività verso Berlino.
Infatti, una volta liberata Belgrado, le forse sovietiche presenti sul territorio jugoslavo si diressero verso l'Ungheria, lasciando che i partigiani di Tito (per come questo stesso auspicava) terminassero la liberazione dalle forze naziste.
Poi, può anche darsi che i Sovietici volessero/dovessero rispettare il fatto che l'Italia, una volta finita la guerra, rimanesse "bottino" degli Alleati occidentali.
Ma possiamo tranquillamente ritenere che invece il Maresciallo Tolbuchin riceva l'ordine di avanzare verso la Croazia e proseguire quindi oltre il confine italiano.
Non sarebbe stata una passeggiata, ma è fattibilissimo, basta che le truppe magiare e tedesche vengano in qualche modo "fissate" dall'ala settentrionale delle forze sovietiche, permettendo così una penetrazione con obiettivo l'Isonzo prima, il Po in un secondo tempo, magari le Alpi Occidentali come fase finale.
Ribadisco che la cosa era fattibile, ma a patto di rinforzare notevolmente la branca meridionale dell'Armata Rossa in marcia verso ovest.
Più verosimilmente, la caduta dell'Ungheria attraverso un voltafaccia dell'ammiraglio Horty potrebbe consentire una più rapida avanzata dei Sovietici lungo la pianura magiara, con conseguente deviazione di una parte di queste forze verso la Slavonia e, quindi, verso il Friuli.
Ma bisogna considerare il fatto che la massima espansione si sarebbe veramente potuta arrestare al Po, neanche all'Appennino Tosco-Emiliano, dove ormai si erano attestati gli Anglo-Americani.
Ad ovest i sovietici sarebbero potuti giungere alla Lombardia, mentre in Piemonte e in Liguria, a quel punto, sarebbero avanzati gli Americani già presenti nella Francia meridionale.
E' anche una questione di tempi: la spinta dell'Armata Rossa tra il Danubio, i Carpazi e i Balcani, avvenne nell'ultimo quadrimestre del 1944, quando il fronte in Italia si consolidò proprio sugli Appennini Settentrionali e toccando la Pianura Padana a sud delle Valli di Comacchio; quindi il confine sarebbe un po' più su del Rubicone, se gli Anglo-Americani non si muovono e i sovietici riescono ad avanzare in Emilia-Romagna.
Tutto questo non impedisce lo sviluppo che voi avete fatto sulla suddivisione delle regioni (secondo me eccetto gran parte di Piemonte e Liguria) in mano alla Repubblica Democratica; forse il Veneto a Tito no, ma il Friuli fino all'Isonzo o addirittura fino al Tagliamento non è affatto una tesi peregrina.
A questo punto, però, l'ipotesi di Manuele per l'intervento di Mosca nei confronti di Tito sarebbe ancor più realistica: il tutto a garantire la continuità territoriale tra l'Ungheria e la RDI.
In tal caso, una volta conquistata la Jugoslavia, le zone ex italiane dell'Istria tornerebbero, per volontà di Stalin, a far parte dell'Italia popolare e socialista; però è chiaro che l'URSS (e ad un certo punto anche le forze di altri paesi satelliti di Mosca) si dissanguerebbero non poco nel dover contrastare la guerriglia endemica che si svilupperebbe in Jugoslavia.
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Lord Wilmore aggiunge:
L'Austria sarebbe ancor più accerchiata da paesi del Patto di Varsavia; la Francia avrebbe al fianco sudest le truppe sovietiche e de Gaulle non lascerebbe il comando integrato NATO, anche se si farà le sue proprie bombe atomiche; per la Svizzera non cambia niente (prima cassaforte dei nazisti, poi dei comunisti: o Franza o Spagna, purché se magna). Josip Tito potrebbe vedere molto male la presenza sovietica ai confini nordoccidentali, sarebbe accresciuta la sua percezione di accerchiamento, potrebbe cercare intese con la NATO. Il triangolo industriale è in mani sovietiche, che vi importerebbe le sue risorse minerarie da trasformare per poi inviare i prodotti finiti da Genova per tutti i paesi del blocco comunista; gli USA allora investirebbero molti soldi del piano Marshall per industrializzare il Sud e farne un contraltare al Nord. Certo prospereranno al Sud le mafie, strette alleate delle cosche d'oltreoceano. Forse le BR operano nel Sud d'Italia, probabile al Nord la presenza di Contras armati dagli USA.
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Manuele Serventi non demorde:
Vi è la possibilità che si creino forze armate e di polizia della RDI? Si verrà alla creazione di un muro divisorio tra le due Italie? Come sarà la forma di governo e di stato della repubblica popolare? Potrà godere di un certa autonomia da parte dell'URSS o sarà una sorta di riproposizione della Repubblica Sociale?
Per quanto riguarda il Regno del Sud, è auspicabile un' evoluzione federale sul modello della Germania Ovest o si avrà invece un regime dittatoriale come nella Corea del Sud?
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aNoNimo gli replica:
Forze Armate e Polizia, secondo me sì, dato che aderirebbe al Patto di Varsavia.
Vi sarebbero basi sovietiche con truppe pronte ad invadere la Francia, in caso di guerra. Sarebbe interessante capire come varierebbero le strategie sia Nato, sia del Patto di Varsavia in caso di guerra.
Un muro mi pare troppo costoso, però un confine particolarmente robusto immagino sia ovvio. Bisogna anche vedere se gli investimenti americani nel Centro Sud provochino uno sviluppo analogo a quello coreano.
Non credo sia immaginabile una particolare differenza con i paesi dell'Est. Probabilmente comunisti e socialisti sarebbero confluiti in un partito unico, mentre nel resto d'Italia l'estrema sinistra sarebbe stata costituita dai socialdemocratici e dai repubblicani e probabilmente l'MSI o il suo equivalente sarebbe stato inglobato nel Governo in chiave antisovietica.
Infine, riguardo all'evoluzione politica del Regno del Sud, entrambe le soluzioni che proponi mi paiono poco praticabili. Il centralismo liberale e poi fascista avevano tagliato le radici a qualsiasi soluzione federalista. Né, per ragioni di propaganda, gli americani potevano permettersi un secondo Mussolini (e chi metterci tra l'altro?)
E' più probabile una replica del nostro Centrismo, più orientato a destra e con una maggiore evidenza degli aspetti conservatori e clericali.
Tra l'altro, la stagione degli anni di Piombo in Italia e Francia potrebbe essere molto più accentuata e sanguinaria, con la RDI ed i suoi servizi segreti pronti a destabilizzare i vicini.
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Enrico ribatte:
Concordo . È ovvio che nella RDI sarebbero presenti installazioni militari sovietiche; probabilmente esisterebbe un Gruppo di Forze Sovietiche in Italia (GFSI) così come le similari forze nella DDR, in Polonia, nell'allora Cecoslovacchia ed in Ungheria, ma ritengo che il loro scopo sarebbe di tenere impegnata una cospicua aliquota dell'esercito francese, più che invadere la Francia.
La massima di von Clausewitz « attaccare la Francia dalle Alpi è come pretendere di sollevare un fucile afferrandolo per la punta della baionetta » sarebbe stata valida anche durante la guerra fredda.
Ciò non toglie che un attacco via terra contro la Francia sarebbe pur sempre stato fattibile, ma lo ritengo strategicamente logico e utile allorquando le forze sovietiche presenti nell'Europa centrale avessero sfondato il fronte tedesco e fossero avanzate oltre il Reno; a quel punto si sarebbe potuto prevedere un'azione verso la Costa Azzurra, appoggiata da attacchi in montagna portati dall'equivalente "democratico" degli alpini (forse denominati "cacciatori delle Alpi" in ricordo di Garibaldi, sempre visto dalla cultura di sinistra come un antesignano della guerra popolare).
La strategia NATO prevedrebbe, in tempo di pace, il mantenimento di cospicue truppe lungo il confine, creando un ulteriore onere economico per la Francia.
Nel caso dello scoppio di un conflitto mondiale, comunque, l'impegno maggiore della RDI e del Patto di Varsavia nella penisola sarebbe di procedere all'invasione della Repubblica filoamericana, anch'essa facente parte della NATO.
Tutto questo anche tenendo conto del fatto che la strategia del Patto di Varsavia prevedeva l'utilizzo degli ordigni nucleari sullo stesso campo di battaglia e sulle retrovie avversarie, siano esse state infrastrutture militari o civili.
Infine, le tesi sulla situazione politica delle due Italie e sull'azione del terrorismo e l'eversione in genere, al fine di destabilizzare l'Italia centromeridionale, sono più che corrette.
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Anche Lord Wilmore vuole aggiungere qualcosa:
Prevedo inoltre l'irrigidimento della Chiesa su posizioni conservatrici (Pio XII ha i cavalli dei Cosacchi ha un tiro di schioppo): è possibile che nel Conclave del '58 sia eletto Siri al posto di Roncalli, ed allora addio Vaticano II, ma anche Sessantotto in ritardo. Anzi, se scoppia un '68 in Italia settentrionale sarà represso nel sangue dai carri armati sovietici (Primavera di Milano).
Può darsi che Viktor Grishin sia nominato capo del Soviet Supremo al posto di Michail Gorbachev, ed allora l'URSS durerà una ventina d'anni più a lungo; ma esiste anche la possibilità che, essendo Wojtyla rimasto in Polonia, il castello di carte crolli prima.
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Segnaliamo questa domanda di Manuele:
E se invece nel Sud d'Italia fosse proclamata una Repubblica? Come sarebbe strutturata istituzionalmente, politicamente e militarmente? Sarebbe in grado di sostenere militarmente un confronto con il nord, sul tipo delle due Coree? Godrà di qualche forma di autonomia dagli USA?
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Ecco la risposta di Enrico:
Data la situazione di confine caldo con la "sorellastra" settentrionale, vedo più probabile una repubblica presidenziale, rispetto la forma parlamentare; questo comporterebbe anche un accentramento del potere non solo esecutivo ma anche amministrativo, lasciando le autorità locali a meri esecutori della volontà di chi comanda a Roma.
Molto probabilmente, con la Sardegna e la Sicilia rispettivamente in mano a Francia e USA, le spinte autonomistiche sarebbero notevolmente smorzate.
E poi, lo spauracchio del Nord comunista verrebbe usato ad ogni piè sospinto per promulgare leggi e dispositivi da legislatura d'emergenza, anche nel campo del lavoro e della previdenza sociale, non soltanto in materia di ordine pubblico e di sicurezza nazionale.
Insomma, più cannoni e meno burro e con questo rispondo anche alla tua seconda domanda; notevoli risorse sarebbero destinate a mantenere un forte apparato militare (che questo sia poi efficiente è tutto un altro discorso).
Una certa dose di benessere economico, però, non mancherebbe, grazie prima agli aiuti del Piano Marshall e poi agli investimenti americani; sviluppi industriali non paragonabili a quelli del dopoguerra (specie quelli del triangolo industriale) ma abbastanza da dare un minimo di sollievo a tutti gli strati della popolazione.
A beneficiarne in massima parte, i soliti capitalisti e industriali, in buona parte
transfughi (insieme ai capitali) dal Nord.
Quindi avremmo questa repubblica lacché del capitalismo USA, come direbbero nella RDI, militarmente sostenuta ed equipaggiata da Washington, sulla carta apparentemente capace di resistere ad uno scontro con la sua antagonista settentrionale, ma che necessiterebbe dell'affiancamento di contingenti americani spiegati lungo la penisola; assolutamente necessari in caso d'intervento sovietico.
Proprio per tutto questo, credo poco in un ampio grado di autonomia dal potere americano...
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Ed ecco le osservazioni di aNoNimo:
Probabilmente, sarebbe stato introdotto un meccanismo elettorale simile alle legge truffa. E sull'apparato militare, o sarebbe stato acquisito a debito dagli USA, con un incremento del deficit e con una totale dipendenza della Repubblica del Sud dall'America; oppure prodotta in loco, con l'introduzione del differenziale keynesiano e la necessità di creare un polo industriale alternativo che ovviamente, dovrebbe essere lontano dal confine con la RDI, per evitare colpi di mano.
Si avrebbe avuto triangolo industriale Potenza, Foggia, Taranto?
Aggiungerei una considerazione all'analisi di Enrico. La prima è lo scenario di guerra. Le truppe sovietiche, sul fronte alpino, si sarebbero trovati davanti una linea di difesa rigida da affrontare senza il supporto delle divisioni corazzate.
L'unica soluzione praticabile per non perdere troppo tempo sarebbe stata di aggirarle con truppe aviotrasportare, in modo da renderle un'enorme sacca, ma questo costringerebbe i sovietici a cambiare di parecchio dottrine operative ed armamenti rispetto alla nostra linea temporale.
Inoltre la penetrazione verso il Sud deve essere tale da garantire le linee di rifornimento verso la Francia... Si sarebbe fermata a Viterbo?
Altra questione, riguardante sempre la politica francese. Con il patto di Varsavia alle porte, si sarebbe veramente impegnata a fondo nella lotta contro la decolonizzazione? E quali sarebbero stati gli effetti di un disimpegno rapido ed indolore dall'Indocina e dall'Algeria? De Gaulle che spazio avrebbe avuto?
