LE NUOVE (VECCHIE) CAPPELLE

 

Due affreschi del cinquecento - Cappelle da sistemare - La cappella di San Pietro martire - Concluso il restauro - Lapidi nelle cappelle - La cappella del Rosario e il lascito Repossi - La grotta di Lourdes dentro la chiesa parrocchiale


DUE AFFRESCHI DEL CINQUECENTO

(da "La Nona Campana", novembre 1997)

La Madonna col Bambino, tra i santi Bartolomeo e Gerolamo (dipinto di fine Cinquecento; foto di Romano Vada)

Nel 1997 la chiesa parrocchiale ha svelato un elemento della sua struttura antica, che si riteneva definitivamente perduto. Tolto per la necessaria sistemazione il confessionale di sinistra che era prossimo all'altare maggiore, sono apparse tre grandi figure, di pennello chiaramente cinquecentesco, dipinte ad affresco sulla parete retrostante: una Madonna fra due santi, sotto un arco di mattoni di fattura piuttosto recente, il quale taglia il volto delle due figure laterali e l'aureola, ma non il volto della figura centrale.

La Madonna seduta in trono, che sorregge nudo il Bambino, veste di rosso e di azzurro; i santi ai lati portano tuniche a più colori. La figura di sinistra regge un coltello ed un libro chiuso, elementi che la identificano in san Bartolomeo. Anche l'altro santo tiene in mano un libro, pure chiuso. L'impostazione del dipinto riflette schemi tradizionali: le figure sono piuttosto rigide, ma non sono inespressive.

La notizia della scoperta inaspettata ha richiamato, nel giro di poche ore, decine e decine di persone, incuriosite e stupite.

Ben presto si è capito trattarsi dei dipinti che ornavano la cappella intitolata a san Bartolomeo, prima cappella di sinistra lungo la navata, che antichi documenti attestano aggiunta intorno al 1560 all'edificio iniziato nel 1499.

La cappella fu di patronato della famiglia Carcano fino all'anno 1599, quando per via di nozze passò alla famiglia Oltrona. Dentro o davanti alla cappella esisteva una tomba riservata alla sepoltura dei patroni, i quali gestirono la cappella come bene loro proprio fino alle leggi eversive del 1866, avendo il diritto di scegliere il cappellano incaricato di celebrare messa quotidiana sull'altare interno alla cappella.

Nel 1567 la cappella, che aveva forma di nicchia, era ancora da dipingere; nel 1596 recava ormai dipinti nella parete sopra l'altare appunto la Madonna con Bambino e due santi, Bartolomeo e Girolamo, mentre altri due santi, Giovanni Battista e Ambrogio, benché attestati qualche anno dopo, dovevano gia stare sulle pareti a fianco dell'altare. La cappella, che era corredata di un tondo quattrocentesco in arenaria raffigurante san Bartolomeo e di lapidi commemorative dei patroni, venne a loro spese riordinata nel 1760 con l'aggiunta di qualche dipinto non specificato.

Nell'antica chiesa di sant'Ambrogio le cappelle minori erano sei, come oggi, ed erano disposte simmetricamente ai lati della navata, tre da una parte e tre dall'altra, chiuse da cancellate di ferro sporgenti all'interno della navata stessa.

Negli anni 1852-57 la chiesa subì modifiche macroscopiche che alterarono l'atmosfera interna e cancellarono all'esterno il precedente caratteristico slancio ascensionale, dando all'edificio l'aspetto architettonico attuale: gli altari laterali vennero situati entro cappelle più alte e più profonde, le pareti interne furono coperte di stucchi a motivi geometrici in finto marmo di color giallo e verdognolo, le lesene vennero rinforzate con zoccolo di granito e con rivestimento a strisce orizzontali, venne reso vistosamente decorativo il cornicione che percorre tutto l'edificio all'altezza del piedritto della volta. Non senza ragione si sviluppò una lunga vertenza tra i patroni dell'altare di san Bartolomeo ed il parroco Regalia che aveva promosso i lavori di trasformazione della chiesa: vertenza che portò al disimpegno dei patroni nei confronti della cappellania.

La scoperta suddetta non contrasta con le notizie d'archivio, le quali, se da un lato concorrono ad assegnare gli affreschi agli ultimi lustri del Cinquecento, dall'altro accendono la speranza di recuperare anche i due santi già dipinti ai lati dell'altare. È comunque impossibile che l'antica nicchia venga recuperata nella sua interezza, mutilata com'è della parte alta dallo sviluppo dell'arco di mattoni e dal sovrapposto finestrone risalenti alla metà dell'Ottocento.

Non è escluso che analoghe gradite sorprese possa offrire la cappella di san Pietro Martire, coeva e simmetricamente contrapposta, già di patronato Piantanida, oggi mascherata anch'essa da un confessionale, la cui dotazione pittorica comprendeva sopra l'altare un'altra Madonna con Bambino tra i santi Pietro Martire ed Agata, ai lati dell'altare i santi Gregorio ed Agostino.

La scoperta effettuata comporta qualche aggiustamento nell'idea che si aveva della navata aggiunta nel 1560, navata in cui erano inserite le cappelle in forma di nicchie.

La posizione della nicchia di san Bartolomeo, oggi perfettamente controllabile nelle sue dimensioni planimetriche, rende certa l'ipotesi, sinora affacciata con qualche timore, che le cappelle antiche fossero più vicine all'altar maggiore di quanto siano le attuali, stante il fatto che la prima cappella del 1857 si sovrappose alla seconda del 1560, la seconda del 1857 alla terza del 1560. La profondità della nicchia di san Bartolomeo porta inoltre ad ipotizzare che all'interno degli arconi antichi che innervano i fianchi della chiesa, la parete non fosse liscia bensì articolata secondo la sagoma della nicchia.