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Questa è la risposta di Enrico:
Sull'apparato militare ambedue le ipotesi sono plausibili, al limite sarebbe possibile anche una combinazione delle due con il progressivo sviluppo del polo industriale cui parli, logicamente decentrato rispetto il confine per le motivazioni da te eccepite.
Sullo scenario bellico, certamente i Sovietici non hanno mai eccelso nel combattimento in montagna e nella manovra in quel tipo di ambiente (l'esperienza afgana lo ha dimostrato); tutt'al più azioni di controguerriglia, non sempre brillantemente concluse.
Sta di fatto che i loro piani, per come si è scoperto dopo la caduta del Muro, dell'URSS, del Patto di Varsavia e la conseguente presa visione da parte degli USA e della NATO degli archivi militari degli ex satelliti di Mosca, prevedevano, ad esempio, l'invasione dell'Italia non già attraverso la Jugoslavia (per come si era sempre ipotizzato) ma attraverso l'Austria, una volta invasa e conquistata, lasciando in pace i "titini".
Certo, non sarebbe stata una cosa facile, eppure erano i loro progetti.
Non la vedo tanto "comoda" per i tank sovietici avanzare tra le montagne dell'Alto Adige/Sud Tirolo.
Riguardo l'utilizzo delle forze aviotrasportate, questo è sempre stato una costante della dottrina militare sovietica, aggiornato anche attraverso gli elicotteri.
Ritengo, però, che il "fronte italiano", come d'altronde quello norvegese, quello turco e quello greco, fossero considerati dallo Stavka assolutamente secondari e di corollario rispetto quello ben più importante della Germania; ciò sembra confermato dalla strategia prospettata nei loro piani.
Nell'ipotesi di un'Italia settentrionale in loro mano, Mosca avrebbe fatto leva su un contingente in grado di tenere in all'erta truppe francesi che sarebbero state, invece, molto più necessarie nel centro Europa; un'avanzata verso la Francia meridionale la vedrei solo quando i carri sovietici fossero giunti alle porte di Parigi, o addirittura a Lione.
In un primo tempo URSS e RDI, con la presenza di truppe ungheresi, potrebbero avanzare verso ovest cercando di conquistare la pianura piemontese ed isolare la Liguria.
Un certo uso di truppe aviotrasportate per incapsulare i Francesi, ad esempio attorno a Torino, potrebbe esser fatto già in questa fase.
Una volta raggiunte le Alpi, comincerebbero ad agire le truppe da montagna norditaliane, ma solo per raggiungere limitati obiettivi, come il controllo di valichi e vie d'accesso in genere.
Eventuali controffensive NATO sarebbero dovute essere contenute a qualsiasi costo, e qui possiamo immaginarci addirittura l'uso di bombe nucleari nei pressi di Alessandria, La Spezia, Genova, Nizza.
Quando il fronte tedesco e quello francese settentrionale avessero ceduto, un'azione Marsiglia sarebbe stata probabile.
Per evitare ciò Parigi avrebbe dovuto mantenere notevoli forze blindo-corazzate schierate sul Ticino, presumendo questo il confine orientale dei territori italiani occupati prima della fine della II guerra mondiale.
E in queste zone sarebbero stati certo presenti anche contingenti USA. Certo che è una prospettiva abbastanza brutta.
Riguardo la tua ultima considerazione, anche per Mosca & C. la coperta sarebbe stata troppo corta: probabilmente l'avanzata verso sud poteva essere non tanto veloce e neanche tanto supportata, ma una volta che fosse caduta anche la Francia, il successivo completamento della conquista della penisola sarebbe stata una cosa scontata.
Sulle questioni che sollevi riguardo la politica francese in tema di lotta alla decolonizzazione, proprio per aver appreso da te l'importanza degli effetti a lungo termine, credo che dipenda dalla volontà di quante risorse destinare dall'Eliseo alla difesa.
L'eventuale necessità di mantenere un forte dispositivo militare da opporre ad un confine diretto con il Patto di Varsavia avrebbe non poco pesato sul bilancio nazionale.
Molto probabile l'eventualità per Parigi di non poter contenere da sola le lotte indipendentiste; a questo punto gli aiuti americani sarebbero stati ancora più massicci, compreso, ad esempio, il bombardamento a Dien Bien Phu (o un suo equivalente) delle linee Vietminh da parte dei B-29 USA stanziati ad Okinawa e nelle Filippine. Difficile vedere un disimpegno anticipato dalle colonie.
Forse De Gaulle avrebbe avuto un maggior spazio come uomo politico, diventando, a differenza della nostra Timeline, uno strenuo difensore della presenza francese in Africa e Asia, beninteso appoggiato da un forte supporto economico e militare USA, che stavolta avrebbe anche potuto non negare le "due o tre bombe atomiche" chieste ad Ike Eisenhower nel 1954.
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Ed ecco ulteriori annotazioni di aNoNimo:
Tra l'altro pare che il piano sovietico fosse legato alle "informazioni" provenienti da Botteghe Oscure. Qualcuno dei vertici del PCI o per fare doppio gioco, o per guadagnarsi una prebenda come "agente all'Avana", esegerò notevolmente le difese italiane in Friuli.
Di fatto l'ennesima riprova che la Strategia Militare è nella teoria dei giochi classificabile come "gioco dinamico ad informazione incompleta", in cui le l'albero decisionale dell'avversario è condizionato da parametri non razionali.
Tutte le nostre supposizioni sono sensate, ma il problema base è come il cambio di scenario rispetto alla TL avrebbe influito sulla visione sovietica.
Faccio un esempio: un GFSI in Italia probabilmente avrebbe diminuito la capacità di attrito sul fronte renano, diminuendone l'importanza strategica.
Nulla vieta che l'URSS potesse replicare quanto accaduto nella nostra TL, considerando la RDI sacrificabile.
È inoltre possibile che la Francia pretenda di annettere anche la Sardegna. Non è allora escluso che sull'isola si sviluppi, come reazione al centralismo francese, un movimento indipendentista analogo a quello corso. Si sa infatti che la forma di stato francese è una forma molto accentratrice che lascia poco spazio alle autonomie locali, demandando molti poteri al governo centrale di Parigi. Ora, questo può venir percepito dalle popolazioni di isole come la Sardegna come lesivo delle propria capacità di governarsi secondo linee guida più funzionali. A questo poi va aggiunta la quasi sicura tendenza a "francesizzare" gli usi ed i costumi locali, così come avvenuto in altri territori dell'impero francese. Non dimentichiamo che la Francia, in politica immigratoria, tende all' assimilazione dei nuovi arrivati, più che ad una loro effettiva integrazione. Da questi due punti di vista è pertanto assai probabile che sorga un movimento indipendentista analogo a quello corso che rivendichi l'indipendenza dell'isola, aiutato in questo dai vicini corsi e dagli italiani del nord e magari anche del sud, in vista di un possibile ricongiungimento con la madrepatria.
E se la Sicilia diventasse la Puerto Rico del Mediterraneo, annessa agli USA? Quali sarebbero gli effetti della puertoricizzazione della Sicilia?
Una piccola nota a quanto scritto finora. In tutto questo bailamme che fine fanno Trento e Bolzano?
Una URSS più forte in Europa avrebbe seguito la politica di Breznev di overstretching nel Terzo Mondo che, logorandone le risorse, ne ha accelerato la caduta ? In caso contrario, il collasso dell'economica sovietica potrebbe essere ritardato intorno al 2000?
Ipotizziamo come tra il 1990 ed il 2000 avvenga la crisi sovietica. Che impatto avrebbe nello scenario italiano?
Mi spiego, trascurando il fatto che non oso immaginare i risultati del socialismo reale in salsa italiota (data la nostra incredibile capacità di rendere confusionaria qualsiasi forma di governo), la Repubblica del Sud avrebbe la stessa forza della Germania per imporre la riunificazione?
In tale caso, è possibile che nell'ex RDI si sviluppi un movimento social-autonomista, un mix del Linke e della Lega, per capirci? E ciò imporrebbe de facto una soluzione federalista?
Poi, la Repubblica Italiana Unitaria avrebbe tre grandi problemi.
Il primo si chiama Sicilia, ma questo è legato dalla volontà americana di continuare a tenersela sul groppone (ho il sospetto che dopo 40 anni, l'impresa non varrebbe la spesa) anche in mutati scenari strategici.
Il secondo, come evidenziato da Manuele, la questione Sardegna/Corsica, che però potrebbe essere anche risolto con un compromesso (stato autonomo e neutrale?)
La terza è la questione Istria. Trascurando il fatto che non ho idea se una Jugoslavia stalinizzata possa essere vittima delle tendenze centrifughe che l'hanno distrutta nella nostra Linea Temporale, è possibile che essa o la Croazia possano rivendicare le zone assegnate alla RDI dopo l'eliminazione di Tito?
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Non può esimersi dal rispondere il solito Enrico:
Il supposto GFSI non dovrebbe essere tanto tanto robusto, basterebbero un paio di divisioni corazzate e due di fucilieri motorizzati affiancanti l'esercito popolare della RDI, il tutto in funzione difensiva, salvo prendere l'iniziativa allorquando ceda il fronte renano; d'accordo sulle ipotesi relative a Sardegna e Sicilia, certamente preferite ad essere reintegrate nella madrepatria centro-meridionale, ancora prima della ex-RDI.
Trento e Bolzano dovrebbero far parte della RDI, specie se il POD è scatenato da un riuscito voltafaccia dell'Ungheria, cosa che aprirebbe meglio e prima la strada ai Sovietici per entrare in Italia.
Riguardo l'Istria, tutto dipende se Stalin vuole la pelle di Tito, perchè se ammettiamo che quest'ultimo riesce ad ottenere il Friuli fino alla linea Pontebba-Grado (o addirittura fino al Tagliamento) rischia di perdere tutto a seguito dell'invasione sovietica della Jugoslavia, che ripristinerebbe quanto tolto alla RDI, magari pure allargando l'entroterra di Fiume.
Nel caso la Jugoslavia diventi un fedele alleato di Mosca, si può ipotizzare che la politica di "slavizzazione" avvenga anche a Trieste (e nel caso di massima espansione pure a Udine), rendendo veramente difficoltosa la possibilità di un reintegro alla nuova nazione italiana post guerra fredda.
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Anche Dario Carcano ha voluto dire la sua:
Io propongo una spartizione più semplice del Bel Paese, che potete vedere nella cartina qui sotto. Il confine tra Repubblica Democratica Italiana (a Nord) e Regno d’Italia (a Sud) corre lungo la linea rossa, corrispondente grosso modo alla Linea Gotica costruita dai tedeschi nelle fasi finali della guerra; la RDI ha dovuto cedere Gorizia e Trieste alla Jugoslavia, e nelle fasi finali del conflitto le truppe francesi si sono annesse la Valle d’Aosta, territorio tuttora rivendicato dal governo di Milano Nord. È uno stato a regime formalmente multipartitico, ma di fatto governato dal Partito del Socialismo Unificato (PSU), nato dall’unione – forzata dai sovietici – tra PCI e PSIUP; il Regno d’Italia – comprendente l’exclave di Milano Sud, in cui la monarchia dei Savoia è stata confermata dopo un referendum istituzionale tenuto il 2 giugno 1946 [non hanno votato le regioni del Nord, in cui in HL la repubblica prese la maggior parte dei voti], è uno stato democratico e multipartitico, in cui si alternano al governo la Democrazia Cristiana e il Partito Laburista Democratico; il PCI, che inizialmente era stato ricostituito anche al Sud, è stato sciolto nel 1952. Vi è una forte presenza militare degli Stati Uniti, che hanno nel paese numerose installazioni militari. San Marino aderisce spontaneamente alla RDI dopo la vittoria dei comunisti alle elezioni [avvenuta anche in HL]. Quali PoD possono giustificare questa situazione?
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Generalissimus suggerisce:
Successo sia della Linea Gustav, viene comunque oltrepassata, ma molto dopo rispetto alla HL. Tutti i ritardi accumulati dagli alleati favoriscono i Sovietici e Tito, che invadono il nord Italia. Invece la rinuncia di San Marino all'indipendenza va contro il comune sentire dei Sammarinesi, non credo che avverrebbe. Anzi, per reazione è possibile che le elezioni le vincano i democristiani, premiati per difendere la millenaria indipendenza del Titano.
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Lord Wilmore obietta:
La bandiera della RDI è troppo simile a quella del Regno d'Italia, io ne propongo una radicalmente diversa (tranne che per i colori):
.
Impossibile non riportare il dotto parere di Enrico:
Curiosa la bandiera
dell'Italia comunista in stile nordcoreano!
Un PoD che potrebbe
concorrere (oltre a quanto specificato da
Generalissimus) per creare una
situazione del genere è il fallimento dell'operazione Panzerfaust a Budapest: il
16 ottobre 1944 il gruppo di SS guidato da Skorzeny non riesce ad arrestare
l'ammiraglio Horty, così questi da seguito all'armistizio con l'Unione Sovietica
e ordina alle proprie truppe di attaccare i contingenti tedeschi presenti in
Ungheria.
Dal punto di vista militare questo non è sufficiente a mettere in crisi le forze
tedesche schierate in quell'area, ma basta per permettere ai Sovietici di
forzare il fronte in alcuni punti dove sono in corso violenti scontri tra
reparti tedeschi e ungheresi; onde evitare il rischio di restare insaccati, i
Tedeschi devono arretrare in Austria (è un po' una forzatura, ma ci può stare).
In questo modo, un contingente sovietico di non grandi dimensioni (anche una
sola armata) che venga orientato verso sud-ovest potrebbe mettere a rischio le
retrovie tedesche in Croazia (intendendo territorialmente lo stato di Pavelic) e
in Slovenia, quindi al generale Löhr viene dato l'ordine di ritirarsi in
Austria.
Ribadisco, militarmente parlando è un po' una forzatura, ma un Hitler che
desidera assolutamente impedire al nemico di violare i confini meridionali del
Reich potrebbe decidere in tal senso.
Mentre la 5ª Armata statunitense e l'8ª britannica si ritrovano a sudare le
proverbiali sette camice nel tentativo di forzare la linea gotica, i Sovietici
riescono, invece, a sfondare in Slavonia, con la conseguenza che la pianura
padana viene quanto prima occupata dall'Armata rossa con un nutrito gruppo di
partigiani titini al seguito.
Chiaro che le formazioni tedesche che sono schierate sulle Alpi occidentali e
sugli Appennini non proseguiranno a mantenere le proprie posizioni (immagino si
assisterebbe ad una massiccia resa agli anglo-americani) ma le difficoltà
orografiche non consentiranno a questi di poter procedere speditamente oltre,
così essi incontrano assai presto i Sovietici che nel frattempo hanno occupato
il Settentrione.
Anche qui siamo nei limiti della logica militare e stiamo forzando, ma se non
c'inventiamo qualcosa non si può pervenire agli obbiettivi proposti.
Sulla base di tutto quanto anzidetto, suggerirei, comunque, di aumentare il
territorio in mano alla Francia (aree alpine che sono state occupare dagli
alleati occidentali e che dopo il ritiro di questi sono state mantenute da
truppe francesi prontamente accorse a sostituirli); si possono considerare più o
meno ampie zone delle province di Torino e Cuneo, oltre a tutta (o quasi) la
provincia di Imperia.
Credo che Tommaso abbia ragione riguardo a San Marino, ma ciò non impedirebbe un
possibile colpo di stato da parte dell'ala più stalinista del locale partito
comunista e una successiva imposta adesione alla RDI, oppure una richiesta di
aiuto a questa (o all'Armata rossa se ancora presente) per contrastare più o
meno fondati tentativi controrivoluzionari.
Un'ultima nota: non comprendo il perché di una exclave "monarchica" a Milano;
quali motivazioni politiche e/o diplomatiche dovrebbero far si che ciò
accadesse? La capitale della Repubblica Sociale era nei fatti parcellizzata fra
varie località, ma era Roma ad essere stata proclamata tale.
In teoria, applicando quelle che sono le "logiche" diplomatiche, sarebbero stati
i Sovietici a richiedere, in coerenza con quanto stabilito per Berlino e per
Vienna, una loro presenza a Roma.
Certi scambi a carattere territoriale sono anche concepibili, ma per giungere al
quadro che stiamo ipotizzando, Stalin sta applicando, in Italia e nello
sconfitto Reich, il principio dell'uti possidetis, senza che siano intervenute
scelte decisionali riguardo l'assetto conseguente alla suddivisione
dell'influenza politica delle nazioni vincitrici.
.
A questo proposito Generalissimus ha tradotto per noi un'altra ucronia:
E se dopo la Seconda Guerra Mondiale l'Italia fosse stata divisa come la Germania?
Sono gli ultimi giorni della
Seconda Guerra Mondiale, negli ultimi due anni Benito Mussolini è passato da
Duce a deposto, a imprigionato, a liberato e, infine, a fantoccio del Reich.
Aveva sognato che l’Italia diventasse il nuovo Impero Romano, e, proprio come
Roma, essa era caduta ai piedi dei Germani, eppure cercò ancora di fuggire in
Spagna, ma non ci riuscì.
Venne trovato dai partigiani Comunisti e il fondatore principale del Fascismo
venne giustiziato e appeso alla vista della popolazione locale, una fine adatta
per Mussolini.
L’Italia dopo la guerra si riunificherà, diventando un alleato della NATO
relativamente stabile, ma in questa TL alternativa questo non è il percorso
preso.
La divisione dell’Italia è appena cominciata, ed essa sta per diventare la prima
pedina della Guerra Fredda.
Va bene, sarò onesto, un mio amico, Emperor Tigerstar, che gestisce un bel
canale dedicato alle mappe storiche che dovreste andare a controllare, è venuto
da me e mi ha suggerito un’idea per un video, uno in cui dopo la Seconda Guerra
Mondiale l’Italia è divisa a metà proprio come lo era la Germania.
Ho pensato: “Wow, questa è una grande idea”, l’unico problema è da dove inizio?
Non c’è mai stato un piano degli Alleati per dividere l’Italia dopo la guerra,
dividere un paese era l’ultima risorsa nel caso un paese semplicemente si
rifiutava di arrendersi incondizionatamente, come la Germania e il Giappone, e
sì, vennero stilati dei piani per dividere anche il Giappone, ma l’Italia
sarebbe sempre rimasta intatta.
Perché? Era una potenza dell’Asse! Beh, la differenza è che l’Italia si arrese.
Il Regno d’Italia depose e arrestò Mussolini, si sbarazzò del Fascismo e tentò
di chiedere la pace, ma era troppo tardi, i Nazisti invasero da nord e crearono
uno stato fantoccio chiamato Repubblica Sociale Italiana, guidato da un appena
liberato Mussolini.
L’Italia tra il 1943 e il 1945 fu un disastro, la penisola divenne un luogo di
massacri fra l’esercito tedesco e gli Alleati.
Il Regno d’Italia adesso si era alleato con gli Americani e gli Inglesi, e sul
campo gli scontri si evolvettero quando la resistenza italiana creò le proprie
enclave all’interno del territorio occupato dai Nazisti mentre monarchici,
repubblicani, Socialisti, Fascisti e Comunisti, tutti gli Italiani, combattevano
tutti su fronti differenti.
Alla fine di tutto questo l’Italia non sarebbe stata semplicemente divisa dopo
aver cambiato schieramento e aiutato gli Alleati, e non c’era alcun bisogno di
dividerla, dato che erano state le potenze occidentali, non i Sovietici, a
condurre la maggior parte dei combattimenti in Italia, essi non avrebbero
semplicemente ceduto senza motivo dei territori ai Russi.
E allora come si dividerà l’Italia? In questa TL alternativa, cosa abbastanza
divertente, se l’Italia si dividerà non sarà a causa di forze esterne come è
accaduto con la Germania, verrà divisa a causa del suo stesso popolo, o
perlomeno a causa dell’esito di un’elezione: le elezioni del 1948 furono un
momento decisivo nella storia moderna dell’Italia, furono in molti sensi un
evento spartiacque.
Il mondo era diviso in due e l’Italia era in bilico, le elezioni erano contese
da tre fazioni, delle quali la vincitrice fu la Democrazia Cristiana, un partito
centrista moderato religiosamente conservatore che finì col vincere
principalmente nel sud agricolo col 48% dei voti complessivi.
L’Italia come risultato divenne un membro fondatore del G7 e della NATO, e si
alleò contro i Sovietici.
C’erano altre due fazioni della sinistra italiana, però: il Fronte Democratico
Popolare di Comunisti e Socialisti, che finì con l’ottenere il 31% dei voti,
principalmente da una base di operai e abitanti delle città nel nord, e il terzo
partito, Unità Socialista, che ottenne il 7%.
Messi insieme i partiti di sinistra italiani finirono con l’ottenere il 38% dei
voti, e questo dopo un anno di presunte interferenze della CIA e una campagna
per impedire alla sinistra di ottenere il potere.
Ci fu una possibilità reale, e una vera paura, che l’Italia avrebbe potuto
eleggere democraticamente i Comunisti e/o i Socialisti.
Immaginate in questa TL alternativa l’immenso terrore e rabbia che
scoppierebbero in occidente a causa di questo risultato: dopo anni passati ad
arrancare lungo la penisola ber battere i Nazisti gli Italiani si alleerebbero
con i Sovietici.
Una penisola influenzata dai Comunisti proprio nel bel mezzo dell’Europa che
mette in disordine l’intera dinamica nella quale aveva sperato la NATO, sappiamo
tutti che cosa farebbero gli Stati Uniti.
L’Italia non può semplicemente diventare Comunista per scelta elettorale, no,
no, no, ma nessuno potrebbe nemmeno ignorare il risultato di un’elezione
popolare, almeno non in Europa, perciò, dopo la vittoria dei Comunisti, inizia
una crisi, una che porterà a violenza politica, spionaggio e imbrogli, ma alla
fine viene stilato un piano: l’Italia verrà divisa.
Le regioni col maggior sostegno Comunista diventeranno uno stato a sé stante, le
regioni del sud andranno avanti sotto forma di una nuova repubblica italiana.
Adesso potreste pensare: “Beh, aspetta un secondo, non tutti nel nord sarebbero
Comunisti, che dire di Venezia? E che dire della Lombardia?” Beh, questa era la
Guerra Fredda, anche se ho detto che la divisione sarebbe stata un risultato del
popolo stesso, come essa avverrà non sta affatto agli Italiani.
Se vogliamo essere incredibilmente specifici potrei forse predire una soluzione
a tre stati, col Veneto, la Lombardia, il Piemonte e qualche regione di confine
che creano un proprio stato repubblicano, ma questa è solo una possibilità,
potremmo anche avere una goffa soluzione mal orchestrata in cui c’è uno stato
Comunista indipendente schiacciato nel mezzo di uno stato repubblicano, ho
considerato tutte le possibilità, perciò non andate a lamentarvi nei commenti.
Un sacco di volte durante la Guerra Fredda furono fatti accordi che non fecero
contento nessuno solo per amore delle relazioni Sovietico-Americane.
Agli Americani interesserebbe soprattutto mantenere la presa sull’Italia
meridionale, con le sue vaste coste sulle quali si potrebbero utilizzare delle
basi navali.
Dopo il 1948 tutto quello che si trova a nord di Roma diventa parte della
Repubblica Democratica Italiana, mentre il sud è la Repubblica Italiana,
altrimenti note come Italia del Nord e Italia del Sud… Ehi, non è familiare?
Andrò avanti presumendo che non ci siano scoppi di violenza, rivolte e proteste
immediate, una cosa probabile, ma non riesco a immaginare che vedremo
verificarsi all’interno dell’Europa una situazione simile alla Guerra di Corea o
del Vietnam, entrambi gli schieramenti della Guerra Fredda avevano un desiderio
estremo di non provocare violenza militare all’interno dell’Europa, andava
benissimo farlo altrove per mezzo di guerre per procura in Asia o in Africa, ma
in Europa no, sarebbe stato folle.
I Sovietici dissero perfino ai partigiani italiani e ai leader Comunisti di non
utilizzare la violenza anche se a elezioni finite i Comunisti fossero stati
purgati dal governo.
Comunque sia penso che entrambe le parti lasceranno le cose come stanno,
considerato che qualsiasi escalation causerà distrazioni da quello a cui tutti
erano interessati davvero, cioè la Germania.
Ci sono già importanti differenze tra l’Italia del nord e quella del sud che
vediamo ancora oggi, perciò questa non è la divisione più folle che potrebbe
avvenire.
L’Italia del Nord sarà controllata dal Partito Comunista Italiano, noto come
PCI.
Dato che l’Italia del Nord non controlla Roma avrà bisogno di una nuova capitale
che potrebbe essere davvero ovunque, anche se forse propenderò per Livorno o
Bologna, dato che queste erano le principali basi Comuniste.
Anche se Venezia, Milano, Firenze o Genova sono belle città da immaginare come
capitali, bisogna avere una città che simpatizzi politicamente per il partito.
Il suo leader molto probabilmente sarà il leader del PCI della nostra TL, il
Segretario Generale Palmiro Togliatti.
Togliatti sarà una specie di autoritario, anche se non alla maniera di Stalin o
di Mao, a quanto pare la sua leadership del partito fu competente, ma allo
stesso tempo concordò con l’approccio sovietico alla Rivoluzione Ungherese del
1956.
Il suo governo non è la cosa più importante qui, quello che è importante è il
partito stesso, il PCI, quali saranno le sue politiche nell’Italia del Nord? Per
almeno il primo decennio l’Italia del Nord sarà spalla a spalla con Mosca, e la
vedrà come il centro della rivoluzione Socialista mentre i leader e i membri del
partito faranno avanti e indietro per tutti gli stati del Patto di Varsavia, ma
l’Italia del Nord non sarà uno stato del Patto di Varsavia, nonostante sia
Comunista.
Quella dell’Italia del Nord è una storia di lento allontanamento da Mosca nel
corso della Guerra Fredda, un po’ come è successo con la Jugoslavia.
Questo in parte non sarà dovuto semplicemente alla collocazione in Europa
dell’Italia del Nord, ma anche a causa della spaccatura ideologica che avverrà a
causa della risposta sovietica alla Rivoluzione Ungherese del 1956: mandare i
carri armati a schiacciare le proteste fu davvero una mossa controversa per
tutto il mondo Comunista, e quella repressione nella nostra TL causò una
spaccatura all’interno dei partiti di sinistra italiani.