CAPPELLE DA SISTEMARE

(da "La Nona Campana", aprile 1999)

 

Nelle ultime settimane della primavera 1999 sono proseguiti nella chiesa parrocchiale, con le cautele del caso, i lavori di demolizione selettiva del paramento in stucco e del voltino in mattoni posti nell'Ottocento davanti e sopra l'antica cappella di san Bartolomeo, sita tra l'attuale cappella del Sacro Cuore ed il pulpito. Scopo dei lavori era quello di riportare alla luce quanti più elementi architettonici e decorativi possibile dell'antica cappella, della quale, come detto sopra, ha rivisto casualmente la luce sul finire del 1997 l'affresco principale, che rappresenta la Madonna col Bambino tra i santi Bartolomeo e Gerolamo. L'asportazione del voltino ha reso visibile la parte alta dell'antica cappella ed evidente la sua struttura a forma di nicchia, originariamente coperta all'esterno da un tettuccio e racchiusa tra due poderosi contrafforti, poi demoliti nel 1857, nella parte centrale, per l'apertura del finestrone.

Operazioni consimili di demolizione controllata si sono compiute nell'antica cappella di san Pietro Martire, simmetricamente contrapposta sul lato meridionale della chiesa: operazioni però meno vistose, in quanto la parte alta di questa cappella non c'è più, distrutta nel 1857 a favore del finestrone.

L'architetto Spada, che dirigeva i lavori di recupero e di risistemazione delle due cappelle in collegamento con la Soprintendenza ai Monumenti, ha mobilitato gli operatori del restauro per effettuare ulteriori sondaggi entro le due antiche cappelle, ed ha anche fatto rileggere nella lingua originale i documenti cinquecenteschi che trattano della struttura edilizia della chiesa e dell'aspetto decorativo delle aree da esplorare, aprendo sui documenti una dotta discussione per interpretarli.

I documenti confermano in forma di nicchia sia la cappella di san Bartolomeo sia le altre cappelle laterali della chiesa negli anni a cavallo tra Cinque e Seicento, informano sul numero e sulla sagoma delle finestre e delle porte allora presenti nella chiesa, e dichiarano assente nel 1596, ma esistente nel 1622, un organo non piccolo tra la seconda e la terza cappella del fianco settentrionale, organo che dicono raggiungibile dalla sagrestia: il che comporta che alla costruzione precedente siano stati appositamente aggiunti nel frattempo la scala di raccordo ed un passaggio elevato alle spalle della cappella di san Bartolomeo e della cappella successiva, allora denominata della Purificazione. Questo passaggio fu poi soppresso nel 1857, quando si costruirono le cappelle più profonde, dopo che dal 1833 un nuovo, grandioso organo meccanico stava sulla controfacciata della chiesa, installato dalla ditta Prestinari.

Il progetto iniziale di risistemazione delle due antiche cappelle prevedeva la semplice rimessa in buona vista dell'affresco di fondo nella cappella di san Bartolomeo e dell'affresco ancora celato ma gia riconosciuto presente nella cappella contrapposta, con asportazione della parte d'ingombro del paramento ottocentesco in stucco a finto marmo di color giallo e verdognolo. Ma la riscoperta dell'intera cappella di san Bartolomeo ha orientato invece verso una sistemazione diversa, che è stata ben accolta dalla Soprintendenza: riportare entrambe le cappelle nella loro forma primitiva, così da ricostituire, anche se parzialmente, la struttura originale dell'edificio, che è l'unico esempio di chiesa cinquecentesca a pianta longitudinale nell'Alto Milanese ed uno dei pochissimi in Lombardia.

Due le conseguenze negative di questa risistemazione, che già di per sé ha sollevato tanti dubbi. In primo luogo la chiesa, già buia, con la riduzione del finestrone nel fianco sud ha perso ulteriore luce; e soprattutto le due nuove cappelle in intonaco bianco stonano profondamente con la decorazione su fondo giallo dell'intera chiesa. Questo è stato il pesante prezzo da pagare per riportare in vita un pezzo del nostro passato.

 

Qui sopra: ricostruzione ideale dell'interno della chiesa con le nicchie alle pareti, distrutte poi durante la ristrutturazione della chiesa del 1852-57 (disegno di A.Spada)

La sistemazione attuale della chiesa con le cappelle profonde, affrescate nel 1950, con la nicchia recuperata nel 1999 sulla parete nord (foto di R.Vada)

Qui sopra: ricostruzione ideale dell'interno della chiesa con le nicchie alle pareti, distrutte poi durante la ristrutturazione della chiesa del 1852-57 (disegno di A. Spada) e, a confronto, la sistemazione attuale della chiesa con le cappelle profonde, risalenti a tale ristrutturazione ed affrescate nel 1950, con la nicchia recuperata nel 1999 sulla parete nord (foto di R.Vada)

LA CAPPELLA DI SAN PIETRO MARTIRE

(da "La Nona Campana", novembre 1999)

 

In un borgo dove vi era (e dove era importante) un convento femminile dedicato a S. Pietro Martire, appare naturale che vi sia stato anche, nella chiesa parrocchiale, un altare consacrato al santo originario di Verona, ucciso nel 1252 a Seveso per il suo impegno contro l'eresia dei catari. In tutto il Medio Evo la devozione per questo San Pietro fu ampia e può essere una prova anche la monumentale area in Sant'Eustorgio, capolavoro di Giovanni di Balduccio di Pisa, dove nel 1339 vennero deposti i suoi resti.

Celata per tanto tempo da un confessionale, la cappella di San Pietro Martire, assegnata dagli archivi ai patroni Piantanida, è recentemente riemersa all'interno della chiesa lonatese rivelando, dopo gli interventi dello Studio di Restauro "San Gregorio", una decorazione di qualità, purtroppo definitivamente persa in alcune sue parti, anche importanti, ma comunque ancora leggibile nel suo insieme.

Insieme che è minuziosamente descritto in un documento del 1622, trascritto dal professor Franco Bertolli. Leggiamolo nella sua traduzione in italiano: L'altare di san Pietro Martire è situato in una nicchia tutta dipinta: sulla parete di fondo sono le immagini della Madonna con Bambino, seduta tra i santi Pietro Martire ed Agata, nelle pareti laterali le figure dei santi Gregorio ed Agostino, nel catino un simbolo della Passione di Cristo.