Ufficialmente il PCI nell’Italia del Nord sosterrà la repressione sovietica, ma
ufficiosamente questo segnerà una divisione tra il blocco orientale e i
Comunisti occidentali.
Stando così le cose l’Italia del Nord sarà in molti modi l’unica nazione
Comunista occidentale, l’unica non nata dalla rivoluzione ma semplicemente
eletta democraticamente dal proprio popolo, una il cui governo non è stato
installato dalla forza delle truppe sovietiche come nel resto del Patto di
Varsavia.
L’Italia del Nord negli anni ’50 e ’60 è una nazione relativamente stabile, ma
che dire del sud? Nella nostra TL l’Italia meridionale per un po’ non è stata
nelle migliori condizioni, qualcuno potrebbe affermare che fin dalla caduta
dell’Impero Romano l’Italia meridionale è rimasta in un punto difficile.
La penisola spostò il centro dei suoi commerci a nord invece che attraverso il
Mediterraneo, per non parlare delle invasioni Islamiche che essenzialmente
posero fine a qualsiasi commercio con il Nord Africa, che era la principale
fonte di crescita del sud.
Le città stagnarono, la società declinò e l’Italia settentrionale divenne il
centro del Rinascimento, mentre la Sicilia passava di mano tra vari invasori e
tutto quello che l’Italia meridionale aveva davvero era Napoli.
Il nord alla fine del XIX secolo si era largamente industrializzato e
semi-istruito, mentre il sud era agricolo e mal collegato.
La legge e l’ordine nel sud erano decisi dai legami familiari o, più spesso,
dalla mafia.
La criminalità organizzata dell’Italia meridionale non è affatto come quella
degli Stati Uniti, che è semplicemente il prodotto da esportazione di
un’operazione più violenta e grande che non solo infestava la vita quotidiana in
Italia, ma fondamentalmente impediva qualsiasi progresso nel sud.
Col progredire della Guerra Fredda il divario fra le due Italie si allargherà:
l’Italia del Nord, anche se sarà uno stato Comunista semi-autoritario in realtà
potrebbe andare molto bene.
Nella nostra TL il PCI governò a livello locale e grazie a questo attuò alcune
vere riforme: migliori diritti dei lavoratori, un sistema di welfare a tutto
tondo, riforme dell’istruzione, e questo è quello che succede in una TL simile.
Le tasse e le risorse dell’Italia del Nord alimentano solo il nord, mentre il
sud non ottiene alcun beneficio e tutti i rovesci derivanti dalla separazione
della parte finanziaria e industriale dell’Italia.
L’Italia del Sud diventa uno stato corrotto e fallito in tanti sensi, con un
livello di corruzione che vedremmo in una fallimentare dittatura del Sudamerica,
ma il potere non sarebbe nelle mani del governo, né nelle mani degli Americani
che usano le sue coste come basi navali, il vero potere nell’Italia del Sud lo
avrebbe la mafia.
Niente, dal livello locale a quello nazionale, verrebbe fatto senza il consenso
del crimine organizzato, la Repubblica Italiana sarà il primo stato di mafia del
mondo, dove il progresso viene attivamente scoraggiato a beneficio delle tasche
di alcune famiglie criminali.
Per tutto il 20° secolo ci saranno diverse guerre di mafia, o, come può
immaginare il mio pubblico principalmente americano, lo stesso tipo di violenza
che avviene in Messico: assassini di giudici, politici, agenti di polizia o di
qualsiasi autorità che non si allinea con il crimine organizzato.
Negli anni ’80 l’Italia del Sud sarà molto più povera del nord, avrà un tasso di
corruzione più alto, sarà afflitta dagli assassinii politici e in molti sensi
sarà un fantoccio tanto quanto le nazioni del Patto di Varsavia in Europa
orientale.
Se l’Italia verrà divisa in due rimarrà così fino alla fine della Guerra Fredda,
ma dopo tutti questi decenni ci saranno ancora richieste di riunificazione.
Rimane però il dibattito: chi dovrà prendere il controllo una volta che ci sarà
la riunificazione? Beh, quella domanda avrà presto una risposta, perché piaccia
o no un muro sta venendo giù.
La riunificazione può avvenire in diversi modi, la Germania dell’Est si unì a
quella dell’ovest perché la DDR era un fantoccio dei Sovietici e questi stavano
collassando.
Nonostante il fatto che fosse la nazione più di successo del blocco alla fine
della fiera era tenuta in piedi per mezzo della forza di uno stato straniero, ma
l’unificazione italiana non è così semplice.
L’Italia del Nord non è stata creata con la forza come la Germania dell’Est, è
stata creata da un’elezione popolare, una che probabilmente negli anni ’90 la
gente non avrà piacere di ricordare, perché, cosa abbastanza strana, il nord ha
avuto più successo del sud.
L’Italia del Sud non sarà più così utile per gli Americani come mezzo per
contrastare l’Europa orientale Comunista, ma la Guerra Fredda che ha tenuto
questi due paesi separati ormai è finita.
Alla fine della Guerra Fredda posso immaginare che l’Italia si riunifichi
naturalmente grazie al PCI.
Il sistema Comunista dell’Italia del Nord si adatterebbe ai tempi, e di fatto
negli ultimi decenni si sarà già riformato lentamente allontanandosi
dall’ideologia Comunista autoritaria, e posso affermare con fiducia che quando
il PCI negli anni ’80 cambierà la sua ideologia allontanandosi da Mosca e
avvicinandosi ai suoi vicini europei le sue politiche di sinistra saranno più in
linea con il pensiero occidentale: valori democratici, libertà di parola, quel
genere di cose, e posso immaginare che una volta finita la Guerra Fredda
l’Italia del Nord avrà una propria rivoluzione pacifica che rimuoverà
l’ideologia Comunista per un Socialismo più democratico.
Se si unificherà, l’Italia post-Guerra Fredda sarà sotto il dominio di questo
nuovo nord Socialista, e penso che questo sarà d’impatto su come discutiamo
delle politiche di destra o sinistra.
Sicuro, i Sovietici saranno morti, ma l’Italia del Nord, proprio grazie alla sua
nascita democratica e al suo successo rispetto ai suoi vicini darà più di una
sfumatura al conflitto fra economie di destra e di sinistra, perché alla fine di
tutto l’Italia del Nord nel bel mezzo dell’Europa sarebbe un compromesso tra le
due.
.
Alessio Mammarella propone invece:
Per quanto giudichi questo
video irrealista su molti particolari, esso ha un'impensabile tratto di
originalità nel discostarsi dal modello "stato comunista = arretrato e
unificazione che parte da un sud molto migliore" che sarebbe lo standard.
Altra idea per il PoD:
decisione degli angloamericani di sbarcare non in Sicilia ma in Grecia. Uno
sbarco alleato in Grecia nell'estate del 1943 avrebbe cambiato non solo gli
equilibri nei Balcani (in Bulgaria, probabilmente, sarebbero arrivati prima loro
dei sovietici) ma proprio le direttrici di avanzata dell'Armata Rossa. Forse
Stalin sapeva che Mussolini conduceva segretamente trattative con Churchill per
un rovesciamento delle alleanze in funzione antisovietica, e la scelta di
sbarcare in Grecia gli confermerebbe che da parte angloamericana c'è intenzione
di essere clementi con l'Italia ed al tempo stesso solerti nell'evitare la
vittoria contro Hitler possa avvantaggiare l'URSS nei Balcani.
Ovviamente è una forzatura cercare di mettermi nei panni di Stalin e ipotizzare
cosa avrebbe deciso, ma oserei presumere che avrebbe concentrato tutte le sue
forze in direzione Danubio per sfondare lì e provvedere a chiudere i conti con
Mussolini. Le truppe tedesche avrebbero quindi cominciato a calare dalle Alpi
nel 1943, ma sarebbero rimaste in gran parte concentrate nel nord Italia in
prevenzione di un eventuale attacco sovietico dal est. Nell'autunno del 1944
(quando in HL è avvenuto lo sbarco in Grecia) gli angloamericani sbarcano in
Sicilia, determinando la caduta di Mussolini. Mentre l'Italia rinuncia
abbastanza subito a contrastare l'avanzata degli alleati, le truppe tedesche,
concentrate a nord, non sono nelle condizioni di occupare Roma e la parte
peninsulare del paese, si limitano a liberare Mussolini. Verso fine anno il il
fronte tra tedeschi ed alleati si assesta sulla linea gotica, oltre la quale
Mussolini ha fondato la RSI. All'inizio del 1945 l'Armata Rossa sfonda la Soglia
di Gorizia, ed occupa il territorio della RSI (salvo la Valle d'Aosta, che come
si è detto viene occupata dai francesi).
Le due parti d'Italia sono quindi gestite da occupanti diversi, come le due metà
della Corea. Come potrebbe avere luogo la formalizzazione della "rottura" tra le
due? Il punto critico potrebbe essere proprio il referendum
monarchia/repubblica: alle urne vince la monarchia, ma nel nord si levano voci
di brogli e le brigate Garibaldi (formalmente disciolte, ma disarmate solo in
apparenza dalle truppe occupanti) prontamente insorgono per proclamare la RDI.
Il giovane sovrano Umberto II si dichiara disposto ad abdicare se ciò può
salvare l'unità del paese, ma il Presidente americano Truman lo convince a non
sacrificarsi (con il rischio peraltro che per salvare l'unità, l'intero paese
finisca in mano socialista).
Nel 1947, il Trattato di Pace ratifica la divisione dell'Italia come legittima,
ed in cambio del riconoscimento internazionale la RDI deve rinunciare a ogni
rivendicazione su Aosta. La cessione delle province di Gorizia, Trieste, Pola,
Fiume e Zara viene formalizzata, anche se di fatto sin dalla fine delle ostilità
risultavano di fatto annesse alla Iugoslavia per effetto degli eventi bellici.
(Le altre condizioni di pace sono identiche alla HL e riguardano sopratutto
aspetti militari, coloniali e finanziari).
Nel dopoguerra, la RDI si dota di un esercito piuttosto massiccio, considerando
che rappresenta la punta avanzata del Patto di Varsavia ed è circondata da
confini problematici (due nemici dichiarati, Francia ed Italia monarchica; un
alleato ambiguo come la Iugoslavia; un paese neutrale ma strategico, l'Austria.
.
Ed ecco lo sviluppo pensato da Federico Sangalli:
L'Italia ufficialmente era una nazione "non belligerante" quindi de facto riconosciuta come alleata delle nazioni anti-naziste, tanto da contribuire alla lotta con truppe regolari e il grande sforzo della Resistenza partigiana, dunque una divisione del genere sarebbe più frutto della situazione bellica (americani e sovietici occupano delle zone che poi si rifiutano di lasciare) che di una punizione studiata a tavolino tale da dividere anche Milano in zone d'occupazione (che non esisterebbero visto che l'Italia formalmente non è occupata; più che altro tutti i repubblicani e filo-comunisti si trovano nel Nord e i monarchici filo-americani sono radicati nel Sud e nessuno dei due è disposto a lasciare un minimo di governo all'altro quando possono avere una nazione intera a loro completa disposizione). Nel Nord la Repubblica Democratica Italiana è ufficialmente multipartitica ma (su modello tedesco, rumeno, coreano, cinese e vietnamita) tutti i partiti sono riuniti nel Fronte Popolare Unito (il Partito del Socialismo Unificato è tedesco, meglio usare una versione più nostrana), a salda guida comunista. Togliatti sarà il leader di questa repubblica e il suo fiuto equilibrista lo manterrà abbastanza stalinista da poter sopravvivere ma abbastanza titoista da evitare collettivizzazioni forzate che sancirebbero la distruzione agricola della Pianura Padana, abbastanza fedele a Mosca da evitare i tiri mancini americani ma abbastanza distensivo con l'Occidejte da affiancare con abilità Chruscev nel suo percorso riformista. Il suo Testamento di Yalta andrà in questa direzione e il suo successore Luigi Longo ne continuerà l'eredità finché nel 1968 un ictus non lo costringerà a lasciare le redini ad Enrico Berlinguer, il quale sarà un grande sostenitore della Primavera di Praga. Dopo la decisione di Breznev di mandare un messaggio a tutti facendo marciare i carri armati per le strade della capitale cecoslovacca, la RDI commetterà uno piccolo strappo con la solidarietà Iugoslava e rumena (senza i quali ma anche con i quali è molto difficile reprimere tale disubbidienza): il Nord Italia rimane nel Patto di Varsavia, unica condizione imprescindibile di Mosca, ma inizia a democratizzarsi velocemente, ammettendo altri partiti pur con una forte impronta sociale ma anche non marxista. Nel 1978 ci sarà il Riavvicinamento Storico con il Sud Italia e la celebre stretta di mano tra Berlinguer e il meneghino Paolo VI. Dopo la morte di Berlinguer, gli succederanno prima Alessandro Natta e poi il sindacalista Luciano Lama, entrambi sostenuti dalla dirigenza del PC e costretti a lasciare per motivi di salute. Achille Occhetto diventa così il nuovo leader ma i tentativi di innovazione e la fine del sostegno sovietico minano la base del partito e portano a sorpresa alla sua sostituzione con Umberto Bossi, ex militante comunista che ha approfittato dell'apertura al multipartitismo per creare un polo socialista, federalista ed identitario che avversa la riunificazione "rapida e piegata agli interessi dei capitalisti terroni e mafiosi", insieme a Roberto Maroni, che lo sostituirà nei momenti di malattia. Allo scoppio della crisi economica e una serie di scandali di corruzione contro lo stesso Bossi, che riporta al potere i comunisti con Pierluigi Bersani. Dopo le dimissioni dello stesso a causa di problemi di salute, è stato sostituito da Gianni Cuperlo e poi da Sergio Chiamparino, che ha formato una grande coalizione per escludere dal governo Matteo Salvini. Il Nord Italia è oggi una repubblica, combattuta tra desiderio di riunificazione e mantenimento di un'identità autonoma, candidata all'adesione all'Unione Europea, di cui sta cercando di soddisfare i prerequisiti combattendo la corruzione, il mercato nero e la burocrazia eredi del passato più sovietico. In ogni caso gli viene riconosciuta un'ampia pluralità democratica interna sebbene le autorità europee ed americane la rimproverino di avere ancora una Costituzione troppo socialista. La RDI, nei suoi ultimi esecutivi di centro-sinistra, ha mantenuto una politica estera neutrale su modello svedese. Si temono tuttavia gravi ripercussioni in caso di vittoria di Salvini, il cui programma espressamente nazionalista, anti-meridionale e filo-russo, è in bellicosa rotta di collisione con il Regno d'Italia.
Presidenti del Consiglio dei Commissari del Popolo della Repubblica Democratica Italiana:
Palmiro Togliatti 1948-1964
Partito Comunista
Luigi Longo 1964-1968 Partito Comunista
Enrico Berlinguer 1968-1984 Partito Comunista
Alessandro Natta 1984-1989 Partito Comunista
Luciano Lama 1989-1993 Partito Comunista
Achille Occhetto 1993-1998 Partito Comunista/Partito Laburista
Umberto Bossi 1998-2004 Lega Democratica
Roberto Maroni 2004-2008 Lega Democratica
Umberto Bossi 2008-2012 Lega Democratica
Roberto Maroni 2012-2013 Lega Democratica
Pierluigi Bersani 2013-2014 Partito Laburista
Gianni Cuperlo 2014-2018 Partito Laburista
Sergio Chiamparino 2018-.... Partito Laburista
Presidenti della Repubblica Democratica Italiana:
Ivanoe Bonomi 1948-1951
Partito Democratico Laburista
Ferruccio Parri 1951-1958 Unità Popolare
Umberto Terracini 1958-1965 Partito Comunista
Pietro Nenni 1965-1972 Partito Socialista di Unità Proletaria
Giuseppe Saragat 1972-1979 Partito Socialdemocratico
Giorgio Amendola 1979-1980 Partito Comunista
Sandro Pertini 1980-1987 Partito Socialista di Unità Proletaria
Antonio Giolitti 1987-1994 Partito Socialista di Unità Proletaria
Leonilde Iotti 1994-1999 Partito Comunista/Partito Laburista
Gianfranco Miglio 1999-2001 Lega Democratica
Silvio Berlusconi 2001-2008 Lega Democratica
Mario Monti 2008-2015 Indipendente
Dario Fo 2015-2016 Movimento 5 Stelle
Gian Carlo Caselli 2016-.... Indipendente
Il Regno d'Italia viceversa mantiene la struttura monarchica, pur rinnovata dal e nel nuovo Statuto Umbertino. Nel regno i cattolici del Partito Popolare, massicciamente supportato da un groviglio di interessi americani e mafiosi (o entrambi), rimane perennemente al potere alleato con il Movimento Sociale Italiano e i monarchici fino al Maxiprocesso contro la Mafia ad opera dei coraggiosi magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che scoperchieranno una cupola di interessi corrotti nota come Tangentopoli. Da allora il Regno ha avuto una politica caratterizzata da forti ingerenze di gruppi d'interesse e preda di tormenti populisti simili ad alcuni stati sudamericani, a cui si è aggiunto il desiderio annessionista verso il vicino settentrionale (in un rapporto simile a quello tra Cina e Taiwan). Nel 2011 la crisi economica fuori controllo e le pressioni europee in tal senso hanno portato alla nascita di un governo tecnico presieduto dal Governatore della Banca Reale Mario Draghi, che ha cercato di riportare l'ordine nei conti pubblici. Il rigore ha dato grande carica alle speranze riposte negli intenti riformisti del leader laburista Matteo Renzi il quale però è diventato presto uno dei politici più detestati del Regno fino alle sue dimissioni causate dalla sconfitta in un referendum statutario. Dopo la parentesi del suo Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, le elezioni del 2018 hanno portato al potere il leader della Destra Antonio Tajani. Il Regno rimane uno stato con un altissimo debito, grandi problemi strutturali, criminalità, corruzione e povertà diffuse e scarsa coesione interna. La sfiducia verso le istituzioni e la famiglia reale, al centro di innumerevoli scandali (recentemente Re Vittorio Emanuele IV è stato addirittura implicato direttamente nel Processo Stato-Mafia), è rispecchiata dall'altissima astensione registrata alle elezioni. Con l'insediamento del Governo Tajani, il Regno ha intrapreso una politica estera nazionalista, respingendo in malo modo i profughi libici e provocando apertamente il Nord, nonché aderendo pienamente al Patto di Visegrad pur confermando la strettissima alleanza atlantica con gli USA di Donald Trump.
Presidenti del Consiglio dei Ministri del Regno d'Italia:
Pietro Badoglio 1943-1944
Militare
Benedetto Croce 1944-1945 Partito Liberale
Enrico De Nicola 1945-1948 Partito Liberale
Guglielmo Giannini 1948-1960 Fronte dell'Uomo Qualunque
Antonio Segni 1960-1964 Partito Popolare
Enrico Scelba 1964-1969 Partito Popolare
Achille Lauro 1969-1978 Partito Monarchico-Movimento Sociale Italiano/Democrazia
Nazionale
Alfredo Covelli 1978-1983 Democrazia Nazionale
Ciriaco DeMita 1983-1988 Partito Popolare
Giulio Andreotti 1988-1993 Partito Popolare
Giovanni Alemanno 1993-1998 Alleanza Nazionale
Massimo D'Alema 1998-2001 Partito Laburista
Giuliano Amato 2001-2003 Partito Laburista
Giovanni Alemanno 2003-2011 Movimento Nazionale
Mario Draghi 2011-2013 Indipendente
Matteo Renzi 2013-2016 La Margherita
Paolo Gentiloni 2016-2018 La Margherita
Antonio Tajani 2018-... Movimento Nazionale
Re d'Italia:
Vittorio Emanuele III
1901-1947
Umberto II 1947-1983
Vittorio Emanuele IV 1983-...
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Dario allora si spinge più in là:
Gli anni ‘40
Il 15 gennaio 1944 l’ammiraglio Wilhelm Canaris, capo del controspionaggio tedesco, informò il feldmaresciallo Kesselring che gli Alleati stavano per effettuare uno sbarco nella zona di Anzio. Immediatamente, Kesselring ordinò alla 14ª Armata di Eberhard von Mackensen di prepararsi a fronteggiare uno sbarco anfibio sul litorale di Anzio. In tutta fretta vennero allestite le difese costiere per “accogliere” gli anglo-americani, così il 22 gennaio, non appena sbarcate sulle spiagge, le truppe anglo-americane si ritrovarono sotto il fuoco delle mitragliatrici tedesche subendo perdite pesantissime; a causa del fuoco dei tedeschi non fu neppure possibile sminare le spiagge, vanificando lo sbarco dei carri armati che, bloccati delle mine, furono rapidamente messi fuori combattimento dalle batterie controcarro allestite dai tedeschi. Lo sbarco di Anzio fu un completo disastro: con perdite minime i tedeschi catturarono o uccisero oltre 30.000 militari anglo-americani. Il contraccolpo psicologico fu tale che gli alleati sul fronte italiano rinunciarono a compiere ulteriori sbarchi anfibi. Solo il 7 giugno gli Alleati riuscirono a sfondare a Cassino la linea Gustav, e solo il 5 agosto Roma fu liberata dopo lo sfondamento della linea Hitler. I tedeschi riuscirono comunque a ripiegare fino alla linea Albert, che gli anglo-americani cercarono di superare il 26 agosto 1944 con l’operazione Olive. Nonostante la netta superiorità di uomini e mezzi alleati e il riuscito superamento delle linee fortificate, il piano ebbe solo parzialmente successo a causa sia della strenua ed efficace difesa attuata dall'esercito tedesco sia delle intense piogge che rallentarono l'avanzata dei mezzi meccanici, per cui le forze alleate furono costrette a sospendere le operazioni alla fine del mese di ottobre 1944, attestandosi su un nuovo fronte lungo la linea dell’Arno.
Il 16 ottobre 1944 fallì l’operazione Panzerfaust, volta a interrompere i negoziati del reggente Horty con l’Unione Sovietica mettendo al potere un governo fantoccio guidato dalle Croci Frecciate. L’Ungheria si schierò con gli Alleati e per evitare di essere tagliati fuori dalla rapida avanzata sovietica, i tedeschi iniziano ad abbandonare la Jugoslavia, ritirandosi in Austria. Fu quindi l’avanzata sovietico-titina a liberare il Nord Italia dai nazisti, mentre gli anglo-americani erano ancora bloccati sulla linea dell’Arno. Tuttavia, la resistenza tedesca stava per finire: dopo la presa di Venezia il 21 gennaio 1945, i tedeschi si ritrovarono isolati dalla madrepatria. Il 3 febbraio, Mussolini venne catturato a Dongo dai partigiani mentre fuggiva travestito da tedesco, con quindici gerarchi e Clara Petacci, e furono passati per le armi. I loro corpi vennero appesi a testa in giù in piazzale Loreto a Milano.
Intanto, dal 9 febbraio truppe francesi occuparono la Val d’Aosta, la provincia di Imperia e ampi territori delle provincie di Torino e Cuneo col pretesto di liberare quelle zone dalle ultime sacche di resistenza tedesca. Il governo del Regno d’Italia e il luogotenente Umberto protestarono, ma gli anglo-americani non intervennero, pertanto i francesi mantennero le posizioni occupate.
Il feldmaresciallo Albert Kesselring, capendo che ormai la guerra era persa, il 15 febbraio si arrese agli anglo-americani assieme a gran parte delle forze tedesche ancora attestate sulla linea dell’Arno. Tuttavia le pessime condizioni climatiche e la natura del terreno impedirono una rapida avanzata degli anglo-americani, cosa che consentì ai sovietici di completare l’occupazione del Nord Italia fino alla linea Gotica, su cui i tedeschi avevano predisposto di ritirarsi in caso di sfondamento della linea dell’Arno. Fu lì che il 25 febbraio sovietici e anglo-americani si incontrarono. La guerra in Italia era finita.
Fu subito evidente che i
sovietici, liberato il Nord Italia, avevano tutta l’intenzione di restarci: i
nuovi prefetti e sindaci che nel mese di marzo sostituirono i loro omologhi di
nomina fascista erano tutti legati al Partito Comunista Italiano, inoltre alle
forze di polizia facenti capo al governo di Roma (Carabinieri, Polizia di Stato,
Guardia di Finanza, ecc.) non fu permesso riprendere l’esercizio delle proprie
funzioni, che furono esercitate da forze che l’Armata Rossa costruì a partire
dalle forze partigiane. L’11 marzo si tennero le elezioni politiche a San
Marino, vinte dall’Unione Democratica Sammarinese, nonostante fosse favorito il
Comitato della Libertà, formato da Partito Comunista Sammarinese e Partito
Socialista Sammarinese. I comunisti denunciarono brogli elettorali e chiesero
aiuto all’Armata Rossa, che il 19 marzo occupò il monte Titano, ponendo fine
alla plurisecolare indipendenza della piccola repubblica.
Tali atteggiamenti dei sovietici crearono non poche tensioni all’interno del CLN,
con i comunisti e una parte dei socialisti che faceva capo a Nenni che
difendevano l’operato dell’Armata Rossa, mentre le altre forze politiche
accusavano Mosca di volersi annettere il Nord Italia. Alla fine, a giugno si
giunse allo strappo definitivo, e i comunisti e i socialisti nenniani
abbandonarono i lavori del governo Parri e della Consulta Nazionale, emigrando
al Nord, nella zona occupata dai sovietici; i socialisti che facevano capo a
Saragat non seguirono i nenniani e fondarono il Partito dei Lavoratori Italiani
– in cui confluì subito il Partito Democratico del Lavoro di Ivanoe Bonomi – cui
aderirono, tra gli altri, Ivan Matteo Lombardo, Ugo Guido Mondolfo, Ignazio
Silone, Mario Zagari e Giuseppe Romita, che continuarono a sostenere l’esecutivo
Parri. Intanto, al Nord i comunisti forzarono l’unione tra i comunisti di
Togliatti e i socialisti di Nenni e Pertini che, recuperando l’antica
denominazione del PSI, formarono il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani.
Anche per distinguersi da tale soggetto politico, già nel 1946 il PdLI di
Saragat avrebbe mutato nome in Partito Democratico Laburista. Dalla zona di
occupazione sovietica intanto iniziò un massiccio esodo di imprenditori che,
vedendo minacciate le loro proprietà – e soprattutto le loro vite, iniziarono a
emigrare nelle zone occupate dagli anglo-americani.