Un programma iconografico di chiara impronta controriformista, con l'esaltazione sulla parete delle figure salvifiche di Cristo e della Vergine, di due santi (Pietro Martire ed Agata) titolari di monasteri lonatesi e di due fondamentali Padri delta Chiesa: Gregorio ed Agostino. Andato perduto il soggetto della parte alta, rimane qualche ornamento con motivi a grottesca, prova della cultura dell'artista. Una decorazione dunque programmatica, quella voluta dal cappellano Luigi Piantanida Modoni che, seguendo le ordinazioni della visita pastorale del 1570 di san Carlo Borromeo, fece dipingere la cappella sborsando "lire centocinquanta imperiali alli 29 di maggio 1572" al "pittore... messere Gio. Andrea Tibaldo Pellegrino, nepote del signor Pellegrino ingeniero".

È questa una notizia molto importante perché di fatto ci permette di conoscere un artista di cui s'era persa ogni traccia. Certo si sapeva dell'esistenza di questo nipote di Pellegrino Pellegrini, più noto come Pellegrino Tibaldi, architetto, pittore e scultore di formazione romana, pur essendo nato in Valsolda, autore di progetti di chiese rispondenti alle direttive del Borromeo che l'aveva voluto a Milano per lavori nel Duomo e per San Fedele, la chiesa dei Gesuiti.

Tuttavia le notizie su Giovanni Andrea Pellegrini risultano ancora poche: si sa che viveva a Milano, nella parrocchia di San Pietro in Vigna, e che fu attivo per la Fabbrica del Duomo dipingendo nel 1605 l'immagine delta Beata Vergine sopra il campanile delle Ore in Camposanto. Si sa pure che ebbe due figli di cui uno, Domenico, pittore a Milano, anche in Duomo, e nel contado, a Fagnano Olona e ad Origgio. Se le opere di costui appaiono senza nerbo e passate di gusto, gli affreschi lonatesi di Giovanni Andrea si inseriscono coerentemente nel clima pittorico dell'ottavo decennio del Cinquecento e nelle disposizioni borromaiche.

La monumentalità che caratterizza le figure dei santi, studiate nelle pose, il controllo rigoroso della forma e l'uso sapiente del colore rendono le immagini di grande chiarezza e di semplificata leggibilità. Scavalcando le licenze manieristiche, non tollerate dal severo arcivescovo, Giovanni Andrea Pellegrini si riaccosta consapevolmente ai modelli del primo Cinquecento creando un linguaggio ponderato, fin quasi accademico, certamente normalizzato in senso controriformistico.

 

Gli affreschi delta cappella di san Pietro Martire dopo il restauro (foto dell'autore di questo sito) 

Gli affreschi delta cappella di san Pietro Martire dopo il restauro (foto dell'autore di questo sito) 


CONCLUSO IL RESTAURO DELLE

CAPPELLE CINQUECENTESCHE

(da "La Nona Campana", aprile 2000)

 

Di strada se n'e fatta, lentamente, a partire dalla scoperta casuale, nel 1997, di una cinquecentesca Madonna con Bambino dipinta sulla parete dietro un confessionale nel fianco settentrionale della chiesa parrocchiale. Le tappe più importanti furono:

1) l' individuazione di elementi architettonici sufficienti a lasciare indovinare al di là delle successive trasformazioni la nicchia o cappella originaria, atta non solo ad ospitare ma anche a giustificare quel dipinto;

2) la restituzione della nicchia com'era in origine mediante integrazione delle parti ad essa sottratte;

3) lo sviluppo di analoghe investigazioni e ricostruzioni nel fianco sud della chiesa in posizione simmetrica dove si attendevano, e sono emersi in contesto operativo più difficile, elementi architettonici egualmente confortanti e pitture antiche nascoste sotto un velo di calce;

4) il recupero paziente e lunghissimo di queste pitture e la pulitura della Madonna della nicchia settentrionale.

Tutti questi lavori sono stati ininterrottamente affiancati e illuminati dalla ricerca e interpretazione di testi cinque-secenteschi riguardanti la chiesa, dal confronto con testimonianze materiali superstiti nel Milanese coeve dei manufatti lonatesi, dalle indicazioni della Soprintendenza ai Beni Monumentali.

I lavori si sono svolti in gran parte durante l'anno 1999, presunto quinto centenario della costruzione della chiesa di Sant'Ambrogio; la conclusione si è protratta fino alle prime settimane del 2000. Hanno operato, sotto la direzione dell'architetto Augusto Spada, le restauratrici del Laboratorio San Gregorio di Busto Arsizio.

Ed ora che l'impresa si dà per compiuta, come valutarla? Certamente taluni lonatesi (non escluso chi scrive) espressero dubbi sull'opportunità di modificare l'aspetto della chiesa e sulla possibilità di un recupero soddisfacente delle antiche architetture e pitture. Di fatto il recupero può apparire contraddittorio, in quanto l'apparato pittorico cinquecentesco, che è frammentario, si vuole mantenere libero da integrazioni che suonerebbero false, mentre l'architettura è stata integrata delle parti sottratte nell'Ottocento. Chi ha deciso l'intervento sapeva e vedeva certi danni irreversibili prodotti con la ristrutturazione ottocentesca e non poteva sperare in risultati migliori di quelli ora conseguiti, seppure attraverso qualche compromesso.

 

La cappella Carcano-Oltrona dopo il restauro (foto dell'autore di questo sito)

La cappella Carcano-Oltrona dopo il restauro (foto dell'autore di questo sito)

Ma, sotto altri profili, si può dire che l'edificio di Sant'Ambrogio ci ha guadagnato. In termini materiali ha guadagnato due nicchie e due affreschi antichi; in termini culturali ora può proporsi, meglio di prima, ad offrire un confronto immediato tra modelli diversi, esibendo significativi dettagli architettonici e pittorici del Cinquecento, dell'Ottovento e del Novecento. E qualcosa, attraverso i recuperi lonatesi, ci guadagna forse anche l'arte lombarda, sia in termini di testimonianze materiali sia in termini di notizie storiche, come si dirà in seguito. Viene anzitutto rettificata la storia della chiesa lonatese. Gli studi precedenti, del 1985, avevano avallato l'idea che all'edificio a pianta ottagonale del 1499 si fosse aggiunta nel 1560 la navata con sei cappelle laterali, poi ristrutturate negli anni 1852-57. Ora, con le ultime scoperte d'archivio, che confermano l'iniziale pianta ottagonale, si sa che la costruzione incominciata nel 1499 fu interrotta nel 1500 quando Lonate subì il saccheggio di soldatesche mercenarie (il dominio straniero minacciava lo Stato di Milano); la costruzione riprese nel 1508 con l'architetto Antonio Bodio il quale alzò le pareti dell'ottagono e voltò la copertura; con lui, o quanto prima con altri (è un punto da chiarire), si inserì nell'ottagono la prima parte della navata con cappelle laterali sagomate come le due ora recuperate. Dopo il 1550 la navata fu portata alla lunghezza attuale, e così la chiesa dovette essere di nuovo consacrata.

Le descrizioni, numerose a partire dal 1566, parlano di sei cappelle laterali in forma di nicchia. Le due ora recuperate insieme con la soprastante finestra rotonda sono importanti perché ci danno un'idea precisa, più convincente di tante parole. La loro forma era ed è, ad un tempo, semplice ed elegante; la loro posizione era sfasata di una campata rispetto alle cappelle attuali; l'abbinamento tra nicchia e soprastante finestra tonda era un elemento costante e ripetitivo. Scortati dalle antiche descrizioni che dicono dove e quante erano le nicchie e le finestre, dobbiamo immaginare disposte sui due fianchi della navata nicchie in serie, sormontate da finestre tonde; nella zona presbiteriale, allora come oggi più alta rispetto all'aula riservata ai fedeli, dobbiamo immaginare finestre tonde sia sopra che sotto il cornicione e, più in basso, finestre quadrate, atte a meglio illuminare l'altare maggiore. I finestroni dell'Ottocento, aperti dopo che all'altare di legno dorato subentrò l'altare di marmo con l'ingombrante tempietto sovrapposto, assorbirono, riunendole per fasce verticali, le aperture dell'abside sottostanti al cornicione.

Se osserviamo quanta luce lasciano entrare nella chiesa le finestre tonde ora ricostruite con vetri incolori e immaginiamo quanta soprattutto ne poteva entrare dall'abside e dal rosone in facciata prima che esso venisse chiuso nell'Ottocento a motivo dell'organo, sfuma l'idea che l'interno della chiesa fosse buio. L'effetto d'insieme doveva, anzi, essere gradevole, più suggestivo di quello che si offre oggi. Sarebbe altrimenti incomprensibile il giudizio dì uno stimato scrittore dì fine Cinquecento, Paolo Moriggia, per il quale la chiesa lonatese, a navata unica, tutta in volta, era di grandezza e bellezza senza pari tra le chiese del Milanese.

Ben differenti dalle altissime e profonde cappelle laterali subentrate nell'Ottocento, le nicchie cinquecentesche, come le due recuperate dimostrano, si inseriscono con tale morbida leggerezza nei fianchi della navata da far rimpiangere la loro distruzione. Rimpianto che sentiamo oggi condiviso, a confronto fatto, da altri lonatesi, i quali riconoscono che il gelido Neo-classicismo dell'Ottocento ha ucciso la sobria e lineare armonia del Rinascimento. Lonate Pozzolo, patria dell'architetto Antonio Bodio (finalmente noto per nome e cognome), può ora più chiaramente proporre in loco, nella chiesa di Sant'Ambrogio, moduli architettonici riconducibili alla scuola del grande Bramante da Urbino, del quale Antonio era seguace, e concorre in tal modo ad arricchire, com'era giusto che avvenisse, l'elenco di quel suo figlio geniale.

Il recupero compiuto reca un piccolo contributo anche al panorama della pittura milanese. In ciascuna delle due nicchie o cappelle vi è un affresco, raffigurante santi diversi in piedi e, al centro, la Madonna seduta con il Bambino sulle ginocchia.

Vivaci i colori, piuttosto statiche le figure, tradizionale l'impianto pittorico nella nicchia settentrionale, che che ci giunge priva della decorazione del catino e delle fasce laterali; più blandi i colori, più mosse le figure, più colto l'impianto della nicchia sud, giunta anche con il catino decorato ma con qualche figura irrimediabilmente lacerata. Interessanti, in entrambi i casi, le cornici estreme e i riquadri interni, a motivi geometrici e floreali. Mentre rimane anonimo il pittore della cappella settentrionale, si sa che a dipingere la nicchia sud fu, nel 1572, Giovanni Andrea Tibaldi, del quale da anni si conosceva l'attività pittorica ma nessuna opera, nipote del famoso architetto Pellegrino Tibaldi: il che accende il significato dell'affresco lonatese.

È importante ricordare che ciascuna di queste nicchie era una cappella, fornita di mensa su cui si celebrava più volte la settimana da parte di un sacerdote mantenuto da una famiglia ricca, residente o legata a Lonate, e che fu proprio questa famiglia (e non la popolazione locale) a cercare e pagare il pittore, commissionandogli le figure dei santi a lei più cari. Nella cappella settentrionale, della quale furono patroni prima i Carcano e poi gli Oltrona, troviamo dipinti Bartolomeo apostolo e Girolamo dottore e penitente con i simboli tradizionali del coltello e del leone. Nella nicchia meridionale, di patronato Piantanida, pazientemente liberate dal velo di calce recante la data 1855 della ristrutturazione, sono apparse figure intere e figure frammentarie, interpretate con l'aiuto dei documenti d'archivio: Gregorio papa con mitria e pastorale, il frate domenicano Pietro da Verona con il coltello del martirio piantatogli nel capo dagli eretici ch'egli combatteva, Agata con i segni del suo martirio, Agostino in vesti vescovili.