Alla fine, ciò che era già nell’aria da mesi accadde il 7 ottobre, quando i sovietici dichiararono unilateralmente la nascita della Repubblica Democratica Italiana. Il nuovo stato di fatto aveva giurisdizione solo sul Nord Italia, però rivendicava la sovranità su tutta la penisola italiana; la piccola exclave di Campione d’Italia, interamente circondata da territorio svizzero, rimase fedele al Regno d’Italia, mentre l’Alto Adige, complice il fatto che la vicina Austria era occupata dalle truppe alleate e che le truppe sovietiche non vi erano ancora giunte, chiese di essere occupato dalle truppe francesi presenti nel Tirolo per poi essere annesso all’Austria. Nella neocostituita repubblica, Togliatti fu nominato presidente del consiglio e Nenni presidente; siccome si voleva dare al nuovo stato un’apparenza di multipartitismo, venne favorita la nascita di alcuni partiti politici formalmente estranei al PSLI: alcuni repubblicani di Sinistra che facevano riferimento a Vittorio Foa e Fernando Schiavetti formarono il Partito Liberaldemocratico; i cattolici di Sinistra di Gerardo Bruni rifondarono nella RDI il Partito Cristiano Sociale, mentre al Partito dei Contadini d'Italia di Alessandro Scotti fu permesso proseguire la sua attività politica. Tutti questi partiti, assieme ad altre associazioni di carattere politico, sindacale e culturale, erano inquadrati assieme al PSLI nel Fronte Democratico Popolare, coalizione che egemonizzò fin da subito la vita politica della RDI.
Al Sud la dichiarazione di indipendenza della RDI suscitò perplessità e sconcerto, e il fatto provocò, nell’immediato, le dimissioni di Ferruccio Parri da capo del Governo e la nomina al suo posto di Alcide De Gasperi, già ministro degli esteri nel governo Parri. Si discusse se, alla luce degli ultimi avvenimenti, il referendum istituzionale previsto per il successivo 2 giugno dovesse essere tenuto ugualmente oppure annullato: alla fine prevalse la prima linea d’opinione, e il referendum si tenne nella data già prevista. Solo non si sarebbe votato al Nord. Nel tentativo di salvare la monarchia, Vittorio Emanuele III il 9 maggio abdicò in favore del figlio Umberto II, già Luogotenente Generale del Regno, che si affrettò a dichiarare che, se fosse stato utile ad una riunificazione italiana, avrebbe a sua volta rinunciato alla corona. Furono De Gasperi e il presidente americano Truman a convincerlo a non sacrificarsi (con il rischio peraltro che per salvare l'unità, l'intero paese finisca in mano socialista).
Alla fine, il 2 giugno il referendum confermò la monarchia: su 12.919.008 voti validi, 6.973.360 (53,98%) andarono alla monarchia, 5.945.648 (46,02%) alla repubblica. Le elezioni per l’assemblea costituente che si tennero lo stesso giorno videro una forte affermazione della Democrazia Cristiana – che ottenne il 46,21% dei voti – un buon risultato delle Destre – che tra liberali e qualunquisti rasentarono il 30% – e una prestazione deludente dei laburisti di Saragat – fermi ad un magro 15%. Il governo De Gasperi II confermò la linea della solidarietà nazionale, pertanto nonostante la DC avesse quasi la maggioranza per governare da sola, nel governo entrarono anche liberali e laburisti.
Sostenitori della monarchia festeggiano l’esito del Referendum
Il problema più impellente cui il governo dovette far fronte fu il fatto che un terzo del territorio nazionale e quasi metà della popolazione erano sotto l’amministrazione della RDI, che aveva anche la grandissima parte del patrimonio industriale nazionale. Uno dei primi provvedimenti di De Gasperi, dunque, fu dichiarare che tutti i cittadini della Repubblica Democratica Italiana erano cittadini anche del Regno d’Italia; questo favorì un esodo di massa dalla RDI al Regno del Sud: si calcola che tra il 1946 e il 1950 circa tre milioni di persone oltrepassarono il confine della linea Gotica; la maggior parte di questi erano medici, avvocati, ingegneri e altri professionisti.
Il secondo provvedimento fu l’istituzione del Fondo Nazionale per la Ricostruzione Industriale, con cui il governo avrebbe finanziato gli imprenditori le cui proprietà erano state forzatamente nazionalizzate dal governo della RDI, affinché potessero ricostruire al Sud le loro aziende. L’istituzione del F.N.R.I. – voluta da De Gasperi e dal ministro delle finanze Tremelloni, ma osteggiata dal ministro del bilancio Einaudi e dalla maggior parte dei liberali – superò il voto dell’aula nonostante il voto contrario dei liberali, rischiando di mettere in crisi la coalizione di governo. De Gasperi, per evitare il collasso della maggioranza, rassegnò le sue dimissioni nelle mani di Umberto II, che però le respinse, confermando lo statista trentino alla presidenza del Consiglio.
Nel 1947 l’Assemblea costituente terminò il suo lavoro; la Costituzione del Regno d’Italia prevede una monarchia parlamentare sul modello britannico in cui:
1) Il potere legislativo è esercitato da un parlamento bicamerale; formalmente, la camera alta (il Senato del Regno) e la camera bassa (la Camera dei deputati) hanno identici poteri e competenze, di fatto però la Costituente formalizzò il principio, valido sin dall'Unità d'Italia, secondo cui “il Senato non fa crisi”, pertanto la camera alta non vota la fiducia all’esecutivo, competenza esclusiva della camera bassa. Il Senato è composto da duecento senatori di nomina regia – in carica a vita – e cento senatori eletti ogni sei anni “nei consigli regionali, provinciali e nei consigli comunali delle città con popolazione superiore a 500.000 abitanti”; sono inoltre senatori di diritto i principi maschi della famiglia reale. La Camera dei deputati è composta da 535 deputati eletti ogni cinque anni a suffragio universale; la legge elettorale per la Camera prevedeva un proporzionale puro simile a quello usato prima della legge Acerbo.
2) Il potere esecutivo è esercitato dal governo, presieduto dal Primo ministro del Regno d’Italia; sotto l’apparenza di decreti reali, il Primo ministro può nominare e revocare i singoli ministri, esercitando quindi una forte funzione di indirizzo politico all’interno del Governo. Il Governo ha l’iniziativa legislativa (attraverso i disegni di legge, oppure tramite i decreti legge, i decreti legislativi e i regolamenti governativi) e, in caso di guerra, può governare per decreto – in tal caso però, le Camere non possono essere sciolte.
3) Il Sovrano concorre all’esercizio dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario:
promulga le leggi;
ha una limitata forma di veto: può chiedere alla Corte Costituzionale un ulteriore controllo di costituzionalità di una legge prima della sua promulgazione (controllo di legittimità costituzionale preventivo);
indice i referendum e nei casi opportuni, al termine della votazione, dichiara l'abrogazione della legge a esso sottoposta;
può sciogliere la Camera dei deputati;
può inviare messaggi alle camere;
può convocare le Camere in via straordinaria;
nomina il Primo ministro, accoglie il giuramento del governo e le eventuali dimissioni;
nomina alcuni alti funzionari;
accredita e ricevere i funzionari diplomatici e gli ambasciatori stranieri;
ratifica i trattati internazionali;
presiede il Consiglio supremo di difesa e detiene il comando delle forze armate italiane;
presiede il Consiglio superiore della magistratura;
nomina un terzo dei membri della Corte Costituzionale (incluso il presidente);
può concedere grazia, indulto, amnistia e commutare le pene.
Le prime elezioni nel Regno d’Italia dopo l’entrata in vigore della Costituzione si tennero il 18 aprile 1948, e videro una netta affermazione della Democrazia Cristiana, che ricevette il 56,8% dei suffragi. I laburisti si fermarono al 25,2%; i liberali ottennero il 6,3% dei voti; il Fronte dell’Uomo Qualunque arrivò al 5,9% il Partito Repubblicano Nazionale – nato per volontà di alcuni ex-fascisti cui si aggiunsero alcuni repubblicani di destra in disaccordo colla dirigenza del PRI – ottenne il 2,7%, il Partito Repubblicano Democratico – cioè ciò che restava del PRI dopo la defezione della sua ala di Destra – si fermò al 2,1%.
Grazie all’istituzione del F.N.R.I. la situazione economica del Regno d’Italia, progressivamente, stava migliorando: alle acciaierie Finsider e agli stabilimenti della Montecatini, principali industrie nella parte d’Italia rimasta sotto il controllo del governo regio, si aggiungevano le numerose aziende che stavano rinascendo grazie agli aiuti statali: Ansaldo, Breda, Edison, FIAT, Lancia, Pirelli, Olivetti, SADE erano i principali gruppo industriali che ebbero nuova vita al Sud, dove ricostruirono le loro unità produttive. A questo, si aggiungevano gli aiuti che gli USA iniziavano a fornire attraverso il piano Marshall, che si tradussero in numerose grandi opere quali, ad esempio, le autostrade Firenze-Napoli e Roma-Bari, la diga di Monte Cotugno, gli aeroporti di Fiumicino e Punta Raisi. Tuttavia, non mancavano le difficoltà: la ricostruzione del tessuto industriale procedeva, ma era lenta nonostante l’istituzione del F.N.R.I.; l’agricoltura, soprattutto con la perdita dei fertili appezzamenti della Pianura Padana, era l’anello debole dell’economia italiana; l’emigrazione dalle campagne alle città faceva sì che queste si espandessero senza regole. Furono anche anni segnati dalle azioni dell’EVIS di Salvatore Giuliano, che, dopo la strage di Portella della Ginestra nel 1947, arrivò ad assaltare anche caserme dei carabinieri. Nel 1949 fu inviato un colonnello dei servizi segreti, Ugo Luca a coordinare la lotta al banditismo, con la contemporanea creazione del Comando forze repressione banditismo, la cui azione portò, nel 1950, all’uccisione del bandito Giuliano. Nei sei anni di lotta al banditismo in Sicilia (1944-1950) caddero 81 carabinieri, 21 poliziotti, quattro militari dell'esercito e un finanziere. Il Regno d’Italia aderì alla NATO fin dalla sua fondazione il 4 aprile 1949.
Nel Nord comunista, la ricostruzione incontrò numerose difficoltà, aggravate dal fatto che molte attrezzature industriali furono requisite dai sovietici come riparazioni di guerra. I primi provvedimenti presi dal governo Togliatti riguardarono l’esproprio delle proprietà appartenenti ad attivisti del PNF e la nazionalizzazione di gran parte delle industrie: solo il 30% delle attività industriali sarebbe rimasto in mano privata. Le proprietà agrarie confiscate agli ex-fascisti furono redistribuite tra circa mezzo milione di contadini.
La costituzione del 1945 formalmente aveva instaurato una repubblica democratica, creando la Camera del Popolo, che secondo la costituzione della RDI veniva investita della funzione legislativa. Il PSLI controllava il Consiglio dei ministri e di fatto minimizzò le funzioni legislative del parlamento. Le elezioni della Camera del Popolo erano basate su una scheda congiunta preparata dal Fronte Democratico Popolare; i votanti potevano solo registrare la loro approvazione o il loro rifiuto.
Il PSLI si modellò come un partito in stile sovietico: a questo fine, Togliatti divenne il primo segretario del PSLI, e si formarono il Politbüro, il Segretariato e il Comitato Centrale. In sintonia con il principio leninista del centralismo democratico, i membri del partito possono discutere e dibattere su politica e direzione, ma una volta che la decisione del partito è scelta dal voto della maggioranza, tutti i membri si impegnano a sostenere quella decisione. Il PSLI si uniformava ideologicamente al marxismo-leninismo e alla lotta di classe. Molti ex membri del PSIUP, e anche alcuni comunisti, che sostenevano una via democratica al socialismo, vennero estromessi dal partito, oppure marginalizzati; fu ad esempio il caso di Enrico Berlinguero.
Dal punto di vista
calcistico, entrambe le Italie avevano una propria nazionale: quella del Regno
d’Italia mantenne l’azzurro di casa Savoia, mentre la nazionale della Repubblica
Democratica adottò un completo rosso acceso, colore del socialismo ma anche in
onore delle camice rosse di Garibaldi. Inizialmente, la presenza al Nord dei
calciatori del grande Torino faceva sì che la nazionale della RDI fosse ritenuta
più forte di quella del regno del Sud, tanto che i dirigenti della federazione
calcistica della RDI vollero organizzare per il maggio 1948 una amichevole
contro gli inglesi, i maestri del calcio, all’Highbury Stadium, dove quattordici
anni prima gli azzurri di Pozzo e Meazza, freschi campioni del mondo, erano
stati battuti con onore in una partita passata alla storia come Battaglia di
Highbury. La partita però fu una umiliazione per la nazionale della RDI, che fu
sonoramente battuta dagli inglesi per 4-0; in campo i calciatori, praticamente
l’intera rosa del Torino, sembravano distratti e disinteressati alla partita. Il
motivo fu chiaro il giorno dopo: la notte successiva alla partita, i calciatori
elusero la sorveglianza e raggiunsero l’ambasciata del Regno d’Italia, cui
chiesero asilo politico; non era stata una scelta facile, perché sapevano che
non avrebbero più rivisto i loro parenti, Mazzola in particolare sapeva che non
avrebbe più rivisto i figli Sandro e Ferruccio. Di colpo la Repubblica
Democratica aveva perso i suoi migliori calciatori.