In ogni cappella le linee ornamentali ci suggeriscono la posizione dell'altare perduto, certamente di legno. Durante il restauro si e ricostruito il piano o pavimento della cappella con piastrelle di cotto e si è rimessa in luce anche la cosiddetta finestrella dagli orciuoli dell'acqua e del vino per la messa, praticamente un ricettacolo ricavato o predisposto a lato dell'altare, che nella cappella Carcano si presenta con preziosa base di marmo lavorata. Degne di nota le due scritte dipinte, emerse nella cappella Piantanida: da una parte la data della decorazione e il nome del cappellano Luigi Piantanida Modoni che la finanziò; sotto la Madonna la sigla VFPR [...] E, che attende spiegazione.

Una delle tombe scoperte nella cappella di San bartolomeo (foto dell'autore di questo sito)

Una delle tombe scoperte nella cappella di San Bartolomeo (foto dell'autore di questo sito)

Le descrizioni antiche hanno indotto a cercare sotto le nicchie le tombe dei patroni, però con scarse speranze, stante il fatto che il sottosuolo delta navata (che ospitava una sessantina di tombe) è stato distrutto nel 1960. Lo scavo nella nicchia sud ha rivelato soltanto le fondazioni della chiesa in mattoni perfettamente ordinati. Sotto la nicchia settentrionale sono invece apparse robuste fondazioni di pietra e due tombe intere o quasi (che dovevano avere la bocca d'accesso dalla navata) nonché ossa umane. Si è deciso di mantenere aperte e visibili dentro la nicchia queste due tombe sotto lastre di vetro infrangibile, come mostra la fotografia soprastante. Si è pure opportunamente deciso di murare in ciascuna ex-cappella, dopo la loro ripulitura, le lapidi, tombali e non, di competenza rispettivamente delle famiglie Carcano-Oltrona e Piantanida che erano conservate nel chiostrino della chiesa. Sono datate 1481 le lapidi-ricordo del sacerdote Pietro Carcano (cui si collega un tondo in arenaria raffigurante san Bartolomeo), 1599 e 1611 le lapidi dagli Oltrona, 1553 e 1567 le lapidi dei Piantanida. Facevano parte, a pieno titolo, del corredo delle antiche cappelle; è giusto ritrovarle presso le strutture recuperate.


LE LAPIDI DELLE CAPPELLE

(da "La Nona Campana", agosto-settembre 2000)

 

Che cosa dicono le lapidi delle cappelle cinquecentesche nella parrocchiale

Si è detto nell'articolo precedente che le due cappelle cinquecentesche della chiesa parrocchiale di S. Ambrogio, recentemente recuperate e sagomate in forma di nicchie, sono state reintegrate con le antiche lapidi di competenza delle famiglie che avevano patronato sulle cappelle stesse: la famiglia Carcano e la famiglia Piantanida. Ora è giusto fornire lumi sul testo delle lapidi, che è latino, lingua purtroppo sempre più sconosciuta. Si tratta in parte di lapidi murali, che erano inserite nelle pareti interne delle cappelle ai lati dell'altare, in parte di lapidi tombali, inserite nel pavimento della chiesa sopra le tombe di famiglia annesse alle cappelle. Ricordiamo che la famiglia Carcano, con cui si imparentarono a fine Cinquecento gli Oltrona, aveva patronato sulla cappella della navata settentrionale, intitolata a san Bartolomeo, mentre spettava alla famiglia Piantanida il patronato sulla cappella contrapposta, intitolata a san Pietro Martire

Sono lapidi del Cinque e del Settecento, tranne la prima che risale alla chiesa antica, demolita nel 1499. Sono di forma e di pietra diverse. Nel testo presentano abbreviazioni e grafie della consuetudine epigrafica, omettendo talora la punteggiatura. Quelle che recavano un emblema nobiliare, ne vennero deprivate a colpi di scalpello quando i Francesi portarono in Italia spirito rivoluzionario. Negli anni 1855-57, al tempo del curato Regalia, nei fianchi della chiesa parrocchiale si aprirono nuove cappelle distruggendo o trasformando le precedenti; a quel punto le lapidi di famiglia vennero estromesse dalla chiesa e successivamente murate nel chiostro detto della "Via Crucis". Dal chiostro ora ritornano dentro la chiesa. Corsi e ricorsi storici!

Grazie al lavoro del professor Franco Bertolli, di ciascuna diamo posizione, descrizione, trascrizione (spiegando le abbreviazioni) e traduzione con qualche nota. È doveroso ricordare che di varie lapidi ha gia trattato G. Domenico Oltrona Visconti nella sua Storia di Lonate del 1969 e in un importante saggio del 1958 sui Carcano, ove le dava per scomparse. Ed invece eccole qua.

 

Lapidi poste nella cappella di San Bartolomeo

Nella tazza della nicchia, sopra l'affresco raffigurante la Madonna tra i santi Bartolomeo e Gerolamo, un tondo in arenaria rappresenta san Bartolomeo apostolo, un libro in una mano, il coltello del martirio nell'altra. Sull'orlo del tondo, preceduta da croce, si legge la scritta a lettere capitali di gusto umanistico: IMAGO S. BARTHOLOMEI APOSSTOLI DOMINI, che significa: Figura di san Bartolomeo, apostolo del Signore. La doppia S e un errore formale, e non è l'unico riscontrabile in queste lapidi.

 

I. Contemporanea al tondo ed incisa con lettere di taglio identico, è murata nella parete sinistra della cappella (sinistra di chi vi si affaccia) una piccola lapide di cm 33 x 36.

Testo su 7 righe: HOC PHANV(m) DIVI | BART(holomei) CONDIDIT D(ominus) PETRVS | CARC(anus) SAC(erdos) INGENVVS | L(itte)RIS 7 STIRPE CLARVS | AN(no) XPI MCCCCLXXXI | X K(a)L(endas) OCT(obris) IO(anne) G(alea)Z M(ari)a DVCE | M(edio)L(an)I SEXTO.

Traduzione: Volle questo altare di San Bartolomeo il signor Pietro Carcano, colto e nobile sacerdote oriundo del luogo, con atto 22 settembre dell'anno 1481 dell'era cristiana, regnando Giovanni Galeazzo Maria sesto duca di Milano.

Note: nella prima riga si riscontra DIVIO, con O finale barrata dal lapicida perché erronea; 7 onciale vale ET; XPI equivale a CHRISTI. Gian Galeazzo Maria Sforza regnò a Milano dal 1476 al 1494, per diversi anni sotto reggenza prima della madre e poi dello zio Ludovico il Moro, il quale secondo una tradizione lo avrebbe avvelenato per impossessarsi del trono. Pietro, che incrementò la cappellania fondata nella chiesa lonatese da un altro Carcano nel 1372, era probabilmente un letterato che frequentava la corte sforzesca.

Cappella di S. Bartolomeo: lapide del 1481, che ricorda il contributo del sacerdote Pietro Carcano alla costruzione dell'altare (foto dell'autore di questo sito)

Cappella di S. Bartolomeo: lapide del 1481, che ricorda il contributo del sacerdote Pietro Carcano alla costruzione dell'altare (foto dell'autore di questo sito)

 

II. Abbinata alla precedente è una lapide di cm 58 x 64, indicativa del mutato patronato, la quale originariamente recava nella metà superiore due stemmi: quello dei Carcano (un cigno sotto una scure) e quello degli Oltrona (un leone rampante).

Testo su 8 righe: JO(annis) STEPHANI DE OLTRONA | PATRIT(ii) MEDIOL(anensis) | ET PAULAE CARCANAE CONIUG(um) | LUDOVICUS FILIUS | EX AVI MATERNI ET AVUNCULI | TABULIS | HAERES ET PATRONUS | AN(no) 1599.

Traduzione: Ludovico, figlio di Giovanni Stefano Oltrona, patrizio milanese, e di Paola Carcano coniugi, nell'anno 1599 erede testamentario del nonno e dello zio materni e perciò patrono [di questo altare].

Note: L'archivio Oltrona Visconti conserva carte illuminanti. Il nobile Ludovico Carcano fece testamento nel 1577 lasciando erede il figlio Bartolomeo e in subordine, se costui non avesse avuto figli, la figlia Paola. Vivevano tutti a Milano. Bartolomeo morì senza figli nel 1599 e nominò erede Ludovico Oltrona, figlio di Paola. Così questi raccolse l'eredita Carcano e i diritti sulla cappella lonatese di San Bartolomeo. La lapide ricorda il passaggio di patronato; il disegno delle lettere la suggerisce incisa tardi, nel Settecento, in difesa del diritto esclusivo degli Oltrona, allora non rispettato da tutti; non sappiamo se sostituiva una lapide più antica o semplicemente echeggiava memorie d'archivio. A Ludovico Oltrona accenna anche la lapide IV.

 

III. Lapide di cm 58 x 64, già tombale, oggi collocata dentro la nicchia sotto l'affresco accennato, a sinistra della lapide IV, in modo tale che è possibile guardare attraverso lastre di cristallo dentro i sottostanti sepolcri. Nella parte alta della lapide si gode ancor oggi il cartiglio barocco che incorniciava lo stemma nobiliare. Il testo è praticamente illeggibile, se si esclude la data MDLXIII, cioè 1563.

 

IV. Lapide di cm 69 x 61, del Settecento, per uno dei sepolcri annessi alla cappella Carcano-Oltrona, oggi collocata dentro la nicchia a fianco della lapide III. È intestata: HEREDVM, per ribadire che il sepolcro era degli eredi, dunque degli Oltrona. Segue spazio già contenente lo stemma Oltrona.

Testo su 5 righe, ad incisione leggera: IN HOC CARCANORUM SEPULCHRO FAMILIAE OLTRONAE | PATRICIAE OLIM PAPIENSI NUNC MEDIOLAN(ensi) DEVOLUTO | CAROLUS FIL(ius) LUDOVICI DE OLTRONA MILIT(is) STREN(ui) | CONTRA TURCAS | VITA FUNCTUS PRIMUS POSTEROR(um) JACET AN(no) MDCXVI.

Traduzione: In questo sepolcro dei Carcano passato agli Oltrona, famiglia già del patriziato di Pavia ed ora di Milano, giace dall'anno 1616, primo dei nuovi patroni venuto a morte, Carlo Oltrona, figlio di Ludovico, che era stato valoroso combattente contro i Turchi.

Nota: È documentata la presenza di Ludovico Oltrona in Oriente, a Candia, nell'anno 1597. Rientrato a Milano nel 1599 o quanto prima, sposata una Lanfranchi nel 1603, dal 1607 soggiornò periodicamente a S. Antonino, dov'era gran parte dei beni dell'eredità Carcano. Morirà di peste a Milano nel 1630.

 

Lapidi poste nella cappella di San Pietro Martire

I. Lapide sepolcrale cinquecentesca di cm 90 x 60, spezzata a metà, già presso l'altare delta cappellania fondata nel 1450 da donna Agnese Canziani, poi di patronato Piantanida. Oggi è collocata dentro la nicchia, a destra, sotto l'affresco che raffigura la Madonna e quattro santi, uno dei quali il domenicano Pietro Martire.

Testo su 7 righe: PETRO PLANT(anidae) TRIB(uno) MIL(itum) | PRAEFECTO XII COHOR(tium) | ET MAGISTRO PED(itum) ITAL(icae) | LEG(ionis) ACCERR(imo) ANN(orum) | XXXXIIII MDLVII | IN SIG(num) FR(aternitatis) GAB(riel) ET HIER(onymus) | PLANT(anidae) B(ene) M(erentes).

Traduzione: Pietro Piantanida, morto di anni 44, ufficiale superiore dell'esercito, capo di 12 compagnie, comandante ferreo di un reggimento della fanteria italica, i fratelli Gabriele e Gerolamo qui deposero nell'anno 1557, rendendogli pietoso servigio.

Nota: Qui tradurre è arduo, essendo utilizzati nella lapide vocaboli della romanità per designare cariche e strutture militari delta incipiente dominazione spagnola in Italia. I tre personaggi menzionati ricompaiono negli atti delta visita pastorale del 1567, quando il cadavere del colonnello Pietro si dava presente nella chiesa di S. Ambrogio in un'urna pensile, il "magnifico signore" Gabriele e il "capitano" Gerolamo anch'essi deceduti, avendo disposto lasciti per gli altari minori. Da tali elementi si deduce la propensione dei Piantanida per la vita militare.