La nazionale del Regno d’Italia fino a quel momento non aveva offerto grandi
prestazioni: costruita a partire dalla Fiorentina vincitrice del campionato
toscano di guerra e poi del campionato 1946-47, aveva giocato cinque partite,
nessuna delle quali era stata vinta. La più recente di queste era una amichevole
con la Francia giocata il 4 aprile 1948 persa per 5-2, in cui le due reti degli
azzurri erano di Romano Penzo ed Egisto Pandolfini.
Il fatto che i migliori calciatori del momento ora potessero giocare con i
colori azzurri riaccese le speranze sulle possibilità di difendere il titolo ai
mondiali del 1950, cui la RDI per protesta non avrebbe inviato la propria
nazionale, che pure si era qualificata; al suo posto fu ripescata la Spagna.
C’era però un problema: un club doveva ingaggiare i calciatori che furono del
Torino, ma essi fecero intendere fin da subito che non avrebbero accettato di
essere divisi, chi li voleva doveva ingaggiare la squadra in blocco. La spuntò
Achille Lauro, che ingaggiò la squadra portandola a Napoli. Grazie a quel colpo,
il Napoli avrebbe stravinto, praticamente senza rivali all’altezza, tre scudetti
consecutivi a partire dal campionato 1948-49.
Tornando alla nazionale, quella del Regno d’Italia era la strafavorita ai
mondiali brasiliani del 1950. In girone aveva Svezia, Paraguay e India – che
però si sarebbe ritirata. La partita con la Svezia fu combattuta fino all’ultimo
minuto: all’iniziale vantaggio degli svedesi con Palmér al 7° minuto, risposero
Loik e Mazzola rispettivamente al 25° e al 33°, con gli svedesi che riportarono
il match in parità al 39° con un tiro da fuori area di Andersson; nel secondo
tempo la Svezia andò in vantaggio al 68° con un rigore di Jeppson per un fallo
di Ballarin, ma gli azzurri non mollarono, e già al 71° la partita era di nuovo
in pari dopo un gol di Gabetto di testa su calcio d’angolo di Mazzola e all’83°
gli azzurri si riportarono in vantaggio con Menti, gol del definitivo 4-3.
La partita con il Paraguay al contrario fu vinta facilmente dagli azzurri per
7-0, con tripletta di Menti e doppiette di Mazzola e Gabetto.
Nel girone finale, gli azzurri vinsero agevolmente con la Spagna per 3-1,
vinsero con l’Uruguay per 2-0, gol all’inizio e alla fine, e nell’ultima partita
contro il Brasile, rimontarono in cinque minuti gli iniziali due gol di
svantaggio di Friaça e Ademir prima con una punizione di Mazzola, poi con una
azione di Loik che servì Gabetto e poi di nuovo Mazzola siglò il gol del
definitivo 3-2. L’Italia vinceva il suo terzo mondiale.
Gli anni ‘50
Per il regno del Sud fu il
decennio che pose le basi al successivo miracolo economico italiano: la fine del
Piano Marshall (1951) coincise coll'acme della Guerra di Corea (1950-1953), il
cui fabbisogno di metallo ed altre materie lavorate fu un ulteriore stimolo alla
crescita dell'industria pesante italiana.
Per tentare di arginare lo stato di crisi dell’agricoltura, il governo De
Gasperi varò nel 1950 la legge Sila con la quale vennero espropriate e
riassegnate alcune terre malcoltivate dell'area montagnosa calabrese. La legge
sarà poi estesa anche alla Puglia, alla Basilicata, alla Conca del Fucino e alla
Maremma. Tale riforma considerava la terra sulla base dell'estensione e si
applicava a tutti i fondi che superavano i 300 ettari. Vennero creati due tipi
di proprietà: quelle per podere destinate a chi non aveva mai posseduto un pezzo
di terra, e quelle per quota che spettavano come aggiunta alle piccole proprietà
dei contadini più poveri. Quasi subito fu chiaro il carattere inadeguato della
riforma del 1950:
I proprietari, naturalmente, lottarono duramente per gli espropri con ogni
scappatoia. Molti frazionarono le proprietà tra membri della famiglia,
abbassando la soglia dei 300 ettari e approfittarono del carattere vago delle
ingiunzioni a migliorare il fondo – pena la confisca – con interventi minimi,
sufficienti ad evitare il sequestro;
I provvedimenti legislativi stessi assicurarono che la qualità della terra
acquisita dai contadini fosse scadente;
La terra confiscata era quasi ovunque insufficiente a soddisfare i bisogni dei
contadini;
La riforma favorì un grande aumento del prezzo della terra dato che i
proprietari, temendo ulteriori espropri e l'attivismo dei contadini, misero in
vendita, prima e dopo la riforma, grandi quantità di terra che invogliava i
contadini alla corsa all'appezzamento, spinti anche da una leggina del 1948 con
la quale si rendeva più semplice l'acquisto di terra da parte dei contadini
tramite un sistema di mutui agrari pagabili in quarant'anni;
Gli enti di riforma incaricati della redistribuzione erano nicchie di potere
democristiano e non comprendevano alcun rappresentante contadino.
In conclusione, la riforma
agraria del 1950 non riuscì a risolvere i problemi dell’agricoltura italiana,
che continuava a restare in mano principalmente ai latifondi mal coltivati o ai
piccoli proprietari incapaci di sostenere una agricoltura da reddito.
Meglio il settore industriale, che anche grazie al sopracitato aumento della
domanda di acciaio, conobbe una accelerazione nel suo sviluppo: iniziarono a
formarsi i poli industriali di Roma, Napoli e Taranto che si aggiungevano a
quello siderurgico di Terni. Tale sviluppo fu causato, più che
dall'intraprendenza e dalla lungimirante abilità degli imprenditori italiani,
dall'incremento vertiginoso del commercio internazionale e, più in generale, da
una favorevole congiuntura internazionale. A partire dal 1959 la crescita
industriale iniziò ad accelerare: nel triennio 1958-1961, si registrò un
incremento medio della produzione del 26,7%; assai rilevante fu l'aumento
produttivo nei settori in cui prevalevano i grandi gruppi: autovetture 81%;
meccanica di precisione 78%; fibre tessili artificiali 61,5%. Era l’inizio del
miracolo economico italiano.
Nel 1951 fu fondato l’Ente Nazionale Energia Elettronucleare, guidato da Enrico
Mattei – ex commissario liquidatore dell’Agip – che si pose l’ambizioso
obbiettivo di rendere il Regno d’Italia autosufficiente dal punto di vista
energetico attraverso la costruzione di quattro reattori nucleari di prima
generazione basati sulle tre più innovative tecnologie dell'epoca: i reattori di
tipo BWR e PWR di origine statunitense e quello di tipo Magnox di origine
britannica. La prima centrale elettronucleare italiana fu inaugurata a Latina il
12 maggio 1953.
Politicamente nel Regno del
Sud furono anni dominati dalla figura di De Gasperi, rimasto al potere fino alla
sua morte nel 1954, e dalla Democrazia Cristiana, che dopo le elezioni del 1953
– in cui per pochi voti aveva perso la maggioranza assoluta alla Camera –
modificò la legge elettorale proporzionale attraverso l’introduzione di un
premio di maggioranza che assegnava il 65% dei seggi alla Camera alla lista che
avesse superato la metà dei voti. Tale legge, che i laburisti – ex alleati di
governo passati all’opposizione – battezzarono legge truffa, superò il voto
parlamentare grazie all’astensione di qualunquisti e repubblicani nazionali.
Tuttavia, Umberto II esercitò le sue prerogative chiedendo alla Corte
Costituzionale un controllo sulla legittimità della riforma elettorale; la
bocciatura da parte della consulta fece tornare la legge a palazzo Montecitorio.
De Gasperi riteneva essenziale una riforma elettorale, pertanto decise di creare
un tavolo con i laburisti e i liberali affinché tale legge fosse creata
congiuntamente dalle prime tre forze politiche.
Si abbandonò l’idea di un premio di maggioranza in quota variabile assegnato al
raggiungimento di una certa % di voti (jackpot system), in favore di un premio
di maggioranza fisso assegnato alla prima lista a prescindere dai voti da essa
ottenuta (bonus system): attraverso metodo proporzionale puro vengono ripartiti
428 seggi su 535 (4/5), mentre i restanti 107 (1/5) sono interamente assegnati
alla lista che ottiene la maggioranza relativa dei voti; questo sistema pone una
soglia implicita al 37,5%, superata la quale un partito ha la maggioranza per
governare autonomamente; la stessa legge prevede, come meccanismo a tutela delle
minoranze, che qualora una lista supera la soglia del 53,7% dei suffragi, il
riparto dei seggi avverrà interamente su base puramente proporzionale. Tuttavia
De Gasperi non fece in tempo a vedere l’approvazione di questa riforma
elettorale, perché la morte lo colse nell’estate del 1954, mentre era ancora in
corso il dibattito parlamentare su tale legge. Umberto II conferì ad Amintore
Fanfani – già ministro degli Interni nel governo De Gasperi IV – l’incarico di
formare un nuovo governo; il governo Fanfani I fu però di breve durata, in
quanto Fanfani era una personalità gradita al re, ma la gran parte della DC
avrebbe preferito la nomina di Scelba, o al limite di Piccioni, e perciò
l’esecutivo non ottenne la fiducia alla Camera a causa del voto contrario della
Destra del suo partito. Già a settembre del 1954 Umberto II dovette nominare
Attilio Piccioni Primo Ministro del Regno, venendo incontro alle istanze del
partito di maggioranza; Il re riuscì comunque ad ottenere che Fanfani fosse
presente nel governo Piccioni come ministro degli Esteri, mentre Scelba tornava
a ricoprire il dicastero degli Interni.
Le elezioni del 1958 diedero la maggioranza alla DC proprio in virtù del premio
di governabilità della nuova legge elettorale. Attilio Piccioni fu riconfermato
Primo Ministro.
In politica estera, il Regno
d’Italia fu uno dei paesi fondatori della Comunità economica europea assieme a
Belgio, Francia, Germania Ovest, Lussemburgo, Paesi Bassi; quando scoppiò la già
citata guerra di Corea nel 1950, l’Italia si impegnò a fornire supporto
logistico agli USA.
Militarmente, il Regno d’Italia manteneva un esercito di 9 divisioni,
prevalentemente schierate lungo il confine con la RDI. Si trattava di due
divisioni alpine, quattro meccanizzate e tre corazzate, che in caso di guerra
potevano essere portate a quindici attraverso la mobilitazione dei riservisti.
Sul suolo italiano erano anche stanziate due divisioni statunitensi.
Per la Repubblica Democratica
i primi anni ’50 furono anni di assestamento politico ed economico:
l’assestamento politico si ebbe con la creazione del Dipartimento per la
Sicurezza dello Stato (Diss), polizia segreta il cui primo comandante fu Pietro
Secchia, sostituito nel 1956 da Giovanni Pesce, che avrebbe mantenuto tale
carica fino allo scioglimento della Diss nel 1991; la Diss, che sorgeva dalle
ceneri della precedente Commissione di Sicurezza Nazionale, nasceva
principalmente come strumento per “tutelare la sopravvivenza della rivoluzione
socialista dagli attacchi dei capitalisti e degli imperialisti” e fu uno dei più
pervasivi ed efficienti apparati repressivi del Patto di Varsavia: nel 1955
disponeva di circa 50.000 impiegati a tempo pieno e probabilmente più di 70.000
informatori, usati principalmente per contrastare l’attività di spie nemiche, ma
anche per controllare gli umori della popolazione e individuare i
controrivoluzionari. Una volta definito il soggetto da monitorare l'obiettivo
era di costringere la persona ad abbandonare la propria posizione sociale,
lavorativa o accademica; ad obiettivo raggiunto spesso la vittima veniva poi
integrata a sua volta come informatore.
Dal punto di vista economico, l’inizio del III piano quinquennale nel 1957
coincise con l’inizio di un breve periodo di benessere, in quanto furono
aumentati gli investimenti nell’industria leggera e nel commercio; tale periodo
sarebbe però terminato già col IV piano quinquennale iniziato nel 1962, con cui
veniva nuovamente data la priorità all’industria pesante e alla produzione di
armamenti. Riguardo all’agricoltura, nel 1958 fu completato il processo di
collettivizzazione dei terreni arabili attraverso la creazione di cooperative
agricole.
Furono anche gli anni della morte di Stalin e della destalinizzazione, iniziata
nel 1956 con il XX Congresso del PCUS; Togliatti non gradì questa nuova politica
di Chruščëv, e per questo motivo i rapporti tra Mosca e Milano si raffreddarono
notevolmente; nel 1959 tuttavia vi fu un riavvicinamento tra il PSLI e il PCUS
dopo che Togliatti decise di allinearsi alla decisione di Mosca. Tale decisione
derivava soprattutto dalla constatazione che Chruščëv, attraverso le truppe
sovietiche stanziate in Italia, aveva il coltello dalla parte del manico.