 

II. Lapide sepolcrale di cm 77 x 118, gia presso l'altare della cappellania Canziani - Piantanida, oggi collocata nella parte sinistra delta nicchia.

Testo su 10 righe: V(ide) | QUAENAM FINIS VITAE NOSTRAE MORS | ERGO PROBE VIVAS | IACOBUS PLANT(anida) VIR PRUDENTISS(imus) | ANN(orum) LXIII HIC CONDITUS | QUI IN DOMINO VIXIT ET CUM EO | VIVIT MDLIII IX IUNII | IN PACE QUIEVIT | MAGNAN(imus) HEROS PLANTANIDA | ET FRATRES BELLI DUCTORES | STRENUI HOC IMPOSUERE.

Traduzione: Vedi, [o spettatore], come la morte pone fine alla vita; perciò cerca di vivere bene. È qui sepolto Giacomo Piantanida, uomo saggio, di anni 63, che visse nel Signore ed ora vive con il Signore. Lui, eroe magnanimo della famiglia Piantanida, si addormentò in pace il 9 giugno 1553. Qui lo deposero i fratelli, anch'essi condottieri valorosi.

Note: Tra le sepolture ricordate dalle lapidi questa e la più antica: trattasi di elemento non trascurabile per chi si accinga a scrivere la storia delta chiesa. Questo Giacomo, che i parenti consideravano un eroe, fu militare come il personaggio ricordato nella lapide precedente. Figlio di questo "grande Giacomo" era il capitano Pietro Piantanida, che venne sepolto nel 1610 nella chiesa di San Martino a Ferno, paese ove i Piantanida erano ben radicati.

 

A proposito di iscrizioni, nella cappella di San Pietro Martire i restauratori hanno recuperato pochissimi elementi delta scritta originariamente dipinta sotto le figure dei santi: il cognome [M]ODONUS e frammenti di una data in cifre romane. La scritta, il cui messaggio è suggerito da una carta dell'archivio diocesano, voleva ricordare il sacerdote Luigi Modoni, cappellano titolare dell'altare di San Pietro Martire, come colui che aveva commissionato e pagato nel 1572 l'affresco al pittore milanese Gian Andrea Tibaldi, nipote del famoso architetto. Sappiamo che i Modoni costituivano una delle tante linee interne alla vastissima famiglia Piantanida e che possedevano a Lonate nel Cinquecento discreti possedimenti.

 

Cappella di S. Bartolomeo: pietra tombale (foto dell'autore di questo sito)

Cappella di S. Bartolomeo: pietra tombale (foto dell'autore di questo sito)

 


LA CAPPELLA DEL ROSARIO E IL LASCITO REPOSSI

(da "ComuniCare", agosto-settembre 2024)

Nel 1567, anno in cui venne a Lonate san Carlo in visita pastorale, la seconda cappella a partire dall'altare maggiore non aveva ancora nessuna intitolazione. Nella chiesa di Sant'Ambrogio ricostruita dalle fondamenta negli anni 1500-1520, avevano preso posto soltanto le cappellanie della chiesa preesistente, cioè le cappelle di patronato Carcano e Piantanida, che erano intitolate a san Bartolomeo e a san Pietro Martire.

Nel 1596 la seconda cappella presentava dipinti i quindici misteri del Rosario. Il rapido salto di qualità era stato certamente promosso dalla Compagnia o confraternita del Rosario, istituita (San Carlo era ancora vivo) nell'anno 1575, la quale scelse l'altare di questa cappella come suo punto di riferimento canonico. Quattro angeli di legno dorato erano sopra l'altare nel 1622, una lampada era accesa ogni sabato e nelle feste della Madonna. Nel 1614 il curato Domenico Nidasio aveva disposto un legato per tre messe settimanali ed una festiva su questo altare, mettendole a carico della fabbriceria di Sant'Ambrogio, sua erede universale. Nel 1646 questa cappella era l'unica fra le cappelle minori ad avere un'elegante balaustra e delle strutture di marmo.

Una minuziosa descrizione della cappella, finora inedita, ci è stata lasciata da Monsignor Mario Corradi, visitatore nel 1706: « Questa cappella è profonda ed è diversa dalle altre. Si sale ad essa per due gradini di marmo, sopra i quali c'è la balaustra di marmo di macchia vecchia senza cancelletto. Davanti all'altare sta la predella di legno, sopra l'altare ci sono due gradini, uno di mattoni, l'altro di marmo. L'ornamentazione marmorea è di macchia vecchia, costituita da due colonne di colore nero con piedestalli e capitelli di colore bianco, e dalla nicchia al centro, protetta da vetro con dentro la statua della Madonna con Bambino, di vestiti di seta dorata. Dalla parte dell'epistola dell'altare una porta introduce alla scala di mattoni recante al pulpito. Il pavimento è di mattoni (medoni). La volta è a fornice. La cappella è profonda cubiti 5 ½, larga 7. »

Incisione sulla pergamena di concessione delle indulgenze alla Compagnia del Rosario

La compagnia del Rosario godeva di indulgenze. Attesta la concessione di indulgenze una carta pergamenata di grande formato datata 1727, che si conserva in archivio parrocchiale, raffigurante la Madonna del Rosario tra i santi Domenico e Caterina da Siena .

Il cardinal Pozzobonelli, in visita pastorale nel 1750, confermò che la cappella della Beata Vergine del Rosario era più grande delle altre e fece riportare l'elenco deilegati di culto che si adempivano in essa, tra i quali spiccano la messa quotidiana per legato dei sig.ri Scaccabarozzi, la messa quotidiana per legato del sig. Antonio Repossi, una serie annuale di dodici messe cantate con intervento di tutti i sacerdoti di Lonate per adempimento di un voto pubblico (forse la peste del 1630). Il legato di Antonio Repossi, quel Repossi cui a Lonate è intitolata una via a ricordo della sua generosità verso i poveri, è espresso nel suo testamento, finora inedito, che Giuseppe Borroni ha scoperto all'archivio di Stato di Milano (fondo Cancelleria arcivescovile, cart. 230), testamento dettato a Milano il 10 luglio 1681 al notaio Raimondo Mariani. Nel testamento Antonio Repossi dispose di essere sepolto a Lonate con funerale di dodici sacerdoti, lasciò erede universale la Scuola della Carità di Lonate fissando alcuni obiettivi a favore dei poveri del paese, diede indicazioni minute per l'istituzione di una messa quotidiana nella chiesa di Sant'Ambrogio all'altare della Madonna del Rosario, appoggiando la fattibilità di questo proposito a cospicui beni immobili, tra cui una casa grande in contrada Borgo e un'altra in contrada Valletta, 90 pertiche  di aratorio, 12 pertiche di prato, 10 di bosco. Antonio Repossi si era arricchito con una vita laboriosa, morì a Turbigo nel 1685 e fu sepolto a Lonate. Le disposizioni testamentarie riguardanti la cappellania del Rosario furono messe in atto dall'estate del 1689. Primo cappellano vitalizio fu Francesco Repossi, nativo di Lonate, che nel 1706 aveva 60 anni.

Il legame tra Scuola della Carità e altare del Rosario giovò ad entrambi, incrementando in paese solidarietà e devozione. A fine Ottocento (negli anni dell'intitolazione della via) i poveri beneficiati ogni anno grazie al lascito Repossi dalla Congregazione di Carità, subentrata alla Scuola, erano in media 40 persone, che venivano aiutate con elemosine, parte in denaro parte in generi di conforto, per un totale di 750 lire:


LA GROTTA DI LOURDES DENTRO LA CHIESA PARROCCHIALE

(da "La Nona Campana", febbraio 2022)

Nel chiostro adiacente alla chiesa parrocchiale, appena oltrepassato il portale settecentesco di granito grigio, sulla parete della chiesa è possibile vedere una lapide quadrata sulla quale è possibile leggere un testo a lettere maiuscole di 20 righe in lingua italiana che recita così:

« Questa grotta / copia fedele di quella di Lourdes / nella quale / ben 18 volte apparve / l'Immacolata V. Maria / a Bernardina Soubirous / a ricordare/ l'anno L° del dogma / dell'Immacolata / e XXV di suo sacerdozio / il sac. Antonio Pifferi / parroco di qui / raccomandandosi ai divoti / di Maria / il 9 maggio 19041 eresse. Il S. E. il card. arcivescovo / Andrea C. Ferrari / nel giorno stesso benedisse »

Quel giorno il cardinale era in visita pastorale a Lonate Pozzolo, e il dogma dell'Immacolata era stato proclamato nel 1854. Presso la lapide non c'è nessuna grotta simile a quella di Lourdes, con le tipiche statue della Immacolata e della veggente Bernadette, e la lapide non c'entra nulla con la grotta di Lourdes posta dietro l'abside della chiesa parrocchiale a lato della via San Fortunato, realizzata dal parroco Don Eraldo Colombini nel 1982 dopo un pellegrinaggio parrocchiale. Per risolvere il mistero basta osservare la rarissima cartolina di Lonate riprodotta qui sotto, con una didascalia indiscutibile: « Lonate Pozzolo. Cappella di Lourdes nella Chiesa Parrocchiale ».

La cartolina con la riproduzione della grotta di Lourdes e la lapide ancor oggi visibile

Dunque la grotta non era fuori, ma DENTRO la chiesa parrocchiale. Dove? Nea cartolina si vede che la cappella con la grotta aveva una cancellata di ferro al posto della balaustra di marmo. Oggi nella chiesa parrocchiale due sole cappelle hanno una cancellata di ferro: la cappella di Sant'Ambrogio e quella ad essa opposta, dedicata a sant'Antonio di Padova.

Ciò che il cardinal Ferrari benedisse nel 1904, il successore cardinal Schuster, raffinato liturgista, ordinò di togliere dall'interno dell'edificio della chiesa con il decreto emesso dopo la visita pastorale dell'agosto 1932. La grotta fu perciò smantellata, e la lapide spostata all'esterno.

Si spiegano così gli appunti del parroco don Antonio Martignoni, senza data ma collegabili al decreto arcivescovile, nei quali egli auspicava dì sistemare il rosone della facciata contestualmente alla ristrutturazione dell'organo (Martignoni era un musicofilo) e di costruire dalla parte del chiostrino quattro locali-ripostiglio e, nel loro frontespizio, una cappella per la Madonna di Lourdes. Dunque la grotta interna doveva essere sostituita da una grotta esterna, allo scopo di mantenere la devozione dei fedeli, grotta che grossomodo sarebbe venuta ad occupare l'area già dell'ossario di origine settecentesca, distrutto all'inizio del Novecento. Ma don Martignonì, già anziano e purtroppo malato di mente, non ebbe il tempo di realizzare quanto scritto. Così nella cappella rimasta vuota trovò collocazione nel 1936 la statua di Sant'Antonio di Padova, mentre al suo posto nel lato settentrionale della chiesa fu messa la statua di Sant'Anna.

La girandola delle intitolazioni non era finita. Nel 1947 il parroco don Antonio Tagliabue annunciava un coraggioso programma di lavori per la sistemazione della chiesa parrocchiale: al primo punto la ristrutturone della facciata, al secondo la sistemazione delle singole cappelle. i lavori si fecero a tappe serrate con il coinvolgimento della popolazione. Accantonata la statua di gesso di Sant'Antonio che tornò al suo posto, subentrò quella lignea di Sant'Ambrogio. La cappella a lui dedicata, arricchita dì dipinti del pittore Angelo Galloni (1902-1954), fu inaugurata Il 7 dicembre 1948.

 

Se volete maggiori informazioni, rivolgetevi alla Pro Loco di Lonate Pozzolo, indirizzo via Cavour 21, telefono 0331/301155.

 

Già che ci siete, se lo credete, potete dare un'occhiata alla storia antica di Lonate; altrimenti, cliccate qui e tornate indietro.


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