Le forze armate della RDI erano organizzate nell’Armata Popolare di Liberazione,
che comprendeva aviazione, marina militare ed esercito di terra, il quale era
composto da sette divisioni, una di cacciatori delle Alpi (cioè alpina), due
corazzate, tre meccanizzate e una motorizzata; a queste si aggiungevano le
quattro divisioni sovietiche stanziate nella RDI, che costituivano il Gruppo di
forze sovietiche in Italia (GSVI).
I piani di battaglia per le forze armate italo-sovietiche in realtà erano
prevalentemente difensivi: a tale scopo, dal 1949 era stata avviata la
costruzione della linea Nenni, linea fortificata che andava da Alassio al Monte
Rosa ideata per compensare il fatto che con le annessioni del 1945 quasi tutte
le principali cime alpine del confine tra RDI e Francia erano finite in mano a
quest’ultima; la linea Nenni dunque doveva arginare una probabile offensiva
francese nella pianura Padana nel caso in cui la terza guerra mondiale si fosse
concretizzata. In caso di sfondamento della linea Nenni, le truppe corazzate
italo-sovietiche avrebbero sferrato una controffensiva per impedire che le
truppe della NATO potessero dilagare nella pianura Padana.
Lo stesso ragionamento era stato fatto per il confine sud con il regno d’Italia,
modernizzando le fortificazioni della linea Gotica, ribattezzata linea Stalin,
poi dal 1956 linea Verde.
1959: truppe della RDI sfilano a Milano in occasione dell’anniversario della Liberazione
Gli anni ‘60
Il miracolo economico
italiano, iniziato nel decennio precedente, esplose negli anni ’60: nei tre anni
che intercorsero tra il 1961 ed il 1964, i tassi di incremento del reddito
raggiunsero valori da primato: il 6,4%, il 5,8%, il 6,8% e il 6,1% per ciascun
anno analizzato. Valori tali da ricevere il plauso dello stesso presidente
statunitense John F. Kennedy in una celebre cena con re Umberto II. Tuttavia
permanevano grosse differenze tra le città industrializzate – Firenze, Piombino,
Ancona, Terni, Roma, Napoli, Salerno, Bari, Taranto – e le zone rurali quali
l’entroterra campano, la Basilicata, la Calabria, la Sicilia e la Sardegna,
colpite solo marginalmente dalla crescita economica del resto del regno
d’Italia. Inoltre la Sicilia continuava a rimanere terra di Mafia, come stavano
a dimostrare i processi che nel 1963 seguirono la prima guerra di mafia –
svoltasi l’anno prima e conclusasi con la strage di Ciaculli, in cui persero la
vita 4 uomini dell'Arma dei Carabinieri, 2 dell'Esercito Italiano, e un
sottufficiale del Corpo delle Guardie di P.S. – che, tuttavia, videro poche
condanne pesanti: su centodiciassette imputati, Pietro Torretta venne condannato
a 27 anni di carcere per omicidio; Angelo La Barbera ebbe 22 anni e sei mesi;
Salvatore Greco e Tommaso Buscetta (entrambi giudicati in contumacia) furono
condannati a dieci anni di carcere ciascuno; il resto degli imputati furono
assolti per insufficienza di prove o condannati a pene brevi per il reato di
associazione a delinquere e, siccome avevano aspettato il processo in stato di
detenzione, furono rilasciati immediatamente. Dopo questi processi, la Sicilia
fu nuovamente insanguinata dalla strage di viale Lazio, avvenuta il 10 dicembre
1969.
Politicamente, proseguiva il governo della Democrazia Cristiana, che tuttavia
alle elezioni del 1963, nonostante il premio di governabilità, non riuscì ad
ottenere autonomamente la maggioranza dei seggi, rendendo necessaria la
formazione di un governo di coalizione DC-PLI guidato da Mario Scelba con il
liberale Giovanni Malagodi al ministero dell’Economia. I liberali fecero
approvare numerosi decreti con cui l’intervento dello Stato nell’economia veniva
drasticamente ridotto attraverso la privatizzazione di molte aziende statali,
tra le quali le acciaierie del gruppo Finsider. Altra riforma varata dal governo
Scelba fu l’istituzione della scuola media unica obbligatoria, caldeggiata dal
ministro dell’istruzione Luigi Gui. Inoltre, in occasione della crisi dei
missili di Cuba il ministro degli Esteri Fanfani svolse un ruolo fondamentale di
mediazione tra la Casa bianca e il Cremlino.
1964:
il ministro della Difesa Giulio Andreotti (col passamontagna)
assiste alle esercitazioni invernali delle truppe alpine del Regio Esercito
Nel 1965 fu sventato un colpo
di stato ordito l’anno precedente dal generale Giovanni de Lorenzo,
probabilmente con la complicità dei ministri Tambroni e Andreotti,
rispettivamente agli Interni e alla Difesa, all'epoca a capo dell'Arma dei
Carabinieri, avente lo scopo di occupare i centri di potere dello Stato e di
imprigionare quegli oppositori politici considerati «sovversivi» secondo le
valutazioni del SIFAR, il disciolto servizio di intelligence delle forze armate
italiane. Il piano Solo non vide mai pratica attuazione e, una volta scoperto,
portò alla rimozione immediata di de Lorenzo – il quale sulla scorta di tale
vicenda si sarebbe costruito un post-carriera militare come politico di destra,
nelle file del Fronte dell’Uomo Qualunque – mentre fu aperta una commissione
parlamentare d’inchiesta sulle responsabilità ministeriali di Tambroni e
Andreotti, che tuttavia non portò a nulla, in quanto a indagini ancora in corso
Umberto II decise motu proprio di concedere la grazia ai due ex ministri,
impedendo così ulteriori indagini nei loro confronti sia da parte delle
commissioni parlamentari inquirenti che della magistratura ordinaria. L’episodio
alimentò le voci secondo cui il sovrano non solo era informato dei fatti, ma
complice dei golpisti.
Alle elezioni del 1968, la DC fu clamorosamente battuta dai laburisti di Saragat,
che ottennero il 38,1% contro il 35,8% della DC; l’episodio della grazia a
Tambroni e Andreotti favorì i partiti repubblicani sia di sinistra che di
destra, che assieme raggiunsero il 16,9% – 9,4 il PRD e 7,5 il PRN. Il PDL
poteva per la prima volta esprimere un proprio governo guidato da Giuseppe
Saragat. Principali riforme varate dal governo laburista furono lo statuto dei
Lavoratori, la legge sul divorzio, la legge sulla chiusura dei bordelli [che non
si chiama Merlin, in quanto Lina Merlin ha aderito alla RDI, dove le case chiuse
sono fuorilegge dal 1948] e, dopo la battaglia di Valle Giulia, la riforma delle
università. La legge sul divorzio sarebbe stata confermata da un referendum
popolare nel 1971, anche se con una maggioranza ridottissima. Nella DC, il
successo dei laburisti aprì la strada all’elezione di Aldo Moro alla segreteria
del partito, esponente della DC più tendente a sinistra, che al congresso del
1969 mise in minoranza la destra del partito, guidata da politici quali Giovanni
Leone, Mario Scelba, Antonio Segni e Giulio Andreotti, che pur compromesso nello
scandalo del piano Solo, era tutt’altro che morto politicamente.
Il 12 dicembre 1969 un ordigno al tritolo esplose a Roma nella filiale di via
Vittorio Veneto della Banca Nazionale del Lavoro, provocando diciassette morti e
ottantotto feriti; contemporaneamente una seconda bomba esplodeva nei pressi
dell’Altare della Patria, provocando quattro feriti. Le lunghe e innumerevoli
indagini avrebbero rivelato che la strage fu compiuta da terroristi dell'estrema
destra, collegati con apparati statali e sovranazionali, i quali però non sono
mai stati perseguiti. Nel giugno 2005 la Corte di Cassazione avrebbe stabilito
che la strage fu opera di un gruppo eversivo costituito a Napoli nell'alveo del
gruppo terroristico di estrema destra Ordine nuovo. La strage di via Veneto fu
la prima dei cosiddetti anni di Piombo, e non sarebbe stata neppure la più
atroce tra quelle che avrebbero insanguinato il regno d’Italia negli anni
successivi.
Intanto, destava scandalo la
condotta del principe di Napoli Vittorio Emanuele, che nel 1968 dopo un lungo
fidanzamento annunciò la volontà di sposare Marina Doria, suscitando la
contrarietà sia del padre, Umberto II, sia del governo italiano, sia di gran
parte dell’opinione pubblica. Marina Doria non era nobile, perciò il matrimonio
con il principe di Napoli sarebbe andato contro le leggi dinastiche dello
Statuto Albertino, in quanto privo del regio assenso necessario affinché il
matrimonio potesse essere considerato dinastico. Umberto II e il presidente del
Consiglio Saragat nel corso del 1968 ebbero incontri frequentissimi per valutare
come procedere; in particolare, si prospettavano tre scenari:
Vittorio Emanuele e Marina si sarebbero sposati e alla morte di Umberto II lei
sarebbe diventata regina
Vittorio Emanuele e Marina si sarebbero sposati ma lei non sarebbe diventata
regina (un matrimonio morganatico)
Rinuncia di Vittorio Emanuele alle pretese sul trono italiano, valida per se
stesso e per tutti i propri discendenti avuti con Marina Doria.
Il primo scenario fu subito
scartato; la seconda opzione inizialmente sembrava quella più probabile, in
quanto a livello europeo vi erano dei precedenti, ma l’unico parallelo nella
storia italiana e di casa Savoia era rappresentato dal matrimonio di Vittorio
Emanuele II con Rosa Vercellana – che comunque era un secondo matrimonio
contratto in articulo mortis dal re d’Italia; inoltre molte persone a corte e
nel governo, oltre allo stesso Umberto II, ritenevano che Marina Doria fosse una
donna priva di scrupoli che frequentava Vittorio Emanuele solo ed esclusivamente
perché aveva trovato in lui una persona ricca, potente e facile da manipolare.
Per questi motivi anche la seconda opzione fu scartata. Alla fine, il 7 ottobre
1968 Umberto II annunciò al figlio che per sposare Marina Doria avrebbe dovuto
rinunciare alla corona; dopo lunghe riflessioni in proposito, il principe di
Napoli accettò la rinuncia al trono, che sarebbe stata ratificata dal Senato del
regno il successivo 11 dicembre. Nel gennaio 1969 fu stabilito che Vittorio
Emanuele avrebbe mantenuto il trattamento di Altezza Reale e ricevuto il titolo
di Duca di Savoia; avrebbe anche goduto di un vitalizio concessogli dal padre.
Vittorio Emanuele e Marina si sposarono con rito civile l'11 gennaio del 1970 a
Las Vegas, e religiosamente il 7 ottobre 1971 a Teheran.
In seguito alla rinuncia di Vittorio Emanuele, il Duca d’Aosta Amedeo divenne
erede al trono d’Italia, anche se essendo erede presuntivo non assunse il titolo
di principe di Napoli, mantenendo quello di Duca d’Aosta; con Amedeo la
continuità della dinastia era assicurata almeno per altre due generazioni: era
sposato dal 1964 con Claudia d’Orleans, dalla quale nel 1968 aveva già avuto una
figlia e un figlio.
Nella Repubblica Democratica
Italiana gli anni ’60 furono il decennio della morte di Palmiro Togliatti, che
scomparve il 21 agosto 1964. Il suo posto alla segreteria del PSLI fu preso dal
fedelissimo Luigi Longo. Gli anni della leadership di Longo avrebbero offerto
alla RDI e al Regno d’Italia l’opportunità per normalizzare i propri rapporti
diplomatici; nonostante questo il leader del PSLI era piuttosto riluttante a
riavvicinarsi al Regno d’Italia. Entrambi gli Stati non avevano abbandonato
l'obbiettivo della riunificazione, ma tutti e due restarono legati ciascuno al
proprio sistema politico. La Costituzione del 1947 della RDI proclamava la
vittoria del socialismo e ribadiva l'impegno alla riunificazione del Paese sotto
l'egida comunista.
In ogni caso la leadership del PSLI, pur riuscendo a stabilire il sistema
socialista nella RDI, trovò sempre un limitato appoggio popolare per il suo
stato sociale repressivo. Nonostante l'epiteto di "miracolo dell'altra Italia",
il sistema politico democratico e lo sviluppo economico del Regno d’Italia
continuavano ad attrarre i cittadini dell'altra parte del Paese. Longo temeva
che le speranze di un governo democratico o per una riunificazione con il Regno
del Sud avrebbero causato del malcontento tra i suoi concittadini, che dal 1961
parevano invece aver accettato le proprie condizioni di vita e sociali.
Nel 1968, in occasione della Primavera di Praga, vi furono a Milano molte
manifestazioni pacifiche di solidarietà alla Cecoslovacchia, che aumentarono di
intensità in agosto, dopo la repressione ordinata da Brežnev; i rapporti del
capo della Diss Pesce al segretario Longo riferivano: « Nel caso in cui si
ordinasse alle forze dell’ordine di reprimere le manifestazioni, è molto
probabile che esse solidarizzino con la folla. »
Questo spinse il segretario del PSLI a non fare nulla, aspettando che le
proteste terminassero da sole, come effettivamente avvenne nel corso
dell’autunno 1968.
Che ne pensate?
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